Anästhetikum und Rosen

di _gurochan
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Berlino, 12 agosto 1961.

 

Nonostante la guerra sia finita, Eva è ancora coperta di ferite.

I lunghi capelli biondi, tanto simili a quelli del fratello minore, non sono in ordine come al solito e una grossa ciocca arriva a nascondere in parte quell'orribile benda bianca che le copre l'occhio destro. O almeno, ciò che ne resta.

Era stato Arthur a strapparglielo via, in un raptus di crudeltà che sembrava impossibile attribuirgli. Più di vent'anni prima l'aveva mutilata, lasciandola per metà cieca e privandola di quella bellezza che l'aveva portata ad avere nel corso degli anni corteggiatori di ogni tipo. Si tocca la benda con una mano e ricorda tutto, Eva. Ricorda l'indifferenza di Ludwig, troppo impegnato tra armate e battaglie, e l'assenza di Gilbert, quel fratello che con lei sapeva essere tanto dolce ma che da troppo tempo era stato tenuto lontano. Ricorda le sofferenze patite dopo quella tremenda ferita, le notti insonni, i giorni a contorcersi nel dolore. E infine ricorda lui. Lui, splendido, magnifico, che si presentò a lei come un eroe. Le curò quei tagli che non volevano rimarginarsi e, cosa più importante, le diede un po' di quel calore umano di cui aveva tanto bisogno per non cadere nello sconforto, per tornare a sperare.

Scuote la testa e caccia via quei ricordi. Rimuove lo sguardo dolce di Ivan dalla mente, la dolcezza di quegli occhi viola la feriscono ancora. Non vuole credere che lo stia facendo davvero. Non vuole credere che le stia infilando davvero quell'ago nel braccio, non vuole credere all'odore di disinfettante e medicine che pervadono la stanza. Lo sguardo sadico che la sta fissando non è il suo, la mano che sta iniettando dentro di lei l'anestetico non è la sua.

Combatte contro quella realtà che la tormenta, ma sente un dolce tepore pervaderle il corpo. Tenta di chiamarlo, di implorare pietà o semplicemente di allungare una mano verso di lui, ma le cinghie la tengono saldamente bloccata e la voce si rifiuta da uscire.

Poco prima di cedere a quel sonno obbligato, vede scendere da quegli occhi che di umano ormai non hanno più nulla una lacrima ed una parola senza suono gli esce dalle labbra: « прости меня » (1).

 

 

Parigi, 14 agosto 1961.

 

E' in un posto che non conosce, sotto l'ala protettrice di chi l'aveva in passato tediata. Nella stanza, come in tutta la villa, è presente un forte profumo di rose. Per la prima volta dopo anni e anni si trova in un luogo accogliente, per quanto estraneo. Sa di essere ospite di Francis e di essere protetta da Alfred e anche da quell'Arthur a lei così incomprensibile, un santo con l'animo di un demone. « Con noi sarai al sicuro », le aveva detto il giovane americano il giorno prima. Tuttavia, non si lascia ingannare. E' cosciente della propria situazione, della propria reclusione in quella prigione dorata.

Si alza e si avvicina alla grande finestra per osservare fuori, ma non può far altro che osservare il proprio riflesso: la sua elegante silhouette è ora priva di un braccio, il sinistro. Scendono lacrime ad offuscare quell'occhio meraviglioso del colore del cielo e a rigarle la guancia rosea, ma mantiene una sua dignità anche nel pianto. Sente il cuore ridursi a brandelli, eppure non lo vuole dare a vedere. Si decide: andrà a chiedere aiuto ai suoi salvatori, chiederà loro di distruggere un nemico e sa che accetteranno. L'unico modo per alleviare il dolore sarà annientarlo, ne è convinta.

Per un qualche assurdo motivo però, quasi in preda ad una lucida follia, continua a sussurrare il suo nome.
 




(1) « Perdonami ».





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