Tutto comincia nella mia piccola e alta
camera da letto, al secondo piano della mia modesta casa nel paese
della nebbia. Fuori era una notte tranquilla. Proprio una notte
tranquilla. Nel paese della nebbia.
Mi rigirai addormentata fra le lenzuola
colorate, intenta a sognare qualcosa che difficilmente la mia mente
avrebbe potuto ricordare a lungo. Sospirai piano. Misi una mano sotto
al cuscino gonfio nel quale la mia testa riccia era immersa. Mi
trovavo in un ospedale in bianco e nero ed ero piccola, molto
piccola, e col naso all'insù guardavo sospetta un enorme
elefante rosa con uno stetoscopio in mano. Afferrai il suo immenso
orecchio ma presto crebbi, e fui catapultata in una piccola stanzina
buia, aprii una botola pesante sotto i miei piedi e un uomo
riccioluto e dai grandi occhi circondati di neri si mise un dito
sulle labbra e mi invitò a fare silenzio. Scesi in punta di
piedi e mi accomodai vicino a lui in una poltroncina rossa ma
impolverata. 4. 3. 2. 1. Il film stava per cominciare. Ma lasciai il
grande schermo per crescere ancora un po', quanto bastava per saltare
sulle pozzanghere in un pomeriggio di pioggia mentre un tipo
più
alto di me teneva la testa alta verso le nuvole grigie e con la
lingua fuori assaporava le lacrime del cielo. Poi corse verso di me,
mi prese per una mano, mi tirò a se, e mi fece ballare il
rock
'n roll. Lo ringraziai con un bacio sulla guancia, ma gli dissi a
malincuore che avevo ancora una cosa da fare, così lo
salutai
e corsi via. Ma caddi in una pozzanghera troppo grande. Credetti di
annegare. Chiusi gli occhi e percepii le bollicine salire sempre di
più sfiorandomi il viso e i capelli, ma poi un sottomarino
giallo mi prese a bordo e mi offrì una corona di fiori e di
fragole. Strinsi piano il cuscino, quando sentii una mano sfiorarmi
lentamente il braccio. Non avevo tuttavia così tanta voglia
di
svegliarmi, così mi girai dall'altra parte borbottando
qualcosa che non capii nemmeno io. Quelle dita cominciarono a
sfiorarmi i capelli.
“Ehi dormigliona...” mi sussurrò
una voce. E com'era dolce quel timbro. Sorrisi appena. Quella figura
mi si avvicinò all'orecchio, e le mie narici si inondarono
di
un meraviglioso aroma di cioccolato. “... sei in ritardo lo
sai?”
mi sentii dire con un pizzico di ironia. Allora mi voltai con
pigrizia, aprii le palpebre e cercai di mettere a fuoco quell'uomo
che solo dalla voce mi ricordava un angelo, o un bastoncino di
zucchero. Il mio risveglio fu accolto da un sorriso e da due occhioni
viola scintillanti. La semi-oscurità mi permetteva di
vederlo
appena, ma sapevo che era bello. Era bello nelle sue
particolarità.
“...Buonasera” esclamò vedendo che mi
stavo stiracchiando
le braccia “...è ora di andare” mi
sfregai gli occhi.
Proprio ora? Non ebbi il tempo di domandargli che intenzioni avesse,
che quello già mi aveva preso la mano e mi aveva trascinata
fuori dal letto e dal suo calore. Lo vidi aprire la finestra che dava
sul balcone, e sempre tirandomi piano per il braccio mi condusse
fuori.
Nel mio paesino della nebbia quella
sera faceva freddo ed il vento si insinuò prepotente nel mio
pigiama e nei miei capelli ricci e cominciai a tremare. Mi sfregai le
spalle e mi guardai un po' attorno. Il mio balcone sembrava molto
più
largo visto a quell'ora della notte.
“L'ho parcheggiato qui, qui da
qualche parte, vieni” continuò a dirmi. Lo vidi
cercare
qualcosa nel vuoto, quando finalmente le sue mani non toccarono una
superficie che io non riuscivo proprio a vedere. Aprii la bocca ma ne
uscirono solo riccioli di fumo in tutto quel freddo.
Percepii un forte calore intorno alle
mie spalle. Guardai quello strano tipo e notai con piacere che quel
suo cappello a cilindro non se lo era ancora tolto. Mi strinsi ancora
di più dentro al suo cappotto che mi aveva appoggiato sulle
spalle. Salii con lui in quello che aveva tutta l'aria di essere un
ascensore di vetro, restai a fissarlo mentre premeva qualche pulsante
che brillò. Le porte si chiusero con un piccolo tonfo, i
reattori posti sulla parte superiore di quella scatola di vetro si
mossero e gettarono aria calda. Ci staccammo dal suolo. Il mio
balcone era davvero più grande.
Ora dentro all'ascensore c'era più
luce, un po' per tutti quei pulsanti, un po' per la luna che
splendeva. Questa volta fui io a sorridergli. Mi avvicinai a lui e lo
strinsi forte, come se non lo vedessi più da tanto, tanto
tempo. Lui si irrigidì appena e ebbe un brivido su per tutta
la schiena, non ho dimenticato quanto trovasse strani gli abbracci.
Sentii tuttavia la sua mano avvolta da un guanto violaceo passare tra
i miei capelli, percorrermi il mento e tirarmi su il volto in modo
che mi guardasse bene in faccia. Io non lo volli lasciare ancora. Mi
scrutò curioso.
“Sei cresciuta” mi soffiò
avvicinandosi e strofinando il suo naso contro al mio “mi sei
mancata”.
Willy. Willy Wonka, il re del
cioccolato, che profumava davvero di zucchero.
E' una storiella che mi è davvero venuta così,
non so nemmeno in che genere porla XD
Diciamo che esprime un po' il mio amore per il bellissimo film "La
Fabbrica di Cioccolato", il mio film preferito, ma inizialmente
riassume anche qualcosa della mia vita. Un bacio a tutti, spero vi sia
piaciuta questa piccola storia, anche se di senso non ne ha molto!
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