I found you, something told me to stay. di demoiselles davignon (/viewuser.php?uid=97237)
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Avvertimenti: Approdo con questa mia Longfic, sperando
di suscitare in voi curiosità nel leggerla e sperando che v’interessi
cosi tanto da continuare a seguirla e da spingermi ad andare avanti con
il mio lavoro. Inizio con il dirvi che su questa storia ci ho lavorato
per parecchio tempo e solo adesso, ho deciso di postarla per poterla
condividere con voi. Ho troppe idee da buttarci su', quindi credo sarà
tirata moolto alle lunghe. Ovviamente, spero che sia di vostro
gradimento.
Storia generale ma con sfondo Romantico. Ho cercato di dare ai ragazzi,
una linea in parte realistica per quanto riguarda i loro caratteri e
altre determinate cose, come persone che girano intorno a loro, alcuni
eventi e quant'altro. Arriviamo al dunque: questa è "I found you, something told me to stay" una Fan Fiction dedicata agli Avenged Sevenfold. Il titolo è ripreso da un pezzo di una canzone dei sottoscritti ovvero " Dear God
" che penso rispecchi molto bene la storia e che titolo migliore
probabilmente, non avrei trovato. La storia si concentra sugli Avenged
Sevenfold e tutto ciò che li circonda. Si ritroveranno ad affrontare
parecchie difficoltà: dall’amore, che bussa alle porte - dove vedremo
vecchie fiamme andarsene via dalle loro vite e nuove approdarvi -
all’amicizia, che a causa di una grande perdita viene in qualche modo
intaccata. Sarà proprio questo a fargli capire quanto forte sia il loro
legame e quanto sia indistruttibile quel filo che li lega l’un l’altro.
Non voglio anticiparvi più nulla, quindi vi lascio alla storia!
Buona lettura e ci vediamo a fondo pagina.
" Disclaimer: Il testo riportato non è
stato scritto con alcuno scopo di Lucro né tanto meno intende dare
azioni veritiere ai personaggi elencati. Gli Avenged Sevenfold e ciò che
li circonda non mi appartengono e
ogni azione e circostanza è puramente casuale. L’intera storia è stata
inventata dalla sottoscritta quindi invito tutti i lettori a non
prendere e/o usare nulla senza il mio permesso o tanto meno, senza
avermi fatto presente nulla.”.
© FanFiction ‘ I found you, something told me to stay ‘ under copyright by Coupe de foudre.
( 29th 01, 2012 )
" I found you, something told me to stay. "
– Prologo.
Il sipario scende velocemente e da lì a pochi istanti urla, urla e
nient'altro. Migliaia di cuori che battono all'impazzata, migliaia di
persone che urlano i loro nomi, che alzano le mani al cielo. Migliaia di
persone che piangono dalla gioia e pur essendo difficile guardarli
negli occhi loro lo sanno: Sanno cosa vuol dire provare cosi tanta
felicità, cosi tanta gioia nell'essere li', in quel momento. Pur essendo
anni che si esibiscono, gli Avenged Sevenfold provano ogni volta la
stessa emozione di come quando salirono per la prima volta su un palco.
Il cuore che ti va a mille, la voce ferma in gola, che trema, quasi esce
in un sussurro flebile. Di punto in bianco si perde il controllo, non
sai più cosa fare e salire sul palco ti sembra l'ultima delle ipotesi in
quel frangente di secondo. Ci si sente quasi impotenti di fronte a
tutta quell'energia sprigionata dalla folla. E nel momento in cui si
sale sul palco, tutto cambia: Quell’energia sprigionata dai quei corpi,
da' una carica capace di azzerare il cervello accendendo solo il cuore,
capace di farti sentire il padrone del mondo. Ed è proprio cosi che si
sentono gli Avenged Sevenfold. Cinque ragazzi californiani con un sogno
nel cassetto sono riusciti ad ottenere ciò che desideravano più di ogni
altra cosa; Suonare, dar voce ai loro pensieri, ai loro sentimenti e
crescendo ormai, maturava anche il potere nelle loro mani: Gloria, fama,
soldi, musica. Era tutto loro e niente avrebbe potuto distruggerli.
Niente avrebbe mai abbattuto la loro famiglia dove ognuno difendeva
l’altro e non appena qualcuno avressee chiesto una mano, si sarebbe anche
mosso mezzo mondo per aiutarlo. Una di quelle famiglie indistruttibili,
dove se non ci sei fin dall’inizio, non ne puoi far parte e neanche
puoi comprendere il legame che li tiene cosi tutti uniti, pronti a
leccarsi le ferite a vicenda, pronti a salire in capo al mondo, pronti a
qualsiasi cosa, insieme, sempre. Ma se tutto, da un giorno
all'altro cambiasse? Se tutto velocemente andasse in fumo? Se tutto si
sbriciolasse, se tutto si distruggesse? La gloria, la fama, le passioni,
l'amore, l'amicizia, tutto. Come può sparire via tutto in un lampo? Ed è
proprio qui che ti accorgi che non si è padroni di niente, né dei
sogni, né di ciò che ti circonda, né di quello che hai costruito,
neanche di te stesso. Facciamo parte di un fottuto ciclo di cui siamo
vittime e di cui, pur non sapendolo, ne siamo intrappolati.
*
– Chapter One.
New York, Dicembre 2009.
La città ancora non del tutto illuminata, iniziava a svegliarsi
lasciando che i primi raggi del sole entrassero nella trecentosei, una
piccola stanza di un appartamento lungo Park Avenue. L’ampio
viale in direzione nord-sud del borough newyorkese di Manhattan,
iniziò pian piano a prendere vita e la frenetica routine della
‘ grande mela ‘ partì: Rumore di auto, taxi che
suonavano il clacson, mormorii dei passanti. Chi correva per andare a
lavoro, altra per andare a scuola, chi chiamava a gran voce un taxi, o
chi per un motivo e l’altro faceva si, che quella fosse New York.
Bella per il suo caos, bella perché quando alzavi lo sguardo,
c’era una pila di grandi edifici che fungevano quasi da cornici
in quell’enorme posto ricoperto di neve. Bella per tutte quelle
strade piene di negozi, piene di luci e piene di vita. Bella
perché poteva offrirti tutto ciò che desideravi. Bella
perché semplicemente, era New York.
Quei pallidi raggi di sole illuminavano di poco quella stanza, dove
ancora il silenzio era tombale e l’unico suono percepibile era il
respiro regolare della mora, ancora nelle mani di Morfeo. I lunghi
capelli, scomposti e arruffati cadevano sul cuscino, dove quel piccolo
viso pallido era poggiato con tanta dolcezza: le labbra semichiuse e le
palpebre rilassate, dove le lunghe ciglia ancora ricoperte di mascara
nero si posavano delicatamente. Solo l’infernale rumore della sveglia
che segnava le sette del mattino, riuscì a spezzare quella calma, cosi
da far aprire quegli occhi color nocciola ancora stanchi dalla notte
precedente e troppo rossi perché fossero apprezzati nella loro più grande
intensità e calore. Si spostò con molta lentezza sulla schiena, fissando
ancora assonnata il soffitto ormai impallidito dal tempo.
In tutto quel caos di persone, c’era anche gente come lei: che vivevano
giorno per giorno lottando per i propri sogni portandoli -senza fermarsi
davanti a nulla- fino alla fine. Silver viveva di fotografia e di tutto
ciò che circondasse questa magnifica disciplina. Ovunque andasse con
lei c’era sempre la macchina fotografica. Era convinta che in qualsiasi
momento e in qualsiasi posto quando meno te lo aspettavi qualcosa, ti
avrebbe colpito cosi tanto da dover per forza immortalare quell’istante,
per poterlo ricordare sempre: da una foglia caduta dall’albero ormai
invecchiato, alla pioggia che scorreva lungo la strada, lungo gli
enormi grattacieli newyorkesi, fino alla neve che scendeva lentamente dal cielo
e ti cadeva dolcemente sulla punta del naso sciogliendosi. Ogni cosa
per lei era motivo di qualche scatto, anche il più impercettibile dei
sorrisi.
New York era stata sempre come un’ancora di salvezza. Quella città che
ti salva e ti cambia totalmente la vita ristrutturandola da capo a piedi
e quello sbocco di aria fresca dopo la più brutta delle tempeste.
Aveva avuto fortuna riuscendo a diventare grande in ciò che più le
piaceva fare, senza rimorsi per aver lasciato il Kansas e sua madre.
Dopotutto sua sorella maggiore aveva fatto la stessa identica cosa
qualche anno prima, anche se per lei, il discorso era totalmente
diverso. Negli ultimi quattro anni, da quando ormai si era trasferita
nella grande mela, si era vista con Alena solo in occasione di qualche
festività e giusto quando l’una o l’altra per motivi di lavoro, erano
portate ad approdare nella terra dell’altra. Sospirò profondamente
abbassando leggermente le varie coperte su di lei e si stiracchiò,
allungando le magre braccia coperte ormai dai tatuaggi coloriti. Da
qualche ora a questa parte avrebbe dovuto prendere un aereo diretto in
California e quel viaggio non le faceva per niente piacere: Odiava la
California, odiava tutto ciò che la circondava e tutto quello che sapeva
di California. Detestava i Californiani, le case Californiane, le
strade troppo afose, l’aria calda che non ti lasciava respirare. Odiava
che nel periodo Natalizio non ci fosse neanche un briciolo di neve e più di
tutto che a nessuno importasse. Erano felici con il loro caldo e le
loro stupide abbronzature da figlio-di-papà.
Non riusciva ad immaginare tutte quelle ragazze sempre attente alla loro
colorazione che andava dal cioccolato al dorato e alla loro mania di
spendere fior di quattrini per sembrare la più bella del reame quando in
realtà, nessuno le calcolava. Faceva fatica a comprendere perché per
loro fosse sempre cosi tutto meraviglioso e perché si credessero i re del
mondo: era risaputo che i Californiani avessero questa mania di
protagonismo su ogni singola cosa. Pretendevano di essere al centro di
tutto e se non fosse stato cosi, sarebbe successo il fini mondo. Avevano la
presunzione di dire di avere la vita in pugno e che oltre la ‘bella e
soleggiata California’ non c’era nulla, il resto del mondo per loro, era
inesistente.
Doveva farlo però, quest’anno le era toccato muovere il culo su quel
maledetto aereo per passare le feste Natalizie con Alena e quello sembrava essere
l’unico modo per vederla durante tutto l’anno e,la colpa, era solo loro.
Scavalcò il letto lasciando scivolare quei pensieri che la sorella più
volte le aveva negato rimproverandola di dover crescere e capire che non
era per nulla come pensava. Feve cadere via il lungo maglione di
lana a terra lasciandole scoperto il corpo slanciato ed esile. Lontano
un miglio si notava quanto Silver fosse diversa e inappropriata per la
California: a lei non interessava avere sempre l’abbronzatura al punto
giusto, amava la sua carnagione pallida. Non le interessava sfoggiare
vestiti attillati che non lasciassero spazio all’immaginazione e odiava
tutta quella fissazione. Era un’artista a trecentosessantasei gradi:
aveva il suo stile alternativo alle altre. Indossava ciò che più le
piaceva e sapeva essere attraente anche senza lasciar totalmente
scoperto petto e gambe. I tatuaggi per lei erano arte e ne aveva diversi
sparsi per tutto il corpo, ognuno con un significato diverso e per lei
importante. Quei lunghi capelli corvini le accarezzavano dolcemente la
schiena, cadendo morbidi su essa e contornandole il viso pallido.
Sospirò per la millesima volta e chiuse gli occhi infilandosi sotto il
getto caldo dell’acqua, lasciando che questa le accarezzasse ogni
singola parte del piccolo corpo.
« Non farti pregare Silver! » piagnucolò la ragazza dall’altro capo. La
mora girò gli occhi al cielo sbuffando sonoramente e si lasciò cadere a
peso morto sul materasso a mezza piazza, ricoperto interamente da
lenzuola zebrate e vari peluche presi in un pomeriggio di noia al centro
commerciale in una di quelle pesche di cui i bambini sono innamorati. «
L’anno scorso siamo state dalla mamma in Kansas solo per farla
contenta. » continuò con lo stesso tono.
« Sai benissimo che l’abbiamo fatto perché ci sarebbe rimasta di merda
per Karl. » Liquidò velocemente la sorella minore guardandosi le unghie
ben curate e smaltate perfettamente di nero.
« Ma comunque l’anno prima son venuta a New York. »
« E non vorresti venire anche quest’anno? L’aria Natalizia qui si sente
di più Alena! Non voglio passare un Natale a maniche corte! Non avrebbe
senso, andiamo! »
« Dovrebbe interessarti più passarlo con me, che della neve.»
Alena sapeva benissimo quanto tutto questo sapesse di scuse. Certo, Silver amava
passare il Natale a New York e molto di più un Natale come sempre aveva
sognato da piccola: tanta neve, ovunque ti giravi tutto era imbiancato e
mentre camminavi, piccoli i fiocchi ti si poggiavano addosso con
estrema dolcezza ma, la verità, era tutt’altra. Lei odiava semplicemente
mettere piede in California e tutto era dovuto a quell’odio inspiegabile
che provava verso gli amici della sorella maggiore.
« Ma è cosi, Lena. » soffiò piano lei, schiudendo di poco le labbra.
« Allora smettila di inventarti scuse, Silver. Non devi stare qui per
sempre, non tu. Dobbiamo solo stare insieme e una volta per tutte,
smettila di dare la colpa ai ragazzi, anzi! Dovresti essergli grata dal
momento in cui hanno dato un lavoro alla qui presente. »
« … »
Dall’altro capo neanche un rumore, né suono, nulla. La mora era rimasta
attaccata ad uno di quei sogni che inizi a progettare da piccola, quando
si parla del proprio futuro con la persona che a questo mondo ami di più
e in quel caso, era proprio la sorella: Alena. Progettavano di scappare
dal Kansas per vivere insieme, fuggire dai litigi dei propri genitori
fino alla loro rottura, dai guai, dalla brutta gente che le
contornavano. Volevano fuggire dalle ormai nuove famiglie che i signori
McKenzie si erano creati. Non sopportavano che la loro famiglia le
lasciasse vivere un mese con uno e l’altro mese con l’altro. Odiavano il
trambusto e detestavano di più il fatto che dopo essere state affidate
alla madre il padre si fosse trasferito a Baltimore con la sua nuova famiglia,
mandando loro solo cartoline per le feste e compleanni. Avevano voglia
di fuggire da tutto per inseguire i loro sogni: Alena con la sua
passione per l’arte, e Silver per la fotografia. Avrebbero voluto fare
cosi tante cose, ma con cosi poco tempo. Dopo che Alena si diplomò, le
fu offerto un viaggio con diversi stage e quando approdò a Los Angeles,
durante una sua mostra di scenari da palcoscenico fu notata da Jason
Barry che passeggiava beatamente tra gli stand. Il ragazzo tatuato senza
timidezza si avvicinò chiedendole aiuto, non aspettandosi che quella
richiesta le avrebbe cambiato la vita.
Era il lontano 2000, ben nove anni prima e quel piccolo gruppo
emergente aveva un bisogno disperato di qualcuno che curasse i loro
palcoscenici. Alena riuscì a colpirli e cosi divenne parte della
famiglia decidendo di restare nella soleggiata Huntington Beach. La
notizia sconvolse la sorella, ancora bloccata nel Kansas e ogni loro
sogno, aspirazione, e progetto, si ruppe in un frangente di secondo.
Continuò con la sua vita e anche lei, dopo il diploma scelse di
andarsene dove più le piaceva e scelse: New York, ricominciando
la sua vita.
« Prenoto per il venti di Dicembre. Non prendere impegni. »
Qualsiasi cosa fosse successa però, pur ferita e per quanto Silver amasse la sorella
più di chiunque altro al mondo, per lei avrebbe scavalcato
l’Everest.
Huntington Beach, Dicembre 2009.
Silver s’infilò i grandi occhiali da sole che le coprivano quasi tutto
il volto, nascondendo lo sguardo stanco per il viaggio e si sistemò la
borsa che le ricadeva sul braccio piegato in su, uscendo dal cancello
dell’aereo. Sfilò il blackbarry nero e lo accese trovando un messaggio.
Schiacciò il tasto centrale aprendolo.
SMS: To Silver from Lena H 14:45 AM: Silver, ho beccato
un traffico pazzesco. Spero che il viaggio sia andato bene. Aspettami al nastro delle valigie. Sarò lì tra
una mezz’ora, scusa!
SMS: To Lena from Silver H 14:46 AM: Che palle Lena, quattro ore di aereo sono pesanti sai? Vabbè, ti aspetto!
Sbuffò infastidita e buttò il cellulare nell’enorme borsa camminando a
passo spedito verso il nastro dove avrebbe dovuto prendere la valigia
che, uscì dopo qualche minuto. Prese il bagaglio ricoperto da stoffa
zebrata e lo attirò a se, allontanandosi di poco e sedendosi sulle
poltroncine che l’aeroporto di Los Angeles offriva. Odiava aspettare e a
maggior ragione, odiava aspettare quando come se non bastasse non era
di suo gradimento il posto in cui avrebbe dovuto passare i prossimi
dieci giorni.
« Lena, è lei? » due grandi occhi azzurri come il cielo indicavano con
lo sguardo il viso imbronciato della mora spazientita e seduta sulla
poltroncina di pelle nera dell’aeroporto. Sul suo viso si apriva una
bellissima fila di denti bianchi, due labbra fine e rosee contornate da
della barba d’orata e un piercing centrale sotto il labbro, che
sbrilluccicava di tanto in tanto.
« Sì, Jim! » rise divertita lei. Ovviamente il messaggio era solo una
bugia che Alena aveva pensato di scrivere alla sorella. Amava farla
sbuffare: metteva il broncio come le bambine che ricevono per regalo una
bambola piuttosto che un’altra iniziando a fare capricci e a
piagnucolare. « Guardala, già si sta spazientendo! La conosco cosi bene.
E’ nervosissima. »
« Ma sta' semplicemente seduta! » reclamò il ragazzo decisamente troppo alto.
« Lo so, idiota! » rise divertuta lei.
« Ma quando mette le braccia conserte e sbuffa una volta ogni tre
secondi, vuol dire che è decisamente furiosa. » Scosse la
testa divertita e fece segno al ragazzo di avvicinarsi alla povera
vittima.
« E’ cambiata tantissimo. Quand’è l’ultima volta che l’ho vista? Tre,
quattro anni fa? » Abbassò lo sguardo sulla biondina che gli camminava
al fianco a passo deciso. Sorrise e strizzò un occhio cercando di
ricordare l’ultima volta che Silver aveva messo piede nella terra
Californiana.
« Se io son otto anni che son qui, mhh..» si portò una mano magra sotto
il mento con fare pensieroso. « Quattro anni fa Jim, l’estate che partì
poi a New York! »
« Miseria, è cambiata tantissimo! »
«Questo non è niente, preparati al peggio. » rise
guardandolo e strizzando l’occhiolino in sua direzione.
Finalmente si fecero entrambi vicini alla ragazza che ormai di pazienza
ne aveva ben poca. James, ma chiamato da tutti Jimmy aveva accompagnato
la piccola Alena all’aeroporto e non gli pesava, pur sapendo cosa Silver
pensasse di loro e della California in generale. Ovviamente non si
sentiva ne attaccato e ne preso in causa dal momento in cui era
dell’opinione che le sarebbe bastato trascorrere una giornata con loro
per cambiare idea. L’avevano conosciuta qualche anno prima ma era solo
una ragazzina e dopotutto non passò molto tempo con i ragazzi poiché
stavano affrontando una serie di concerti.
Sì perché gli amici cosi tanto odiati da Silver, erano proprio loro, i noti Avenged Sevenfold.
Dopo che Jason aveva chiesto aiuto ad Alena e dopo averla fatta entrare
nello staff per le sue grandi doti artistiche, la bionda decise di
rimanere lì con loro, iniziando a seguirli in tour e piano, entrò a far
parte della loro vita formandone un pilastro importante da otto anni a
questa parte. Proprio quello era uno dei motivi principali che
spingevano la dolce Alena a rimanere add Huntington Beach. Aveva imparato a
conoscerli, ad amarli uno per uno. Condivideva con loro momenti
indimenticabili e non avrebbe mai pensato che tutto questo le potesse
capitare, tanto meno l'idea di abbandonarli aveva mai sfiorato la sua mente. Se
solo l’avesse fatto, il suo cuore sarebbe sempre rimasto in quella
piccola zona soleggiata della California e pur vivendo in un altro
posto, non sarebbe stata più l’Alena di sempre. Ormai, oltre la sorella,
i cinque californiani erano diventati tutto per lei: anche con i loro
piccoli difetti ed anche quando c’erano discussioni infantili su cui
s’impuntavano e riuscivano a tenersi il muso per giorni ma alla fine, si
sarebbero sempre ricercati bevendoci su e facendo finta che nulla fosse
accaduto. Sempre, li avrebbe amati sempre con i loro alti e
bassi. Li amava anche quando in tour erano stressati e diventavano
insopportabili, quando per ogni cosa correvano a piagnucolare da lei
come fosse la loro balia. Ci sarebbe sempre stata, in qualsiasi caso.
Secondo Silver non aveva nulla a che fare con i Sevenfold, partendo dal
presupposto che di Californiano Alena non aveva proprio nulla: Anch’essa
un’esile ragazza, non troppo alta. I lunghi di media lunghezza, biondi, le
ricadevano dolcemente lungo le spalle. Gli occhi erano color ghiaccio, ma di quel colore cosi intenso
che non appena ti posava lo sguardo addosso entravi in trance sentendoti
per un momento spaesato.
Dolce, comprensibile ma quando doveva, era testarda e non si lasciava
mettere i piedi in testa, insomma un bel carattere forte. Forte quanto
quello della sorella, dove la sola differenza era che Silver, riusciva ad
essere più fredda e distaccata in determinate circostanze o quando lo
riteneva opportuno. Togliendo quello, erano entrambe due bombe di
energia e con un caratterino niente male e in loro compagnia, non ti
saresti mai annoiato per un motivo o per l’altro.
La mora sentendo delle presenze attorno a lei, fece su con il naso
guardando le magre figure di fronte attraverso le grandi lenti nere e di
colpo, schizzò in piedi abbracciando la sorella e stringendola con le
braccia lungo il collo.
« Lena! » fece entusiasta.
« Piccola, mi sei mancata da morire! » rispose con la stessa euforia la
sorella maggiore stringendo il magro corpo lungo i fianchi. Sembrava
un’eternità dall’ultima volta che si erano viste. Un’eternità
dall’ultimo abbraccio dato con cosi tanta foga e con tanto amore che
riuscivano a percepire solo tra di loro. Nonostante la distanza, nel
momento in cui si erano riavvicinate, percepivano che non era cambiato
assolutamente niente: sarebbero dipese sempre l’una dall’altra anche se
c’erano montagne di chilometri a dividerle. Nonostante ci volessero
quattro ore di aereo, e nonostante non potessero stare tutti i giorni al
contatto, il loro legame andava oltre a tutto ciò. Niente e nessuno
sarebbe mai riuscito a spezzare quel filo invisibile che le teneva
legate.
Si staccarono di poco, scambiandosi un sorriso contento e sciolsero
l’abbraccio lasciando cadere le braccia e stringendosi per mano, quasi
come se avessero paura che in quel momento qualcuno o qualcosa le potesse dividere, allontanandole l’una dall’altra.
« Silver, lui è Jimmy. Non so se lo ricordi. »
Gli occhi nocciola si alzarono lentamente incontrando quelli azzurri del
ragazzo quasi nel tentativo di intimidirlo. Uno sguardo forte, non del
tutto amichevole e duro, duro come il giudizio che teneva stretto a lei
su quelle star da quattro soldi. Strinse i denti ed incurvò un lato
della bocca, ammiccando un quel che poteva sembrare sorriso, come a
fargli un piacere. L’ostilità nei loro confronti
era immensa e non avrebbe mollato l’osso, almeno fino a quando non li avrebbe attaccati tutti dal primo all’ultimo facendoli sentire delle più
complete e totali merde.
D’altro canto Jimmy non era il tipo di persona che si lasciava
intimidire facilmente né tanto meno si sarebbe lasciato scalfire dalla
durezza di Silver poiché per lui, era solo una stupida e ridicola
ostinazione. Come quando i bambini son gelosi del proprio giocattolo e
non vogliono che nessuno lo tocchi. Jimmy era sicuro che per Silver
fosse la stessa identica cosa: Era come se credesse che Alena fosse un
premio da vincere e lei, in quella gara aveva notevolmente perso ed era
stata annientata.
Semplicemente il batterista si avvicinò a lei e la strinse in un
abbraccio per qualche secondo lasciando di sasso Silver che non mosse un
muscolo, colpita di sorpresa. Si staccò da lei e la afferrò per le
spalle, scuotendola appena.
« Benvenuta in California, babe! » esultò a gran voce come solo lui sapeva fare.
Alena scosse il capo ridendo, Jimmy non sarebbe mai cambiato.
Straordinario il modo in cui niente e nessuno riusciva a metterlo giù di
morale e di come fosse riuscito a spezzare quella tensione che poco
prima Silver stava creando, assieme alla sua immancabile barriera che la
circondava non’appena metteva piede in California, pronta a respingere
qualsiasi tipo di contatto che si sarebbe potuto creare in quei lunghi
dieci giorni. In realtà Jimmy non mostrava per niente interesse in
quelle stupide ideologie portate dalla mora fregandosene altamente e
sicuro della sua teoria, ovvero che sarebbe finita per amarli, proprio come
aveva fatto la sorella subito dopo averli conosciuti. Inoltre, ma questo
era assodato da entrambe le parti, non avrebbero voluto rovinare il
Natale, specialmente non lo avrebbero voluto rovinare ad Alena che ci
teneva in modo quasi ossessionato.
« Tutto dovrà essere perfetto. Non voglio alcun tipo di litigio ne
frecciatine! » puntò il dito contro i ragazzi che sedevano comodamente
sul divano di casa Sanders, intenti a giocare ad una partita all’ultimo
sangue sull’Xbox. Odiava quando non si dava attenzione e di più, odiava
che non gliela dessero perché intenti a giocare a uno stupido gioco in
cui dovevi non far altro che sterminare mezzo mondo con diecimila tipi
di armi diverse. Che tra l’altro non avrebbero nemmeno usato e della
maggior parte non ne erano neanche a conoscenza. I loro occhi erano
puntati dritti e senza batter ciglio sulla televisione e ogni tanto, si
urlava uno contro l’altro qualcosa d’insensato. Probabilmente era il
gergo che usavano tra di loro mentre il cervello gli stava andando in
pappa. Si mosse velocemente davanti alla TV e finalmente –purtroppo non
avevano altra scelta- le diedero le attenzioni che lei cercava.
« Ascoltatemi idioti! »
« Lena dai, spostati così non vediamo niente! »si lamentò Matthew che
alzò lo sguardo su di lei mentre gli altri cercavano di affacciare
il viso oltre la ragazza per continuare la partita.
« No! » rispose fermamente lei e velocemente si voltò verso la console,
spegnendola sotto lo sguardo triste dei ragazzi. « Ripeto » continuò
guardandoio con aria cagnesca « Niente frecciatine e/o battute idiote.
Voglio stare tranquilla. »
« McKenzie, non ti fidi di noi? » sghignazzò Brian, seduto comodamente
sul bracciolo del divano in pelle nera. Alzò un sopraciglio guardandola
con fare divertito e scosse la testa, evidentemente poco interessato al
fatto di essere simpatico o meno alla piccola Silver. Haner non era uno
di quei tipi che sperava essere simpatico a tutti: o lo si amava o lo si
odiava. Se Silver avesse cambiato idea, gli avrebbe fatto di certo
piacere ma, in caso contrario, il mondo andava avanti.
« Io vi ho avvertiti. » lo liquidò lei posando
entrambe le mani sui fianchi e guardandoli con aria seria.
« Lena dai, come cazzo pretendi che stiamo zitti? Ci detesta e tu stessa
ci hai detto che non sopporta neanche starci vicino.» si intromise
Vengeance alzandosi dalla poltrona e buttando il joystick su di esso,
avvicinandosi al divano dei ragazzi. « Tra l’altro mi sembra sciocca
come cosa, non ci conosce nemmeno! » continuò con un’espressione
alquanto scocciata dalla situazione. Non amava avere intorno gente che
sapeva, avrebbe fatto a meno di lui, né tanto meno amava essere
circondato da persone che lo detestavano e non avevano la minima voglia
di approfondire un’amicizia o anche conoscenza, cosi poi in seguito dare
un fottuto giudizio. Per Alena però era importante e pur non essendo
pienamente d’accordo per lei l’avrebbe fatto un piccolo sforzo. Di
certo, quanto sarebbe potuto costare a tutti loro, sopportare Silver per
dieci giorni?
*
Note dell’autore: Ebbene siamo arrivati alla fine del
primo capitolo. Ovviamente funge da transizione e da input per dare poi
via alla storia. Vi assicuro che ce ne saranno delle belle e che la
storia sarà piena di capitoli con tante e diverse situazioni che
accompagneranno i nostri protagonisti. Spero comunque di avervi
incuriosito abbastanza, tanto da lasciare un commento o comunque tanto
da seguire la mia storia.
Qualsiasi tipo di giudizio, positivo o negativo che sia è ben accetto (:
A inizio di ogni capitolo ci sarà un piccolo Blend per la storia cosi da
potervi dare un’idea dei personaggi e all’interno della stesura,
troverete anche diversi scatti.
Gli aggiornamenti inoltre saranno continui, dal momento in cui ho una
voglia pazzesca di tirare giù delle miriadi di capitoli.
Al prossimo capitolo.
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