Il Lucore delle Favole
Disclaimer: Celia, Prospero l'Incantatore e tutti gli altri personaggi appartengono a Erin Morgenstern, al suo editore ed a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. Nessun copyright si ritiene leso L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell’autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto
Il lucore delle favole
Vi è l'assurda convinzione che
i sogni siano qualcosa di gradevole, prezioso, quasi il dolce riflesso
di un desiderio celato.
Vi è l'ottusa credenza che
essi siano personali, privati, il lento movimento con cui culli una
speranza di bruma e nebbia.
Io credo che sia invece la
realtà ad essere una frazione scomposta e dilatata del sogno,
una dimensione che altro non è che un pugno di colori di cui non
puoi mai apprenderne le infinite sfumature.
In equilibrio sul filo che collega le
due piattaforme, osservo la tenda del circo e le sue tinte cupe, cui
solo il buio della notte sembra restituire vivacità.
Il trapezio dondola lentamente e si
intreccia con un'aria satura di sudore e trepidante silenzio, cuoio e
l'inteso profumo dei gigli che la nostra acrobata è solita
lasciare sulla propria base.
"Portano fortuna." è solita
replicare ammiccando e scrollando le spalle sottili "Non è un
mio problema se a voi non piacciono."
Sorrido pigramente, allargando le braccia e lasciandomi andare, arrestando la brusca caduta con uno schiocco di dita.
Quando i miei piedi toccano la sabbia della rena mi accorgo dello sguardo estasiato di Prospero.
Vi è una strana luce sul fondo dei suoi occhi, quasi un selvaggio compiacimento.
Abbasso le palpebre, stornando lo sguardo e digrignando i denti.
"Sei così migliorata..." mi
sussurra al fianco "esecuzione perfetta, talmente pulita da ricordami
contro chi e contro cosa stiamo gareggiando..."
"Lo so. " articolo apatica "La mia memoria funziona meglio della tua, Hector."
Al suo nome di battesimo alza
interdetto un sopracciglio, nascondendo l'irritazione dietro una
maschera elegante e sottilmente irrisoria.
"Doveva proprio chiamarti Miranda, quella sciocca. Ti avrebbe rispecchiato così come fanno le mie stanche pupille."
Ma in quell'iride bruna io sono in
grado di vedere soltanto lo spettro di una bambina sola e disperata,
toni da combattente per dissimulare lo status di vittima.
"Il circo sta per aprire, dovresti preparati."
"Sono pronta." una bugia e persino raccontata male.
Prospero compie un mezzo giro su se stesso, osservandomi in tralice.
Rifiuto il suo sguardo, le sue parole, le sue attenzioni.
Rifiuto un padre che non c'è
mai stato, un dolore liquido, una rabbia che si mostra nei contorni
cremisi delle mie attrazioni.
Rifiuto un affetto che pare fiele e
gronda solo veleno, la folle perdita di una dimensione accettabile e la
terribile ansia della competizione.
"Non è vero. Odio quando mi menti, Celia. Non sei mai stata veramente pronta."
Scopro l'eburneo dei denti in un ringhio malcelato, affondando una mano nella rete di protezione e graffiandone una maglia.
"Ma d'altronde..."continua
imperterrito" cosa posso aspettarmi da una ragazzina che porta in
sè i crismi del fallimento. Celia. Cielo, paradiso. Un nome, un
destino, si sarebbe detto una volta. E guarda caso, il mio di destino
ha deciso di mettermi in mezzo alla strada un fagotto di stracci e
capelli ricci. Ma non è in cielo che si vincono le battaglie,
bambina."
"Non ti ho mai voluto, Hector."
"Neppure io. Ciò non toglie che tu sia mia figlia, Celia."
"Sono uno strumento!" latro quasi un
lupo affamato "Sono la tua lama, sono il riscatto di una
gioventù spezzata! Tu non sei un padre ed io non sono una
figlia!"
Un guizzo di furia gli attraversa la pelle, concentrandosi nella ruga che gli solca la fronte.
"Non tutti possiamo scegliere cosa
essere, ragazzina. Alcune catene nascono e muoiono con noi. Altre ce le
costruiamo durante l'arco di una vita. Altre ancora hanno anelli troppo
deboli per essere definite catene. Sii felice d'essere un'arma e non un
pedone, Celia. Quelli muoiono per primi."
"E tu ne sai qualcosa, vero padre?" è quasi uno sputo quello che mi esce dalle labbra contratte, un fiotto di bile e tristezza.
Stira le labbra sottili in una piega amara, voltandosi e gettandosi il mantello di velluto nero sulle spalle.
"Il circo sta per spalancare le sue porte, bambina." replica parco "E tu sei il numero di apertura."
"I primi crepano sempre, Hector. Me
l'hai insegnato tu. Mostrano il petto ed il profilo migliore al nemico,
offrendosi alla gente come eroi, ma è solo la terra della tomba
ad aspettarli. Come per mia madre."
È quasi un singhiozzo quello che si
frantuma nell'aria densa di aspettative e pregna dei gridolini
estasiati dei bambini venuti per vedere i giocolieri, i cavalli e
mangiare il caramello promesso dai genitori.
È quasi il grido agonico di un animale morente.
Prospero non si gira nemmeno,
limitandosi a scomparire oltre i pesanti tendaggi, le sue impronte
effimere ombre sulla sabbia umida.
Una sola lacrima, impietosa, tracima oltre la barriera delle ciglia.
L'asciugo con foga, rialzando il viso e fissando i cancelli ancora chiusi del circo.
Aveva ragione.
Era tempo che il crepuscolo rilasciasse i sogni che l'alba aveva intrappolato tra le sue braccia luminose.
E che la notte li rendesse carne e sangue.
Di tutti i sentimenti, la rabbia è quello più nutriente e nutrito.
Si accovaccia al centro del tuo petto, diventando un rogo annichilente, in grado di scaldarti e distruggerti.
Graffia le tue ossa, incidendovi l'osceno marchio di una bestia che trova luogo solo nella tua mente.
È l'odore di un risentimento antico, di un amore corrisposto e per questo così divorante.
Avevo dipinto il mio volto nell'oro
dell'illusione, sottolineando gli zigomi con la scintillante mimica
dell'attore consumato e dispensando una magia che pareva fatta di vetro
e miele.
Muovevo le mie dita sottili quasi le
zampe di un ragno, un nugolo di lucciole diventare la sagoma di un
gattino ed infine il ruggito roboante del leone.
I bambini avevano riso divertiti a
quello sfoggio di abilità e gli adulti ne avevano osservato il
tessuto senza veramente carpirne l'essenza.
Presto, il circo avrebbe nuovamente chiuso i battenti, aspettando il tramonto.
Presto, sarei tornata in quelle ombre
che mi facevano da cuscino, ricordando una lettera appuntata sul
secondo bottone di un cappotto troppo piccolo ed un paio di stivaletti
graffiati.
Ma non avrei mai rinnegato un nome a
cui mi aggrappavo con tutte le forze, genesi di un'identità
cercata e voluta per anni.
Genesi di un ricordo che conservavo con la gelosia degli infanti.
È strano notare come l'intreccio del
sogno prenda forma solo nelle tenebre più buie, quasi la luce
potesse così risaltarne e delinearne il crudo profilo.
Strano che il circo fosse solo una
metafora crudele del coacervo di forme e colori che sorprende ognuno di
noi durante la notte.
Mantiene uno status quo in cui non
importa se si è spettatori o teatranti: gli appartieni comunque
e sotto il suo baluginio ambrato non sei più uomo o donna,
vecchio o giovane, assassino o vittima.
Sei solo lo specchio di una realtà deformata.
Sei solo l'involucro di una ragione di cui ti sei spogliato al di fuori dei suoi cancelli.
"La realtà non può uccidere Celia, ma il sogno sì. Se muori in esso, allora muori per sempre."
E mi chiesi se la verità potesse avere un sapore ancora più amaro.
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