Il sogno e la realtà
Era una giornata di metà aprile molto soleggiata e Giada
camminava nel prato verde con un sorriso sognante stampato sul viso.
“Eccoti Gabriele, ti stavo cercando!” disse a voce
abbastanza alta perché lui la sentisse, rivolta a un ragazzo
sui sedici anni fermo di fianco a un palo a pochi passi da lei.
Percorse quella breve distanza con una corsetta, emanava leggiadria da ogni movimento e i suoi lunghi capelli marrone chiarissimo le svolazzavano sulle spalle colpiti da una leggera brezza creata dalla sua corsa, Gabriele le prese le mani tra le sue e la guardò
negli occhi, all’inizio sembrò stesse per
baciarla, tanto che Giada aveva già chiuso gli occhi, invece
disse:
“Noi non possiamo più stare insieme.”
La ragazza sbarrò gli occhi senza capire.
“Io devo andare. Ma sapevi che sarebbe successo, vero? La tua
felicità non può durare.”
Un ghigno malvagio spuntò sulla faccia di Gabriele.
“Il tuo passato tornerà sempre a tormentarti e
quando avrai raggiunto il culmine della gioia… ti
toglierà tutto, perché sei destinata soffrire e
tu questo non lo puoi cambiare.” Giada si era presa la testa
fra le mani e la scuoteva con forza per mandare via questi pensieri che
le attanagliavano il cuore.
“Chi sei?!” chiese col dolore nella voce.
Una luce sinistra circondò la figura di Gabriele, che si
trasformò in una ragazza castana…
“Io sono te.” Una scossa di terremoto scosse la
terra sotto i piedi della ragazza e il cielo si tinse di nero. Giada si
mise a urlare mentre precipitava, giù, fino al centro della
terra.
Giada si ritrovò seduta sul suo letto che ancora urlava; ma
appena capita la situazione il volume dell’urlo si
abbassò fino a diventare un sussurro e poi solo un ricordo.
Le lacrime le rigavano il volto e gocce di sudore le imperlavano la
fronte, i capelli si erano liberati dal nastro che vi aveva posto la
sera precedente e alcune ciocche le si erano attaccate al viso.
Lentamente, col dorso della mano, si asciugò le lacrime e il
sudore, spostando i capelli dagli occhi .
La madre e il padre di Giada spalancarono con forza la porta della loro
stanza appena sentito l’urlo della loro bambina. Corsero fino
alla sua stanza e aperta la porta la trovarono seduta sul letto con le
coperte a terra, la bocca ancora semiaperta per l’urlo ora
inudibile e il respiro affannoso, ma stava bene.
“Tesoro, cosa è successo?” chiese la
madre adottiva con apprensione.
“Niente mamma, davvero. Mi spiace avervi svegliato, era solo
un incubo.” rispose Giada, con un ritrovato sorriso che
ostentava una sicurezza che lei non aveva.
“E’ solo un incubo” ripeté
senza farsi sentire, solo per cercare di rallentare il battito cardiaco
che sembrava non volerne sapere di tornare a velocità
normale.
“Va bene, però promettimi di provare a tornare a
dormire, è tardi.” disse il padre adottivo di
Giada dandole un bacio sulla fronte.
Solo quando sentì anche la loro porta chiudersi si concesse
un’occhiata fugace alla sveglia luminosa sul
comodino… segnava le tre del mattino.
Chissà se sarebbe riuscita davvero a tornare a dormire.
Giada aveva questi incubi da quando aveva cinque anni, da quando era
morta sua madre. Suo padre era sempre stato un uomo violento, spesso
quando tornava a casa picchiava sua madre che si metteva in mezzo tra
lui e la figlia.
Poi sua madre morì.
I servizi sociali andarono a controllare se la piccola, sola col padre,
sarebbe stata bene, quando si scoprì che la donna era
vittima di violenze domestiche e il padre della bimba fu arrestato. Ora
lei viveva coi vicini, l’avevano adottata per
pietà forse, a volte Giada se lo chiedeva.
Si erano trasferiti due volte, ma la ragazza continuava ad avere certi
incubi e spesso si convinceva davvero di non poter essere felice. In
queste occasioni si allontanava da tutti e nonostante sembrasse sempre
felice, nel profondo soffriva molto.
La mattina seguente Giada si alzò. Erano le sette passate,
dopo l’incubo era riuscita a dormire quasi due ore. Si
concedette più tempo del solito per la colazione dato che
era domenica, si lavò e vestì con tutta calma,
salutò i genitori alle dieci e un quarto e alle dieci e
mezzo era già al parco, cinque minuti in anticipo rispetto
al suo appuntamento. Poco importa, pensò. Si sedette su una
panchina vuota e aspettò.
“Chissà perché proprio a
me…” si chiese, ricordando quel giorno di due mesi
fa.
< FLASH BACK >
Giada tornava dagli allenamenti di pallavolo con una palla bianca e blu
sotto braccio. Era sudata e stanca, erano le otto di sera e non
desiderava altro che tornare a casa. Però, a quanto pareva,
non era la priorità di quel ragazzo, far avverare questo
desiderio per nulla segreto; quel ragazzo che si mise a urlare il suo
nome facendo girare tutte le sue compagne di squadra, anche loro appena
uscite dagli allenamenti, verso Giada, che continuò a
camminare. Quando il ragazzo la raggiunse si fermò piegando
le ginocchia e mettendoci le mani sopra, ansimando per la corsa e
sbarrandole la strada. Quando il suo respiro tornò normale
si raddrizzò e guardò la ragazza con
serietà,
“Tu sei Gabriele vero?” domandò Giada.
Lui annuì con forza, non era mai stato timido ma davanti a
lei gli si seccava la gola.
“Allora, che vuoi?” Il ragazzo si fece coraggio e
in un unico fiato:
“Vuoi uscire con me?”
Questa poi… Giada davvero non se l’aspettava.
Però quel ragazzo, della classe vicina alla sua, le ispirava
simpatia. In fondo, la settimana seguente non aveva niente da fare.
“Mi sta bene.” Disse. “Ma se fai
scherzi…” Giada lasciò cadere il
pallone a terra e quando tornò su lo colpì con
una forza tale che dopo essere rimbalzato a terra si sollevò
di cinque metri e più.
“Ti lascio un cinque rosso sulla faccia che ti dura una
vita” minacciò lei, ma lui annuì
convinto.
< FINE FLASH BACK>
Quando finalmente Gabriele arrivò la ragazza si
alzò in piedi. Gli sembrò perfetta: magra e
slanciata, il viso ovale e aggraziato che esaltava le labbra sottili e
il naso piccolo, mentre gli occhi nocciola tanto comuni, brillavano
come gemme. Subito l’abbracciò come non aveva mai
fatto prima. “Giada, io… cioè
tu… sei bellissima… e io…”
Provò a dire da sopra la testa della ragazza. Era senza
fiato, non riusciva a spiccicare parola nonostante quello che volesse
sembrasse così semplice…
A Giada batteva forte il cuore, la vicinanza con Gabriele la privava di
tutte le energie e gliene dette di nuove, poi capì quello
che lui voleva dire. Si alzò leggermente sulle punte, quanto
bastava perché le sue labbra sfiorassero
l’orecchio di lui.
“Gabriele, io ti amo.” Lui
l’allontanò lievemente da sé, solo per
sfiorare le labbra di lei in quello che poi divenne un vero bacio.
“Questo è un sogno” chiese, quasi, lei.
“No, è meglio.” rispose lui riprendendo
a baciarla.
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