-Se dovessi partire per l’America, chessò, domani… non
sentiresti la mancanza di niente?
Kaede fissa gli occhi davanti a sé.
Certo, che sentirebbe la mancanza. La mancanza di tutto un
mondo.
Del sole, che su quel campetto batte in maniera strana, più
dolce e tenera quasi, come se ridesse. Come se quelle partite agguerrite lo
divertissero, in qualche modo.
Dei ciliegi. Di quei petali rosa che gli volano tra le dita
e che non riesce a fermare, proprio come il vento, proprio come la felicità.
Quella felicità bastarda che a volte è così vicina, e subito fugge via,
spaventata dai suoi occhi nudi, forse.
Sentirebbe la mancanza dello Shohoku, certo, del terrazzo
che tante volte ha cullato il suo sonno. La mancanza del terrazzo che ha
assistito alla sua prima rissa con quella testa rossa, la loro prima
incomprensione… il loro primo incontro. Sentirebbe la mancanza del cielo che
guardava appoggiato alla ringhiera, sentirebbe la mancanza di quell’angolazione
speciale che ti permetteva di capire, a volte, come davvero funziona la vita.
Gli mancherebbe la palestra. Quei pavimenti su cui il suo
pallone ha rimbalzato, quei pavimenti su cui si è rotolato, su cui è caduto,
quei pavimenti che ha lucidato. E i canestri, cui è rimasto appeso il tempo
necessario a una schiacciata, a uno slam dunk leggendario… i canestri che mille
volte ha carezzato con gli occhi, con il pallone.
E gli mancherebbero i suoi compagni, gli mancherebbero i
rimbrotti di Akagi, e i suoi pugni, gli mancherebbero le sventagliate di Ayako,
le sue incitazioni, i suoi occhi, gli mancherebbero la voce adorante di Miyagi
e gli mancherebbe la calma di Kogure… gli mancherebbe lo sguardo pericoloso di
Mitsui, gli mancherebbero quelli tra loro che già adesso non ci sono più. Ma
soprattutto, gli mancherebbe quel demente di Hana, la loro amicizia da poco
scoperta, la loro amicizia strana, fatta più di pugni sul muso e insulti che
confidenze e parole dolci. Pure, Hana è l’unico, insieme forse a un porcospino
pazzo, a conoscere il vero Kaede. E di certo, è il solo a sapere cosa nasconde
in quel cuore di vetro scuro.
Ma tutto questo Kaede non può dirlo. Così si rifugia nel
luogo che più gli è consono: il silenzio. A volte gli va stretto, questo suo
mutismo. Questa solitudine che si ritaglia intorno, che obbliga gli altri a
rispettare. A volte gli va stretto, ma non riesce a liberarsene.
Buffo però: lui così silenzioso, si circonda di uragani.
Sakuragi il do’hao, e ‘st’altro demente.
-Non ti mancherei neanche io?
Akira ha messo il broncio, ma il sorriso eterno smania di tornare.
E dopo un attimo il porcospino cede, ed ecco di nuovo il ragazzo solare di
sempre.
Dio come è bello.
Dio come è scemo.
Dio come….
Certo che gli mancheresti, Aki. Kaede non riesce neanche a
immaginare cosa sarebbe la sua vita, se tu improvvisamente ne venissi
estirpato. E gli si stringe il cuore all’idea di averti lontano, all’idea di
perdere anche quel poco che da te pretende: un po’ di fiato nella corsa,
qualche risata tra i palleggi. Una scintilla del tuo buonumore, per illuminare
la sua anima irrequieta.
Però, se aspetti che dia voce a questi pensieri…
-Sei senza cuore.
Afferma il ragazzo, sorridendo. Poi si sporge e gli pizzica
il naso –Invece tu mi mancheresti da impazzire… mi mancherebbe il tuo adorabile
broncio, e questo visetto così grazioso, mi mancherebbero i tuoi sbuffi, mi
mancherebbero le tue chiacchiere, e la tua presenza così soverchiante, mi
mancherebbero i tuoi baci, e le nostre notti di passione…
-Ma smettila- lo interrompe Kaede, con brusco terrore, a
malapena celato, spintonandolo lontano. Ride, Akira, e si sdraia sul prato di
schiena –Ecco, questo mi mancherebbe. La sensazione incredibile che mi da
sapere di essere riuscito, anche se per poco, a scalfire la tua gelida
maschera…
Kaede sbuffa. Aki non lo immagina neanche, quanto sia capace
di coinvolgerlo, con quel chiacchiericcio disinvolto. Non immagina neppure,
come ogni sua stronzata gli si incida nella mente, e come lui la riascolti
mille volte, chiuso nel suo pozzo di silenzio.
-A parte gli scherzi, a volte mi viene male a pensare che
tra qualche mese, dopo un pomeriggio come questo, dovrò sorriderti e batterti
la mano, sapendo che non è un ‘ciao’ il saluto che intendo… ma un addio. Sapere
che non ci saranno più i nostri pomeriggi al campetto, a sudare sotto il sole
per sfidarci all’ultimo canestro… sapere che sarò a Tokyo…
Kaede non parla. Sarebbe inutile, pensa. E invece, non
sarebbe inutile per niente. Alleggerirebbe il cuore di Aki, sapere che anche
lui tiene così tanto ai loro incontri. Sapere che ci tiene per lui, e non per
il basket, maledetto e benedetto basket, tante volte amato, altrettante odiato…
-Ma poi forse a Tokyo non ci vado. Forse resto qua. Tu che
dici?
-Hn?!?- Kaede si volta di scatto, osserva il compagno
sdraiato all’ombra. Non sorride Akira, e fa strano vedere quel volto candido
con un’espressione seriosa.
-Fammi capire. Stai scherzando?
-No.
No. Una parola. Una sillaba. Che fa incazzare Kaede,
pugnalandolo al petto.
-Cioè, tu rinunceresti a Tokyo, all’università, al basket
nazionale… per questo. Per un cazzo di one on one con me?
-No. Non per un one on one…- mormora Akira, guardandolo in
faccia. Eppure sembra guardare oltre lui, perché gli occhi sono distanti. Si
riprende, arrossisce leggermente, distoglie lo sguardo. –Non per un one on one
con te… per tutto quel che Kanagawa rappresenta. Per…. Che ne so… le litigate
con Koshino, no? Oppure le chiacchierate con Fukuda. Le grida di Taoka, quelle
di Ouzumi… i negozi in centro… i mille campetti dove ho perso le ore… e il
molo, che ormai conosce a memoria i miei pensieri, tante sono le volte che mi
ci sono sdraiato sopra, pescando, e guardando il sole. E te… cioè, i nostri
incontri. Cazzo Kae, ci siamo cresciuti qua dentro, noi due. Dopo quella prima
amichevole… io sono cambiato. E anche tu, miseria, e sei cambiato con me.
Come può non essere importante?
Come puoi non essere importante tu? Vorrebbe urlargli in
faccia Akira, ma Kaede è troppo distante, e troppo perfetto, gli fa paura
l’idea di infrangere quella quiete.
Però sarebbe bello dirglielo, pensa distratto, mentre spia
le ciglia socchiudersi, sui suoi pensieri. Anche solo prima di partire. Tanto,
perso per perso…
A quel punto, riflette con una punta di ironia, tanto
varrebbe baciarlo. Sprecare tempo e fiato in parole… parole inutili, che Rukawa
non sentirà neanche… che senso avrebbe? Meglio rubarglielo, quel bacio
agognato, meglio strapparglielo a forza, un ricordo luminoso da stringere in
pugno nelle notti insonni, da accarezzare con la memoria, da ripercorrere nei
sogni. Un bacio… carezza di labbra su labbra, e magari il sapore bagnato della
sua bocca… spinto contro il muro, le dita infilata in quei capelli neri che
tanto lo fanno impazzire… almeno una volta, una volta soltanto. Nella vita.
-Cazzo ridi?
Non risponde, Akira. Ed è così sfacciatamente bello che a
Kaede viene in mente la voce di Hana, mentre diceva ghignando Ma te la immagini
la faccia del porcospino se gli saltassi addosso? Kami Kitsune, quando lo farai
non me la voglio perdere, davvero… E gli scappa un –Do’hao-, a Kaede, che fa
sorridere ancora di più Akira.
E Kaede guarda quel sorriso, e pensa che Sendoh riesce
sempre a scalfirlo, quel suo muro di ghiaccio. Come Sakuragi.
Solo che il do’hao lo fa a suon di pugni. Akira invece lo
acceca di calore.
Il pallone gli atterra in mano. Si volta verso il compagno,
che sogghigna –Pensavi di scamparla così, campione?
Inizia a palleggiare, la tristezza lieve improvvisamente
evaporata.
Scatta di lato, e Akira lo segue, come sempre ridendo.
Segna. Si volta verso l’avversario, che sta fermo sotto il
sole, immobile.
-Canestro.- dice, con voce gelida, voce di partita.
Ma il sorriso di Akira è caldo. E Kaede lo sa, lo sa mentre
comincia a marcarlo, lo sa che quel calore passerà anche a lui, prima o poi. E
allora, allora non ci sarà più ragione di dire addio, allora non ci sarà più
nostalgia, né ricordi da collezionare. Perché tutto, tutto resterà in quel
campo, in quella partita. Così come ci resteranno loro, sotto quell’ultimo sole
d’estate, in un pomeriggio che tarda a finire.
Oddio, temo sia molto sconclusionata. Anche perché l’ho
scritta in tre tempi diversi, come minimo… è un’idea che mi è venuta
improvvisa, qualche settimana fa. Ma l’ho finita solo oggi. Ragazze, in questo
periodo non mi viene da scrivere niente… che palle! Ho tre miliardi di storie
in cantiere e non riesco a concluderne una…
Comunque, scusatemi se è strana e un po’ incomprensibile. Ma
avevo bisogno di buttarla fuori, questa incertezza che ti viene con la
crescita, con la consapevolezza che prima o poi bisogna andarsene, che tutto
deve cambiare. E Aki e Kae mi sembravano adatti a recitare in questo teatrino…
a presto, spero. Kisses