[...] flashback
I
will wander 'till the end of time torn away from you...
[ Non sapeva per quale motivo
amasse così tanto il
tintinnio del ghiaccio dentro un bicchiere. Click-click-click, non era
neanche un vero e proprio click, ma ci andava molto vicino.
Vedere del ghiaccio a
casa sua era quasi impossibile, vuoi
perchè abitare praticamente in mezzo al nulla con tanta,
tanta
sabbia attorno non era proprio un sinonimo di fresco&piacevole,
vuoi perchè la gente di Suna preferiva bere qualsiasi tipo
di
liquore al naturale e ciò era sinonimo di molte cose...
vodka
liscia ad esempio.
Si pensa che il posto
in cui si abita condizioni in qualche strano,
assurdo modo la propria personalità. Traduzione: se vivi in
campagna sei un campagnolo e se vivi in un fottuto deserto
automaticamente non sai cos'è la frutta (perchè
non
crescono molti alberi da frutto nel deserto, al massimo qualche palma o
erbetta arida per cammelli) e neanche cosa significhi la parola freddo,
figuriamoci conoscere il suono prodotto da qualche cubetto di ghiaccio
che tintinna in un bicchiere pieno a metà di che-so-io.
Ovviamente erano tutte stronzate.
A lei piaceva quel
suono, quel lieve click-click-click che non era un vero e
proprio click.
Se ne rese conto una
notte non
buia e tempestosa, una notte normale sapete?, alla quale lei aveva
dedicato un sentitissimo 'vaffanculo' dopo aver capito che non c'era
verso di chiudere occhio (davvero quelle erano le notti più
odiose di tutte). Insomma non si dormiva e a lei ovviamente era venuta
sete -- non per il caldo accidenti, non si deve per forza essere sul
punto di crepare di afa per bere! -- quindi si era disordinatamente
catapultata fuori dalla sua camera con gli occhi incrostati di rabbia e
sonno represso e, si, odio verso ogni essere vivente.
Di tutte le cose che
odiava camminare al buio dal corridoio che dalla
sua camera proseguiva a non finire fino alle scale era quasi la
peggiore. Non aveva particolarmente paura del buio, la infastidiva il
silenzio opprimente delle case (o dei palazzi nel suo caso) quando
l'orologio segnava le tre e fischia di mattina; non era neanche un
silenzio tranquillo quello, si sentivano i rumori più
disparati
di notte e, frutto della tua immaginazione o meno, era di un fastidioso
allucinante. Quasi non respirava per preservare quel minimo di
lucidità che le permetteva di camminare a passo sostenuto
piuttosto che mettersi a correre come un'assatanata.
Ricordava di essere
quasi caduta dalle scale perchè uno spiffero
le aveva solleticato il polpaccio destro e diamine lei aveva dieci anni
a quei tempi, ovviamente si era completamente cristallizzata nell'atto
di scendere uno scalino. Certo morire cadendo le scale non sarebbe
stata una fine dignitosa per la figlia del Kazekage, insomma non poteva
mica comportarsi come tutti gli altri lei!, aveva una
dignità da
conservare e i suoi antenati non gliel'avrebbero fatta passare liscia
nel caso in cui, diciamo, un vaso caduto dal un balcone le si fosse
spiattellato sul cranio o cose così.
Si era risparmiata la
rovinosa caduta grazie ai suoi riflessi non certo
per culo, ad ogni modo il pericolo era sempre in agguato visto che la
sua camera era tre piani più in alto della cucina. Di solito
sgraffignava una bottiglia d'acqua a Kankuro che durante la notte si
svegliava minimo tre volte per bere ed andare conseguentemente in bagno
(il perchè lo facesse aveva molto a che fare con il suo
essere
incommensurabilmente imbecille, d'altra parte Temari credeva che in
realtà suo fratello fosse semplicemente terrorizzato dal
pensiero di
vedersi spuntare gli occhi sbarrati di Gaara nel bel mezzo della notte
proprio davanti la faccia -- il che dava un significato tutto
particolare all'azione di andare in bagno), ma quella sera Kankuro
aveva chiuso la sua camera (con lui dentro chiaramente) a doppia
mandata dopo aver, come dire, assistito ad una delle frequenti
carinerie di Gaara nei confronti di un ignaro lacchè di loro
padre -- il tipo si era ritrovato con la testa sotto kg e kg di sabbia
senza sapere nè perchè nè per come e
Kankuro aveva
assistito al, ehm, pasticcio con due occhi grandi come
palle da bowling.
Il fatto che lui
dormisse nella stessa stanza di Gaara ben consapevole
del fatto che quest'ultimo non dormisse affatto&mai non aiutava
o
facilitava per niente nè Kankuro nè altri, Temari
men che
meno, ma almeno lei aveva il coraggio di dormire con un kunai sotto il
cuscino nel caso in cui Gaara avesse perso l'ultima rotella che gli era
rimasta.
In realtà
non aveva neanche così tanta paura di Gaara,
c'erano momenti in cui si scordava completamente della sua esistenza...
insomma non è che parlasse tanto e il più delle
volte se
ne stava immobile nella stessa identica posizione sullo stesso,
medesimo punto per ore ed ore. Temari credeva che volesse in qualche
strano modo attirare l'attenzione o rendersi totalmente invisibile. Era
una contraddizione vivente quel Gaara.
Incidenti a parte era
riuscita ad arrivare illesa nell'immenso salone
d'ingresso e con passo sempre più felpato si era diretta
alla
sua sinistra percorrendo la strada che conosceva a memoria. Qualche
candela era rimasta accesa e la luce fioca proiettava ombre traballanti
sulle pareti, non era preoccupata dalle ombre lei, non aveva paura del
buio. Era il silenzio che spostava il baricentro
del suo autocontrollo
da bambina di dieci anni, sorella maggiore di due fratelli, uno
traumatizzato in omnem vitam e l'altro killer occasionale di esimi
individui. Lo vedete il baricentro del suo autoncontrollo? E' quel
puntino minuscolo lì, per la cronaca.
Generalmente non
c'era nessuno a quell'ora indecente in giro per il
palazzo, lo staff di norma tornava a casa propria una volta finito il
turno e le guardie restavano fuori perchè ovviamente nessuno
si
sarebbe azzardato di varcare le porte del palazzo quando Gaara era al
suo interno, era una specie di insetticida in un certo qual modo...
teneva lontano o uccideva.
Ricordava di essere
rimasta sorpresa nel vedere le luci della loro sala
da pranzo accese, si era già preparata un discorso nel caso
in
cui ci fosse stato suo padre lì dentro. Invece aveva trovato
suo
fratello. Il piccolo per essere fiscali, il mezzano era ancora chiuso
nella sua stanza a tremare a quanto pareva.
Si era fossilizzata
sul posto. Ora, Gaara aveva soltanto sette anni, ma
aveva ucciso così tante persone da risultare pericoloso a
tutti,
persino a loro padre, Temari non era una stupida e in quel momento
avrebbe largamente preferito morire di sete piuttosto che fare un
qualsiasi movimento che avrebbe anche minimamente potuto attirare
l'attenzione di Gaara su di lei.
Non che avesse paura, era la sua faccia, i suoi
occhi, il suo silenzio a metterle il gelo nelle ossa.
Ma Gaara l'aveva
già vista, i suoi occhi si eramo mossi verso di
lei in quel modo agghiacciante e poi erano ritornati esanimi nella loro
posizione iniziale. Era seduto tutto storto e c'era qualcosa sotto la
sua pelle, Temari ne era assolutamente sicura, che si muoveva come
tanti piccoli lombrichi. Si era grattata il braccio improvvisamente
invasa da una strana voglia di rumore e se graffiarsi a sangue le
avrebbe dato quello che voleva ben venga il dolore e... qualsiasi altra
cosa.
Ovviamente a quei
tempi era stata solo una bambina e tutte quelle
riflessioni scoordinate erano state aggiunte man mano che cresceva...
perchè in fondo lei non dimenticava mai niente, aveva tutto
nella testa, ogni rumore, ogni colpo, ogni ferita, ogni notte insonne,
ogni dannatissima cosa era all'interno del suo cervello e raschiava,
raschiava con unghie affilate la sua razionalità pur di
uscire.
Faceva un male cane.
La fronte di Gaara
non era ancora completamente guarita, c'erano ancora
i segni delle croste che la sabbia aveva lasciato, ma la parola si
distingueva anche al buio. E non era la sua faccia il vero problema,
davvero, era la sua pelle quasi rattrappita dall'insonnia e dalla
sabbia e da tutto il sangue che... pensava sempre a qualcosa di freddo
quando Gaara era a pochi metri da lei. Semplicemente le mandava in fumo
il cervello non facendo assolutamente nulla di inaspettato. Da Gaara si
aspettava violenza, odio e un silenzio quasi pietoso come se lui
volesse metterti davanti la tua stessa inettitudine non dicendoti
assolutamente nulla; in verità Temari sarebbe scappata in
preda
al panico se Gaara avesse alzato una mano per salutarla, se invece
l'avesse alzata per colpirla sarebbe stato normale, sicuro e scontato
perchè era quello che lei si aspettava da lui... era sempre
preparata a quel genere di cose, i suoi muscoli mettevano l'autopilot
ogni volta che i suoi occhi scorgevano i capelli rossi del minore dei
suoi fratelli. Era normale avere paura di Gaara.
In realtà
non ricordava neanche il suono della sua voce e
neanche l'ultima volta che l'aveva guardato da vicino. In un certo qual
modo si sentiva in colpa e indifesa.
La cosa strana era
che non era mai Gaara ad iniziare una conversazione
(o dialogo o soliloquio), la gente dopo l'uccisione di loro zio (Temari
vedeva ancora il sangue sulla faccia di Gaara, sentiva ancora la sabbia
nei polmoni) aveva cominciato a parlare. Baki più di tutti,
la
maggior parte si limitava a sibilare un 'mostro' rancoroso ogni qual
volta Gaara si faceva vedere.
Per Temari era su per
giu lo stesso, si sentiva quasi obbligata a parlare, anche solo una
parola.
Gaara non le
rispondeva mai, però non l'aveva mai messa in
pericolo. Nel senso che non le aveva maciullato una gamba con la sabbia
o altro, semplicemente non aveva mai cercato di ucciderla, non che le
dispiacesse.
Solo che... avete
presente il suono del vento sulla sabbia? Quel
leggero graffiare che non è neanche un suono, troppo lieve,
troppo incostante. Ecco, quel suono accompagnava Gaara ovunque andasse.
Lui stava sempre in silenzio, solo quel sibilo graffiato parlava per
lui.
Era quello che le
metteva i brividi, quella consapevolezza di
avere davanti non una persona, ma un demone pronto ad ammazzarti, era
quel silenzio innaturale e quella faccia da bambino rattrappita e
ferita e morta. Lei non aveva paura del buio.
Di suo fratello si. E dire che il buio
è uno sconosciuto, chi lo
sa cosa si nasconde dietro l'angolo, mh?, o dentro l'armadio... Tuo
fratello dovrebbe essere una cosa sicura, insomma lo vedi tutti i
giorni quasi ad averne la nausea, perchè dovresti esserne
praticamente terrorizzata?
Logicamente non
è possibile. Però succede che ad un certo
punto guardi la persona che hai davanti e provi quel senso di
repulsione e disgusto che sfocia nella paura più
primordiale. In
un certo senso è il tuo corpo che ti avvisa, in poche parole
ti
dice che sei ad un passo così dal crepare sotto tonnellate
di
sabbia mosse dalla mano di un pupattolo di sette anni con un tatuaggio
in fronte e occhiaie nere come la pece. Potrebbe anche essere una
scena divertente, perchè in fondo è paradossale,
ma
Temari si sentiva sempre così quando Gaara si trovava nelle
vicinanze. Lo sentiva quasi sotto la pelle, come a monito di star
ferma, immobile, zitta.
Eppure c'era anche
questa voglia di parlare, di dire qualcosa per
vedere se si sbagliava. Perchè forse non era colpa sua se
era
così, forse si sbagliavano tutti, in fondo come
può un
bambino ammazzare della gente?
E lei pensava sempre
a qualcosa di freddo quando Gaara era a pochi
metri da lei. Quella sera si immagino un bicchiere ghiacciato con dei
cubetti di ghiaccio dentro che scricchiolavano e
si calmò un
tantino. Era sempre stata una bambina molto quadrata, di solito pensava
sempre prima di agire e non a caso era nata in una famiglia di amigui
figli di puttana abilissimi nell'arte di ingannare. Le barriere del suo
autocontrollo erano state alzate fin troppo precocemente.
Crescendo Temari si
era resa conto di non essere poi tanto diversa da Gaara.
La logica ti uccide.
Non gli disse niente
quella notte (il tintinnio del ghiaccio era fin
troppo forte nella sua testa per formulare qualcosa di sensato), si
limitò a fare marcia indietro con gli occhi puntati sul
pavimento. Inciampò rovinosamente salendo la seconda rampa
di
scale sbattendo dolorosamente il ginocchio sulla dura consistenza dello
scalino.
Stranamente non
sentì dolore, non sentì più un
suono... neanche il battito del suo cuore era percepibile. Ricordava di
essersi chiesta il perchè di tante cose quella notte, ma a
dieci
anni non si hanno poi grandi risposte.
Riemerse dal ricordo con un
sobbalzo e il suo antico senso di colpa in
fondo alla gola.
Guardò il soffitto per qualche minuto prima di
richiudere gli occhi -- aveva timore di rivedere quel bambino seduto
tutto storto, aveva paura di risentire il ghiaccio, paura di ricordare
la persona che era stata e che continuava ad essere occasionalmente,
perchè lei ricordava tutto, aveva tutto
nella testa, ogni rumore, ogni colpo,
ogni ferita, ogni notte insonne,
ogni dannatissima cosa era all'interno del suo cervello e raschiava,
raschiava con unghie affilate la sua razionalità pur di
uscire e faceva un male cane, faceva così male
da portarla a dimenticarlo certe volte, a
sopprimere quelle immagini sotto strati e strati di autocontrollo per
paura di scoppiare e gridare e tirarsi via lembi di pelle per estirpare
quel verme che le camminava sotto la cute, perchè il senso
di
colpa non moriva mai, si cibava dei suoi ricordi, ingordo di terrore e
pena e odio.
Respirò
dal naso e ringraziò tutti i Kami di essere sul
pavimento perchè altrimenti avrebbe preso a testate qualcosa.
Non capitava spesso
che si sentisse così, da anni aveva in un
certo qual modo fatto pace con se stessa e con suo fratello dicendosi
che il passato non torna solo perchè tu lo vuoi cambiare o
perchè non ti conviene il posto in cui ti ha catapultato,
Gaara
era cresciuto, era vivo e parlava. Indipendentemente dal demone Temari
era riuscita a guardare suo fratello per quello che era, ma ora che il
demone non infestava più il corpo di Gaara tutto era
diverso.
Tutto nel senso di tutto, loro tre erano diversi, il loro legame era
nato ed evoluto.
Certo non poteva
fermare i ricordi. Nessuno può.
Si passò
stancamente le mani ghiacciate sulla faccia e
respirò a grandi boccate. Il fatto che quell'episodio non
fosse
capitato a Suna era confortante, non avrebbe saputo cosa dire a suo
fratello Kankuro e neanche come giustificare la cosa a Gaara.
Almeno a Konoha
poteva far finta di essere semplicemente di cattivo
umore per evitare la gente, le domande. Certo sarebbe dovuta tornare a
casa prima o poi, si disse cercando di recuperare almeno una parte
della sua serenità mentale (o un livello dignitoso di amor
proprio), il pavimento era duro contro la sua schiena estremamente
sudata e si stava surriscaldando in fretta; si spostò
leggermente di lato, stendendosi su un fianco e si premette una mano
sulla fronte artigliando le dita sui capelli umidi e annodati. Chiuse
di nuovo gli occhi e fece un ultimo, pesante sospiro che le
riempì polmoni e cervello, avvertì quasi il suo
sangue
ricominciare a scorrere nel verso giusto e il cuore tornare a battere
regolarmente senza fare le bizze.
Quando Shikamaru
rientrò a casa -- Temari non sapeva veramente
che ore fossero nè da quanto tempo fosse rimasta distesa sul
pavimento,
però i suoi muscoli atrofizzati le dissero che non erano
passati solo cinque minuti dall'ultima volta che si era mossa -- lei
non ebbe neanche la decenza di ricomporsi o far finta che niente fosse
successo. Sapeva che se si fosse rimessa in piedi sarebbe inciampata
sul nulla com'era capitato sulle scale del Palazzo di Suna con la
differenza che in quel preciso istante non era in vena di
ridicolizzarsi o esternare le sue debolezze -- non che di solito le
piacesse esternare cose scomode in generale. Il ricordo di suo fratello
in quello stato le metteva il gelo
nelle vene.
Maciullarsi il
cervello a forza di sensi di colpa non era un'azione
consigliata, Temari lo sapeva... era da tanto che non si sentiva
così.
Sentì
Shikamaru entrare nella stanza, non si mosse di un millimetro e neanche
spostò la mano dai capelli.
Lui sembrò
congelarsi sul posto quando la vide per terra e lei
socchiuse gli occhi per fargli capire che non era nè svenuta
nè morta, Shikamaru sembrò apprezzare
perchè
rilasciò un lieve respiro liberatorio - Che ci fai
lì?-
Aveva la bocca
impastata ed un sapore per niente piacevole invadeva la
sua lingua, quindi non sapeva in che modo sarebbe uscita la sua voce,
di conseguenza inghiottì più volte prima di
aprire la
bocca - Diciamo che ho avuto un'epifania.- disse richiudendo gli occhi.
- Durante la quale
hai capito che il mio pavimento è molto comodo?-
- E' freddo, tanto
basta.- replicò inghiottendo di nuovo - Che ore sono?-
- Le nove e mezza.-
- Di mattina?-
Lui stette in
silenzio per qualche secondo - No seccatura.-
bofonchiò avvicinandosi a lei - Non sei uscita di casa oggi,
non
ti ho vista al Palazzo.-
Temari dovette fare
mente locale prima di realizzare che aveva saltato
una giornata di lavoro per una stupida, inutile reminescenza,
soffocò un'arida risata che le costrinse il torace e non
rispose
per paura di strillare.
Era così
patetico essere lei a volte, pensò sentendo un
distinto dolore al petto. Dolori intercostali, ragionò
lucidamente subito dopo, sono solo dolori intercostali come le diceva
sempre Baki quando era piccola. Erano solo muscoli doloranti, niente a
che vedere con il suo cuore momentaneamente a pezzi.
Shikamaru si sedette
davanti a lei dopo un momento di empasse, le gambe
incrociate, i gomiti appoggiati alle ginocchia e gli avambracci
mollemente in avanti - Cos'hai?- le chiese osservandola attentamente.
E di sicuro si
accorse del sudore che le imperlava la fronte e il modo in
cui le tremavano le palpebre - Niente di cui preoccuparsi,- rispose
senza energia - ora passa.-
- Suppongo tu sia
stata così per tutto il giorno, quando è 'ora' per te?-
- Davvero Nara, non
ho bisogno delle tue perle di saggezza per
sapere...- si bloccò di colpo, aveva dimenticato cosa voleva
dirgli - Lasciamo stare.- continuò fingendo
tranquillità.
Lui
sospirò rumorosamente - Non posso aiutarti se non mi dici
cos'hai.-
- Evidentemente non
ho bisogno del tuo aiuto.- replicò bruscamente.
- Evidentemente
strapparsi i capelli,- e dicendo questo le
disincastrò con delicatezza la mano ancora artigliata sulla
sua
testa - non è sinonimo di 'benessere' seccatura.-
Strofinò
la guancia sul pavimento ed improvvisamente non ebbe più
neanche la forza di negare.
Negare, negare,
negare. Sempre e per qualsiasi cosa. Era stufa, era
stremata. Glielo disse e lui stette ad ascoltare con ancora la sua mano
tra le dita. Le disegnava cerchi sul palmo, tracciava i contorni di
ogni dito, di ogni linea, di ogni pezzo di carne. E ascoltava.
La
logica ti uccide.
Alla fine Shikamaru
si sollevò sulle ginocchia e le
circondò con semplicità la vita tirandola su
quasi di
peso, lei traballò un attimo, ma la presa di Shikamaru era
solida nonostante la delicatezza delle sue dita sulla schiena sudata.
Si sentì
in imbarazzo ovviamente, non era uno spettacolo
in quel preciso momento, era sudata, appiccicosa e con un alito
terribile, in più non era neanche così tanto
lucida come
aveva creduto mentre se ne stava distesa sul comodo sostegno del
pavimento.
Appoggiò
la fronte gelata sulla sua spalla ed artigliò le dita sul
davanti della sua maglietta scura - Cosa...?-
Lui le
solleticò l'attaccatura dei capelli con il naso,
sfiorando poi con un lieve schiocco di labbra la sua tempia - Ti porto
in bagno. Hai seriamente bisogno di una vasca piena di bolle e... uno o
due tubetti di dentifricio, credo.-
- Molto elegante
Nara, davvero.- bisbigliò.
Lui le
baciò semplicemente la fronte e se la trascinò
fino al piano di sopra.
Shikamaru
l'aveva quasi buttata di peso nella vasca subito dopo averle
fatto lavare i denti. Era ancora leggermente intorpidita
perchè
in effetti era da troppo tempo che non si sentiva in quel modo e
ovviamente tutti i pensieri che aveva in testa non sapevano di
panna&fragole, anzi erano acide e stantie quasi. Sapevano di
marcio
e lei detestava avere quel genere di pensieri in testa.
Gli fece spazio
quando capì che anche lui voleva farsi il bagno, per starle
vicino o per lavarsi non era importante.
Quando Shikamaru si
fu comodamente sistemato -- schiena appoggiata alla
vasca, braccia buttate di lato e lei in mezzo alle gambe con tanto di
sigaretta fumante infilata tra le gengive -- e lei ebbe appoggiato la
schiena al suo petto cominciò ad avvertire un leggero
miglioramento delle sue abilità cognitive. Ad esempio
riusciva a
guardare la parete senza provare lo strano istinto di prenderla a
testate. Essere un individuo senziente è una gran bella cosa
per
certi versi, gli altri -- quelli che cerchi in tutti i modi di
nascondere agli altri e a te stessa in primis -- potevano
benissimamente andare a farsi fottere.
Cercò di
smettere di pensare nel momento stesso in cui Shikamaru
aprì la bocca per parlare - Non ne voglio discutere.- lo
bloccò sul nascere cominciando a sentire un certo fastidio
verso
se stessa, in fondo non era mica colpa sua se il suo cervello decideva
arbitrariamente di tornare decenni indietro. E farle conseguentemente
tremare il cuore.
Kami... tremare il
cuore, che espressione idiota, pensò
continuando cocciutamente a guardare le mattonelle come se fosse tutta
colpa loro.
Invece è
tutta colpa mia, si disse, il cuore è solo una
povera vittima perchè tu ti infili nelle peggiori seghe
mentali
possibili, tu ti innamori e lui ti viene appresso. Mi trema il cuore...
pronunciò quell'espressione nella sua testa più
di una
volta prima di fare una smorfia, anche quando hai paura ti trema il
cuore, sei innamorata della paura?!
Incrociò
irritata le braccia e sbuffò come una
locomotiva, Shikamaru poteva vedere le rotelle del suo cervello girare
impazzite ed era una cosa quasi divertende essere spettatore di una
tale dimostrazione di masochismo.
Non ne voleva
discutere?, ma per cortesia...
Tirò
mollemente dalla sigaretta e reclinò la testa indietro -
Rilassati seccatura, stai facendo bollire l'acqua.-
- Non te l'ho chiesto
io di farti il bagno!- sbottò piccata e ancora
più irritata di prima.
- Seh.-]
I pulled away to face the pain.
I close my eyes and drift away.
Over the fear that I will never find
a way to heal my soul.
And I will wander 'till the end of time
torn away from you.
Ricordava
ogni minimo, minuscolo particolare della sua vita tranne il
periodo precedente alla morte di sua madre. Era stata una donna
moderatamente affettuosa, mai troppo severa, ma neanche troppo
permissiva, sorrideva spesso prima che restasse incinta di Gaara e lei,
Temari, aveva creduto fosse perchè in realtà non
volesse
partorire suo fratello. In seguito avrebbe scoperto il
perchè di
quel cambiamento, ma a quei tempi era tutto avvolto in una nuvola di
fumo impenetrabile. Come gli occhi di suo padre.
Lui semplicemente non
c'era mai e non c'era nient'altro da dire.
Ricordava il caldo
soffocante opprimerle i polmoni, la sabbia bollente
sotto gli scarponi, il sudore che evaporava ancor prima di trasformarsi
in goccia. Le regole, gli ordini, le parole sussurrate nei corridoi del
Palazzo, i vecchi pazzi del Consiglio che confabulavano tra di loro con
quegli occhi quasi malati di potere. E la rabbia verso sua madre che
era semplicemente morta, lasciandola sola, verso suo padre che non
sembrava neanche toccato dalla cosa, verso Gaara che si limitava ad
esistere.
Verso se stessa per
non essere scappata.
La paura. Ricordava
di avere avuto paura di dormire perchè
quando le ombre della sua camera si allungavano verso il suo letto era
come essere inseguita da mani invisibili e quando i passi leggeri di
Gaara risuonavano nel corridoio era come sentire le punte dei kunai
sulla gola. Ricordava...
... di sentirsi
persa, immobilizzata nel suo stesso letto, la testa
pressata sul cuscino da una forza invisibile che le faceva tremare ogni
muscolo e scricchiolare ogni osso come per avvertirla di un pericolo,
per metterla in guardia da che cosa poi? Da un bambino?, da un demone?
O da se stessa?
La paura di essere
convocata da suo padre per sentirsi ordinare di
uccidere suo fratello. E ovviamente morire nel tentativo di eseguire
quel compito. Paura del giudizio, del silenzio deluso, delle
aspettative non soddisfatte.
Sabaku no Temari
ricordava ogni cosa,
non lo voleva, ma accadeva comunque; certo svegliarsi in un bagno di
sudore non era il modo migliore di cominciare la giornata e neanche
restare a fissare il soffitto lo era per quello che la riguardava.
Shikamaru doveva
essere tornato a casa sua perchè non sentiva il
suo respiro sul collo, il che era una splendida notizia visto il modo
in cui si era svegliata. Si passò la lingua tra i denti
cercando
di trovare una scusa valida per non alzarsi, non voleva neanche lavarsi
i denti, diamine non voleva neanche pensare.
La sua mano sinistra
andò automaticamente a cercare i capelli
che le ricadevano scomposti sulla fronte, vi artigliò le
dita e
chiuse gli occhi; ovviamente non migliorò le cose
perchè
dietro le palpebre aveva miliardi di immagini nitide e fottutamente sue
che non facevano niente per migliorare le situazione. Sembravano
persino divertirsi nel darle il tormento.
Si grattò
inconsciamente la guancia, poi l'altra mano si
artigliò sul collo e lei sentì le unghie forzare
la carne
e fare un male del diavolo. Non successe niente.
Non succedeva mai
niente.
Quando era piccola
capitava che si facesse male di proposito sia per
attirare l'attenzione che per sentire cosa si provava. Il dolore
è un sentimento a prima vista facile da identificare, Temari
lo
sapeva benissimo, eppure c'erano state volte in cui non si era neanche
resa conto di provarlo -- perchè c'è il dolore
fisico e
c'è un altro dolore che ti nasce dentro e cresce, cresce,
cresce. Tu non lo sai neanche che esiste, magari qualcuno a scuola ti
ha preso in giro o i tuoi genitori litigavano molto quando eri piccola,
oppure qualcuno ti ha
tradito, ferito, usato e tu mentre crescevi te lo sei scordato, ma
scordare le cose non significa cancellarle, le hai solo coperte e loro
nel frattempo hanno messo radici, infettato altri ricordi, fatto
nascere frutti fino a quando non ti ritrovi ad un punto che
non deve
per forza coincidere con la morte di qualcuno a te caro. Il punto
può palesarsi mentre corri, mentre lavori o quando studi.
Basta
un attimo, una frase che hai sentito, uno sguardo. Ed è come
se
tutti i cassetti della tua mente si svuotassero da soli, sparpagliando
il loro contenuto ovunque e tu ti rendi conto che qualcosa non va.
Improvvisamente tuo padre diventa un problema perchè non
c'è mai stato e se fosse un cadavere a te non fregherebbe un
fico secco, il tuo fratellino squilibrato diventa un problema
perchè non ha il diritto di trattarti come se non fossi
altro
che un ammasso di carne putrida. La tua vita diventa un problema, la
tua stanza, i tuoi vestiti, persino le porte ti schifano.
E ti schifa ancora di
più il pensiero che prima o poi dovrai pur
uscire per mangiare!, e vedrai loro e li odi per questo.
Perchè
esistono mentre tu vorresti soltanto stare da sola, tu e basta
perchè non hai bisogno di niente e il pensiero di dover
respirare la loro stessa aria ti disgusta.
Allo stesso modo in
cui odi loro, detesti te stessa e l'immagine che vedi allo specchio.
Lei non aveva specchi
in casa, non le servivano come non le necessitava
usare lo specchio del bagno per localizzare la sua bocca quando si
lavava i denti. Erano oggetti inutili gli specchi.
Inghiottì
il saporaccio che aveva in bocca e non fece una piega,
poi si rese conto che, bè, ovviamente c'era un problema.
Ammettere di avere un
problema è forse la cosa più
difficile che ti possano chiedere di fare, neanche gli psicologi
cominciano una seduta chiedendoti espilicitamente 'che problema hai',
ti
bloccheresti e non sapresti cosa diavolo rispondere, perciò
la
cosa migliore da fare e parlare.
Per parlare bisogna
avere qualcuno dato che con i soliloqui si risolve
poco. Parlare con qualcuno dei tuoi problemi è
un'agonia anche
perchè l'unico modo di risolvere il casino è
parlare con
la persona/cosa/animale che l'ha provocato. Per lei era suo fratello
Gaara.
Parlare con Gaara...
non era esattamente una cosa da fare a cuor
leggero, non che adesso ci fosse il pericolo di morire, per
carità, ma il suo fratellino aveva conservato una certa
placida
personalità che non faceva presagire nulla. Bisogna
guardarsi
dai calmi, le diceva sempre Baki-sensei, perchè loro mordono.
Il ricordo di quei
morsi era ancora lì, sotto tutti gli
espedienti che aveva usato per coprirli, per nasconderli. Si chiedeva
se Gaara se ne ricordasse, se conservava le memorie di quei morsi che
aveva inflitto, se lo chiedeva perchè era impossibile capire
cosa
si celasse dentro la sua testa ora che incombenze e impegni lo tenevano
lontano dalla sua stessa camera da letto. Non che dormisse poi
così tanto, al massimo quattro ore al giorno.
Quando lui era nato e
sua madre era morta lei si era nascosta dietro
una tenda perchè era curiosa di vedere il nuovo arrivato,
era
stata contenta di avere un altro fratello, poi aveva visto tutte quelle
persone intorno a lui, tutti quei sigilli e la sabbia che vorticava ai
loro piedi produceva un fruscio che non era un fruscio, erano kunai che
strisciavano su altro metallo, quel suono faceva sanguinare le
orecchie. Si era chiesta cosa mai gli stessero facendo, lui piangeva
così forte ed era così piccolo e sua madre era
morta.
Per lei era stato un
incubo dopo. Il silenzio in quel Palazzo era quasi
materiale. E di notte era come se lo stesso edificio si ribellasse
producendo suoni di vario genere, lo scricchiolio delle travi era
diventata una ninna nanna; così aveva cominciato ad
immaginarsi
grande perchè gli adulti sembravano sopportare stoicamente
l'esistenza di suo fratello senza fare una piega.
E aveva desiderato
combattere per difendere. Lei non si fidava di Gaara
e fin troppe volte aveva assistito ai suoi atti di violenza nei
confronti di altri bambini, addirittura di altri shinobi. Aveva voluto
imparare a difendere se stessa e gli altri. Improvvisamente salutare
suo padre non era più un piacere, ma un obbligo, stare a
sentire
i pettegolezzi non era più un passatempo, ma lavoro.
Allenarsi
non era più un gioco, se mai lo era stato.
Si era rotta le
braccia ben tre volte prima di riuscire ad utilizzare il ventaglio.
Ricordava con
precisione chirurgica il giorno in cui avevano informato
lei e i suoi fratelli della missione che avrebbero dovuto compiere a
Konoha durante il loro esame chunin. Lei aveva già quindici
anni.
Suo padre era morto,
lei non aveva versato una lacrima, Kankuro
più di una, Gaara non si era neanche presentato al funerale.
Decise di fare i
bagagli quando rivide suo fratello, il bambino che non
era mai stato, seduto tutto storto e solo in una delle sedie
nell'enorme sala da pranzo del loro Palazzo. Risentì il
click-click-click che tanto l'aveva aiutata.
Le fece salire il vomito.
I
can't go on living this way
And I can't go back the way I came
Chained to this fear that I will
never find
A way to heal my soul
And I will wander 'till the end of
time
Half alive without you
[ Il Villaggio di Suna non era per niente statico, era
sempre pieno di
gente, mercanti, imprenditori, per un periodo avevano pure ospitato un
circo, inoltre il territorio era bagnato dal mare a sud-est, dovevi
camminare parecchio per arrivarci ma certe volte il vento era
così potente da trasportare l'odore dell'acqua salata fin
lì. C'era l'illusione della libertà.
L'Accademia era grande tanto quanto quella di Konoha, ma la maggior
parte degli abitanti non erano shinobi, più che altro
commerciavano, coloro che sceglievano la carriera militare facevano
parte di una classe sociale non molto fortunata in affari, i benestanti
che sceglievano quel tipo di vita si contavano sulle dita di una mano.
In percentuale avevano un esercito di shinobi abbastanza numeroso, non
quanto quello di Konoha, ma ben addestrato.
Lei non aveva avuto problemi a diplomarsi prima degli altri, il suo
quoziente intellettivo non era certo quello di un genio ma aveva
così tanto voluto uscirsene che si era ammazzata la vita per
diventare genin; aveva dovuto aspettare che anche Kankuro e Gaara si
diplomassero per avere una squadra dato che il Consiglio e suo padre in
primis non sembravano avere l'intenzione di inserirla da qualche altra
parte. Anche lavorare in solitaria le era sembrata una prospettiva
migliore, oggettivamente sarebbe anche stata una scelta intelligente,
ma quando si è sottomessi e soprattutto non si hanno ancora
le
facoltà per opporsi non c'era molto da fare.
A quei tempi girava per il Villaggio come un automa, in vero avrebbe
fatto di tutto pur di restare fuori dal Palazzo quindi non si era mai
fatta troppe domande riguardo il suo comportamento -- perchè
non
era salutare, non era saggio e soprattutto aveva il timore che qualcuno
si sarebbe accorto dei suoi pensieri, il che non era qualcosa che la
faceva dormire bene la notte, oltretutto Gaara stava sviluppando una
certa capacità empatica ed ogni volta che le puntava i suoi
occhi chiari addosso lei si sentiva come collegata ad
un'infinità di fili che a loro volta erano attaccati ad una
di
quelle macchine della verità, lui sapeva sempre dove
trovarla,
era come se sentisse il suo odore o forse era semplicemente lei che non
riusciva a vederlo come un ragazzino normale che faceva cose normali in
un normale Villaggio di shinobi.
Non che desse molta importanza alla normalità, sia ben
chiaro,
quella aveva lasciato Suna nel momento stesso in cui sua madre era
morta e il demone era stato infilato a forza nel corpicino di Gaara.
Ricordava il suo pianto disperato, gli occhi socchiusi di sua madre che
non respirava più, lo sguardo ghiacciato di suo padre, le
parole
concitate del Consiglio, la sabbia che vorticava ai loro piedi e
l'odore stantio di qualcosa che non sarebbe dovuto esistere. L'odore
del rame.
Il sangue ha un odore che non si scorda, così come tutte le
cose
che avevano importanza. Lei, ad esempio, ricordava l'odore di legno che
impregnava suo fratello Kankuro, il leggero sentore muschiato di suo
padre, il sudore su Baki-sensei unito ad un leggerissimo profumo di
pino.
Gaara puzzava di rame, di sangue e sale.
Si era sempre sentita in colpa nei suoi confronti perchè in
fondo era come se lo stesse giudicando senza conoscerlo. Cosa ne poteva
sapere lei?, il demone non dimorava nel suo corpo, lei non doveva stare
sempre in guardia, lei non doveva ignorare stoicamente gli sguardi e i
discorsi sdegnati della gente che ovviamente parlava per fare male.
Cosa ne sapeva lei dopotutto?
Certo non poteva semplicemente andare da lui e scusarsi. Di cosa poi?,
sapeva che di qualcosa si sarebbe dovuta scusare, lo sapeva che c'era
qualcosa di tremendamente sbagliato nel modo in cui si vedeva costretta
a trattare Gaara.
Non era permesso nessun contatto con lui, suo padre l'avrebbe
severamente punita se l'avesse anche solo immaginata parlare con Gaara.
Lui doveva stare solo perchè doveva espiare i propri peccati
avevano detto, lei non aveva capito.
Cose come le divinità, i peccati, i miracoli e le punizioni
per
non essere stati buoni non le capiva. In realtà li
considerava
solo trip mentali, perchè la gente è fin troppo
impressionabile e lei credeva solo in quel che vedeva da quando aveva
capito che la sua vita aveva preso una curva a gomito per non tornare
mai più dritta come prima.
Generalmente cercava di non pensarci, qualche volta ci riusciva anche
considerate tutte le persone che le stavano attorno. Era pur sempre la
figlia maggiore del Kazekage, veniva seguita a vista da non si
ricordava quante guardie del corpo, e di conseguenza erano molte le
voci che sentiva durante il giorno. Non di notte.
Lei odiava il silenzio. Sapeva di tristezza mista a sangue, sudore e
sabbia; la bloccava nel suo letto come se una mano invisibile le
spingesse forte la testa sul cuscino, impedendole di voltare il capo,
di muoversi. Poi i passi di Gaara si allontanavano e quella mano si
staccava da lei, ma il silenzio rimaneva. Non poteva neanche mettersi
ad urlare perchè avrebbe svegliato tutti e Gaara sarebbe
potuto
tornare indietro, aprire la porta ed entrare nella sua stanza per
zittirla con un pugno di sabbia in mezzo alla gola.
Il più delle volte non era consapevole dei suoi pensieri,
molti
li aveva scoperti crescendo quando si era resa conto che non aveva
dimenticato niente -- a tal proposito avrebbe voluto aprirsi il cranio
per buttare via tutti quei pezzi di cervello che secondo lei facevano
solo male, avrebbe voluto strapparseli via a mani nude, anche morire
mentre lo faceva, tutto per dimenticare.
Avrebbe voluto... avrebbe voluto prendere ago e filo per cucirsi le
palpebre. Cucirsi gli
occhi. Aveva odiato ogni momento del suo
sviluppo, dal seno che cresceva ai fianchi che si arrotondavano, dalla
tranquilla ignoranza della fanciullezza all'acuta consapevolezza di non
essere più una bambina.
Ricordava di aver odiato il proprio letto dopo essere ritornata da
Konoha, ricordava di aver osservato Gaara con cura, preoccupata per
lui, dispiaciuta per lui. Soffriva per
lui e per i sensi di colpa che
non la facevano dormire.
Aveva compreso la portata del male che gli era stato fatto, aveva visto
quanto suo fratello fosse fragile e non solo perchè un
demone
gli occupava il corpo, no. Lui aveva avuto bisogno di un supporto, di
qualcuno che gli dicesse 'andrà tutto bene, te lo prometto'
come
ne avevano bisogno tutti, aveva avuto bisogno di loro madre, del suo
odore -- perchè sua madre profumava di mare, di
libertà,
di rose e sorrisi -- e della sua costante sicurezza, Gaara aveva avuto
bisogno di sua sorella, di lei, ma aveva trovato solo una ragazzina
terrorizzata, non aveva trovato nessun appiglio ed era quasi impazzito.
In quei giorni lei aveva cercato di parlargli il più
possibile,
aveva parlato fino a graffiarsi la gola. Gli aveva detto cose che non
aveva mai raccontato a nessuno e lui era rimasto impassibile, seduto su
una delle sedie della loro sala da pranzo. Seduto con la schiena
dritta, la testa fasciata, le braccia incrociate al petto e gli occhi
socchiusi. L'aveva guardata come se la vedesse per la prima volta e
più lei parlava più le gote di Gaara prendevano
colore.
Fu come vedergli serpeggiare la vita sotto la pelle, non era arrossito,
semplicemente non era più trasparente.
My heart is
broken...
Sweet sleep, my dark angel
deliver us from sorrow's hold
(over my hard... heart).
Lui era diventato Kazekage.
Kankuro gli si era avvicinato perchè sapeva che non sarebbe
riuscito a gestire tutto il Villaggio da solo, erano diventati quasi
amici, il che era un progresso che lei non si sarebbe mai aspettata,
non da Kankuro comunque.
Lei... era diventata Ambasciatrice di Suna a Konoha. Aveva diciotto
anni, era forse la persona più adatta a quel tipo di lavoro,
ma
si era sentita buttata fuori da casa propria. Ricordava di avere
sperato in un'opportunità come quella per scappare da
lì,
ora non avrebbe mai voluto andarsene, ma Gaara era stato irremovibile.
In un certo qual modo ne era anche lusingata perchè si era
sentita fidata. Da suo fratello, il suo Kazekage, il suo unico rimpiato.
Gaara era così tante cose per lei. Era quasi malsano pensare
al
proprio fratello come ad un rimpiato, ma era la verità dura
e
cruda. Lei avrebbe potuto salvarlo, ma aveva preferito nascondere la
testa sotto la sabbia piuttosto che affrontarlo di petto come qualsiasi
altra persona con le palle avrebbe fatto. Desiderava ancora potersi
cucire gli occhi e strapparsi via pezzi di cervello, i ricordi non sono
impalpabili, non sono astratti, hanno quasi materia, sono quasi fisici
nel modo in cui ti colpiscono, lo senti che ti colpiscono. Lei aveva
persino difficoltà a concentrarsi su qualsiasi altra cosa
quando
veniva colpita da una reminescenza, la testa cominciava a farle male,
la schiena scricchiolava come se volesse piegarsi all'indietro e
spezzarsi. Voleva disperatamente dimenticare.
Non riusciva a cancellare niente. Era un problema.
Prese l'incarico a Konoha per puro amor proprio, ma a scappare dai
problemi si ottiene solo altro rimpianto, altri acciacchi, altri
ricordi. Non aveva tempo per l'amore, lei non ci credeva neanche
all'amore. Diamine nella sua vita l'unico atto di amore che aveva visto
era stato il sorriso di sua madre in punto di morte, dopo un po' aveva
cominciato a credere che l'essere umano fosse geneticamente fatto per
ricordarsi di amare proprio quando non aveva più tempo per
farlo, o fingeva di amare per tutta la vita, spacciandosi da santone,
per poi finire morto ammazzato in un vicolo dalle mani di qualcuno che
aveva visto oltre la menzogna e aveva deciso che una bugia del genere
non meritava neanche di respirare. Lei non mentiva, non di proposito e
mai per se stessa. Essere sincere era una vera rottura di scatole,
insomma la gente non ascoltava nemmeno quello che lei aveva da dire e
il più delle volte si offendeva mortalmente quando si
sentiva dire da qualcun altro la verità che lei
già sapeva ma non voleva assolutamente accettare. Come
quando sai che il ragazzo della tua migliore amica è un
traditore infingardo e, dicendo questa verità alla tua
suddetta migliore amica, ricevi in cambio insulti e sguardi sdegnati,
per poi ritrovartela davanti qualche mese dopo in lacrime
perchè ovviamente tu avevi una ragione fottuta.
Per questo lei non aveva molte amiche femmine... in realtà
non ne aveva nessuna sempre a causa di quella sua tendenza a dire le
cose come stavano, niente favole, niente fronzoli, solo la cruda
verità. Credeva che la chiamassero 'cruda' perchè
era difficile da mandare giu, come un pezzo di carne ancora
sanguinante. Faceva letteralmente schifo sentirsi dire il vero, eppure
la gente continuava a ripetersi di volerlo anche se non sapeva
accettarlo.
Che senso aveva? Se non sei pronto per la verità non rompere
le palle e sopporta tutte le bugie che ti vengono dette, non ti
lamentare della tua vita schifosamente ordinaria, non osare dare la
colpa agli altri. Lei la pensava così, l'aveva sempre fatto.
Lei si era mentita fin troppe volte.
Non ho paura del buio, non ho paura di mio fratello nè di
nessun altro, non ho bisogno di nessuno perchè mi basto.
Poi lui era morto. Ed era ritornato. Però era tecnicamente
morto sapete? All'esterno si era mostrata sicura, cos'altro poteva
fare?, non poteva certo mettersi ad urlare con il rischio di creare
ancora più panico, il che era stato svilente
perchè, davvero, era stata una sensazione orribile.
Oltretutto anche Kankuro non stava affatto bene, era stata una fortuna
avere Sakura in quella determinata circostanza, ma per Gaara era stata
una cosa diversa. Si, era ritornato vivo all'incirca, ma a che prezzo?
Non doveva essere stato piacevole sentirsi tirare fuori il demone,
Gaara per l'appunto aveva osteggiato un colorito grigiastro per mesi e
non aveva guardato nessuno per settimane. Lei credeva che stesse
cercando di superare quel trauma -- perchè aveva subito un
trauma -- senza far capire a nessuno cosa esattamente stesse facendo.
La tipica reazione da teenager, il problema era che Gaara era il
Kazekage e tutti pendevano dalle sue labbra dopo aver visto cos'era
stato in grado di fare per salvare la vita a tutti. Tipica reazione
umana: prima sputano addosso ad una persona insulti, odio, scherni, la
dipingono come il peggior essere umano vivente, poi quando si ammala o
peggio muore diventa l'eroe/eroina di tutti, tutti lo/la amano, tutti
lo/la ascoltano.
Lei non aveva un'opinione molto alta dell'essere umano in generale, ma
i leccaculo non li aveva mai potuti soffrire. Si era accollata il
lavoro di Gaara per tre mesi buoni prima che suo fratello riuscisse
anche solo a scrivere senza fermarsi ogni cinque minuti per strizzare
gli occhi ancora molto arrossati.
Non gli aveva chiesto come si sentisse, semplicemente l'aveva visto
lì seduto ed era ritornata per un attimo la bamboccia
tremante di un tempo, non era riuscita a chiedergli esplicitamente
'come stai, posso fare qualcosa?', accidenti non avrebbe mai potuto
farlo senza sentirsi tremendamente in colpa per non avergli posto
quella stessa domanda anni prima; lui non le avrebbe risposto
nè decenni prima nè in quel preciso istante,
infatti Gaara non dava particolare importanza a certe sciocchezze quali
il suo stato mentale sotto stress o la sua salute in generale, non si
era mai preso un colpo di sole nè un raffreddore, al massimo
starnutiva quando della sabbia gli si infilava nel naso il che era una
reazione del tutto normale per la maggior parte della gente che non
tirava nessun tipo di polverina dal naso, anche se lei credeva che
avrebbero starnutito comunque.
Kankuro era cambiato molto in quel periodo, aveva cominciato ad
occuparsi delle faccende burocratiche che Gaara non aveva intenzione di
considerare, si allenavano spesso insieme e lei si era limitata ad
imparare a cucinare quando aveva capito che Gaara preferiva mangiare
cose fresce che non avessero il sapore della plastica da supermercato
scadente. Non che facesse solo quello, andava ancora a Konoha, si
occupava ancora della gestione economica e cercava ancora di
dimenticare. Baki-sensi era diventato una costante della sua vita,
praticamente era il suo psicanalista personale, non che concludesse
molto a parlare con lui di peperoni alla griglia e patate al forno, ma
almeno riusciva ad incanalare la tensione da un'altra parte.
Desiderava ancora cucirsi gli occhi, se lo sognava persino. Ad un certo
punto aveva fatto sparire dal Palazzo qualsiasi cosa le ricordasse ago
e filo visto che non voleva aggiungere preoccupazioni inutili alla sua
famiglia di per sè incasinata.
Era andata a trovare la tomba di sua madre parecchie volte. Aveva
smesso di farlo quando a undici anni aveva capito che i morti non
riemergono miracolosamente dalla sabbia, a diciotto anni si era resa
conto di doverle almeno quel piccolo gesto di rispetto, non che
significasse davvero qualcosa. I morti non hanno occhi per guardare chi
li va a trovare e chi no, non sanno neanche dove sono stati sepolti,
neanche in che tipo di legno sono stati rinchiusi men che meno possono
leggere le frasi scritte sulla loro lapide. Lei non credeva a certe
cose quali la redenzione post-decesso, credeva nei fatti e i fatti
dicevano che sua madre aveva smesso di respirare quindi aveva smesso di
esistere. Era un pensiero triste, si, ma rendeva tutta la situazione
tangibile. Giustificava il suo modo di interagire con la gente. Lei non
aveva pietà per nessuno, neanche per se stessa, cosa ancora
più triste ovviamente perchè in fondo se non
abbiamo pietà noi per noi stessi la speranza va
letteralmente fuori dalla finestra senza che tu le dia una bella spinta.
La verità era che aveva disperatamente bisogno di chiedergli
perdono. Non ci riusciva mai.
Kankuro che la conosceva bene cercava in ogni modo di risolverle i
problemi, lo faceva in un modo disastroso e il più delle
volte finiva per farla incazzare di brutto. Tra di loro avevano avuto
parecchie discussioni quasi filosofiche che non andavano da nessuna
parte.
"Dovresti pensare a
quello che puoi fare ora", le diceva sempre "Pensa a quello che puoi fare ora
Tem, di questo passo finirai per farti spuntare un enorme brufolo in
fronte".
Era difficile.
- Sai,- le aveva detto un pomeriggio dopo un estenuante allenamento nel
bel mezzo del deserto - credo che stia migliorando.- lei non aveva
capito cosa diavolo volesse dire - Insomma parla di più,-
aveva continuato - Kami non parla sempre, ma quando lo fa è
come se dicesse le cose giuste.- in un certo qual modo si era sentita
peggio perchè dire le cose giuste non
significava stare meglio,
uno può dire le cose più sensate di questo mondo
mentre sopportava una crisi di nervi di proporzioni immani, non
significava niente - E non credo ce l'abbia con noi Tem, non lo credo
proprio. Cioè... hai presente quando una persona ti odia no?
Non perde tempo per farti capire cosa pensa, piuttosto cerca di
renderti la vita uno schifo, lui non lo fa.-
Lei sapeva che Gaara non la odiava. Era lei che odiava se stessa
perchè non era neanche capace di farsi odiare da lui che da
sua sorella non aveva mai avuto altro che indifferenza. Era un pensiero
contorto, ma se Gaara l'avesse odiata allora lei avrebbe avuto un
qualche tipo di giustificazione per chiedergli perdono. Sentirsi
chiedere scusa di punto in bianco da qualcuno per il quale non si nutre
nessun tipo di risentimento non è certo la cosa
più normale che ti possa accadere.
Visitando la tomba di sua madre si era chiesta cosa avrebbe fatto se
suo fratello fosse morto sul serio. Avrebbe dimenticato? Si sarebbe
sentita meglio come si era sentita meglio quando suo padre era morto?
Sarebbe stata libera?
Change
- open your eyes to the light
I denied it all so long, oh so long
Say goodbye, goodbye...
Evanescence
- My heart is broken
Lei e quel Nara avevano cominciato ad uscire insieme due
anni dopo. Lei voleva ancora dimenticare e cucirsi gli occhi con
qualsiasi cosa le ricordasse ago e filo, lui si limitava a circondarle
le spalle quando si accorgeva di qualcosa che lei aveva disperatamente
cercato di nascondere. Era l'unico ragazzo con il quale si era sentita
appropriata, nel senso che lui era abbastanza
per camminarle accanto. Era un ragazzino, non parlava molto, ma
osservava ogni sua mossa.
Era come se volesse imprimersi ogni suo gesto nel cervello, lei credeva
lo facesse per puro orgoglio maschile, alla fine, chiedendogli il
motivo per il quale continuava a fissarla come se non fosse neanche
vera, aveva appreso che temeva la sua prossima fuga. Era una
motivazione molto fondata, chi si fiderebbe di qualcuno che vuole
trapuntarsi le palpebre?
Ricordava di aver provocato le sue lacrime. Quella era una cosa che la
pungeva ogni volta che ci ripensava, non che non avesse avuto ragione,
ma stranamente quando ti metti insieme ad una persona alla quale hai
fatto qualcosa di male cominci a sentirti uno schifo. Lei non lo dava a
vedere, in fondo non credeva neanche che sarebbero durati quindi
perchè sfarinarsi il cervello?
Ironicamente lei era sicura di essersi innamorata per prima, stava
ancora combattendo contro se stessa e cosa faceva? Si innamorava di un
tizio che portava i capelli ad ananas, che viveva ancora con i genitori
e che non sapeva assolutamente niente della sua vita prima dell'esame
chunin di tanti anni prima.
E voleva ancora chiedere perdono a suo fratello, ma non sapeva come.
Bere litri di caffè, fatto anche male, le era sembrata
un'ottima soluzione dato che non poteva diventare un'alcolizzata
così dal niente, ci voleva prima una buona dose di caffeina
per debilitare il fegato così che, una volta passata ai
litri di alcol, sarebbe morta prima. Era un piano di azione campato per
aria e non era neanche sicura che il caffè potesse far
marcire il suo fegato, ma almeno sapeva come occupare il tempo quando
non pensava ad ago e filo o al ghiaccio.
Perchè era tornato anche il ghiaccio sapete? Scricchiolava
nella sua testa, cercava di sciogliersi perchè in effetti
abitare dentro il suo cervello non doveva essere per niente divertente.
Pensava spesso a cosa sarebbe successo se avesse infilato la testa nel
fiume, tipo... il ghiaccio le sarebbe uscito fuori dalle orecchie o dal
naso? Cavoli si sarebbe anche infilata un fiammifero acceso in un
orecchio per vedere se quel fantomatico ghiaccio esistesse davvero o
fosse solo un insulso frutto della sua mente. Era sicura che lo fosse,
attenzione, non era completamente esaurita, ma farsi certe domande
riesce a farti capire che non stai impazzendo, perchè se hai
ancora il coraggio di pensare certe mostruosità non puoi non
essere sana. Se ti metti in dubbio non sei pazza, lei si metteva in
dubbio spesso da quando stava con Shikamaru.
Aveva cominciato a rivalutare le cose due anni dopo, stava ancora con
Shikamaru e, si, credeva
ancora di volersi cucire gli occhi, ma il ghiaccio era sparito.
Per l'ultima volta aveva visitato la tomba di sua madre, le aveva
chiesto scusa per non essere stata in grado di prendere il suo posto.
Chiedere scusa ai morti è molto facile perchè in
realtà non stai parlando con nessuno. Speri che ti stiano
ascoltando e che in qualunque altra dimensione si trovino riescano
persino a sorridere, lei sperava che sua madre sorridesse.
Era andata da Kankuro e gli aveva chiesto scusa per un sacco di cose,
non sapeva neanche perchè lo stesse facendo, sembrava
soltanto molto giusto farlo. Baki-sensei era venuto dopo, si era
scusata per tutti gli anni in cui l'aveva torturato psicologicamente
con peperoni alla griglia e patate al forno, lui aveva semplicemente
riso.
Non aveva chiesto perdono a Gaara, per quello non era ancora pronta. ]
Non si avverte la
propria catena quando si segue spontaneamente colui
che trascina; ma quando si comincia a resistere e a camminare
allontanandosi, si soffre molto.
André
Gide - La Porta Stretta
Sapete la
sensazione che si ha quando si sta per fare una cosa per la quale si
è lavorato per tutta la vita fino a quel punto? Non si
può descrivere ovviamente, Temari non ne sarebbe stata in
grado neanche ne fosse valso della sua vita, il che la metteva in una
posizione di completa confusione mentale anche se sapeva benissimo cosa
stava per fare.
Anni. Aveva lavorato
su se stessa per anni e si era volutamente torturata perchè
il perdono lo si deve chiedere prima a se stessi e poi, quando si
è veramente capito, agli altri.
Gaara era adulto
ormai, era diventato l'uomo che loro padre non era mai stato. Lei era
pronta per lui anche se molto probabilmente Gaara non era consapevole
di ciò che lei aveva pensato per tutti quegli anni.
Alla fine sono le
piccole cose che ti fanno capire cosa sei.
Certo ricordava
ancora ogni cosa con vividità indicibile e certe volte
avrebbe preferito cucirsi quei fottuti occhi pur di non farlo, ma in un
certo qual modo era più consapevole e meno arrabbiata, quello sicuramente.
Non era lì
per restare, Suna aveva da tempo lasciato il posto a Konoha, la sua
vita era da un'altra parte, eppure ritornare faceva sempre uno strano
effetto.
In quel momento
sentiva la sabbia sibilare, il suo naturale calore trapassava con
facilità gli stivali, la sentiva appiccicarsi sulla pelle.
Era una bella sensazione.
Gaara la
guardò per un attimo quando lei entrò
rumorosamente nel suo ufficio, di certo non l'aspettava e sicuramente a
Temari non importava un fico secco.
- Ciao fratellino.-
Lui
sollevò leggermente un angolo della bocca - Temari.-
socchiuse appena le labbra per pronunciare il suo nome.
L'accento di Suna era
una cosa a parte, aveva dimenticato il suono delle vocali del suo nome
pronunciato in quel modo.
Si sedette
appoggiando il suo ventaglio accanto alla sedia - Non disturbo vero?-
- No. Dovresti
riposarti.- non era realmente preoccupato per lei, semplicemente non
sapeva cosa aspettarsi, in fondo non era stato avvertito del suo arrivo
e le sorprese non gli piacevano poi così tanto.
- Tranquillo, sono
sana come un pesce e... diciamo che ripartirò il prima
possibile.-
- Oh?-
Cominciò a
pensare forsennatamente a come iniziare il discorso, continuava ad
essere convinta del fatto che sentirsi chiedere scusa da qualcuno che
non ti aveva veramente fatto nulla fosse un tantino anormale anche
perchè Gaara era una persona abbastanza quadrata e non gli
piaceva perder tempo, in un certo senso sperava che lui sapesse
già cos'aveva provato in tutti quegli anni. Era da Gaara
sapere certe cose, aveva passato così tanto tempo ad
osservare le persone che probabilmente era diventato empatico per
osmosi, ma non poteva crogiolarsi nel fatto che lui sapesse
perchè in quel modo non avrebbe risolto niente. E poi era
del parere che le parole, se dette bene, avevano un potere immenso.
- Probabilmente...-
prese un respiro tranquillo e ricominciò - Ti ricordi di
quando eravamo piccoli?-
Gaara si
reclinò sulla poltrona ed incrociò le dita sotto
il mento, la guardò attentamente prima di risponderle - Si.-
Lei piegò
il capo sulla spalla - Allora vorrei chiederti perdono per un paio di
cosette.-
- Non devi...-
- Oh si, devo.-
tossicchiò per schiarirsi la voce - Ho avuto paura di te,
non credo di avertelo mai detto, però si, mi facevi paura.
Cercavano sempre di ucciderti e credevo che prima o poi avrebbero
chiesto a me di farlo.- si fermò per riflettere un attimo,
il cuore le batteva forte - Avrei dovuto aiutarti Gaara ed essere
qualcosa di più per te, non dico di non esserlo stato poi,
ma quello non ha realmente provocato danni, giusto? Voglio dire che...
mi dispiace, per tante cose. Sei mio fratello e ti ho lasciato a te
stesso e...-
- Non avresti potuto
fare niente.- la bloccò chiudendo per un attimo gli occhi -
Non te l'avrei permesso.-
- Resta il fatto che
mi dispiace non averci provato. Mi manda ai pazzi pensare che
probabilmente io avrei potuto fare la differenza, avresti dovuto sapere
che non tutti ti desideravano sotto terra. Tutte le bugie che ti hanno
detto... ne faccio parte anch'io anche se non direttamente, in fondo
non ti ho mai detto come mi sentissi. E sono anni che cerco di fare
questo discorso ma sta uscendo più patetico di quanto mi
aspettassi.- corrugò la fronte quando lo vide sollevare di
nuovo l'angolo della bocca - Voglio chiederti veramente perdono per non
essere stata la sorella migliore che potessi desiderare, la mamma mi
picchierebbw se fosse ancora viva.- bofonchiò quasi roteando
gli occhi al cielo.
Gaara
osservò fuori dalla finestra - Io mi ricordo che cucinavi
dei peperoni molto... gustosi.-
- Ma quello
è stato dopo...-
- E che mi guardavi
sempre anche prima.- la bloccò
roteando gli occhi su di lei - Ma i peperoni erano molto buoni.-
annuì leggermente - E cambiavi sempre il mio futon anche se
non lo usavo. Non eri invisibile Temari, ti vedevo.- sembrava molto, molto
imbarazzato - E voglio i peperoni per cena stasera.-
Lei
dimenticò il discorso che si era preparata - Rossi o gialli?-
- Tutti e due.-
Alla fine sono le
piccole cose che danno importanza a tutto. Anche se il percorso non
è proprio dritto come uno spaghetto. E fa tremendamente male.
Però si
cresce comunque, prima o poi.
N/A
... Ora io dovrei
scrivere qualcosa di intelligente per spiegare da dove cavolo
è uscita fuori questa cosa gigantesca che non mi ha dato
tregua.
E' colpa di qualcun
altro ovviamente, qualcuno che mi ha fatto incazzare (pardon) da
morire, questa è la conseguenza dato che non avevo la
possibilità di prendere a pugni qualcuno (non mi abbasso a
picchiare i muri, io).
Cominciamo a
spiegare: personalmente mi sono sempre chiesta come fosse organizzata
la vita di Temari prima dell'esame chunin, ho sempre desiderato
scrivere una one-shot su questo tema, ma per un motivo o per un altro
le idee che avevo non mi sembravano per niente plausibili. Questa
one-shot oltre per la ragione primaria (ovvero il mio umore)
è nata perchè avevo bisogno di introspezione.
Cioè di scriverla, ma bando ai cenci, la shot è
una Temari-centric come avrete sicuramente capito, è lei che
lotta con se stessa, è lei che cerca di liberarsi dalle
fantomatiche catene che l'ultima frase nomina, è lei che si
fa i problemi.
Vi
sembrerà sconclusionata oltre che assurdamente lunga, ma
è uscita così dopo un sacco di tempo.
Spero mi perdonerete
l'OOC, perchè c'è e non ci posso fare niente. Ero
e sono molto indecisa sul raiting da usare, perchè
effettivamente non è una one-shot leggera a mio parere, ma
ovviamente potete benissimo dirmi di andare a quel paese e di
abbassarlo.
Spero che vi sia
piaciuta e perdonatemi gli errori. E la lunghezza. E l'OOC. Si capisce
che non sono affatto sicira del risultato o.o?
Angela.
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