StoryTeller

di Leyton_Nenny
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Mi chiamo Ginevra.

Ginevra come la moglie di re Artù. Ginevra come l' amante di Lancillotto.

Mi chiamano Gin. Gin come il liquore, Gin come se abbreviassero la spezia del caffè. Ginseng.

E' caffè. Però è dolciastro, aromatico. Ti tiene piacevolmente sveglio. Ti aiuta a pensare.

L' alcool invece è completamente diverso.

E' stopposo, sa di bruciato. Ti entra in gola come mille spilli e te la brucia. Però poi ti scalda, ti scalda piacevolmente. E mentre sei caldo, ti aiuta a non pensare, ti aiuta a trovare pace. Ti aiuta a dormire.

Mai provato a prendere un superalcolico e buttarlo giù tutto insieme?

La lingua inizia a bruciare, e mano a mano che il liquido scende anche il bruciore scivola verso il basso. Fino ad arrivare allo stomaco.

Ed è allora che inizia a scaldarti.

Il caffè invece non brucia, scivola piacevolmente giù e ti scalda lentamente, proprio mentre scende. Però se è troppo caldo ti bruci la lingua.

Gin- Ginseng.

E' questa la mia vita.

Alcool e caffè.

Un po' come me.

E' questo che mi accompagna nelle ore prima... della mia vera vita.

“Gin! Ci sei?”

Guido. Sta a noi.

“Il tempo di un caffè.”

Non è una domanda, nemmeno guardo per sentire una risposta. Non è una domanda.

Il ginseng. E accanto il bicchierino col Gin.

Prendo la tazzina.

Un gesto delicato, come se fosse un rito di una qualche religione dimenticata. E resto nel mio religioso silenzio mentre il liquido ocra attraversa le mie labbra. E dalla mia bocca posso chiaramente sentirlo attraversare l' esofago. E scivola, scivola lentamente. Affianca le corde vocali, scaldandole. E poi scivola ancora, fino a depositarsi nello stomaco.

Poggio la tazzina: il silenzio si rompe solo con il fondo della tazza che tocca il piattino.

E ora il Gin.

Non c'è rito, non c'è magia.

Buttalo giù, tutto insieme.”

Ricordi. Ricordi di una bambina di 16 anni a cui offrivano un bicchiere di un liquore e lei, affascinata dal colore del liquido e dall' odore fruttato, lo beveva.

Se lo bevi piano fa più male”

Ma non faceva già abbastanza male? E in quel posto tutto odorava di birra e alcool. Tutto odorava di Gin, ma non c' era il Ginseng.

Tutto insieme, senza esitazione, senza sentimento.

“E' ora!”

Guido. Ancora lui.

Mi avvicino allo specchio: c' era un mazzo di rose rosso cupo, le mie preferite.

Il mio migliore amico non era potuto venire.

Ne presi una e la appuntai al corpetto.

“L' immagine è tutto.”

Quante volte lo avevo sentito?

E mi ritrovavo sempre a indossare corpetti neri con gonne svolazzanti e ampie. E le calze. O stappate o lavorate.

Provai a respirare: il mio seno sembrava esplodere e il mio respiro risultava stroncato.

“Guido, fammi un favore: allenta un po'.”

“Ma...”

“Non riesco a respirare, okay?”

Mani fredde a contatto con la mia pelle bollente di Gin e Ginseng.

E poi aria. Finalmente riesco a respirare.

“Adesso andiamo, tocca a noi.”

Corridoi bui sinuosi. E poi le scale.

“In bocca al lupo”

Crepi. Non lo dico, lo penso.

Crepi. Crepi come tutto.

Silenzio.

E poi, finalmente, la musica.

E le luci si accendono.

Il palco, la mia vita.

E la mia voce, la mia voce che odora di Gin e Ginseng.

Nell' ordine inverso però.

Tastiera. Poi basso. E infine chitarra.

E ora batteria.

E voce, finalmente. Il mio strumento.

Voce.

“Sei la front, tu ci metti la faccia. Quindi fai del tuo meglio per te stessa.”

La front, la ragazza che mette la faccia nella musica.

E che deve indossare abiti in cui non respira.

E indossa rossetto rosso cupo come le sue rose, con gli occhi cerchiati di nero.

Come dopo una notte insonne, come dopo una notte in cui si è bevuto solo Ginseng.

E le guance tinte con un debole rosso che stronca il bianco del volto.

Come dopo aver bevuto qualche bicchiere di Gin.





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