In qualche modo, e mai più. di PetiteAlaska (/viewuser.php?uid=178398)
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Novembre 2011.
Capisci di essere sul
punto di piangere solo quando senti il naso che inizia a pizzicare.
Effe e Enne si erano da sempre sfiorati, senza mai essersi realmente
toccati.
I primi giorni Enne aveva iniziato ad ammirarla con i propri occhi,
aveva percorso con lo sguardo la linea del ventre piatto di lei, le
curve dei suoi piccoli e morbidi seni, aveva immaginato di sfiorarle
con i polpastrelli la pelle che collegava la sua gola al mento, infine
si sarebbe posato sulle sue labbra rosse e piene. Prima di andare a
dormire Enne pensava a quanto sarebbe stato bello sfregare la punta del
suo naso contro quello all’insù di Effe, pensava
alle sue morbide guance rosa, a quale sarebbe stata la sensazione
nell’appoggiarci la bocca e soffiarci sopra un bacio.
Gli occhi di Effe erano azzurri, se li guardavi da vicino riuscivi a
scorgere i serpentelli di differenti sfumature di blu che componevano
la perfetta circonferenza delle sue iridi. Attorno alla pupilla i
serpentelli si tingevano dapprima di un bel verde acceso per poi
diventare gialli, creando un anello dorato attorno alle sue pupille
nere e piccole. I suoi occhi erano un angolo di cielo rubato, le
pupille un'eclissi di sole che lasciando intravedere solo qualche
raggio celavano quale fosse la reale profondità della sua
anima.
Enne li aveva visti una sola volta da vicino, quando, preso un
po’ di coraggio, le si era avvicinato per farle uno
scherzetto e lei si era voltata sbattendo lentamente le palpebre e
guardandolo perplessa. Lui in quell’istante si era sentito
morire, così tirando le labbra da un lato
all’altro del volto e mostrando i denti bianchi e allineati
le aveva sorriso per la prima volta. Effe aveva sbattuto ancora una
volta le palpebre, e Enne si era sentito come accarezzato da quello
sguardo, poi lei aveva ricambiato il suo sorriso, e lui se ne era
innamorato.
Un giorno Enne la vide in lacrime, e pensò che entrambi
avrebbero dovuto nascere senza occhi, così lui non
l’avrebbe mai vista piangere e lei non avrebbe mai potuto
farlo.
Con il braccio le circondò le spalle.
“Va tutto bene, stai tranquilla, io ci sarò sempre
per te, sarò sempre lì al tuo fianco. Ti voglio
bene Effe.”
Sorrideva mentre lo diceva, e Dio solo sa a cosa stesse pensando
davvero.
Effe mormorò un “grazie” e si
asciugò le lacrime, cercando di nascondere tra i capelli le
guance rosse di imbarazzo.
Enne però aveva paura, così invece che stringerla
tra le sue braccia, proprio come avrebbe fatto ogni ragazzo normale, la
sfiorò appena, e si infilò le mani in tasca.
Perché Enne non era un ragazzo normale, e non lo sarebbe mai
stato, non per Effe.
Enne ed Effe trascorrevano le lezioni scambiandosi sorrisi e sguardi
veloci, e quando finivano in banco insieme rimanevano per tutta
l’ora nella stessa identica posizione: le braccia incrociate
al petto, le gambe stese sotto il banco, lo sguardo fisso verso la
lavagna e le spalle che si sfioravano, una contro l’altra.
Enne attraverso quel minimo contatto riusciva a percepire il respiro
veloce e frenetico di lei, come se Effe dovesse consumare
più aria possibile per non smettere per sempre di sospirare.
Nessuno dei due osava guardare l’altro in quei momenti, ma
entrambi sorridevano.
C’era una strana complicità tra loro,
e in qualche modo erano
felici.
Dicembre 2011.
Un giorno Enne se ne andò dalla vita di Effe.
Smise di farle gli scherzetti, smise di parlarle, di guardarla, di
sorriderle… e probabilmente smise anche di volerle bene.
“Sai, io quelle mattine quando arrivavo a scuola e ti vedevo
mi sentivo bene. Era bello sapere che appena avrei messo piede in
classe tu mi saresti comparso davanti sorridendomi e facendo una
battuta per vedermi ridere. Vorrei tornare a trascorrere quei giorni in
cui non avevo più paura di nulla quando c’eri tu,
quei giorni in cui in
qualche modo mi sentivo felice.” gli aveva
scritto una volta in un bigliettino Effe, con la calligrafia un
po’ tremante.
Enne le aveva risposto subito lanciandole il pezzo di carta, che dopo
un piccolo rimbalzo le si era appoggiato sulle gambe.
“Per me vale la stessa cosa, e vorrei tornare anche io a quei
giorni. Vedrai che andrà così, non ti
preoccupare.”
E Effe si era davvero fidata, aveva creduto veramente di poter di nuovo
trascorrere giorni simili a quelli passati.
Ma Enne non tornò mai più.
Effe era diventata solamente un fantasma che si aggirava per la classe,
avrebbe potuto attraversare il corpo di Enne senza che lui se ne
accorgesse.
Un giorno lo vide mentre abbracciava una ragazza.
In quel momento non provò alcun sentimento di gelosia, sentì solo il naso
che iniziava a pizzicarle e una gran voglia di
imprigionare Enne tra le sue braccia.
Di toccarlo per la prima volta.
Sì.
Per ucciderlo.
…
Effe era seduta sulle piastrelle fredde del bagno della scuola. Aveva
chiesto al professore il permesso di andare ai servizi e si era chiusa
a chiave nello stanzino del gabinetto.
Sentiva le guance secche e asciutte di lacrime che ormai non riusciva
più a versare.
Il naso e i polsi
rivolti verso il soffitto le pizzicavano leggermente.
Il suo ultimo pensiero fu Enne, si chiese se un giorno avrebbe
finalmente smesso di essere così vuoto e cattivo.
Poi Effe chiuse gli occhi e si rispose da sola:
Nessuno l’avrebbe mai più trovata.
### Note
dell’autore:
E’ una storia vera, per metà.
Anche io ho conosciuto Enne e, senza usare giri di parole, mi ha fatto
un male da morire.
L’arma più potente che una persona possa
utilizzare è l’indifferenza, non so se anche a voi
è mai capitato di sentirvi invisibili, delle
nullità.
Forse la cosa più triste è che dentro di me nutro
ancora qualche speranza che Enne, un giorno, possa tornare ad occupare
la fossa che ha scavato nel mio cuore con così tanta
violenza.
Ammetto che sarebbe bellissimo per me poter leggere qualche vostra
recensione, sperando che siano il più cattive possibili.
Un po’ perché ci tengo alla forma in cui scrivo i
miei testi, un po’ perché in questo breve racconto
ci ho messo l’anima e il mio cuore. E sono fiera di non aver
pianto neanche una lacrima mentre lo scrivevo.
Grazie per esservi soffermati su queste mie parole.
PetiteAlaska / Federica
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