ALLUCINAZIONE

John non aveva di certo paura della sofferenza. Era un soldato, dopotutto.

Però soffriva di un dolore che non riusciva ad esprimere a parole, semplicemente perché le parole giuste non esistevano. Se esistevano, John non riusciva a trovarle da nessuna parte.

C’erano giorni nei quali desiderava semplicemente essere dimenticato da tutti.
Harry. Molly. Lestrade. Mycroft. A volte s’immaginava di dimenticare le loro facce, il suono della loro voce, i loro nomi persino. Desiderava tornare all’inizio e ricominciare tutto. Se avesse agito diversamente, forse le cose …

Non poteva. Indugiare su pensieri del genere, creare scenari perfetti all’interno della sua mente, non l’avrebbe affatto aiutato; gliel’aveva detto anche la sua terapista.

John lo sapeva benissimo. Non era di certo un idiota, nonostante Sherlock gliel’avesse ripetuto più volte.

Sherlock.

Lo sapeva fin troppo bene.

Eppure, nonostante tutto, quando Sherlock lo guardava dalla sua poltrona con il suo solito cipiglio altero ma divertito, quando gli spiegava pazientemente le sue deduzioni, quando gli parlava dell’ultimo noiosissimo caso, John non riusciva a ricordare le parole della terapista. Dimenticava perfino i suoi stessi propositi, le sue stesse ammonizioni.

Smettila John. Non è sano.

Quando poi, di notte, Sherlock s’infilava nel suo letto per mormorargli che faceva bene a cancellare le facce degli altri, a dimenticare tutto, a perdersi anche solo per quei momenti nella sua fantasia, John proprio non era capace di lasciare andare quel fantasma. Non poteva allontanarlo.

E anche se alla mattina non gli rimaneva più nulla, John sopravviveva nel ricordo.

Il più delle volte gli bastava.

FIN