Nuova pagina 1
AUTORE: SHUN DI ANDROMEDA/KungFuCharlie
FANDOM: Combination (Hashiba/Sasaki)
TRACCIA: 5 - Protezione: Uno dei due si mette in serio pericolo per l’altro e
questo poi si prodiga per salvarlo e/o aiutarlo.
GENERE: Drammatico, Avventura, Azione
RATING: Giallo
AVVERTIMENTI: ShonenAi, Yaoi
§§§
GUARDARSI LE SPALLE
Do they
uphold the law in the cause of justice?
Maybe such a
question will only make them laugh.
Even without
the legal patronage... They do know the way.
To shield
their dearest and carry out their own will.
Dal
frontespizio di Combination
§§§
Mentre Sasaki scendeva
dall'auto con espressione truce, non poteva fare a meno di pensare, e di
riflesso arrabbiarsi, per la testaccia dura che, una volta di più, Hashiba aveva
dimostrato di avere.
Con un sospiro, afferrò il
telefono cellulare poggiato sul cruscotto, sbirciandone lo schermo nel caso vi
fossero messaggi o chiamate.
Effettivamente, la busta
chiusa che lampeggiava in alto segnava che v'era una mail in attesa di essere
letta.
La aprì mentre chiamava
distrattamente l'ascensore che lo avrebbe portato all'appartamento che aveva
diviso con Tsuzuku per parecchio tempo, prima di trasferirsi.
Dai, non tenermi il muso!
Giuro che è l'ultima volta che lo faccio!
Keiji sospirò, richiudendo
lo sportello del dispositivo per poi farlo scivolare in tasca: non, non
l'avrebbe perdonato con così tanta facilità quella volta. Diamine, era stato lui
il più entusiasta alla notizia del ritorno di Toshiro e Owari a Tokyo, e così di
punto in bianco aveva dato buca a quella semplice serata che avrebbero dovuto
trascorrere tutti assieme.
Ma non era solo quello a
farlo arrabbiare più di un serpente a sonagli.
Più che altro, era il
fatto che sarebbe toccato a lui spiegare il perché della sua mancanza a farlo
infuriare.
Sperava solo che Toshiro
capisse, visto che sicuramente sarebbe stato lui quello a starci più male per
l'improvvisa assenza di Shigemitsu.
Non che a lui non
importasse beninteso, un motivo c'era se, di punto in bianco, una volta conclusa
tutta la trafila di disavventure legate al caso Sawada, lui aveva lasciato
l'appartamento che divideva con Tsuzuku e si era trasferito in quello che il
moro aveva affittato da pochissimo, più grande e spazioso.
Dopotutto, era stato
proprio Hashiba a mollargli la chiave nel cassetto della scrivania.
Però non poteva farci
nulla, e sicuramente non si sarebbe messo a fare scenate di gelosia per una cosa
del genere: semplicemente, si sarebbe vendicato in qualche modo più avanti, era
un tipo paziente, e l'occasione giusta non avrebbe tardato a presentarsi.
Con i nervi leggermente
più distesi, uscì dall'ascensore, ritrovandosi sul pianerottolo familiarmente
illuminato dalla luce intesa che proveniva da dentro l'appartamento: sulla
soglia, ad aspettarlo, c'era Tsuzuku, che gli sorrideva affettuosamente, con un
pizzico di comprensione negli occhi chiari; lo fece entrare nell'ingresso di
casa, dalle altre stanze si udivano risate e anche l'impianto stereo a tutto
volume.
Che diavolo, ma andavano
ancora di moda gli NG5? Eppure ricordava che le ragazze del Dipartimento li
ascoltassero già tre o quattro anni prima... Quella Jump qualcosa lo aveva
martellato per dei mesi, non riusciva a sentire altro: alla radio, in ufficio
nei momenti di pausa... Era stata un'invasione.
Udì uno scalpiccio di
piedi, poi dalla cucina sbucò la testa di Toshiro, infarinata fino alla punta
dei capelli, ma con un sorriso immenso sul viso dai tratti leggermente paffuti,
malgrado fosse già da tanto che aveva smesso di somigliare al cucciolo sperduto
di cui Hashiba si era preso cura.
“Il vecchietto dove l'hai
lasciato?” sfotté Owari, prendendogli la giacca per portarla chissà dove: “Il
fratellone ha detto che stasera aveva da fare.” esclamò il ragazzo, sparendo in
un'altra stanza; Toshi annuì, pulendosi le mani nell'ampio grembiale e
passandosi sul viso una salvietta umida per levare gli ultimi rimasugli di
salsa, farina e chissà cos'altro.
“Sono contento di vederti,
Keiji.” disse il ventenne con tono affettuoso: “Non preoccuparti, troveremo il
modo di punire Hashiba-san.” sorrise, “Shuko-neechan arriverà presto, ha detto
che la accompagna Hajime-dono ma che non potrà restare perché anche lui stasera
ha una cena di lavoro importante.” aggiunse infine, voltandosi verso Owari, che
li aveva appena raggiunti; Sasaki sospirò, andandosi a sedere sul divano tra i
cuscini. I due più giovani sparirono in cucina mentre Tsuzuku, chino su uno
degli armadietti in legno massello laccato, sembrava stesse cercando qualcosa.
Quando infine la trovò,
Keiji si stupì di vedere una bottiglia in vetro decorato, piena per metà di un
bel liquido ambrato: “Un regalo di una vecchia amica di famiglia, Hajime non ama
gli alcolici occidentali così l'ho presa io.” sogghignò il giovane, versandone
una generosa dose nei bicchieri di cristallo disposti sul basso tavolino.
La sorsata di brandy
stravecchio che gli scivolò in gola sembrò quasi bruciargliela ma Sasaki
sembrava non reagire neppure a quello.
“Forza, dimmi tutto. Non è
da te mettere su un broncio simile per qualcosa che combina Hashiba, c'è sotto
qualcosa.”.
Con un sospiro, il bruno
poggiò il bicchiere ormai svuotato da liquore, puntando i grandi occhi scuri in
quelli chiari dell'amico di sempre: niente da fare, neppure in centomila anni
sarebbe riuscito a nascondere qualcosa a Tsuzuku Imonoyama.
§§§§
Non era ancora l'alba
quando la moto rombante di Keiji fece il suo ingresso nel parcheggio sotterraneo
del Dipartimento, posteggiandosi accanto alla macchina di Hashiba, immobile lì
dal giorno prima.
Il detective smontò dal
mezzo, osservando il veicolo dalla carrozzeria scura accanto a sé con
espressione truce: aveva davvero trascorso la notte lì in ufficio, e Keiji non
capiva il perché di quel comportamento insolito.
Doveva ammetterlo, ci
aveva sperato di rivederlo al risveglio, ma evidentemente l'altro aveva avuto
piani diversi per la nottata...
Dal portafoglio, estrasse
il badge magnetico, che passò davanti al leggi-schede: la porta scorrevole si
aprì con un leggero bip prolungato e fu solo quando, finalmente, si ritrovò con
la schiena poggiata contro la parete della cabina dell'ascensore, che si
concesse di lasciare uscire un sospiro stanco ed esasperato.
Era preoccupato.
Guardò di sfuggita l'ora,
mentre varcava le porte a vetri del dipartimento: non erano neppure le sei e lui
già si trovava in ufficio, quando normalmente, tra una cosa e l'altra, lui e
Hashiba riuscivano ad arrivare all'alba delle nove del mattino, quando già il
commissario era già lì pronto a sbraitare contro Shigemitsu e i suoi modi non
proprio ortodossi di condurre le indagini, malgrado l'evidente soddisfazione
nell'averlo di nuovo come sottoposto.
Erano cambiate tante cose
in quell'anno, da quando erano riusciti ad assicurare Sawada alla giustizia,
cose belle, alcune forse un po' amare, ma era stato un buon inizio per tutti:
Owari e Toshiro avevano deciso di trasferirsi in pianta praticamente stabile
nell'isola dell'Imonoyama più giovane mentre il “cerbiatto” aveva preso a
lavorare nel laboratorio di Tsuzuku, lo stesso dove avevano recuperato il Vaso
di Pandora...
Sembravano passati anni,
non solo pochi mesi...
L'importante, però, era
che tutto fosse tornato alla normalità, con lui e Hashiba nuovamente seduti alle
loro scrivanie, nuovamente il squadra, pronti a guardarsi le spalle nel lavoro
come nella vita quotidiana.
Anche se, in effetti, non
è che fosse cambiato granché in quel senso: a ben pensarci, anche quando erano
impegnati nella loro guerra personale contro Sawada, si erano sempre guardati e
coperti le spalle a vicenda.
Forse dal primo giorno in
cui si erano visti avevano cominciato a farlo.
Perso in tale vorticoso
flusso di pensieri, Keiji non si accorse subito della figura rannicchiata sulla
scrivania, tra i rimasugli di una cena cinese d'asporto ormai fredda, immersa in
un sonno che definire profondo era sminuirne l'effettiva intensità.
Fu solo quando una mano
gli afferrò improvvisamente un lembo della giacca mentre si avviava ad aprire le
finestre che, trattenuto un mezzo sobbalzo per la sorpresa, quasi cadde tra le
braccia di un Shigemitsu più rimbambito che mai, con un sorriso incredibilmente
ampio, malgrado la sonnolenza.
Sulle labbra socchiuse di
un Keiji ancora sconvolto, il moro poggiò un bacio lieve, che venne approfondito
mano a mano che il corpo del bruno si avvicinava a quello di Hashiba, fino a
trovarsi quasi del tutto privo di fiato e aria per l'intensità del contatto.
Quando si staccarono,
l'espressione di Hashiba oscillava tra il gioioso oltre ogni umana previsione e
il malizioso.
“Si può sapere cosa hai
fatto qui tutta la notte?” chiese Sasaki, non alzandosi però dalle sue
ginocchia: “Oh, nulla di che, solo scartoffie, scartoffie e scartoffie. Ma il
commissario mi ha obbligato a farle da solo e non ho potuto chiedere il tuo
immenso e valido aiuto. Poi mi sono addormentato...” borbottò, “Volevo tornare a
casa, giuro! Ma la cena era troppo pesante e sono crollato qui.”.
Bugia lunga un chilometro,
ma Keiji poteva anche fare finta di crederci, almeno momentaneamente.
“Vai a darti una lavata
prima che arrivi il capo.” era stato un razzo, Sasaki, ad afferrare le bacchette
ancora sporche di salsa e colpire il compagno sulle dita: “Fila, io intanto
sistemo qui.”.
“Che cagnolone crudele con
un onesto lavoratore, che non ha potuto fare una cena decente cucinata dal suo
cerbiatto preferito!” si lamentò l'occhialuto, “Che ha dovuto fare gli
straordina-” altra bacchettata sulle mani, che costrinse Hashiba in ritirata nel
bagno.
L'espressione corrucciata
di Keiji, se possibile, si acuì quando vide lo stato in cui si trovava la
scrivania del compagno: riusciva ogni volta a stupirsi ancora di più per lo
stato in cui la lasciava o la riduceva...
Con infinita pazienza, si
chinò a raccogliere fogli, appunti e perfino penne abbandonate sulla moquette
nel tentativo disperato di dare a un senso logico e un ordine a quel cumulo di
documenti sparso per ogni dove: chissà di cosa si stava occupando...
Tese l'orecchio...
Probabilmente Shigemitsu era sotto la doccia dello spogliatoio, aveva un po' di
tempo se voleva sbirciare...
Cominciò a sfogliare il
plico più vicino, accorgendosi che erano perlopiù rapporti di vecchi omicidi,
alcuni anche di cinque-sei anni, altri perfino di dieci, ma tutti ben lontani
dalla prescrizione.
Chissà cosa stava
cercando... Cosa poteva mai portargli il fare ricerche su cose del genere?
All'improvviso, una
manciata di kanji attirò la sua attenzione per la loro familiarità nei tratti e
nel significato, e una sensazione di gelo all'altezza dello stomaco gli mozzò il
respiro.
Alla fine capì, leggendo
quel cognome, così dolorosamente familiare, già visto spesso inciso su una
lapide nel cimitero vicino al dipartimento.
Date, il cognome dell'ex
partner di Shigemitsu, il fidanzato di Yoko-san...
Ucciso da uno degli
sgherri di Sawada.
Il giovane poliziotto si
sentì come svuotato: perché il passato era tornato a fare male in quella
maniera? Ma soprattutto, ricordava che il killer materiale dell'omicidio, com'è
che si chiamava... Diede una rapida sbirciata ai fogli per ritrovarlo...
Diamine, era stato rilasciato per un cavillo burocratico, libero come l'aria,
avrebbe dovuto ricordarsi quel nome finchè campava!
Ah si, Yuuta Kawashima...
Aveva sentito dire dal fratello che si era messo in affari con dei tipi
abbastanza pericolosi, appartenenti alla Triade cinese trapiantata lì a Tokyo:
roba non da poco, da qualche tempo la malavita cittadina era quasi di stampo
cinese, e ciò voleva dire traffico di droga, armi, e a tratti anche riciclaggio,
ma di prove neppure l'ombra.
La consapevolezza di ciò
che forse stava cercando di fare Shigemitsu colpì Sasaki nello stomaco più forte
di qualunque botta avesse mai preso in vita sua: per un attimo, reazione
istintiva che gli suscitava ogni pericolo che poteva anche solo lontanamente
nuocere le persone che amava, si lasciò prendere dalla rabbia, salvo poi
riuscire, pur se faticosamente, a calmarsi.
Qualunque fosse il guaio
in cui Hashiba si stava per andare a cacciare, lui avrebbe fatto il possibile
per coprirgli le spalle, per aiutarlo e all'occorrenza per andarlo a recuperare,
salvandolo anche da sé stesso se necessario: quel tacito accordo che avevano
stipulato ormai quattro anni prima, quando era corso a salvarlo nella tana del
leone, quando l'aveva riportato indietro, vivo anche se ferito nel corpo e
nell'orgoglio, lo stesso che aveva fatto scattare qualcosa di più nel loro
rapporto, non si sarebbe sciolto con tale facilità.
Rimise frettolosamente a
posto tutto, cercando il più possibile di dissimulare rabbia e preoccupazione
nel momento in cui Shigemitsu fu rientrato in ufficio, coi capelli ancora
imperlati dalle gocce d'acqua e con una camicia pulita addosso.
Quasi non lo sentì
parlare, tanto era concentrato nella ricerca di una soluzione al loro problema,
ma più ci pensava più si rendeva conto che, effettivamente, non aveva molte
alternative: odiava ammetterlo, e odiava soprattutto coinvolgerlo in situazioni
che potevano rappresentare un eventuale pericolo, ma l'unica strada che poteva
intraprendere era quella di rivolgersi a Tsuzuku e alle sue incredibili fonti.
§§§
Ti ho detto che non ho
molto tempo per parlare, dobbiamo vederci oggi pomeriggio. Mi serve un favore.
La voce di Keiji gli era
sembrata a metà tra lo sconvolto e il seccato, decisamente più sull'orlo del
seccato, quando l'aveva chiamato quella mattina, e la cosa lo aveva sorpreso:
cioè, non che non si sentissero spesso, anzi, praticamente ogni giorno, senza
contare le volte in cui si vedevano, come era successo per la sera prima, però
era la prima volta, in tanti anni che si conoscevano, che il poliziotto si
rivolgeva a Tsuzuku per un favore. Da quel che ricordava, fin da quando si erano
incontrati, da bambini, sotto quel ciliegio in fiore nel cortile della scuola,
quando Sasaki gli aveva offerto un fazzoletto per asciugare le lacrime, era
sempre stato il bruno a prendersi effettivamente cura di lui: aveva l'occasione
di ricambiare almeno in parte le sue gentilezze.
Così, quando sentì la
porta di casa aprirsi, attese pazientemente che il bruno lo raggiungesse nel suo
studio: aveva detto a Shuko, Toshi e Owari di andare a fare un giro
“perlustrativo” per Tokyo perchè qualcosa gli diceva che dietro al malumore di
Sasaki ci fosse quella testa di marmo di Hashiba e se almeno fossero riusciti a
bloccarlo, pur se per poco, sarebbe stato già tanto.
Dopotutto, Shigemitsu
Hashiba era famoso per la sua spericolatezza, come Toshi sapeva bene.
Sulla soglia della stanza,
con l'ombra proiettata sul pavimento, allungata per la luce ormai morente del
Sole, stava Keiji, ritto come un fuso e immobile come una statua di sale, con
gli occhi sgranati e l'espressione un poco sperduta: fu forse quello a
sconvolgere di più Tsuzuku, e dire che, di carattere, gli Imonoyama non erano
impressionabili proprio per nulla: fece cenno all'amico di sedersi, sbirciando
il plico di fogli che teneva tra le mani, ma senza forzarlo a parlare.
Sarebbe stato lui a dirgli
tutto, una volta pronto.
Semplicemente, il bruno
glielo passò, senza neppure prendere in considerazione la poltroncina giusto
accanto all'amico di sempre ma restando in piedi, poggiato contro il muro: “Mi
servono informazioni su quest'uomo... Hashiba si è messo nei guai un'altra
volta.”.
Era più che sufficiente
come spiegazione.
Ma certo Tsuzuku non potè
mai intuire cosa, quei fogli, gli avrebbero portato.
Perché il primo nome che
lesse, il soggetto di quell’insolita ricerca, gli raggelò il sangue nelle vene,
mentre istintivamente la sua mente tornava a quei giorni lontanissimi, quando
suo padre non era tornato a casa come aveva promesso al mattino, ucciso dalle
pallottole di quel killer spietato che Sawada aveva pagato profumatamente per
far fuori il capofamiglia degli Imonoyama.
Strinse i pugni, così
forte da farsi sanguinare i palmi mentre, accanto a sé, lo sapeva, Keiji si
stava preoccupando e non poco.
Buttò tutto per terra in
un gesto di stizza e rabbia, poi afferrò la cornetta del telefono, digitando un
numero a velocità supersonica.
Anche gli altri suoi
fratelli dovevano sapere cosa stava accadendo.
§§§
Mentre Hashiba entrava
nell'elegante club di Kabukicho che era il suo obiettivo, sperò in cuor suo che
Sasaki e Owari fossero riusciti a trovare il povero Toshi-chan prima che questi
si prendesse una pomonite coi controfiocchi.
Povero cerbiatto, era
stato crudele con lui, quando il ragazzino era solo corso a cercarlo nel
tentativo di dissuaderlo dal commettere pazzie: probabilmente, Date-senpai non
l'avrebbe mai approvato un comportamento del genere, come colpire un ragazzino
come lui allo stomaco per gettarlo nell'incoscienza, ma era l'unica cosa che
poteva effettivamente fare.
Non poteva permettersi di
venir fermato, non in quel frangente, non in quella situazione.
Troppe persone reclamavano
vendetta per il sangue che era stato versato dalla pistola di quel killer tanto
efferato che, purtroppo, girava a piede libero mentre di coloro che erano stati
uccisi era rimasto unicamente il ricordo nei cuori dei parenti e degli amici.
Forse non era granché come
angelo vendicatore, con la sua mano poco funzionale e la sua espressione da
perenne pagliaccio, ma sentiva che era suo il dovere, finalmente, di assicurarlo
alla giustizia. Sia per sé, per Yoko che per Tsuzuku e i suoi fratelli.
Perché, ne era conscio,
mentre estraeva la pistola per fare irruzione nella grande sala piena di gente,
anche loro avevano sofferto tanto per colpa di quel bastardo, che aveva portato
via loro il padre, esattamente come lui aveva perso un fratello quando
Date-senpai gli aveva fatto scudo col proprio corpo.
Forse sarebbe anche morto,
quel giorno, un ragazzo di strada, sbandato e sempre in fuga da tutto e da
tutti, se non fosse incappato in lui, e ora, voleva almeno ripagare in parte
quel debito.
L'inferno che scoppiò
nella sala fu un lampo.
Lui, semplice poliziotto,
contro un importante esponente della Triade cinese.
Buffo il mondo.
Non poteva neppure sparare
come voleva perché c'erano ancora persone che stavano fuggendo, ma era fiducioso
del fatto che il suo avversario fosse lì da solo.
La sua piccola amica dalle
mille informazioni si era rivelata un'altra volta utile, raccontandogli quando
poteva trovare il suo nemico senza difese, permettendogli di organizzare
l'arresto con tutta calma.
Gemette, quando una
pallottola gli sfiorò la spalla, strappandogli lo smoking che aveva indosso:
“Peccato che oggi non ci sia il mio cagnolone...” bofonchiò Hashiba
scherzosamente, con la schiena contro il tavolo che gli faceva da rifugio mentre
cambiava velocemente il caricatore, “Sono un disastro senza di lui,
decisamente.” osservò.
Fu un attimo.
Alzata di scatto la testa,
per un momento, pensò che fosse un miraggio, che Sasaki non poteva essere lì,
che non sapeva nulla, un accidente di nulla do dove fosse andato a cacciarsi,
che non l'aveva avvertito apposta per non vederselo morire davanti agli occhi,
che non voleva perdere anche lui come aveva perso Date-senpai.
Fu un attimo l'alzarsi di
scatto in piedi, nell'esatto istante in cui aveva visto la canna della pistola
brillare minacciosa verso Keiji, e pararsi di fronte a lui.
Il colpo partì e non
penetrò mai le carni del bruno, andandosi invece a conficcare nella spalla di
Shigemitsu, che si sentì svenire tra le braccia amorevoli di Sasaki, il quale
non si limitò unicamente a sorreggerlo, ma anche a sparare alcuni colpi in
direzione del killer, disarmandolo e ferendolo alle gambe: non poteva più
scappare e neppure reagire.
“Sei un bastardo...” la
voce di Keiji era pericolosamente incrinata, ma era l'unica cosa che il moro
riusciva effettivamente a sentire malgrado il casino che gli uomini di Owari,
che li avevano raggiunti a razzo per prendere in consegna il cattivone della
serata, stavano facendo, col minore dei fratelli Imonoyama in testa.
“Cosa avevi intenzione di
fare, eh?!” lo rimproverò, gridandogli quasi nelle orecchie mentre cercava di
tamponare il sangue della ferita: “Avevi intenzione di lasciarci la pelle questa
volta?! È mai possibile che-”.
Ahia, l'aveva fatto
arrabbiare...
Ma Hashiba aveva in serbo
un asso nella manica, una frase ad effetto che non avrebbe mai pensato
effettivamente di dire ma che si prestava bene a quella situazione surreale.
Gli afferrò le mani, pur
se con qualche difficoltà, e lo guardò fermamente negli occhi chiari: “Speravo
che saresti venuto a coprirmi le spalle, come sempre.” ammise con un sogghigno,
“E comunque, questa la dovevo al tuo padroncino. Dopotutto, non sono mai
riuscito a sdebitarmi per avermi salvato la pellaccia.”.
|