ulquichi
*Autore: Rota
*Titolo: Lo
sguardo altrove
*Fandom:
Bleach
*Personaggi:
Ichigo Kurosaki, Ulquiorra Shiffer, Orihime Inoue, Szayel Aporro
*Pair: UlquIchi
*Genere: Introspettivo,
Sentimentale
*Avvertimenti:
What if...?, One shot, Shonen ai, Au
*Rating:
Giallo
*Parole: 8745
*Note autore:
La prima UlquIchi del fandom. Boh, non lo so, non mi interessa, so solo
che loro due mi piacciono un sacco assieme e che era da tempo che
volevo scriverci sopra qualcosa. Tutto qui.
Ho preso ispirazione dal prompt del COW-T, terza settimana, "Altrove" e
siccome non sono riuscita a consegnare in tempo per via di alcuni
impegni personali mi sono dilungata anche verso altre sponde che nel
progetto iniziale non erano previste.
Non ho molto da dire, temo, neppure questa volta mi
dilungherò troppo. Siamo in una Au dove sono tutti esseri
umani - gli Hollow/Arrancar/Aizen&Comp, come in un classico
cliché, malavitosi di varie nature.
Non ci sono molti pair capaci di trascinarmi per tante parole.
Probabilmente è merito di Ulquiorra, il mio personaggio
preferito in tutta la saga, però sta di fatto che
è per me incredibile presentare una One shot del genere.
Non so se ho centrato bene l'IC dei vari personaggi, di solito inizio
un nuovo fandom con una serie di PWP o di opere brevi, per vedere come
me la cavo. Questa cosa è stato un azzardo mostruoso e spero
di essere comunque riuscita a fare qualcosa che valga la pena leggere.
Io ho adorato scriverla, ho impiegato diverso tempo come per tutte
quelle cose che per me hanno un valore significativo.
Qualsiasi critica costruttiva sarà accettata con gioia, vi
prego solo di evitare di fare commenti sul pair: è una cosa
assai fastidiosa.
Nona classificata al contest "Di universi alternativi e storie edite" Di Kiki e Ro-chan Quinta classificata al contest "La bellezza delle edite" di Noal
Terza classificata al B(l)each contest: operazione riabilita fandom indetto da Ayumu7 sul forum di EFP
**Lo
sguardo altrove**
La coscienza gli diede dapprima una visuale tutta bianca che lui
identificò subito, con una razionalità che era
tipica di lui ma inverosimile per ogni altro essere umano, come la
superficie interna delle sue palpebre. La sensibilità
tattile arrivò in un secondo momento, quando la percezione
di sé divenne più ampia e capì di
essere disteso sopra un materasso e sotto delle coperte; mosse i
muscoli delle braccia e del viso, senza tuttavia ricevere da questi le
risposte previste: si tese la pelle ma non il muscolo, sul viso si
aprì non altro che una smorfia poco compiaciuta.
Capì persino di avere qualcosa nel braccio, infilato nella
sua carne attraverso un lungo ago e attaccato a questa per mezzo di un
adesivo che gli copriva tutto il polso esposto.
Lo raggiunse anche il suono chiaro di una macchina in funzione a lui
molto vicina, con quel suo "bip" ripetitivo che non riusciva a capire
bene cosa mai stesse analizzando ma che sicuramente lo stava
infastidendo parecchio.
Ulquiorra capì definitivamente di essere vivo quando anche
l'olfatto cominciò a funzionare, in maniera efficace,
dandogli una più completa visuale del luogo che lo
circondava. Odore di disinfettante, di pulito, di medicinale - si
trovava in un ospedale o qualcosa dalla medesima funzione, e dato il
vivace vociare di persone a lui perlopiù sconosciute
comprese anche di non essere in nessuna delle strutture sanitarie
controllate dal signor Aizen.
Provò ancora ad aprire gli occhi ma scoprì
all'improvviso che ogni tentato movimento gli faceva dolere la testa
tanto da renderlo più stordito. Il dolore lo travolse
d'impatto come un'onda anomala e fu devastante per i nervi e la
volontà.
Riprese, senza accorgersene, a dormire.
Quando riprese di nuovo conoscenza, Ulquiorra non provò una
sola ma diverse volte a muoversi - più in realtà
per capire quali fossero i danni riportati dal suo corpo che cercare
un'uscita da tutto quello: con la testa ancora pesante da quelli che
lui aveva definito farmaci e il corpo che sembrava resistergli quasi
non fosse suo, non sperava neppure di fare qualche passo o cercare una
via di fuga che gli desse salvezza; nelle condizioni in cui si trovava,
probabilmente non sarebbe neppure stato in grado di avvicinarsi ad una
finestra e buttarsi di sotto, con tutto il letto appresso.
Il suo braccio sinistro pareva inutilizzabile, così come
anche la gamba della medesima parte. Il dolore straziante non arrivava
dai muscoli, neppure dalle ossa, ma dalla mancanza effettiva della
parte terminale di entrambi, come una paralisi che prendeva quasi
metà del suo corpo. Ulquiorra pensò, e a ragione,
che i suoi arti fossero stati mozzati per un qualche motivo.
Il ricordo del perché, però, gli era precluso
dalla mente. Lo irritò parecchio, anche di più
del dolore e di tutto quel suono che lo circondava, perché
gli era impossibile accettare di non aver libero accesso a
ciò che la mente governava - lui, essere tanto razionale e
freddo, persino di fronte alla Morte. Ecco, la Morte: quel concetto gli
suggerì qualcosa, qualcosa che acuì il dolore
fisico e mentale, qualcosa che fece aumentare i maledetti "bip" della
stupida macchina che gli martellava sull'orecchio.
Blocco psicologico: era dunque così? Sembrava proprio di
sì.
Si addormentò di nuovo, con qualche spasmo a livello del
ventre e del petto, mentre attorno a sé sentì il
movimento di più di una persona e vicino al suo corpo
sentì quello di troppe mani.
L'idea di una seconda Morte lo colse impreparato, anche se di speranza
non ne aveva mai conservata per niente e per nessuno. Neppure per
se stesso.
La terza volta che i suoi sensi lo resero cosciente, Ulquiorra ne diede
la colpa a una voce maschile che riusciva a sentire distintamente.
Stava chiedendo qualcosa a qualcuno - delle domande che solo per
l'intonazione gli parvero banali e metodiche, prive di qualsivoglia
interesse - poi però si arrestò e calò
ancora il silenzio tipico dei reparti ospedalieri meno frequentati.
Come quello degli infettivi.
Ulquiorra si chiese come mai fosse ancora in vita se doveva sopportare
tutto quel silenzio, dacché la sua esperienza gli aveva
insegnato che solo alla conclusione di un'esistenza ci fosse un vuoto
tanto assoluto.
La persona che era rimasta nella stanza si mosse, aveva ai piedi delle
scarpe dalla suola lustra di gomma che facevano un suono di plastica
schiacciata quando entravano in contatto col pavimento. Gli
arrivò vicino e lì si fermò in
silenzio, sospirando profondamente di tanto in tanto. Ulquiorra
cercò di pensare, ora che il dolore non pareva
così forte da renderlo incapace persino in quello.
Chi mai avrebbe potuto fargli visita, in un ospedale civile? Aveva
amanti, compagni, amici, uomini tanto affezionati a lui?
Si ricordava chi fosse, Ulquiorra, anche in maniera fin troppo precisa.
Era alle dipendenze di un trafficante di droga - tal signor Aizen - che
gestiva da tempo il commercio di stupefacenti in quella precisa zona
della città senza avere troppi riguardi per confini e cose
simili. Era un ex agente, Aizen, cosa che aveva reso i suoi vecchi
colleghi poliziotti ancora più rabbiosi nei suoi confronti.
Altro però non gli veniva in mente, ma era abbastanza chiaro
che avesse riportato ferite gravi in seguito ad un qualche scontro tra
bande o contro la Polizia. Non era poi così strano, in
effetti.
Però continuava a non spiegarsi come mai si trovasse in quel
luogo e chi fosse la persona che aveva accanto.
L'uomo sospirò ancora e poi si allontanò senza
dargli occasione di avere qualche risposta che lo aiutasse a ricomporre
il puzzle che aveva in testa. C'erano ancora tasselli che non avevano
la giusta posizione, buchi irrisolti e carenze in troppi posti.
Ulquiorra era di nuovo stanco, anche questa volta assai irritato.
Aprì le palpebre e poté finalmente constatare
quanto banale fosse la stanza che stava occupando.
Era spoglia di tutto, aveva una sola grande finestra dalle tende tirate
e una piccola porta per il bagno a pochi metri di distanza
dall'ingresso. Un armadio, bianco, era stato posto di fianco alla
piccola scrivania dove probabilmente si serviva e si consumava il cibo.
Per il resto, erano solo macchine, letto e lui.
Non provò neppure a guardarsi di fianco, alla fonte primaria
del suo fastidio che aveva scandito in maniera regolare il passare dei
secondi, uno dopo l'altro. Non guardò neppure il proprio
corpo, stretto tra lenzuola candide e coperte di lana, avvolto in
maniera tale da rimanervi inglobato dentro fino quasi alle spalle,
eccezion fatta del braccio immobile lungo il suo fianco destro: lui
non sarebbe riuscito a muoversi tanti da scostarne entrambi gli angoli
così da vedersi nello stato in cui versava. Mirò
invece alla finestra, quasi provasse una sorta di interesse per cosa ci
fosse dietro le tende, e continuò a pensare.
Non dovette aspettare molto che una bianca infermiera venne da lui,
parlando lentamente, a congratularsi per il buon risveglio e a
rassicurarlo sul fatto che presto il medico sarebbe a sua volta
arrivato per presentargli nel dettaglio la situazione. Ulquiorra la
squadrò da capo a piedi, cercando di intravedere nella sua
persona qualche indizio che potesse risultargli utile. No, decisamente
non era una di quelle persone che era solito frequentare: era una
persona normale che stava svolgendo il suo normale lavoro - niente di
più e niente di meno. Non le disse nulla e neppure ci
provò quando la donna, con tranquillità,
andò a prelevargli del sangue per mezzo dell'ago che
già aveva infilato nel braccio; ne prese tre siringhe, una
quantità insolita ma che evidentemente si confaceva alla sua
situazione. Lei, quando lo notò, gli sorrise, senza ricevere
la benché minima risposta in cambio.
Prima di chiamare chicchessia, l'infermiera si preoccupò di
verificare se fosse in grado di intendere e di volere, che non fosse
solo cosciente ma anche presente in quel luogo. Gli fece alcune
domande, semplici e immediate, per avere una risposta certa.
Gli chiese come stava. Lo chiamò "signor Shiffer", forse per
capire se lui in quel nome si riconosceva. Gli chiese persino cosa
volesse per pranzo.
Ulquiorra rispose solo che non voleva essere in nessun modo disturbato,
tanto meno da qualche rumore molesto - e la voce parve all'udito come
il grattare frenetico di artigli contro un vetro liscio e duro, il
raschiare continuato e cocciuto di uno zoccolo contro i sassi, il
ragliare stanco di un animale troppo vecchio. Non gli doleva in maniera
tale da non essere sopportabile, ma sicuramente quella non era la sua
voce.
L'infermiera fu soddisfatta del risultato e gli disse che nessuno
l'avrebbe scocciato più, a parte lei ovviamente che doveva
tornare per verificare le sue condizioni di tanto in tanto.
Prima di andarsene, la donna ebbe l'accortezza di aprire le tende della
finestra in modo tale da far entrare la fioca luce di quelle giornate
autunnali. Così Ulquiorra poté vedere le nuvole
che passavano, lente, nel cielo.
Arrivò anche il dottore, dopo quello che a lui parve un
periodo di tempo indefinito, e benché l'intenzione dipinta
sopra il suo viso fosse quella di rassicurarlo, le sue parole non lo
aiutarono certo nell'impresa ma anzi confermarono i sospetti di
Ulquiorra stesso. Braccio sinistro amputato fin sopra il gomito, gamba
sinistra della parte terminale, paralisi muscolare dovuta al forte
shock subito. Gli disse che il coma era durato ben più di
una settimana, ma che doveva ritenersi fortunato perché
invece la testa non aveva riportato alcun danno davvero grave - e che
quel particolare, probabilmente, era anche la causa della sua
sopravvivenza.
Gli diede qualche dato, i nomi di alcuni farmaci che gli stavano
somministrando, i periodi di riabilitazione, il cognome dell'uomo che
faceva le protesi per l'ospedale: un sacco di chiacchiere inutili che
Ulquiorra non si degnò neppure di stare a sentire.
Il dottore disse, inoltre, che il suo mandato d'arresto prevedeva che
una volta lasciato l'edificio lui avrebbe passato i dieci anni
successivi in una struttura penitenziaria. Sempre che fosse stato in
grado di riprendere a camminare da solo, ovvio, altrimenti ce lo
avrebbero accompagnato i gendarmi a costo di trascinarlo per i capelli
o per la sola gamba rimanente.
Anche l'uomo se ne andò, lasciandolo solo e in silenzio.
Ulquiorra sentì le palpebre pesanti e una spossatezza che
gli legava tutto il corpo e lo rendeva lento, stanco.
Non si sorprese minimamente di cadere addormentato come un sasso, senza
curarsi d'altro.
Lo sorprese un rumore nuovo - plastica che veniva mal piegata e
sfregava in maniera impietosa.
Spalancò gli occhi all'improvviso e si ritrovò di
fronte un giovane uomo in borghese, in mano un sacchetto appoggiato
solo per metà ai piedi del letto. Anche l'uomo si sorprese,
tanto che fermò l'atto che stava compiendo e rispose al suo
sguardo senza dire nulla.
Ulquiorra non lo riconobbe subito ma gli ci volle solo qualche istante
per identificare Kurosaki Ichigo e quindi accendere in corpo il giusto
astio che doveva provare per persone come lui. Tutto senza che la
ragione prendesse parte alla recita, ma ebbe il ruolo principale
unicamente la sensazione di fondo.
Ichigo non sorrise, conscio benissimo lui medesimo della distanza che
li separava, e si sedette sopra uno sgabello di fianco all'altro uomo
dopo aver poggiato il suo pacco a terra. Aveva un'espressione
corrucciata in volto, si vedeva la preoccupazione che non riusciva ad
abbandonarne i lineamenti decisi.
Per quanto risultasse incredibile, fu Ulquiorra il primo dei due a
parlare.
-Cosa ci fai qui, Kurosaki?-
Non era disarmonico solo il suono, a cui Shiffer non poteva dare alcun
controllo, ma persino il tono e l'inclinazione erano stati modulati per
risultare sgradevoli. La situazione sicuramente non favoriva Ulquiorra,
che oltre a non capire niente di sé in quel momento faticava
persino a capire qualcosa dell'altro - e la cosa non gli piaceva. Non
era ancora riuscito a recuperare quella parte di ricordi che gli
avrebbero restituito gli avvenimenti più recenti e quindi la
posizione di Ichigo gli sembrava quantomeno particolare, quel giusto da
poterne provare un poco di interesse e di meraviglia assieme.
Il giovane si fece ancora più scuro in viso e rispose col
medesimo sgarbo.
-Controllo che tu non sia morto.-
Ulquiorra fece molta attenzione alle parole di Ichigo,
perché ricordava abbastanza di lui da inquadrarne il
carattere e l'indole da testa calda. Probabilmente, si sarebbe lasciato
scappare alcuni dettagli che l'avrebbero molto aiutato.
Nondimeno, non fece nulla per farlo sentire a proprio agio
né benvoluto: uno sbirro rimaneva sempre uno sbirro, in
qualsiasi situazione ci si ritrovasse.
-Ora che hai controllato non hai più niente da fare qui.-
Ichigo, infatti, diede sfogo alla sua irritazione e alzò la
voce senza accorgersene.
Non poteva certo ammettere di aver passato almeno metà del
suo tempo libero in quella stanza, ad aspettare che Ulquiorra aprisse
gli occhi e confermasse di essere vivo. Non poteva ammetterlo a
se stesso, figuriamoci a qualcun altro se non addirittura a
Ulquiorra stesso. Il senso di colpa era qualcosa, date le loro
professioni e il ruolo da antagonista che avevano l'uno nei confronti
dell'altro, di profondamente sbagliato e fuori luogo, ma prima che
essere un poliziotto Ichigo era pur sempre un essere umano - e come
tale, anche se animato solo da buone intenzioni, aveva bisogno di tanto
in tanto di sapere di star agendo per bene e che nessuno per colpa sua
stesse soffrendo più del dovuto.
Così Ichigo semplicemente alzò la voce e rispose
con una certa cattiveria alle maligne parole di Ulquiorra.
-Controllo anche che tu stia bene!-
Secca e immediata fu la risposta, come il tono gracchiante da corvo.
-Non sono morto.-
-Questo lo vedo anche da solo. Ma tra "stare bene" e "essere vivi"
c'è una bella differenza!-
Lo guardò ancora peggio, se fosse stato possibile, e la sua
voce divenne talmente tagliente da fare male.
-Senza più una gamba e un braccio sarà difficile
che io arrivi a "stare bene", Kurosaki.-
Lo guardò in maniera strana, come quelle persone che
ingoiano rospi e deglutiscono a forza provando rispetto e vergogna. Non
capì il perché di tali sentimenti e ne
risultò confuso e destabilizzato, anche dalle parole che
uscirono dalla smorfia contratta dell'altro.
Tanto aveva scosso Ichigo il ritrovarsi di nuovo addosso quegli occhi
indifferenti da riuscire a raffreddare all'istante qualsivoglia strana
fiamma.
-Hai ragione, scusa...-
Fortuna volle che arrivò l'infermiera e sciolse
così quel primo loro incontro: Ichigo scappò
senza pensarci due volte, prendendo con sé il pacchetto che
aveva prima portato.
Ulquiorra, intanto, stava giocando con un puzzle immaginario.
La polizia doveva aver avuto uno scontro con il signor Aizen, di
recente, e sia lui che Kurosaki vi avevano preso parte - lui ne era
uscito a quella maniera indegna, con ogni probabilità a
causa dell'altro. Ma se così fosse stato, Ulquiorra non
capiva come mai fosse ancora vivo e in uno stato tanto misero: se
davvero era capitolato in uno scontro diretto con Kurosaki o un altro
poliziotto perché non era morto? Nella sua concezione delle
cose, secondo quella particolare etica che aveva sviluppato inserendosi
e crescendo nella malavita, o quantomeno quello che lui pensava di
ricordare a tal proposito, l'onore non toccava mai allo sconfitto a
meno che questo non decadesse nel tentativo di rivalsa. Mantenere
l'orgoglio voleva dire essenzialmente quello, per creature come
Ulquiorra.
Quindi, il risultato del ragionamento era che qualcuno l'aveva salvato
con la forza. Bisognava solo capire chi.
Ma prima di fare altri ragionamenti, la sua testa iniziò a
pulsare di nuovo e lo privò di qualsiasi altra voglia di
pensare, tanto che riprese a dormire molto velocemente lasciando il
resto in tanti frammenti di pensiero opalescente.
Seppe di star migliorando quando percepì il livello di
sporcizia in cui versava.
Non che di norma conservasse per la sua persona un'attenzione
particolare, ma persino lui osservava l'igiene più
elementare e ne aveva tutti i benefici. Fu portato alla vasca e fu
lavato da un infermiere piuttosto corpulento, che lo spogliò
e lo denudò per poi immergerlo nell'acqua tiepida. Vedendosi
nudo, riconobbe sopra di sé i segni di una lotta piuttosto
cruenta, la cui impronta peggiore non era certo quella delle due
amputazioni: una cicatrice notevole gli percorreva il busto, in
diagonale, e diverse altre ferite da sparo e da taglio lo decoravano
altrove. Si rese conto persino di non avere più gli stessi
capelli che aveva prima - erano decisamente più corti
dacché non vedeva alcun ciuffo nero al di là
delle tempie, probabilmente i medici lo avevano rasato per operargli
ferite anche sul cranio. Fu obbligato a piegare tanto la testa da
vedere un tatuaggio a livello del cuore, proprio sul petto, un bel "4"
inciso con inchiostro nero e ben visibile nonostante la pelle rovinata.
Si ricordò senza sforzo ogni significato ad esso abbinato e
con esso il ruolo che aveva sempre avuto, egli medesimo, all'interno
della cosca criminale di cui faceva parte. Si sorprese, invece, di non
averlo ricordato prima, come se l'avesse sempre saputo solo a livello
inconscio. Probabilmente, la testa era troppo impegnata altrove per
essere davvero presente.
Lui era uno dei migliori, uno di quelli a cui il signor Aizen si
rivolgeva con un certo tono. Riscoprì in sé
l'orgoglio e la dignità del posto conquistato, pur nel suo
ambiente di malavita - era il suo mondo, dopotutto, e quelle erano le
regole.
La figura di Sosuke Aizen si andava via via delineando nella sua mente
e non compariva più come una semplice voce che si prodigava
a dare ordini su ordini, ma conquistava una fisionomia precisa, un
volere, un progetto più ampio, una scala di valori
condivisi. Ricordò altri numeri oltre al suo, un "5"
particolarmente molesto e un "6" fin troppo rumoroso e insolente,
ricordò una donna dai lunghi capelli chiari - una
collaboratrice di giustizia, sì, esattamente, proprio una
cosa del genere - e infine ricordò persino Kurosaki.
L'insieme delle cose, però, mancava del giusto ordine e
finché il senso del tutto gli sfuggiva certo Ulquiorra non
sarebbe riuscito a darsi la benché minima risposta. L'acqua
calda della vasca e le mani dell'infermiere che si muovevano sulla
pelle non lo aiutarono per nulla, in quel processo, e l'uomo si
abbandonò con una certa riserva ai richiami che tutti i suoi
sensi gli stavano mandando in maniera insistente.
Il bagno ebbe il solo merito di dargli una certa sensibilità
a parti del corpo che prima gli erano aliene. Ipotizzò di
non sentire troppo dolore per le due amputazioni a causa dei tanti
farmaci che gli somministravano giornalmente e che lo rendevano
più molle e docile. Lasciò vagare il pensiero su
dettagli insignificanti come quello, ma ben più leggeri,
mentre veniva asciugato e vestito di abiti nuovi e freschi.
Arrivato al letto cercò di lottare contro la stanchezza che
gli prese gli occhi e ci riuscì solo per qualche minuto:
guardò la grande finestra e quei pochi avvenimenti che
lasciava intravedere, silenziosa spettatrice. Poi cadde di nuovo
addormentato.
Entro qualche giorno riuscì a riprendersi completamente
dalla spossatezza che i farmaci gli regalavano - le dosi vennero
diminuite e lui divenne sempre più lucido e presente, tanto
da riuscire a sfamarsi da solo e a rimanere sveglio per giorni interi.
Fu in una di queste giornate passate a guardare fuori per non osservare
dentro che Kurosaki Ichigo tornò a fargli visita. In mano
aveva ancora il pacchetto, identico, della volta precedente, e sul viso
la stessa faccia da idiota con sensi di colpa.
Lo salutò solo per educazione e gli si avvicinò
senza aver l'intenzione di sedersi da qualche parte: era più
semplice parlargli così.
-Il dottore dice che ti stai riprendendo davvero in fretta,
considerando le tue condizioni.-
Non ci fu risposta - solo gli occhi freddi e indifferenti dell'altro,
che lo sfidavano, lo graffiavano, lo ferivano in continuazione.
Ichigo, però, quella volta era decisamente più
pronto e non si fermò davanti alla sua resistenza.
-É probabile che comincerai la riabilitazione motoria entro
qualche settimana se non di meno.-
Ancora, ancora, ancora.
Troppe parole per uno, come lui, abituato a essere conciso e diretto
senza alcun fronzolo.
-Così potrai venire in carcere.-
Però alla fine Ulquiorra rispose, perché la
curiosità iniziava lì dove arrivava anche il
dubbio - e lui, quel maledetto puzzle, non l'aveva ancora completato.
-Chi mi attende, in carcere?-
Ichigo si fece addirittura più sicuro nello sguardo, mentre
cominciava a camminare attorno al suo letto. Quella era una domanda a
cui era facile rispondere, anche nella finzione.
-Beh, la giustizia, la giusta condanna per i tuoi crimini.-
-C'è già stato il processo?-
-No, non ancora, ma non credo che questo cambi molto nella tua
situazione. L'unica cosa in cui puoi sperare è una riduzione
di pena.-
Ulquiorra si ripeté, non perché di domande ne
aveva finite o la curiosità era venuta a mancare, ma
perché sentiva di non aver avuto alcuna risposta
soddisfacente che potesse aiutarlo e la cosa lo frustrava.
Quindi, chiese ancora una volta qualcosa di assolutamente banale e
scontato.
-Cosa ci fai qui, Kurosaki?-
E banalmente e in maniera scontata Ichigo gli rispose.
-Controllo che tu stia bene.-
-Qual è per te il significato di "stare bene"?-
Ichigo si fermò e lo guardò male, pieno d'ira.
Ulquiorra non comprese e probabilmente non volle neanche farlo, ma
registrò il fatto per riuscire ad analizzarlo poi, quando
aveva tempo. In quel momento poteva solo prestare ascolto alle parole
dell'altro che gli riempivano le orecchie.
-Questa è una domanda che fa chi non l'ha mai sperimentato
davvero o non se lo ricorda affatto!-
Lo graffiò come poteva, un'ultima volta: reagì al
suo calore con una doccia ghiacciata.
-Tu che "sai tutto" me lo sapresti spiegare?-
Ichigo sbatté le mani sul materasso e le chiuse a pugno,
sporgendosi quindi verso di lui tanto da arrivargli vicino.
E il suo odore, per l'uomo, fu così stranamente familiare da
accendergli un fiume di ricordi nel subconscio.
-Non è una cosa che si possa esprimere a parole, Ulquiorra!-
Sentire quel nome preciso uscire dalla bocca dell'altro gli fece uno
strano effetto – come se da sempre fosse consapevole di
chiamarsi in tale maniera ma che, allo stesso tempo, volesse dire
più e miliardi di cose. Si domandò se fosse il
suo vero nome, e fu l'esitazione di un istante: se persino lui si
rivolgeva a se stesso con quel nome, significava pur
qualcosa.
Ichigo non ebbe la pazienza di attendere che finisse i suoi
ragionamenti e se ne andò di fretta e furia, senza aspettare
l'arrivo di alcun infermiera. Il pacchetto di plastica andò
via con lui.
Ulquiorra tornò quindi alla sua attività
più importante: chiuse gli occhi per figurarsi meglio la
mappa che gli avrebbe rivelato ogni verità.
Era stato Kurosaki Ichigo a ridurlo così, ormai ne era quasi
certo. Dovevano aver avuto uno scontro armato in un luogo capace di
contenere cose grosse e pesanti, che senza difficoltà
schiacciavano le persone e le uccidevano - Ulquiorra pensò a
quali capannoni di proprietà del signor Aizen potessero
essere stati usati allo scopo e non gli fu difficile trovarne almeno
due o tre.
Se così stavano le cose, significava soltanto che era stato
lo stesso Kurosaki Ichigo a trarlo in salvo una volta che l'aveva reso
inoffensivo, quindi anche privo di sensi.
Lui e la sua stupida pietà, lui e la sua stupida
testardaggine cocciuta.
Si ricordò parecchie cose, di Kurosaki Ichigo, dei flash che
lo vedevano mentre lo fronteggiava apertamente, mentre tutt'attorno i
macchinari di una piccola fabbrica metallurgica continuavano a
procedere nel loro percorso. Aveva in mano una pistola e l'aveva in
mano anche l'altro. Ichigo sanguinava di più e non si
muoveva bene, lui aveva il braccio destro che pendeva lungo il fianco
inerme e dolorante. Si ricordò l'odio cieco che aveva
provato per il suo nemico anche se non ne individuò la
ragione né riuscì in qualche modo a pescarla
all'interno dei suoi ricordi.
Gli aveva sorriso, sì. Gli aveva sorriso senza prestare
adito al dolore che provava, al sangue che lo rendeva rosso, al fatto
che aveva la canna di una pistola puntata alla gola - Ulquiorra
pensò che quello fosse un motivo più che valido
per essere alterati con lui, qualsiasi fosse stata la ragione
precedente.
La cosa che però non capì fu un attimo, un solo
attimo in cui a quell'espressione se ne sovrappose un'altra, diversa in
tutto e per tutto. Ichigo aveva un sorriso strano, compiaciuto ma non
malizioso.
La mente di Ulquiorra si rifiutò di pensare ulteriormente,
chiudendosi nonostante ogni sforzo, per liberarlo dalla
consapevolezza che quell'istante fugace contenesse una certa
complicità che rendeva le persone fin troppo simili, sullo
stesso piano, e fin troppo vicine, quasi intime.
Lentamente anche il suo corpo prese coscienza della mancanza che lo
rendeva monco. Quel poco di spalla sinistra rimanente non si muoveva
più all'unisono con il braccio destro e la gamba mozzata non
compiva i medesimi gesti dell'altra. Ulquiorra imparò a
essere più coordinato e meno goffo nei movimenti, tanto da
risultare quasi armonico nel complesso.
Prima che ai suoi arti fossero aggiunte le due protesi,
passò diverso tempo: giorno dopo giorno, la dose dei farmaci
diventava sempre minore e il dolore sempre più distante,
così che l'uomo riacquistò con la dovuta cautela
il completo controllo del proprio organismo tutto. La sedia a rotelle
gli permise una prima parte di movimento libero, anche se i brevi
tragitti che percorreva, da un reparto all'altro dell'Ospedale, non gli
consentivano un eccesso di sprint, cosa che teneva ancora molto legati
i muscoli del braccio e della gamba.
Però, appena i medici lo ritennero opportuno,
cominciò a fare la prima ginnastica per i muscoli della
coscia sinistra e del torace. Aveva una sola persona che lo seguiva,
accanto, e per quanto potesse essere paziente in quello specifico
frangente Ulquiorra pensò che fosse anche troppa: gli dava
fastidio quella incapacità, gli dava fastidio essere in
quello stato troppo simile al verme.
Nondimeno, non aveva la minima voglia di morire né ne
conservava in sé il desiderio.
Mentre faceva piegamenti vari e lasciava che la propria gamba sinistra
venisse guidata in alto e di lato, riusciva a mantenere ferma la
coscienza per pensare – come se la salute mentale derivasse
da quella fisica, in un binomio indissolubile.
Non provava vergogna per quello che era successo e per i suoi effettivi
crimini. La consapevolezza del male, egli lo capì presto,
era radicata in lui fino a quasi a toccare la sua intima essenza. Era
legata al suo passato, al suo presente e sicuramente anche al suo
futuro, in maniera radicale. Ulquiorra non ricordò quando
tutto ebbe inizio, forse con la consapevolezza di non avere ideali
abbastanza forti da giustificare l'innocenza dei più
temerari e da sorreggere le persone considerate deboli dalla
società; forse ancora l'idea di base che non esiste
né salvezza né destino ma solo la
volontà distruttrice di chi stava sopra e quella di
pietà di chi stava sotto. Volgarità simili che lo
disgustarono, anzitempo, rendendolo la persona che era.
Sarebbe andato in prigione a scontare la sua pena senza opporre la
minima resistenza. La logica del mondo lo desiderava e lui non aveva
altro che la coerenza dalla sua parte – gli sarebbe bastata
quella per conservare integro il suo orgoglio, perché
d'altro non aveva minimamente bisogno.
Qualcosa, però, stonava nel tutto.
Ed era l'immagine persistente di Kurosaki che, con ripetizione
allarmante, gli tornava davanti agli occhi qualora abbassava la guardia
e si lasciava un poco andare; bloccava a quel punto ogni ulteriore
pensiero, ogni ulteriore ipotesi, per non lasciarsi trascinare nel
vuoto.
Venne la donna dai capelli chiari, Orihime Inoue.
Lo aspettò fuori dalla piccola palestra dove faceva
riabilitazione – aveva sbagliato orario e quindi dovette
attendere un poco – e lo accompagnò alla sua
stanza prendendo il posto dell'infermiere dietro la carrozzina.
Meglio così: non l'avrebbe neppure guardata in faccia mentre
le parlava. Però intuì lo stesso il sorriso di
lei, gentile per innocenza e privo di malizia, perché lo
ritenne naturale abbastanza da affibbiarglielo senza troppi
perché. Si ritrovò a sentire una certa
familiarità per la presenza di quella persona, decisamente
poco voluta.
-Vedo che va sempre meglio!-
Lei era allegra, quel giusto per non risultare inopportuna.
Ulquiorra aveva addosso la sgradevole sensazione di non avere giusto
l'unica parte di memoria che gli avrebbe restituito i corretti
sentimenti da provare per lei. Optò per una morigerata
indifferenza, come per tutto quello che lo circondava.
Indicò con un solo cenno del capo le protesi che aveva agli
arti, quasi con disprezzo.
-Non c'è niente che possa privarmi di questa condizione.-
Orihime non sembrava subire alcuna pressione per la vista del braccio e
della gamba ridotti, tanto che continuò a essere il
più naturale possibile – confortante, calda a
tratti, dannatamente umana.
-Imparare a gestire mezzo corpo richiede tanto tempo. D'altronde, le
cose più importanti rimangono al loro posto e nessuno le
toglie!-
L'uomo non si degnò neppure di risponderle e
guardò avanti, vedendo infermieri, dottori e altro personale
scorrergli accanto come file di animali in esposizione: niente per lui
pareva davvero degno di interesse, né nei particolari
né nell'insieme.
Dopo qualche secondo di silenzio, Orihime gli riprese a parlare quasi
che nulla l'avesse interrotta. Aveva un tono calmo, a tratti triste,
sicuramente serio ma caloroso, tanto che Ulquiorra si chiese se nei
suoi gesti non ci fosse qualche sorta di compensazione per dei crimini
che non venivano ricordati volentieri.
-So che Kurosaki è stato qui...-
Il nome di Ichigo non fece altro che rimandare a spiacevoli avvenimenti
– nel tono di Ulquiorra non sembrò che niente
potesse turbarne lo spirito e l'indole.
-Ho avuto modo di incontrarlo.-
Il rumore delle ruote che cigolavano, sotto il corpo ancora infermo
dell'uomo, era l'unico rumore che separava le loro battute, in un
corridoio ormai privo di qualsiasi spettatore.
-Non avete parlato di niente?-
-Niente di interessante, no.-
Ancora qualche secondo di silenzio. Poi però Orihime non
riuscì più a fare finta di nulla, a fingere di
non sapere: venne fuori un poco della sua preoccupazione, la questione
che tanto le premeva di risolvere.
In fondo, lei era una brava ragazza.
-I medici mi hanno detto che hai perso la memoria e che stai
recuperando un ricordo alla volta.-
-É così.-
-Ti ricordi di me?-
-Mi ricordo di te.-
-Ti ricordi di Kurosaki?-
Pausa.
L'uomo sapeva, venne a galla nella sua mente all'occorrenza, quali
fossero stati i trascorsi tra lui e quella giovane donna. Era stata sua
carcerata, l'oggetto di un ricatto e di un rapimento ai danni della
Polizia contro la quale da sempre erano in guerra, loro e il signor
Aizen. L'aveva personalmente tenuta imprigionata, facendole da cane da
guardia per un periodo di tempo indefinito. Ed era stata spettatrice,
lei, di quello scontro che l'aveva così portato vicino alla
Morte.
Per questi dubbi Ulquiorra non seppe cosa rispondere sul momento
– perché, lo intuiva con una forza incredibile,
quella domanda nascondeva al proprio interno una sequenza di sottintesi
che lui non avrebbe dovuto ignorare giammai.
La cosa lo irritò un poco, considerando tra l'altro che le
redini del discorso si dimostrarono essere in mano a lei e non a lui,
in maniera lampante.
Provò a pensare, a pensare ancora, a ricordare qualcosa che
lo potesse aiutare a rispondere a una domanda del genere senza mostrare
troppe debolezze.
Non gli era certo facile da capire quale fosse la forza d'animo che
spingeva lei a fare una cosa simile.
Si innervosì e rispose con una certa durezza del tono.
-Cosa dovrei ricordarmi di Kurosaki?-
Non la vide sorridere dalla sua posizione, non la vide abbassare lo
sguardo.
-Solo il contenuto del sacchetto che si porta con sé...-
L'uomo ricordò l'oggetto come un dettaglio insignificante,
come la stessa persona di Ichigo in effetti. Non riusciva ancora a
cogliere il senso logico di tutto quel dialogo e di quella visita,
anche se ormai aveva compreso che la soluzione di ogni enigma risiedeva
proprio nella persona di Kurosaki.
Inoue aveva un modo strano di prendersi cura delle persone, chiunque
esse fossero. Sapeva perfettamente quanto nero fosse il cuore
Ulquiorra, ma l'aveva visto una volta sola vibrare abbastanza da
cominciare a credere di potergli arrecare la salvezza – era
tutta lì, la speranza di una redenzione difficile e
incredibile. Probabilmente, era troppo sciocca per rendersi conto che
non era altro che follia.
Dato il prolungato silenzio, Orihime pensò che fosse giunto
il momento di separarsi dall'ammalato.
Non poteva affermare di aver risolto qualcosa, ma credeva fermamente
che un miglioramento, seppur piccolo, c'era stato: Ulquiorra pareva
averla ascoltata fino alla fine, e questo era già un bene.
-Sono stata felice di vederti vivo! Questa è la cosa
più importante! Kurosaki verrà a trovarti ancora,
ne sono certa! Arrivederci!-
La guardò andarsene senza aggiungere una sola parola, senza
neanche più la voglia di pensare a tutta quanta la faccenda.
Se la meta di ogni suo ragionamento era quella che aveva intuito, non
era del tutto sicuro di volerci arrivare. D'altronde, di sicurezze lui
ne conservava integre a sufficienza e poc'altro gli serviva per
soddisfare la sua coscienza.
Ogni altra cosa avrebbe semplicemente soddisfatto il suo ego
– e se il prezzo per una tal cosa era l'umiliazione allora vi
avrebbe volentieri rinunciato.
Passò ancora del tempo prima che gli consegnassero delle
stampelle con cui ricominciare a camminare senza alcun aiuto.
La protesi al braccio si rivelò utile solo a quel punto,
quando all'equilibrio generale del corpo serviva un appoggio solido in
modo tale da non sbilanciare eccessivamente il baricentro e non far
faticare troppo la schiena.
Fu doloroso sentire i muscoli risvegliarsi fino a quel punto e tornare,
anche in diversi gradi, al loro compito originale.
Man mano si proseguiva, più Ulquiorra assomigliava a un uomo
normale, come tutti gli altri – i suoi capelli, nerissimi
come sempre, erano tornati della lunghezza originaria: poco
più sotto delle spalle.
Ora la sua riabilitazione consisteva per lo più in lunghe
camminate a fianco di un istruttore, per tutto il perimetro della
piccola palestra dell'ospedale. Altri ospiti la animavano ed era sempre
un fastidio dover dividere quel poco spazio con persone del genere,
secche di vita e di ogni altro desiderio.
D'altronde Ulquiorra non si era neanche mai posto il problema di come
poteva apparire alla gente, che impressione facesse la sua figura. Non
era per una sorta di vanesio pavoneggiarsi: come colui che crede
soltanto a ciò che vede, voleva un riscontro nell'apparenza
che desse anche solo una parvenza di quello che era l'intimo animo
all'interno. Una persona seria doveva avere un aspetto serio e
così discorrendo, in definitiva.
Non si era più visto allo specchio da quando si era
svegliato all'ospedale e per sanare i suoi dubbi decise di farlo.
L'immagine che vi vide riflessa non lo gratificò per nulla:
vide un giovane uomo smorto, dall'aspetto sciupato e cedevole, dallo
sguardo ancora infermo. Comprese allora di essere ancora lontano da
ogni soluzione possibile e che il tedio e la pigrizia che lo avevano
preso erano stati solo scusanti non più accettabili.
Non poteva permettersi una tale condizione.
Fu uno di quei pomeriggi che lo vide, seduto su di una carrozzina
sospinta da un infermiere tutto bianco, che vagava senza una meta
precisa lungo i sentieri del giardino interno all'edificio.
La stagione era diventata bella e ormai era tutto un fiore e un
cinguettio continuo, non era raro che gli ospiti dell'ospedale si
facessero accompagnare fino alle panchine e ai prati verdi.
Lo riconobbe da lontano per via della sua capigliatura decisamente
inconfondibile: non poteva sfuggire neppure all'occhio più
distratto quella criniera rosea, figlia di tempi in cui la follia
pareva una moda invidiabile. Fu lo stesso individuo ad andargli
incontro, anche lui visibilmente entusiasta di incontrare qualcuno che
facesse parte del suo mondo al di fuori di quelle mura bianche.
Szayel Aporro era diventato deficiente, menomato mentale persino sulle
carte mediche. Lo aveva indicato con dei gorgoglii animaleschi al
proprio infermiere, agitando in avanti la mano come se l'arto non fosse
stato suo. Anche a guardarlo da vicino non pareva molto presente,
eppure aveva uno sguardo che non si schiodava un solo secondo dalla
figura altrettanto menomata di Ulquiorra.
Per lui quell'incontro fu più che strano: credeva di essere
se non il solo almeno uno dei pochi sopravvissuti, e sicuramente non
avrebbe mai e poi mai scommesso sulla resistenza di un tipo come Aporro.
Non si chiese neppure il perché di tale considerazione,
dacché ogni risposta fu lampante nel suo cervello ancora
prima che ci pensasse: l'importanza dei numeri che si portavano
appresso, impressi sulla loro pelle, era legata all'abilità
e alla forza di ognuno di loro, e Aporro occupava una posizione
decisamente misera in confronto alla sua e a quella di persone che, lo
sapeva per certo, nello scontro erano perite.
Con ogni probabilità quello che aveva dovuto subire aveva
come ultimo scopo quello di renderlo innocuo, non tanto di ucciderlo
– e non si sorprese neanche un poco di svelare la stessa
crudeltà loro in figure che con la legge avrebbero dovuto
andare a braccetto.
Aporro arrivò persino a toccarlo, indicandolo con forza e
rivolgendogli dei gemiti senza senso. Gli stava chiedendo qualcosa,
forse. Gli stava chiedendo come mai fosse vivo, forse. Gli stava
chiedendo dove mai fossero finiti il signor Aizen e tutti gli altri,
forse.
Domande di cui Ulquiorra non conosceva la minima risposta.
Indisposto dalla sua presenza, l'uomo decise di proseguire oltre e di
allontanarsi dall'altro paziente per interrompere in quel preciso
istante l'incontro. A quel punto l'infermiere che lo accompagnava lo
chiamò di fretta, perché non se ne andasse a
quella maniera e non lasciasse il suo paziente da solo, ora che
finalmente aveva trovato qualcuno con cui passare il tempo. Ulquiorra
si fermò solamente quando si sentì chiamare con
un nome diverso da quello che si era sempre affibbiato, un nome che
riconobbe solo dopo averci pensato davvero bene.
Il suo vero nome.
Dopo aver fatto questa considerazione, continuò la sua fuga
senza più prestare attenzione al resto, né
all'infermiere che ancora lo chiamava né al suo istruttore
che cercava di fermarlo in qualche modo.
Si ricordò come fosse tipico degli ambienti che frequentava
prima dell'incidente darsi dei soprannomi, anche piuttosto particolari,
per non essere identificati nel caso di intercettazioni o spionaggio
rivale. Si ricordò il perché gli fosse stato dato
un nome del genere, in un rimando così forte al
“pianto” - lui che aveva dei segni sotto gli occhi
come righe di lacrime sottili. Si ricordò di
“Grimmjow”, di “Nnoitra”, di
“Yammy” e molti altri ancora.
E si ricordò anche con un certo disappunto che l'ultima
volta che aveva sentito pronunciare il suo nome proprio era stato per
colpa della voce di Kurosaki.
Gli pareva impossibile essere entrato così in
intimità con una persona, ancora di più se questa
persona era proprio un poliziotto. Non credette neppure possibile che
Kurosaki avesse in sé tanta bravura da aver trovato un
documento riguardante la sua vera identità, così
da sapere tutto ciò che lui non aveva mai detto neppure al
signor Aizen.
Eppure pareva che una delle due ipotesi fosse davvero la soluzione o
quantomeno ci si avvicinasse di molto.
Ulquiorra tendeva a escludere la prima, sia per istinto che per
orgoglio: era inconcepibile che avesse abbassato tanto la guardia da
scoprirsi a quella maniera.
Tuttavia, neppure la seconda lo soddisfaceva appieno, a meno che
Kurosaki non si trovasse al centro di una fitta rete di conoscenze che
lo rendevano più informato del necessario.
Forse si poteva trovare un compromesso per spiegare tutta la faccenda
oppure semplicemente lui non era a conoscenza di tutto i retroscena che
ci erano stati. Non erano chiari molti punti e lui era sicuro che
altrettanti gli erano stati tenuti volutamente all'oscuro persino dai
suoi cosiddetti “alleati”, primo tra tutti il
signor Aizen.
Ciononostante, ebbe modo di dissipare ogni incongruenza un bel mattino
di fine primavera, quando Kurosaki trovò il tempo di fargli
un'ultima visita.
Lo trovò già nella sua stanza quando
rientrò dalla mensa – quell'ambiente gli era
venuto tanto a noia da volerne uscire con ogni pretesto, anche a costo
di farsi mezzo palazzo di distanza per andare a sedersi sopra una panca
di legno e mangiare un misero minestrone di verdura.
Ichigo aveva in mano il suo sacchetto e si alzò dalla sedia
quando lo vide arrivare. Si scambiarono occhiate oblique e non
alterarono l'espressione quando l'infermiere che accompagnava Ulquiorra
si congedò per andare via, lontano lontano.
L'uomo zoppicò fino al letto dove si sedette per far
riposare le braccia, abbastanza vicino all'ospite da non sforzare
né collo né vista per rivolgersi a lui con la
dovuta durezza e il giusto tono di voce.
-Sei ancora qui, Kurosaki?-
Il giovane fece uno schiocco con le labbra, irritato e fermo.
-Evidentemente...-
Per la prima volta Ulquiorra si fermò a guardare la sua
intera persona: doveva avere poco più che vent'anni e aveva
un fisico asciutto, portamento dignitoso seppur in abiti che ne
testimoniavano la bassa estrazione sociale. Ispirava serietà
nella perenne espressione corrucciata ma nel modo di porsi era evidente
che ancora non aveva molta esperienza del mondo e che quindi portava,
per difesa, una maschera di durezza davanti a qualsiasi cosa.
Uno di quei tipi, insomma, che non avrebbe suscitato in lui il minimo
interesse in condizioni normali, abbastanza banale e privi di
novità notevoli.
Spezzò egli stesso il silenzio, prima che diventasse troppo
fastidioso.
-Cosa vuoi?-
Ichigo non abbassò gli occhi ma fu lì
lì per farlo – se non fosse stata chiara
l'intenzione in lui di affrontare Ulquiorra alla pari probabilmente si
sarebbe lasciato andare a gesti decisamente più remissivi e
naturali.
Con un tono di voce che non era troppo duro, rispose alla sua domanda.
-So che Inoue è stata qui.-
Ulquiorra non si diede la briga di confermare quell'informazione, era
uno spreco di tempo e voleva capire dove Kurosaki volesse arrivare con
una tale affermazione.
Fu, nelle loro parole, come parlare del tempo meteorologico: quante
nuvole c'erano state nel cielo, i raggi del sole a che temperatura
erano arrivati, se il vento aveva spazzato le fronde degli alberi a
sufficienza per far cadere qualche bocciolo.
-Cosa ti ha detto?-
-Niente che non sapessi già.-
-Immaginavo...-
Però Ulquiorra non aveva tutta la pazienza del mondo e
siccome era deciso a porre fine alla personale confusione che l'aveva
reso incerto per troppo tempo, propose lui un nuovo quesito sul quale
parlare.
Con la mano destra, l'indice ritto in avanti, indicò la mano
di Ichigo.
-Cosa c'è in quel sacchetto?-
Kurosaki fu sorpreso nel sentirsi rivolgere una tale domanda, eppure
non mostrò la minima resistenza nel dare una risposta. Anche
lui aveva sperato in un simile sviluppo, lo testimoniava il fatto che,
per la terza volta di fila, aveva portato quel sacchetto con
sé come un suppellettile di vitale importanza.
Lo porse a Ulquiorra e lo appoggiò sul suo grembo, sul
vestito bianco che indossava.
-Guarda tu stesso.-
Ulquiorra impiegò qualche minuto a svelarne il contenuto,
con una mano sola era difficile fare qualsiasi cosa e aprire un
pacchetto rigido di cartone poteva risultare un'impresa problematica.
Quando finalmente riuscì a sollevare il coperchio
poté vedere con i suoi occhi dubbiosi di tutto l'oggetto che
meno di tutto si sarebbe aspettato. Lo prese tra le dita, ne
saggiò la consistenza e lo avvicinò agli occhi
per constatare che fosse reale. Solo dopo rivolse uno sguardo dubbioso
all'altro uomo, per chiedere spiegazioni.
Ichigo si portò una mano ai capelli, in segno di imbarazzo e
resa: era arrivato il tempo di dire quanto si doveva e tirarsi indietro
voleva dire allungare ancora di troppo una pena ormai insopportabile.
-Quello è il mio distintivo. Non lo porto più da
quando hai avuto l'incidente. Sono in ferie forzate da cinque mesi a
questa parte: da allora non sono entrato più in servizio una
sola volta.-
Ulquiorra continuava a non capire.
Cosa c'entrasse lui con tutto quello. Che relazione c'era tra le
dimissioni di Kurosaki e l'incidente che lo aveva colpito. Che
relazione mai ci fosse tra Kurosaki e lui, abbastanza forte da
sconvolgere Ichigo fino a quel punto.
Parlò ancora il giovane, perché era chiaro che
Ulquiorra non l'avrebbe fatto.
-Te lo restituisco. Era tra i tuoi affetti personali quando ti ho
portato all'ospedale io stesso. Gli infermieri me l'hanno dato credendo
che tu me l'avessi rubato durante lo scontro, non sapevano come stavano
le cose...-
Solo a quel punto Ulquiorra tradì una certa aspettativa e si
concesse di dare una spinta all'altro, perché non
tergiversasse più e finalmente centrasse il punto tanto
cruciale.
La risposta a ogni dubbio sarebbe stata lì.
-Come stanno le cose, Kurosaki?-
Ichigo lo guardò in faccia prima di parlare – lo
fece lento, soppesando ogni singola parola detta dalle sue labbra. Mai
così difficile era stato ammettere l'ovvietà.
-Io ho smesso di essere un poliziotto nel momento in cui ti ho chiesto
di essere un trafficante.-
Fu come un incantesimo, la recita di una formula magica che scatena
terremoti e tempeste capaci di devastare l'intero globo.
Il blocco fu sciolto, tolto con un sol gesto, e allora tutti i ricordi
oltrepassarono il confine come l'acqua di una diga forzatamente chiusa
fino allo stremo. Ulquiorra seppe cosa fosse successo, nei particolari
e nei dettagli, senza che altri glielo dovessero specificare parola per
parola.
Era stato un informatore capace di infiltrarsi in qualsiasi ambiente e
uscirne senza riportare danni, come era stato più e
più volte dimostrato da molte sue missioni davvero
pericolose – il signor Aizen lo teneva con sé
specialmente per questa sua peculiarità. In una di queste
trasferte era entrato in contatto con Ichigo Kurosaki, all'epoca ancora
un cadetto non troppo promettente, che Aizen voleva tenere sotto
osservazione per via delle sue parentele illustri e di una possibile
carriera brillante; il loro primo incontro era stato deludente,
qualcosa che aveva profondamente rammaricato sia Ulquiorra che Aizen
stesso.
Quello che nessuno sapeva era ciò che era accaduto tra
questo primo incontro e l'ultimo, che aveva reso Ulquiorra invalido.
Altre volte, per motivi diversi – per aver raggiunto le
medesime mete con le medesime informazioni – Ulquiorra e
Kurosaki si erano avvicinati. Conoscere l'avversario per arrivare a
sconfiggerlo era una delle tattiche più usate e banali ma fu
quella che scelse anche il giovane, dedito perlopiù a capire
quali punti deboli poter sfruttare a suo vantaggio. In questo modo,
Ulquiorra lo vide lottare contro Yammy e lo vide lottare contro
Grimmjow senza che la sua curiosità nei suoi confronti
aumentasse abbastanza da poter muoversi di conseguenza.
Fu proprio grazie alla condizione privilegiata che entrambi occupavano
che riuscirono a trovare, in maniera decisamente paradossale, un punto
di incontro. Ichigo seppe di lui qualcosa che persino Aizen ignorava,
Ulquiorra seppe di lui ciò che tutti quanti sapevano e
tenevano da conto come peculiarità prive di valore; il nome,
l'età, il sesso, la provenienza, il credo, la
spiritualità. Shiffer divenne affascinante agli occhi del
giovane uomo per la coerenza con cui portava avanti la propria
esistenza – e se al suo senso di giustizia che gli imponeva
di salvare tutto il salvabile si aggiunse anche il desiderio cocente di
farlo, fu solo per merito della volontà esplicita di Ichigo.
Ulquiorra questo non lo capì subito e accettò con
riserva l'imporsi esigente dell'altro, fino a ché non
divenne talmente evidente il desiderio che Ichigo provava che neppure
lui ne rimase completamente indifferente. E quello segnò la
prima incongruenza nella sua condotta.
Fu in uno di questi incontri che Ichigo gli propose uno scambio: la sua
carriera per la propria. Gli sorrise, come non aveva fatto mai, e si
mostrò fragile quel tanto da riuscire quasi a vincerlo. Per
quel motivo Ulquiorra si rifiutò di incontrarlo di nuovo,
senza nessun altro accanto, e si radicalizzò sulle questioni
che facevano di lui un criminale al servizio di Aizen –
ancora di più, la sua faccia esprimeva l'indifferenza e
l'estraneità da quel mondo che non riusciva a riconoscere
come proprio.
Un susseguirsi di eventi veloci era dunque giunto tutto all'improvviso:
il rapimento di una donna che era venuta a conoscenza di troppe cose,
la mobilitazione di massa della polizia, i vari scontri tra il gruppo
di Aizen e i poliziotti tutti.
Ichigo, che non avrebbe dovuto essere partecipe dell'azione, aveva
insistito abbastanza da far parte dei pochi uomini che irruppero
direttamente nel covo dei narcotrafficanti, chiaro l'intento di portare
indietro sia Inoue che Ulquiorra. Ma l'uomo, come sempre, si
palesò a lui con una durezza inespugnabile e nessuna
risposta alla domanda per la quale Ichigo era pur pronto a morire;
quasi lo uccise, lasciandolo per terra senza guardarlo e senza
rivolgergli alcuna parola di conforto. Una specie di miracolo gli
salvò la vita, e come uno stupido Ichigo tornò
ancora da lui – ancora, ancora, perché il prezzo
era troppo alto per cedere a quel punto. Senza pietà
Ulquiorra aveva ripetuto quello che in precedenza aveva fatto,
lasciando da parte ogni umano sentimento per essere solo una pedina,
uno stupido strumento di sterminio. Era chiaro che Ichigo non sarebbe
mai riuscito a portarlo via con la forza, Ulquiorra era abile sia con
ogni tipo di arma sia nel fisico e a Kurosaki mancava l'esperienza da
disperato di cui invece l'altro era esperto. “Ti dico che
è impossibile che tu riesca!” gli aveva detto in
un unico impeto di rabbia, il solo che l'avesse sconvolto tanto da
rubargli l'aria imperturbabile che sempre aveva in viso. E Ichigo aveva
sorriso, ghignato per quella strana reazione che aveva ottenuto,
rispondendogli con una sfacciataggine che era incredibile,
intollerabile, inammissibile.
“Per quanto tu possa resistere, io sono sicuro che da qui
usciremo assieme.”
In effetti, ebbe ragione. Perché appena terminate le sue
parole, per un motivo non ben chiaro – probabilmente per il
risultato di un altro scontro tra due altre persone, come quel pazzo di
Aporro o quell'idiota di Nnotria – l'edificio subì
un'esplosione interna e uno degli ingranaggi che stavano lì
a prendere la polvere si separò dalla sua base e
cominciò a rotolare in avanti. Ulquiorra, reso cieco
dall'istinto, spinse lontano Kurosaki e fu travolto di colpo da quella
massa di metallo semovente.
Il resto lo sapeva solamente Kurosaki, ma era chiaro che quanto avesse
ipotizzato fino a lì corrispondeva a verità: lui
l'aveva trascinato fuori, lui gli aveva salvato la vita.
Sbatté le palpebre e fu di nuovo in quella stanza
d'ospedale, a guardare Ichigo in viso. Lui non era mai andato via da
quel posto, e parlò ancora.
-La risposta però me la devi ancora dare, Ulquiorra. Sono
sei mesi che aspetto che tu mi risponda con un
“sì” o con un “no”.
Credo di meritarmelo, ormai...-
Si portò la mano alla propria tempia, cercando di non
soccombere a tutte le informazioni che aveva ricevuto in una sola volta.
Ragionò a mente fredda, lucida, finalmente con tutti gli
elementi che gli servivano per non mostrarsi troppo titubante e troppo
insicuro; la conoscenza gli aveva donato un potere incredibile, e ne
sentì tutto il peso sulle spalle.
-Che senso avrebbe darti una risposta ora che devo andare in prigione?
Ti illudi forse che possa cambiare le cose?-
Ichigo gli sorrise, ed era lo stesso sorriso che conservava nei suoi
ricordi – solo che era reale, era lì, era per lui.
-Non mi illudo Ulquiorra: so che lo farà, ne sono
assolutamente certo. Devi solo avere il coraggio di farlo anche tu...-
Ulquiorra pensò ancora, perché non era facile
dare una risposta del genere, sottintendeva troppe cose e ne voleva
dire altrettante di mostruosamente grandi.
Il lavoro che aveva svolto per anni gli aveva dato la pessima abitudine
a fidarsi solo della materialità e di non fare progetti su
promesse di futuri radiosi né su progetti basati
essenzialmente sulle intenzioni delle persone. Disilluso, dubbioso di
tutto, materiale e fisico come chi non possiede credo se non nelle mani.
Ulquiorra, senza più posare lo sguardo altrove, si
fissò le dita stanche e capì d'essere arrivato al
capolinea: avrebbe dovuto ricominciato da capo, in maniera diversa.
Non lo guardava mentre gli diede quanto aspettava da tempo, con solo la
patetica e rassicurante fantasia di poter costruire un'esistenza del
tutto nuova.
-Se ti chiedessi di aspettarmi ancora pensi che sarebbe una risposta
sufficiente?-
Ichigo sorrise ancora e gli si fece vicino – troppo,
nell'intimità ritrovata ma non più solita che
persino Ulquiorra riconosceva a stento.
-Se ho la sicurezza di trovarti alla fine del percorso potrei anche
sopportare l'attesa.-
Non sorrise ma fu come se lo facesse. Vitalità si lesse nel
suo sguardo, perché di nuovo vivo si sentiva nelle ossa e
nel corpo.
-Allora fallo, e nel momento in cui sarò di nuovo libero
vienimi a prendere davanti al cancello della prigione.-
-Come se ti liberassi io da lì?-
-Come se mi liberassi tu.-
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