WILE ROAD
Dunque,
prima di iniziare a
leggere questa storia, è bene che sappiate che è
possibile considerarla uno
spin off delle mie FF sui Looney Tunes. Difatti, è previsto
un seguito di My oasis in the desert
(seguito a sua
volta di Put the fucking R in a place of
the fucking L) in cui potrebbero essere presenti i personaggi
ed i
riferimenti appartenenti a questa storia.
Questo era a titolo informativo.
Per una maggior comprensione
della storia in sé, invece, è bene che sappiate
cos'è la Legge di Murphy.
Si tratta di un insieme di detti
popolari a carattere ironico. Il primo assioma è quello che
riassume meglio la
natura di tutti i detti: Se qualcosa
può
andare male, lo farà.
In fondo alla pagina troverete
una serie di note, poiché ogni tanto cito tali detti
mescolandoli alla trama.
A questo punto, voglio
semplicemente dedicare questa FF a tutti coloro che supportano il
fandom dei
Looney Tunes, ed in particolare a Setsuka,
che me lo ha fatto conoscere. Grazie per il supporto.
Buona lettura.
Accelleratii
incredibus et Carnivorous vulgaris
Osava
spesso
definirsi il più grande aderente alla Legge di Murphy.
Inizialmente
non aveva effettivamente aderito; era
stato quel che potrebbe essere definito un membro inconsapevole e senza
libera
scelta.
Dalla tenera
età di otto anni, in cui aveva iniziato a passare ogni
mattina a raccogliere
toast imburrati dal tappeto, faceva parte di quel club che dalla gente
comune
era chiamato in modo abbastanza grottesco.
Club degli sfigati.
Parole
che
Wile non avrebbe mai usato.
Lui
preferiva definirsi, appunto, un concreto aderente e osservatore della
Legge di
Murphy.
Conviveva
con l’illusione di aver scelto tutto questo, ma in fondo
sapeva benissimo che
il fato agiva a discapito del volere altrui, e che gli aveva donato
l’aderenza
a questo club assieme ad una mente in grado di comprenderla appieno per
puro
caso.
Oh, certo,
da una parte questa sua caratteristica gli aveva fornito
notorietà sul posto di
lavoro; difatti era riconosciuto come il collaudatore ufficiale di
tutti i prodotti
in fase di brevetto.
Ma… lui era
un tecnico. Lui era un
dannatissimo,
preparatissimo, laureatissimo tecnico!
Non una
nastro trasportatore sulla quale passare (indifferentemente) sveglie,
oggetti
di scena, microfoni, ferri da stiro, cellulari, calamite, fionde,
fuochi
d’artificio, e molte altre cose, in attesa di verifica.
Ammetteva a
se stesso che, visti i suoi precedenti, non sarebbe mai dovuto andare a
lavorare ai Laboratori ACME.
*
Era
stato
praticamente lui a fare la fortuna di quel posto.
Anni addietro,
si era dedicato con passione alla costruzione di macchine a moto
perpetuo (che
lo avevano da sempre affascinato) e aveva dunque fatto spesso ricorso
ai
cataloghi della ACME per trovare sempre nuovi oggetti. Il fatto era che
nulla aveva mai
funzionato.
Fionde che
non rimanevano mai attaccate alla loro base, sveglie che iniziavano a
saltellare e a sputare molle ovunque, palle da bowling che, invece di
scivolare
dolcemente sul pavimento, tornavano indietro per schiacciargli il piede
e gli
immancabili petardi a effetto a volte precoce, a volte ritardato, che
gli
avevano affumicato i capelli più di una volta.
Pur essendo
consapevole del proprio “magnetismo murphologico”,
aveva ritenuto impossibile
che la colpa di tutti quegli incidenti gli si potesse attribuire per
intero.
Aveva avuto la certezza che i prodotti ACME fossero per la maggior
parte
pericolosi e difettosi, e aveva immediatamente provveduto inviando
cortesi
lettere di protesta. Si era stupito di quanto fosse stato difficile
reperire il
loro indirizzo. Aveva pensato che ricevere lettere non doveva essere
una
consuetudine per quell’azienda; a maggior ragione, quindi, si
era convinto che
avrebbe ricevuto prontamente una risposta.
Quando,
però, tali lettere erano state ignorate, Wile aveva perso la
pazienza.
Si era
armato di cartelli con scritte in sfavore dei laboratori (nulla di
troppo
volgare, voleva essere preso sul serio) e si era appostato sotto le
loro
finestre, presentandosi anche con qualche fasciatura dovuta alle
bruciature.
Durante la
sua permanenza lì, aveva visto alcune persone lanciargli
occhiate curiose e poi
entrare nei Laboratori. Immancabilmente, alcuni dipendenti si erano
anche
affacciati alle finestre per guardarlo. Wile, però, non si
era sentito
esattamente trattato come un dimostrante.
Nessuno si
era lamentato della sua presenza lì, dei suoi occasionali e
brevi discorsi al megafono
(che mandava scintille; era ACME) o
degli insulti scritti suoi cartelli.
Si era
sentito osservato, studiato, come un ospite inatteso; e proprio quando
stava
per rinnovare il proprio disappunto, dal portone principale era uscito
un
ometto basso e totalmente calvo, con un gran sorriso stampato in volto.
Wile aveva
alzato un sopracciglio ed era rimasto imbambolato, vedendo
quell’ometto
dirigersi verso di lui con le braccia spalancate. Elmer
J. Fudd, aveva letto sulla targhetta applicata alla giacca in
velluto nero dell’uomo, quando questi gli aveva messo
entrambe le mani sulla
spalle.
«Caro
ragazzo, grazie!» aveva esclamato gioioso, facendo sfoggio di
una pronunciata R
moscia.
«Eh?»
Solitamente le risposte di Wile erano segno di loquacità, ma
in quel caso… era
rimasto letteralmente pietrificato.
Con
nonchalance, Elmer (che era, incredibilmente, il proprietario della
ACME) aveva
spiegato a Wile che mai nessuno era entrato nei loro laboratori per
chiedere
informazioni o per guardare la merce. Una sola persona ordinava sempre
tramite
catalogo ma, fino a quel momento, nessuno aveva la più
pallida idea di chi
fosse.
Alla fine
dei conti, Wile gli aveva fatto pubblicità. Poca, certo, ma
pur sempre
pubblicità.
«Il
nome di
un’azienda rimane impresso nella mente delle persone per due
motivi» aveva
detto Elmer « perché è incredibilmente
di successo, o perché è stata
attaccata.»
E
quel
povero genio incompreso di Wile E. Coyote, non aveva saputo cosa dire.
Si era
sentito preso in giro, ma Fudd non stava affatto scherzando. Difatti
gli aveva
offerto del denaro per venire a protestare anche nei giorni successivi,
magari
portando con sé qualche amico.
E così era
iniziato il breve periodo da “dimostrante assunto”
di Wile, alla quale aveva
partecipato occasionalmente anche quello che poteva definire il suo
unico
amico. Bugs Bunny; e la faccia da schiaffi di quell’attore
così amato dal
pubblico che sostava di fronte alla ACME aveva prodotto una mole di
pubblicità
che persino la Ford avrebbe
invidiato.
Non ci era
voluto molto prima che Elmer venisse a sapere della preparazione
tecnica di
Wile e gli offrisse un posto fisso. In fondo glielo doveva, o almeno
così aveva
detto.
A Wile non
importava granché di questo particolare. Era stato felice di
essere stato
assunto in un posto che avrebbe messo alla prova le sue
capacità intellettive,
e che sicuramente gli avrebbe fatto guadagnare una posizione di
rispetto ( che
meritava, essendo un genio).
Non avrebbe
mai pensato che sarebbe diventato una sorta di manichino da crash test,
e che
avrebbe rinvenuto sulla propria scrivania dei biglietti da visita con
recante
la scritta:
Wile E. Coyote, super scemo.
*
Nei
momenti
di pausa in ufficio, Wile era solito dedicarsi ai propri progetti
personali.
Anche dopo gli incidenti con i prodotti ACME, non aveva perso la sua
passione
per il moto perpetuo, e nemmeno quella per le trappole. Era solito
catturare
volatili.
Non era un
cacciatore, un sadico o cose simili. Difatti il suo intento era
semplicemente
quello di catturarli per poi liberarli.
I suoi avi.
Loro sì che erano cacciatori veri e propri, ma lui si
definiva di una razza
decisamente più evoluta. Anche perché la caccia
(sia come sport che come stile
di vita) non faceva davvero per lui.
Ricordava
con dispiacere i giorni in cui a soli undici anni era stato spinto, da
un’insana voglia di dimostrare la propria abilità
ai parenti, ad inoltrarsi
nella natura per poter sparare anche ad un solo, unico, pennuto.
E lo aveva
trovato.
Un Geococcyx californianus.
Un esemplare
piuttosto giovane, dal petto grigio chiaro e vaporoso, ed il becco
bluastro
abbastanza corto.
Si erano
guardati per un attimo negli occhi, e poi il volatile era corso via,
senza
nemmeno dare a Wile la possibilità di imbracciare goffamente
il fucile.
Qualcosa era
scattato nella sua testa, qualcosa che gli aveva impedito di prendere
di mira
qualunque altro esemplare. Per giorni era tornato su quel suolo
roccioso,
cercando quel roadrunner, ed ogni
volta che lo trovava doveva corrergli dietro perché per lui
sarebbe stato
impossibile sparargli da una lunga distanza.
Pareva quasi
che quel pennuto aspettasse solo lui, che lo prendesse in giro. Per
circa un
mese, prendere il volatile era stato l’unico scopo della vita
di Wile.
Si era
procurato graffi, aveva strisciato nella polvere, si era fatto persino
un
occhio nero per riuscire a prenderlo. E ce l’aveva fatta.
Aveva
sparato al roadrunner quando questi
stava tranquillamente beccando del mangime, messo lì proprio
da Wile. Dopo lo
sparo era stato catapultato nella polvere e qualche piuma si era
separata dal
vaporoso petto grigiastro.
Wile si era
diretto verso la vittima pieno d’entusiasmo, stringendo il
fucile tra le mani
tremanti. Ma poi, vedendolo, si era come svuotato. Il becco bluastro
era
rimasto semi aperto, gli occhietti neri si erano appannati, privi di
una
qualsiasi vivacità, quel bellissimo esemplare pareva non
essere mai stato vivo.
E adesso?
Aveva
pensato, per poi trattenersi dal piangere.
Dopo
quell’episodio, Wile aveva appreso di non essere fatto per
uccidere, ma dentro
di lui si era instaurato uno scopo. Quello di catturarli senza fargli
alcun
male, osservali, e poi liberarli. Perché aveva appreso che a
l’unica parte
veramente soddisfacente di quell’episodio non era stato il
sparare il roadrunner, ma il
corrergli dietro per
in fine raggiungerlo.
I suoi
colleghi lo avevano definito uno strambo, ma lui aveva ribadito il
fatto di
essere semplicemente più intelligente ed interessato di loro.
Parlando
onestamente, avrebbe preferito passare la giornata circondato da delle
galline
piuttosto che da quei bifolchi dei suoi colleghi. Dio, quanto odiava
quel
branco di…
«Me!
Me!»
«AH!»
Era
una fortuna che la sua sedia fosse provvista di rotelle. Se fosse stata
un
modello comune, Wile si sarebbe probabilmente ribaltato per lo spavento.
In compenso,
il videoregistratore che stava assemblando per puro diletto si era come
smontato.
Vedendo due
granchi occhi neri che lo fissavano, capì cos’era
successo.
«Runner…»
disse, vedendo spuntare un sorriso alquanto sciocco sulla faccia del
ragazzino
che gli stava di fronte.
Road
Runner,
diciannove anni, stagista da qualche giorno alla ACME, aveva preso la
brutta
abitudine di piombare nell’ ufficio di Wile ad una
velocità impressionante per
fargli prendere spaventi che avrebbero certamente destabilizzato una
persona
meno controllata di lui.
Wile fissò
Road, poggiando il mento sulla mano e battendo le dita sulla scrivania.
L’altro
lo guardò per qualche secondo senza sbattere le palpebre,
poi iniziò ad
osservare lo spazio attorno a sé, compiendo veloci e decisi
scatti con la
testa.
Wile si
sentiva alquanto irritato da Road e dal suo comportamento.
Quando gli
era stato presentato dal suo capo reparto, quest’ultimo era
parso molto
entusiasta di Runner. Il ragazzo non aveva detto una parola, e il suo
capo lo
aveva come affidato a Wile.
Dagli dei compiti, fatti ascoltare da lui,
insegnali il mestiere… sì, insomma, come se fosse
un tuo allievo.
Ed
era stata
quella parola ad impedire a Wile di ribattere.
Nella sua
mente era apparsa la sua immagine in vesti di professore universitario
con
tanto di blazer marrone con le toppe sui gomiti, con Road davanti che
prendeva
appunti ed prestava
attenzione. E Wile
adorava quando gli si prestava attenzione, anche se la cosa non
capitava di
sovente.
Ma già il
giorno stesso in cui gli era stato affidato questo compito, le sue
aspettative
erano crollate.
«Ti
hanno
mandato qui, Road?» Gli chiese guardandolo con aria poco
interessata.
Road
annuì
vigorosamente. Wile poté notare il ciuffo tinto di blu del
ragazzino muoversi a
ritmo con la sua testa. I suoi colleghi mandavano sempre quel moccioso
problematico da lui, come se Wile E. Coyote potesse sprecare il suo
tempo
prezioso per chiedere ad uno stagista di fare fotocopie.
Si mise a
scrivere al computer, e parlò senza rivolgersi direttamente
a Road, ma
nascondendo la faccia dietro lo schermo, come a fargli intendere che
era
infastidito.
«Okay,
allora. Porta questi in ufficio e mettili in ordine nello
schedario.» Disse
senza staccare gli occhi dal monitor, passandogli un blocco di fogli
con una
mano.
Road
inclinò
la testa da un lato e prese il blocco con entrambe le mani, che erano
molto più
piccole di quelle di Wile.
Osservò il
blocco di fogli con sguardo confuso.
«Me?»
Disse
poggiandosi una mano sulla gola.
«Sì,
tu!»
esclamò Wile per poi, finalmente, guardare Road in faccia
«Corri!» lo incitò.
Road
fece
spallucce e sorrise. Sbatté un paio di volte le palpebre e
si precipitò fuori
dall’ufficio.
Dopo qualche
secondo, Wile udì un veloce rumore di passi nel corridoio
che si faceva più
intenso e poi scemava, si
intensificava
e scemava ancora
Effetto Doppler; elementare. Pensò.
Quando
udì
anche un frusciare di fogli, però, decise di alzare un
attimo la testa per
osservare (dalla propria porta ancora aperta) il corridoio.
Ciò che vide fu
Road Runner che correva avanti e indietro, talmente veloce da lasciarsi
scappare alcuni fogli dalle braccia, che, dopo un breve soggiorno in
aria,
finivano disordinatamente per terra.
«Porca
miseria!» Saltò letteralmente giù dalla
sedia e corse verso la porta «Road!
Fermati!»
Il
ragazzo
non stava facendo altro che correre per tutti gli uffici, evitando per
un
soffio i colleghi e mandando all’aria montagne di documenti.
«Runner!»
Era
esattamente come il primo giorno in cui Road aveva messo piede alla
ACME. Dopo
aver ricevuto un ordine da Wile, si era messo ad andare avanti ed
indietro per
gli uffici correndo all’impazzata, ignorando bellamente tutto
ciò che l’altro
gli urlava dietro.
L’uomo
iniziò ad inseguire il ragazzino nel tentativo di
acchiapparlo per poter
mettere la parola fine a tutto quel baccano, ma Road sembrava non farci
nemmeno
caso.
E così, come
ogni giorno da quando conosceva Road, Wile fu costretto a corrergli
dietro per
minuti interi senza riuscire a prenderlo e, come al solito, la cosa
finì
solamente perché Road si rintanò
nell’ufficio del capo reparto a fare
fotocopie, lasciando a Wile il compito di raccogliere e schedare i
documenti
sparsi per terra.
*
La
cosa che
più di ogni altra lo urtava, era il fatto che Road, a quanto
pare, teneva quel
comportamento irriverente e menefreghista solo nei suoi confronti. A
dire dei
colleghi, il giovane dai capelli blu eseguiva perfettamente ogni
compito che
gli veniva assegnato, senza ribattere o cercare di sviare al proprio
dovere.
Aggiungevano,
inoltre, che svolgeva il proprio lavoro ad una velocità
sorprendente.
Su
quest’ultimo punto, Wile non aveva dubbi.
Tuttavia gli
sembrava che quel ragazzino si stesse prendendo gioco di lui. Ma forse
era
semplicemente uno sciocco a cui si doveva parlare usando dei cartelli
per farsi
capire, e Wile non intendeva abbassarsi al livello di uno stupido
semplicemente
per farsi ascoltare.
«Ehm…
che
succede, amico? Ti vedo un po’ abbacchiato.»
Wile
distolse per un attimo lo sguardo dal proprio lavoro (stava
controllando una
serie di prodotti potenzialmente difettosi e/o pericolosi) per
osservare il
giovane attore che stava appoggiato allo stipite della porta.
«Stress
mentale,
Bugs. Ma presumo tu non sappia di cosa io stia parlando.»
Disse con fare
altezzoso, anche se stonava parecchio con il suo aspetto trasandato e
affaticato.
«Se
tu non
avessi una voce così sexy potrei arrabbiarmi per alcune tue
osservazioni, sai?
» Si passò una mano tra i capelli argentati
(tinti, ovviamente) e bevve un
sorso del proprio succo di carota.
Per
essere
un attore molto impegnato, Bugs Bunny si prendeva parecchie
libertà. D’altronde
faceva parte della sua natura. Non faceva mai qualcosa che non gli
andava di
fare, e oramai tutte le persone che lavoravano con lui lo sapevano.
Anche il suo
coinquilino, Daffy Duck, lo sapeva, ma era l’unico a non
accettarlo.
Bugs guardò
l’orologio. Probabilmente a quest’ora Daffy era sul
set a cercarlo, sbraitando
contro tutta la troupe e urlando cose del tipo “Non sono
stato mai così
mortificato in tutta la mia carriera!”.
Sorrise e
tornò a guardare Wile.
L’uomo aveva
tra le mani un piccolo petardo (molto piccolo,
per fortuna) e se lo rigirava tra le mani osservandolo. Per
l’occasione
indossava dei guanti e degli occhiali protettivi, ma era come se
sapesse che
non sarebbero serviti a nulla.
Infatti,
senza che Wile schiacciasse il petardo o lo facesse cadere sulla
superficie
legnosa della scrivania, il piccolo involucro di cartapesta ed
esplosivo lanciò
un paio di scintille e scoppiò.
Bugs fece un
piccolo salto; Wile, invece, alzò gli occhi al cielo e
spense una piccola
fiammella che era nata sulla punta di una ciocca dei suoi capelli
castani. Lo
fece con un gesto che mise in evidenza la sua abitudine a certe
situazioni. Si
tolse un guanto, si leccò l’indice ed il pollice e
chiuse le due dita attorno
alla fiammella, come se stesse semplicemente spegnendo una candela.
«Dovresti
rifarti i dread. Credo il fuoco li stia disfacendo.» Disse
Bugs avvicinandosi
con finta aria apprensiva.
«Tanto
sono
corti. Non ci metto nulla a rifarli.» Fece Wile senza
interesse, prendendo ad
esaminare una sveglia rosso fuoco.
«Se
vuoi,
posso chiedere a Daffy di rifarteli. E’ lui che mi taglia i
capelli.» Disse
Bugs appoggiandosi alla scrivania e sfoggiando un sorriso
Wile
si
bloccò e alzò un sopracciglio, fissando Bugs.
«Lui
fa…
cosa?»
Era
rimasto
interdetto. Una persona così priva di pazienza come Daffy
che faceva una cosa
del genere, un gesto così intimo, per di più nei
confronti di Bugs… nella
sua testa apparve l’immagine di una
pallina da golf affiancata ad una vite. Era tutto ciò che
poteva pensare. Un
brivido gli percorse la schiena; non era ancora abituato ad immaginarsi
Bugs e
Daffy… insieme!
«Mi
taglia i
capelli quando diventano troppo lunghi. Ma non lo fa per me. Dice che
se
aspetta che io vada dal parrucchiere può anche morire
nell’attesa, e che lui
non può permettersi di andare in giro con qualcuno che
somiglia ad una sorta di
hippie, perché nuocerebbe alla sua immagine.»
Disse
tutto
ciò con leggerezza e un sorriso dolce stampato in volto,
come se stesse parlando
di qualcosa di piacevolmente ovvio.
«Spiegami
una cosa. Per quale motivo non vai dal parrucchiere?»
Certo,
nemmeno
lui ci andava mai, ma questo perché Wile non intendeva
perdere il proprio tempo
a fare certe sciocchezze quando avrebbe potuto approfondire le proprie
conoscenze sui magneti o sugli esplosivi. Bugs invece avrebbe anche
potuto
comprarsi un intero salone di bellezza, visto quanto guadagnava.
L’adoratore
di conigli iniziò a dondolarsi sui talloni.
«Io
in
realtà speravo di farmeli crescere un po’.
Così si adatterebbero meglio ad
alcuni miei vestiti.»
«Quei vestiti?» Chiese Wile,
lasciando
intendere che conosceva già la risposta.
«Sì,
quei vestiti. E
poi è divertente avere un parrucchiere
personale.» Congiunse le mani e rimirò il proprio
riflesso nel vetro della
finestra, sistemandosi la frangia irregolare.
Wile
preferì
non andare avanti col discorso. Bugs e Daffy erano migliori amici da un
vita,
ma il loro rapporto era sempre stato troppo particolare agli occhi di
Wile. Non
s’intendeva di relazioni sociali ( poiché non gli
interessavano minimamente) e
per tanto ciò che intercorreva tra quei due era per lui
un’incognita. E gli
faceva anche venire i brividi. Daffy Duck non gli era mai stato
particolarmente
simpatico. Un uomo la cui vanità era paragonabile solo
all’avidità, una persona
ingestibile, un bipolare che probabilmente avrebbe mandato fuori di
testa
qualunque analista.
Non come
lui. Modesto, pacato e con molteplici interessi che lo tenevano lontano
dal
manicomio.
«Bunny!
Bugs
Bunny!» Dal fondo del corridoio si udì la voce di
Elmer Fudd, che parve
riecheggiare all’infinito.
«Credo
sia arrivato
per me il momento di andare!» Esclamò Bugs facendo
il saluto militare.
Da
quando
aveva partecipato per gioco alle manifestazioni di Wile, Elmer non gli
aveva
dato tregua. Ogni qual volta veniva a sapere della sua presenza
nell’azienda,
lo rincorreva per convincerlo a fare una pubblicità della
ACME in televisione.
Bugs non intendeva farlo. La cosa non gli interessava, inoltre lui era
disponibile a fare pubblicità ad un’azienda come
quella finché si trattava di
aiutare un amico, ma se si parlava semplicemente di soldi non se ne
faceva
nulla. E poi ci avrebbe rimesso la faccia!
Fece per
uscire ma si bloccò, come se si fosse dimenticato qualcosa.
Si diresse di nuovo
vero la scrivania di Wile e si sporse verso di lui.
«Comunque,
prenditi cura di te. Mi sembra davvero giù di tono. Posso
consigliarti un modo
per stare meglio?»
«Sentiamo.»
Disse sbuffando, sapendo che si sarebbe pentito di quella concessione.
«Sesso.
Non
c’è niente di meglio per i nervi.» E
prima che Wile potesse commentare la cosa
in qualche modo, Bugs gli prese il viso tra le mani e gli
schioccò un rumoroso
bacio sulle labbra, per poi liquidarsi, lasciando Wile a pulirsi la
bocca con
la manica della camicia.
*
Solitamente,
nulla riusciva a turbare la sua mente.
Bugs, con i
suoi discorsi privi di senso costellati di piccoli e disgustosi
spezzoni di
vita quotidiana, intaccava semplicemente la sua calma. Forse riusciva a
farlo
perché tra loro c’era stata una sorta di relazione
fatta di occasionali
incontri a sfondo sessuale.
D’altronde,
Wile era sempre stato chiaro. Non era interessato alle relazioni
sentimentali o
alle convenzioni sociali; non aveva mai affermato di non essere
interessato al
sesso.
Bugs era
sempre riuscito, in un certo senso, a comprendere questo suo bisogno
senza
ricamarci sopra un discorso generale sulla moralità o sul
sesso come forma
d’amore.
Quel tipo
con i denti da coniglio non giudicava mai nessuno. Lui stesso aveva
avuto
innumerevoli relazioni fisiche con donne e uomini di cui sapeva a mala
pena il
nome. Non che fosse un poco di buono, semplicemente amava cambiare e
sperimentare.
Anche se, da
ciò che aveva potuto intuire, Bugs ora si dedicava
interamente alla “relazione”
con il suo migliore amico. E per quanto Daffy cercasse di nasconderlo,
alcune
cose erano trapelate da quella sua boccaccia anche in diretta
televisiva.
Signor Duck, può dirci se ultimamente ha
avuto… un flirt con qualche bella donna?
Femmine? Naaah. E’ più divertente uscire con
Bugs.
Che idiota.
Ad ogni
modo,Wile era un po’ diverso da Bugs. Non andava pazzo per la
gente attorno a
sé, e non lo attirava l’idea di andare a letto con
un persona diversa ogni
settimana.
In fondo, la
cerchia delle persone che gli suscitavano attrazione non era
così estesa.
Oltre a
Bugs, aveva avuto qualche sporadico flirt di poca importanza, con
persone della
quale non rammentava nemmeno la faccia. Era sua piena convinzione che
(con
poche eccezioni) tutti attorno a lui fossero semplicemente degli
stupidi che
non comprendevano il suo brillante estro, per tanto tendeva a non
essere particolarmente
fisionomista.
Anche i suoi
colleghi erano per lui meno di niente. Non fosse stato per i cartellini
di
riconoscimento che usavano portare sul taschino della camicia,
probabilmente
avrebbe presto scordato i loro nomi.
Preferiva
riempire il suo cervello con qualche nozione interessante, piuttosto
che con
inutili volti e nomi insignificanti.
«Me!»
Ma
c’era
quel dannato suono, quel volto infantile, quel nome che stranamente gli
ricordava una branca della zoologia… tutte queste cose si
erano insinuate nella
sua mente e non lo lasciavano in pace.
Forse era
l’irritazione.
No, non era
irritazione era qualcosa di simile…
all’insoddisfazione, alla frustrazione. Era
come se avesse qualcosa che gli sfuggiva continuamente dalle dita, un
bisogno
insoddisfatto che non sapeva spiegarsi e che non poteva saziare. Un
tormento,
un tormento privo di senso tra l’altro.
Quasi si
dimenticò di avere tra le mani un mini –televisore
che sarebbe potuto esplodere
da un momento all’altro, ma una lieve scintilla glielo
riportò alla mente.
Nello stesso
istante, Road fece il suo ingresso.
Teneva le
mani dietro la schiena, indossava una camicia azzurra a maniche corte e
dei
jeans. Non si adattavano molto alla sua capigliatura giovanile, ma
visto il
modo in cui li portava ( camicia abbottonata male e per metà
fuori dai pantaloni
) Wile immaginò che non
gli importasse più di tanto.
«Che
vuoi?»
Chiese,
tornando a lavorare al mini – televisore. Road non disse
niente, si limitò ad
avvicinarsi alla scrivania di Wile e ad osservare il suo lavoro con
aria
curiosa.
Evidentemente
non era stato mandato a fare una commissione o cose del genere, ma
aveva
semplicemente un momento libero.
E
perché
diamine quel moccioso veniva nel suo ufficio quando non aveva nulla da
fare?
Quando
lo
vide poggiare le mani sulla sua scrivania ebbe come un fremito. Forse era
perché, a parte Bugs, nessuno gli
si avvicinava mai così tanto.
Non seppe
perché, ma prese a guardare le mani del ragazzino con
interesse, come se
avessero qualcosa di particolare.
Road iniziò
a fissare in modo insistente il mini –televisore che Wile
teneva tra le mani
(che sprizzava ancora qualche scintilla) e, prima che l’uomo
potesse
accorgersene, la prese lui.
Wile si
ritrovò spiazzato, mentre Road si rigirava tra le mani il
piccolo apparecchio
con entusiasmo.
«Ehi,
che
cavolo fai!?»
Quando
si
rese conto della cosa, Wile si sporse verso il giovane cercando di
recuperare
il mini – televisore prima che potesse esplodere o mandare
scosse elettriche.
Perché era sicuro che con quell’aggeggio non
serviva far parte del club di
Murphy per avere dei problemi, era sufficiente rientrare nella
categoria degli
esseri viventi.
Runner si
allontanò di un passo dalla scrivania, impedendo a Wile di
prendere l’oggetto,
e continuò tranquillamente ad osservalo con aria curiosa con
i grandi occhi
neri, senza sbattere le palpebre.
Non accadde
nulla.
Il mini –
televisore smise di sprizzare scintille, Road non prese nemmeno una
lieve
scossa, ne ci furono esplosioni di sorta.
Wile rimase
basito. Se lui avesse maneggiato a quel modo un oggetto tanto
pericoloso, come
minimo i suoi capelli sarebbero stati avvolti dalle fiamme. Ma anche
una
persona comune avrebbe preso come minimo una scossa elettrica
abbastanza forte
dal farlo desistere dal tenere in mano la fonte di essa.
Invece a
quel ragazzino non accadeva nulla, e lui non sembrava nemmeno rendersi
conto
della singolarità della cosa.
Wile non
seppe perché, ma il fatto, oltre che ad affascinarlo, lo
irritò terribilmente.
«Ridammi
quell’affare!»
Urlò,
strappando di mano il mini –televisore a Road (che parve
rimanerci un po’ male)
ed osservandolo come se qualcosa fosse andato storto, premendo pulsanti
a caso
nel tentativo di provocare una qualche reazione.
E ci riuscì.
Il piccolo schermo dell’oggetto esplose, facendo cadere a
terra pezzi di vetro
e sparando del fumo nero e delle scintille contro la faccia di Wile.
Gli
occhiali protettivi impedirono all’uomo di subire lesioni
permanenti al bulbo
oculare, ma non evitarono qualche piccola scottatura sul viso e una
ciocca di
capelli in fiamme (che fu tuttavia prontamente spenta).
Wile lasciò
cadere a terra il resto dell’apparecchio televisivo e non
disse nulla. Si
sentiva come… preso in giro.
Road lo
osservò con un po’ di preoccupazione negli occhi.
Era strano.
Sembrava un bambino che ha, per la prima volta in vita sua, assistito a
qualcosa di brutto.
Il ragazzino
allungò la mano verso il viso di Wile, ma questi gli
afferrò violentemente il
polso. Nel farlo, Wile avvertì come una sorta di scarica
elettrica, ma non di
quelle che era abituato a sentire di solito. Rimase muto, fissando quel
moccioso irriverente con occhi esterrefatti. Si sentì
stupito, spaventato ed
estasiato al tempo stesso, come se toccare la pelle di quel ragazzo
(anche se
con addosso dei guanti) fosse la cosa migliore che potesse capitargli,
l’unica
cosa bramata tutta una vita… una sorta di traguardo.
Si riprese
solo quando il giovane si liberò dalla sua presa ed
indietreggiò con aria adombrata.
Wile sbatté
un paio di volte le palpebre, come per tornare alla realtà.
Non gli era mai
capitato di sfuggire dalla propria dimensione a quel modo. Solitamente
vi era
come ancorato, e di questo ne faceva anche vanto; ma per la prima volta
in vita
sua si era ritrovato a sfruttare qualcosa che non sapeva di avere.
La fantasia.
Gli ci volle
qualche secondo per realizzare su cosa aveva fantasticato, e la
risposta si
trovava sulla soglia del suo ufficio, in procinto di andarsene.
«Ehi!»
Urlò,
non
sapendo comunque cosa avrebbe dovuto dire o fare dopo di quello. Road
gli risparmiò
la fatica.
Si voltò verso
di lui con aria offesa e… gli fece una la linguaccia, per
poi correre via. Wile
rimase in piedi, immobile e dopo pochi secondi udì
distintamente fruscii di
fogli e rumori di cose che cadevano provenire dal fondo del corridoio.
*
La
sveglia
suonò. Servì solo a ricordargli che doveva andare
al lavoro, poiché Wile era
già sveglio da diverse ore. Non era riuscito a chiudere
occhio, e a nulla erano
valsi gli sforzi per ribaltare la situazione.
Wile
detestava quando Morfeo si rifiutava di accoglierlo fra le sue braccia,
perché
era cosciente del fatto che il cervello necessita di riposo costante, e
che se
questo gli viene negato i movimenti e le capacità cognitive
vengono gravemente
compromessi; e lui non poteva certo permettersi contrattempi del
genere, non
col suo lavoro, non con le nozioni che doveva ancora apprendere e
sviluppare; non
con tutti quei pensieri che vorticavano incessanti e che necessitavano
di
un’attenta analisi.
Scostò le
coperte e spense la sveglia. O meglio, consapevole del fatto che
probabilmente,
toccandola, sarebbe accaduto qualcosa di spiacevole, la
colpì con il manico di
una scopa che teneva sempre accanto al letto.
Anche se era
abituato agli incidenti, voleva che casa sua subisse meno incendi
possibili.
Arrivato in
salotto, dovette fare attenzione a non pestare il trenino elettrico in
movimento, ed evitare le tessere di domino disposte verticalmente e che
formavano un percorso ben delineato.
Oltre a
quello, c’erano vari interruttori a cui bisognava prestare
attenzione. Alcuni
erano lì, in attesa, da talmente tanto tempo che Wile
faticava a ricordarsi
cosa avrebbero scatenato se fossero stati azionati.
Sul tavolo
da pranzo erano sparpagliati vari progetti, e con essi oggetti da
disegno, come
righelli e matite.
Una volta vi
lavorava anche nei momenti di pausa in ufficio, ma aveva presto capito
che non
poteva farlo.
Ogni qual
volta i suoi colleghi lo vedevano con tutto quel materiale da disegno,
osservavano con un sopracciglio alzato i progetti ed esclamavano:
Che roba è?
Cos’è? Una specie di macchina
del tempo?
Che fai, Coyote? Costruisci le sorpresine
degli ovetti?
Per tanto
aveva deciso che avrebbe sviluppato le sue idee in privato.
Solitamente,
ogni mattina beveva una tazza di caffè nero, sistemava delle
casette per
uccelli colme di mangime fuori dalla finestra, caricava correttamente
tutti gli
orologi presenti in casa ed, in fine, lavorava per qualche minuto ai
propri
progetti, per poi andare al lavoro.
Ma quella
mattina non riuscì affatto a ragionare sui suoi lavori. Un
certo suono, che
continuava a riecheggiargli nella
testa,
glielo impedì.
E quel suono
era:
Me! Me! Seguito da una sonora
linguaccia.
Arrivato
sulla soglia dell’ingresso della ACME, aveva avuto un momento
di esitazione.
Non era dovuto a un pensiero folgorante o ad una dimenticanza ora
rimembrata,
ma alla vista di Road nel corridoio.
Il ragazzino
gli dava le spalle, ed era impegnato a mettere in ordine alcuni
raccoglitori.
Wile si era
come bloccato, ed era rimasto a fissarlo fuori dal portone in vetro.
Quando Road
si era allontanato, Wile aveva per un attimo potuto scorgere la propria
espressione riflessa nel vetro. Ed
era
un’espressione quasi animalesca, i suoi occhi castani erano
ancora impregnati
di… desiderio? Era
quello che aveva
visto nel proprio riflesso?
Era
trasalito ed era praticamente corso via.
Invece
di
dirigersi subito nel proprio ufficio, decise di passare un momento nel
cortile
dietro l’azienda, a riflettere. Arrivava sempre qualche
minuto prima, perciò
poteva permetterselo.
Si sedette su una
panchina e si mise a fissare il cielo, disegnando e cancellando delle
disequazioni immaginarie. Iniziò anche a parlare da solo.
«Okay,
vediamo di ragionare.»
Su che cosa?
«Sui
miei
vuoti mentali e sul mio rilascio di endorfine ingiustificato. Non
capisco a
cosa siano dovuti.»
Pensaci bene. Quando si sono presentati?
«Dunque.
Il
rilascio di endorfine si è presentato per la prima volta
ieri, ma mi desta
comunque preoccupazione.
Inoltre è stato seguito da un temporaneo distacco dalla
realtà.»
Ragiona. E’ accaduto qualcosa di insolito?
«Mmh…
bè,
sì. Runner è venuto nel mio ufficio
e…»
E…?
«…
e l’ho
toccato.» Disse come se avesse appena realizzato
cos’era accaduto.
«Uh-uh!
Davvero?»
«Sì,
davve…
un momento!»
Si
rese
conto, improvvisamente, che non era stata la voce nella sua testa a
parlare, ma
una proveniente da dietro la panchina sulla quale era seduto. Si
girò,
poggiando le mani sullo schienale della panchina come se stesse
affacciato ad
una finestra.
Vide Bugs
comodamente seduto sull’erba, che lo guardava sorridendo.
«Bugs…
che
cavolo stai facendo?»
«Ascoltavo
uno che parla da solo. Tu che fai?» Disse con aria tranquilla
ed innocente.
«Devi
smetterla di farmi questi scherzi!»
«Pensavo
che
avessi imparato, dopo tanto tempo, che la voce che ti risponde quando
conversi
da solo è la mia.»
Wile
si
passò una mano sulla fronte. Doveva ammettere che Bugs gli
faceva quello
scherzo da talmente tanti anni, che avrebbe dovuto iniziare a guardarsi
attentamente attorno prima di iniziare a parlare con se stesso. Come
prevenzione.
Smise di
guardarlo e ritornò a sedersi normalmente.
Acquistò una posa austera e parlò a
Bugs, tenendo però lo sguardo fisso davanti a sé.
«Ad
ogni
modo, ciò su cui stavo riflettendo non è affar
tuo. Ti pregherei di lasciarmi
solo mentre il mio cervello geniale elabora ipotesi.»
«Chiami
quel
tipo di pensieri “ipotesi”?» Chiese Bugs,
appoggiandosi allo schienale della
panchina. Wile assunse un’aria di sufficienza.
«Certo.
Come
altro dovrei chiamarli?»
«Magari…
fantasie sessuali?»
Wile
si
irrigidì di colpo. Non perché fosse scandalizzato
da ciò che Bugs aveva appena
detto, ma perché si senti improvvisamente un… quasi -stupido, poiché lui
non aveva minimamente pensato alla
componente sessuale di ciò che gli stava accadendo. Era
stato quasi più
propenso a credere che si trattasse di una sorta di malattia
metabolica, o di
un avanzamento di pressione dovuto allo stress e al troppo lavoro.
Un momento! Vediamo di riordinare le idee.
In effetti, il rilascio di endorfine e i battiti accelerati sono
entrambi
sintomi di una qualche eccitazione sessuale. Ma se è
effettivamente questo il motivo
dei miei disturbi, e questi si sono presentati in presenza di Road,
ciò
significa che…
«Che sei
attratto da lui.»
Wile
sobbalzò.
«Ma
tu cosa…
come…!?»
«Amico,
davvero
non ti accorgi di parlare ad alta voce? Hai della ghiaia nella testa
che fa
scivolare i pensieri fuori dalla tua bocca?»
L’uomo
coi
capelli castani ebbe un momento di confusione. Pensò
contemporaneamente al
fatto che sembrava non avere più il controllo sulle parole
(come se fosse
affetto da una sorta di sindrome di Touerette contenuta), ai suoi
disturbi
legati ai neurotrasmettitori (dannate endorfine) e alle sue continue
fughe
dalla realtà. Si massaggiò le tempie; sentiva
come se la sua mente fosse
sovraccarica di un peso sconosciuto che però non stava
fermo. Vorticava e non
gli dava tregua.
Lui, che
solitamente si ritrovava a ragionare coscienziosamente e a mente fredda
su ogni
tipo di problema, in quel momento di sentiva in balia di qualcosa che
non
sapeva spiegare.
Lo odiò.
«Vado.
Devo
iniziare a lavorare, non posso permettermi di saltare la giornata come qualcuno.»
Disse
alzandosi e facendo finta di pulirsi le mani sulla giacca, come se
volesse
darsi un tono.
Bugs mise le
mani sui fianchi e lo guardò scuotendo la testa.
Certo che in
quanto orgoglio e vanità, Wile avrebbe potuto quasi
raggiungere Daffy. Bugs si
domandò se non fossero proprio quelle caratteristiche a
rendere un uomo
attraente ai suoi occhi, visto che aveva avuto una relazione con Wile e
quella
con Daffy era ancora in corso.
«Ehi,
non
preoccuparti, vecchio mio. La tua attrazione è
comprensibile. Ho visto quel
Runner quando sono venuto a trovarti» Wile si
bloccò «è carino. Forse un
po’
troppo giovane, ma carino.»
L’altro
finse di ignorarlo e si diresse verso l’ingresso.
*
Nei
corridoi, mentre percorreva la strada che lo avrebbe condotto nel
proprio
ufficio, aveva incrociato Road, intento a trasportare dei raccoglitori.
Come ogni
giorno, lo aveva salutato con un quasi impercettibile cenno della mano,
e si
era aspettato che, come ogni giorno, Road avrebbe mosso la testa con
uno scatto
in segno di risposta.
Invece,
nonostante lui avesse compiuto quello sforzo sovraumano che era
salutarlo
normalmente, Road si era voltato dall’altra parte con aria
offesa e si era
allontanato.
Wile aveva
dovuto trattenersi dal corrergli dietro; forse perché oramai
quella di
inseguirlo era diventata una sorta di abitudine, o forse
perché iniziava a non
poterne più fare a meno.
La medesima
cosa accadde il giorno dopo. E il giorno dopo ancora… e
anche quello
successivo.
Perché mi sento come una sorta di
stalker
incapace?
Da
quando
aveva parlato con Bugs, la situazione non aveva fatto altro che
peggiorare. Gli
sembrava che il suo cervello fosse stato svuotato di ogni buon senso,
per
essere riempito con le immagini di quel moccioso.
Odiava che
ciò accadesse, perché gli sembrava di aver perso
tutto ciò che lo rendeva
migliore degli altri.
Ma non
incolpava se stesso, ovviamente. Incolpava quel dannato lobo del
cervello che
faceva sì che l’istinto prevalesse talvolta sulla
ragione, incolpava quella
macchina sforna – ormoni che era il corpo umano, incolpava
soprattutto quel
ragazzino che, con fare innocente, gli era stato attorno per
giorni… prima di
decidere di ignorarlo completamente!
A pensarci bene… perché il
moccioso si sta
comportando così?
Un
trenino
elettrico in un angolo iniziò a muoversi e a sbuffare.
L’unica cosa che azionò
fu un’altra pista elettrica (di macchinine, questa volta).
Wile non ci fece
nemmeno caso, la sua mente era tornata a qualche giorno fa, quando
aveva
afferrato Road per il polso in malo modo. Forse lo aveva spaventato.
Si trattava
pur sempre di un ragazzino, per di più con un aria non molto
sveglia, chissà
cosa poteva aver pensato.
Forse dovrei…
Deglutì.
La
parola che stava per affiorare nella sua mente non era mai stata
applicata alla
sua persona. Non un'unica volta in vita sua aveva pensato di dover
ricorrere a
questo espediente sociale, di dover compiere questo gesto nei confronti
di
qualcuno.
… scusarmi.
Il
trenino
sbuffò. Wile ebbe un sobbalzo.
*
Raramente
si
recava a mensa per mangiare. Era risaputo che godeva della solitudine
con la
propria mente, e che riteneva i propri colleghi delle sorta di scimmie
dotate
di pollice opponibile ( anche se quest’ultima opinione se
l’era tenuta per sé),
ma stare da solo con i propri pensieri ultimamente non gli giovava.
Inoltre, Road
si era recato nel suo ufficio di rado negli ultimi giorni, e si era
limitato a
posare delle fotocopie sulla scrivania e a levare le tende.
La mensa era
l’unico posto in cui era certo di incontrarlo; ed era anche
sicuro che,
notandolo, Runner non avrebbe certo lasciato il proprio cibo nel piatto
semplicemente per allontanarsi da lui. Lo aveva già visto
mangiare. Era un vero
ingordo.
Si ritrovò
seduto ad un tavolo con altri due colleghi. I cartellini riportavano i
nomi di
“ Bryce” e “ Arnold”.
Wile non
avrebbe saputo dire se corrispondevano al vero, ma volle fidarsi di
quei
rettangoli plastificati.
«Strano
vederti qui, Coyote. Che succede? Ti sei dimenticato di portarti il
pranzo da
casa?»
Wile
bevve
un sorso di caffè.
«Non
dire
sciocchezze» l’altro parve offeso, ma Wile non ci
diede peso «sono qui solo per
parlare con Runner.»
Vide
i due
uomini trattenere una risata. Non ne capì il motivo, ma la
poca considerazione
che aveva di loro gli impedì di fare domande.
Cercò il giovane con lo sguardo,
che sperò davvero non fosse quello famelico che aveva visto
giorni prima
riflesso nel vetro.
Quando lo trovò,
non poté fare a meno di sentirsi un po’ agitato.
Era seduto
ad un tavolo da solo e teneva lo sguardo basso. Stava mangiando una
pannocchia,
mordendola in stile “Jerry Lewis alla macchina da
scrivere”. Qualche chicco gli
rimaneva attaccato alla faccia e lui, prontamente, lo staccava e se lo
mangiava.
Wile non
riuscì a capirne bene il motivo, ma gli venne voglia di
portargli un vassoio
ricolmo solo di chicchi di gran turco per vedere a quale
velocità li avrebbe
mangiati.
Alla fine
attribuì questo suo pensiero alla sua ossessione per le
casette per uccelli per
i volatili (il nome del ragazzino continuava a ricordargli lo studio
dell’ornitologia).
«Allora,
Coyote, non vai a… parlarci?»
Wile
si girò
di scatto verso l’uomo che aveva appena parlato (Arnold?)
notando un’altra
risatina sommessa, e domandandosi perché quel tipo si stesse
interessando degli
affari suoi.
Sospirò e si
alzò. Certo, non gli andava di fare le sue
“scuse” (come se le virgolette
immaginarie cambiassero la parola) davanti a tutti, ma se davvero
voleva
(doveva) farlo non c’era scelta.
Road
non si
accorse della sua vicinanza, nemmeno quando Wile lo chiamò
per nome. L’uomo
ritenne che fosse troppo occupato a mangiare per poterlo udire,
perciò gli
diede un leggero colpetto sulla spalla con il dito indice, e lo fece
molto
velocemente per non ritrovarsi in un’altra dimensione come
l’ultima volta che
aveva avuto un contatto fisico con lui.
Il ragazzino
si voltò verso di luì. Gli ci vollero due secondi
per accigliarsi, per
trasformare quel viso giovanile un po’ assente, in quello di
un moccioso
indispettito.
«Ehm…
salve.» Disse cercando di sorridere, riuscendo solo ad
esporre lievemente i
denti.
Road
piegò
la testa da un lato e lo fissò. Sembrava curioso.
Wile si
passò una mano sulla faccia, per poi fermarla sulla bocca.
Le sue parole
uscirono leggermente ovattate, ma del tutto comprensibili.
«Senti…
non
sono abituato a questo genere d’interazioni, per cui
andrò dritto al sodo.
Evidentemente ti ho offeso in qualche modo, anche se non ne avevo
intenzione.
Se è così allora mi… » si
guardò attorno, era evidente che alcune persone lo
stavano tenendo d’occhio, con sguardo insaziabile di fatti
altrui.
Si tolse la
mano dalla bocca e guardò Road dritto in faccia.
«Mi
dispiace, okay?» Fu come se il suo orgoglio gli fosse
scivolato sotto le
scarpe. Non guardò nemmeno la reazione di Road, si
voltò dall’altra parte ed
iniziò (forse per la prima volta in vita sua) a parlare a
vanvera.
«Ma
devi
comprendere! Insomma, non hai fatto altro che gironzolare nel mio
ufficio per
giorni, e metterti a correre a casaccio ogni qual volta che ti
assegnavo un
compito; come se non bastasse mi hai interrotto durante il mio lavoro
di
revisione, ti sei preso involontariamente gioco di me, e per colpa tua
non ho
nemmeno potuto ragionare a mente lucida per giorni!»
Si
girò
verso il ragazzino. Notò che lo guardava con aria confusa,
tenendo un
sopracciglio alzato. Alcune persone ( compresi quei due uomini di nome
Bryce e
Arnold) si misero a ridere in maniera più evidente e sonora
di quanto non
avessero fatto prima.
Li guardò
con circospezione e poi tornò a guardare Road. Con sua
grande sorpresa, il
moccioso aveva preso un tovagliolo, e ora ci stava scrivendo sopra
qualcosa.
«Dì
qualco…»
Si
bloccò
vedendo Runner che alzava il tovagliolo (ora recante una scritta) e
glielo
mostrava.
“Mi
dispiace, non ho capito quello che mi hai detto.
Ti sei
voltato e non sono riuscito a leggerti le labbra, e comunque non sono
tanto
bravo.”
Wile
sbarrò
gli occhi. Le risate in mensa dilagarono.
Road si
guardò attorno confuso e intimorito, Wile serrò i
pugni e uscì.
*
Congiunse
le
mani e posò la testa sulle ginocchia. Un vento leggero gli
fece ondeggiare i
dread, una foglia quasi ci rimase impigliata.
Sordo. Quel
ragazzino era sordo.
Ecco perché
non gli ubbidiva mai, ecco perché quella volta in cui gli
aveva detto “Corri!”
guardandolo in faccia, lui lo aveva fatto. Ecco perché
sembrava non capirlo,
perché lo guardava sempre con aria confusa.
E i suoi
colleghi… loro lo sapevano.
Glielo
avevano tenuto nascosto.
Fino
all’ultimo, avevano aspettato che lui si mettesse in
ridicolo, sfruttando la
sua inconsapevolezza.
Come ho fatto a non accorgermene?
Facile.
Era
disinteressato agli altri a tal punto da ignorare qualsiasi anomalia
comportamentale, e aveva sottovalutato Road, classificandolo
semplicemente come
stupido, senza badarci troppo.
Curioso.
Negli ultimi tempi la sua mente era stata occupata quasi totalmente
dalla sua
immagine e da quel suo Me!, ma non
una volta aveva pensato a cosa potesse realmente significare quella
strana
peculiarità.
Forse era
l’unica parola che Road era capace di pronunciare
correttamente… forse…
Sentì un
colpetto sulla spalla e trasalì.
Girandosi,
si ritrovò davanti ad un foglio di carta, con sopra scritte
delle parole in una
calligrafia piuttosto elegante e concisa. Svelta,
era la parola giusta.
“Posso
sedermi qui?”
Vide
il
ciuffo tinto di blu e gli occhi nero pece di Road sbucare da dietro il
foglio.
Wile rimase
talmente attonito da non poter far altro che annuire. Il ragazzino si
sedette
accanto a lui. Tra le mani reggeva un blocchetto per gli appunti, con
annessa
una penna blu.
Prima che
Wile potesse fare una qualunque cosa, Road si mise a scrivere.
“
Scusa, mi
puoi spiegare cos’è successo prima?”
L’uomo
tentò
di non sorridere. Era sorpreso della deficienza che svelava quel
messaggio. Oh,
non deficienza in senso spartano,
non
voleva essere un insulto. Si riferiva alla mancanza di qualcosa. Nel
caso di
Road, quel messaggio svelava la completa mancanza di malizia e di
timore di
quel ragazzino.
Non aveva
intuito di essere stato preso in giro quanto lui, e non temeva di fare
domande,
a costo di sembrare un po’ sciocco.
Wile indicò
il blocchetto, e Road glielo passò.
Con una
calligrafia rude, scomposta e totalmente diversa da quella del giovane,
Wile
scrisse la propria risposta.
“
Si sono
presi gioco di noi, temo. Hanno voluto farmi uno scherzo e hanno
coinvolto
anche te. Ero venuto a parlarti per chiarire un paio di faccende. Loro
non mi
avevano detto del tuo –problema-“
Solo
dopo averlo
scritto e mostrato a Road, si rese conto che forse la parola problema
avrebbe potuto
urtare il ragazzo.
Quest’ultimo,
però, non sembrò affatto turbato.
Scrisse.
“Non
ti
avevano detto che sono sordo?”
“No.”
“Quindi
tu
non sei arrabbiato con me? “
«Cosa!?»
Quasi
non si
accorse di dirlo.
Road rimase
basito per qualche secondo, perché nell’urlare
quella parola Wile si era sporto
di scatto verso di lui, e ora il ragazzino poteva quasi specchiarsi nei
suoi
occhi marroni.
Road provò
un moto di simpatia per quell’uomo di circa diciassette anni
più grande di lui,
che prima lo guardava basito, col viso vicino al suo, e poi si ritraeva
velocemente mettendosi le mani nei capelli come se avesse appena fatto
qualcosa
di stupido o sbagliato.
Sembrava
come mezzo matto.
Lo trovò
divertente, specialmente quando lo vide scrivere in maniera tanto
frettolosa e
nervosa.
“
Cioè, perché
pensavi che fossi arrabbiato con te?”
“
Gli altri
avevano insinuato che ce l’avevi con me perché
sono sordo, e che pensavi che
non potessi essere utile sul lavoro. Così sono venuto tante
volte nel tuo
ufficio, sperando che tu mi dessi qualcosa da fare, così
potevo farti vedere
che sono capace di fare tutto!”
Che sguardo deciso.
Pensò
Wile.
Si stupì dell’innocenza e della
volenterosità di quel ragazzino.
Inoltre, in
quel momento gli era così vicino, che temette di staccare di
nuovo i piedi
dalla realtà per ritrovarsi in chissà quale
fantasticheria.
Prese un
foglio.
“
Quei
bifolchi hanno detto delle balle. Non sono arrabbiato con te, e non ho
mai
pensato o detto quelle cose. Pensavo, anzi, che tu avessi qualcosa
contro di me
e che mi prendessi in giro, dato che non mi davi mai retta. “
“
Non ti
capivo.”
“
Grazie
(sarcastico), ora lo so.”
“Che
cosa mi
hai detto a mensa?”
Wile
deglutì. Sperava di poter cancellare quella parte, ma
evidentemente non era
possibile.
“
Dal momento
che in questi giorni eri evidentemente arrabbiato con me, ero venuto a
scusarmi.”
Road
annuì.
“
Ero
convinto che mi avessi sgridato o insultato, quando nel tuo ufficio mi
hai
urlato contro e poi mi hai afferrato il polso. Mi hai spaventato, e poi
io non
so leggere bene le labbra.”
E
a quel
punto, nella mente di Wile, si formò a lettere cubiche una
parola che non aveva
mai usato, poiché era sua abitudine utilizzare vocaboli
eruditi, specialmente
quando conversava con se stesso.
Nel vedere
Road con quell’espressione che oscillava tra
l’indispettito e l’intimorito, che
stringeva al petto il blocco degli appunti, riuscì a pensare
solo:
Carino.
Successivamente
si formarono anche i pensieri Che diamine
sta succedendo al mio cervello? e Sono
davvero un pervertito, ma Carino fu
quello che gli occupò la mente per più tempo.
“
Scusami.
Ero arrabbiato, ma tu non avevi alcuna colpa. Spesso precludo alla
gente ciò
che avviene nella mia mente, e non mi rendo conto che gli altri possono
fraintendermi (almeno, questo è quello che mi ha detto una
volta un mio amico).
Senza rancore? “
Con
grande
sforzo di volontà, decise di tendere la mano in segno di
pace.
Okay, sapeva
che se il ragazzino gliel’avesse stretta, probabilmente la
sua coscienza sarebbe
volata via per qualche tempo, facendogli assumere
quell’espressione famelica che
tanto odiava, ma d’altro canto era possibile che Road si
offendesse nuovamente
se lui non avesse…
Non riuscì a
finire di pensare. Con cosa avrebbe dovuto farlo? Col cervello? Troppo
tardi,
era andato in frantumi nel momento in cui il ragazzino lo aveva
abbracciato.
«Me!»
Gli
occhi di
Wile divennero avidi. Ogni centimetro visibile di Road, venne riflesso
nella
sua pupilla, poi trasmesso al suo cervello e memorizzato
istantaneamente. Per
Wile fu come fare delle foto.
Sentì le
braccia del ragazzino che lo stringevano, la sua testa sul petto, il
torace del
più giovane che si alzava e si abbassava a ritmo con i suoi
respiri.
Si sentiva
come se fosse in procinto di esplodere per il troppo calore. Quasi
involontariamente
sollevò le proprie braccia tremanti e le lasciò a
mezz’aria.
Dentro di sé
disse una cosa un po’ stupida, ma che rappresentava appieno
ciò che gli stava
accadendo.
Non sono Wile in questo momento. Sono Coyote.
Fece
per
ricambiare in modo piuttosto vorace l’abbraccio di Road, ma
finì semplicemente
con l’afferrare l’aria. L’altro si era,
infatti, già alzato in piedi, e gli
dava le spalle.
Wile notò
che stava scrivendo qualcosa, ma l’unico pensiero che
riuscì a partorire fu.
Torna immediatamente qui dov’eri prima!
Gli
venne la
grande tentazione di alzarsi in piedi e circondare le spalle di Road
(non seppe
perché, gli venne in mente il termine catturare).
Tuttavia non ebbe tempo di mettere in atto queste sue intenzioni,
perché Road
si girò all’improvviso verso di lui e gli porse un
foglietto.
Lo guardava
fisso, con gli occhi spalancati, come se gli stesse dicendo: Prendilo! Prendilo!
Wile diede
retta a quelle tonde iridi nere, e mentre il ragazzino si allontanava,
l’uomo
notò che sul foglietto era recato un numero di cellulare.
*
Dling!
Un
altro
messaggio. Road rispondeva in meno di dieci secondi, e riempiva almeno
un’intera pagina.
Wile non
avrebbe mai pensato che sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe detto
una
cosa del genere a proposito di Road Runner ma…
«Questo
ragazzo è logorroico.»
E
gli stava
anche facendo spendere una fortuna in messaggi. Appena metteva piede
fuori dal
portone della ACME, il suo cellulare emetteva un piccolo squillo e
compariva il
nome di Road sullo schermo seguito dalla figura di una busta.
-Ciao! Sei già uscito? Scommetto di
sì. Io
sono ancora dentro, ma
tanto io faccio
un’altra strada quindi non ti vedrei comunque. Come vanno le
ferite? Meglio?
Non avevo mai visto una sveglia esplodere
così, eppure quando l’avevo in mano io mi sembrava
a posto. Dovresti procurarti
un casco, i tuoi capelli prendono sempre fuoco.
Comunque, tutto bene?-
Wile
rimaneva interdetto per qualche secondo da quella valanga di parole, e
solitamente rispondeva con un semplice.
- Sì. Tutto bene. -
Non
gli
chiedeva come stava lui. Non perché gli dessero fastidio
quei messaggi o cose
del genere, ma semplicemente non era un tipo di domanda che era solito
porre. E
poi gli pareva superfluo, dal momento che lo aveva visto
all’incirca cinque
minuti prima e stava benissimo.
Inoltre,
sperava davvero che non gli rispondesse, poiché alla fine di
ogni messaggio
Road poneva una domanda, e Wile si trovava costretto a rispondere a sua
volta.
Le sue
speranze furono vane.
-Son contento! Sto bene anche io, anche se
starò meglio una volta arrivato a casa, sono tanto stanco.
Casa tua invece non è un luogo per riposare,
vero? Qualche giorno fa mi hai detto che a casa tua ci sono i trenini
elettrici, devono fare tanto rumore (a dire il vero io non lo so con
certezza,
però i treni grandi producono tante vibrazioni, forse lo
fanno anche quelli
piccoli?), deve essere una casa buffa, come te. Lo è?-
«Io
sarei
buffo?»
Sorrise
tra
sé. Quel ragazzo si era dimostrato molto curioso e
particolare in quegli ultimi
tempi.
Wile aveva
scoperto che andava spesso nel suo ufficio anche quando non era
richiesto
perché trovava interessante vederlo lavorare con tutti
quegli oggetti che, puntualmente,
si mettevano a saltare, esplodevano, emettevano rumori forti e via
dicendo, e
tutto questo provocava delle vibrazioni, cosa che Road adorava. Esatto,
adorava
avvertirle, poiché lo rendevano più partecipe di
ciò che gli accadeva intorno.
Wile aveva
anche scoperto che era quello il motivo per la quale Road diceva spesso
Me!
Oltre al
fatto che era l’unica parola che era riuscito ad imparare
prima di perdere
l’udito, adorava l’effetto che faceva sulle sue
corde vocali. Per questo si
metteva quasi sempre tre dita sulla gola ogni volta che la diceva, per
lui era
come giocare con un mixer.
Wile aveva
trovato la cosa piuttosto infantile, ma non era riuscito, tuttavia, a
sentirsi
infastidito.
Di norma,
qualunque tipo di comportamento stupido, infantile, illogico o anche
solo senza
uno scopo costruttivo preciso, lo urtava (anche se leggermente). Nel
caso di
Road, invece, era riuscito a vedere quella sorta di gioco semplicemente
come
qualcosa di innocente e… simpatico.
Sì, lo aveva
trovato simpatico e la cosa lo straniva molto.
Non era
cambiata la sua visione del mondo. Le cose irritanti rimanevano tali,
semplicemente Road riusciva a non farle sembrare più così irritanti.
Perché quel
ragazzino era… era come un sorta di filtro. Tutto
ciò che arrivava da lui, che
passava attraverso di lui pareva migliore.
Fu ridestato
dai propri pensieri da un colpetto sulla nuca. Corrugò le
sopracciglia e si
voltò.
Si ritrovò
davanti Road con un foglio in mano e gli occhi vivaci spalancati.
“Perché
non
mi hai risposto?”
Recava
scritto il foglio.
Wile si
trattenne dal ridere. Temeva che Road potesse offendersi.
Tirò fuori un foglio
spiegazzato dalla tasca e una penna dall’interno della
giacca. Oramai era
abituato a portarsi dietro qualcosa con cui scrivere, dal momento che
non
conosceva il linguaggio dei segni e quello era l’unico modo
per comunicare con
Road.
E Wile ci
teneva molto a comunicare con lui.
“Il
tuo
messaggio mi ha fatto riflettere sulle vibrazioni sonore.”
Disse,
riuscendo a far sorridere Road.
*
A
questo
punto poteva ritenere corretto definire quei momenti in cui attendeva
trepidante l’attesa di Road, come agguati.
Sperava sempre di sorprenderlo, di comparirgli davanti
all’improvviso e
bloccargli la strada… ma non ci riusciva mai. Era, anzi,
Road a fargli prendere
costanti spaventi con quel suo Me! Me!
improvviso; altre volte, invece, il giovane correva talmente veloce da
non
notare neanche la presenza di Wile poggiato sullo stipite della porta,
e
quest’ultimo rimaneva a guardarlo con gli occhi spalancati
mentre si
allontanava.
Wile si rendeva
conto che quel ragazzino non lo faceva apposta, eppure non poteva fare
a meno
di sentirsi preso in giro.
Era come se
gli fosse impedito di raggiungere lo scopo della sua vita.
Cioè, Wile
in realtà aveva molti scopi nella vita. Inventare qualcosa
che funzionasse,
riuscire a maneggiare oggetti elettrici e non senza finire in ospedale,
ricevere la stima meritata, riuscire a vincere in una conversazione con
Bugs
Bunny (questo punto era totalmente dovuto al suo orgoglio e alla sua
inesauribile voglia di rivincita) e altre cose di massima importanza!
Ma con Road
era diverso, perché lui gli sfuggiva via dalle dita; e
più lo faceva, più Wile
lo desiderava.
Sono proprio messo male.
Pensò. Ma la sua
razionalità non riusciva a compensare la sua ossessione. Era
consapevole del
fatto che tutto questo era folle e… quasi
– stupido, ma non gl’importava, aveva
persino smesso di odiare se stesso…
dopo quattro, lunghissime, interminabili, logoranti settimane di
colloqui con
Bugs, in cui questi non faceva che ripetere “ carino, molto giovane, ma carino”. Wile
aveva smesso di odiare se stesso e
aveva iniziato ad odiare Bugs. Oltre a
questo, gli pareva che il tempo stesse scorrendo per tutti tranne che
per lui e
Road. Era come se si trovasse in un deserto avvertendo la sola presenza
di se
stesso e del ragazzino. Dalla loro
prima “conversazione” erano passati
all’incirca trentasette giorni, e ogni
volta che Wile vedeva Road gli sembrava di essere sempre più
vicino al… niente.
Non poteva
sapere che per Road era tutt’altra cosa. Per lui quel
continuo avvicinarsi e
allontanarsi, quegli scambi di frasi attraverso dei fogli scritti (ed,
occasionalmente, attraverso il labiale e i gesti più comuni
) e quella sorta di
gioco che comprendeva il maneggiare oggetti pericolosi senza alcuna
ripercussione per poi ripassarli a Wile, erano dimostrazioni di affetto
puro. Era
consapevole del fatto che probabilmente volevano dire tanto solo per
lui (e
sapeva anche di essere una persona estremamente semplice)
però la cosa lo
rendeva abbastanza felice.
Wile era
buffo anche se molto intelligente, e non lo annoiava mai,
perché gli accadeva
sempre qualcosa di nuovo. Road
l’aveva
visto una volta nel cortile sul retro che tentava di attirare dei
passerotti
con del mangime per poi potergli fare delle foto. Gli uccellini erano
arrivati,
avevano divorato il mangime e aveva svolazzato attorno alla testa di
Wile per
poi dileguarsi. Ovviamente l’uomo non era riuscito a fare
mezza foto.
Se per Wile
quella non era stata esattamente un bella esperienza, Road
l’aveva trovata una
cosa curiosa, e lui per natura adorava le cose che suscitavano
curiosità.
Era anche
per questo che aveva imparato a leggere e a scrivere prima dei cinque
anni, ed
era per questo che aveva deciso di lavorare come stagista alla ACME.
Esisteva
un posto più vario e strano di quello?
Bè, forse.
Da come gliel’aveva descritta Wile… la casa di
quel buffo genio doveva essere
un posto davvero interessante.
Aaaah… mi piacerebbe molto vederla.
Avrebbe
tanto voluto chiedere a Wile di mostrargliela, ma non era sicuro di
poterlo
ancora fare. Insomma, è vero che per lui tutto
ciò che stava accadendo con Wile
era segno di un affetto crescente, ma mancava un segnale
importantissimo che lo
lasciava un po’ incerto.
Dopo
trentasette giorni, Wile non gli aveva ancora restituito
l’abbraccio!
*
Gli
caddero
a terra cinque cose contemporaneamente. Solitamente non accadeva mai,
perché
aveva imparato a tenersi stretti gli oggetti come se fossero dei figli
(farli
cadere portava dolore e tanti soldi) ma questa volta fu colto
totalmente alla
sprovvista. E un frullatore, una trottola di metallo, una coperta
elettrica,
una pistola finta ( di quelle di scena, che sparano a salve) e una
fionda con sopra
la faccia di Bart Simpson finirono a terra. Straordinariamente nessuno
di
quegli oggetti gli cadde sul piedi o appiccò un incendio, ma
Wile non ci badò
nemmeno.
Dinnanzi a
lui c’era Road.
L’uomo coi
dread era rimasto basito di fronte a delle parole scritte su un foglio
che il
ragazzo teneva tra le mani.
“Vorrei
vedere casa tua.”
Strano
che
non avesse aggiunto domande o altri tipi di punteggiatura per abbellire
il
messaggio (cosa che ultimamente faceva spesso), ma Wile non era
preoccupato
principalmente di questo.
Era la
richiesta a lasciarlo interdetto.
«Cosa?
Perché?»
Furono
le prime
cose che gli vennero in mente. Erano parole semplici, e Road
riuscì a capirle
leggendogli le labbra. Rispose
prontamente sul retro del foglio.
“Non
posso?”
«No!»
Road
parve deluso, così Wile si corresse
«Cioè, non intendevo questo.»
Disse
tutto
molto lentamente ed accentuando il movimento delle labbra e Road
capì. Accolse
il mancato rifiuto con un largo sorriso, che però non
metteva in mostra i
denti. Lui sorrideva sempre in questo modo, con gli occhi sbarrati e
lucidi, e
le labbra serrate.
Wile prese
un blocchetto degli appunti e vi scrisse una risposta con un
calligrafia un
poco tremante.
“
Perché
vuoi vedere casa mia?”
“
Una casa è
come il suo proprietario, dicono. Se ti somiglia, sono curioso di
vederla.”
Wile
si
sentì da principio leggermente imbarazzato, ma il suo
orgoglio e la sua vanità
subentrarono quasi immediatamente e così non poté
non gongolare.
Si sistemò
la fascia che gli teneva indietro i dread con un gesto volutamente
elegante e
poi incrociò le braccia.
«Bè,
non
posso negare di dover apparire interessante, specialmente agli occhi di
un
ragazzo giovane come te.»
Disse
al
vento, non accorgendosi del fatto che Road non stava capendo un parola.
Ma
forse era meglio così, perché stava dicendo
quelle cose più a se stesso che al
ragazzino.
Si girò
verso di lui e, quasi senza pensare, fece un segno affermativo con le
dita,
unendo l’indice ed il pollice. Road sorrise di nuovo e,
frenetico, scrisse sul
foglio un orario che potesse andare bene per recarsi da lui e Wile gli
diede
una rapida occhiata e poi annuì, riuscendo solamente a
pensare al complimento
che gli era stato fatto, e continuando a gongolare.
Solo quando
Road corse via mandando in confusione i corridoi, Wile si rese conto
del fatto
che casa sua poteva anche essere considerata una trappola mortale, e
Road aveva
il vizio di toccare ogni cosa.
«…
accidenti.»
Passò
il
resto della giornata lavorativa a pensare a come rendere innocua casa
sua.
*
Uscito
dall’ufficio aveva percorso la strada più lunga
per tornare a casa, così da poter
riflettere meglio. Oltre alla preoccupazione per i pericoli che stavano
in
agguato in ogni angolo della sua casa, pronti a colpire, sentiva anche
la
profonda ansia che gli aveva procurato realizzare che Road sarebbe
andato da
lui.
Come avrebbe
potuto pensare lucidamente nella sua dimore, da quel momento in poi?
Avrebbe
potuto riflettere sulla teoria delle stringhe, sedendosi sul divano
dove si era
seduto anche Road? Oppure, avrebbe ancora potuto progettare i suoi
macchinari,
disegnando sul tavolo dove Road aveva poggiato le mani?
Avrebbe
formulato un’altra decina di questi pensieri, se non fosse
stato bruscamente
interrotto da quella che li per li gli era parsa una visione surreale.
Aveva
assistito ad uno spettacolo a suo dire patetico.
Senza
accorgersene aveva sostato davanti agli studi cinematografici. Se se ne
fosse
reso conto, di certo si sarebbe allontanato il più presto
possibile.
«Daffy!
Si
può sapere dove stai andando!?»
«Lontano!
Ad
Alburquerque, magari!»
«Eddai,
amico, non sfottere!»
Di
fronte ai
cancelli aperti con delle guardie ai lati, c’erano Daffy Duck
e Bugs Bunny
intenti a litigare. Daffy indossava un completo nero e bianco molto
elegante, e
teneva il farfallino sciolto. Dietro di lui Bugs teneva un
abbigliamento
decisamente meno usuale di quello del collega, e che saltava
decisamente
all’occhio.
Era quello
di una ballerina di can can. Rosso fuoco, pieno di pizzi, e con un boa
di
struzzo che gli circondava le spalle e arrivava fino ai polsi,
ricadendo
dolcemente. Sulla testa aveva una piccola banda argentata, con in cima
una
piuma rossa e nera, e ai piedi delle scarpe col tacco rosso scuro.
Camminava
con passo svelto, creando una sorta di effetto svolazzante per via di
tutta la
roba che aveva addosso.
«Io
questo
non lo faccio! Ti scordi che Daffy Duck si umilii
così!»
«E’
solo una
versione alternativa di Moulin Rouge, Daffy. Non essere così
negativo.»
«Ah!
Io
sarei negativo? Forse tu non ti rendi conto del fatto che ballare con
un
travestito non è esattamente il massimo per un uomo del mio
livello!»
«Oh…
allora
non ti farà piacere sapere che ho già consigliato
il tuo nome per la parodia
del Rocky Horror, vero?»
«TU
SEI
DAVVERO PESSIMO!»
Avrebbe
voluto aggiungere altro, ma
si bloccò
vedendo Wile che li fissava incredulo e sconcertato.
Daffy si
ricompose velocemente, annodandosi anche il farfallino e fece per
andarsene.
Passando accanto a Bugs fece un gesto di sufficienza con la mano verso
Wile.
«C’è
il tuo
amico pedofilo.»
Una
scossa
di rabbia e sbigottimento attraversò la testa di Wile,
costringendolo a
storcere la bocca e serrare i pugni. Daffy di liquidò e Bugs
rimase fuori dai
cancelli vestito da donna di fronte ad un Wile piuttosto arrabbiato.
Si avvolse
nel boa di struzzo e assunse un aria disinteressata.
«Bugs... che cosa
hai raccontato a quel
pazzoide?»
L’altro
fece
finta di niente. Girò sui tacchi e si diresse
velocemente verso
una delle guardie ai cancelli, bisbigliandogli qualcosa
all’orecchio. Vista la
preoccupazione che aveva letto negli occhi di Bugs, Wile dedusse che
probabilmente aveva chiesto alla guardia di non lasciarlo assolutamente
avvicinare.
Eppure il
principale pensiero dell’uomo non era quello di prendere Bugs
a pugni. Nella
sua mente si era annidato un tarlo fastidioso,
che Bugs nelle settimane precedenti aveva tentato
d’inculcargli solo per
divertimento; ma le parole di Daffy erano riuscite a farglielo sentire
molto
chiaramente, quel tarlo che ora sembrava mordergli la mente.
"Pedofilo!"
Quella
parola non gli piaceva per niente. Inoltre, lui non poteva definirsi
certo a
quel modo!
Era attratto
da Road (molto, molto attratto) e
dal
momento che quest’ultimo aveva diciotto anni compiuti, non
poteva assolutamente
definirsi un bambino, per tanto Wile non meritava di essere appellato
con quel
termine disgustoso!
Ma poi
perché dava credito alle parole di Daffy Duck? Mai in vita
sua gli era
importato del parere di qualcuno, men che meno di quello di
quell’attore
starnazzante.
E allora
perché non riusciva a smettere di pensarci?
Perché stava prendendo seriamente
quella parola?
Perché è qualcosa che
riguarda anche Road.
Pensò,
e
capì di aver centrato il punto.
*
Spense
tutti
gli interruttori che riuscì a scovare, tolse tutte le
tessere del domino che si
trovavano in testa alle altre (in modo da evitare
un’eventuale accensione) e
cercò anche di creare un percorso attraverso il salotto.
Quest’ultima azione
richiese parecchia concentrazione e molti tentativi.
Dopo essere
riuscito a rendere la casa sicura almeno in parte, Wile non era
riuscito a
distrarsi in altro modo.
Stava
cominciando a sentirsi… sbagliato.
Sentiva che ciò che Road gli aveva chiesto era sbagliato, il
fatto che lui
avesse accettato era sbagliato… sentirsi così
ansioso e (sì) euforico era
sbagliato.
Per la prima
volta da quando si era reso conto della propria attrazione per Road,
aveva
realizzato di essersi come umanizzato (cosa piuttosto fastidiosa) e
questo gli
aveva permesso di avvicinarsi al ragazzino in maniera abbastanza
naturale, ma
non gli aveva concesso di riflettere a mente lucida su ciò
che stava facendo.
Fino a quel
momento non aveva mai realmente dato importanza
all’età di Road.
Perché
avrebbe dovuto? Non aveva certo pianificato di avere a che fare con lui
in modo
tanto coinvolgente; per lui, inizialmente, quella era stata una
semplice
fantasia dovuta ad un’animalesca attrazione sessuale che
sarebbe rimasta, appunto,
una fantasticheria.
Questo era
quello che il suo cervello geniale aveva pianificato, ciò
che era accaduto in
seguito era stata colpa (merito) della parte primitiva del suo
encefalo, del
tutto fuori dal suo controllo.
E per
qualche momento, lo ammetteva, gli era piaciuto dare spazio a quella
sua parte
primitiva; a Coyote, per
così dire.
Solo ora si rendeva conto che quella parte di lui si era ridestata per
quello
che non era nulla di più di un ragazzino.
Il fatto che
legalmente fosse un adulto, non lo includeva necessariamente nella
categoria.
Era innocente, ingenuo, una persona che sorrideva anche guardando fuori
dalla
finestra, che non esitava ad essere felice e che adorava stare in mezzo
alle
persone.
Dentro di
sé, Road era come un bambino.
Tutto ciò,
Wile lo adorava. E per questo, si sentiva in colpa.
*
“Tutto
bene?”
Chiese
il
ragazzino, utilizzando il linguaggio dei segni.
Ultimamente
lo faceva, perché Wile aveva insistito, dal momento che si
era ripromesso
d’impararlo. Non era facile, per niente. Conosceva solo i
termini più semplici,
e Road lo capiva. Perciò si limitava ad usare quelli di
tanto in tanto.
“
Certo che
sì.”
Rispose
Wile
a gesti. Road non sembrò molto convinto. Stava recandosi a
casa di Wile, eppure
quest’ultimo, per tutto il giorno, si era mostrato abbastanza
scostante.
Il ragazzo
doveva ammettere con se stesso di esserci rimasto molto male. Gli
piacevano le
attenzioni di Wile, erano momenti
di
allegria e divertimento che spezzavano la noiosa routine quotidiana, ma
quel
giorno gli erano state negate.
Non poteva
sapere che Wile si era trattenuto a stento, logorato da una specie di
senso di
colpa e da un certa, disgustosa parola; per cui Road si era
semplicemente
intimorito un po’. Era anche un po’ triste,
perché forse quel malumore di Wile
era causato dalla consapevolezza della sua imminente visita.
Forse l’uomo
aveva accettato senza pensarci, e ora si era reso conto di non volere
affatto
la sua compagnia.
Si chiuse un
poco in se stesso. Wile lo notò quando vide che Road non lo
stava più fissando
con i grandi occhi neri spalancati.
Nonostante
l’inusuale
mancanza di dialoghi durante il tragitto, quando Road varcò
la soglia della
casa di Wile provò l’irrefrenabile impulso di
stendergli un elenco di
impressioni e domande (quest’ultime anche numerate). Non lo
fece solo per
timore di infastidire l’altro (era triste avere questo tipo
di preoccupazioni
verso Wile) ma non poté trattenere una sfilza di: Me! Me! con tre dita poggiate sulla gola.
Osservò
rapito le piste di trenini (purtroppo spente) alcune anche appese al
soffitto.
Il pavimento
era decorato da tessere di domino in posizione verticale (eccetto
quella in
testa e in coda alla fila) e di piccole
macchine a moto perpetuo dalle forme più svariate. Alcune
erano fatte con una
sequenza di palline, altre erano a forma di delfino, altre di ruote. In
quella
stanza c’era un movimento costante, e a Road infondeva una
certa pace.
Difatti lui
era solito mostrarsi irrequieto e correre all’impazzata nei
posti meno
movimentati o che, secondo lui, necessitavano di una piccola scossa. In
ufficio
teneva sempre quel tipo di comportamento per questo. Se tutto era
immobile e
silenzioso sentiva il bisogno di ravvivarlo.
Una delle
ragioni che lo avevano spesso portato nell’ufficio di Wile,
erano i continui
rumori e scoppi, che facevano di quelle quattro muro una posto
totalmente
diverso dagli altri all’interno dell’edificio. Un
posto che gli piaceva molto.
Ovviamente
sostava spesso lì anche per le vibrazioni, e
constatò che ne riusciva a sentire
in quantità anche dentro quella casa. Le sentiva provenire
dallo sbattere
continuo di quelle palline a moto perpetuo. Probabilmente
ciò accadeva perché
quest’ultimo poggiava praticamente sulle piastrelle del
freddo pavimento. Road
si chiese se non fosse stato Wile a costruire quell’affare.
Il ragazzo
si girò verso Wile e fece il segno dell’OK con la
mano. Si accorse solo dopo
che l’altro aveva distolto lo sguardo.
A quel punto
Road si sentì un poco offeso, ma più di tutto si
sentiva triste. Ripensò con
ansia a quanti giorni erano passati da quando aveva abbracciato Wile.
Ne contò
quarantacinque.
E in quel
lasso di tempo Wile non solo non gli aveva restituito
l’abbraccio… ma forse si
era anche stancato di lui.
A quel
pensiero, Road ebbe una sorta di brivido. Sapeva di essere abbastanza
infantile
da quel punto di vista, ma non gli piaceva che venissero a mancargli
attenzione
e affetto, e odiava che qualcuno ce l’avesse con lui. Aveva
provato questa
sensazione quando i suoi colleghi gli avevano raccontato quelle bugie
su Wile,
e quando era accaduto quello strano episodio nel suo ufficio. Solo che
era
stato diverso all’ora. Era convinto che Wile fosse in torto
e, anche se gli era
dispiaciuto, si era imposto di mostrare il suo disappunto e non
rivolgergli più
la parola.
Ora, invece,
aveva la sensazione di aver fatto lui qualcosa di sbagliato.
Non aveva
idea di che cosa avesse fatto, però. E come poteva, se Wile
non gli diceva
nulla!? Quest’ultimo si era appena seduto sul divano. Pareva
pensieroso e
distaccato, si teneva la testa tra le mani e si mordeva le labbra.
«…
me?»
Fu
ignorato.
Non sapeva se volutamente o meno, ma la cosa lo ferì lo
stesso. Non poteva
sapere che ciò che stava accadendo non era colpa sua, che
Wile era si sentiva tremendamente
in colpa per averlo portato lì, per avergli permesso di
entrare in una sorta di
“intimità” con lui, e che in quel
momento si stava sentendo un vero schifo.
Road non poteva saperlo, per questo si rattristò tanto
quando quel suono, che
aveva sempre destato l’altro dai propri pensieri
per concentrarsi su di lui,
non ebbe effetto.
Senza che
Wile se ne accorgesse, Road si ritirò in cucina con le
braccia rigide lungo i
fianchi.
L’altro
stava ancora riflettendo, ed iniziò anche a pronunciare le
parole ad alta voce
senza accorgersene (non che importasse, dal momento che Road non poteva
sentirlo).
«Perché
l’ho
portato qui? Sto impazzendo, mi sembra quasi di averlo rapito. Ah, no!
Sciocchezze, non è così! E’ lui che
è voluto venire… quindi si tratta di
corruzione? Non in senso legale, certo, però mi sento come
se mi dovesse
entrare una giuria in casa. E’ colpa del consorzio umano e di
tutti i suoi
cavilli! Avrei dovuto starne lontano. Mhpf… come se potessi
decidere da me.
Murphy ha già decretato lo sviluppo e le conseguenze del mio
vivere quotidia…!»
Non
finì la
frase. Vide uno dei trenini elettrici iniziare a muoversi, producendo
dei
piccoli sbuffi. Subito dopo di lui iniziarono le macchinine, e poi
ancora i
trenini appesi al soffitto.
Wile sbarrò
gli occhi e si issò in piedi.
Nello stesso
momento video Road sbucare dalla cucina e osservare i trenini con aria
estasiata.
Cucina?
Si
avvicinò alla
porta aperta e vide le prese che aveva accuratamente scollegato tutte
infilate
nella presa principale. Aveva ritenuto che avrebbe risparmiato tempo
scollegando
la corrente piuttosto che spegnere gli interruttori uno per uno.
Inoltre
aveva riposto un post – it vicino ad esse dove aveva scritto riattaccare! Non era un invito, ne un
promemoria. Era una sua abitudine anche quella. Su alcuna bottiglie
vuote c’era
la scritta riempire, sul cestino
della spazzatura buttare e sul
mobile
dello scolapiatti riporre.
Lui sapeva che quelli non erano
inviti,
Road no. Quindi il ragazzino aveva messo in moto quella specie di campo
minato.
Si fece
strada tra le tessere di domino, facendone inavvertitamente cadere un
fila, il
che fece venire i brividi a Wile. Road allungò una mano
verso la ferrovia
appesa al soffitta, che sprizzava alcune leggere scintille.
Il ragazzino
non pareva preoccupato, infatti non gli accadde nulla.
Se li ci fossi stato io, avrei preso fuoco.
Pensò
Wile,
che era ancora irrigidito dal terrore che il ragazzino potesse
provocare una
sorta di apocalisse in casa sua. Le tessere di domino che aveva fatto
cadere
non avrebbero dovuto azionare nulla, invece l’ultima a cadere
riuscì a spostare
la tessera già a terra, facendole spingere una pallina
d’acciaio che iniziò il
suo percorso su una pista di biglie di cui Wile aveva dimenticato lo
scopo.
L’uomo passò
attraverso le piste e le altre tessere, andando vicino a Road.
Dopo accadde
tutto piuttosto in fretta. Il percorso della pista di biglie si
incrociò con
quello di uno dei trenini (quello che sprizzava scintille) e la biglia
cambiò
il percorso della ferrovia, che si diresse non più verso la
rotonda che lo
avrebbe riportato indietro, ma verso una reticella ricolma di fuochi
d’artificio.
Oh… ora ricordo. Questa l’ho
progettata dopo
la notte di capodanno, dopo aver visto un documentario sui fuochi
d’artificio
cinesi e il film Assassinio sull’Orient Express.
Si riprese
dal quel ricordo oramai inutile. Road guardava con gli occhi sbarrati e
le
labbra serrate i fuochi, la cui miccia era ormai esaurita. Wile
agì senza
pensare.
Mise
entrambe la mani sulla testa di Road, costringendolo ad abbassarsi, e
poi se le
portò alla faccia, come per ripararsi
dall’esplosione… che non avvenne.
Dopo qualche
secondo aprì gli occhi e guardò in alto. Le micce
erano ancora fumanti, ma
spente del tutto. Road era chinato vicino a lui, e lo guardava con
curiosità.
Wile rimase
basito. Da sempre, anche le azioni più semplici avevano
avuto su di lui
ripercussioni non indifferenti, che a volte lo avevano costretto alla
convalescenza.
Ora, invece, aveva praticamente sfidato apertamente la sorte, e non gli
era
accaduto nulla.
Perché?
Si
chiese.
Fece passare lo sguardo da Road ai fuochi un paio di volte. Quei cosi
erano
esattamente sulla sua traiettoria, se fossero esplosi il ragazzo
sarebbe stato
il primo a subirne le conseguenze
«Tu…»
iniziò
senza sapere cosa dire dopo.
«Me?»
Sì, tu! Gli
venne da
rispondere, ma sorrise solamente.
Non
sapeva
come fosse possibile. Andava contro tutto ciò in cui aveva
sempre creduto, a
cui pensava di essere “condannato”. Ciononostante
non poté non pensarlo ed
essere convinto che fosse reale: Road aveva annullato, per quella
volta, il suo
magnetismo murphologico.
A quel
ragazzo non era capitato mai nulla quando aveva maneggiato gli oggetti
pericolosi che Wile stava esaminando. Questo perché (dedusse
Wile) a Road non poteva capitare
nulla!
L’uomo
ricordò quando Road gli aveva chiesto di vedere casa sua.
Gli erano caduti
contemporaneamente cinque oggetti pericolosi, e nessuno di essi lo
aveva
ferito. Quando ciò era accaduto, Road era molto vicino a
lui. Probabilmente non
era successo niente perché altrimenti sarebbe stato
coinvolto anche il ragazzo,
e questo non poteva verificarsi.
Quel
ragazzino era… l’anti –Murphy,
sì. E ciò spiegava perché era riuscito
ad agire
anche su di lui.
Il simbolo
negativo batteva quello positivo. Wile attirava a se la legge di
Murphy, ma
Road la respingeva; e quando gli era vicino faceva sì di tenere al
sicuro anche
Wile.
L’uomo
guardò negli occhi il ragazzo, specchiandosi al loro
interno. Si sentiva
tremare da capo a piedi, sia per il pericolo appena scampato, sia per
il fatto
che Road gli era vicinissimo, rannicchiato accanto a lui, appoggiato
alla sua
spalla.
La mente di
Wile si svuotò.
Dentro di
lui rimase unicamente una profonda gratitudine per quel ragazzo. Si
sentiva
come se gli avesse appena salvato la vita. Per questo lo
abbracciò, circondandogli
le spalle con le braccia e attirandolo a sé.
Sentì una
strana sensazione. Come su il suo cuore (non in senso emotivo,
intendeva
proprio il suo muscolo cardiaco) si colmasse di una sostanza calda
quasi
bruciante, che lo rese più reale. Lo sentì
battere nel petto, nelle vene del
collo e anche nelle proprie orecchie.
Era qualcosa
che aveva già sperimentato in passato, ma non riusciva a
fare collegamenti.
L’odore del
gel per capelli di Road gli impregnò le narici.
Abbinò quell’odore alla
vittoria, come a dirsi: Perché ci
ho
messo così tanto?
Un sorriso
soddisfatto gli affiorò sulle labbra.
Road, invece
sorrise aprendo la bocca. Wile poté sentire il rumore
dell’aria che gli riempiva
i polmoni.
Al contrario
di Wile, il ragazzo non fece pensieri complicati, non
analizzò le proprie
sensazioni o emozioni. Pensò solamente: Che
bello! Non è arrabbiato con me!
E si sentì
felice.
Ricambiò l’abbraccio.
Erano dovuto passare quarantacinque giorni prima che lo potesse fare,
ma in
quel momento non gl’importò.
Certo, l’abbraccio
stava durando un po’ più a lungo di quanto non si
fosse aspettato, ma gli
andava più che bene!
Quel
contatto fisico fu una manna dal cielo per Wile. Abbracciandolo, si
rese conto
di quanto Road non fosse per nulla piccolo o gracile.
Constatò la larghezza
delle sue spalle, notò la linea dei muscoli delle braccia,
persino un sottile
velo di barba ai lati del viso; e la decisione con cui Road lo
stringeva a sua
volta.
Si rese
conto di non avere tra le braccia un bambino, ne un ragazzino, ma un
uomo (un giovane uomo).
Nella sua
mente ci fu l’idillio totale ( e mandò anche a
quel paese Daffy Duck ).
Con
riluttanza sciolse lentamente l’abbraccio. Era come se
temesse che Road gli
sgusciasse via dalle mani, come aveva fatto fino a quel momento.
Lo allontanò
da sé, ma gli mise entrambe le mani sulle spalle. Road
sorrideva ancora.
Si
guardarono negli occhi. Non assorti o emozionati, semplicemente
incantati, come
se qualcuno avesse premuto il tasto pausa.
Wile lo
fissò come se stesse decidendo sul da farsi. Ed era
esattamente questo che
stava facendo.
Dopo giorni
che gli erano sembrati anni, era lì con Road vicino, e lui
gli sorrideva, come
se fosse appena accaduta una cosa tanto attesa quanto inaspettata,
tanto bella
quanto semplice.
L’uomo
pensò:
Okay, geniaccio. Volevi tanto che ciò
accadesse. Ora cosa intendi fare?
«Che
faccio?»
Disse
ad
alta voce. Road gli guardò le labbra e capì, ma
non gl’importò più di tanto.
Osservandolo
meglio, Wile vide che Road stava come tremando. Ma non erano brividi di
freddo o
paura, era come se fosse carico di energia.
«Me!»
*
«
E poi cos’è
successo?» Chiese Bugs con interesse.
Si
stupiva
del fatto che Wile lo facesse ancora entrare in casa sua, che la sua
rabbia per
ciò che aveva raccontato a Daffy fosse sbollita
così presto. Dovette dedurre
che l’uomo era semplicemente troppo felice per rimanere
arrabbiato.
«…
mi è
saltato addosso e ha iniziato ad abbracciarmi e baciarmi sulle guance.
E’
durato qualche secondo e poi si è alzato velocemente e ha
scritto su un foglio Non sei arrabbiato con
me! Non sei
arrabbiato con me! per circa una ventina di volte.»
Lo
disse con
aria stranita ma anche sognante. Bugs non poteva immaginare come si
fosse
sentito a ricevere dei baci sulla guancia da quel ragazzo.
«Ma
è
adorabile! Così carino, giovane e…»
«Fuori
da
casa mia.»
Non
lo disse
con cattiveria o rabbia. Era davvero troppo felice. Oh, c’era
tutto il tempo perché
fosse di nuovo arrabbiato o triste, ma era anche questo che rendeva
quel
momento di felicità qualcosa di speciale. Murphy aveva
decretato per lui una
vita all’insegna della negatività e dei
fallimenti. Wile non aveva mai preso in
considerazione l’ipotesi che questi avvenimenti servissero a
far sembrare di
dieci volte migliori i piccoli episodi felici che si sarebbero
verificati tra
gli uni e gli altri.
Per la prima
volta in vita sua fu contento di appartenere al club Murphy.
Perché Road
apparteneva a quello anti
– Murphy, e le stanze in cui avvenivano i loro
raduni
erano state sistemate l’una accanto all’altra.
FINE
Per questo finale avreste, in
teoria, il pieno diritto di uccidermi. Ehi! Ho scritto la One Shot
più lunga
della mia vita senza metterci dentro una “scena
d’amore” fisica.
Questo perché in questa ff Wile e
Road si erano appena conosciuti, e questo ha posto dei limiti ferrei
(questi
limiti esistono anche per gli altri? Non ne ho idea, non
m’interessa saperlo),
molto più facile è stato sviluppare quel genere
di scene nelle altre mie FF,
dove i personaggi si conoscono da anni.
Queste Note dell’autrice
sono abbastanza deliranti. Non fatemene una
colpa. Mi sembra di stare scrivendo questa storia da un secolo, e mi
piace
anche se avrei voluto fare di più. Ho cercato di alternare
lo scrivere allo
studio, e non è stato facilissimo, poiché la cui
presente quest’anno ha deciso
di impegnarsi seriamente a costo di studiare anche nella vasca da
bagno. Altro
delirio, devo smetterla.
Vi ringrazio per essere
arrivati/e alla fine di questa storia, e i miei
“grazie” aumentano nel caso in
cui l’abbiate apprezzata e decidiate di farmelo sapere. Credo
sia la FF che mi
ha spremuto di più le meningi in assoluto, nonostante dal
punto di vista del
plot narrativo non accada poi questo granché.
p.s.
FINE non è una parola così definitiva. E' assai
probabile che farò un continuo di questa FF, o che
immetterò i dettagli della loro relazione nella Silvestro x
Tweety.
Note:
Il
titolo: Sono i
nomi latini attribuiti ai due protagonisti nel primo episodio della
loro serie.
Ovviamente sono ironici.
aveva
iniziato a passare ogni mattina a raccogliere toast imburrati dal
tappeto: Ispirata
a questo assioma « La probabilità che
una fetta di pane imburrata cada dalla parte del burro verso il basso
su un
tappeto nuovo è proporzionale al valore di quel tappeto. »
ACME:
E’
un’azienda immaginaria dell’universo dei cartoni
Warner,
principalmente Looney Tunes. Appare soprattutto come fornitrice di vari
oggetti
a Wile E. Coyote nel cartone animato con protagonisti lui e Road
Runner.
L’azienda non si occupa di un prodotto specifico, ma vende
diversi oggetti, e
hanno tutti la tendenza a funzionare male o a non funzionare per nulla.
Elmer J. Fudd: Conosciuto in
Italia come Taddeo. Compare nei cartoni in compagnia di
Bugs Bunny e a volte di Daffy Duck, ed essendo un cacciatore il suo
scopo è
quello di catturarli e ucciderli, non riuscendoci mai. Tuttavia
è precisato che
Elmer è vegetariano, e pratica la caccia solo come sport.
Dai fumetti dei
Looney Tunes, emerge che
è lui il proprietario della ACME. Elmer, infatti,
è milionario.
Ford: Una casa
automobilistica statunitense famosa in tutto il mondo. Nel
1968, le 187 donne che vi lavoravano in condizioni precarie diedero
vita al
primo sciopero femminile, in cui si richiedeva la cessazione della
discriminazione sessuale e si pretendeva la parità di
retribuzione. Lo sciopero
attirò l’attenzione sia dei sindacati che della
comunità, e portò
successivamente al compimento dei propositi di quelle 187 donne.
Wile
E.
Coyote, super scemo: In un episodio dei
Looney Tunes (in cui i
protagonisti sono Wile e Bugs) si apprende che Wile è solito
presentarsi con
dei biglietti da visita con scritto Wile
E. Coyote, genio, ed egli stesso si definisce con appellativi
come “genio”
o “super genio”. Alla fine dell’episodio,
dopo aver subito la sconfitta da
parte di Bugs, Wile si riferisce a se stesso come: Wile
E. Coyote… super scemo. Mi attengo al doppiaggio
italiano.
Geococcyx
californianus: Noto
più comunemente come roadrunner (corridore della strada)
è una specie di
uccello che si trova principalmente sul suolo californiano.
E’ della razza a
cui appartiene il personaggio di Beep Beep ( o meglio, Road Runner!).
Esperienza
di caccia di Wile:
Quell’episodio è ispirato a questo assioma «Non
è vero che: non tutto il male viene per nuocere; non solo,
ma anche il bene,
qualora si manifestasse, viene per nuocere.»
E
adesso? : Nella
serie animata, in quello che sembra essere l’ultimo episodio,
Wile riesce a
catturare Road, che però è divenuto un gigante.
Dunque il coyote si rivolge al
pubblico sollevando dei cartelli che recano le scritte “Okay,
wise guy, you always
wanted me to catch him. Now what do i do?” ovvero
“Okay, sapientoni, avete
sempre voluto che lo prendessi. Ora cosa devo fare?”
Me!Me!: Vi pregherei di leggere questa
parola pronunciata da Road come se fosse in inglese (ovvero MI) poiché è un'imitazione del verso di Road. Infatti, se in Italia siamo convinti che il suono sia Beep Beep, gli americani (e io) dicono che sia Meeph Meeph..
Road
Runner: E’ il
vero nome di Beep Beep (mi rifiuto di chiamarlo così!)
con
tanto di blazer marrone con le toppe sui gomiti: Nel mondo
della TV e dei libri
è sovente trovare questo caratteristico abbigliamento
addosso ad un professore
universitario. Presumo sia nato in Inghilterra, dove non è
difficile trovare
uomini con le giacche rattoppate, anche in vesti professionali.
Effetto
Doppler:
Cercherò di essere concisa. L’Effetto Doppler
è quello che fa sì che, ad
esempio, una motocicletta faccia un tipo di rumore quando si avvicina,
ma un
altro quando si allontana. Se volete chiarimenti più
specifici, andate su
Wikipedia.
Ehm…
che succede amico? :
Frase tormentone di Bugs Bunny “What’s up
doc?”
Se
tu non avessi una voce così sexy…
: Ehm… questo è un mio pensiero. Mi piace la voce
di Wile.
Non
sono stato mai così mortificato in tutta la mia carriera! :
In Daffy Duck Amuck,
del
1953, Daffy urla questa frase dopo essere stato beffeggiato dal
disegnatore del
suo cartone. Anche se la frase in originale è diversa, ho
voluto utilizzare
quella italiana poiché sono molto affezionata a
quell’episodio ed al suo
doppiaggio.
Dread: Un tipo di capigliatura
originariamente di natura religiosa ma che al giorno d’oggi
è diffusa
soprattutto per moda. Consiste nella divisione dei capelli in ciocche
che poi
vengono come ricamate su se stesse. Per un maggiore chiarimento potete
trovare
tranquillamente le immagini su Google. Solitamente si portano lunghi,
ma nella
mia FF Wile gli ha corti.
Daffy
che taglia i capelli a Bugs:
In un episodio del Looney Tunes Show si vede Daffy intento a vestire e
pettinare Bugs come una donna. Siccome con i capelli mi sembrava
particolarmente a suo agio, ho voluto inserire questo particolare nella
FF.
Pallina
da golf con una vite affiancata:
In inglese Screw (Vite) + Ball (Palla) = Screwball (Svitata) e di
solito si
riferisce al tipo di comicità dei cartoni, basata
sull'assurdo, ma in questo
caso Wile la associa alla situazione assurda. Nei Looney compare spesso
questo
simbolo.
Quei
vestiti?
Sì, quei vestiti:
Mi riferisco ai
vestiti da donna. Bugs ha una passione piuttosto evidente per il Crossdressing
( che consiste
nell’indossare abiti solitamente associati al sesso opposto).
Daffy
Duck e Bugs Bunny:
I particolari di questi due personaggi in versione umanizzata non
appartengono
a me, ma a Setsuka. Oramai per me esistono solamente a quel modo, non
riesco ad
immaginarmeli diversamente. Anche se le nostre FF sono in due
dimensioni
diverse, considero Bugs e Daffy una sorta di punto
d’incontro. Se non avete letto
le FF di Setsuka… fatelo immediatamente.
Elmer
che insegue Bugs:
Un semplice riferimento al cartone originale.
Bugs
che bacia Wile:
Bugs è solito, nel cartone originale, dare baci a stampo
volutamente
provocatori ai personaggi di sesso maschile.
…
gli ricordava una branca della zoologia: Mi riferisco
all’ornitologia, lo studio e la
classificazione degli uccelli.
…osservandolo
come se qualcosa fosse andato storto:
Ispirato a questo assioma «Se tutto è andato bene,
evidentemente qualcosa non
ha funzionato.»
Morfeo: Figura della mitologia greca,
figlio di Ipno e Notte. E’ solitamente inteso come la
divinità dei sogni e
“essere accolti tra le braccia di Morfeo”
è un detto comune che significa “
addormentarsi” o comunque “sognare”.
Bugs
che conversa con Wile senza che quest’ultimo se ne accorga:
E’ accaduto in alcuni episodi.
Wile
che continua a non accorgersi di Bugs che gli risponde e di pensare ad
alta
voce: Ispirato a
questo assioma «Le
esperienze fallimentari passate non rendono più saggi e
accorti, solamente più
rintronati. »
Lolita: Romanzo di Vladimir Nabokov che
racconta la passione di un uomo oramai più che maturo per
una ragazzina
dodicenne (Lolita, appunto). Lolita
è
diventato un termine per definire le ragazzine dall’aspetto
provocante che suscitano
desiderio sessuale anche in uomini maturi. Moi
Lolita è una canzone della cantante francese
Alizée, che parla, appunto, di
una Lolita.
Cinque
cose che cadono contemporaneamente:
Ispirata a questo assioma < Quando piove, diluvia. >
Bart
Simpson: Famoso
personaggio della serie televisiva I Simpson.
Teoria
delle stringhe: Teoria
che cerca di conciliare la meccanica quantistica con la
relatività generale.
Tenta di essere una teoria del tutto, ovvero si occupa della materia,
dell’energia e dello spazio, cercando di spiegarne in un
certo senso la
struttura.
Alburquerque: Uno sketch ricorrente di
Bugs
Bunny è quello di sbucare da terra trovandosi in un luogo
sconosciuto ed
esclamando “Lo sapevo che avrei dovuto svoltare a sinistra
per Alburquerque!”.
Daffy quindi, con quella battuta, lo prende in giro.
Moulin
Rouge: Un film
musical del 2001 diretto da Baz Luhrmann.
Rocky
Horror Picture Show:
Spettacolo teatrale da cui è stato tratto un film nel 1975.
Il protagonista è
il dottor Frank – N- Furter (interpretato da Tim Curry) un
travestito
bisessuale e dalla vita sessuale molto movimentata.
Tu
sei davvero pessimo!
: Se avete letto la FF di Setsuka dovreste saperlo. Ad ogni modo, Daffy
è
solito dire a Bugs “You are despicable.”, che
può essere tradotto con “Sei
pessimo.”
Quarantacinque
giorni: 45 è il
numero di corti da cui è composta la serie di Road Runner e
Wile E. Coyote.
E’
colpa del consorzio umano:
Ispirata a questo assioma “Tutto è perfetto,
tranne il consorzio umano”.
Assassinio
sull’Orient Express:
è un film
del 1974
diretto da Sidney
Lumet, tratto dall'omonimo romanzo
di Agatha
Christie.
Okay, geniaccio. Volevi tanto che ciò
accadesse. Ora cosa intendi fare?: Anche questo è
un richiamo all’ultima puntata
sopra citato
Baci
Mattie.
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