-Oh, andiamo Miriam, non puoi non aiutarmi!-
-Scommettiamo? Eccome se posso, vedi? Ti sto dicendo di no, quindi smettila
di…-
-Andiamo, Miriam, non puoi lasciarmi da sola! Ti ho aiutata con quella tua
storia dei cartelloni, ora tu devi aiutare me.-
-Chiederti di aiutarmi ad appendere cartelloni per pubblicizzare la mostra
fotografica di mio fratello è una cosa, quello che mi chiedi tu è ben diverso!-
ribattei, ancora incredula per la proposta di Lisa.
-Fantastico, ti credevo un’amica! Perché non vuoi aiutarmi?-
-Perché è una pazzia, Lisa! Finirà male, non dovresti farlo nemmeno tu!-
cercai di convincerla.
Non ha funzionato, non si è convinta. Sono passati quattro giorni da quando
Lisa mi ha chiesto di aiutarla e mi trovo seduta su una panchina nel corridoio
di questo schifoso ospedale da più di tre ore, maledicendomi per non essere
riuscita a fermarla. Lisa, la mia migliore amica, ora si trova dietro la porta
che sto fissando da quando sono arrivata. Dalla sala operatoria a intervalli
regolari escono medici e infermieri, ma nessuno sembra avere qualcosa da dire a
me o ai genitori di Lisa, seduti sulla panca dall’altra parte del corridoio
insieme a Luca, il loro bambino di tre anni, il fratellino con cui lei litigava
continuamente. Dubito che Luca abbia capito perché si trova qui, ma sia io che i
suoi genitori sappiamo benissimo il motivo: loro figlia, la mia migliore amica,
si trova su una barella, o su un lettino, circondata da medici e infermieri che
cercano di estrarre il proiettile che giace, a quanto o capito, pericolosamente
vicino al cuore.
Mi vengono in mente tutte le lezioni di anatomia seguite a scuola: se avesse
colpito il cuore? O l’aorta? Se i polmoni fossero danneggiati? Cosa succederebbe
allora? Cerco di evitare di pormi questa domanda, o almeno cerco di non pensare
alla risposta, ma è impossibile. So bene la risposta, se i danni fossero troppo
gravi le conseguenze potrebbero essere dure da sopportare. I sensi di colpa mi
fanno compagnia in questo momento, non si staccano da me, e inizio ad odiarli, e
contemporaneamente inizio ad odiare me stessa. Lisa mi ha chiesto di non dire
niente a nessuno, io l’ho accontentata. Codarda. Sapevo di non dovermi fidare di
quelle quattro, che si sarebbero messo nei casini trascinando con loro anche
Lisa. Ma non ho detto nulla, ai genitori di Lisa, ai miei, alla polizia.
Quelle pistole giocattolo sembravano troppo vere, troppo realistiche. Il
poliziotto che si trovava al supermercato non le ha riconosciute. Sono entrata
anche io nel supermercato, ma sono rimasta in disparte, lontana da quelle cinque
ragazze che minacciavano la clientela e gli inservienti mentre una di loro
costringeva la cassiera a svuotare la cassa. Sono rimasta in disparte e ho visto
Lisa mirare a un bambino. La pistola era finta, naturalmente, ma non lo era
quella del guardiano del supermercato che, vedendola puntare l’arma contro un
bambino, non ha esitato a sparare. Le altre quattro, che si dicevano sue amiche,
sono scappate. Io sono salita in ambulanza con Lisa, l’ho accompagnata fino a
qui, in ospedale. Ero con lei prima che svenisse, l’ho sentita commentare
–Poliziotto schifoso.- e l’ho vista perdere i sensi. Poliziotto schifoso,
come se fosse stata colpa sua.
Arrivati all’ospedale hanno subito portato Lisa in sala operatoria per
cercare di estrarre il proiettile e bloccare l’emorragia. Io intanto ho
telefonato ai suoi genitori. Mi ha risposto la madre, aveva un tono allegro, ma
è scoppiata a piangere appena le ho detto ciò che era accaduto. La famiglia le
vuole bene, non ha problemi di denaro, ma ha tentato di derubare un
supermercato.
È passato un mese da quel giorno Lisa non è morta. Ci ha avvertiti un medico,
ricorderò quel momento per sempre. È uscito dalla porta che io stavo ancora
fissando. I miei genitori erano arrivati da qualche ora, ormai, e si erano
seduti accanto a me dopo aver scambiato qualche parola con i genitori di Lisa.
Il medico si è tolto i guanti e la mascherina. I genitori di Lisa si sono
precipitati da lui, io sono scattata in piedi.
-È andato tutto bene.- ha detto –Ha lottato finchè non è riuscita a vincere.
È una ragazza forte.-
Balle. Lisa era debole, e lo è ancora. Si è lasciata convincere da quattro
sbandate a fare una rapina a mano armata, ed ha rischiato di morire a
diciassette anni solo per una stupida prova per entrare in uno stupido
gruppetto. Lisa era la mia migliore amica, ma non è forte, così come io non lo
sono. Mentre ero seduta in ospedale aspettando che ci dicessero qualcosa ho
cercato di convincermi di non avere colpe, ma non ci sono riuscita. Non ci sono
riuscita perché non è vero. Sono colpevole di ciò che è successo quanto lo è
Lisa e quanto lo sono le sue quattro complici. Perché? Perché non ho detto
nulla. Ho cercato di convincerla a lasciar perdere ma non ho fatto nulla di
concreto.
Le faccenda della rapina è finita su tutti i giornali della città. Gli
articoli scritti dai giornalisti di cronaca hanno dipinto Lisa come
un’adolescente in crisi, traviata dalle cattive compagnie. Tutti le hanno tolto
dalle spalle il peso della responsabilità. Lisa è tornata a scuola da quattro
giorni, ma non le ho parlato. La pensa come i giornalisti, come la sua famiglia,
come tutti i genitori dei nostri compagni e come tutti gli altri. È convinta di
non avere colpa, parla della faccenda dipingendosi come una vittima. Non lo è.
Ha sempre avuto la scelta, così come l’ho avuta io. Avrebbe potuto dire di no,
non seguire quelle quattro, lasciare perdere l’intera faccenda, ma non l’ha
fatto. Ed ora è diventata un’eroina sopravvissuta ad un tragico incidente,
mentre io sono segnata a dito per non aver avvertito la polizia. Bene, si tenga
la gloria, non mi interessa. Ma se non capisce quanto è sbagliato ciò che ha
fatto, cosa le impedirà di farlo di nuovo?
_______Nota di Herm90
Ci tenevo che qualcuno la leggesse anche se non sono riuscita a partecipare
al concorso, quindi... ecco qui!
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