MIDNIGHT IN HOGSMEADE
Autore: Vavvina
Titolo: Midnight
in Hogsmeade
Genere: Sentimentale,
Romantico, Angst
Avvertimenti: Missing
moments, Wath if?
Personaggi: Rowena
Ravenclaw, Salazar Slytherin, Luna Lovegood, Neville Paciock, Rose
Weasley
Betareader: Daphne
Kerouak (tahk you, dear!)
Introduzione: La
statua della Strega Orba era sempre lì, nel suo angolo buio,
silenziosa osservatrice di milioni di eventi da milioni di anni.
Sfiorandola appena,
Rose la aggirò e, in un secondo, sparì alle sue
spalle.
Numero di parole:
4.951, titolo escluso.
MIDNIGHT IN HOGSMEADE
Hogwarts,
995
Era notte, e il
castello giaceva addormentato come i suoi abitanti, cullato soltanto
dal dolce silenzio del buio.
Eppure, come quasi
tutte le notti da molto tempo a quella parte, Rowena non riusciva a
dormire. Attendeva con trepidazione che la Magiclessidra sul comodino
indicasse l’ora esatta per alzarsi, per poter finalmente
uscire.
La luce della luna
illuminava a giorno la sua camera, quando la donna decise di
abbandonare il letto per infilare le morbide pantofole ai piedi gelati.
Indossò la
vestaglia di seta blu che era appesa alla spalliera, la
annodò sul fianco con un morbido fiocco e poi, dopo aver
acceso la candela che teneva sempre accanto al letto, uscì
nel freddo corridoio di pietra.
Le sue gambe la
condussero in automatico al terzo piano.
La statua della Strega
Orba era sempre lì, nell’angolo, proprio
dove la salutava ogni mattina all’alba, quando rientrava
silenziosamente tentando di non svegliare Helga, che dormiva
lì accanto ed aveva il sonno molto leggero.
Sfiorandola appena,
Rowena aggirò la statua e raggiunse l’apertura che
nascondeva per scivolarci dentro, ritrovandosi in un passaggio angusto
e buio.
L’odore di
muffa impregnava l’aria, e il freddo era gelido, penetrante.
Rabbrividendo,
si strinse nella vestaglia decisamente troppo leggera, alzando la
candela all’altezza del viso.
In realtà,
quella era qualcosa di più di una semplice candela.
Era un regalo. Un
regalo di sua sorella, perciò la custodiva
gelosamente, protetta da un incantesimo affinché non si
consumasse per l’utilizzo costante.
Un Lumos probabilmente
sarebbe stato più efficace, giusto per vedere oltre i suoi
piedi, tuttavia per quell’occasione era giusto
così, era giusto che fosse la candela di sua sorella ad
illuminarle il cammino.
Ci mise dieci minuti
ad arrivare in una grande stanza, piena di armadi a muro e scatoloni
riempiti di qualsiasi cosa. Era il magazzino di un nuovo locale, una
sorta di emporio di dolci che avrebbe aperto di lì a poco.
Rowena
l’aveva scoperto per caso, mesi addietro. Era notte, e a
causa dei molti pensieri che affollavano la sua testa non riusciva a
dormire, così si era messa a passeggiare per i corridoi del
castello. Al terzo piano, poi, si era imbattuta nella statua della
Strega Orba, che non aveva mai notato prima.
Il suo senso estetico
la portò a domandarsi chi mai avesse potuto sistemare
lì un’oscenità tale.
Tuttavia, aggirandola
poté notare che in realtà la Strega non aveva
schiena, ma che al so posto partiva un buio cunicolo. Incuriosita, non
aveva potuto fare a meno di imboccarlo per vedere fin dove arrivava.
In quella che era una
notte senza luna, non aveva potuto capire dove si trovava,
così il mattino seguente si era recata al villaggio di
Hogsmeade, nei pressi del castello, e, approssimativamente, era
riuscita ad individuare il luogo, associandolo alla cantina di un
edificio in fase di restauro, appena acquistato da una donna che aveva
intenzione di aprire un emporio per permettere agli studenti della
scuola, durante le rare uscite, di accompagnare le loro passeggiate con
qualche dolcetto.
La sera in cui
scoprì il passaggio fu la notte in cui poté
incontrarla di nuovo, incontrarla e parlarci, confidarsi con lei,
sentire la sua presenza. Da allora quello era diventato il momento
più importante della giornata, quello fondamentale.
Di nuovo, quella notte
era lì.
Come
d’abitudine, prese da uno degli armadi una calda coperta
scozzese di lana ruvida, che aveva portato direttamente dal castello, e
ci si avvolse dentro, proprio mentre il campanile della chiesa del
villaggio batteva i dodici rintocchi della mezzanotte.
Allora, avvolta da un
alone perlaceo e luminoso, lei apparve, e un dolce sorriso
spuntò sulle labbra di Rowena, fino a raggiungere i suoi
occhi scuri.
Hogwarts,
1997
Il respiro tranquillo
delle sue compagne di stanza cullava i pensieri di Luna, senza che
tuttavia la giovane Corvonero riuscisse ad addormentarsi.
Erano molte, ormai, le
notti che passava pressoché insonni. La routine era sempre
la stessa: dopo cena, si ritirava presto nel suo dormitorio,
infilandosi nel letto e fingendo di dormire man mano che le sue
compagne rientravano.
Intorno alle undici,
generalmente, un unico respiro pesante e regolare aleggiava nella
stanza.
Quella notte non fece
eccezione.
La Magisveglia sul suo
comodino, rosa con delle decorazioni simili a rapanelli arancioni, dono
di suo padre, segnava le undici e mezza: era giunto il momento,
finalmente.
Silenziosamente, Luna
sgusciò fuori dal letto. Nonostante la brezza che filtrava
dalla finestra socchiusa, non si preoccupò di indossare una
vestaglia, né tantomeno le pantofole, che erano
misteriosamente scomparse il secondo giorno di scuola. Prima di
richiudersi la porta del dormitorio alle spalle, l’unica cosa
che afferrò fu la sua bacchetta di legno di noce,
inseparabile compagna.
Scalza e con indosso
soltanto un leggero pigiama azzurro pallido, che peraltro le lasciava
scoperte le caviglie, scese velocemente le scale della Torre di
Corvonero, poi ancora giù, fino a raggiungere il terzo piano
e a svoltare in un freddo corridoio di pietra.
Con un sorriso,
individuò la statua della Strega Orba, esattamente dove si
trovava la notte precedente, e tutte quelle addietro.
Sfiorandola appena, la
salutò sottovoce: - Buonasera, signora. Con il vostro
permesso, io passerei. Dissendium!
Senza attendere
risposta, ma senza mai smettere di sorridere, Luna aggirò la
statua e si infilò nello stretto passaggio che si era appena
aperto sulla sua gobba, buio e umido.
Rabbrividendo a causa
dei numerosi spifferi e pensando con un po’ di nostalgia al
letto caldo che aveva appena lasciato, accese la sua bacchetta con un
Lumos e si accinse a percorrere l’angusto corridoio,
respirando l’odore di muffa e di umido che permeava
l’aria, mentre i suoi piedi camminavano sulla pietra gelida.
Poco tempo dopo, si
trovava nella cantina di Mielandia, l’emporio di dolci di
Hogsmeade.
Trovandosi
completamente a proprio agio in quell’ambiente, con la
sicurezza di chi l’ha già fatto milioni di volte,
Luna tirò fuori da uno scatolone una vecchia coperta
scozzese e se la avvolse intorno, beandosi per un momento del contatto
con la lana ruvida, poi accese una candela che si trovava su un
mobiletto lì accanto e si accoccolò su uno
scatolone, attendendo paziente.
La mezzanotte non si
fece attendere.
Le campane della
chiesa del paese batterono dodici rintocchi, e in quel momento una
raffica di vento spense la candela, lasciando la stanza completamente
immersa nel buio di una notte senza luna.
Pochi secondi dopo, un
bagliore colpì gli occhi della ragazza, che sorrise
abbassando le palpebre, mentre una figura perlacea, avvolta da un
candido biancore, le appariva davanti.
- Ciao,
mamma…
Hogwarts,
995
Puntuale come ogni
notte, Salazar aprì gli occhi allo scattare di una serratura
poco distante dalla sua stanza.
Era molto tempo,
ormai, che verso le undici e mezza, quando il castello era
addormentato, una porta sul suo stesso corridoio si apriva e si
richiudeva, con una delicatezza che però non bastava ad
attutire del tutto il rumore.
L’unica cosa
possibile era che Rowena, ogni notte, lasciasse la sua stanza per farvi
ritorno soltanto all’alba.
Quella volta, Salazar
decise di scoprire cosa facesse.
Velocemente,
infilò la sua vestaglia verde petrolio, calzò le
pantofole e, afferrata la bacchetta, si affacciò sul
corridoio silenzioso.
Ci mise poco ad
individuare la figura longilinea della strega, avvolta nella sua
vestaglia frusciante, che si allontanava a passo rapido verso le scale.
Tenendosi a distanza,
Salazar la seguì, percorrendo la scalinata che portava al
terzo piano, sino a giungere in un angolo scuro di
quest’ultimo, laddove risiedeva una statua raffigurante una
Strega Orba che non riuscì a riconoscere. Chissà
da chi era stata posta lì: da lui, no di certo.
Mantenendosi
nell’ombra, osservò Rowena scivolare letteralmente
nella schiena della statua, per poi sparire alla vista.
Incuriosito, il mago
si guardo attorno per un momento, prima di avvicinarsi con cautela al
punto in cui la donna era scomparsa.
Con suo sommo stupore,
vide uno stretto passaggio che si allungava all’interno della
Strega Orba, buio e con un odore decisamente poco allettante.
L’indecisione
durò nulla più che un breve istante: avrebbe
scoperto cosa la strega nascondeva, a tutti i costi.
Reprimendo un brivido
di disgusto, si infilò a sua volta nel cunicolo.
Pochi secondi per
abituare i suoi occhi al buio, ed individuò una tremula luce
poco distante da lui. Non era un Lumos, di questo era certo, ma
sembrava più che altro la fiamma flebile di una candela:
perché mai Rowena non tirava fuori la sua bacchetta?
Rabbrividendo a causa
degli spifferi, la seguì comunque, cercando di fare il meno
rumore possibile per evitare di farsi scoprire.
Perché lo
stava facendo?
In realtà,
non lo sapeva nemmeno lui. In genere, non gli importava molto di
ciò che faceva la gente, era perlopiù
indifferente a ciò che accadeva attorno a lui.
Con Rowena,
però, non funzionava allo stesso modo. Non riusciva ad
ostentare indifferenza, non riusciva a fare a meno di interessarsi a
lei, a ciò che faceva, a ciò che pensava, a
ciò che nascondeva.
E no, questo non era
decisamente un bene, specialmente per lui, abituato a pensare solo ed
esclusivamente a se stesso.
Quasi senza che se ne
rendesse conto, il corridoio finì, e Rowena non
c’era più, per la seconda volta in una sola sera.
Con un po’
di sforzo, riuscì ad individuare lo sbocco di
quell’angusto passaggio.
Prudente, si
affacciò, e ciò che vide lo paralizzò
letteralmente, rendendolo incapace di fare qualsiasi cosa, tantomeno di
pensare.
Di fronte a lui,
c’erano due Rowena.
La donna che aveva
seguito sedeva ora in terra, avvolta in una coperta scozzese, con un
bellissimo sorriso ad illuminarle il volto.
Di fronte a lei,
c’era un’altra Rowena, forse più giovane.
Stessa
flessuosità di fisico, stesso portamento regale, stessi
occhi profondi, stessi capelli neri come il catrame, stesso incarnato
perlaceo, stesso sorriso ad abbellirle il volto.
L’unica,
sostanziale, differenza, era che la seconda Rowena sembrava non avere
consistenza, non avere fisicità, ed era avvolta da un alone
chiaro, luminoso.
Chi diavolo era?
Cosa diavolo stava
accadendo, proprio davanti ai suoi occhi?
Hogwarts,
1997
Quella notte, Neville
non riusciva proprio a prendere sonno.
Il suo rospo, Oscar,
era di nuovo scomparso, e Piton gli aveva rifilato per la milionesima
volta una T, dopo che aveva fatto esplodere il suo calderone,
accompagnata da quattro pergamene di tema sulla Bevanda della Pace.
Come se ciò
non bastasse, Ron russava piuttosto rumorosamente, Harry si agitava
mugugnando nel letto, Seamus blaterava cose senza senso e Dean, ancora
sveglio, leggeva un libro ad alta voce.
Dato che, a quanto
pareva, di dormire per il momento non se ne parlava, Neville decise che
poteva anche fare un giro per il castello, stando bene attento a non
farsi scoprire dal custode o dalla sua gatta.
Prendendo la bacchetta
e infilando le pantofole, il ragazzo abbandonò il
dormitorio, sgusciando silenziosamente oltre il ritratto della Signora
Grassa.
Gli piaceva, il
castello di notte.
Completamente
addormentato, era l’antitesi di come appariva di giorno. Il
silenzio e la pace regnavano sovrani ma, tendendo le orecchie, di tanto
in tanto si potevano udire le scale muoversi, un quadro russare e un
altro borbottare, il miagolio di Mrs Purr o il passo strascicato di
Gazza
Era bello passeggiare
nei corridoi deserti, da solo con la fredda pietra: gli sembrava di
essere un tutt’uno con il castello stesso, e questo lo faceva
sentire parte di qualcosa, come se quello fosse davvero il suo posto.
Quella notte,
però, accadde qualcosa di diverso.
Al terzo piano,
Neville notò un’ombra muoversi lungo il corridoio.
Appiattendosi contro
il muro per non farsi vedere, poté osservare Luna dirigersi
lenta verso un angolo buio.
Incuriosito, la
seguì e la osservò avvicinarsi ad una statua di
pietra, salutarla e poi sparire oltre le sue spalle.
In effetti,
rifletté, era una cosa molto da Luna, quella di mettersi a
parlare con le statue, ma sparire a quel modo no, non era normale.
Spinto da un qualcosa
di indefinito, si mosse nell’ombra fino a quella che
constatò essere una Strega Orba, decisamente brutta: i
fondatori di Hogwarts, in quel caso, non avevano avuto certo buon
gusto, bisognava ammetterlo.
Girandole attorno,
però, Neville fece appena in tempo a notare che la statua
conteneva al suo interno un passaggio stretto e buio, dal quale
proveniva un odore decisamente poco invitante.
Un attimo prima che la
gobba della Strega tornasse al suo posto, il ragazzo ci si
infilò dentro, ritrovandosi immerso
nell’oscurità.
Luna era a qualche
passo di distanza da lui, che avanzava tranquilla, come se
l’avesse fatto un milione di volte, la bacchetta a
illuminarle il percorso.
Era strana, quella
ragazza, decisamente.
Tuttavia, era un
essere strana che Neville trovava estremamente positivo.
Ad esempio, quella
situazione: camminava a piedi scalzi, come se niente fosse, lungo un
passaggio segreto che puzzava tremendamente di muffa e di chiuso, a
proteggerla dai numerosi spifferi soltanto un leggero pigiama azzurro,
che tra l’altro le stava decisamente corto.
Eppure,
quell’immagine non stonava affatto.
Per qualunque altra
persona, non sarebbe stato normale. Eppure, per Luna lo era.
Forse era questo, che
attirava così tanto Neville, che gli piaceva così
tanto di quella ragazza: il suo essere, in un qualche modo che solo a
lei riusciva, perfetta in qualsiasi situazione, a proprio agio in
qualsiasi contesto.
Lui si sentiva sempre
inadatto, fuori luogo. Luna, al contrario, sembrava sempre nel posto
giusto e con l’atteggiamento giusto.
In poco tempo, il
corridoio terminò, e Neville si ritrovò, quasi
senza accorgersene, in quello che aveva tutta l’aria di
essere il magazzino di un qualche negozio, probabilmente di Hogsmeade.
Tuttavia,
ciò che gli si presentò davanti gli
impedì di muovere un altro passo.
Luna era
lì, di fronte a lui, avvolta in una coperta di lana scozzese
dall’aria molto vissuta, seduta su uno scatolone.
Accanto a lei, in
piedi, c’era una donna.
Una donna molto bella,
con delle fattezze e dei tratti molto simili a quelli della sua
compagna di scuola.
I capelli erano gli
stessi, biondo cenere e disordinati, così come gli occhi,
grigi e sporgenti, di quelli che sembravano sapere tutto.
Tuttavia, la donna
sembrava avere qualcosa di strano, come un senso di
incorporeità, di mancata materialità, avvolta da
un tenue alone luminoso.
E, come se questo non
bastasse, Luna l’aveva appena salutata chiamandola
‘mamma’.
Da ciò che
sapeva lui, la madre della ragazza era morta quando lei aveva solo nove
anni… cosa accidenti stava capitando, dunque?
Hogwarts,
995
La routine, ormai, era
la stessa da un paio di settimane.
Rowena, nel cuore
della notte, si alzava e, con la compagnia della candela regalatale da
sua sorella, percorreva in silenzio i corridoio bui, raggiungendo la
statua della Strega Orba, per scivolarle dentro ed arrivare a Hogsmeade.
Salazar, non appena
sentiva la serratura della porta della camera della strega scattare,
lasciava la sua stanza e la seguiva, attento a non farsi scoprire, fino
a quello che aveva capito essere il magazzino di un emporio di dolci di
Hogsmeade di prossima apertura.
Lì,
osservava Rowena parlare con quella che doveva, per forza di cose,
essere una sua parente.
Le ascoltava parlare
di tutto, per un tempo che sembrava infinito.
In quel magazzino,
vedeva una donna ben diversa da quella che conosceva e con la quale
aveva a che fare tutti i giorni.
Raccontava a quella
sorta di spirito tutto ciò che le accadeva, le sue giornate
e le sue lezioni. Parlava di piccoli aneddoti, dei suoi studenti, dei
suoi colleghi.
Poi, dopo averla resa
partecipe del più e del meno, si apriva completamente a lei.
Esternava i suoi problemi, i suoi pensieri, le sue ansie e le sue
preoccupazioni, si metteva a nudo.
Era una Rowena
diversa, una Rowena fragile, non più la donna forte e sicura
di sé che Salazar era abituato a conoscere.
E gli piaceva.
Per Merlino, se gli
piaceva.
Faticava ad
ammetterlo, ma se aveva un cuore, seppellito sotto spessi strati di
indifferenza e superbia, quello stava lentamente iniziando a battere
per Rowena.
Per quella donna
così bella fuori per quanto lo era dentro, così
forte all’apparenza ma che nascondeva una
fragilità interiore che gli faceva un effetto strano, non
consono alla sua apparenza altezzosa ed glaciale.
Fu per questo, forse,
che quella notte Salazar decise di farsi vedere.
Perché era
convinto che parlare con uno spirito non era una cosa che le giovava.
Perché la vedeva, ogni giorno di più, chiudersi
in se stessa ed attendere con trepidazione il calare delle tenebre.
Perché, in
realtà, voleva essere lui quello con il quale Rowena potesse
parlare, quello al quale potesse appoggiarsi per non cadere.
- Rowena…
La strega, che stava
riponendo la coperta di lana nell’armadio,
sobbalzò sorpresa, girandosi di scatto.
- Salazar, per
Merlino! Mi avete spaventata! Cosa ci fate qui?
- Potrei fare a voi la
stessa domanda, che ne dite? Chi è quella donna, Rowena?
Perché venite qui ogni notte?
La strega lo
guardò a lungo, prima di rispondere. Quando lo fece, il suo
sguardo era rivolto altrove, come fisso su qualcosa che non si trovava
in quella stanza.
- È una
storia piuttosto lunga…
- Non ho fretta.
Permettetemi di offrirvi una tisana alle erbe nel mio studio, per
riscaldarvi.
Rowena
annuì appena, richiudendo l’armadio e lasciando
che Salazar la conducesse indietro lungo il passaggio segreto, fino a
tornare di nuovo al castello e a raggiungere il suo studio, nei
sotterranei umidi.
Qui, il mago accese il
camino con un colpo di bacchetta e fece accomodare la strega su una
morbida poltrona di velluto verde, offrendole una calda coperta
affinché potesse riscaldare il suo esile corpo gelato.
Ad un suo schiocco di
dita, un Elfo Domestico apparve con un lieve pop, per scomparire appena
ebbe udito l’ordine del suo padrone.
Quando fu di ritorno,
portava un vassoio con due tazze fumanti e una ciotola più
piccola contenente zucchero, che poggiò su di un tavolinetto
basso.
Una volta soli,
Salazar si sedette di fronte a Rowena, le porse la sua tisana e poi
attese, in silenzio, scrutandola di tanto in tanto.
Per un po’
di tempo, l’unico rumore che si udì nello studio
fu il crepitare delle fiamme nel caminetto, mentre fuori dalla finestra
iniziava lentamente ad albeggiare.
Poi, la donna
iniziò a parlare, lentamente, con un’espressione
distante dipinta sul volto stanco e provato.
- Ho scoperto quel
passaggio mesi fa, per caso. Non riuscivo a dormire, quella notte,
così ho provato a passeggiare per il castello, nella
speranza di prendere sonno. Invece, mi sono imbattuta in
quell’orribile statua. È stata una coincidenza, se
ho trovato quel freddo cunicolo. Non so cosa esattamente mi abbia
spinta a percorrerlo, ma è stato come se le mie gambe
avessero avuto una propria coscienza. Sono arrivata in quel magazzino,
che poi ho scoperto essere del nuovo emporio di dolci del villaggio.
Lì, quando le campane della chiesa hanno suonato la
mezzanotte…
Rowena rimase in
silenzio.
Il suo sguardo era
perso nel nulla, ben distante da lì, e la tisana giaceva,
ormai fredda, nella tazza che teneva in mano.
- Chi era, quella
donna? – la spronò Salazar, con una voce delicata
che stentò a riconoscere come propria.
- Caleigh Ravenclaw.
Mia sorella.
- Avete una sorella?
Non lo sapevo…
- Una sorella gemella.
Avevo, in realtà. Dieci anni fa, un incendio è
divampato nelle nostre proprietà, partendo dalle stalle: un
garzone, per sbaglio, ha fatto cadere una torcia accesa su un cumulo di
paglia accanto a lui. Siamo riusciti a salvarci tutti… tutti
tranne lei, che si trovava troppo vicina alle stalle per poter scampare
alle fiamme.
- Io… mi
dispiace, Rowena, non ne avevo idea.
Il silenzio scese di
nuovo su di loro.
Rowena aveva
l’espressione tesa, i tratti delicati del viso tirati, mentre
lottava con se stessa per impedire alle lacrime di scendere.
Salazar, dal canto
suo, osservava la donna che stava esercitando su di lui quello strano
effetto, ammirando la sua forza d’animo, nonostante la
fragilità.
- Parlatemi di lei, ve
ne prego.
Quella mattina
parlarono a lungo, Rowena e Salazar. Parlarono fino a che fu giorno
inoltrato, parlarono di tutto.
La strega si
sfogò, si liberò di molti pesi.
Il mago la
ascoltò, la confortò, con una goffaggine causata
dalla mancanza di abitudine a situazioni del genere, dalla
novità di ciò che sentiva dentro.
Prima che Rowena si
ritirasse nelle sue stanze, Salazar le disse ciò che pensava.
- Non andate, questa
notte. Non tornate più lì. Ve ne prego. Non vi fa
bene parlare con qualcuno che non c’è
più, che se n’è andato, che non
può più capire le questioni terrene.
- Io non
posso…
- Venite da me, se
volete. Io vi starò a sentire tutte le volte che vorrete, o
starò in silenzio con voi. Ma dovete staccarvi dallo spirito
di Caleigh, dovete dire addio a vostra sorella. Lei non è
più di questo mondo, non è parte della vostra
realtà, così come voi non lo siete della sua. Io
sarò parte della vostra realtà, se me lo
renderete possibile.
Rowena lo
guardò negli occhi, con serietà.
Si rendeva conto che
Salazar aveva ragione, che si stava aggrappando a qualcosa che non
l’avrebbe portata da nessuna parte, che aveva un disperato
quanto insano bisogno di sua sorella, della sua Cal.
- Io sarò
qui, stanotte, fino all’alba. Non andate a Hogsmeade, venite
da me.
Hogwarts,
1997
Anche quella notte,
Neville seguì Luna fino al magazzino di quello che aveva
capito essere Mielandia, l’emporio di dolci di Hogsmeade.
Da un paio di
settimane a quella parte, ormai, succedeva sempre la stessa cosa.
Neville attendeva
nelle vicinanze della strega orba, immerso
nell’oscurità, che Luna arrivasse, per poi
seguirla, in assoluto silenzio, fino a Hogsmeade.
Qui, la ragazza si
sedeva sempre sullo stesso scatolone, attendendo che sua madre, in
quella strana forma, arrivasse.
Neville, nascosto
dietro uno dei tanti mobili lì dentro, la guardava.
Aveva scoperto,
parlando con Harry, che Luna aveva visto sua madre morire, a causa di
un esperimento venuto male, nel quale aveva sbagliato le dosi di due
sostanze da unire tra loro. Aveva nove anni, quando successe.
Durante quelle notti,
sembrava che Luna ritrovasse il sorriso.
In realtà,
Luna sorrideva sempre.
Tuttavia, avendola
osservata molto in quegli ultimi giorni, Neville si era reso conto che
quella era una cosa che le veniva in automatico, come quasi un tic, un
sollevarsi degli angoli della bocca fatto sovrappensiero, senza
apparente motivo.
Di fronte a sua madre,
invece, Luna sorrideva con il cuore.
Ed era una cosa
bellissima da vedere, a parere di Neville, poiché era come
se ricoprisse la ragazza di luminosità.
Con sua madre, Luna
parlava di tutto.
Le raccontava come
erano andate le lezioni, le parlava di Harry, di Ron, di Hermione, di
Ginny, persino di lui.
Con
tranquillità, come se davvero non gliene importasse
più di tanto, le diceva degli scherzi crudeli che le sue
compagne le facevano, degli oggetti che man mano le sparivano.
La rendeva partecipe
dei progressi di suo padre nel campo della ricerca, delle sue nuove
scoperte.
Le faceva vedere gli
occhiali per individuare i Gorgosprizzi, il profumo per tenere lontani
i Nargilli.
Era felice, Luna.
In compagnia di quella
mamma che aveva perso troppo presto, Luna era felice.
Senza fare nulla di
particolare o di eccitante, semplicemente parlandole e godendo della
sua compagnia.
Tuttavia, Neville
percepiva che c’era qualcosa che non andava, in tutto
ciò, qualcosa di profondamente sbagliato.
Cosa?
Non era semplice da
definire. Luna aveva bisogno di qualcuno di reale con cui parlare, di
qualcuno che facesse parte del suo mondo e della sua realtà,
di qualcuno in carne ed ossa che la ascoltasse, che la proteggesse, che
la abbracciasse.
Era sbagliato, per
quanto potesse essere bello, aggrapparsi a qualcuno che non
c’era più, a qualcuno che non era più
parte di quel mondo, a qualcuno che, in realtà, non esisteva
più.
- Neville?
La voce leggera e
appena sorpresa di Luna lo riscosse dai suoi pensieri.
Perso
com’era nelle sue riflessioni, non si era reso conto che
ormai iniziava ad albeggiare e che Luna si stava accingendo a fare
ritorno al castello, cogliendolo in flagrante dietro al suo scatolone.
- Ecco, io…
- Cosa ci fai qui?
- Io…
potrei fare la stessa domanda a te, ecco. Perché vieni qui
tutte le notti? E come fa tua madre ad apparirti?
In quel frangente,
Luna parve per la prima volta sinceramente stupita.
- Come fai a saperlo,
Neville?
- Beh, io…
ti va una cioccolata calda?
Solo dopo aver
parlato, Neville si rese conto che probabilmente non era la frase
più intelligente da dire, in una situazione come quella,
tuttavia fu rincuorato quando Luna sorrise e annuì,
porgendogli la mano.
Assieme, si avviarono
di nuovo lungo il passaggio, scendendo poi nei sotterranei. Qui,
raggiunsero il dipinto con il cesto di frutta e Neville
solleticò la pera, scoprendo così
l’accesso alle cucine.
Come aveva fatto molte
altre volte, il ragazzo mise su una cioccolata calda per due, poi la
travasò in due tazze e ne porse una a Luna, accomodandosi
sull’alto sgabello accanto al bancone, di fronte a lei.
Fu Luna a parlare per
prima.
- Non so
perché mia madre mi appaia. Però lo fa tutte le
notti, nello stesso posto e alla stessa ora. Mi manca molto, sai?
È davvero bello poter parlare di nuovo con lei, vorrei che
potesse farlo anche mio padre.
- Immagino. Solo
che… Luna, tu credi che sia giusto? Voglio dire, tu parli
con una persona che non c’è più, e che
quindi non può capire la tua vita fino in fondo.
Luna ci
pensò.
Neville la
osservò concentrarsi, con l’aria trasognata di
sempre, trasportata in chissà quale mondo a lui sconosciuto.
- Forse hai ragione.
Ma lei è la mia mamma, lei può capirmi
più di chiunque altro, no? Non è così
che funziona?
Il ragazzo ci
pensò.
- A dire il vero, io
non ho molta esperienza in materia. Sono cresciuto con mia nonna, che
è un po’ particolare, ecco. Però
sì, credo che dovrebbe essere così. Ma non sono
sicuro che sia giusto. Insomma, tu ti stai aggrappando a qualcuno che
non può condividere davvero tutto con te.
Luna lo
guardò, poi disse una frase che per Neville fu come una
pugnalata, dritta al cuore. Perché una persona belle come
lei, così pura e dolce, così pulita, non poteva,
non doveva dire una frase così, per di più come
se fosse la cosa più normale del mondo.
- Ma non
c’è nessuno che voglia condividere davvero tutto
con me, solo lei.
La risposta gli
salì spontanea alle labbra, senza che lui potesse fare nulla
per impedirlo.
- Io voglio. Non
andare a Hogsmeade, domani notte. Non farlo, per favore. Io
sarò qui, a fare cioccolata calda per due tutte le notti, se
necessario… ma tu vieni da me. Parla come me, ridi, sorridi
come fai con lei, voglio essere io a condividere tutto con te. Ti
prego, io… pensaci, d’accordo?
Luna sorrise, un
sorriso di quelli fatti con il cuore.
- Va bene, Neville, ci
penserò.
Hogwarts,
995
Quella notte, Rowena
si recò di nuovo presso il magazzino di Hogsmeade.
Ma era diverso. Non
aveva con sé la candela, quella notte.
Perché
sarebbe stata l’ultima.
Quando lo spirito di
Caleigh apparve nel solito baluginio di luce, lei era
sull’uscio del passaggio segreto che l’avrebbe
ricondotta al castello.
- Rowena,
cosa…?
- Addio, Caleigh, ti
voglio bene…
Con le lacrime ad
offuscarle la vista, Rowena corse via, dando le spalle alla sorella,
dando le spalle ad un passato al quale non poteva più
aggrapparsi per andare avanti.
Rientrata nel
castello, sigillò il passaggio per Hogsmeade aggiungendo una
brutta gobba alla strega, permettendo la sua apertura solo con un
incantesimo.
Con il fiato corto e
le lacrime che ormai le inondavano gli occhi, scendendo poi sulle
guance arrossate, arrivò nei sotterranei, davanti allo
studio di Salazar, dal quale provenivano dei rumori.
Facendo un profondo
respiro, bussò ed entrò.
Hogwarts,
1997
Cara
mamma,
devo
dirti addio. Neville ha ragione, tu non ci sei più, e io non
posso tenerti legata a questa realtà, perché non
è giusto per nessuna delle due.
Però
non ti preoccupare, perché lui ha detto che vuole
condividere tutto con me al tuo posto, e che preparerà la
cioccolata calda per tutti e due tutte le notti.
Ti
saluterò papà, tu ogni tanto pensami,
perché io lo faccio sempre.
Ti
voglio bene,
Luna
Luna
ripiegò con cura il biglietto che aveva appena scritto,
stando attenta che l’inchiostro fosse asciutto.
Poi, di corsa,
raggiunse la cantina di Mielandia. Qui, sorridendo al nulla,
depositò il foglietto sullo scatolone sul quale era solita
sedersi, sopra alla coperta di lana scozzese.
Rivolgendo un ultimo
sguardo alla stanza, si incamminò di nuovo lungo il
passaggio segreto.
A mezzanotte precisa,
si trovava nei sotterranei, davanti al quadro con il cesto di frutta.
Solleticò
la pera ed entrò nelle cucine, lasciandosi avvolgere da un
dolce aroma di cacao.
Neville era
lì, con due tazze fumanti di cioccolata calda sul bancone.
Hogwarts,
2022
Le undici e mezza, per
Rose Weasley, quella notte sembravano non giungere mai.
Ingannando
l’attesa, si era portata avanti con i compiti di
Trasfigurazione e di Incantesimi, poi si era ritirata nel dormitorio,
fingendo di dormire al rientro delle sue compagne.
Finalmente, il momento
tanto atteso arrivò. Silenziosamente, la ragazza si avvolse
nella morbida coperta di pile regalatale da suo fratello il Natale
precedente e, una volta che ebbe calzato le pantofole e che si fu
assicurata che la bacchetta fosse con lei, lasciò il suo
letto ed uscì dalla Sala Comune.
Facendo il meno rumore
possibile, scese le scale della Torre di Corvonero e, mantenendosi nel
buio per non farsi scoprire dai Prefetti di ronda, raggiunse il terzo
piano.
La statua della Strega
Orba era sempre lì, nel suo angolo buio, silenziosa
osservatrice di milioni di eventi da milioni di anni.
Sfiorandola appena,
Rose la aggirò e, in un secondo, sparì alle sue
spalle.
***
VAVVINA'S
CORNER :)
Questa storia
è stata scritta per il contest 'Titoli per Tuttigusti+1'
indetto dal gruppo su Facebook HPeace&Love.
In primis, ho scelto questo titolo senza avere la minima idea di
cosa mi sarei inventata, semplicemente perché quel film
l’ho davvero
adorato. In realtà, come avrete notato, la mia storia non
c’entra poi molto.
È una
WhatIf?,
quindi per le parti riguardanti Rowena è tutto di mia
invenzione, così
come per quelle che riguardano Rose, mentre per la parte di Luna ho
immaginato un suo ipotetico sesto anno, niente Voldemort, niente
Carrow a pattugliare i corridoi, e simili.
Per quanto riguarda,
invece, il passaggio segreto nascosto nella gobba della Strega Orba, ho
lavorato molto di fantasia. Mi è piaciuta l’idea
di una Hogwarts che,
in quanto luogo magico, si sia creata un po’ da sola, per
magia
appunto, e che quindi nemmeno i fondatori ne conoscano tutti gli
angoli. Inoltre, è sempre di mia invenzione il fatto che,
inizialmente,
il passaggio fosse sempre aperto, e che sia stata Rowena, dopo la sua
esperienza, a sigillarlo con un incantesimo.
Per il resto... beh, spero che vi sia piaciuta, un commento
è sempre gradito!
Baci,
Vavvina ^^
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