Era da...
quanto? Circa un mese che si erano lasciati. Quella sera pioveva, se la
ricordava bene. Quanto diavolo di tempo se ne era rimasto seduto sul
letto a fissare le assi del pavimento?
“Mi dispiace” era tutto quello che era
riuscito a dirgli prima di andarsene e lasciarlo definitivamente solo.
Lo sapeva. Lo sapeva che sarebbe capitato prima o poi, lo sapeva che
quella puttana dai capelli scuri lo avrebbe ucciso. Avrebbe distrutto
entrambi. Solo che non credeva che lo avesse potuto fare davvero. John
gli aveva sputato addosso giusto quelle tre o quattro frasi che si
dicono quando si vuole lasciare qualcuno per sempre, ma cercando di non
farlo soffrire troppo. Paul, forse è meglio se la chiudiamo
qui, Paul lo sai che ci tengo a te, Paul non può andare
avanti per sempre. E lui, in preda alle lacrime, gli aveva gridato
addosso che se voleva andarsela a scopare poteva tranquillamente farlo,
e che gli stava spezzando il cuore. L'ultima pugnalata fu quel
“mi dispiace” uscito dalle sue labbra mentre gli
accarezzava leggermente i capelli, poi aveva chiuso la porta piano e lo
aveva lasciato piangere e singhiozzare in solitudine. Gli altri del
gruppo sapevano cos'era successo, ma nessuno aveva avuto il coraggio di
parlarne. Ma che erano preoccupati si vedeva lontano un miglio.
Per quasi due mesi avevano deciso di prendersi una pausa e
di non incidere nulla, fino a quando John non capì che per
il bene dei Beatles era meglio se si fossero rimboccati le maniche e
avessero cominciato a creare qualcosa di buono. Così si
diedero appuntamento agli Abby Studios, in modo di arrivare prima di
Brian giusto per sistemare gli strumenti ed accordarsi sul da fare.
Nessuno aveva più visto Paul per tutto quel tempo. Se ne
stava sempre chiuso in casa, o quelle poche volte che usciva non voleva
stare con nessuno. Da una parte erano tutti sollevati da
quell'incontro. I primi ad arrivare furono George e John che si
salutarono con una semplice pacca sulla spalla e con qualche battutina.
“Ehi John... come va?”
“Ah... beh... diciamo che va”
“H-ho saputo che tu e Yoko... hmm”
“...ci siamo lasciati, la scorsa settimana
sì. Non funzionava”
“mi dispiace amico”
“Dai, pensiamo a suonare ora”
“E sarebbe ora!” si intromise Ringo con
il suo solito sorrisone.
“che gentilezza!” lo
rimproverò il chitarrista con una spinta.
Abbracciò John come se fosse un sopravvissuto da
un naufragio in un isola deserta, poi gli scompigliò i
capelli evitando i pugni che cercava di tirargli il cantante in modo da
scrollarselo di dosso e sempre con l'aria felice cominciò a
tormentarlo. “Johnny... stai bene?”
“Che fai Ringo, ti preoccupi?” chiese
l'altro ridacchiando.
“Beh... sì, visto che è da
più di un mese che non ti fai vivo!” John gli
tirò un sorrisetto mentre George, come un falco, scrutava la
situazione come se avesse la netta sensazione che stesse per succedere
qualcosa di imbarazzante.
“E con Yoko? Sempre tutto ok?”
Ecco, appunto.
“Ci siamo lasciati una settimana fa” gli
rispose l'altro con un sorriso falso e sbattendo le ciglia come una
principessa.
“O-oh! Io n-non- perdonami...”
cercò di riparare Ringo mentre George si sbatteva una mano
sulla fronte. Era proprio Ringo Starr.
“però heyy!!! Non è la fine
del mondo amico! E poi la vuoi sapere una cosa bellissimo? Per me e per
George quella era una vera baldrac-”
“AHEM RINGO vieni con me
cheaccordiamolachitarra”
“C-come? Ma George io-”
“Vieni con me ebbasta!” lo
tirò per la giacca il più alto divenendo tutto
rosso in faccia per la figuraccia. “Sei un cretino! Un
cretino da medaglia d'oro!!!” gli sibilò sottovoce.
John se ne restò impalato con una smorfia fino a
quando anche l'ultimo non arrivò. E avrebbe davvero voluto
non voltarsi a guardarlo.
Paul Mccartney entrò dalla porta degli studio di
registrazione, con degli occhiali da sole che gli nascondevano lo
sguardo e una veste che gettò su una sedia lì
accanto. “Salve a tutti” disse con un filo di voce,
poi si tolse anche gli occhiali scuri e li posò sopra il
cappotto.
“Ciao Paul...” fu l'unica cosa che
riuscì a dire Ringo guardando i suoi occhi. Erano i suoi
grandi e verdi occhi, ma non brillavano più come li aveva
sempre visti tempo fa, sembravano velati di nebbia, come la rugiada che
ricopre i fili d'erba la mattina. Erano tristi, spenti, svogliati. Ma
la cosa che fece rabbrividire tutti era che erano circondati da scure
occhiaie, come se non dormisse più da settimane. Il suo
volto era pallido e sciupato, e George poté pure giurare che
fosse dimagrito dall'ultima volta che lo aveva visto.
“Allora, cominciamo?” buttò
lì il bassista.
Tutti erano troppo scossi per reagire subito, aveva un
aspetto terribile e questa fu una vera pugnalata nel petto di John.
Aveva avuto paura di reincontrarlo, temeva avesse cominciato a gridare
e a prenderlo a calci, e invece... sembrava un cucciolo ferito che non
aveva poi così tanta voglia di vivere. Non riusciva a
staccargli gli occhi di dosso.
Paul prese il suo basso ed iniziò ad accordarlo
borbottando che era la prima volta che lo trovava così
scordato. Aveva la testa bassa e tutta concentrata sul suo strumento, e
Ringo gli si era avvicinato per cercare di dirgli qualcosa, quando si
accorse che sulla vernice del basso stavano cadendo delle lacrime.
Così fece la prima cosa che gli passò per la
testa. Lo afferrò per un braccio in modo da fargli andare lo
strumento e non ascoltò nemmeno le lamentele dell'amico. Lo
trascinò dentro ad una specie di stanzino sotto agli occhi
sbarrati di tutti. Quando voleva Ringo dimostrava una forza
incredibile. Lo portò dentro chiudendo la porta e con il
cuore che gli moriva vide Paul abbandonarsi e sedersi sul pavimento con
le mani che gli nascondevano il volto. Sapeva che stava ancora
piangendo, solo che voleva farsi vedere forte.
“Paul...” disse accarezzandogli una
spalla “Paul... che cos'hai?”
Questo tirò un sospiro profondo, si
pulì gli occhi con la manica della camicia ed
osservò il batterista.
“io sono forte”
“Lo so che lo sei...”
“E' solo che non riesco proprio ad uscire da
questa situazione sai Ringo?” non si accorse nemmeno che
stava ricominciando a piangere.
“so che stai facendo il possibile”
esclamò sedendosi vicino a lui “non sai quanto mi
dispiace...”
“ricordo ancora che cosa mi ha detto”
sussurrò piano.
“i-io... io non so se questo possa aiutare...
ma... so che lui e Yoko non stanno più insieme...”
“Hah” rise sprezzante l'altro
“non mi interessa per niente cosa diavolo faccia nella sua
vita... voglio solo che esca dalla mia...”
“no che non lo vuoi”
Paul cercò di ribattere, ma sapeva che aveva
ragione. E questo lo colpiva più di un colpo di pistola.
“Credo che dovremmo spostare questo incontro ad un
altro giorno...”
“no Ringo è giusto...”
“No, lo dico agli altri. Se i Beatles devono
suonare, allora lo devono fare alla grande! Cerca di riposarti, vai a
casa e stenditi sul letto”
Il bassista si arrese e con un sorrisetto si alzò
insieme a Ringo in modo da comunicare tutto agli altri.
“Hey Paul” concluse Ringo prima di
uscire “ti voglio bene”
“Anch'io” gli rispose con un sorriso.
Quando uscirono, anche George fu della stessa idea di Ringo,
mentre John non sapeva cosa dire esattamente. Stava piano piano morendo
dentro, e non sapeva se piangere, se gridare o cos'altro.
Così tornarono tutti a casa, ognuno per la sua
strada, anche se John tentò davvero di poter parlare a Paul.
Ma non ci riuscì. I suoi occhi color Nutella lo seguirono
andare via, solo, mentre annegava fra i suoi pensieri.
Ok ok non è esattamente una storia eccezionale,
ma ho voluto provarci. E' la prima John/Paul che scrivo, ma ho voluto
scrivere qualcosa anche su di loro perchè sono teneri
proprio come la coppia George/Ringo. Non sarà una storia
lunga, credo che si concluderà in due o tre capitoli al
massimo.
Un abbraccio a tutti! <3
|