Riassunto: 2018. Adam è sposato
con Sauli, abita a New York e sta per adottare un bambino. Ma dopo 5
anni, Isaac torna a bussare alla sua porta e gli dice solo 3 parole:
‘è per Tommy’. Questo basta per far
correre Adam a Burbank da quel ragazzo che già una volta gli
aveva fatto riconsiderare tutte le proprie convinzioni e l'aveva
cambiato da cima a fondo, e chissà che non
l’avrebbe fatto ancora. La storia di due anime gemelle che la
vita ha portato ad incontrarsi per poi separarsi ancora e di quel loro
legame irrimediabilmente indissolubile che li porta, dopo essersi
rivisti, ad un percorso di riscoperta di sé stessi, dei
propri sentimenti, delle proprie passioni e delle proprie
priorità. Un percorso difficile fatto di debolezza,
ostinazione, rifiuto, fiducia, speranza, pentimento, affetto, perdono e
accettazione; un percorso che forse non li porterà a tornare
quelli di prima, a riavere indietro ciò che avevano, ma
certamente li cambierà nel profondo.
"Isaac lo
vedeva rannicchiarsi in un angolo, ansimante, pallido, gli occhi
sgranati con il terrore dipinto dentro e quando provava ad
avvicinarsi Tommy lo mandava via, e lui non si sarebbe mai perdonato
se davvero l’amico avesse ceduto alla malattia. Se Adam era
il
morbo, lui sarebbe stato la cura, doveva esserlo, o non ce
l’avrebbe fatta mai più a guardarsi allo specchio."
Note: Ho perso le
mie bellissime noticine, quindi vi dovrete accontentare di questi
ringraziamenti un po' meno appassionati. Grazie alla volenterosa Stefania che si è offerta di
betare la storia, a tutti quelli che leggono, seguono e recensiscono le
mie storie e a quelli che sono qui per caso ma soprattutto un grazie
alle bellissime personcine a cui è dedicata questa long,
ovvero alla mia Frankie
e alle ragazze della
C.A.S.A! :D
Bright Lights
“Io
ti ho amato, André, e non saprei immaginare come si possa
amare di
più. Avevo una vita, che mi rendeva felice, e ho lasciato
che
andasse in pezzi pur di stare con te. Non ti ho amato per noia, o per
solitudine, o per capriccio. Ti ho amato perché il desiderio
di te
era più forte di qualsiasi felicità. E lo sapevo
che poi la vita
non è abbastanza grande per tenere insieme tutto quello che
riesce
ad immaginarsi il desiderio. Ma non ho cercato di fermarmi,
né di
fermarti. Sapevo che lo avrebbe fatto lei. E lo ha fatto. E'
scoppiata tutto d'un colpo. C'erano cocci ovunque, e tagliavano come
lame.”
Alessandro
Baricco
01 Prick of
Conscience
Silenzio.
Quanto diamine era
straziante quel silenzio?
Mentre dentro di
sé il cuore pareva gemere di dolore ad ogni lacerante
battito, senza che lui stesso riuscisse a spiegarsene il motivo,
pregava silenziosamente il ragazzo seduto accanto a lui di fare
qualcosa, di rompere quel terribile mutismo. Lo vedeva per la prima
volta dopo cinque lunghi anni, e tutto ciò che aveva saputo
dirgli era stato ‘È per Tommy’: tre
parole che erano bastate perché lui acconsentisse a seguirlo
subito a Los Angeles, lasciando New York, in cui abitava.
Cinque lunghissimi
anni: la sua vita era cambiata dall’ultima volta che lo aveva
visto, e dall’ultima volta che aveva visto Tommy. Era sposato
adesso, era un cantante di grande successo, stava lavorando al suo
quarto album che già gli prometteva introiti per milioni e
milioni di dollari, e stava per adottare un bambino assieme a suo
marito. Aveva messo la testa a posto ed era felice, davvero!
Però gli
mancavano i suoi amici: senza Isaac, senza Cam, senza Ash, senza
Taylor, Terrance, Sasha, senza
Tommy, senza la sua glamily
la fama non era più la stessa cosa. Aveva ancora quei
periodi bui, sempre più frequentemente e non aveva nessuno
da cui andare se non Sauli, o suo fratello, o sua madre. Perfino il
rapporto con suo padre non era più lo stesso; per quanto
Eber negasse e ripetesse che non era cambiato nulla, Adam poteva
chiaramente percepire che qualcosa si era infranto dopo quel fatidico
addio. Un addio che aveva cambiato totalmente la sua vita.
Credeva di avere degli
amici fedeli, che non l’avrebbero abbandonato mai, ma dopo
che ebbe messo fine a quel malsano
rapporto che c’era tra lui e Tommy, e il biondo se
n’era andato, tutti gli altri lo avevano seguito un
po’ alla volta, l’uno dopo l’altro.
“Dimmi
qualcosa, Isaac.”
Gli occhi verdi
dell’altro lo fulminarono.
“Cosa vuoi
che ti dica?” rispose, stizzoso, guardando fuori dal
finestrino con una smorfia infastidita.
“Perché
siamo su un aereo per LA, magari? Cos’ha Tommy e cosa
c’entro io?” replicò lui, senza
preoccuparsi di abbassare la voce. Si sistemò la giacca con
un gesto nervoso.
Isaac era stato il
primo ad andarsene. Non gli aveva mai perdonato di aver allontanato
Tommy, gli aveva detto che non voleva passare un secondo in
più assieme ad un ingrato come lui, aveva dato le dimissioni
ed era sparito dalla sua vita. Cinque anni dopo bussava alla sua porta
perché a Tommy era successo chissà che cosa, lo
trascinava con sé e lo trattava anche male. Che poi, a lui
cosa importava di Tommy? Dopo cinque anni in cui non si erano visti
né sentiti, dopo averlo invitato al proprio matrimonio e
aver sperato che si presentasse fino all’ultimo istante,
inutilmente, perché avrebbe dovuto fregargliene qualcosa?
“Siamo su un
aereo per LA perché è ora che tu ti assuma le tue
responsabilità per quello che hai fatto al mio migliore
amico.” rispose il suo ex-batterista, freddamente.
Adam
sbuffò. “Io non gli ho fatto nulla.”
Ed era vero: insomma,
aveva 30 anni e non sapeva accettare di essere stato mollato? Capitava
a tutti, ci si riprendeva, era impossibile che dopo cinque anni ci
stesse ancora male!
Gli si strinse lo
stomaco all’idea e per un istante ebbe una folle, quanto
fortissima, voglia di abbracciare il suo biondino. Fu un
flash, un’immagine del ragazzo di cui si era innamorato con
una tale intensità che nulla aveva più avuto
senso. Poi era passato, e si era sentito stupido: era finita, ed andava
bene così.
Se Adam non fosse
stato perso nei propri pensieri nostalgici e incoerenti, avrebbe
certamente notato il viso del suo interlocutore contratto nello sforzo
di non prenderlo a pugni fino a che di lui non fosse rimasta che
un’inerme poltiglia. Non si rendeva conto di quello che aveva
fatto?!
“Nulla? Non
hai fatto nulla?!”
Isaac sibilò, rabbioso. “Se solo tu potessi vedere
cosa ha passato... se solo tu fossi stato lì! Due anni. Due
anni ci sono voluti perché si riprendesse almeno un
po’ da ciò che gli hai fatto passare!”
la voce di Isaac era divenuta praticamente un ringhio e il ragazzo lo
guardava negli occhi, il dito puntato contro di lui. “Solo
dopo due anni è stato capace di lavorare di nuovo, ti rendi
conto? Dopo nove mesi di antidepressivi ed un anno e mezzo di terapia
era a stento capace di fare un dannatissimo scontrino!”
Adam ascoltava le
parole dell’altro, ma non le capiva. Tommy, lo stesso Tommy
che aveva conosciuto lui? Quello che nulla avrebbe mai fermato, quello
che sapeva sorridere anche nei momenti più bui, quello
inaffondabile? Stavano parlando della stessa persona? I suoi occhi
vacui vagavano sul viso di Isaac e coglievano piccole rughe che non
erano lì l’ultima volta che l’aveva
visto e tanti più capelli bianchi di quanti ne ricordasse,
che a quanto pareva l’ex batterista non si preoccupava di
coprire. Ma ciò che lo colpì maggiormente fu il
viso stanco di Isaac.
Il suo viso sembrava
quello logoro e triste di un impiegato scontento del proprio lavoro e
della propria vita, che va avanti per forza di inerzia. Ma, in tutto
ciò, nulla nel suo viso gli lasciava intuire che stesse
mentendo. Possibile che fosse vero quello che gli raccontava?
Sentiva una sensazione
terribile, di vuoto, di impotenza, crescergli nello stomaco e gonfiarsi
come una bolla colma d’aria. Tommy si era ripreso, vero? Le
lacrime che Isaac insisteva a trattenere raccontavano
un’altra storia, ma Adam pose lo stesso quella domanda, per
la prima volta parlando senza essere brusco o scortese.
“Ora sta
bene, non è così?” domandò
con un tono speranzoso ma poco convinto.
Isaac sorrise senza
traccia di gioia negli occhi. Pareva che i muscoli del suo viso si
muovessero per un fatto abitudinario, come se fosse costretto a
sorridere sempre e, col tempo, avesse imparato a farlo con naturalezza
in risposta a qualunque domanda.
“Tu cosa
pensi?”
Nulla. Adam non
pensava proprio nulla.
–
– –
–
Scese
dall’aereo con mille domande che gli riecheggiavano nella
testa. Tommy era lì ad aspettarlo? Era cambiato? Era davvero
così grave come Isaac gli aveva lasciato intendere? Cosa
avrebbe provato quando l’avrebbe rivisto? Perché
lo aveva mandato via cinque anni prima? Perché adesso era
tornato da lui?
“Perché
mi hai fatto venire qui?”
Isaac finse di non
aver sentito, mentre tirava giù la valigia dal nastro
trasportatore con quello che sembrò uno sforzo enorme. Adam
fece lo stesso col proprio bagaglio e fu mentre si dirigevano fuori che
finalmente Isaac gli rispose.
“Vuole
vederti. Non so come mai, è raro che parli di te a me o a
Sophie, lo fa solo con lo psicoterapeuta. Ma è oramai un
mese che si sveglia dicendo il tuo nome, e ripete che vuole vederti, ci
chiede di portarlo a New York.”
Isaac aveva gli occhi
spenti. Quando parlava di Tommy lo faceva con delicatezza, con un tono
piatto e triste, gli occhi bassi e con parole morbide, innocue, come un
abbraccio caldo e materno, quasi fosse certo che termini troppo duri lo
avrebbero spezzato. Sembrava parlasse di un bambino per la dolcezza e
l’affetto profondo di cui riempiva quelle frasi.
“Lo
psicoterapeuta ci ha sconsigliato di venire lì, non sappiamo
come potrebbe reagire ad un viaggio né a te, e poi non
può interrompere le sedute; ci ha sconsigliato proprio di
farvi incontrare, a dire la verità, ma non sono riuscito a
dire di no a Tommy.”
Sembrava che il
racconto dovesse continuare ma Isaac non aggiunse più nulla.
Serrò le labbra e restò in silenzio.
Vide la prima ombra di
sorriso in quegli occhi tanto familiari quanto estranei quando, in
lontananza, scorsero la figura di Sophie. Quando si avvicinarono, Adam
notò che era dimagrita e che sembrava molto più
vecchia. Anche il suo viso appariva stanco, sfibrato, sebbene
decisamente meno di quello del suo consorte; ciò che la
tradiva era l’espressione, le labbra serrate e contratte in
una smorfia preoccupata, che le conferiva di certo qualche anno in
più.
Non erano
più le stesse persone che aveva conosciuto e si
domandò se non sarebbe stato lo stesso per Tommy. Il senso
di colpa gli attanagliò lo stomaco: era causa sua? Era stato
quello che aveva fatto a Tommy a ridurli tutti in quello stato?
Cercò di
scacciare via quel terribile pensiero sostituendolo con la propria
impazienza di vedere il biondo, di capire come stesse. Forse vederlo
gli avrebbe fatto bene, forse sarebbe finalmente stato capace di
lasciarselo alle spalle una volta per tutte, di smettere sinceramente di
provare nostalgia per quello che avevano avuto.
“L’hai
lasciato solo?!” Isaac mormorò spaventato, ma non
a voce abbastanza bassa da impedire ad Adam di sentirlo e di
riscuotersi dai propri pensieri. L’ex batterista si era
rivolto a Sophie guardandola negli occhi, e lei scosse la testa.
“Psicoterapeuta.” rispose telegraficamente per poi
rivolgergli un sorriso affettuoso. Isaac ricambiò con un
abbraccio avvolgente, che scaldò il cuore di Adam per quanti
sentimenti fu capace di trasmettergli. Chissà se lui e Sauli
facevano lo stesso effetto a chi li guardava.
Sophie rivolse ad Adam
uno sguardo freddo e lo salutò con un cenno. No, non era
decisamente il benvenuto, lì. La donna gli si
avvicinò e gli ficcò in mano un foglio.
“Qui ci sono
i nostri numeri di cellulare e l’indirizzo
dell’albergo dove sarebbe opprtuno tu restassi. Ci
vediamo.”
Si voltò e
chiuse la stretta della mano attorno al polso del marito, tirandolo
delicatamente con sé e facendogli segno di andare. Isaac
esitò, restando indietro a guardare Adam che aveva
un’aria avvilita quanto sconvolta: lo avevano portato
lì di fretta e furia per poi lasciarlo solo in una camera
d’albergo, senza sapere cosa fare, ad aspettare loro?! Ebbe
l’impulso improvviso di tornare immediatamente a casa, nel
suo salone profumato e colorato, luminoso e allegro, a godersi la vita
che meritava
e che si era guadagnato,
senza quegli ingiustificati sensi di colpa che lo assalivano a minuti
alterni. Ma qualcosa, qualcosa in quel foglio che stringeva in mano,
qualcosa nello sguardo di Isaac e soprattutto quella sensazione di
insistente nostalgia che si dimenava nel suo stomaco, gli fece capire
che non ne sarebbe più stato capace: ogni singola volta che
la vita di Tommy incontrava la sua, anche solo per caso, qualcosa
cambiava. E una volta che era cambiata non si tornava indietro.
“Poi ti
chiamiamo.”
Isaac lo
guardò negli occhi per assicurarsi che avesse capito, poi
cedette alla moglie e la seguì, senza più
voltarsi.
Adam si sentiva solo,
perso, non sapeva cosa fare né dove andare, non
perché non conoscesse il posto, piuttosto perché
non riusciva a pensare, lì, in piedi, a guardarli andare
via. Tutto ciò a cui riusciva a pensare era il suo ex
ragazzo, il suo ex migliore amico. Era una situazione tremendamente
familiare, ma gli ci volle qualche minuto perché ricordasse
quando qualcosa di simile si era verificato. In un flash,
l’espressione di shock che Tommy aveva sul viso
l’ultima volta che l’aveva visto gli si
presentò davanti, quasi come se lui fosse lì, e
si sentì perso. Era così che si era sentito lui
quando Adam lo aveva lasciato? Smarrito? Vuoto?
Come aveva potuto
trattarlo a quel modo? Lo aveva mandato via come se non gli importasse
nulla di lui, ma non era affatto così! Era solo che
c’erano dei momenti nella vita in cui bisognava scegliere, e
quella scelta era stata così difficile per lui... Aveva
deciso di sentirsi al sicuro, di lasciarlo andare e di continuare per
la propria strada, perché credeva che fosse quella la cosa
migliore per entrambi. Ed ancora ci credeva. Lui era nato per cantare,
non per mandare tutto a puttane per amore.
Ma quando si era reso
conto che non riusciva a lasciarlo andare in alcun modo, aveva dovuto
sbattergli una porta in faccia con violenza inaudita per assicurarsi
che fosse Tommy a non tornare mai più indietro o lui avrebbe
ceduto. Cos’altro poteva fare?
–
– –
–
Il telefono
squillò mentre era in taxi. Adam lo estrasse di scatto,
pensando si trattasse di Isaac, ma il numero sul display era quello di
Sauli, sicuramente preoccupato di non aver ancora ricevuto sue notizie
dopo un’ora dal previsto atterraggio. Sospirò. Se
non fosse stato per Sauli, Adam avrebbe spesso dimenticato anche di
vestirsi.
Rispose con un sorriso
sereno, già figurandosi cosa l’altro gli avrebbe
detto. “Pronto?”
“Amore, ma
Isaac ti ha rapito o cosa?”
Adam
scoppiò a ridere. Dall’altro capo del telefono
c’era il solito Sauli, sempre accomodante e gentile, sempre
affettuoso ma mai sdolcinato.
“No,
macché rapito, mi ha già scaricato nel primo
albergo!” rise Adam gettando un'occhiata al guidatore del
taxi che pareva particolarmente interessato alla conversazione.
“Uhm,
capisco... Sicuro che hai voglia di stare lì solo soletto?
Vuoi che venga a farti compagnia?” il sorriso malizioso di
Sauli si poteva ben percepire anche senza vederlo, ma Adam sapeva che
se da un lato il ragazzo voleva provocarlo, lo avrebbe raggiunto
davvero se solo lui glielo avesse chiesto. Era così, cercava
di passare quanto più tempo possibile con lui, ma si era
più volte dimostrato capace anche di concedergli i suoi
spazi. Ad esempio, non era stato particolarmente d’accordo
con la sua decisione di partire per Los Angeles da un giorno
all’altro per via del suo ex, ma alla fine glielo aveva
permesso, ovviamente con le dovute raccomandazioni. Era o non era
quella una grande dimostrazione di fiducia e d’amore?
Esitò per
un secondo. Si rese conto che desiderava averlo lì con
sé tanto quanto avrebbe desiderato un tumore, ed era una
cosa terribile da pensare del proprio marito. Provò
improvvisamente disagio, sentì di non meritare nulla di
ciò che aveva.
Per dissimulare quelle
sensazioni – che Sauli era fin troppo abile a cogliere
– scoppiò a ridere, tentando di tenere la
conversazione su quel tono poco serio con cui era cominciata.
“Sauli, sono
capace di passare qualche notte senza scopare!”
esclamò, fingendosi offeso e scatenando
l’indignazione dell’autista che sembrò
finalmente tornare a porre l’attenzione sulla strada.
Dall’altro
capo del telefono, suo marito ridacchiò. “Lo so,
lo so...” mormorò, e poi fece una breve
pausa, come se stesse riflettendo su qualcosa. “Hai visto
Tommy? Come sta?”
Non era su quello che
stava riflettendo, e non era quello che gli interessava, il cantante lo
sapeva. Ma rispose lo stesso, gli resse il gioco, sapeva che non ci
avrebbe messo molto ad arrivare al punto. E probabilmente Adam sapeva
anche quale fosse, quel punto.
“No, non
l’ho visto, ma sembra stia proprio male...” Adam
non aggiunse altro, avvertendo un po’ di tensione. Sapeva che
a Sauli non interessava minimamente come stesse Tommy –
d’altronde non è che tra i due scorresse proprio
buon sangue – e forse sentir nominare il suo nome con affetto
non era stata una cosa piacevole. Ma erano passati anni, ormai, pensava
fosse acqua passata!
“Non vorrei
sembrare scortese, ma a te cosa importa di lui? Cioè... Non
è neppure venuto al nostro matrimonio, non gliene frega
più nulla di te!”
Adam scosse la testa e
sospirò. Se lo chiedeva anche lui, ad essere sinceri.
“Eravamo
migliori amici, Sauli... Gli voglio ancora bene, nonostante
tutto.”
“Eravate
amanti, Adam.” sbottò l’altro.
“Da dove
spunta fuori tutta questa gelosia, mh?” scherzò
Adam, anche se quell’ultima frase lo aveva particolarmente
infastidito. Cosa ne voleva sapere lui di ciò che erano
stati lui e Tommy?
“Torna a
casa, Adam... Mi manchi già...”
borbottò Sauli in risposta, aggirando la domanda, che per
quanto posta in maniera scherzosa non era affatto retorica.
“Mi manchi
anche tu...” mormorò Adam dolcemente. Nonostante
la sua gelosia fosse esasperante, Adam si riteneva fortunato ad aver
trovato un ragazzo come lui con cui passare il resto della vita.
Avrebbe potuto chiedere di meglio?
“Tornerò
presto, okay? Domani mattina ti chiamo, promesso.”
Sauli
sospirò e fece un mugolio di assenso. Per quanto restio a
chiudere lì la discussione, capì che
l’altro non aveva intenzione di assecondarlo oltre.
“D’accordo. Ti amo, buonanotte.”
“Anche io!
‘Notte...”
Adam
terminò la chiamata, passandosi una mano sul viso. Era
stanchissimo, diamine. Intravide l’albergo e tirò
un sospiro di sollievo. Non vedeva l’ora di farsi una bella
dormita.
–
– –
–
Magari fosse riuscito
a dormire.
Guardava il soffitto
della camera, pensieroso, e rifletteva. In realtà le uniche
frasi di senso compiuto che riuscisse a formulare il suo cervello erano
domande, domande e ancora domande, quando il senso di colpa non lo
assaliva fino a diventare soffocante. Non sapeva da quanto era
lì steso immobile, ma doveva essere qualche ora. Non voleva
disfare la valigia, né muoversi da quel letto, voleva solo
ricordare un motivo valido – almeno uno che non sembrasse una
scusa – per il quale aveva chiuso con Tommy in quella
maniera. Ma non riusciva a trovarne nessuno.
Le
labbra del biondo si incresparono in un sorriso. “Bugiardo!
Io so a cosa stai pensando adesso, e non è il
concerto...” mormorò Tommy malizioso, mentre le
sue mani accarezzavano delicate il corpo dell’altro che
giaceva al suo fianco.
“Hai
ragione... In realtà pensavo alle tue labbra...”
replicò Adam, baciandogli la bocca con passione,
abbeverandosi di quel sorriso come l’assetato fa con
l’acqua fresca di una fonte.
Tommy
rise malizioso. “Sì, pensavi alle mie labbra da
qualche parte lì sotto...”
Adam si premette le
mani sulla faccia, lamentandosi flebilmente mentre cercava con tutto se
stesso di scacciare quei ricordi così terribilmente vividi,
nascosti nei recessi della sua mente per tutto quel tempo, e che ora
ritornavano vivi come se non fossero mai andati via. Come se una diga
fosse crollata giù e avesse permesso al fiume di memorie
indesiderate di invadergli la mente.
Si mise supino e si
frugò nelle tasche, tirando fuori il foglietto stropicciato
su cui la grafia ordinata e femminile di Sophie aveva annotato
l’indirizzo dell’albergo e i due numeri di
telefono. Se lo girò tra le mani con l’intenzione
di salvare i recapiti in rubrica quando, sul retro, notò una
grafia che non era di certo quella della donna.
Era vagamente
familiare, ma la riconobbe solo grazie a quella T dalla forma
inconfondibile. Per il resto la grafia di Tommy era cambiata, era
più appiattita, spigolosa e calcata. Ci mise un attimo a
riconoscerla, e qualche secondo in più a decifrarla.
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