sora 3
finalmente!
sorvoliamo sul fatto che sono in ritardissimo, sennò dovrei di
nuovo chiedervi infinite scuse e sta diventando una triste abitudine
che non voglio avere - anche se dovrei scusarmi...
cmq, vi dico subito, subito che per un po' starò più
tranquilla, quindi spero di avere più tempo per scrivere ed
aggiornare...
buona lettura...
Capitolo 15
A Riku bastò un’occhiata per capire che qualcosa non
andava, che quello era Sora, con i suoi capelli, i suoi occhi, le sue
mani e le sue gambe, ma che, allo stesso tempo, non lo era e forse non
lo sarebbe stato mai più.
La cosa incredibile fu che gli bastò
un’occhiata a Roxas per rendersene conto. Un’occhiata a
quell’impostore con il suo viso che non aveva nemmeno il coraggio
di guardarlo in faccia e rivendicare la sua colpa, come se avesse
potuto credere che non si fosse accorto del suo arrivo. Sora invece non
lo aveva notato davvero, perché per lui in quel momento non era
diverso dagli altri estranei che riempivano la stanza. Riku li
sentì bisbigliare, tutti a raccontarsi che era confuso, che
quello che aveva passato gli aveva scombussolato cuore e mente, che
sicuramente con un po’ di tempo e l’aiuto dei suoi amici
avrebbe ricordato tutto.
Solo Roxas continuava a guardare il suo volto
inconsapevole con un misto di frustrazione e scoraggiamento, la voglia
di fare qualcosa per aiutarlo gli si leggeva negli occhi; la certezza
di non poter fare assolutamente niente, anche.
E poi la sua voce a dare forma ad ogni inquietudine. «Chi è lui?»
Roxas chiuse gli occhi, Riku non rispose. Che
avrebbe potuto dire? Il tuo migliore amico, quello per cui hai girato
tutti i mondi, quello per cui sei diventato l’eroe del keyblade,
quello che ha cercato di ucciderti dieci volte e che ti ha chiesto
scusa per sette.
«Ciao.» aveva detto soltanto, fissando
Roxas che ancora non trovava il coraggio di alzare gli occhi su di lui.
«Mi chiamo Riku.» e poi, mentre si avvicinava, la mano tesa
per stringere la sua: «Sono contento di conoscerti.»
Di nuovo.
«Che hai detto a Kairi?» gli chiese Roxas una volta soli.
Nessuno dei presenti al capezzale di Sora era stato abbastanza impavido
da pronunciare quel nome, come se lei fosse un segreto.
Riku prese un respiro profondo come l’oceano,
cercando di trovare un po’ di lucidità, invano. Quello che
era successo prima di arrivare lì era un concetto troppo
astratto: niente riusciva ad essere reale quanto lo sguardo vago di
Sora che gli chiedeva chi era. «Non lo so.»
«Che significa ‘non lo so’?»
aveva ribattuto infastidito. «Qualcosa devi averle detto.»
In realtà no, era soltanto scappato. Non
voleva mentirle, ma non voleva nemmeno trascinarla a Radiant Garden
senza sapere di persona che la situazione si era risolta, che poteva
tornare ad essere la principessa di Sora, che quell’avventura
aveva avuto un lieto fine. A quel punto sapeva di aver fatto bene.
«Non le dirò che si è svegliato.» disse fissandolo negli occhi.
Il suo migliore amico, forse l’unico, vero amico che aveva mai avuto non si ricordava di lui.
«Cosa?!» domandò Roxas incredulo. «Tu devi farlo!»
Scosse la testa, tenendosi una mano sulla fronte,
sostituendo la propria personale delusione con il dolore che avrebbe
provato Kairi: il dolore di Kairi era più importante.
«No, non devo.» era sicuro, per quanto
sembrasse assurdo, che anche Sora l’avrebbe pensata come lui.
«Oh, capisco…» aveva annuito con
enfasi. «Ora che il tuo rivale numero uno non è in grado
di farsi rispettare hai intenzione di approfittarne per…»
Lo sbatté con la schiena al muro senza sapere
prima che potesse finire di dar voce ad un'accusa tanto orribile, il
corpo liscio e lungo del keyblade contro la sua gola; Roxas
deglutì sotto i suoi occhi di ghiaccio. «Kairi sta con
Sora.» gli sibilò arrabbiato. Il suo migliore amico, forse
l’unico, vero amico che avesse mai avuto non si ricordava di lui
ed era tutta colpa sua. «Ed io non la toccherei nemmeno con il
pensiero.» spinse più forte la chiave sotto il suo mento.
Per Roxas stringere i pugni fu quasi un riflesso involontario.
Riku studiò con amarezza Oathkeeper nel suo
palmo lucida e luminosa, talmente diversa da Oblivion. «Non sono
io ad avergli rubato qualcosa che gli appartiene.» disse
lasciandolo e dirigendosi verso la stanza di Sora.
«Devi riportarlo a casa!» gli urlò dietro Roxas tremante, ma non di paura.
«Lo farò.» disse Riku piano,
senza voltarsi. «Quando ricorderà dov’è
casa.»
Rientrò nella camera e trovò Aeris che
gli raccontava la storia di Radiant Garden, mentre gli porgeva un
fagotto con del cibo; gli stava parlando dell’incidente che aveva
portato alla creazione dei Nobody, doveva ricordare, come poteva non
farlo? Ma non c’era segno di coscienza nei suoi occhi, la
ascoltava con grande interesse, non avrebbe dimenticato una sola parola
di quello che stava dicendo. Eppure non avrebbe mai saputo il ruolo
fondamentale che aveva avuto in quella vicenda.
E se avesse scelto lucidamente di dimenticare tutto?
Quale persona avrebbe voluto certi ricordi. Non metteva ovviamente in
dubbio che volesse scordarsi anche di Kairi, ma lei sarebbe potuta
essere soltanto un errore commesso nel strappargli via anni di guerre
dal cuore. Non sapeva cosa avrebbe dato per poter parlare con
Naminé.
«Io me ne vado.»
Sora aveva distolto l’attenzione da Aeris per
guardarlo con un panino in mano. «Non abiti qui?» gli
chiese candidamente.
Avrebbe voluto rispondergli che non ci abitava
nemmeno lui, che casa sua era dov’era Kairi e Kairi era alle
Isole del Destino, ma si limitò a scuotere la testa.
«No.»
«Tornerai a trovarmi?» aveva occhi enormi e sperduti e… era pur sempre Sora.
«Si.» acconsentì con un sorriso. «Verrò presto.»
Lui si strinse nelle spalle. «Magari diventiamo amici.»
Riku scosse la testa deglutendo. «Magari.»
Kairi lo trovò seduto sul tronco dove in genere stavano in tre, dove non sarebbero mai potuti essere in due.
«Ehi, ti ho cercato per tutto il giorno.»
Non la guardò, non voleva vederla e pensare
quanto fosse bella, sarebbe stato come dar ragione a Roxas. Si
ripeté per la milionesima volta perché non volesse
raccontare a Kairi che Sora era sveglio, senza memoria, senza ricordi,
senza di lei, ma sveglio: non lo avrebbe mai perdonato. Aveva fatto in
modo che potesse scegliere quali ricordi lasciar andare proprio per
evitare di perderlo, si era impegnata per dargli la possibilità
di non dover rischiare lei e nonostante tutto, lui l’aveva
scambiata con un corpo per quell’impostore.
«Sono andato a Radiant Garden.» le confessò, una mezza verità.
Per alcuni secondi rimase in silenzio.
«Non avresti dovuto andare da solo.» disse gentile. «Avrei potuto accompagnarti.»
Stava meglio, averlo lontano, non essere costretta
ad avere davanti agli occhi la sua condizione, le faceva bene.
Aveva ripreso a mangiare, passava molto tempo a casa
dei genitori di Sora, cercando di consolare loro, mentre loro cercavano
di consolare lei. Riku però sapeva anche che ogni notte prendeva
la barca ed andava all’Isola dei Bambini; avvolta in una coperta,
dormiva sotto il disegno che lei e Sora avevano fatto anni prima. Lo
sapeva perché una volta suo padre lo aveva chiamato disperato:
Kairi non era nel suo letto, poteva aver fatto qualche sciocchezza.
Invece era soltanto nel posto dove sentiva più vicino il suo
cuore.
«Ma sei pazzo!» gridò Roxas, trovando finalmente Sora.
Quando Aeris gli aveva detto che era sparito, aveva
avuto un attacco di panico, di quelli che non aveva da quando aveva
distrutto i macchinari che tenevano insieme la Twilight Town fasulla.
Aveva avuto un attacco di panico, perché, vista la memoria
bucata di Sora, tutti correvano da lui quando c’era un problema,
tutti contavano su di lui perché prendesse quelle decisioni di
cui nessuno voleva farsi carico.
Ed Axel non era lì.
Roxas non era Sora, avrebbe voluto gridarlo
così forte che l’eco si sarebbe estesa per tutti i mondi.
E mentre lui impazziva, dove era il prescelto dal keyblade?!
In una casetta mezzo distrutta.
«Io mi sono preoccupato, non sapevo dove
fossi, pensavo che ti avessero rapito, credevo che…» si
bloccò, Sora non stava ascoltando niente di quello che stava
sbraitando. Era seduto a gambe incrociate per terra, puntellato sulle
braccia, e guardava un vaso di fiori incredibilmente freschi nonostante
la rovina dell’abitazione. Sembravano quasi la rosa che la Bestia
teneva sotto chiave come il più prezioso dei suoi tesori.
«Non volevo farti preoccupare, ma
qui…» si interruppe non riuscendo a spiegare. «tu
non senti?» gli chiese lanciandogli un’occhiata.
Roxas sospirò esasperato. «Cosa?»
Scrollò le spalle. «Non so, è
che…» lo vide chiudere gli occhi. «c’è
tanta luce.»
Continuò ad osservarlo perplesso; aveva fatto
perdere la ragione al keyblade master per eccellenza, fantastico.
Quella casa diroccata doveva essere rimasta chiusa e disabitata
dall’incidente, era tutto polveroso, le finestre erano sbarrate
da tavole incrociate: luce, era l’ultima parola al mondo che si
sarebbe sognato di affiancare a quel posto.
Sospirò. «Devo riportarti al ricovero.»
«Non ci voglio andare.»
«Perché?»
Sora si alzò lentamente e lo guardò titubante. «Sono addormentati per colpa mia.»
Per alcuni secondi Roxas non poté fare altro se non fissarlo ad occhi sgranati.
«Tu ricordi?!» chiese incredulo.
Ma lui scosse la testa. «Però lo
so.» intrecciò le dita dietro la testa e fece un giro su
sé stesso guardandosi intorno. «Posso stare qui?»
Roxas non sentì la luce, ma qualcosa gli
suggerì che quello era proprio il posto dove Sora sarebbe dovuto
stare, anche se non ne conosceva la ragione.
«Temo di no.» disse dispiaciuto, posando
una mano sullo stipite graffiato della porta. «Potrebbe caderti
in testa il soffitto.» sospirò ancora, lanciandogli
un’occhiata. Si sentiva più calmo ora, e non solo
perché lo aveva ritrovato; Sora continuava ad essere il suo
contatto con un mondo dal quale lui era stato esiliato per troppo
tempo, gli serviva averlo vicino. «Però puoi venire a casa
di Axel con me…» si strinse nelle spalle. «non credo
che impazzirà di gioia all’idea di avere tanti
coinquilini, ma riusciremo a convincerlo.» quando alzò di
nuovo gli occhi su Sora, lui stava sorridendo.
«Sono contento che vi siate
ricongiunti.» disse dirigendosi verso la porta per uscire di
lì. «Almeno è servito a qualcosa…»
«Co…» fece per chiedere Roxas
quando realizzò che Sora ricordava lui, Axel,
l’Organizzazione e di averlo avuto nel suo cuore. Lo rincorse,
quando era già uscito nel giardino interno.
Se avesse guardato con più attenzione avrebbe
trovato una cornice nascosta sotto un velo di polvere, avrebbe visto
una foto che ritraeva i vecchi inquilini di quel domicilio, avrebbe
riconosciuto una ragazzina sorridente con i capelli rossi e gli occhi
blu come l’oceano.
Axel li guardò, tutti e due fermi davanti alla porta di casa
sua, sembravano due cuccioli che supplicavano una ciotola di latte.
Ecco, un altro degli inconvenienti di scegliersi come amante il
più complesso dei Nobody.
«Ehilà, Sora, ti sei svegliato!»
lo salutò studiandolo tutto da capo a piedi, ignorando
volutamente l’altro, che in realtà non sembrava affatto
amichevole, anzi, si aspettava quasi che iniziasse ad urlargli contro.
Se era ancora lì, se il suo amico rompiscatole non lo aveva
portato via, significava che da qualche parte doveva esserci un intoppo.
Sora sorrise annuendo. «Ho sentito
Roxas.» spiegò, come se davvero quella potesse essere una
delucidazione invece che l’inizio di tutta una serie di altri
interrogativi.
Ma Axel, oltre ad essere un uomo molto paziente, era
assuefatto alle stranezze, quindi, non fece una piega e spostò
lo sguardo su Roxas. «Fammi indovinare…»
cominciò.
«Non ricorda lei.» disse sfidandolo con
lo sguardo a non accettare una proposta già di per sé
eloquente. «Non ricorda Riku, ricorda noi e noi dobbiamo
prenderci cura di lui.» annunciò, non era né
un’offerta né una proposta: lui doveva farlo, se Axel non
avesse acconsentito non sarebbe rimasto.
Axel si scostò dalla porta per farli entrare.
«Starete in camera mia.» disse arreso. «Non fate
casino o vi butto fuori.»
Roxas lo guardò dal centro della stanza con
una punta di offesa per quell’offerta che in realtà era
molto più che gentile, Axel non era un tipo esattamente
altruista, quindi sarebbero dovuti essergli molto più che
riconoscenti, però…
«Non è necessario.» rispose con
cortesia Sora, quasi leggendogli nel pensiero. «Posso dormire sul
divano, ci sono già stato, sarà sicuramente più
comodo per me che per te.» spiegò riferendosi alla sua
altezza.
«Sei un ospite, no?»
Lui gli lanciò un’occhiata gelida.
«Lo ero anche prima e non mi ha usato le stesse premure.»
lo rimproverò.
L’uomo rise.
Roxas li guardava senza sapere cosa dire, cosa fare,
cosa pensare. Aveva una corpo, ma in ogni caso lui ed Axel non erano
‘insieme’, non si stavano baciando, né toccando,
figurarsi fare l’amore. Dopo quella prima notte in cui
abbracciarlo e baciarlo era stato come affermare la sua esistenza dopo
anni di morte, non c’erano stati più contatti tra loro. Ed
ora l’unica cosa che riusciva a fare era rinunciare anche al
posto accanto a lui nel letto in favore di Sora.
Che poteva fare se non fingere di essere d’accordo?
«Ti conviene approfittarne.» disse sorridendo a Sora. «Potrebbe ripensarci.»
Il ragazzo lo guardò combattuto e lui gli fece un cenno con la testa. «Va bene, allora.»
«Qual è il vostro problema?» domandò Sora sfilandosi la maglietta.
Roxas seduto sul bordo del letto calciò via le scarpe. «Non lo so.»
«Insomma, mi aspettavo che non mi avrebbe
voluto per non avere altra gente in casa se non te…» si
strinse nelle spalle togliendosi anche scarpe e pantaloni, non poteva
esserci nessun tipo di pudore tra loro, il corpo di uno era il corpo
dell’altro, era come guardarsi allo specchio. «mi aspettavo
di sentirvi litigare dal salotto, perché in quel modo avreste
avuto delle limitazioni per colpa mia.»
Sospirò, un tempo probabilmente sarebbe stato
così. «Ci hai pensato parecchio.» commentò
con amarezza.
Sbadigliando Sora si buttò sul letto e prese
a stiracchiarsi. «Non volevo essere ancora di impiccio.»
Roxas non voleva pensare
all’eventualità che per qualche motivo Axel avrebbe potuto
non volerlo, meglio pensare al suo mezzo fratello che ricordava
soltanto cose inutili: parlava di tutta la loro recente avventura a
Radiant Garden come se la sua memoria fosse a prova di bomba, eppure
non sapeva più chi era Kairi. Come poteva non sapere più
chi era Kairi? Era Kairi!
«Roxas?» iniziò sprofondando con
il viso nel cuscino. «Secondo te chi ci abitava in quella casa
dove sono stato oggi?»
Spense la luce e si tuffò sul cuscino di
Axel, non avevano nemmeno dovuto parlarne, tutti e due ricordavano bene
che Axel dormiva a destra e tutti e due convenivano che quello fosse il
posto di Roxas. «Non so.» ammise.
«C’era qualcosa nell’aria…» sospirò, quasi un gemito.
Roxas si strinse addosso il cuscino di Axel tanto
forte da lasciarci l’impronta del proprio corpo, a volte lo
faceva così arrabbiare… morse la federa perché non
poteva mordere lui.
«Dovresti parlargli.» gli suggerì Sora.
«Di che?» sbottò irritato. «Non ho niente da dirgli.»
«Ok, ci parlo io.»
«Non ti conviene.» borbottò Roxas tetro.
«Perché?»
«Perché adesso posso prenderti a calci.» lo minacciò.
Sora ridacchiò.
«Pensa a sistemare le tue di cose.» in qualche modo alle sue ci avrebbe pensato lui.
Si alzò dal letto quando fu certo che Sora fosse addormentato,
portandosi dietro il cuscino di Axel. Aprì con attenzione la
porta che l’uomo aveva lasciato socchiusa, probabilmente per
essere certo che in caso di bisogno li avesse sentiti, come se fossero
due ragazzini e lui il baby-sitter annoiato. Davvero, umiliante. Non lo
riteneva un ragazzino quando lo baciava attraverso Sora, non lo
trattava da ragazzino quando gli infilava le mani nei pantaloni, non lo
guardava come un ragazzino quando era accucciato tra le sue gambe a
trastullarlo.
No, che non lo faceva.
Lui la chiuse la porta, perché aveva paura di
svegliare e magari spaventare Sora. In realtà la chiuse
soprattutto perché se avesse realizzato che uccidere Axel fosse
l’unica soluzione possibile, voleva poterlo fare in
tranquillità e senza interruzioni.
Si avvicinò al divano furtivo come un gatto,
strinse il cuscino tra le mani e lo colpì infastidito.
Axel soffocò un ‘ahi’, seguito da
un’imprecazione piuttosto fantasiosa. «Rox, ma che
ca…?»
Per un attimo il fatto che fosse sicuro che si
trattasse di lui lo gratificò quasi, poi comprese che tra quelle
quattro mura, lui era l’unico che avrebbe potuto prendere a
cuscinate Axel.
«Si può sapere dov’eri finito
oggi?» chiese nel suo migliore bisbiglio indispettito, prima di
colpirlo ancora. «Avevo perso Sora e tutti si aspettavano qualche
miracolo da me!» un’altra cuscinata, ma stavolta
l’uomo fu abbastanza pronto da afferrare
‘l’arma’ e tirare fino a farselo cadere addosso in un
incrocio di gambe e braccia, familiare quanto il sapore dolce e salato
dei ghiaccioli al sale marino.
«Ma sei impazzito?» domandò,
tenendo il cuscino tra i loro corpi in modo che Roxas colpisse quello e
non lui stesso.
«Ho fatto tutto questo casino per te e mi fai
dormire nel letto con Sora come se avessi dodici anni!»
Axel sospirò e lanciò lontano il
cuscino trovandosi faccia a faccia con lui. Gli posò le mani
sulle braccia per tenerlo fermo, per quanto fosse cresciuto era ancora
più piccolo di lui. «Calmati!» ordinò, per
tutta risposta Roxas sbuffò, ma non tentò di liberarsi
dalla sua stretta. «Lui ha bisogno di te, ma anche tu hai bisogno
di lui adesso.»
Non rispose, cosa che poteva significare il suo tacito consenso.
«Non ho avuto fretta per tutto questo tempo, dovrei iniziarne ad avere ora?»
Ancora silenzio, poi: «Volevo questo corpo per poterti baciare e…»
Axel lo baciò, interrompendo ogni suo
ulteriore tentativo di spiegazione, Roxas rispose con
l’entusiasmo di un ragazzino eccitato e la disperazione di un
uomo abbandonato e ritrovato. «Niente sesso finché Sora
è fra queste quattro mura.» sussurrò sulle sue
labbra dischiuse.
Lui mugugnò, mordendolo piano. «Perché?» chiese in un lamento.
«Perché è Sora.»
Roxas sospirò, ma non perse ulteriore tempo a
parlare quando poteva baciarlo, andava già meglio in quel modo.
Se in quel momento qualcuno fosse stato con Sora, lo avrebbe sentito invocare il nome di Kairi.
date retta a Sora!!
niente da fare, ma vedrete che pian pianino ne usciamo!
baci
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