Ancora
221b di Baker Street
Erano passati tre anni, tre
lunghi, interminabili
anni. Aveva da poco sepolto la moglie, ma l'amore -affetto-
per lei era morto tre anni prima, come era morto lui, John
Hamish Watson, avendo visto sotto i suoi occhi scomparire il suo
eccentrico,
improbabile, geniale compagno e artefice di avventure, che Watson
stesso
avrebbe definito meglio come amico, se non amante, Sherlock Holmes. Ebbene
sì,
Sherlock Holmes era l'unica persona che il Dott. Watson avesse
mai amato
veramente, di un amore carico di fiducia, di affetto e dedizione che continuava ancora a
vivere in lui.
Quella mattina,
stranamente, voglia la depressione, la
sveglia che non era suonata o Watson stesso, decise di andare al loro
vecchio
appartamento al 221b di Baker Street. Era tanto che non vi si recava
per andare
a trovare la signora Hudson e in quella viuzza di Londra si erano
aperti nuovi
negozi ed attività. Strano come andava avanti il mondo anche
senza Holmes,
pensò. Riconobbe subito l'entrata anche se la signora Hudson
aveva cambiato la
porta con sopra inciso il numero civico, probabilmente logorata dal
tempo e dal
tarlo. Suonò e l'anziana signora
-“nonnina” pensò e gli sfuggì
un sorriso- lo
accolse in casa offrendogli una tazza di the caldo e qualche biscotto.
L'ambiente
era sempre lo stesso, caldo e accogliente, con l'aggiunta di qualche
nuovo
mobile che la signora aveva voluto cambiare per rinnovare un po' quella
vecchia
casa, ed ancora pieno del solito gradevole odore. Dopo qualche
chiacchiera formale
con la padrona di casa si recò un po' ansioso agli alloggi
del suo ex amico-coinquilino.
Non era più tornato in quella camera dopo la sua morte e
confrontarsi con il
passato metteva il dottore in uno stato d'animo poco piacevole, per
questo
rimase qualche minuto immobile davanti alla porta nera sulla destra che
aveva
racchiuso le più strane cianfrusaglie e la mente
più geniale di Londra, se non
dell'Europa. Entrò con un'aria leggermente malinconica e si
sorprese nel
constatare le condizioni dell'abitacolo. Tutto era esattamente nello
stile
Holmes -certo, la signora Hudson aveva liberato l'ambiente da piante
velenose e
animali vari, frutto dei suoi ultimi esperimenti, ma la stanza sembrava
non
essere mai stata abbandonata da Sherlock- i fogli erano sparpagliati in
giro, una
boccetta d'inchiostro e la penna erano posate sul camino a mo' di
soprammobile,
le tende scure erano semichiuse e l'arco del violino assieme ad una
canottiera
intima probabilmente sporca, erano elegantemente appesi all'
appendiabiti posto
di fianco al dottore. Ma cosa ancora più sorprendente era
l'odore di tabacco
che prepotente aleggiava nell'aria come se Holmes stesse fumando la sua
pipa
proprio in quel momento.
Credette
di essere diventato matto, la sua mente e i suoi ricordi gli stavano
giocando
un brutto scherzo. Holmes non poteva essere lì, era morto e
l’aveva visto
buttarsi da quel terrazzo con i suoi stessi occhi. Zoppicando e
barcollando
andò ad accomodarsi su quella che era stata la sua poltrona
e, sedendosi, si
meravigliò di quanto si sentisse ancora indistintamente il
suo odore misto a
miele e componenti chimici. Chiuse gli occhi e si coprì il
volto con le mani
sospirando; la morte di Holmes aveva inciso tanto su di lui e a volte
si
stupiva di quanto il non averlo accanto lo facesse stare male. Il
dottore
sobbalzò sentendo delle mani calde andarsi a posare sulle
sue ed un respiro
lieve solleticargli la nuca.
Tutto
gli diceva che era Holmes, come gli confermava la sua pazzia, ma la
voce
dell’uomo posto dietro di lui lo scosse facendogli capire che
no, non era
pazzo.
- Watson, caro mio, non si
agiti. Mi dispiace non averla avvisata del mio
ritorno a Londra, ma ho dovuto vivere nell’ombra e devo
ammetterlo: mi è
mancato, dottore-.
Stava quasi per piangere,
lì tra le sue braccia che avevano preso a stringerlo,
e con la voce rotta, disse:
- Holmes, come- come ha
fatto a sopravvivere?-
- Come? Mi vede dopo tutti
questi anni e non mi dice neanche se le sono mancato
o meno?- rispose con tono scherzoso l’investigatore privato,
ma poi aggiunse
serio:
- Sono stato fortunato,
devo ammetterlo, ho evitato per un soffio le rocce,
anche se non posso dire lo stesso per il professor Moriarty, e sono sopravvissuto alle
acque svizzere
grazie al respiratore per l’asma preso in prestito dal caro
Mikey.-
Non aveva smesso di
stringerlo andando contro l’abitudine di muoversi mentre
spiegava qualcosa e Watson prese le mani dell’amico tra le
sue dandosi un’ulteriore
conferma della presenza di Sherlock in quell’appartamento.
- Certo che mi è
mancato egoista bastardo!-
Aggiunse Watson, ma Holmes
continuò, ridacchiando per l’appellativo.
-Sa Watson, se non fosse
venuto lei, molto probabilmente avrei tirato fuori il
mio travestimento da gentle lady per incontrarla-.
-Per l’amor del
cielo, Holmes! Già
ha
rischiato di farmi prendere un colpo in questa maniera!-
sbraitò il dottore e
quasi sbiancò all’idea di vedere di nuovo il suo
compagno in quelle vesti.
- Però devo
ammettere che lei ha un tempismo perfetto! Ho per le mani un caso
sorprendente…-
- Lo sa?- Lo interruppe
Watson prima che si perdesse nelle sue spiegazioni e si
estraniasse dal resto del mondo per un po’- È
sempre un piacere, Holmes.-
E John, anche se aveva
l’amico ancora alle sue spalle, poté giurare di
aver
sentito il calore del sorriso di Sherlock, apertosi nel sentire le sue
parole.
Note
d’Autrice
È la prima volta che scrivo su questo fandom, anche se ne
sono innamorata già
da tempo, perciò spero di aver catturato l’essenza
dei due .
La morte di Mary è presa dalla trama del libro.
Grazie per aver letto!
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