Edifici. Asfalto. Pioggia. Molta pioggia.
Camminare per le strade di una città senza nome equivale a
sognare qualcosa di cui non si ha mai avuto percezione. E’
come essere in un dipinto che non ti appartiene, che non hai neanche
mai visto.
Lo sguardo basso, il colletto del cappotto alzato in un vano tentativo
di schermarsi dalla pioggia, per essere come gli altri, per camminare
come se tutto fosse normale. E’ normale non sapere dove ci si
trovi? Era solo un uomo, eppure senza utilizzare alcuna
abilità particolare si era ritrovato in una giungla di
catrame e di persone che proseguono per la loro strada senza
attenzione.
Faceva freddo, ma allo stesso tempo era come se niente e nessuno lo
sfiorasse. Non conosceva i volti delle persone che gli passavano
accanto, né il suo stesso nome. Era semplicemente. Esisteva.
In quel momento e in quello spazio. Un nessuno. Un guscio.
Alzò lo sguardo per la prima volta da quando quella strana
passeggiata era iniziata. Le persone continuavano a camminare senza
fare caso a ciò che le circondava. Una bella donna gli
passò accanto, pelle molto bianca, capelli molto neri.
Nessuna reazione.
L’uomo si fermò al centro della strada. Si
guardò intorno. La pioggia continuava a cadere, le persone a
camminare. La strada sembrava infinita, così come i palazzi
e le impalcature.
Sentirsi distante, lontano e ostile alla vita, quando si è
fermi in un flusso di gente che non nota la tua presenza. La tua
richiesta d’aiuto viene ignorata. Non
c’è spazio per la confusione, né per
riflessioni di alcun genere. Il tuo istinto ti suggerisce solo di
continuare a camminare. Come gli altri d’altronde.
Un altro uomo, vecchio, con un abito nero, era fermo in piedi al centro
del fiume di gente. Lo sguardo vacuo, ma al contempo carico di
un’inquietante serenità. Il nessuno si
avvicinò lentamente, lo osservò da vicino, perse
molto tempo a contemplare la sua espressione prima di parlare.
-Dove mi trovo?-
Il vecchio non diede segni di aver udito e se anche l’avesse
fatto non mostrò interesse a rispondere. Dopo minuti,
stranamente simili a ore, si voltò verso il nessuno e
fissò i suoi occhi pacati in quelli dell’uomo. La
sua voce era roca e affaticata.
-Questa non è una domanda che necessita di una vera risposta-
-Non so come sono finito in questo posto. Non ho mai visto queste
persone-
-E se anche ti dicessi dove ti trovi e chi è la gente che
vedi
passare, questo cambierebbe ciò che sei? Chi sei? Questa
è una domanda che necessita di risposta-
Il nessuno rimase in silenzio per qualche secondo. Era stordito. La
pioggia faceva troppo rumore. Quando parlò di nuovo, la sua
voce gli sembrò lontana dal corpo.
-Tutto questo non è reale-
Il vecchio sospirò, accennando un lieve sorriso, un sorriso
stanco e sofferto.
-Tracciare una linea precisa tra ciò che è reale
e ciò che non lo è può risultare molto
complicato, giovane viaggiatore. Le persone odiano questo posto
perché si trova esattamente su quella linea-
-Sono morto?-
-Vorresti che fosse così?-
Certo, essere morti sarebbe una spiegazione plausibile e in qualche
strano modo rassicurante. Eppure, che significato può avere
camminare, respirare, vedere e al contempo morire, cessare di esistere?
Cos’è che tiene la minima distanza tra abisso e
vita?
Il vecchio si asciugò la pioggia che solcava le rughe
marcate del suo viso spento con un fazzoletto di lino e
proseguì.
-Benvenuto, ragazzo. Benvenuto nel tuo limbo personale.
Rimarrai qui per molto tempo-
Il nessuno si guardò in giro. Le persone continuavano a
camminare, erano delle ombre. Vide per la prima volta. Anche lui era
un’ombra. Dopotutto, questo… era ovvio. Avrebbe
dovuto pensarci prima. Certamente sarebbe rimasto lì per
molto tempo. Una condizione di stallo. Di indecisione e inesistenza. O
forse di irrisolutezza. A metà tra il vivere e il morire.
Niente di reale, il vuoto e l’assenza.
Il nessuno si rivolse nuovamente al vecchio.
-Dovrei andare. Si sta facendo tardi-
-Tardi? Qui non esiste il tardi, né il presto. Esistono solo
le domande a cui bisogna dare risposta e le questioni che bisogna
chiarire-
-Perché?-
-Inizi a capire di che cosa parlo-
Il vecchio si voltò e si allontanò camminando
lentamente dal ragazzo. Il nessuno rimase da solo. Provare solitudine
in una folla di persone lo sconvolse a tal punto che dovette coprirsi
gli occhi con le mani, spingendo le dita contro le tempie. La testa gli
scoppiava. Presto anche lui sarebbe diventato come loro?
Un guscio. Vuoto e freddo.
Si sbottonò il cappotto e lo fece scivolare a terra. Fece lo
stesso con la camicia e quando guardò verso il basso, per
vedere le gocce di pioggia scivolargli sul petto, si accorse che nella
parte sinistra del suo pallido torace, in corrispondenza del cuore,
c’era un profondo buco.
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