Happy birthday, Dean di IoNarrante (/viewuser.php?uid=122990)
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Happy birthday, Dean
A
Dean i compleanni non erano mai piaciuti. Pensava che fossero un modo
come un
altro per ricordargli quando invecchiava e che il tempo passasse un po’
per
tutti, compresi i Winchester. Di solito fingeva di non ricordarsene,
almeno si
sarebbe risparmiato quei falsi sorrisi e quell’allegria che sapeva
essere
soltanto momentanea. Un’isola di mondo per evadere da quella realtà di
schifo
che era la sua vita.
La
memoria di elefante di Bobby, però, funzionava ancora alla grande e
così si
ritrovava la notte del 23 Gennaio con una bella fetta di torta in mano
– lui
adorava la torta – mentre quei soliti quattro amici ubriaconi del
vecchio
cacciatore gli cantavano un ‘Tanti Auguri’ da sbronzi. Aspettava giusto
la
mezzanotte, poi spegneva le candeline che con suo immenso disappunto
aumentavano a dismisura.
Ma
quest’anno Bobby non ci sarebbe stato.
Quello
che Dean odiava di più del suo compleanno, erano i ricordi. L’odore
della torta
di mele che mamma Mary preparava lo stesso pomeriggio, il pianto di
Sammy nella
stanza di sopra e l’immancabile bruciatura della crosta a causa delle
premure
che sua madre aveva per il fratellino. Quella era una festa da passare
in
famiglia, lo aveva sempre pensato, ma lui una famiglia non ce l’aveva
più.
Sam
era l’unico che gli era rimasto. Anche se un po’ fuori di testa,
rimaneva
comunque il suo fratellino e il solo membro della famiglia rimasto in
vita.
Quel
23 Gennaio 2012, a poche settimane dalla morte di Bobby, Dean si era
preoccupato unicamente di spaparanzarsi sul divano e aggredire una
bella fetta
di torta con i mirtilli, sparandosi Gli
Intoccabili per la milionesima volta e grugnendo contro la TV. Sam
aveva
ben altri piani in mente e Dean lo capì quando si piazzò davanti alla
televisione con il suo corpo massiccio a parargli l’ingresso di Eliot
Ness in
scena.
«Ehi,
spoftafi!» Grugnì linciandolo con
lo sguardo e masticando la torta.
«Dean,
sai che giorno è domani?» gli ricordò Sam, come
se non avesse pensato ad altro nelle ultime ventiquattr’ore.
Lavorò
di mandibola e mandò giù quasi un’intera fetta di torta senza
strozzarsi. Da
Guinnes quasi. «San Patrizio?» Buttò
lì, osservando la
bottiglia mezza piena della sua Corona.
Sam
rivolse gli occhi al cielo. «Smettila
di fare il cretino,» lo ammonì. «Quando
crescerai?»
Dean
allora sbuffò contrariato, mettendosi l’anima in pace e realizzando che
di
questo passo non avrebbe più visto il film che aveva noleggiato.
Afferrò la
bottiglia della Corona e si scolò l’intero contenuto in un solo sorso.
«Che
vuoi, Sam?» Ringhiò frustrato,
finendo anche la torta.
«Che
cosa vuoi tu, Dean,» insistette l’altro. «È il
tuo compleanno, non
il mio.»
Non
avrebbe mai pensato che Samantha
potesse uscire fuori anche in quelle circostanze, considerato che non
aveva
nulla da festeggiare in quel periodo. Bobby se n’era andato, i
Leviatani
preparavano qualcosa di tremendo di cui ancora non sapeva un bel niente
e Cass…
beh, Cass l’aveva superato ormai. Tutti sembravano sparire attorno a
lui, uno
dopo l’altro, come pupazzi di neve il giorno di ferragosto. Intorno a
Dean
c’era terra bruciata e lui aveva una paura fottuta che prima o poi
sarebbe
giunto anche il momento di Sam.
«Non
ho nulla da
festeggiare,» borbottò alzandosi dal
divano e spegnendo il televisore.
Ecco
perché odiava il suo compleanno. Era obbligatorio avere un sorriso
stampato
sulla faccia anche quando la voglia di ridere era stata calpestata da
quei
bastardi tinti di nero.
«Ma
cosa dici, Dean?» protestò il fratello,
cominciando a seguirlo verso la cucinetta, dove l’altro tirò fuori dal
frigo
l’ennesima Corona. «Trentatré anni vengono
una volta sola nella vita e anche se l’essere cacciatori non ci dà mai
molto
tempo libero, questo non vuol dire che non possiamo sentirci come una
famiglia!»
Dean
sussultò a quella parola. «Sam,
Bobby è morto. MORTO. Lo capisci, vero?» Gli
gridò contro, esasperato. Poi si accorse
che di essersi comportato come un idiota. «Scusami
se non ho voglia di festeggiare.»
Si
trovavano in uno dei motel sulla statale che conduceva a St. George,
nello
Utah, quando la neve li aveva colti impreparati ed erano stati
obbligati a
fermarsi. Dean s’incamminò verso la finestra e scostò le tendine per
guardare
fuori. Un manto bianco copriva il parcheggio, tanto che si
distinguevano a mala
pena le auto parcheggiate.
Fortunatamente avevo il
telo per la mia bambina,
pensò soddisfatto.
Era
stato un po’ brusco con Sam, se ne accorse col senno di poi, ma almeno
aveva
fatto zittire Samantha per qualche
ora.
«Vado
a fare quattro
passi,» gli comunicò Sam
infilandosi il cappotto. Dean nemmeno gli rispose, troppo orgoglioso
per
ammettere di essere stato un cazzone, come suo solito.
Non
appena la porta del 421B si chiuse con un click metallico, Dean si
trascinò
verso il letto e ci si sbracò sopra fissando il soffitto.
Lui
aveva ragione e Sam torto, su questo non si poteva discutere.
L’ultimo
membro della famiglia, oltre Sam, che gli era rimasto, se n’era andato
via
qualche settimana prima e Dean non poteva, non
riusciva a farsene una ragione. Era stato addestrato sin da bambino
alla
vita del cacciatore e l’aveva sempre amata, in un modo o nell’altro, ma
da
qualche tempo a quella parte si era reso conto che sarebbe rimasto
sempre da
solo.
Aveva
tentato di abbandonare quella vita, con Lisa e Ben, ma era solo un
circolo
vizioso e ci era ricaduto.
Inoltre,
pensò che festeggiare sarebbe stata una cosa inutile visto che gli anni
sarebbero aumentati comunque, che lui lo volesse o no. Era solo un modo
per
ricordargli quanto stesse diventando vecchio.
Sam
tornò dopo qualche ora con una busta della spesa in mano e Dean si
accigliò.
«Quale
parte di ‘non
voglio festeggiare’ non hai capito?» Lo ammonì, vedendolo posare il sacchetto sul
tavolino vicino al televisore.
Il
fratello lo guardò. «Non ho chiamato nessuno,
nemmeno lo sceriffo Mills. Saremo solo io e te, come un tempo.»
«Non
riuscirò a farti
cambiare idea prima della mezzanotte, vero?»
S’informò Dean, sapendo già quale fosse la
risposta.
Sam
scosse la testa e continuò a tirare fuori cibarie dalla busta di carta,
sotto
lo sguardo assorto dell’altro.
«La
torta era finita, ho
preso questo,» gli disse Sam,
mostrandogli un muffin con le scaglie di cioccolato. «Sarà
più che altro
simbolico.» E sorrise.
La
giornata passò identica alle altre, con l’unica differenza che Dean si
sentiva
di un anno più vecchio. C’era una pista da seguire vicino St. George ma
Sam era
stato irremovibile e gli aveva chiesto quale film volesse vedere per
ingannare
il tempo fino alla mezzanotte. Dean ricordava quella specie di
tradizione. Da
quando Mary era stata uccisa e suo padre John era diventato cacciatore,
trascinando i suoi figli in quella vita da nomadi, lui e Sam
attendevano la
mezzanotte per festeggiare i compleanni, visto che quasi ogni sera
dovevano
stare di guardia mentre il padre era fuori a caccia.
Dean
fissava lo schermo della televisione annoiato, poi lanciò uno sguardo
al
fratello crollato sulla poltrona del motel. Vide il muffin sul
tavolino, con
una singola candelina infilzata nel mezzo, e si disse che quello era
forse il
compleanno più tranquillo che avesse mai trascorso.
Mancavano
cinque minuti alla mezzanotte e il suo trentatreesimo compleanno si
avvicinava
inesorabile. Si alzò dal divano e afferrò il muffin, accendendo la
candelina.
Guardò Sam, ma non lo svegliò. Erano giorni che viaggiavano
ininterrottamente
ed era raro che vedesse il fratello dormire così bene e profondamente,
senza
che il suo cervello sfarfallasse più del dovuto.
Tornò
a rivolgere la sua attenzione al muffin e sospirò. Spinse Mute
sul telecomando e si apprestò a spegnere le candeline una
volta scoccata la mezzanotte.
Guardò
l’orologio. «Beh, buon compleanno
vecchio mio,» si disse chiudendo gli
occhi e soffiando sulla candelina solitaria.
Esprimi un desiderio,
Dean,
gli ripeteva sempre sua madre Mary ma lui non ci aveva mai creduto
veramente
fino a quando, quasi senza accorgersene, mentre soffiava, un suo
pensiero andò
a Cass.
In
poco tempo accanto a lui avvertì un fruscio d’ali e quando riaprì gli
occhi non
c’era soltanto Sam a tenergli compagnia. Si voltò verso l’uomo in
giacca e
cravatta – stavolta senza trench – che lo fissava.
«Ciao,
Dean» gli disse atono e il
cacciatore impiegò quasi cinque minuti a rendersi conto che il suo
cervello non
gli stava giocando un fottuto scherzo. Quello pazzo era Sam, non lui!
Lasciò
il muffin sul tavolino e si stropicciò gli occhi. «Uhou!»
Esclamò sorpreso e
confuso. «Dimmi che sei chi penso
io, altrimenti ci metto poco a ficcarti un po’ di detersivo in quella
fottuta
bocca da leviatano!» lo minacciò.
Più
volte aveva pensato che Cass non fosse sparito in quel lago. Si era
detto che
finché non avesse visto il corpo di Jimmy Novak al telegiornale, ci
sarebbe
stata ancora una speranza di rivedere il suo
angelo. Aveva anche pensato, però, alla possibilità che Cass non fosse
il Cass
di sempre, ma un ammasso di gelatina nerastra.
L’angelo
non rispose e continuò a guardarlo con quegli occhi insolitamente
azzurri. Non
c’era più abituato, doveva ammetterlo. Sottostare a quello sguardo lo
metteva a
disagio, soprattutto perché aveva il sospetto che Cass riuscisse a
leggerlo
come un fottuto mazzo di carte.
«Sono
Castiel, se è
questo che mi chiedi,» mormorò atono, senza il
minimo mutamento di espressione.
Gli
occhi verdi di Dean si spalancarono dalla sorpresa, ma il suo istinto
di
cacciatore ebbe il sopravvento. Si alzò in piedi e afferrò una tanica
di
detersivo, poi fissò Sam che dormiva e successivamente l’angelo. «Andiamo
fuori.»
I
due s’incamminarono nella notte gelida di quell’ormai ventiquattro
gennaio,
immergendo gli stivali nella neve che arrivava sino alle caviglie. La
strada
era deserta, d’altronde era passata la mezzanotte e con quel freddo
Dean non si
meravigliò di non vedere anima viva.
Si
voltò verso Cass e continuò a fissarlo di sbieco. «Non ti
dispiace se
faccio una prova,» gli disse serio. «Con
quei figli di
puttana non si può mai sapere.»
L’angelo
lo guardò confuso, poi gli porse la mano. Dean fece cadere qualche
goccia di
detersivo sulla pelle di Castiel, aspettandosi che friggesse, invece
scivolò
liscia e s’infranse sulla neve ai loro piedi. Non poteva credere ai
suoi occhi.
Rialzò
lo sguardo e incontrò nuovamente quegli occhi blu enormi, diventati
ancora più
grandi al buio di quella notte. «Cass…» Riuscì solo a mormorare, senza aggiungere
altro.
«Ciao,
Dean,» ripeté con convinzione
l’angelo.
C’erano
un milione di cose che avrebbe voluto chiedergli, a cominciare da dove
era
stato tutto quel tempo. Avrebbe voluto sapere come si era salvato, cosa
gli fosse
successo dopo l’esplosione nel lago, se era ancora tutto intero – ma
quella era
una domanda stupida visto che lo poteva constatare con i suoi occhi.
Eppure
gli uscì un semplice «Cosa ci fai qui?»
Lasciò
andare la tanica di detersivo e si alzò il bavero del giacchetto
infilando le
mani in tasca prima che gli diventassero due ghiaccioli. Cass non
sembrava
soffrire né caldo né freddo. Era impassibile come sempre.
«Mi
hai chiamato tu,
Dean,» spiegò semplicemente.
«No,
non è vero.»
Castiel
inclinò la testa da un lato. «Sì,» sostenne convinto. «Quando
hai espresso il
desiderio.»
A
Dean gli venne quasi da ridere, perché quella era davvero una storia
assurda.
Se avesse desiderato Bobby, allora gli sarebbe apparso sotto forma di
fantasma?
«Uhm,»
mormorò confuso. «Allora perché non ti sei
fatto vivo prima?»
Dean
continuò a sottostare allo sguardo assorto di Castiel. Non era la prima
volta
che lo fissava in quel modo, ma si sentì strano. Era arrabbiato, doveva
ammetterlo. Quasi tre mesi a pensare che quel fottuto pennuto fosse
esploso in
fondo al lago, invece se ne andava in giro a fare le sue cose da angelo
e
rispuntava solo il giorno del suo compleanno.
«Non
potevo,» sospirò.
«Cazzate,
Cass!» ringhiò. «Pensavo
fossi morto,
idiota!»
Quella
fu la prima volta che Dean vide l’espressione di Castiel mutare nel più
genuino
stupore. L’angelo non era altro che un bambino cresciuto troppo in
fretta e
ogni emozione si poteva leggere sul suo viso.
«Lo
credevo anche io,» soffiò
impercettibilmente, abbassando il capo. «I
Leviatani si erano impossessati del mio corpo,
poi non ricordo quasi nulla. L’unica cosa che so è che non potevo
scappare, mi
tenevano prigioniero.»
Dean
rimase di sasso. Aveva perso ogni speranza, soprattutto dopo la morte
di Bobby,
e aveva sempre creduto che sarebbe stata solo questione di tempo prime
che
qualcuno gli portasse via anche Sam. Invece adesso, in quella notte
gelida,
aveva scoperto che Castiel non era morto, ma solo prigioniero.
«Come
hai fatto a
fuggire?» Gli chiese.
Cass
fece spallucce e arricciò le labbra. «Credo
sia stato merito tuo, è come se avessi
aperto una strada tra te e il luogo in cui mi avevano rinchiuso.»
«Mio?» Dean
era più che
perplesso.
«Non
so spiegarlo. Avevo
tentato più volte di scappare, ma i miei poteri erano nulla in
confronto a
quelli dei Leviatani. Questa notte, invece, ho come visto uno spiraglio
e mi ci
sono aggrappato. Alla fine mi sono ritrovato sul tuo divano.»
Dean
avrebbe voluto davvero sapere com’era stata possibile una cosa del
genere, ma
dallo sguardo confuso di Cass comprese che l’angelo ne sapeva tanto
quanto lui.
«Quindi…»
azzardò. «Ora sei libero?»
Castiel
alzò di nuovo lo sguardo e Dean si sentì come messo a nudo. Forse non
aveva mai
compreso che quello davanti a lui era una creatura divina, un essere
potente e
millenario. Aveva sempre visto Cass come un altro fratello minore,
qualcuno di
cui occuparsi quando ormai Sam aveva imparato a camminare da solo sulle
sue
gambe.
Castiel
scosse la testa. «No,» mormorò schietto. «Sento
di essere ancora
imprigionato e che questa visita sia solo una falla nel loro sistema di
sicurezza. Presto o tardi scopriranno dove sono e mi riporteranno
indietro,» commentò.
Dean
avvertì una strana sensazione di freddo invaderlo e non c’entrava nulla
con i 5
gradi sotto zero dell’HolidayInn Motel, nello Utah. Per un attimo si
era
abituato all’idea di riavere il suo angelo con sé, quel cazzone alato
che
appariva nei momenti meno opportuni ed era la fonte di imbarazzo per
lui.
«Oggi
è il mio
compleanno,» smozzicò, stavolta
prendendo a calci la neve con la punta del suo scarpone. «Nemmeno
volevo
festeggiarlo.»
«Lo
so,» gli rispose Castiel. «Da
quando sei nato, non
ne ho perso nemmeno uno, che tu mi vedessi oppure no.»
Il
cacciatore sgranò gli occhi. «C-Che?»
L’angelo
si strinse nelle spalle. «Il Signore mi aveva dato
il compito di tenerti d’occhio e così ho fatto. Ho sempre eseguito i
suoi
ordini.»
Dean
alle volte si dimenticava che Cass era un soldato. Per lui obbedire a
un ordine
era la priorità assoluta, anche se andava contro la sua morale – a meno
che ne
avesse avuta una.
«C’eri
anche a quello del
1988? Quando siamo andati al circo?» gli chiese curioso.
«Quando
hai smascherato quel
finto unicorno?»
Dean
si sentì strano. Possibile che in tutta la sua vita era stato oggetto
di
stalker da parte di un pennuto?
Dean, you are
blessed by angels.
«Cass,
sai che potrei
denunciarti?» Gli disse sorridendo.
L’angelo
inclinò la testa da un lato e lo guardò. «Perché,
Dean?»
«Lascia
perdere,» sorrise, divertito
dall’ingenuità di Castiel.
Guardò
l’orologio e vide che la mezzanotte stava per scadere, poi notò
l’angelo
inquieto.
«Che
c’è?» Gli chiese.
Castiel
abbassò lo sguardo e si massaggiò il collo. «La
linea si sta assottigliando, presto dovrò
tornare nella mia prigione.»
A
Dean gli si strinse il cuore e non capì fino in fondo il motivo di
quello
strano tumulto che aveva nel petto. Si era aspettato di festeggiare da
solo,
magari in compagnia di Sam che russava sulla poltrona, invece aveva
ricevuto
una visita inaspettata.
«Quand’è
il tuo
compleanno, Cass?»
Quella
storia dei compleanni lo aveva completamente rincretinito, ma la
domanda gli
uscì spontanea e insensata.
Castiel,
infatti, rimase basito. I suoi occhi blu erano spalancati e la bocca
semiaperta. Abbassò lo sguardo e Dean giurò di averlo visto arrossire. «N-Non
me lo ricordo,» affermò.
«Come
fai a non
ricordarti quando sei nato?»
gli chiese sorpreso.
Castiel
alzò lo sguardo e specchiò l’azzurro delle sue iridi con il verde
smeraldo di
quelle dell’altro. «Ho più di duemila anni,
Dean.»
Già,
alle volte si dimenticava quanto fossero longevi gli angeli.
Dean
però non si diede per vinto. «Allora
raggiungiamo un compromesso. Facciamo che oggi è anche il tuo
compleanno,» esordì convinto,
stupendo l’altro. «Almeno me lo ricorderò
io per te.»
«Uhm,»
sospirò. «Penso che possa andare
bene.»
Il
cacciatore gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla. «Allora
buon compleanno,
Cass.»
L’altro
gli restituì un timido sorriso. «Buon compleanno, Dean.»
«Ho
un regalo per te,» disse il cacciatore,
dirigendosi verso l’Impala e scostando il telo per aprire il
portabagagli.
Castiel
lo guardava incuriosito, mentre Dean pensò che non aveva molto tempo
prima che
i Leviatani si accorgessero della sua assenza. Tirò fuori un fagotto da
una
borsa, poi lo porse a Cass che lo fissò accigliato.
«È
il tuo trench,» sorrise. «L’ho
recuperato dal lago
quando sei sparito.»
L’angelo
strinse le dita attorno alla stoffa beige, ma non disse nulla. «Io non
ho nessun regalo,» smozzicò mortificato.
Dean
realizzò in quel momento quanto l’assenza di Cass pesasse nella sua
vita. Per
lui era più di una persona di cui occuparsi, molto più di un membro
della sua
nuova famiglia allargata. Certo, a Sam voleva bene, ma Castiel era
qualcosa che
ancora non riusciva a spiegarsi.
Quando
gli prese il viso tra pollice e indice non pensò a niente. Posò le sue
labbra
su quelle screpolate dell’altro e si prese il suo regalo. Castiel
sbatté più
volte le palpebre confuso, rivelando sorpresa dietro quegli occhi di un
azzurro
intenso. Era di quel colore che Dean si immaginava il Paradiso.
L’angelo
abbassò lo sguardo. «Ora devo andare,»
soffiò imbarazzato e
gli porse di nuovo il fagotto contenente il trench.
«Questo
è tuo, Cass,» gli spiegò calmo.
Castiel
alzò lo sguardo verso il suo e abbozzò un sorriso. «Me lo
darai quando
verrai a recuperarmi. Perché lo farai, vero?»
Dean
sorrise di sbieco. «Puoi scommetterci ogni
piuma delle tue alucce, Cass. Fosse l’ultima cosa che faccio prima di
crepare,
verrò a salvare il tuo culo angelico.»
Castiel
s’illuminò come mai Dean lo aveva visto fare prima d’ora. Lasciò andare
la
presa sul trench e arretrò di qualche passo.
«Addio,
Dean,» gli disse.
«È
un arrivederci, Cass,» lo
corresse, poi sparì
con la stessa velocità con cui era apparso e Dean giurò a sé stesso che
non
avrebbe aspettato un altro compleanno per riaverlo.
***
Allur *aspetta il lancio delle pietre*
Questa è la mia prima storia nel fandom e la mia prima Destiel in
assoluto (anche perché shipperei solo loro, fino alla fine dei miei
giorni), quindi siate clementi per eventuali errori di IC e non T__T
Perché 'Happy Birthday?'... beh, per chi non lo sapesse *si sente nerd*
oggi è il compleanno del nostro Dean (TANTI AUGURI!!!) nato esatammente
il 24 gennaio di 33 anni fa *--*
Ahimé, Dean sei come il vino... più invecchi e più diventi b(U)ono!
Spero che questa OS possa strapparvi un sorriso, anche perché è
fluffosa senza ritegno, ma non me ne importa perché in fondo Cass non è
altro che il miglior dono che Dean possa avere -solo che lui ancora non
lo sa, no, no! u.u
Rigrazio chiunque di voi leggerà!
Baci, Marty
P.s. il blend/banner è stato fatto da >>Crudelia
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