Plic,
plic. Non
percepiva altro, solo quel gocciolio continuo, lento, incessante, quasi
ipnotico. Non capiva se era causato dal sangue o dalle lacrime che gli
rigavano
le guance. Gli bruciavano così tanto gli occhi che nemmeno
poteva dire se stava
ancora piangendo o se ormai avesse esaurito le lacrime.
Era bagnato e appiccicoso, ma non
se la sentiva proprio
di spostarsi e andare a pulirsi; era pervaso dalla sensazione che
nemmeno
l’acqua corrente avrebbe lavato via tutto quel sangue, non se
ne sarebbe mai
liberato.
Mai.
Una goccia, un’altra
goccia, un’altra ancora, e ancora…
Tutto sembrava assorbito da quel
rumore, la stanza era
immersa nel silenzio assoluto e nel buio della notte. Quel buio cupo e
pesante
che si sentiva calare addosso, come un mantello foderato di nero e
sangue,
talmente spesso da annullare la vista, da annullare i suoi, da
annullare la sua
persona.
Il battito del suo cuore, prima
rapido e martellante, ora
si confondeva con il silenzio, rassegnato e pigro. L’unico
battuto che sentiva
era il proprio. Tendeva l’orecchio, ma niente. Solo
quell’ipnotico gocciolio.
Il suo cuore era l’unico che pulsava sangue, che diffondeva
la vita, quella
vita che ora più che mai non capiva e faticava ad accettare.
I pensieri venivano scanditi dalle
gocce che colavano
dense sulla pozza che si era allargata. Chissà da quanto si
trovava lì.
Perché?
Rispondimi.
Perché?
Apri gli
occhi e
rispondimi. Spiegamelo, io non capisco.
Ti
prego… dimmi
qualcosa, ti prego.
Perché?
Perché sono
solo?
Qualcosa lo stava strappando da
quell’oblio,
allontanandolo dal buio. Un fascio di luce si diffuse alle sue spalle.
La
pupilla si strinse in quell’abbraccio luminoso,
così fastidioso e irritante che
trafiggeva il manto delle tenebre.
Si sentì afferrare per
le braccia. Non oppose resistenza.
Venne alzato a forza, si sentiva un peso morto.
I vestiti gli rimasero appiccicati
addosso, inzuppati di
sangue.
Una voce lo chiamava, qualcuno lo
scuoteva prendendogli
il viso tra le mani, ma lui non vedeva niente, non udiva niente.
Si sentiva stretto a qualcuno. Un
braccio attorno alla
vita, una mano dietro la nuca. Braccia e gambe a penzoloni, deboli,
inermi.
Negli occhi v’era
impressa l’immagine buia e nitida del
corpo sventrato del padre.
Quel silenzio non gli piaceva,
aveva un brutto
presentimento.
L’intera casa era
immobile, come se il tempo si fosse
fermato. Pareva che niente avrebbe potuto infrangere quella dimensione.
Il buio la faceva da padrone, ma
la luna quasi piena
rischiarava lo spazio nel corridoio e nelle camere aperte, attraverso
le porte
di carta di riso.
Era preoccupato per Kakashi, non
gli piaceva lasciarlo
solo in quella casa. È così che si sentiva alla
fine, solo. Il padre era preda
dei suoi fantasmi e ormai si era ridotto all’ombra di se
stesso. Il figlio cercava
di farsi forza, ma era solo un bambino, così piccolo.
Voleva vedere come stava, voleva
solo accertarsi che
stesse dormendo tranquillo, al riparo da quei fantasmi.
Andò alla camera del
piccolo, ma era vuota, il futon
scomposto. Allora si diresse alla stanza di Sakumo. La porta era
chiusa, come
sempre, però non poteva pensare ad altro luogo in cui
l’allievo avrebbe potuto
rifugiarsi.
Fece scorrere la porta, lasciando
che un fascio di luce
lunare invadesse il locale. Non avrebbe mai potuto immaginare
ciò che si aprì
ai suoi occhi.
Sakumo stava steso sul pavimento
di tatami, riverso su un
fianco.
Kakashi era inginocchiato accanto
a lui, abbracciato.
E poi sangue… solo
sangue. Nessuno dei
due si muoveva.
Il panico lo assalì,
stritolandogli il cuore e raschiandogli
la gola. Si precipitò nella stanza prendendo il piccolo
-Kakashi!! Oh dio,
Kakashi!!- lo sollevò da sotto le braccia, allontanandolo e
facendolo sedere
sulle proprie gambe. Continuava a chiamarlo, ma non otteneva risposta. Era ricoperto di sangue.
Scostò i capelli
scomposti dalla fronte prendendogli il
viso tra le mani.
Incrociò il suo sguardo.
Vuoto.
Non riusciva a leggervi nulla
dentro.
Appurato che fosse ancora vivo e
che non aveva alcuna
ferita che giustificasse solo metà di tutto quel sangue,
spostò l’attenzione
sul padre. Poco distante dal suo corpo brillava flebile una lama.
Strinse a sé il bambino
e si alzò, tenendogli la testa
contro la sua spalla.
-Sakumo…-
Chiuse gli occhi, rassegnato. Un
velo di lacrime rivestì
le iridi azzurre.
Uscì dalla camera
portando via Kakashi, allontanandolo da
quell’inferno.
Minato stava seduto vicino alla
finestra della camera,
con il braccio appoggiato al bracciolo si sorreggeva la testa. Ormai si
era
fatta mattina e la calda luce del sole inondava la stanza
d’ospedale attraverso
le delicate tende chiare.
Eppure gli sembrava che quella
luce non fosse mai
abbastanza calda.
Aveva appoggiato il portarmi sul
comodino a lato del
letto, accanto ad un bicchiere d’acqua, pronto per quando
Kakashi si fosse
svegliato.
Adesso dormiva tranquillo, o
almeno così sembrava. Per
quanto tempo passasse con lui, per quanto lo conoscesse, Minato non era
mai
certo di sapere come stava, cosa provava, come si sentiva…
quel bambino era una
maschera delle emozioni. Da tempo si era chiuso in se stesso, ma con
lui era
sempre stato diverso… a lui diceva cose che a nessun altro
avrebbe mai
rivelato, anche piccole banalità, ma a Minato le diceva. Malgrado ciò
non gli sembrava mai di fare
abbastanza.
Dopo quella sera non aveva idea di
cosa sarebbe successo,
se Kakashi avrebbe ancora comunicato apertamente con lui. Continuava a
ripeterselo, nella mente c’era spazio per un solo pensiero.
Non
isolarti del
tutto, per favore… non chiudere fuori anche me.
Si alzò, andandosi a
sedere sul bordo del letto,
sistemando le coperte che i ripetuti movimenti del bambino avevano
arruffato.
Appena arrivato in ospedale, alla
vista del sangue sui
vestiti del piccolo, mezza dozzina di infermiere e dottori lo
accerchiarono.
Affidò a loro Kakashi,
esausto, già
preda del mondo di Morfeo, e spiegò la situazione a un
medico, in modo che si
potesse fare qualcosa anche per Sakumo.
Una degna sepoltura era
l’unica cosa da fare.
Ora gli restava solo da pensare a
come affrontare questa
storia con Kakashi.
Kakashi si alzò di
colpo, con un grido soffocato, gli
occhi sbarrati, il respiro affannato.
Focalizzò subito la persona davanti a
sé, riprendendo il normale respiro
-… Maestro…-
Sorrise per dargli conforto -Ti
sei svegliato presto…
sicuro di non avere più sonno?-
-Sì…
sì.- annuì mesto. Non avrebbe dormito per un bel
po’, se lo sentiva… non circondato da tutti quei
rumori spaventosi. Si guardò
attorno, scrutando la stanza -Dove sono?-
-In ospedale. Ho preferito
portarti qui per sicurezza…-
Annuì di nuovo.
Scostò la coperta guardandosi le mani.
Niente più sangue, né su di lui, né
sui vestiti.
Il non vederlo non significava non
sentirlo.
Minato gli posò una
mano sulla spalla, facendogli alzare
la testa di scatto -Ascolta, Kakashi…- non sapeva nemmeno
lui cosa dire, cosa
poteva farlo sentire anche solo un po’ meglio? -…
vedrai che… -
-Dov’è
papà?-
Quest’interruzione non
lo aiutava di certo.
-Intendo fisicamente. Se ha
portato me qui, avrà
senz’altro spiegato a qualcuno come stanno le cose.-
Annuì, non
riuscì a fare altro. La freddezza logica che
dimostrava Kakashi in un simile momento lo spiazzava. Di certo non era
un buon
segno, non per lui.
-Credo…
l’abbiano portato via. Dovrei chiedere…-
-Va bene.-
Va
bene…?! Non va
bene, non va affatto bene.
-Come ti senti, Kakashi?-
-Non ho ferite, sto bene.- rispose
continuando a
guardarlo.
Involontariamente Minato
serrò la stretta sulla spalla
del ragazzino -No… no, Kakashi… parlo sul serio,
dimmi come ti senti.-
Per quanto male potesse fare
preferiva chiederglielo ogni
giorno piuttosto che vederlo preda dell’indifferenza apatica
che avanzava nel
suo animo.
Kakashi non rispose.
Restò a guardare il suo maestro
ancora per un attimo, poi spostò lo sguardo, mantenendo il
silenzio. Non
voleva rispondere a quella domanda, non
doveva… già da tempo si era ripromesso di non
lasciare spazio alle emozioni, di
non finirne vittima, com’era successo a suo padre, ed
ecco… ecco com’era
finito…
A
quel pensiero un
tremito incontrollato gli scosse il corpo, facendolo stringere nelle
spalle.
I ninja
non
mostrano emozioni, sono inutili… sono dannose.
Sono un
ninja, uno
shinobi… e gli shinobi non piangono.
Un sospiro dischiuse le labbra di
Minato -Guardami, per
favore.-
Kakashi alzò debolmente
lo sguardo.
-Pensaci… voglio
che ci pensi su. Poi me lo dici.-
-… è
così importante?- chiese con un filo di voce.
-Sì, Kakashi.
È molto importante.- gli porse il bicchiere
d’acqua e si alzò -Lo capisci, vero?-
Annuì mesto.
-Torno tra un attimo, tranquillo.-
gli accarezzò la testa
rivolgendogli un sorriso, poi uscì dalla stanza richiudendo
la porta.
-……
importante.- bevve
un sorso d’acqua, giusto per bagnarsi la
gola, poi posò il bicchiere sul comodino.
Minato aveva lasciato lì il portarmi.
Come si sentiva…
c’era poco a cui pensare. Avvilito,
arreso, triste, arrabbiato, disperato, abbandonato. In una parola, solo.
Si guardò ancora le
mani e vi rivedeva il liquido scuro
che vi scorreva sopra, il peso del corpo inerme di suo padre che non
reagiva
agli scossoni. Appena la vista cominciava ad annebbiarsi chiuse forte
le
palpebre, stringendosi le ginocchia al petto e nascondendovi il volto.
Rimase
in quella posizione per un po’, cercando di riacquistare il
controllo di sé, di
far cessare i brividi e ricacciare dentro le lacrime.
-Papà…- il
maestro lo aveva portato via di casa, lo aveva
portato via da suo padre… strinse la stoffa dei pantaloni.
No. Il suo papà se ne
era già andato da parecchio.
Questo rendeva un po’
più facile accettare tutto…
lo aveva già abbandonato da tempo.
Voltò la testa, quel
tanto che bastava per guardare al di
sopra del braccio. Quasi senza rendersene conto allungò la
mano afferrando il
portarmi di Minato e ne riversò il contenuto sul letto.
Impugnò un kunai,
osservando come rapito il riflesso di
luce sulla sottile lama nera.
Perché
lo hai
fatto? Lo sapevi… sapevi che sarei rimasto solo. Soffrivi
troppo per continuare
a vivere? Però adesso sono io che soffro di più.
Soffro davvero tanto, papà.
Come faccio? Se non ce l’hai fatta tu, io cosa faccio? Potevi
restare ancora
per un po’… io ti volevo bene.
E tu?
È
anche per questo
che ti sei tagliato il ventre, non mi volevi più bene? Ho
sbagliato qualcosa,
papà?
Il
ventre… ti sei
tagliato il ventre… deve aver fatto davvero male…
ma dopo di quello non hai
sentito più niente.
Nessun
dolore.
Nessuna
pena.
Niente.
Nemmeno la mia voce.
Rigirò il kunai,
tenendolo con entrambe le mani. La lama
rivolta verso di sé. Tremava, tremava e non riusciva a
fermarsi, eppure non
riusciva nemmeno a distogliere lo sguardo dal pugnale. Il freddo
metallo
puntato dritto all’addome.
Minato rientrò in
quell’attimo e vedendo il bambino in
quella posa di morte si sentì
perduto.
Se gli fosse successo qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato.
-Kakashi!!- si gettò da
lui strappandogli di mano il
pugnale, gettandolo lontano. Lo abbracciò forte -Non fare
mai più una cosa
simile… non farlo più, ti prego!- cercava di
rassicurare l’allievo tra le sue
braccia, ma la voce spezzata tradiva l’agitazione e la paura
che lo scuotevano
dentro.
Kakashi restò immobile
per un attimo, senza reagire alle
preghiere del maestro. Non lo aveva mai visto così in ansia
e preoccupato.
-… non… non
lo avrei fatto… non avrei fatto niente.-
disse con un filo di voce. Minato lo strinse forte a sé e di
getto Kakashi lo
abbracciò, aggrappandosi alle sue vesti -Mi
dispiace… mi dispiace, mi
dispiace!!-
-Tranquillo, non hai niente di cui
dispiacerti. Mi sono
solo spaventato… promettimi che non farai mai niente di
simile, Kakashi. Ti
prego, promettimelo.-
Annuì, nascondendo il
volto contro il suo petto -Sì,
prometto. Lo prometto.-
-Devi
essere
forte, capito? Il tuo papà… lui ha fatto uno
sbaglio, ma non odiarlo. Ti voleva
bene, davvero.-
-… allora
perché…?-
-Non lo so, io… questo
non lo so. Come ti ho detto, devi
essere forte, Kakashi. Non sei solo ad affrontare tutto questo.- disse,
accarezzandogli la testa.
-Non sono solo…?-
Minato scosse leggermente il capo
-Io ti sarò sempre
vicino, puoi giurarci. Non ti lascio da solo, ma tu non devi tagliarmi
fuori.
Mi prometti anche questo?-
Kakashi stette un attimo in
silenzio -… sì. Glielo
prometto.-
-Grazie.- sospirò un
po’ più sollevato.
Kakashi scostò il
volto, poggiando il
lato sinistro sul petto di Minato
-Maestro…-
-Dimmi, cosa
c’è?-
-Mi manca
papà…-
Non v’erano parole di
conforto per una simile sofferenza;
Minato si limitò a stare in silenzio continuando a tenere
Kakashi stretto nel
suo abbraccio.
Probabilmente ciò che
era davvero importante è che lui
sapesse di non essere solo e abbandonato a se stesso.
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