«Wow…». Yuugi non sarebbe riuscito a dire nient’altro dopo
l’incontro di fuoco, avvenuto in una delle stanze del puzzle del
millennio, tra lui e il suo adorato Yami.
I capelli in disordine, il faccino sfatto e accaldato, il corpo
sudato e macchiato di passione.
«Aibou, se non ti dai una sistemata potrei riniziare!»,
ridacchiò Yami, coprendolo con un fresco lenzuolo. Lo spirito del
Puzzle era sdraiato sull’altra piazza del letto matrimoniale dove erano
distesi, con le gambe elegantemente accavallate e un braccio dietro la
testa, anche lui già coperto dal lenzuolo – almeno dalla cintola in
giù.
Yuugi arrossì appena e strinse l’angolo di un cuscino. «Ah,
scusa, Mou hitori no boku…».
«Non c’è motivo per il quale tu debba scusarti», rise
baritonale, accarezzandogli i capelli per metterglieli un po’ “in
ordine” e poterlo coccolare.
Il ragazzo sorrise e lo lasciò fare.
«Mou hitori no boku?», lo chiamò Yuugi dopo un po’,
intristendosi appena.
«Uhn?».
«Avrei una cosa da chiederti…».
«Dimmi tutto, Aibou».
«Secondo te… Ryou soffrirà molto con il suo yami?», domandò il
ragazzo con voce triste.
«Perché mi chiedi questo?», domandò il Faraone senza nome, non
capendo l’inaspettata domanda del ragazzo.
«Perché io sono stato enormemente fortunato a trovarti… Da
quando ho ricomposto il puzzle ho tanti amici, e ho te…», soffiò con
voce innamorata. «È vero, non ho mai rischiato di morire così tante
volte come in quest’ultimo periodo, ma se questa è la pena che devo
scontare per essere tuo, allora, sono felice di tutto questo». Le sue
parole erano pure e piene d’amore, capaci di scuotere perfino il cuore
di uno spirito che per tremila anni non aveva avuto nessun tipo di
compagnia – nemmeno quella dei suoi stessi ricordi.
«Aibou…», sussurrò Yami, ma Yuugi gli fece cenno di non
interromperlo.
«Quando penso a Ryou, invece, mi si stringe in cuore. Non penso
che lo spirito che dimorava nell’anello sia così buono con lui,
affatto. E sono sempre in pensiero per lui», ammise.
Yami gli si avvicinò e lo abbracciò gentilmente.
«Sei molto gentile a preoccuparti dei tuoi amici», gli disse.
«Fo—Forse dovrei a—avvicinarmi di più a lui,» balbettò il
ragazzo, imbarazzato a quella calda stretta, «come quando era appena
arrivato a scuola e abbiamo battuto il suo yami a Monsters World,
tentare di capire il suo dolore e il modo che possiamo utilizzare per
aiutarlo. Yami no Bakura non mi è mai piaciuto… Forse, però, se Ryou
non ha mai dato altri segni di insofferenza, vuol dire che si è
adattato al suo ospite», ponderò. «Non so cosa pensare…».
Atem sollevò un fine sopracciglio.
«Adattarsi ad avere una persona così nello stesso corpo?»,
chiese retorico. «Aibou, sinceramente Ryou dev’essere un po’
sadomasochista per riuscire in un’impresa del genere…».
«E… se anche loro fossero…».
«Fossero?».
«… Innamorati?». Yuugi disse quella parola in un lieve pigolio,
del tutto in contrasto con il boato di risata che uscì forte dai
polmoni di Yami, incontenibile.
«Aibou! Ah, ah, ah! È la cosa più spassosa che tu abbia detto
da quando ci siamo conosciuti! Ah, ah, ah!», rise, tenendosi lo stomaco
e rotolando nel letto.
Yuugi lo guardò con aria interrogativa e dopo che il Faraone
senza nome si fu calmato, quest’ultimo spiegò:
«Impossibile, Aibou!», disse, asciugandosi una lacrima
dall’occhio, con un dito. «Ce lo vedi Yami no Bakura che si presenta
nella mente di Ryou vestito con uno di quegli abiti bianchi ed eleganti
del vostro secolo, con un mazzo di quindici rose rosse in mano?».
Bastò quell’immagine perché anche Yuugi iniziasse a ridere
incontrollato nel letto, seguito a ruota da Yami, che continuò a
parlare: «Oppure immaginatelo mentre gli apre la portiera dell’auto e
si stende in una pozzanghera per farlo passare affinché non si sporchi
le scarpe!». La situazione stava degenerando: l’argomentazione – da
seria che era – si stava trasformando in un discorso prettamente
demenziale, che fece venire perfino il singhiozzo a Yuugi.
«Per non parlare poi delle loro performance a letto!»,
ridacchiò Yami. Sembrava tornato alle origini, quando Yuugi lo aveva
appena risvegliato dal puzzle – ovviamente dopo essere stato svegliato
da un sonno lungo circa tremila anni, chi non sarebbe leggermente
infastidito e dall’arrabbiatura facile?
Yami si mise in piedi – ancora perfettamente nudo – e iniziò a
dire con voce grave, facendo il verso a Bakura:
«Io sono Ore-sama! E lui… è Ore-chan!», rise, indicandosi il
coinquilino dei piani bassi.
Yuugi si tappò la bocca con un sorriso, arrossendo appena: «E
non sarà mai nemmeno bravo come te a letto, Mou hitori no boku!»,
sussurrò, facendogli il gesto della regola della L con l’indice e il
pollice: ovvero, a bassa altezza corrisponde un membro più sviluppato e
viceversa. Anche Yuugi se trascinato riusciva a dire le peggiori cose –
ma solo con il suo amato “altro se stesso” – e poi stava prendendo in
giro un loro camaleontico nemico, non certo il suo amico Ryou!
«Giustissimo, Aibou!», annuì Yami, ributtandosi nel letto e
abbracciandolo forte, continuando a ridere con lui, mentre le loro
bocche a volte smettevano di ridere per qualche attimo, il tanto giusto
per fare in modo che le loro labbra si incontrassero in un soffice
bacio.
Ma c’era una cosa che i due non avevano considerato.
Una figura ancora più oscura di Yami era nascosta nella densa
tenebra di quel Puzzle. A lui non occorrevano luci per potersi muovere
e l’esperienza millenaria che si portava dietro gli aveva permesso di
muoversi senza fare il minimo rumore, e di non perdersi in quel dedalo
o rimanere vittima delle sue trappole.
E proprio lui, in piedi sull’architrave esterno della porta di
quella stanza – dove Yami aveva trascinato Yuugi in un impeto di
desiderio, senza curarsi poi di chiudere l’uscio, pensando giustamente
di essere solo con il suo Aibou, come era sempre stato –, li aveva
ascoltati da sempre. Senza che loro lo sapessero.
“Poco dotato? Con problemi di erezione? Come osano dire questo
del grande Ore-sama?! Maledetto Ou-sama!”, pensò il ladro, avvolto
nell’oscurità. Digrignava i denti, aveva una vena pulsante
pericolosamente in vista all’altezza della tempia – se non si fosse
calmato entro un limite di tempo accettabile sarebbe potuta esplodere –
e stringeva i pugni talmente forte che le nocche erano ormai bianche
come i suoi capelli. “Metterò in conto anche questo una volta giunto
alla resa dei conti, garantito!”, pensò, come fosse una mortale
maledizione, un anatema capace di colpire nei secoli dei secoli, di
generazione in generazione – fino all’ottava – e di non lasciare
scampo. “E per colpa tua la pagherà anche quel nanerottolo di Yuugi,
vedrai se non ho ragione…”, ringhiò, sparendo poi tra l’oscurità di
quel puzzle, completamente disinteressato alle smancerie amorose dei
due nella stanza.