7 - Un
coniglio.
Quando ti
vidi per la... Non ricordo più quante volte ti avevo
già visto,
ma, allora, per
la prima
volta...
«Quanti anni avevi quando hai perso i tuoi
genitori?»
«Sei.»
L'analista se ne stava accomodato sulla poltrona.
«Sono stati i dottori a dirmi quanti anni
avevo.»
«Hm-mh.»
L'uomo scrisse un appunto sul quaderno.
«Il tuo ricordo più lontano? Vuoi
parlarne?»
«La puzza di ospedale. Quel giorno.» In
realtà, la puzza
della propria urina sul camice dell'ospedale. Quando si era svegliato,
aveva saputo per istinto di non essere abituato a dormire con le gambe
bagnate e infreddolite. Un ricordo
anche quello?
«Dei tuoi genitori hai qualche immagine
mentale?
Rammenti un
momento con loro?»
«Ho una foto.» Quella che gli avevano dato
i
dottori.
Tieni la foto
di mamma e
papà, gli avevano detto. Ti saranno sempre vicini.
In che modo, lui non lo aveva capito. I suoi genitori erano
morti,
andati.
Erano adulti
sconosciuti che si erano presi cura di lui
fino a quel momento, ma Mamoru nemmeno li ricordava.
«Non mi mancano» aveva detto all'analista,
per
chiarire come stavano
le cose. «Non sono io a voler ricordare il mio
passato.»
Il professionista aveva annuito. «Persone generose
ti hanno
offerto una casa per qualche tempo e queste
sedute con me. Approfittane.»
Lui non ne aveva avuto alcuna intenzione. L'analista aveva
lasciato
perdere gli appunti, posando i gomiti sulle
ginocchia.
«Mamoru, io sono... un orecchio. Uno specchio di te,
con
tante
risposte. Puoi dirmi quello che vuoi, nessuno lo saprà
mai.»
«Lei... aiuta.» Perciò anche
gli
analisti, aveva pensato, erano
dottori.
«È così. Aiuto.»
«Voglio diventare medico da grande.»
«Per aiutare?»
Sì.
A dodici anni aveva parlato a quell'uomo dei propri sogni, per
far
passare le ore delle loro poche sedute insieme. Di sé - del
Mamoru che si
sentiva un bambino normale, che voleva solo essere lasciato in pace -
aveva rivelato un unico vero particolare.
Da grande
diventerò medico. E non avrò più
bisogno dell'aiuto di nessuno.
«Quindi la risposta è no.»
Motoki
passò lo straccio bagnato sul bancone.
Mamoru si ritrasse, lasciandolo pulire. «Non sono
tipo da
confidenze.»
«Lo sapevo, ma volevo chiedere.»
Scusa.
Ma
non
lo disse. Si chiedeva scusa per un errore, non perché si era
riservati.
Motoki strofinò un panno asciutto sul compensato
azzurro che
fungeva da bancone del Crown. «Non stare a pensarci. Se mi
rispondevi, bene, se non rispondevi... Almeno, ora sai che mi importa
di
te.»
Anche a lui importava di Motoki, perciò avrebbe
dovuto
rispondergli
che sì, non aveva mai parlato con nessuno del proprio
passato.
Motoki stava scuotendo la testa. «Non sei tenuto a
raccontarmi niente.»
«E va bene lo stesso?»
«Sì. Tieni il caffè.»
Mamoru lo portò alle labbra e ingerì il
primo
sorso. «Perché continui a metterci dello
zucchero?»
«Un po' di dolce fa bene a tutti.»
«Tu il caffè lo prendi nero e
amaro.»
Come lui.
«Lo zucchero per me ha un'altra forma." Il suo amico
incrociò le
braccia, soddisfatto. «Stasera porto fuori Reika.»
«A cena?»
«Certo.»
«Non costa tanto?»
Ridendo, Motoki tornò a preparare i milkshake.
»Con le donne
non si può risparmiare.»
Be', pensò Mamoru, lui non aveva ancora
sperimentato il
problema, ma riteneva che la
validità di quell'affermazione fosse direttamente
proporzionale
all'età della ragazza. Reika Nishimura aveva vent'anni, due
più di Motoki. Per sopperire alla distanza anagrafica, lui
si impegnava tre volte tanto nel farle regali, nel prestarle
attenzioni, nel parlare di qualunque cosa con lei. Tutto per una
relazione che non sarebbe
durata.
Mamoru si era tenuto la propria
opinione per sé.
Motoki lasciò scivolare un bicchiere di plastica
verso il
lato
opposto del bancone. La ragazzina che lo afferrò si profuse
in
una risatina ridicola, arrossendo.
«Se
abbassassi i tuoi standard» gli fece notare Mamoru,
«potresti cavartela con qualche gelato.» Al
Crown venivano anche ragazze delle superiori, spesso solo per guardare
il
commesso che gestiva il negozio un giorno sì e un giorno no,
dalle due del pomeriggio alle nove di sera.
«Io non sono più in cerca.»
Motoki fece
compiere due giri
completi al collo, rilassando i muscoli delle spalle. «Con
Reika ho
già
tutto quello che voglio.»
«Tutto?» Intendeva...
Motoki Furuhata piaceva alle ragazzine
perché
andava in giro con l'innocenza di un liceale dipinta in faccia. Per
Mamoru fu una sorpresa vedere i suoi occhi
che crescevano di qualche anno, proprio davanti a lui.
«Be'... sì, tutto.» Motoki
nascose un
sorriso adulto,
beffardo.
Era una delle ragioni per cui era bello avere un amico. Con
chi altri
Mamoru avrebbe potuto parlare di sesso? A chi, tra
qualche tempo, avrebbe potuto chiedere qualche dritta, un'opinione,
qualche minuto per parlare dell'argomento? Gli avrebbe già
fatto
diverse domande se per rispondere Motoki non avesse dovuto
parlargli anche di Reika.
Quando quei due si
fossero lasciati, il campo sarebbe stato libero da equivoci.
«Hai visto quelle ragazze?»
Mamoru si girò sullo sgabello. Fuori dalle porte
del locale
si intravedeva una figura con una gonna
corta, degli stivali alti e una giacchetta appariscente, color rosa
shocking.
Non era troppo presto per
andare in discoteca?
«Vanno al provino per il Cinderella
Caravan» gli
spiegò Motoki.
Già il nome dell'evento prometteva male.
«Che
cos'è, un concorso per
idol?»
«Per talenti di ogni tipo. Ma sì, alla
fine credo
che
cerchino sempre la solita idol. Quelle fabbricano soldi.»
Mamoru poteva capirne la ragione. Dai tredici ai quattordici
anni aveva
passato anche lui una fase idol che non avrebbe rivelato ad anima viva.
D'altronde, che colpa aveva? Da tredicenne
si era accorto che esistevano le ragazze, le gambe scoperte, i seni che
spuntavano da sotto le magliette... e le idol in tv e nelle riviste,
studentesse delle superiori con visi da bambola e sorrisi dolci che in
ogni canzone sussurravano, 'Guardami, ascoltami, con te
io
sarò molto carina.'
Per fortuna poi era cresciuto. Addio alla fase da ragazzina
carina,
ora puntava a ragazze più grandi, che andassero almeno
all'università.
Motoki guardava oltre le sue spalle. «Scommetto che
vorrà andarci anche Usagi-chan.»
Chan?
Motoki aveva un grosso
problema: per lui qualunque ragazza sotto i sedici anni era una
potenziale sorellina di cui prendersi cura. Usagi Tsukino, alias
Testolina a Odango, gli stava particolarmente a cuore. Lei lo
divertiva e ne parlava spesso, tanto che avevano finito col capire di
averla conosciuta entrambi, separatamente.
«Non è una bambina» disse
Mamoru.
«Se la caverà
da sola.»
Motoki non ne era sicuro. «Quando passa di qui le
parlerò. Usagi-chan segue i suoi sogni
e fa bene, ma sai come sono questi talent... In tv usano le
prove più sfortunate per far ridere la gente.»
Mamoru doveva concordare con lui: nemmeno Testolina a
Odango meritava
una
simile umiliazione.
Motoki lo puntò con un dito. «Casa tua
è
nella
direzione da cui arriva Usagi. Adesso torni al tuo
appartamento?»
Sì, ma la domanda odorava di una proposta
che era
già pronto a rifiutare.
«Se la incroci, parlale tu. Non ti sta molto
simpatica, ma
è
solo una ragazzina delle medie.»
E quindi?
«Qualcuno deve spiegarle i pericoli del
mondo.»
«Non ti prometto niente.» Finì
il
caffè e si
alzò.
Motoki era alto quanto lui, ma in quel momento lo stava
guardando
dall'alto in basso, dalla cima di una maturità che -
dannazione
- lui non aveva ancora acquisito.
«Fa' l'adulto, Mamoru.»
Non avrebbe potuto ricattarlo in modo peggiore.
Aveva iniziato a pensare a Testolina a Odango come a una
piccola
calamità, inevitabile di tanto in tanto nella sua vita, una
fonte di risate e occasionali sensi di colpa.
Uscito dal Crown, pensò all'esame imminente (era
pronto,
sarebbe
stato il miglior studente del suo corso), a quanti soldi aveva in tasca
(abbastanza da noleggiare un paio di videocassette, non sufficienti per
fare la spesa), a dove sarebbe andato nel fine settimana (un bel
viaggetto fuori porta, era un po' che non usciva da Tokyo) e a non
cambiare strada nel tornare verso il suo appartamento. Se il suo sesto
senso non si stava sbagliando, Motoki lo aveva fatto sentire un
ragazzino perché il destino gli permettesse di
rimediare.
Testolina a Odango spuntò in fondo alla via,
correndo dritta
verso di lui.
Appunto, inevitabile.
«Ehi»
le fece.
Lei mise il freno a mano e cambiò percorso,
nascondendosi
dietro il muro di un vicolo.
Lui andò a raccattarla nella sua tana. Come
convincerla a
fare come voleva?
Prendendola in giro, ovviamente. Non era ancora abbastanza
maturo per
fare il fratello maggiore, ma non
gli importava: con una sorella minore come Testolina a Odango sarebbe
già scappato di casa.
Appoggiò una mano sull'angolo del muro, chiudendole
la via
di
fuga. «Ecco che spunta la tua Testolina a Odango. Non starai
andando al
Cinderella Caravan?»
Lei sussultò e, alla faccia dei suoi supposti
quattordici
anni,
emise
un suono scocciato da scolaretta dell'asilo, rifiutandosi di guardarlo.
Lui sfoderò la verità, la sua arma
migliore.
«Potresti gareggiare con un numero comico.»
Testolina a Odango scattò a guardarlo.
«Ma
figurati!
È ovvio che non sto andando lì!»
Era ovvio piuttosto che lei aveva appena cambiato idea. E che
aveva
pianto da poco.
«Ora togliti, devo andare a casa!»
Usagi-Odango lo
spintonò
facendosi strada fino al marciapiede. «Uffa»
bofonchiò mentre marciava via. «Che
tipo noioso!»
Lei era proprio una ragazzina divertente che faceva
onore al
proprio nome.
Era talmente 'coniglio': con le guance paffute, gli occhi grandi, le
orecchie che nel suo caso erano capelli biondi e l'espressione da
animaletto bastonato che gli faceva venire voglia di... be', non
proprio di
consolarla, ma almeno di darle un paio di pacche sulla schiena e dirle
che sarebbe andato tutto bene.
Bah.
Se ora iniziava a trovarla simpatica, non si sarebbe
più
scrollato Motoki di dosso.
Tornò a casa.
7 - Un coniglio
-
FINE
NdA:
In
crisi perché mi
manco tempo per terminare il benedetto/maledetto nuovo pezzo di Verso
l'alba, ho buttato giù questo nuovo episodio. Mi aiuta a
sbloccarmi e rilassarmi, Mamoru da giovane è uno spasso :)