la solitudine si combatte donando

di iride89
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la solitudine si combatte donando

Caro Diario,

è molto strano quando, ogni tanto, nelle tue più abituali giornate ti blocchi
e un piccolo frangente di tempo ti fa ripensare al passato. Come una piccola
sfera blu ti faccia ricordare quanto amavi creare leggere bolle di sapone,
semplicemente soffiando, e quelle creazioni vivevano il tempo di un sospiro
animate
dal tuo respiro.

Ed è proprio ciò che è successo stamattina andando a lezione.

Io mi stavo affrettando a raggiungere le serre maledicendomi peressermi
dimenticata del volume di erbologia sul tavolo della colazione.

Avevo appena messo piede fuori dal castello quando un alito di vento dicembrino
mi fece pentire di essermi allontanata dal piacevole tepore della Sala Grande.
Mi ero ormai rassegnata a proseguire la mia camminata nella candida
neve fastidiosa che si dilettava nell’infilarsi nelle mie scarpe.
Sentii un rumore e mi fermai voltando il mio sguardo alla mia destra.

Ed è in quell’istante che il tempo si fermò riportandomi all’età di sei anni:
un bambino della mia stessa età per le strade della Londra babbana
osservava con aria annoiata le nuvolette del respiro condensato che gli
uscivano da tenere labbra arrossate dal freddo. Un freddo bianco come
la sua carnagione.

Una purezza accecante

I suoi occhi grigi annoiati sembravano quasi nascondere un certo timore,
come se si fosse trovato in un luogo mai visto prima, ma che con un muto
coraggio, o con semplice orgoglio, riusciva a dipingersi in volto quella
spudorata manifestazione di superiorità.

Io stringevo la mano di mia madre e lui era solo.

Mi dispiaceva, era quasi Natale e lui era solo, così,
mentre mia madre era stata distratta da una vetrina luccicante io
sfilai la mia manina foderata da un pesante guanto di lana e
raggiunsi quel bambino.

Accorgendosi della mia presenza i suoi lineamenti si indurirono
impercettibilmente, chiuse la boccuccia respirando con il naso.
I suoi occhi taglienti e le nuvolette di vapore che gli uscivano
dalle piccole narici lo facevano sembrare il drago che tante volte
aveva animato le mie fabie. Gli sorrisi e tendendogli una mano
la schiusi rivelando al suo interno una caramella.
Vedendolo ritrarsi ci rimasi un po’ male, ma non dandomi
per vinta presi una delle sue mani e gliela depositai
sul palmo guantato da un sottile, ma non per questo meno protettivo,
guanto di pelle.

Subito una donna bellissima si avvicinò al bambino lo prese
per mano e lo trascinò allontanandolo da me, mentre lo rimproverava
di stare lontano dai babbani.

A quel tempo non sapevo cosa volesse dire e di questo avvenimento
mi dimenticai facendo passare così circa dieci anni.
Fino a questa mattina.

Un giovane ragazzo delicatamente poggiato al tronco di una
betulla ormai sfiorita, ma appesantita dalla neve.
Le sue labbra decise schiuse a ricevere ossigeno ed espellere
nuvolette che si disperdevano nel cielo plumbeo.
I suoi occhi fissi manifestavano stanchezza e solitudine.

Non so bene cosa mi spinse a farlo, probabilmente solo quel ricordo.
Per forza, nient’altro può avermi indotta a far levitare di fronte a lui
una rossa caramella.

Lo vidi irrigidirsi e guardarsi intorno per cercare di capire…mi vide
e chiuse le labbra assomigliando in modo impressionante a
quel lontano bambino,perso nei ricordi.

Gli rivolsi un distaccato cenno del capo e mi volsi a proseguire
la mia solitaria camminata verso la serra.

Non so cosa ne fece di quel dolcetto. Forse lo mangiò,
molto probabilmente lo gettò lontano…come non so cosa
ne abbia fatto quel bambino…

So solo che cercai di combattere la loro solitudine
opprimente nel modo più semplice che conosco: donando…

Per stasera ti devo lasciare, mio caro diario,
la Sprite mi ha dato tre domande in più per compito
per essere arrivata tardi a lezione…

 

…tua Hermione.





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