Garo Gaiden-
Uguaglianza
Come sempre erano alle solite.
Lui le aveva detto di non fare di
testa sua, e lei invece lo aveva fatto.
Lui le aveva detto di non andare,
ma lei come nulla fosse si era allontanata.
E con le bandiere sguainate al
vento, era partita all’attacco.
Ovviamente l’altro avrebbe potuto continuare a starsene ben
nascosto, in attesa del momento giusto, ma se quello
stesso momento era stato appena rovinato da una donna capricciosa ed
impertinente, non c’era molto da fare.
Così, non avendo altra scelta, uscendo allo scoperto si era
lanciato nella mischia.
Avevano combattuto fianco a fianco,
senza nemmeno aprire bocca. E quando la creatura
finalmente fu sconfitta, nulla più riuscì ad impedirgli di parlare.
- Perché fai sempre di testa tua?!
Abbiamo rischiato grosso! – Il suo non era di certo un tono pacifico ed
amichevole.
La donna che gli stava di fronte fece spallucce, quasi con
noncuranza. Non le importavano granché di quei rimproveri che tra l’altro reputava completamente inutili. Ormai ci aveva fatto
l’abitudine, a furia di abitare nello stesso villaggio e, cosa peggiore, sotto
lo stesso tetto.
- Rilassati una volta ogni tanto.
- Rilassarmi?! Ma come puoi dire una
cosa simile? Lo sai bene che…
- C’è in gioco la nostra vita?
- Sei già morta una volta, te lo ricordi?
- Una o due per me non fa nessuna differenza.
- Sei un’immatura! Maledico il giorno in cui la somma Sacerdotessa
Garai ti ha concesso di farmi da assistente. – si incrociò le braccia al petto, e con aria torva guardò
altrove.
- E’ stata lei ad affibbiarmi a te. Non l’ho certo preteso
io, anzi! Se avessi avuto l’opportunità di scegliere,
con quel carattere odioso che ti ritrovi non avrei mai accettato.
L’altro la ferì con un’occhiata bieca, poco prima di
chiamare a rapporto i suoi due allievi, Akatsuki e Hyuga, e sparire nella boscaglia.
Lo guardò andar via. Pareva emanare malevolenza dalle
spalle, ma tutto sommato ci era abituata, perciò come nulla
fosse se ne ritornò al villaggio.
Una ragazzina, nel momento in cui la vide rientrare, le corse
subito incontro. Aveva i capelli neri, di cui una
ciocca legata a codino sul lato della testa. La giovane la scrutò bene in viso,
poi magicamente capì tutto quello che c’era da comprendere. – Hai litigato ancora
con mio fratello. – affermò, praticamente certa della
cosa. Quando non si vide rispondere, capì che aveva indovinato. Per l’ennesima
volta. – Lo sai com’è fatto, no? Dovresti cercare di non prendertela.
- Ma io non sono offesa, anzi. E comunque – si portò le mani sui fianchi- cosa ci fai qui, signorinella? A quest’ora non dovresti
seguire la lezione della Sacerdotessa Garai? – disse,
ma con tono affabile, più che una ramanzina sembrava un consiglio amichevole.
La più giovane abbassò leggermente lo sguardo ed annuì. –
Vado subito! – esclamò correndo via. Rin aveva tanto
da imparare se voleva diventare in futuro una brava Sacerdotessa, proprio come
tutti gli altri che in passato l’avevano preceduta.
Dopotutto, il Kantai era famoso
proprio per essere una terra ricca di abili Sacerdoti
Mistici.
E forse adesso, grazie ai continui
battibecchi di un burbero Cavaliere del Makai e di una
saccente Sacerdotessa, poteva aspirare a divenire celebre anche per quello.
Ovviamente, i due in questione non potevano che essere da
una parte Tsubasa Yamagatana,
e dall’altra Jabi.
Proprio non riuscivano ad andare d’accordo. Per quelle due
figure diametralmente opposte era impossibile trovare anche solo un punto di incontro.
Tsubasa era un ragazzo rigido,
severo e puntiglioso, mentre Jabi uno spirito
semplicemente indomito, che per di più odiava i tipi maschilisti. E il giovane Yamagatana, visto come la trattava di continuo, senza ombra di dubbio doveva esserlo.
Ogni volta, puntualmente spuntava fuori qualche diverbio.
Spesso le loro discussioni diventavano anche troppo accese, ma il bello era che
non portavano a niente.
Sembravano litigare solo per il gusto di farlo. Ma dubito
che per Tsubasa fosse così.
Nella selvaggia ed antica terra del Kantai
sopraggiunse la sera. Il cielo di quella zona regalava agli abitanti del luogo
uno spettacolo assolutamente unico. Aveva un colore blu intenso, così profondo
da trasmettere una sensazione di quiete assoluta. Ciò che più riusciva ad
incantare lo sguardo delle persone era un luccichio
pallido ma copioso emanato dalla miriade di stelle che riempivano la volta.
La luna giocava a nascondino tra un vaporoso banco di nubi, Tsubasa mise piede in casa, e la sorella corse subito ad
abbracciarlo, poi lo aiutò con piacere a levarsi il soprabito.
Jabi era lì,
seduta sorseggiava una tazza di tè senza dire una parola. A dire il vero
neppure l’altro aveva aperto bocca. Dopotutto, lui era convinto ancora di avere
ragione.
Quando si tolse il soprabito, nel
flettere il collo Jabi intravide di sfuggita
qualcosa. Era un taglietto, molto probabilmente doveva
esserselo procurato durante lo scontro con l’ennesimo Orrore.
- Cosa hai fatto al collo? – chiese, non per conoscere una risposta, ma giusto per dire come
sempre la sua. In realtà voleva fargli sentire ulteriormente la sua presenza,
tanto per fargli capire che non aveva né timore né disagio a stare lì. In
pratica stava, anche se con diplomazia, sottolineando
il fatto di non trovarsi in nessun modo dalla parte del torto.
- Non sono affari tuoi. – rispose bruscamente l’altro, senza
scomporsi.
- Sempre gentile, a quanto vedo. – ironizzò lei con
sarcasmo.
Rin fissò prima l’una e poi
l’altro. Non ne poteva davvero più di quella situazione.
- Insomma! – sbottò seduta stante, attirando l’attenzione
dei due – Quand’è che la smetterete di fare i bambini?
- Io non lo sono di certo. –
dichiarò Jabi, con sagace ironia. E Tsubasa abboccò all’amo.
- Vuoi forse insinuare che lo sono io?
- Oltre ad essere maschilista, sei pure
permaloso. Temo che la tua lista di difetti non abbia fine.
- Dovresti portarmi maggiore rispetto! Ti ricordo che sono
un Cavaliere Mistico.
- E con questo cosa vuoi dire? Che siete una razza superiore? – rispose la
donna, poi si avvicinò lentamente al ragazzo con fare provocatorio. –
Sentiamo, allora… Chi è che vi ripara gli oggetti magici? Chi è che vi permette
di avere un Madougu? E chi,
quando serve, vi dà una mano in battaglia? – Jabi lo
stava fissando di proposito in viso. Alzò mezzo sopracciglio, come a dire
“avanti, sentiamo un po’ che cosa mi rispondi adesso!”, dato che senza un Prete
del Makai, ogni Cavaliere non poteva di certo avere
vita lunga.
- Tu intralci il mio lavoro, e non mi aiuti
per niente. – seppe dire solo.
- Sei tu, invece, che non mi rendi le cose facili. Durante
la battaglia di oggi, se io non fossi intervenuta
subito, l’Orrore sarebbe scappato.
- Niente affatto! – tuonò imperterrito Tsubasa,
e la sfidò con uno sguardo – So bene cosa faccio, e
nessuno ti dà il diritto di sconvolgere i miei piani come puntualmente accade!
La Sacerdotessa non riuscì a controllarsi. Doveva reagire a quella odiosa illazione. E lo fece
all’istante.
- Sei solo un ragazzino che gioca a fare l’uomo! – ribatté,
in preda allo sdegno.
- Non chiamarmi ragazzino!
- Ok, come vuoi tu… moccioso! – sottolineò
ancora, ma con estremo sarcasmo.
Rin a quel punto decise di
intervenire nuovamente. Aprì la bocca, intenta a fare una sonora lavata di capo
ad entrambi, ma fece solo in tempo a dire “Hey!” perché quasi subito ricevette
un “ Và a dormire!” piuttosto concitato sia da Tsubasa che da Jabi. Questi due si
guardarono l'un l'altro, con ancora più astio.
La sorellina del ragazzo serrò le labbra ed abbassò gli
occhi. Senza aggiungere altro, fu costretta ad andare a letto.
Dopotutto, era abituata a ciò. Sapeva inoltre che in quella
circostanza era molto meglio lasciare che si sfogassero da soli. E fu ciò che accadde poco dopo l’uscita di Rin.
- Vuoi che me ne vada e smetta di assisterti? – chiese a quel punto la Sacerdotessa, guardandolo con un coraggio senza
pari.
Quella domanda spiazzò Tsubasa che
ebbe un attimo di esitazione nel dare una risposta.
- Nessuno ti trattiene qui con la forza.
Jabi sbatté un piede in terra in
preda alla rabbia. - Ti ho fatto una domanda precisa! Abbi almeno l’accortezza
di rispondere chiaramente.
- L’ho già fatto.
- Sei stato evasivo, come sempre. Detesto chi non parla in
modo chiaro.
- Tu detesti tutto. Ecco qual è tuo problema! – rispose
acidamente Tsubasa. Jabi
non mandò giù il colpo.
- Detesto i tipi come te.
- Detesti me in particolare, dillo
chiaramente.
- E ti sei forse mai chiesto il
perché?
- Presumo che sia legato al giorno
del nostro incontro.
- Presumi bene. Non ho affatto
dimenticato come mi hai trattata quella volta. Per te ero solo una figura
destinata ad essere rispedita nell’aldilà, una presenza ingombrante che secondo
la tua logica non poteva trovarsi ancora in questo mondo.
- Non ho mai detto questo. – si giustificò prontamente il
Cavaliere, ma nella sua voce c’era un pizzico di tremore.
- Ah, no? Devo forse ricordarti come mi hai chiamato la
prima volta che sei entrato come un pazzo nell’abitazione della Sacerdotessa Garai? – Jabi si portò entrambe
le mani sui fianchi. – Che ci fa la morta qui? – fece,
rammentandogli la famosa espressione. Tsubasa spostò lo sguardo verso destra, e non ribatté.
Sapeva chiaramente di avere torto. – Ad ogni modo, - continuò la ragazza- ciò
che mi fa più rabbia, è sapere che da quel giorno non sei
cambiato affatto.
Il giovane Yamagatana scattò
all’istante perché non reputava veritiere quelle parole. – Questo non lo puoi dire! Tu hai salvato mia sorella, e te ne sono
riconoscente.
- Questo è vero, ma il tuo atteggiamento nei miei confronti
è rimasto immutato.
- Perché con il tuo comportamento
non mi rendi le cose facili.
Jabi decise di arrivare una volta per tutte al punto di quella questione.
- Allora rispondi chiaramente, vuoi che me ne vada?
Come c’era da aspettarselo, Tsubasa
si bloccò ancora, ma Goruba, il suo Madougu, si immise alla svelta nel
discorso.
- Mio signore! – eruppe, attirando subito
l’attenzione – C’è un Orrore nel villaggio!
Il ragazzo sollevò di scatto il polso. Poi lui e Jabi videro un’ombra al di fuori
della casa sfrecciare nella boscaglia. Si guardarono dritto negli occhi e
corsero fuori.
- Dove si sta dirigendo, Goruba? –
gli chiese rapidamente il Cavaliere del Kantai.
- Vicino alla sorgente termale.
- Vuole farsi un bagno a quest’ora?
– scherzò la Sacerdotessa, ma solo per smorzare l’attimo.
Arrivarono con il fiato corto sul posto. Non si muoveva
neppure una foglia. All’apparenza il luogo sembrava deserto.
Restarono vigili ma in silenzio a guardarsi intorno. Tsubasa era molto teso.
- Cerca di stare calmo, e non agitarti. – gli consigliò Jabi, vedendolo alquanto irrequieto.
Successivamente udì uno strano
fruscio, lieve e quasi impercettibile, si avvicinò al bordo della vasca,
convinta che l’Orrore fosse nascosto lì. Anziché aspettare un attacco imminente
da parte della bestia, preferì andargli incontro.
Fece ancora un altro passo, gettò uno sguardo nella vasca,
ma non vide nulla. La superficie dell’acqua era piatta, calma, là non c’era
nessuno, tuttavia quando si apprestò a ritornare sui
suoi passi, qualcosa le afferrò di getto la caviglia trascinandola di sotto.
- Jabi! – urlò Tsubasa,
vedendola finire in quel baratro. Si scaraventò verso la conca, ma non riuscì a
prenderle in tempo la mano, e così fu portata sott’acqua.
La vide dimenarsi sotto la superficie di quella fonte
limpida e calda, ma la creatura era più forte di lei, perciò prese
spudoratamente il sopravvento. Per salvarla restava una sola cosa da fare:
Levandosi di corsa il soprabito, Tsubasa si gettò in
acqua.
E fu lì, che lo scontro ebbe luogo.
Cogliendo la creatura alla sprovvista, si trasformò in Dan, il Cavaliere della Notte Bianca. Dall’acqua
fuoriuscirono fasci d luce abbaglianti, che illuminarono il fondo di quella
sorgente termale.
Approfittando della situazione, Jabi
riuscì a divincolarsi dalla stretta. In questo modo Dan
poté colpire ed eliminare con facilità l’orrenda creatura che prima di spirare
emise un sibilo spaventoso e si trasformò in un nugolo di bolle che al contatto
con l’aria divennero vapore.
Aiutò la Sacerdotessa a ritornare in
superficie, la spinse verso il bordo della vasca, poi riemerse
anch’egli.
Jabi teneva gli occhi chiusi. Notò
subito che non respirava, il colorito della sua pelle era divenuto
di colpo pallido.
Doveva fare qualcosa per scongiurare il peggio. Distese per
bene la ragazza verso il suolo, e subito dopo le posò
una mano sotto al mento.
Prese fiato, si avvicinò ancor di più al viso di Jabi e poi premette le labbra contro le sue per cercare di
rianimarla.
Lei riaprì gli occhi solo dopo alcuni istanti. Tossicchiò
per espellere dell’acqua che le era rimasta ancora in gola, e pian pianino
riprese conoscenza.
- Come ti senti? – chiese subito Tsubasa,
mentre ancora sconvolto le teneva una mano poggiata sulla spalla.
- Adesso va meglio. – rispose a stento, con il colorito che le
tornava sulle guance. Tossicchiò ancora, poi cercò di
mettersi seduta. Si sentì aiutare dal giovane, e non appena ne
ebbe il tempo, Jabi cercò di parlare. – Mi hai
salvato la vita. – fu costretta a riconoscergli. Teneva gli occhi bassi,
probabilmente perché si sentiva a disagio.
- Era mio dovere farlo.
- Già, è vero… tu sei un Cavaliere
Mistico. E’ tuo dovere salvare le persone. – rispose, poi si
passò una mano tra i capelli bagnati.
- Non è solo per questo – ribatté
improvvisamente Tsubasa, attirando su di sé
l’attenzione dell’altra. - Non potevo permettere che accadesse qualcosa ad un
mio compagno di lavoro.
- Stai cercando di dire che vuoi
farmi restare?
Tsubasa non l’aveva proprio
espresso chiaramente, tuttavia il significato delle sue parole era più o meno lo stesso.
Jabi scoppiò all’improvviso a
ridere.
- Cosa c’è? – sbottò perplesso il
Cavaliere del Kantai.
- Se sono ancora viva, presumo che
tu abbia dovuto rianimarmi.
- E con questo?
- Scommetto che non avevi mai baciato
nessuna donna prima d’ora, dico bene? – lo guardò direttamente in faccia, e
rise ancora di più nel vedere quanto quella di Tsubasa
stesse diventando sempre più accesa.
Evidentemente imbarazzato, si alzò all’in
piedi. – Non vedo questo cosa centri con tutto il
resto.
Lei lo seguì a ruota.
- La mia era solo una semplice
supposizione. Non volevo di certo turbarti!
- A te invece è già successo? - chiese improvvisamente, facendo
molta attenzione a non rivolgerle lo sguardo.
La giovane Sacerdotessa iniziò ad osservare il cielo. – Sì,
una volta. – rispose. Mentre lo contemplava il suo sguardo
si faceva sempre più distante. – Avevo nove anni, e difficilmente dimenticherò
quel giorno, ma soprattutto la persona a cui l’ho
dato.
- Da come ne parli, sembra che per te sia molto importante.
– disse Tsubasa, girandosi verso di lei.
Jabi annuì, ma stavolta lo fece
con dolcezza. – Lo è ancora tutt’ora, e continuerà ad esserlo, anche se a volte temo che lui
non lo saprà mai.
- Perché non provi a dirglielo?
- Perché ormai è troppo tardi. Lui
ha trovato una persona a cui volere bene, e, anche se a malincuore, so che l’amerà fino alla fine dei suoi giorni.
Tsubasa guardò immediatamente Jabi. – Kouga…?! – esclamò in
preda allo stupore. Lei annuì ancora, e continuando a sorridere abbassò il
mento. Tentava in un certo senso di nascondere la propria tristezza dietro ad un
sorriso.
- E’ veramente innamorato di Kaoru.
Lo vedo da come la guarda tutte le volte che si trova affianco a lei, da come i
suoi occhi si illuminano tutte le volte che quella
ragazza sorride… - fece una pausa, sentì gli occhi bruciarle appena, ma riuscì
ad ogni modo a trattenere quello che per lei era solo uno stupido pianto. – Se lui è felice, lo sono anche io.
- So cosa vuoi dire. – rispose ad un
tratto Tsubasa – Farei qualunque cosa pur di
vedere Rin sorridere.
Jabi tacque, rifletteva su
qualcosa che forse prima d’ora gli era sfuggita. – Dopotutto – premise, quasi
abbozzando un sorriso – io e te siamo simili. Entrambi
crediamo fortemente nelle nostre idee, ci preoccupiamo per coloro che più ci
stanno a cuore ma senza dare troppo nell’occhio, siamo
testardi, orgogliosi, nessuno dei due è mai disposto a cedere per primo, ma
quando si tratta di aiutare un amico che si trova in pericolo non ci tiriamo mai
indietro.
- Già. – assentì Tsubasa, senza
aggiungere altro. Infondo sapeva che in quelle parole c’era
qualcosa di vero. Lei aveva ragione a dire che erano
simili, anche se poteva sembrare il contrario, Jabi
si era resa conto che tra di loro non c’era poi un abisso così grande, anzi. Le
similitudini, seppur nascoste, erano tante. Ad unirli c’era un profondo senso di uguaglianza.
Uno spiffero di vento la fece rabbrividire. Era del tutto bagnata, la temperatura nel Kantai
stava scendendo rapidamente quella sera.
Tsubasa raccolse da terra il suo
soprabito, e all'improvviso lo posò sulle sue spalle. Quel gesto fu così
spontaneo da impressionarla. - Sarà meglio andare. Inizia a fare freddo. –
aggiunse il giovane dal burbero carattere, e si avviò verso casa.
Quando raggiunsero l’accogliente
dimora, la Sacerdotessa lo vide andare in direzione della piccola cucina. – Vatti ad asciugare, io nel frattempo ti preparo qualcosa di
caldo da bere. – Si sentì dire.
Quasi stupida da quelle parole gli venne da chiedere: - Sai
cucinare?
Tsubasa fu piuttosto sbrigativo a
darle quella risposta. – Solo il tè.
Lei sorrise, poi andò a cambiarsi.
Ritornò dopo alcuni minuti. Si era asciugata i capelli, e
ora le ricadevano sul viso incorniciandolo perfettamente.
Nel momento in cui Tsubasa la vide
fu colto da un tremendo imbarazzo. Jabi indossava una
sottoveste di seta nera, con due spacchi laterali ed una profonda scollatura.
Cercò di indirizzare il suo sguardo altrove, ma quel movimento così impacciato
finì per sottolineare ancor di più tutto il suo
imbarazzo. Lei chiaramente se ne accorse, ma preferì
abbozzare solo un sorriso e non aggiungere altro. Raccolse la tazza di quella
tisana calda che stava sul tavolo e bevve.
- E’ buona. – fece. Il profumo intenso che si scioglieva
nell’aria era piacevole. – Questa devo considerarla
una tregua? – disse poi, riuscendo ad attirare finalmente l’attenzione del
giovane Cavaliere.
- Tregua? – ripeté, non sapendo cosa intendesse
dire l’altra.
- Prima mi salvi la vita, poi mi offri
del delizioso tè. Penso che tu mi stia proponendo di firmare un ipotetico armistizio.
- Sto solo rendendomi utile.
- Però non abbiamo ancora litigato. Non trovi
che sia strano?
- Non vedo perché dovremmo farlo se non c’è una ragione
valida.
- Possiamo sempre trovarla. – disse ad un tratto Jabi, ed appoggiò con fare provocatorio
due dita sull’orlo di quella profonda scollatura. Sembrava farlo
apposta, sembrava perfino divertirsi.
Tsubasa si sentì subito a disagio.
Cercò di tenere lo sguardo altrove, ma lei non la smetteva di giocare con
quello scollo estremamente pericoloso. – Smettila! –
sbottò a quel punto, non potendone proprio fare a meno. Lei scoppiò a ridere
sotto lo sguardo frastornato del giovane. – Che ti prende adesso?! – sbottò ancora, ma l’altra non ce la faceva proprio a
contenersi.
- E’ che sei così… buffo! – riuscì
finalmente a dire, tra una risata e l’altra. Poi lentamente ritornò seria. – Quando sei in imbarazzo, il tuo viso assume tutta un’altra
luce. Sotto quell’aria da duro in realtà si nasconde
un piccolo uomo che non ha ancora visto il mondo, e che conserva un animo puro
come quello di un bambino. – Jabi si avvicinò a Tsubasa, questi ebbe un sussulto, poi
quando la vide accovacciarsi in terra ed appoggiare il capo sopra le sue
ginocchia non poté fare a meno di sussultare ancora. – Cosa… stai facendo…?! – balbettò, senza sapere se doveva rialzarsi di scatto oppure
continuare a starsene fermo.
- Ho sonno. – replicò l’altra, esibendo una movenza simile a
quella di una bambina.
Tsubasa sentì le guance del viso
farsi sempre più calde, rosse. - Vattene a dormire. – biascicò.
- Lo sto già facendo.
Com’era consono che fosse, lui ebbe da obiettare. Tuttavia non riuscì a dire nulla. Era più imbarazzato che furioso.
Non capiva perché Jabi si stesse comportando in quel
modo. Non aveva mai ostentato prima d’ora un atteggiamento così infantile.
- Sai – premise la ragazza – probabilmente io e te litigheremo ancora. – disse, prendendolo
alla sprovvista.
- Non vorrai mica farlo proprio ora, spero…!
– replicò a tono il giovane Cavaliere.
La bella Sacerdotessa chiuse gli occhi
stremata da quella giornata, e poco prima di lasciarsi completamente
andare, con un sorriso rispose: - Domani Tsubasa,
domani.
Fine