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Note di inizio fan fiction (che fareste senza?):
Nota importante numero uno,
trovo questo azzurrino del titolo delizioso. Del resto ho passato
mezz’ora a decidere se questo fosse un verde o un azzurro, complice l’amico
portatile che non mi permette di avere una visione dei colori umana, se non lo
trovassi minimo adorabile credo che prenderei in seria considerazione l’idea di
una strage.
Nota importante numero due:
stranamente per il titolo della storia mi sono ispirata ad un film. In
questo caso il film in questione è “Non è un’altra stupida commedia americana”.
Non chiedetemi cosa ha a che fare il titolo originale con questa fic, non ne ho
idea. Quando trovo i titoli delle mie storie credo di essere invasa da uno
spirito. Probabilmente da quello di Pikachu vista l’indubbia intelligenza degli
stessi.
Nota importante numero tre,
in teoria avrei voluto dedicare questa storia a qualcuno a caso, ma sarebbe
stato come regalare un profumo, avrebbe lanciato un messaggio sbagliato, cioè
dedico una storia che per contratto sono costretta a definire banale almeno 4
volte a capitolo a una persona banale così come se regalo un profumo sembra che
stia dicendo che la persona in questione puzza. E non è così. Però apprezzO il
pensiero lo stesso. Quando mi ci metto sono anche carina.
Nota importante numero quattro,
questa storia nasce come tentativo di scrivere qualcosa di leggero. Non è
proprio roba per me, ma mi auguro che il risultato sua buono. Sarà strano e
affascinante per una volta scrivere una storia per la quale non devo temere
eventuali censure viste e considerate le tematiche che adoro.
Nota importante numero cinque,
non c’entra niente con la storia, ma se qualcuno trovasse un sosia di Vincent
Valentine:
(questo qui)
può spedirmelo? Vivo
possibilmente.
And now…
Everybody needs somestory to READ!!
Ah, sì, dimenticavo: Harry
Potter e i suoi personaggi non mi appartengono (se non Sirius che mi
appartiene dal punto di vista biblico). Altrimenti a quest’ora me ne stavo in un
castello in Scozia a sorseggiare Daiquiri, non davanti a una tastiera a dire
idiozie!
SOLO
UN’ALTRA BANALE DICHIARAZIONE D’AMORE
Prologo – Una storia semplice
Questa è una storia semplice.
Di quelle che a volerne fare il punto si rischia la pazzia.
Vuoi per il naturale riserbo unito in un denso amalgama al
più cieco terrore che accompagna lo scoprire d’improvviso che, volenti o
nolenti, si è cresciuti e che tutt’ad un tratto l’amicizia non è più l’unica
cosa di cui si ha bisogno per sentirsi completi, che si vuole qualcosa di più; e
ci si arrovella il cervello per mesi solo nel vano tentativo di capire cosa sia
esattamente che si cerca, anche se non si è mai stati tipi particolarmente
propensi alla riflessione, finché un giorno non ci si sveglia come da un lungo
sogno con la mente sgombra e le idee chiare.
E vorresti solo sprofondare la
testa nel cuscino del divano, e magari cercare di dormire un po’, ma ti balza
alla mente il pensiero che sul morbido velluto scarlatto sentirai
immancabilmente il suo odore, perché quello è il suo posto preferito.
Vuoi per il senso di straniamento che si prova nel momento in
cui un carattere da sempre forte, per auto-imposizione più che per effettiva
natura, si ritrova a scoprirsi per quello che è, terribilmente vulnerabile;
quando ci si ritrova alla mercè di un’emozione che tutti prima o poi provano, ma
che nessuno riesce davvero a comprendere perché nulla ha a che vedere con la
ragione. Ad un certo punto si desidererebbe addirittura affrontare il problema
in maniera analitica, finché non ci si ricorda che si è sempre rifuggito il
rigore e la regola come si farebbe davanti a una Manticora.
E ti ricordi che è un’altra la
mente riflessiva del gruppo.
C’è poi lo sconforto che prende automaticamente il
sopravvento nel momento in cui ci si rende conto che anche se non si ha la più
pallida idea di cosa stia accadendo, si sa perfettamente fin dall’inizio che
questo sentimento cambierà la vita in maniera radicale e trasformerà
in persone che prima si sarebbe preso a pugni per il solo fatto che esistevano:
e tutto ciò di cui si ha voglia è gridare dallo sconforto oppure, in via
alternativa ma efficace, buttarsi di testa dalla torre di Astronomia.
Ed è talmente tanto che non
riesci a farti una buona dormita che prenderesti in seria considerazione l’idea
di farlo davvero, adesso, e lo troveresti anche divertente se non fosse per il
fatto che lui è proprio lì a seguire una lezione. Sarebbe piuttosto
imbarazzante.
O forse a rendere tutto più difficile è solo l’imbarazzo che
ancora imporpora le gote come la prima volta in cui ci si è resi conto che non è
normale innamorarsi di uno dei propri migliori amici, uno dei fedeli compagni di
scorribande e di dormitorio; però è così è basta e non ci si può fare comunque
niente, tranne mantenere il segreto con gli altri come fino a quel momento lo si
è tenuto a se stessi.
E ci si aggrappa a qualunque cosa per cercare il contatto
casuale.
Se proprio non si può avere altro…
E ripensi a tutte le volte in
cui ti sei inutilmente umiliato o coperto di ridicolo per un tocco fugace o un
sorriso gentile: i giorni passati a sospiragli alle spalle e a mandargli
messaggi d’amore mentali nella convinzione che in preda a chissà quale
provvidenziale intuizione lui non solo si sarebbe reso conto di tutto, ma
addirittura avrebbe ricambiato i tuoi sentimenti e vi sareste dati un bacio
ricolmo di passione nel bel mezzo della Sala Grande. Le notti passate a
rigirarti nel letto in preda a incubi fasulli nella speranza che Remus, che
aveva il sonno leggero, si sarebbe svegliato e ti avrebbe consolato. Una volta
sola si è alzato e sei finito legato e imbavagliato al letto, ma non in maniera
piacevole.
Quando hai passato una lezione
a chiedergli in prestito di tutto approfittando dell’occasione per sfiorargli la
mano, facendoti scoprire dall’insegnante proprio nel momento in cui ti stavi
facendo prestare il testo di Erbologia. Peccato foste a Trasfigurazione.
Quando l’hai gettato nel lago
aspettandoti che perlomeno si togliesse i vestiti per farli seccare al sole, di
modo tale che potessi allungare un occhio in maniera quasi del tutto innocente,
restando poi di stucco quando, con un rapido tocco di bacchetta, si è asciugato
sul posto. E ancora ti brucia il ricordo di quel pratico “Beh, che c’è? Siamo
maghi in fondo.” di replica di fronte al tuo sguardo incredulo.
Quando nella stamberga
Strillante approfittavi della sua incoscienza per cercare la sua guancia in una
tiepida carezza, e sotto lo sguardo incredulo e perplesso dei tuoi amici che
avevano assistito alla scena inventavi scuse improbabili come “Stavo scacciando
un insetto”, oppure “E’ un antico massaggio tramandato dalla mia famiglia contro
il dolore”, ringraziando il cielo che James e Peter in certe cose fossero tanto
ingenui.
Una volta gli hai anche aizzato
contro un gruppo di Serpeverde al solo scopo di farlo scoppiare in lacrime e
farlo correre piangente tra le tue braccia virili. Poi ti sei ricordato che
Remus non avrebbe mai fatto niente del genere nemmeno sotto Imperio, nel momento
in cui l’ultimo di quegli incapaci ti è praticamente svenuto ai piedi sotto
l’effetto di un Incantesimo di Pietrificazione d’esecuzione magistrale.
A volte hai persino sospettato
che il suo fantomatico sesto senso da licantropo lo mettesse in guardia contro
le tue sleali manovre d’attacco e agisse istintivamente di conseguenza. E nei
momenti d’ottimismo pensi che questo sia davvero amore perché per nessuna
ragazza hai mai sentito il bisogno di fare simili sciocchezze.
Finché neanche questo, prima o poi, basta più.
“Allontanati dal camino, Felpato, hai tutta la faccia rossa.”
L’Animagus osservò con la coda dell’occhio l’amico, che
proprio in quel momento faceva il suo ingresso in Sala Comune, silenzioso come
sempre, le labbra piegate in un sorriso sghembo, e dopo un primo istante di
stupore (come ho fatto a non sentire neanche la porta che si apriva?)
abbozzò un cenno di saluto incerto col mento. Era il modo migliore di celare
quanto più possibile il volto allo sguardo dell’altro senza risultare sospetto:
non c’era davvero bisogno che sapesse che ormai bastava che si ritrovassero
improvvisamente soli in una stanza per farlo arrossire come una ragazzina del
primo anno.
“Ho freddo.”, grugnì come se questo spiegasse tutto, dalla
sua presenza davanti a un camino acceso a inizio settembre al significato della
vita e dell’universo, e si abbracciò le ginocchia in un gesto di conforto: fu
con una punta di fastidio che si accorse che la voce gli era uscita molto più
minacciosa di quanto non intendesse.
Per Godric e il suo toupé, sembrava sua madre.
Remus parve non farci caso. Del resto sua madre non l’aveva
mai conosciuta, fortunatamente, e poi era troppo impegnato a trascinarsi in
direzione dei dormitori per far caso al suo tono di voce antipatico o a certi
piccoli atteggiamenti sospetti. Notò il respiro lievemente affaticato, il modo
in cui strascicava il passo, e si ritrovò a lanciare un’occhiata perplessa al
sottile spicchio bianco appeso alla volta del cielo (la luna piena è ancora
lontana) prima di accorgersi del modo in cui curvava la schiena sotto il
peso di una grossa borsa dall’aria pesante che teneva a tracolla.
Aggrottò le sopracciglia, infastidito.
Ora si spiegava come mai per andare a lezione di astronomia
si fosse fatto prestare da James il mantello dell’Invisibilità. Prima di venire
lì doveva essere passato per la biblioteca e aveva fatto il pieno di libri che
proprio non potevano aspettare la mattina dopo per essere presi (come se a
scuola non li caricassero a sufficienza di pagine da leggere): a dispetto della
stanchezza che gli cerchiava gli occhi di scuro e gli impallidiva il viso aveva
dipinta sul volto quell’aria eccitata che gli illuminava lo sguardo solo quando
si ritrovava a contatto con quella robaccia. Represse per un pelo un gemito di
frustrazione. Stava cominciando anche a diventare geloso dei libri, la
situazione stava cominciando a farsi ridicola, oltre che preoccupante. Erano
solo stupidi oggetti inanimati.
A parte quello di Cura delle Creature magiche, che mordeva.
Forse sarebbe stato meglio confessare all’altro i propri
sentimenti, farsi mandare a quel paese e farla finita lì, almeno la si sarebbe
piantata con le ridicolaggini. Il licantropo era già arrivato alle scale che
conducevano ai dormitori quando, in preda a un’improvvisa epifania, si voltò
nella sua direzione.
“Vuoi che t’aiuti?”, domandò, balzando in piedi e tendendo
una mano in direzione della pesante borsa: lo sguardo sorpreso, quasi
disgustato, dell’altro lo fossilizzò sul posto.
Aveva detto qualcosa di sbagliato?
Si era tradito?
“Ti ringrazio, Sirius, ma non sono una ragazza.”, fu la
replica gentile ma decisa mentre quelle labbra su cui si fissava il suo sguardo
(no, decisamente non è una ragazza) si tendevano in un sorriso di
circostanza. Sembrava a disagio, quasi che l’Animagus con il suo gesto gentile
stesse tentando di scalfirne l’orgoglio. Aveva persino abbandonato i nomignoli.
“Posso farcela da solo.”, aggiunse notando lo sguardo tutt’altro che amichevole
stampato sul volto dell’altro. Si strinse nelle spalle in segno di scuse, o più
probabilmente solo per bilanciare il peso, gli voltò la schiena e cominciò a
salire la scalinata a chiocciola. La prossima volta, decise Sirius sedendosi di
nuovo a fissare il fuoco, l’avrebbe morso a una gamba.
Come gesto sarebbe risultato molto più gradito.
A entrambi.
Col senno di poi si rendeva conto di essere stato davvero
molto sciocco ad aver fatto quella proposta all’amico: era chiaro che nessun
uomo, specie una persona orgogliosa come Remus, avrebbe mai accettato di farsi
portare la borsa, un gesto di galanteria che Sirius in genere riservava alle
ragazze del primo anno per darsi un po’ di arie da cavaliere col gentil sesso
(quello che ancora non lo conosceva di fama). Dall’altro lato però era sollevato
di averlo fatto, perché se quel gelo era la reazione a una semplice offerta
d’aiuto, solo Merlino sapeva come avrebbe mai potuto reagire a una ipotetica
dichiarazione d’amore (anche quelle in genere riservate alle ragazze): minimo
evirandolo di modo tale che non procreasse altre persone stupide come lui.
“… Ma non vieni a letto? E’ tardi.”
Proprio la domanda che sperava non gli sarebbe venuta in
mente.
In altri momenti (e in altri frangenti) quella frase avrebbe
fatto la sua gioia sempiterna, ma la voce che pronunciava quelle parole con quel
tono incerto ebbe il potere di fargli salire il panico ai massimi livelli. Era
come se sentisse sulla schiena lo sguardo inquisitorio dell’altro che lo
punzecchiava. Bel momento che aveva scelto Remus per diventare curioso.
Del resto non era che gli si potesse dargli tutti i torti.
Tanto per cominciare l’ultima volta che era andato a letto
tardi da solo, al secondo anno, era finita con una delle torri del castello
devastata e un’intera classe di Serpeverde del settimo anno in infermeria a un
paio di settimane dai M.A.G.O., fatto che era costato a lui 200 punti e ai
Grifondoro la Coppa delle Case. E poi doveva ammettere che era un avvenimento
più unico che raro il fatto di trovare lì, ben desto, un ragazzo aveva fatto del
concetto “pisolino” una vera e propria filosofia di vita; aborriva qualsiasi cosa si mettesse di mezzo tra lui e un buon sonno ristoratore di almeno dieci
ore.
Ci sto mettendo troppo.
Si insospettirà. Meglio tirar
fuori una scusa a caso.
“Ramoso russa.”, bofonchiò senza riflettere, per poi lottare
contro l’impellente bisogno di sbattere la testa al muro dandosi dell’idiota
come un elfo domestico che aveva, seppur involontariamente, insultato un membro
della famiglia che serviva.
Si voltò verso Remus. Come immaginava, lo stava squadrando da
capo a piedi con l’aria più incredula della terra.
“Capisco…”, replicò, ma il suo tono di voce diceva
tutt’altro.
Una reazione più che comprensibile: in sei anni di onorata
convivenza il russare inumano di James Potter non aveva mai ostacolato il suo
sonno, nemmeno quando qualcuno dei suoi compagni di stanza dimenticava di
apportare intorno al letto dell’amico opportuni Incantesimi Imperturbabili per
silenziare l’infernale rumore. Avvertì una strana tensione all’altezza dello
stomaco, come se le interiora avessero scelto proprio quel momento per giocare a
rimpiattino.
Remus aspettava una risposta sensata.
Lui non ne aveva da dare. Tanto valeva dire la verità, giunti
a quel punto.
Prese un profondo respiro e cercò di non assumere un’aria
troppo indifesa e disperata prima di prendere la parola. “Non riesco a
dormire…”, ammise l’Animagus passandosi una mano tra i capelli per mascherare il
disagio. “Ho dei pensieri per la testa… Nulla di esplosivo.”, aggiunse con aria
vaga, sperando che all’altro bastasse quella spiegazione.
Non era necessario dire proprio tutto.
Il volto del licantropo si distese in un sorriso complice, lo
sguardo rivolto verso un punto indefinito ai piedi dell’altro, ma Sirius non osò
sospirare di sollievo né fare altro fino a che l’altro non gli diede nuovamente
le spalle. Sembrava essersela cavata anche quella volta. “Va bene, mi basta…“,
mormorò divertito, prorompendo in una risatina appena prima di scomparire dietro
l’angolo.
“Allora ti lascio scrivere in pace la tua lettera d’amore.”
Sirius, un volta rimasto solo, impiegò qualche istante a
codificare quelle parole.
… La mia “cosa”?
Lanciò un’occhiata che definire perplessa sarebbe stato un
pallido eufemismo ai suoi piedi, in direzione del punto fissato pocanzi
dall’amico, in un gesto quasi inconsapevole. Non vide altro che pietre sporche,
e le pergamene, alcune accartocciate e altre come nuove, che aveva trovato al
suo arrivo: probabilmente lasciate da quello studente del primo anno che aveva
“invitato gentilmente” ad andare a dormire per poter restare in pace coi propri
pensieri. Gli elfi domestici non avevano avuto il tempo di toglierle e lui non
aveva avuto nessuna intenzione di fare il lavoro sporco al posto loro, così
erano rimaste lì. Ma che aveva a che vedere con…?
Improvvisamente nel suo cervello fece posto, assieme ad
un’improvvisa consapevolezza, l’indignazione, e si ritrovò a storcere le labbra
in una smorfia disgustata. Non poteva essere. Remus aveva creduto che l’aria di
segretezza fosse dovuta solo a una lettera d’amore!
Non aveva avuto pietà del suo imbarazzo e dello
sconvolgimento interiore che gli attanagliava le viscere: difficile che potesse
farlo, a quanto ne sapeva non possedeva ancora facoltà di Legilimens. Per
fortuna, aggiunse mentalmente. Aveva solo deciso di defilarsi il più
signorilmente possibile per non scoppiare a ridergli in faccia al pensiero di
Sirius Black il quale, protetto dal favore delle tenebre, si dilettava
segretamente a comporre testi romantici. Era inorridito, a dir poco: possibile
che Remus, che lo conosceva da praticamente una vita, lo ritenesse una persona
in grado di fare una cosa idiota come Scrivere una lettera d’amore per
esprimere ciò che provo senza l’imbarazzo, da parte di entrambi, di dover
affrontare la cosa di persona?
… Forse Remus non aveva tutti i torti, in fondo.
Fine Prologo
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