Tutto questo è nato da
questa fanart di rapersun. Io
non c'entro: è solo colpa sua. E di Sherlock. Sherlock fammale.
Tumblr fammale. Facebook fammale. Ma sopratutto certe amiche
fannommale... vero soarez?
Non
dire “gatto” se non l'hai nel sacco
Questo
è un bel guaio. E adesso?
Abbassi
lo sguardo sul tappeto di gattini che si dispiega ai tuoi piedi. Sono
incredibilmente chiassosi e stanno iniziando a disperdersi. Il
maglione di John ancora stretto in mano, ti muovi con cautela, stando
attento a non schiacciarne neanche uno.
Ti
tocca recuperarli tutti, accidenti. È l'unico modo. Altrimenti non
ci sarà più alcun John.
Cominci,
dunque, una vera e propria caccia al gatto.
Ne
raccogli tre, quattro, e già non sai dove metterli. Te li infili
nelle tasche della vestaglia, nelle maniche, te li metti
sottobraccio, sulle spalle. Quelli si aggrappano con le unghiette, si
divincolano, scappano via. Miagolano insistentemente.
Sei
un po' disperato. Uno ne raccogli e tre ti sfuggono. Che ansia. E se
non riesci a raccattarli tutti? Devi trovare un metodo per
attirarli... una trappola, sì...
L'illuminazione
arriva quando ne vedi che cerca di arrivare, con balzi
goffi, al ripiano della credenza in cucina. Sta tentando di
raggiungere il barattolo della marmellata.
Oh,
ma certo! Come hai fatto a non pensarci prima?
Prendi
il barattolo e non fai in tempo a rimuovere il coperchio che già un
nugolo di gattini ti si assiepa attorno, tentando di scalarti.
Ottimo. Ti basta posarlo a terra, adesso, e il gioco è fatto.
Difatti,
tempo due secondi e tutti i gattini sono ammassati lì. In un coro di
miagolii impazziti, cercano di arraffare la loro dose di marmellata.
Perfetto... e adesso che li hai lì, cosa devi fare? Come fai a far
tornare John?
Saetti
lo sguardo dal maglione ai gattini. La soluzione più semplice, di
solito, è quella giusta. Bene, allora basta provare.
Lasci
cadere il maglione di John sulla turba di gattini.
Non
succede niente.
L'unico
risultato ottenuto è un attutimento dei miagolii, ora soffocati
dalla pesante trama del maglione sotto la quale i gattini si agitano.
Be',
cosa ti aspettavi? Davvero pensavi che fosse così facile?
Stizzito,
rimuovi il maglione – che oltretutto adesso si è sporcato di
marmellata. Un paio di gattini cascano giù con dei miagolii striduli
e rotolano l'uno sull'altro sul pavimento. Osservi ancora per un
lungo momento quella pelosa massa caotica, intenta a divorare il
contenuto del barattolo. È evidente che non hanno alcuna intenzione
di tornare ad essere John, constati con irritazione.
Ti
arrendi, infine, clamorosamente.
–
Mi spiace, John. – mormori sconsolato, rivolto al
maglione.
Ti
lasci cadere sul divano con un sospiro: – Mi spiace davvero tanto.
–
La
mano che tiene il maglione penzola giù. Le dita si aprono sulla
stoffa, abbandonandolo sul pavimento. Sei arrabbiato. Con John, che
ha avuto la brillante idea di disperdersi in tanti gattini
e che non si decide a tornare come prima. E con te che, con tutta la
tua infallibile genialità, non riesci a trovare una soluzione a quel
problema.
E
quel costante miagolio ti sta facendo venire mal di testa.
Poi
lo senti. Qualcosa di umido e rasposo che ti solletica la mano. Ti
rigiri sul divano e incuriosito guardi di sotto. Uno dei gattini sta
leccando con gusto alcune tracce di marmellata che ti sono rimaste
sulle dita. Ti scappa un sorriso. È carino, dai, ammettilo.
Ruffiano, come da migliore tradizione felina, ma carino.
Lo
prendi per la collottola e te lo poni sul petto. E lui non sembra
disprezzare il cambiamento. Si lecca i baffi e si guarda intorno,
annusa, cade su sé stesso, si rincorre la coda, strappandoti uno
sbuffo comico.
E
poi, non sai spiegartelo bene, ma ne arrivano altri. Sazi – e
sporchi – di marmellata, il cui barattolo giace ormai vuoto sul
pavimento, i gattini si stanno arrampicando sul divano. Uno ad uno,
arrivano da tutte le parti. Tu un po' li aiuti e un po' ti diverti a
stare a guardare le loro capriole e i loro goffi tentativi.
Alla
fine ti ritrovi, inevitabilmente, circondato da tutti quei botoli,
con il loro pelo morbido e quei musetti che ti fanno il solletico con
le vibrisse e i miagolii insistenti. Ti zampettano intorno,
s'infilano nelle pieghe della vestaglia, giocano tra loro
saltellando, rincorrendosi e rotolando su di te.
E
allora ti metti comodo e stai semplicemente ad osservarli, a goderti
lo spettacolo. Non è che hai molta altra scelta, d'altra parte, ti
pare?
Che
mondo meraviglioso che c'era dentro John. È una constatazione d'una
sentimentalità futile e banale, nonché del tutto inutile a
risolvere il dilemma di riportare John lì, ma te ne importa poco.
T'importerebbe di più aver scoperto prima quel mondo, piuttosto. E
complimenti per la rapidità, Sherlock Holmes, maestro della
deduzione.
Hai
voglia di vederlo, eh? Averlo lì con te, già. Osservare la sua
espressione, riconoscere sul suo volto quella rara sfumatura di
autocompiacimento che appare quando sente di essere apprezzato.
Ma
John non c'è. Si è disperso in quella miriade di batuffoli
miagolanti.
Con
un sospiro, trai un gattino tigrato fuori dalla manica dove si era
ficcato e lo fissi negli occhioni blu. Gli occhi di John.
–
Potevi anche dirmelo. – c'è una punta di risentimento
nella tua voce – Colgo i dettagli più nascosti e inavvertibili,
lo sai, sono le cose palesi e ridonanti che mi sfuggono. Come questa.
–
Lo
sistemi nell'incavo del braccio e quello, tutto contento, si mette a
fare le mottine. E, come un effetto domino, anche tutti gli altri
prendono a fartele. Sei adesso letteralmente sommerso da gattini che
fanno le fusa e spingono le zampine qua e là.
Non
è male. Per niente. È rilassante e ti scappa uno sbadiglio.
Scivoli
inevitabilmente in quel limbo ovattato che è il dormiveglia. Ti
avvolge con le sue spire fino a trascinarti nel sonno.
A
svegliarti, prendendoti delicatamente per un lembo della coscienza e
facendoti riemergere da quei flutti, è un tepore che ti pesa senza
schiacciarti, che ti avvolge senza soffocarti. Sa di tè e sapone e
qualcos'altro, un odore indefinibile eppure che ben conosci.
Niente
più gattini, parrebbe. Decisamente no. Qualcosa di altrettanto
felino, a giudicare dal brontolio sommesso che ti vibra addosso, ma
molto molto meno innocuo.
La
mano scorre sulla pelle, risale il fianco nudo fino alla spalla,
indugia sulla cicatrice. Le tue labbra s'increspano di un sorriso che
raggiungerebbe gli occhi, se solo avessi il coraggio di aprirli.
Bentornato,
John.
È
indicibilmente caldo e non sembra intenzionato a muoversi di lì.
Socchiudi gli occhi e lo osservi attraverso le ciglia.
–
Sto sognando? –
Lui
non risponde. Ti guarda e sorride e basta. Un sorriso che dice molto,
ma non troppo. Il tanto giusto da farti intuire, ma non abbastanza per
soddisfare la tua curiosità.
Sei
un concentrato di aspettativa, adesso. E la tua proverbiale lucidità
è andata a farsi benedire. C'è poco da fare, sfideresti chiunque a
mantenere il sangue freddo ritrovandosi sotto le grinfie di un
pericolosissimo e allettante John in abito adamitico e dall'aria
affamata.
–
Oh, be'... – sospiri infine, piacevolmente arreso, con
un mormorio che sembra arrivare da tanto lontano – Immagino dipenda
dai punti di vista.
Ancora
una volta, John pare non avere nulla da ribattere.
Abbassa
le ciglia bionde e piega il capo. Si lecca le labbra. E tu ti svegli
nell'esatto momento in cui le chiude sul tuo mento mordendo piano.
John
Hamish Watson.
Il
tuo nome è John Hamish Watson. Se te lo ripeti, se ti aggrappi a
questo punto fermo – l'unico che in questo momento riesci a mettere
a fuoco – forse riuscirai a riottenere il controllo sul sistema
cardiocircolatorio e sull'apparato respiratorio. Riuscirai a
riportare le pulsazioni ad un livello che non metta in pericolo le
coronarie e il ritmo della respirazione sotto la soglia
dell'iperventilazione.
Credevi
di essere ormai pressoché immune alle bizzarrie del tuo sociopatico
coinquilino. Lo credevi fermamente. Forse perché non si era mai
presentato in camera tua alle due di notte, delirando di aver “fatto
un sogno” e sfoderando evidenti intenzioni poco ortodosse.
Sherlock
non è così. – ti sei detto, arretrando stupidamente sul letto
come una verginella impaurita, quando lui ti è piombato addosso
sollevandoti la maglietta con un movimento brusco.
–
Oh. – ha esalato poi con aria confusa, sgonfiandosi
improvvisamente.
E
si è seduto a gambe incrociate di fianco a te, che stai per avere
una sincope, e senza alcuna vergogna s'è messo a scrutarti, le mani
giunte accostate al mento e gli occhi impudenti che ti radiografano
da capo a piedi.
Sherlock
non lo farebbe mai.
Eppure
lo stava facendo.
Lui,
creatura asessuata, sposata con il proprio lavoro. Lui, che si eccita
solo quando ha un intricato caso di omicidio per le mani. Lui, che
possiede l'empatia di una lastra di cemento e l'emotività di
un'attinia. Lui, la cui unica relazione sentimentale degna di nota,
ce l'ha con il suo violino.
–
Mordimi. –
Come?
Cosa? Perché?!
–
No. – rispondi automaticamente, con fermezza, senza
nemmeno stare pensarci.
Tanto
l'avevi già deciso che qualsiasi cosa ti avrebbe chiesto avresti
detto di no. Ed è stata un'ottima decisione.
–
Il tuo corpo afferma il contrario di ciò che dici,
John. – obietta, gettandoti nel panico più totale, facendoti
ammassare pateticamente le coperte in grembo.
–
Hai detto “no”, ma nel dirlo hai annuito. Ergo,
vorresti farlo. – ti spiega, e in qualche modo questo è ancora
peggio dell'idea che possa aver notato la tua inopportuna erezione –
Non trattenerti, te ne sto dando la possibilità. –
La
sua espressione sta virando verso sfumature folli. Non lo vedi così
confuso dai tempi del caso di Baskerville. Qualsiasi cosa abbia in
mente, non si rende minimamente conto di quanto è pericolosa.
Temendo
quello che potrebbe uscire dalla tua bocca, non dici niente. Rigido
nella tua posizione, le mani artigliate alle coperte, ti limiti a
scuotere vigorosamente la testa.
–
Ma, John, tu devi farlo! – insiste
febbricitante, mettendosi in ginocchio davanti a te – John,
mordimi. –
Esali
un lungo sospiro. Non ti fa bene – no no, proprio per niente. Non
ti fa un cazzo bene trovartelo così, nel tuo letto,
scarmigliato e supplichevole e... e Santo Iddio, quegli occhi!
–
Mi rifiuto di assecondare questa follia. – scandisci
con una sicurezza ben lontana dalla realtà.
–
Se non lo fai... – si porta le mani alla testa,
rantolando un gemito tra le labbra strette – È un esperimento, John, ed è
molto importante. Devo capire se quel sogno... –
–
Ehi. –
È
un “Ehi” davvero poco gentile il tuo, uno di quelli freddi e
lapidari che riesce a strapparti solo lui le volte che ti fa
incazzare. E questa è una di quelle volte, senza ombra di dubbio.
Lo
vedi allargare le mani in un gesto stanco, come dire “E adesso che
c'è?”.
–
Questo non è un sogno. –
Sherlock
sgrana gli occhi: – Appunto! –
Scuoti
la testa sconsolato. È una partita persa in partenza. Non c'è modo
di farglielo capire e non hai certo intenzione di farti del male
insistendo inutilmente. Le mani puntellate sul bordo del letto, i
piedi posati sul pavimento freddo, ti metti a sedere volgendogli le
spalle, curvate dal peso di una stanchezza che non è certamente
fisica.
–
John... – ti richiama – John, ma come fai a non
capire? –
Soffi
via l'aria con stizza, chiedendoti da dove la peschi tutta quella
pazienza e quando si decideranno a darti un premio e una pensione
d'invalidità anche per questo.
–
Hai mai fatto un sogno così realistico che quando ti
risvegli fai fatica a distinguerlo dalla realtà? –
–
Sapevo che non dovevo farti vedere Inception. –
sbuffi grattandoti la testa.
–
John, per l'amor del cielo, sii serio! – lo senti
sbottare.
Oh,
questa poi!
Rotei
la testa in un movimento secco, ringhiando fuori tutta la tua
irritazione.
–
Ma sii serio tu, Sherlock! – ribatti voltandoti
appena verso di lui – Non ho un decimo della tua intelligenza, ma
non sono così stupido da farmi del male da solo. –
–
Oh, John. –
E
tutta quella compassione, adesso, da dove esce? Sei al limite estremo
della pazienza – e tu puoi vantarne parecchia, rodato come sei.
–
John. –
Ti
sei alzato, senza sapere esattamente dove andare, cosa fare, come
occupare la mente da qualsiasi cosa non sia Sherlock. Sherlock, che
adesso si è avvicinato a te e ti è alle spalle e se ti volti lo
sai, dannazione, lo sai che avrà quello sguardo. Di nuovo. Ed è
proprio per questo che lo fai. Sfoggiando una discreta dose di
masochismo, ti volti.
–
Perché hai...? – ti schiarisci la voce, incroci le
braccia al petto – Mi ha sollevato la maglietta. Prima. Perché?
Perché l'hai fatto? –
–
Verificavo se eri fatto di gattini. –
Sei
troppo indeciso se scoppiare a ridere, urlare fuori la rabbia o
piangere per la disperazione. Per cui, nel dubbio, ti strozzi fino a
lacrimare e poi sospiri, colmo di esasperazione.
–
Ho fatto un sogno, John. E c'eri tu. – racconta
lentamente.
Sta
facendo fatica a guardarti in faccia. Più di quanta ne abbia mai
fatta tu a guardare in faccia lui, anche adesso.
–
Ed ero fatto... di gattini. – suggerisci, iniziando a
preoccuparti per la sua salute mentale.
Lui
annuisce: – Gattini, sì. Molti gattini. –
– E
per quale motivo... insomma, cosa c'entra questo con... –
Gesù,
com'è possibile che non riesci nemmeno a dirlo?
–
Con la richiesta di essere morso da te? – suggerisce
Sherlock.
–
Precisamente. –
Lui
distoglie lo sguardo. Solo un attimo, perché ha bisogno di
riflettere su cosa dire esattamente. È una cosa che gli hai visto
fare così tante volte, che ormai la conosci a memoria. L'hai
catalogata e messa in un angolo speciale, assieme a tutte quelle
altre espressioni. Quelle che lo rendono un po' meno alieno, più
umano, più vicino a te. Quasi afferrabile.
Solo
che adesso sta pensando troppo e questo non va bene. Meglio metterlo
sotto pressione. Solo un pochino, eh.
–
Sherlock, perché vuoi che ti morda? –
Alza
uno sguardo vagamente spaurito su di te. Apre la bocca, indeciso su
come risponderti.
–
Se... se ipoteticamente io ti dicessi... – non lo
interrompi in quel suo balbettio così atipico per lui, perché intuisci dove vuole andare a parare, ma non hai il coraggio di pensarlo –
che nel sogno tu eri... uhm... nudo. –
Le
sopracciglia schizzano in alto. La gola si secca d'un botto. Il
sangue precipita in basso.
–
Vai avanti. – annaspi col poco fiato che ti resta.
–
E... sempre ipoteticamente... –
–
Certo, certo. –
–
Se ti dicessi che eri... sdraiato... –
–
Sdraiato? – deglutisci a vuoto – Sdraiato su cosa? –
Sherlock
inarca un sopracciglio per nascondere l'imbarazzo. È raro che lo
faccia, ma quando succede ti si accende dentro un piccolo tornado di
giubilo.
–
Su chi, piuttosto. – soffia.
–
Oh. –
Sì,
è alquanto ridicolo rispondere ad una tale rivelazione con un
patetico “Oh”. Ma sei più che giustificato dalla scarsa
irrorazione di sangue al cervello e dalla lingua che continua
imperterrita ad attaccarsi al palato.
Ma
adesso concentrati, ce la puoi fare. Hai un microscopico vantaggio e
lui, per una volta, non se n'è nemmeno accorto, agitato com'è.
Sondare, sì, devi sondare. Battere il ferro finché è caldo. Aggira
gli ostacoli della sua brillante mente e colpisci: sai di poterci
riuscire.
– E
come mai io ero...? –
–
Sdraiato nudo sopra di me? – dice in fretta,
trottolando su sé stesso e infine trovando che sedersi sul letto e
muovere nervosamente una gamba sia un'ottima soluzione.
–
Sempre parlando ipoteticamente, certo. – aggiungi
sedendoti accanto a lui, un po' discosto.
–
Naturalmente. Be', i gattini. – dice con ovvietà.
– I
gattini? –
–
Quelli di cui eri fatto, John. Erano tutti addosso a me
e hanno avuto la pensata di ricomporsi... di tornare ad essere te,
intendo... esattamente in quel momento. Ovviamente i tuoi vestiti si
sono dispersi quando tu... –
–
Sherlock, – lo interrompi, senza riuscire a trattenere
un sorrisetto – era una battuta. –
–
Oh. –
Bene,
almeno non se l'unico ad avere il cervello talmente sfasato da
riuscire a rispondere solo con vocali esclamative.
–
Non puoi dedurre un sogno. – gli fai notare.
Le
sue sopracciglia si contraggono appena e ti guarda confuso.
–
Non posso? –
C'è
un calore crescente all'altezza dello stomaco, un calore che si
espande in un formicolio familiare. Stai iniziando a capire come
finirà questa faccenda. L'hai sempre saputo, in verità, ma adesso
ne stai prendendo coscienza. E l'idea di essere il solo dei due ad
esserci arrivato, ti da un retrogusto agrodolce. Ti senti, per una
volta, la guida. Un po' ti fa paura, è vero, ma d'altra parte come
poteva andare? Fatti forza: dei due, lui è quello di gran lunga più
spaventato.
–
No. – scuoti la testa con fare comprensivo – Non con
questo metodo. –
–
Ah. Be', questo è seccante. – considera con
delusione.
È
bizzarro. Per lui si sta chiudendo tutto qui, per te si sta aprendo
in questo esatto momento. I vantaggi di agire sotto l'impulso del
cuore, invece che ponderare attraverso la scienza della deduzione.
Intrecci
le mani in grembo: – Dunque... nel sogno, ti ho morso? –
–
Mi hai morso. – conferma lui annuendo.
Inclini
appena la testa, gli cerchi gli occhi.
– E
ti è piaciuto? –
Batte
le palpebre, ti guarda a metà tra il confuso e l'imbarazzato. Cielo,
è adorabile.
–
Immagino di sì. –
Immagina,
eh? Lui immagina. Tsè...
–
Ed è per questo che vuoi ripetere l'esperienza nella
realtà? – suggerisci cauto – Per verificare se anche da sveglio
potrebbe essere... piacevole? –
Stringe
gli occhi: – Sei in forma. –
–
Grazie. –
Gli
sorridi. E non come fai di solito, gli sorridi come fai con le donne.
L'effetto è immediato e s'irradia sulle sue guance rendendolo
palese. Perché diavolo non l'hai mai fatto prima?
–
Non cambiare discorso. – lo rimproveri, nascondendo a
fatica l'immondo godimento che ti provoca.
E
Sherlock parte. Gli fa sempre quell'effetto quando sei tu che prendi
la situazione in mano. Può restare senza parole e dileguarsi con
aria costernata, oppure reagire così, con un fiume di logiche
considerazione, che – adesso lo sai – servono solo a cercare di
sotterrare il suo piacevole disagio nel sentirsi per un momento
sottomesso a te, a cercare di ripristinare in fretta i soliti ruoli
che lo fanno sentire così sicuro.
–
Sì, John. Se ipoteticamente nel sogno fosse
avvenuta una cosa del genere e l'avessi trovata piacevole... –
Ba
bla bla. E nel mentre tu ti alzi, lo guardi, e lui ti riguarda senza
capire, senza nemmeno immaginare.
–
…questo mi spingerebbe a ricostruire l'esatta scena
nella realtà, in modo da... –
Ti
sfili la maglietta. E lui si acciglia. Le parole iniziano ad
accavallarsi sulle sue labbra.
–
…verificare se... –
Ti
sfili i pantaloni. Si ferma a guardarti. Difficile descrivere la
soddisfazione che ti provoca l'aver fatto perdere a Sherlock Holmes
la facoltà di completare un discorso.
–
Cosa stai facendo? –
–
L'esatta scena, Sherlock? – arretra impacciato quando
posi un ginocchio sul letto e avanzi sopra di lui – Non ti facevo
così approssimativo. –
–
John... –
Sta
tremando o è una tua impressione? Di certo quello sguardo che ti
passa addosso e che pare oscillare pericolosamente tra la paura e
l'aspettativa, non è un'impressione. Affatto.
–
Non so se... –
Se,
se, se. Troppi “se”. Troppi “ipoteticamente”. Sogno, realtà,
fantasia. Sei un medico e un soldato. Basta parole. La tua
espressione deve riassumere degnamente queste tue riflessioni, perché
Sherlock ammutolisce.
–
Volevi fare un esperimento. – mormori annusandolo lentamente
– Eccolo. –
Trattiene
il fiato mentre gli scivoli addosso senza pesargli. L'altezza, in
questa posizione – in questa situazione – non conta un bel
niente. Sei superiore a lui e basta. E questo fatto, oltre a darti
una sferzata di autocompiacimento e a gonfiare smisuratamente il tuo
ego, va a toccare profondità innominabili. Sarà il modo in cui si
ritrae sotto di te, indeciso se abbandonarsi o meno. Se avere paura o
fiducia. Ti scatena una tenerezza che sconfina nel violento desiderio
di possesso.
–
Sto sognando? –
Non
sai se sia un bene o un male, ma il modo in cui te l'ha detto e
quella sfumatura che ha in fondo agli occhi, ti causano
l'inappellabile e sacrosanto impulso di sbatterlo su quel letto fino
a fargli urlare il tuo nome.
–
John... –
Ringhi
un verso d'avvertimento. E hai fatto la cosa giusta, non c'è dubbio.
Lo capisci da come sgrana gli occhi, dal ritmo irregolare che senti
battergli nel petto. Dal modo quasi arrendevole con cui, ancora una
volta – la terza volta di fila, diamine, un record storico! –
riesci a zittirlo.
Mica
starà iniziando a piacergli? Di sicuro a te piace. E tanto. Oh, sì.
Non avresti mai immaginato così tanto.
Per
questo decidi di farlo proprio adesso. Perché è il tocco finale, la
ciliegina sulla torta, la firma dell'artista.
Lo
mordi. Lì, sul mento.
Lo
mordi come morderesti una torta che hai visto a lungo nella vetrina
della pasticceria ma non hai mai potuto permetterti di assaggiarla.
Come morderesti una mela selvatica, appena matura, colta direttamente
dall'albero. Come morderesti – avresti sempre voluto mordere –
lui.
È
un morso delicato e possessivo, che prelude al bacio che gli darai
adesso. E anche quella deve essere la cosa giusta da fare, perché
gli hai appena strappato un sospiro, solo un sospiro, in cui a stento
riesci a distinguere un tremulo “Dio, ti ringrazio”.
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