Alessia è forte.
Alessia è la persona più forte del mondo.
Alessia si sente
forte, e al diavolo quello che dicono tutti, al diavolo
i professori che non la guardano, i compagni che bisbigliano, i parenti che la
evitano.
Lei ce l’ha fatta. Mette le proprie mani sulle spalle,
incantata, sentendo la pelle tesa e le ossa sporgenti. Scende fino al petto, le costole visibili e definite. Le dita pallide e
mortalmente sottili la sfiorano, regalandole un brivido.
E’ lì, eccolo. Lo vede. La lancetta della bilancia è
perfettamente a metà tra i numeri 4 e 2.
Sta bene, è forte.
Ma non è abbastanza. Non è mai
abbastanza.
E’ troppo poco. E’ sempre troppo poco.
La gente non capisce, non può.
I loro cervelli sono confusi e annebbiati, e non se ne accorgono, maledizione.
Alessia scenderà, scenderà ancora,
ed ancora, e ancora, diventerà forte,
forte, forte.
Dalla cucina sente il ronzio di qualcosa scaldato al microonde.
Può quasi immaginare il profumo del cibo attraversare la
porta del bagno e arrivarle alle narici. Ma non c’è
alcun profumo, e quel cibo fa male. Il pensiero di quel cibo, il profumo di quel cibo.
Le fa male.
Le fa male allo stomaco, e in quei momenti chiude gli occhi
e le prende un senso di vertigine.
Ma è forte, sta bene.
Quella sera non mangerà, ovvio. Né
quella dopo. Né quella dopo ancora.
Poi forse mangerà qualcosa.
Qualcosa che impedisca al proprio cervello
di scoppiare. Il minimo indispensabile.
Il cibo la rende
sporca, pesante, ingombrante e grassa.
Alessia prende troppo spazio. Non merita tanto spazio.
Così, guardando la lancetta che punta su 42, è felice.
Ma non basta. Alessia è forte, così
forte che scenderà, scenderà ancora, e diventerà
ancora più forte.
Le mani ossute scendono, incontrando la
pancia quasi incavata, toccano i fianchi spigolosi e le gambe sottili.
Perché nessuno la vede? La
guardano, ma non la vedono. Lei è
ingombrante, è grassa, è di troppo. Poco importa che le sue ossa sporgano,
poco importa che i suoi occhi sembrino più grandi, in confronto al viso ossuto.
Poco importa che le sue gambe siano larghe quanto le braccia. Poco importa che
il ginocchio abbia più spessore della gamba.
Lei è ingombrante. Per i suoi, che litigano e non la vedono,
non la vedono mai, anche se parlano di lei. Parlano
sempre di lei, e litigano. Per quei cazzo di
psicoterapeuti, che sanno già tutto della sua fottuta vita, ma vogliono farsela
raccontare, e poi spillano soldi come farebbero con una birra.
Lei sta sempre zitta quando li deve
incontrare.
Per i professori, che non sanno come comportarsi.
Lei porta con sé la tensione e il disagio, e lei è sempre di troppo. I suoi non
litigherebbero. I professori si calmerebbero. Quegli strizzacervelli non
fregherebbero più soldi ai suoi.
Non è bulimica, no. Il cibo le fa
male. La fa stare male.
Ne prende un pezzettino, e poi non si ferma.
Un boccone, e finisce per mangiare tutto, tutto, tutto.
Ma Alessia
è forte. Non mangerà quella sera, non mangerà la
prossima, né quella dopo.
Arriverà a 41, e poi a 40, e poi a 30 e poi a 10, e poi i
suoi non litigheranno più e gli psicologi non le faranno tutte quelle domande e
i professori le sorrideranno e il cibo non le farà male, male da morirne.
Alessia non capisce. Si sente male, ma non ha mangiato. Certo che non ha mangiato.
La sensazione allo stomaco la prende, la
prende dolorosamente.
Crede di star per svenire, ma rimane tranquilla. Non è la
prima volta, e lei è forte.
Alessia non sa che si chiama fame.