La creatura

di MargotRoux
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A voi...

LA CREATURA



Nuda.
Ecco come mi sentivo in quel momento. Nuda.
Esposta ad ogni pericolo, ogni attacco, ogni minimo tentativo di indebolirmi. Nuda.


Se fossi libera, io sarei l’animale più forte. Potrei spingermi fino all’abisso più profondo, volare nell’infinito azzurro del più alto dei cieli, correre veloce nelle terre emerse, per cacciare le mie prede.
E invece? Sono rinchiusa, ingabbiata in un corpo mortale, umano.
Le mie spalle prudono per avere delle ali, le mie gambe fremono per poter correre come un ghepardo e il mio petto grida, per avere delle branchie.

Solo la mia anima è come dovrei essere… furiosa, bellissima, sterminatrice. Potente.
Ma incompleta, a causa degli dei che l’hanno separata dalla sua metà! Un essere uguale a lei, con la forza di un maschio, la virilità che io stessa cerco da più di mille anni… l’unico essere in grado di domarmi.



Dei, vi imploro. Sono giunta persino a questo! Vi imploro, buttandomi su queste ginocchia umane, e con queste mani vi invoco… oh, dei… ho bisogno del vostro aiuto, della vostra compassione… fatemi tornare com’ero… viva! Potente! Incredibile! Forte!
Ho accettato la punizione di un corpo goffo, inadatto, per molto tempo… sono rimasta immortale, per la vostra volontà. Ma ora, vi supplico, ridatemi il mio corpo! Che io possa trovare il mio gemello, finalmente!




Gli dei ascoltavano. Si guardavano, mentre la creatura da loro stessi creata soffriva per la mancanza del suo vero corpo. Tutti gli dei erano indecisi. Liberarla? E poi rischiare di essere sottomessi… ma da due sole creature? Improbabile… Mantenerla così, e farla soffrire per la sua natura, rischiando che si togliesse quella vita preziosa, meravigliosa, potente, che li ammaliava?

La decisione era presa. Zeus si alzò, imponente nella sua forma divina, e disse ciò che tutti sentivano nel loro cuore: “Liberatela. Ha sofferto abbastanza. È stata punita, ridatele il suo corpo”.
Due ancelle celesti annuirono e diedero l’ordine a colui che custodiva le spoglie terribili. Così il custode, tenendo fra le braccia quell’armatura potente, porse omaggio ad Atena, e l’accompagnò ai cancelli dell’Olimpo.
Questa prese il meraviglioso fardello e si accinse a scendere per i pericolosi sentieri che portavano alla dimora degli dei.

Giunse così, nella forma divina, in tutta la sua meravigliosa forma e bellezza, la dea guerriera, e con fare maestoso disse: “Hai scontato la tua pena, Electra. Riavrai il tuo corpo possente, che stringo qui fra le mie braccia. Per mille anni e mille giorni hai dovuto vivere in spoglie mortali, ma adesso l’ora è giunta. Ricordati, non metterti contro gli dei, e questi ti rispetteranno” .
Così dicendo, le porse il corpo che teneva in grembo e facendo un passo indietro, scomparve.


Viva! Viva, finalmente! Con il mio corpo, finalmente!
Correvo, correvo nella savana e nel deserto, nuotavo, nuotavo fra gli abissi più profondi della terra, volavo, volavo fra le cime più alte del mondo!
Ah! La vita, meravigliosa, vita! Libera, nel mio corpo divino!
Mi specchiavo nei laghi e mi abbellivo nei fiumi, adornandomi dei fiori più belli e più rari. Mi cibavo delle prede più succulente e prelibate, urlavo il mio nome al cielo, così forte da sovrastarne qualunque altro. Viva! Viva, finalmente!








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