Autrice: PrincesMonica
Titolo: Il Ritratto di
Jared Leto
Rating: Per tutti
Disclaimer: Non conosco
Jared Leto nè Shannon Leto (ahimè), ma
ci sto lavorando. Scrivo senza fini di Lucro.
Note: La FF è
nata da queste foto scattate al compleanno di
Shannon domenica 11 marzo.
http://a.yfrog.com/img875/3006/pqnuf.jpg
https://p.twimg.com/AnxooiTCMAAZwJ7.jpg
Il Titolo si rifà al noto Romanzo e all'apparente
incapacità di invecchiare di Jared.
Ringrazio tantissimo la mia
Cimo che mi ha betato la storia ed
aiutato per il titolo <3
Lei dice che la storia
è carina... A me non piace, ma
ultimamente gira storto. Uhm, non un grandissimo sprono alla lettura
eh?
Sono tornato da Austin
carico e pieno di idee per alcuni
progetti che fino a questo momento erano stati nebulosi e dispersi tra i miei neuroni. Il mio
programma era di
tornare a casa, chiudermi in sala d’incisione e buttare
giù qualche accordo per
la colonna sonora del corto che vorrei dirigere.
Ovviamente ogni mio
progetto è crollato come un castello di
carte perché è arrivata mia madre e mi ha
obbligato, come se avessi ancora
dieci anni, a presenziare alla più assurda festa di
compleanno di Shannon.
Il sole mi dà
fastidio nonostante gli occhiali, ma qui a parte
me, pare che tutti si stiano divertendo: quando Shan mi ha visto, ha
sorriso
veramente felice e mi ha abbracciato come se la mia presenza fosse
veramente
qualcosa di fondamentale.
Ma qui, oltre a mamma e
pochi altri, ci sono
solo degli sconosciuti. A partire da
quelle due, “Miss Barbie ho dimenticato i
pantaloncini” e “Miss Barbie se
mostro le tette faccio colpo” che continuano a ridacchiare
come due bambine
guardando Shannon e in alternativa me, quando mi riescono a trovare.
Sorseggio un bicchiere di
succo di frutta: questa strana vena salutista
che ha preso Shan non mi dispiace.
Sospiro.
Voglio bene al festeggiato
e sia chiaro, voglio tanto bene a mia
madre, ma sono arrivato al punto che festeggiare i compleanni non mi
va. Già il
mio ultimo è stato un trauma: faccio difficoltà a
rendermi conto che in effetti
ho quarant’anni e ho passato il vero metaforico giro di boa.
Ormai niente potrà
migliorare, piano piano tutte le mie capacità diminuiranno.
Mi sento...
vecchio? Cioè, so che non sono ancora così troppo
vecchio, ma è una sensazione
che ho dentro, non c’entra nulla con il tempo reale.
È una consapevolezza che
mi fa male e quindi tendo a non pensarci.
Certo, poi arrivano
domeniche come queste che, invece di poter
andare a bermi un frullato da Joans e godermi i miei programmi di
editing,
vengo portato in uno stupido parchetto, vicino ad uno stupido campo da
baseball
dove stanno giocando degli stupidi ragazzini a far finta stupidamente
di
divertirmi, con scarsi risultati, lo ammetto a me stesso senza troppi
problemi.
Credo che questo mio
rifiuto al festeggiare dovrebbe essere
analizzato da qualcuno che se ne intende, ma ho una grossa paura di
quello che
uno psicologo bravo potrebbe dirmi.
“Sento le tue
rotelle lavorare da quando sei arrivato, Jared.”
Mia madre mi porta un piattino con alcune tartine vegetariane
sorridendo indulgente. “Che
ti succede, bambino?”
Bambino? Gliela lascio solo
perché è lei.
“Niente mamma,
sono solo stanco.” Cosa che è anche vera.
“E allora
dovresti riposare invece di continuare ad andare a
feste tutti i giorni.”
“Mi hai portato
tu qui, ti ricordo.” Mi mordo la lingua un
attimo troppo tardi, la delusione nei suoi occhi è
già passata. Sospiro: tutto
voglio tranne rattristarla, non se lo merita. “Scusa
Ma.”
“E’ il
giorno di tuo fratello, dovrebbe solo piacerti e renderti
orgoglioso di lui per la modalità scelta. Finalmente niente
locali fumosi,
niente alcol, niente musica spacca timpani... sono rimaste solo le
ragazzine,
ma posso chiudere un occhio. Speriamo che prima o poi se ne trovi una
decente:
vorrei un nipote.” Ridacchio: povero Shan!
“Ovviamente l’invito è esteso anche
a te.”
Oh, meno divertente ora.
“Io sono sempre
orgoglioso di Shan, qualsiasi cosa decidesse di
fare. Semplicemente non mi va di festeggiare il fatto che diventa
vecchio.”
La sento sbuffare e la
lascio a brontolare: Antoine ha portato
una piccola torta bianca di panna, con quattro candeline rosa (ROSA??)
accese e
Shannon ride mentre i presenti intonano Happy Birthday. Mi piace
vederlo
sereno, ha messo su qualche chilo e si sta facendo crescere una bella
barba: mi
passo la mano sul mento, anche la mia non è male.
Applaudo e prendo un
piattino con un pezzo di bomba calorica
piena di crema e panna: sarà vegana? Non credo. Faccio lo
schizzinoso? No,
questa volta no. In fondo, molto in fondo, ho anche un po’ di
fame.
Senza farmi vedere da
nessuno di importante, mi defilo sugli
spalti: il sole mi dà meno fastidio mentre guardo i ragazzi
giocare. Non sono
delle bestie del baseball, ma mi ricordano quando ci giocavo io ed
erano ancora
quegli anni dove stavo bene, nonostante i continui cambiamenti di casa
e
scuola.
Comincio ad avere caldo,
tolgo il giacchino di jeans per
sfoggiare la T-shirt celebrativa, cosa che mi fa sentire decisamente
stupido.
Slego anche la felpa, altrimenti rischia di sporcarsi quando mi siedo:
avrei
dovuto indossare vestiti più scuri.
La torta non è
male, me la assaporo lentamente: la crema si
spande nella bocca e la panna è dolce.
Poi sento il rumore
inconfondibile di una macchina fotografica e
mi giro: qualche scalino a lato c’è una ragazza
con un BlackBerry che mi
sorrideva. Devo aver fatto una strana faccia, perché
ridacchiò abbassando gli
occhi, leggermente imbarazzata.
“Scusami, non ho
resistito.”
La osservo meglio:
è una ragazza di quelle che può passare
tranquillamente inosservata. Non sembra troppo alta, ma neanche troppo
bassa,
non magra, non grassa. Di una normalità imbarazzante: ha i
capelli castani,
raccolti in una stretta coda alta, il volto ovale, pallida quasi quanto
una
bambola di porcellana. La bocca leggermente scintillante grazie al
lucidalabbra
e un bel nasino dritto, forse un po’ troppo piccolo.
L’unica cosa veramente
notevole sono gli occhi: molto belli, grandi, leggermente fanciulleschi
e di un
intenso colore verde.
Indossa un maglioncino
leggero azzurro e sotto un top un po’ più
scuro, un paio di jeans e delle scarpe da ginnastica: noto quasi
immediatamente
una triad al collo, ma molto più luccicante e di miglior
fattura rispetto a
quelle che vengono vendute nel nostro store. Forse se
l’è fatta fare su misura.
Vicino a lei una borsa capiente da cui spunta una cartella da disegno e
delle
matite.
“Nessun problema.
Se vuoi me ne puoi fare un’altra se ti fa
piacere.” E mi metto in posa, ma vedo che lei abbassa il
telefono.
“No grazie, ti
preferivo prima, eri più naturale. Così... sei
troppo artificioso.” Alzo
un
sopracciglio senza capire. Lei sorride e si spiega
“Preferisco fare foto quando
la gente non se ne accorge perché sono più loro
stesse. Prima, leggermente
disteso sul seggiolino, con gli occhi chiusi e quel mezzo sorriso
estatico, eri
più... interessante.”
“Ok, come
preferisci.”
Torno a farmi i fatti miei:
non ho proprio voglia di mettermi a
parlare con una fan, prima che questa ancora non mi chieda che sto
facendo, ma
voltandomi leggermente, la vedo china su un blocco da disegno, mentre
ogni
tanto getta un’occhiata al telefono. Ho il sospetto che mi
stia disegnando. E
se andassi a vedere? Sono curioso, insomma, se mi disegna male?
Controllo
intorno a me: Shannon sta urlando a tutti che è arrivato il
momento della
corsa: non so bene cosa lo abbia portato a questa svolta, ma credo che
gli
faccia bene.
Beh, visto che non si
curano di me, vado a farmi i fatti di sta
tipa.
Senza problema mi metto
dietro alle sue spalle guardo il lavoro:
in realtà è solo un bozzetto, le linee guida, ma
credo proprio stia disegnando
me.
“Qualche
critica?”
“No, in fondo hai
ancora parecchio lavoro da fare.”
“Quando
sarà finito te lo posto su Twitter. O lo espongo alla
galleria.” Mi siedo vicina a lei, mentre continua a disegnare.
“Che
galleria?”
“Quella dove
lavoro. Il mio capo ogni tanto mi permette di lasciarci
qualche dipinto, anche se non sempre riesco a piazzarlo.” Le
sue dita sono
agili, sicure. Non sembra avere problemi di sbagliare una riga o un
tratto, è
consapevole della sua capacità. “È solo
una bozza. A casa vorrei farlo su una
tela seria. Sarebbe un ritratto unico, nato da una foto che ho solo io
e che
non metterei su internet... questo lo potrei vendere su e-bay, sono
sicura che
troverei una qualche folle finlandese disposta a spendere per avere un
tuo
ritratto.”
Alzo gli occhi al cielo: ci
mancano solo le stalker.
“In caso te lo
compro io se il risultato è accettabile.”
“Ehi!”
“Scherzavo.”
Rimaniamo in silenzio per un po’, poi lei, senza
alzare lo sguardo dal blocco riprende a parlare.
“Come mai non sei
là a correre?”
“Sono
stanco.”
“Ah certo, dicono
tutti così.” Ehi, ma chi si crede di essere.
“E tu
perché stai qui a disegnare invece di andare da
Shannon?”
lei posa la matita e mi guarda.
“Io non sono
stata invitata. Ho solo accompagnato qui una mia
amica che aveva ricevuto una semi soffiata sulla vostra presenza. Io
non sono
una stalker, lei... beh diciamo che aveva voglia di vedervi.”
E fece spallucce.
“Però tu... insomma, dovresti essere a divertirti
con loro, mica stare qui a
parlare con una sconosciuta.”
E adesso che le dico?
“Vuoi sapere la
verità? Non ne ho onestamente voglia. Non mi va
di festeggiare...”
“...il fatto di
crescere? È una cosa naturale sai?”
“Parli bene tu
che avrai sì e no vent’anni.” Lei si
mette a
ridere.
“Ok Jared,
sposami ti prego! Io ho trent’anni, bello mio. Altro
che venti.”
Ok, ci sono rimasto
decisamente male. Ero convinta che fosse
molto più giovane. In effetti avrei dovuto notare quei due o
tre capelli
bianchi che ha in testa, ma credevo fosse solo il riflesso della luce.
La vedo
perdere parte del sorriso.
“Quindi
è per questo che sei venuto qui... speravi fossi una
ragazzina delle solite. Figurati, le vecchiacce come me non ti
vanno.”
“Ma non
è assolutamente vero.” Sospiro. “Sono
venuto qui
perchè... non ho voglia di festeggiare Shannon che
invecchia. E di conseguenza
il fatto che invecchio io. Ecco, ora l’ho detto! Ma tanto non
puoi capire, sei
giovane.”
Mi alzo da lì...
mi sono stufato di vedere quei bambini giocare
e anche il sole che mi picchia in faccia.
“Scusa, adesso te
ne vai? E no signorino, non ti liberi di me
così facilmente.”
Camminiamo vicini, senza
parlare, lungo un sentiero che
costeggia tutto il diamante. A lato ci sono degli alberi da cui
provengono
ininterrotti i versi dei passerotti. Noto mamme che spingono
carrozzine,
sorrisi felici mentre ragazzi sullo spiazzo si lanciano un pallone da
football.
È un bel pomeriggio per stare fuori.
“Guarda che
trent’anni non significa non capire. Ho dovuto
varcare la terribile linea che determina il passaggio dagli
“Enti” agli “Enta”.
Non è bello. Soprattutto quando hai un lavoro precario, vivi
ancora con i tuoi
genitori e non hai nessuno al tuo fianco. Tu almeno hai una carriera
fulgida,
la fama, una famiglia che ti adora. E gli Echelon, che per te darebbero
qualsiasi cosa. Non capisco perchè hai tutti questi
problemi.”
Sospiro... in
realtà non lo capisco neanche io, lo devo
ammettere, ma... cioè... uff. Odio avere i pensieri tutti
ingarbugliati.
“Io... non voglio
invecchiare. No, non interrompermi.” La blocco
mentre sta per dire qualcosa di assolutamente scontato come
‘Tutti Invecchiano’
e vado avanti “Non è giusto che arrivo al successo
dopo decenni di sangue
sputato e sudore versato quando ho...” Cazzo, non riesco a
dirlo.
“Quarant’anni?”
“Sì,
grazie, proprio quello.”
“Beh potevi
svegliarti prima.”
“Scusa?”
Lei si inumidisce le labbra.
“Jared, hai
iniziato a suonare con i Mars che quasi avevi
trent’anni. Un po’ di anni di gavetta ed
è ovvio che in un battibaleno ne hai
uhm..anta.” si ferma sotto un albero e mi guarda seria.
“Mi prometti che non mi
uccidi e ti incazzi fino ad un certo punto?”
Ridacchio, ma in
realtà quasi ho paura.
“Ucciderti mi
porterebbe in galera, quanto all’incazzarmi... non
prometto niente.”
“Ok, ma io ti ho
avvisato. Sai a volte penso che il ritardo dei
30 Seconds to Mars sia semplicemente dovuto al fatto che tu avessi ben
altri
progetti nella tua vita che non fare il cantante. Buon per noi Echelon
che non
è così.”
“Ehi, per me fare
il cantante non è mai stato un ripiego.”
“Hai sempre
suonato tra una ripresa e l’altra, lunghissime
tournée
con stop di mesi per permetterti di promuovere film e girarli. Solo per
TIW non
è successo e solo perchè Mr
Nobody non è andato come meritava di andare. Fermami quando
dico minchiate eh?”
Fermarla... non
è mica semplice: non è bello sentirsi dire
queste verità scomode da una sconosciuta. “Ti
piacerebbe essere ancora un
ventenne per goderti tutto, ma... mi pare che lo stai facendo
più che bene
anche a quaranta. Che dici?”
Mi rendo conto che sto
borbottando tra me e me e sbuffo.
“Ok, hai ragione,
però non è così semplice. A me piace
recitare
e ancora di più dirigere. Ma non riesco a venirne fuori.
Sembra che quello che
faccio non piaccia.”
“È
solo che non viene capito. Come attore sei bravissimo, ma a
parte Alexander non hai mai preso parte a grandissimi film di fama
internazionale. Sono film di nicchia che ti hanno dato un pubblico di
nicchia.
E per quanto riguarda il dirigere... Hurricane è un
capolavoro, ma adatto solo
a palati fini. E gente che ti conosce. E nonostante tutto anche persone
che
avrebbero dovuto capire te e il messaggio del video, non l’ha
apprezzato,
perchè è molto forte.”
“Ma a te
è piaciuto.” Lei annuisce.
“Io lo trovo il
più bel video musicale mai girato prima. È
geniale, è superlativo, è azzardato ed
è... come posso dire, erotico. Insomma,
perfetto.”
“Grazie!”
ecco, queste sono cose che mi piace sentirmi dire.
“Però
a parte gli Echelon e pochi altri illuminati, Hurricane
non è piaciuto. È stato censurato, rovinato,
deturpato. Una vergogna.” Sembra
veramente arrabbiata, se la sta prendendo come se fosse qualcosa di suo
e mi
stupisce.
So che gli Echelon ci
amano.
Sono una parte fondamentale
dei 30 Seconds to Mars e noi non
saremo arrivati dove siamo senza di loro.
Eppure ancora adesso mi
stupisco spesso di quello che loro fanno
per noi ogni giorno. Mi domando se ci meritiamo tutta questa devozione
a volte.
So benissimo di aver fatto delle minchiate a nome della band. Tutti noi
ne
abbiamo fatto e a parecchi fan non sono andate giù, e come
potrebbe?
Non ci devo pensare, non
ora, non qui con lei.
“Tu,
Jared, devi solo
deciderti a fare una cosa e farla tutta fino in fondo. Iniziare un
progetto e
terminarlo, non procrastinarlo all’infinito. È a
causa di ciò che perdi tempo e
ti ritrovi con l’umore a terra. Wow, mi stupisco che tu non
mi abbia ancora
tirato un pugno.”
“Io non colpisco
una donna.”
“A meno che
questa non ti stritoli i coglioni mentre canti
Buddha for Mary**.”
“Esatto. Si
chiama sopravvivenza.”
In lontananza vedo Shannon
che corre: stanno tornando indietro,
dove mamma avrà preparato un banchetto pieno di bevande per
loro e si starà
chiedendo che fine ho fatto. Del resto il cellulare non ha suonato.
“Vorrei poter
tornare indietro e cambiare le cose.” Mormoro.
“Ma non si
può. Dobbiamo andare avanti e cercare di fare del
nostro meglio, io facendo la ritrattista, tu facendo il cantante,
attore,
regista, pazzo furioso.”
“Pazzo furioso?
È un lavoro?” Sorrido.
“Certo!”
Mi risponde lei apparentemente seria “Anzi, è il
miglior lavoro che sai fare!”
Scoppiamo a ridere quasi in
contemporanea: non mi capitava da
tempo di ridere a pieni polmoni, tanto da stare male. È
liberatorio, è
veramente stupendo.
È una situazione
a cui non ho mai pensato e invece mi piace.
Ridere con la sola voglia di ridere e non pensare a niente.
Improvvisamente
torno indietro di dieci anni almeno.
E sto bene: ho quasi una
mezza voglia di andare a far casino da
Shan.
“Posso offrirti
da bere?” le chiedo. In fondo se lo merita, mi
ha psicanalizzato senza farmi sentire proprio del tutto sbagliato.
“Nel senso che
usciamo una sera o che mi offri un bicchiere di
Coca alla festa di tuo fratello?”
“Prima il
bicchiere di Coca e poi magari stasera usciamo anche.
Che non si dica in giro che Jared Leto non è un
galantuomo.” Lei sbuffa.
“Figuriamoci, JJ
Leto è l’uomo perfezione.”
La partita di baseball pare
essere terminata e i ragazzini che
hanno vinto stanno esultando. Vedo le amiche di Shannon che ridendo
tornano
allo spiazzo, tutte sudate e arrossate, mentre... mi volto verso la mia
accompagnatrice rendendomi conto che neanche so come si chiama.
“Senti, che ne
dici se ti presenti? Cioè, sai che io sono Jared,
ma tu?”
“Oh scusami, io
sono Gwendoline Shepard***, ma puoi chiamarmi
Gwen che è più semplice.”
“Gwen... bel
nome. Dai andiamo che ti presento la mia famiglia.”
Ridendo inizio a
trascinarla, perchè lei si è impietrita.
Si prospetta una bella
amicizia.
*la stalker finlandese
esiste veramente ed è una che sta proprio
tanto male.
**Il fatto succcesse
veramente a Londra, durante il concerto del
6 febbraio all’Hammermith Apollo. Cercate il video, si sente
benissimo.
***Gwendoline Shepard
è la protagonista di Red, di Blue e di
Green, saga di Kerstin Gier.
FINE
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