(Alice)
Scendo
precipitosamente le scale di cemento del garage di Harrison Ateara,
sobbalzando ad ogni rumore, inclusi quelli che produco io. Le mie mani
tremano in maniera incontrollabile e, nonostante i guanti di plastica
spessa mi garantiscano un’ottima presa, rischio
più di una volta di farmi sfuggire le grosse bottiglie piene
di sangue che sto trasportando.
Salto giù dall’ultimo gradino e mi ritrovo in un
corridoio buio, tetro, stretto e apparentemente senza fine. Un singulto
scoraggiato mi sale alle labbra ma prendo un profondo respiro e mi
impongo di non farmi prendere dal panico: in questo momento Jasper ha
un disperato bisogno di aiuto e posso essere solo io a darglielo.
Mi faccio coraggio e comincio a percorrere il corridoio avanti e
indietro, senza però riuscire a scorgere neppure una
porticina. Non demordo e mi metto carponi, tastando ogni centimetro di
muro disponibile con una mano.
Finalmente, trovo un’apertura: una sorta di rettangolo
ritagliato dal compensato, alto poco più di mezzo metro e
sigillato da un pezzo di compensato di medesima forma, colore e
dimensione. Riesco a liberarmene senza fare troppo rumore ed entro
nella cella, appena rischiarata dalla fiochissima luce di
un’economica lampadina priva di paralume e completamente
impolverata. Intuisco solo a malapena le due sagome umane che ho di
fronte e stando a ciò che ho estorto ad Ateara, forse
è meglio così. Recupero le bottiglie di sangue e
mi avvicino circospetta.
Leah Clearwater è messa davvero male: è
totalmente ricoperta di ferite, sangue coagulato e lividi e lo stato
delle sue, una volta splendide, gambe mi strappa un gemito di puro
orrore. É aggrappata con forza alla mano destra di Jasper,
ma non può fare altro, oltre a questo, e lui non
è certo messo meglio. É appoggiato in qualche
modo alla parete, ma le sue membra sono buttate a caso qua e
là e il modo in cui tiene piegato il collo è
decisamente innaturale.
Allungo una mano per toccargli il viso, ma una serie di violenti spasmi
lo scuote da capo a piedi, facendolo dibattere in maniera orribile.
Solo ora mi accorgo della corda corta e spessa che gli stritola i
fianchi e di come fumi al contatto con la sua pelle.
Digrigno i denti, sono stata fin troppo buona con quello scarto umano
di Ateara.
Stacco rapidamente quell’orrida sanguisuga dal corpo di
Jasper e comincio a nutrirlo, cercando intanto di capire quanto siano
gravi le condizioni di Leah. Sicuramente è stata attaccata
con ferocia inaudita, ma al momento non è
l’entità delle ferite a preoccuparmi: quello che
mi spaventa è il fatto che abbia passato almeno sette ore in
questo posto sporco e disgustoso, senza ricevere le cure adeguate.
Sicuramente il suo super organismo le avrà permesso di far
rimarginare la maggior parte dei tagli, ma temo che comunque essi
abbiano avuto tutto il tempo per infettarsi e causarle una setticemia.
E sono assolutamente certa che fosse questo quello a cui puntava
Ateara.
Alla luce di ciò, sfondare il muro al quale Jasper era
addossato si rivela un’operazione molto più
semplice e liberatoria del previsto. Una volta fatto mi carico Leah in
spalla, prendo Jasper per mano ed esco finalmente da
quell’orribile prigione.
(Edward)
Apro gli occhi e il
senso di tremenda debolezza che mi pervade mi informa che sono
ritornato alla Realtà.
Sospirando rassegnato, mi metto a sedere stiracchiandomi e mi guardo
attorno. Jacob dorme ancora e Simone siede all’ombra di un
grosso albero, ai margini della radura. Alzo gli occhi al cielo e la
posizione del, poco, sole mi rivela che non è passato poi
molto tempo da quando “Abadon” ci ha trattenuto.
Finora nessuno ci è venuto a cercare, ma è meglio
non tirare troppo la corda.
Ho ancora al massimo mezz’ora di tempo, dovrei cominciare ad
incamminarmi verso casa.
Mi alzo svogliatamente e, mentre sistemo i vestiti umidi e spiegazzati,
quella che deve essere la voce della mia coscienza mi fa una
rivelazione: posso anche non tornare.
In fondo, io ho sempre odiato Forks, ed è evidente che qui
non c’è più niente per me. La mia
famiglia è spezzata e Jacob irraggiungibile: che motivo ho
di stare qui a piangermi addosso?
Perché, invece di ammazzare il tempo fingendo di vivere una
vita che non mi appartiene, non posso viaggiare e vedere il mondo?
Mi guardo attorno in cerca di ispirazione, e il mio sguardo si posa su
Jacob, che dorme ancora: cosa farebbe lui, se fosse nei miei panni?
Cosa mi consiglierebbe?
Osservo il suo bel viso, dolce ma incredibilmente determinato persino
mentre dorme, e mi trovo a pensare che probabilmente lui mi spingerebbe
a partire: non perché non sentirebbe la mia mancanza, ma
perché mi ama e vorrebbe il meglio per me. E lo stesso
discorso vale anche per i miei genitori.
Improvvisamente deciso e determinato, mi alzo e comincio a camminare.
Per evitare di cadere in tentazione non mi fermo a guardare indietro e
rallento il passo solo per salutare e ringraziare silenziosamente
Simone, che mi lancia un’occhiata penetrante e poi mi augura
buona fortuna.
Mi addentro nel fitto del bosco, e ben presto i dubbi tornano a
tormentarmi.
Una volta tanto, però, mi rifiuto di scappare e proseguo per
la mia strada, ignorando i sensi di colpa e il cuore che mi sprofonda
nel petto ad ogni passo.
Arriva la sera e mi trovo nei pressi di un porto: le luci della
città sono più intense rispetto a quelle di Forks
e danno al cielo e al mare una bellissima sfumatura giallina e calda
che non avevo mai visto in vita mia.
Mi siedo e osservo il paesaggio, immerso in una quiete irreale, conscio
finalmente di aver fatto la scelta giusta.
(Jacob)
Apro gli occhi e, con
la stessa consapevolezza che ho di essere sveglio, sento che Edward ha
lasciato Forks.
Il primo impatto è traumatico e passo svariati minuti con
gli occhi sbarrati verso l’alto.
Non sento rabbia, ma una nostalgia già così
intensa e prepotente che, almeno all’inizio, mi fa desiderare
solo di mutarmi e abbandonare tutto e tutti.
Fortunatamente, poi, il buon senso ha la meglio e mi permette
di vedere le cose con maggiore lucidità. Edward mi ha sempre
spronato ad onorare i miei doveri, quindi mi sembra quantomeno doveroso
lasciargli la libertà di fare le sue scelte. Conoscendolo,
credo che per lui questa decisione sia stata molto difficile da
prendere e se alla fine ha deciso di intraprendere questo viaggio, non
posso che pensare che sia la scelta giusta e il meglio per lui.
Tanto mi deve bastare.
Pensando a tutte le cose che devo fare e sistemare alla Riserva, mi
alzo e in un battito di ciglia Simone mi appare accanto.
Mi rivolge un sorrisino incerto e poi mi porge un foglietto
scritto in grafia elegante.
“Alice Cullen ha risolto ogni cosa: la tua amica Leah
è al sicuro, e per il momento dimora a questo indirizzo.
E’ pressoché guarita da tutte le ferite dello
scontro con gli accoliti di Ateara ed è assistita da una
persona fidata, quindi puoi stare tranquillo.”
“E chi sarebbe questa persona?”
“Jasper Hale.”
Alzo il capo, sorpreso, ma Simone non sembra intenzionata a
dire nulla di più sull’argomento quindi mi limito
a prendere il foglietto bofonchiando un ringraziamento. Mi volto per
andarmene, ma una mano fredda mi si posa sul braccio.
“Mi dispiace per come è andata a finire.
Avrei voluto fare di più, ma sembra che il mio potere non
sia poi così utile…”
“Gli occhi di Edward sono verdi, quasi identici ai miei, e i
capelli un po’ più scuri del colore al quale sono
abituato. Ho scoperto che dorme tutto appallottolato, generalmente sul
fianco sinistro, e che soffre un po’ di bassa pressione,
sicché la mattina presto non è esattamente
brillante e gli ci vuole un bel caffè forte per carburare.
La sua cucina è un qualcosa di paradisiaco e come
ciò sia possibile è un vero mistero, visto quanto
è negato nelle attività pratiche. É
spesso totalmente tra le nuvole, è un ritardatario cronico e
non sa stare neppure mezz’ora senza fare una domanda,
generalmente tanto astrusa, specifica e separata dal contesto da farti
chiedere da dove l’abbia pescata. Se tu non avessi creato per
noi quell’ultima illusione, non avrei mai scoperto tutte
queste cose. Non avrei mai conosciuto il vero Edward e ora sarei a
pezzi, furibondo e sfiduciato, perché il mio grande amore
sarebbe andato totalmente sprecato. Invece, grazie a te, io e lui siamo
davvero stati assieme e i ricordi che ho di quel periodo ne sono la
prova. E quando sarò preoccupato perché
avrò a che fare con lupi particolarmente ribelli, o
dovrò mettermi a studiare complicate strategie o che so io,
mi verranno in mente e alleggeriranno tutto, ricordandomi che ne
è valsa la pena. Tu e il tuo potere siete stati molto
più che indispensabili e né io né lui
potremo mai sdebitarci, o ringraziarti abbastanza per quello che ci hai
regalato.”
“Sei una persona straordinaria, Jacob Black, quindi non ho
dubbi che sarai anche un capo eccellente. Doti come la tua
bontà e la tua grandezza d’animo non si trovano
tutti i giorni e sono molto più preziose di quanto si possa
immaginare. Ti auguro il migliore dei futuri possibili, e di essere
felice e realizzato come Capobranco e come persona. Io…
credo che prima o poi tornerà.”
“Già, è quello che spero anche
io…”
(Leah)
Stesa sul letto del
Posto Sicuro nel quale Alice ci ha portato, mi concentro
spasmodicamente per cercare di capire il senso delle frasi sussurrate
che mi arrivano da dietro la porta.
Alice e Jasper stanno discutendo di qualcosa, e io muoio di
curiosità ed apprensione. Vorrei tanto potermi
mutare per sentire meglio, ma sono completamente sfiancata dai farmaci
e poi temo che sarebbe come lanciare un razzo da segnalazione; e visto
che ho un’idea abbastanza chiara di quali siano i sentimenti
della comunità mannara nei miei confronti, meglio evitare.
La mia concentrazione, però, viene interrotta da una
presenza lupesca che, stando ai miei sensi, si avvicina a tutta
velocità a questo caseggiato.
Non ho neppure il tempo di mettermi seduta che Jasper ed Alice entrano
nella stanza e si schierano ai lati del mio letto: la posa che assumono
è forzatamente amichevole e rilassata, ma la tensione
nell’aria è inequivocabile e il cuore comincia a
rullarmi nel petto.
L’aura di questo lupo è potente e sconosciuta,
eppure allo stesso tempo stranamente familiare: si ferma esattamente
sotto a questo palazzo, rimane quasi in attesa per qualche istante e
poi sfuma nel nulla, indicando che il suo proprietario è
ritornato umano. Infatti, dopo poco, sentiamo il campanello suonare
perentorio ed Alice, dopo averci lanciato un’occhiata
obliqua, si precipita ad aprire.
Il nervosismo distorce i miei sensi, quindi lo schiocco del portone mi
sembra uno sparo e il rumore dei passi pesanti sulle scale, una marcia
funebre.
“Leah…”
É il sussurro ammonitore di Jasper a farmi rilasciare il
fiato, e la sua mano che avvolge la mia ciò che mi fa
ricordare come respirare correttamente.
Abbasso lo sguardo per osservarle, ma in questo momento di
totale nervosismo ed incertezza neppure le nostre dita intrecciate mi
sembrano un simbolo di forza.
Anzi, il contrasto tra tonalità e temperatura mi colpisce
come mai prima d’allora e mi fa pensare che tutto questo non
sia altro che un’assurda pazzia. Alice ha visto e ci ha
riferito quel che è successo tra Edward e Jacob:
perché, invece, tra me e lui le cose dovrebbero essere
differenti?
“Devo ricordarmi che sei una vera e propria forza della
natura, ma che non sei in grado di gestire
l’ansia.”
Sussurra Jasper, in tono vagamente strafottente e quando mi giro
inviperita, pronta a rispondergli per le rime, lui mi stupisce: si
piega su di me e mi sfiora le labbra con un bacio.
La tensione svanisce in un battito di ciglia e, mentre la mia
temperatura interna raggiunge molto rapidamente quella del magma
rovente, registro che ora i battiti forsennati del mio cuore sono
dettati dall’emozione.
Vorrei dire, e fare, molte cose ma la confusione del momento mi fa
perdere istanti preziosi e, quando finalmente ho deciso di volerlo
baciare anche io, la porta si apre e Jacob entra nella stanza.
Anzi, forse sarebbe più corretto dire che Jacob domina
la stanza e ne riempie ogni più minuto centimetro con la
forza e il carisma che sembrano avvolgerlo ed illuminarlo di una luce
nuova.
Non c’è da stupirsi che non abbia riconosciuto la
sua aura.
Le sensazioni che traggo dal vederlo sono sicurezza,
determinazione, autorità e non c’è
traccia di tutto il dolore e l’amarezza che temevo lo
avrebbero divorato.
Jacob è sereno, pacato, consapevole, e solo ora capisco cosa
gli è successo: ha preso coscienza di ciò che
è e di quello che può fare ed è pronto
ad essere il Capo migliore che la tribù Quileute abbia mai
avuto.
Eppure rimane sempre il mio adorato Jackie, e lo ritrovo facilmente nel
modo in cui ha accartocciati tra di loro i manici del sacchetto di
plastica della farmacia e nell’espressione dispiaciuta ed
imbarazzata che mi rivolge.
Come se non avessi anche io un milione di cose per le quali
farmi perdonare.
Dimenticando l’intontimento farmacologico e le
raccomandazioni del dottor Cullen, balzo in piedi e gli corro in
braccio, abbracciandolo stretto.
E quando lui mi fa volteggiare per la stanza ridendo e intanto scambia
un occhiolino complice con Jasper, capisco che tutto andrà a
posto e che nonostante tutto la mia vita è perfetta.
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(Due
anni dopo)
“Sei sicura di avere tutto sotto controllo?”
Leah mi fulmina con un’occhiataccia, ma annuisce.
“Per l’ennesima volta, Jacob, si! Andrà
tutto bene, vedrai. Ti ho mai deluso in qualità di
vice?”
“Non mi hai mai deluso e basta.”
Le concedo con un sorriso, dopodiché mi sistemo lo zaino
sulla schiena e mi sporgo a baciarla.
Lei mi fa un enorme sorriso “Sei sicuro di non volerti
fermare qualche giorno di più? É passato molto
tempo dal vostro ultimo incontro.”
“Non ti preoccupare, quattro giorni saranno più
che sufficienti. Non mi voglio approfittare di te, e poi chi lo sa,
magari Jasper ha qualcosa in serbo per te e fermandomi di
più gli romperei le uova nel paniere.”
Sorrido della sua espressione stupefatta, le faccio un ultimo
cenno di saluto e poi mi trasformo, iniziando subito a correre.
Non è la prima volta che faccio questo viaggio, ma
ogni volta mi da sempre la stessa emozione.
Non vedo l’ora di vederlo, corrergli incontro, baciarlo e
stare a sentire quello che ha fatto nell’ultimo periodo.
Naturalmente mi tiene aggiornato tramite lettera, così come
faccio io con lui, ma sentire le cose raccontate da lui ha un fascino
tutto speciale ed irrinunciabile.
I chilometri scorrono veloci sotto le mie zampe e le tre ore di viaggio
mi sembrano durare poche manciate di minuti.
Quando arrivo al posto il sole sta tramontando e lo trovo ad aspettarmi
sul patio.
Mi raggiunge e, prima che abbia il tempo di sciogliere la mutazione, mi
abbraccia stretto.
“Mi sei mancato tanto, Jake.” Sussurra.
“Mi sei mancato tanto anche tu, Edward”.
E
finalmente, dopo quattro lunghi, lunghissimi anni, “What
If” vede scritta la parola Fine. Credevo che sarei stata
più “fredda” mentre scrivevo queste
ultime righe, ma come sempre le mie emozioni mi prendono in
contropiede, e ora mi scopro molto emozionata e incapace di scrivere
delle frasi di senso compiuto. “What If”
è nata come sfogo adolescenziale e è poi
cresciuta assieme a me, diventando molto altro: adesso è un
progetto finito e del quale sono molto orgogliosa. Per me è
molto difficile portare a termine quello che inizio, ma se in questo
caso ce l’ho fatta è anche e soprattutto merito
vostro, che l’avete ricordata (5), seguita (39) recensita(+/-
140), inserita nelle storie preferite (35) e soprattutto e letta e
riletta. Avete fatto voi “What If”, e vi ringrazio
profondamente per averla resa quello che è. Vi abbraccio
tutti, Isabella.
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