Le urla che non ascolti.
Quattordici. Da quel
giorno, sarebbero stati quattordici.
La parete color crema, decorata da aggraziati arabeschi
d'oro pallido,
fu attraversata da una fugace ombra tinta di fresco che in un istante
svanì, veloce come era apparsa. Le rose dei petali setosi,
del
rosso cupo e seducente che ammalia le donne, riposavano silenti nel
vaso di porcellana dal collo sottile e nemmeno una grinza rovinava le
loro corolle maniacalmente perfette. Uno specchio dalla cornice di
bronzo rifletteva davanzali rilucenti e un pianoforte, nero come vivido
inchiostro.
Nemmeno un rumore si riusciva a cogliere, in quelle stanze: eppure i
servitori lavoravano di buona lena già da qualche ora. Tutti
conoscevano le regole. Non un fiato, al mattino, non un
fiato.
Le impeccabili scarpe scure del maggiordomo
parevano
sfiorare appena le piastrelle, senza camminarci, poichè i
suoi
passi svelti e misurati scivolavano senza emettere il benchè
minimo suono.
Iniziò a salire le scale, quei gradini che venivano
più
lustrati che sporcati, con l'evanescente leggerezza d'uno spettro. Uno
dopo l'altro, non aveva bisogno di stare attento per fare piano. Ormai
era un'abitudine, quella di rendersi concreto quanto una fiammella in
equilibrio sullo stoppino.
Il secondo piano era illuminato dalla luce intensa dei candelabri di
rame, posati su piccoli tavoli a puro scopo decorativo.
Proseguì lungo il corridoio, attraversato da un tappeto
lanuginoso. Camminò per qualche minuto, passando veloce
davanti
a tutte quelle porte accostate agli stipiti e magari inquietanti.
Inquietanti per qualcuno, non certo per lui. E' sciocco avere paura di
una porta chiusa.
Ad un certo punto si fermò, voltandosi verso una a destra.
Non aveva nulla di speciale rispetto alle altre, almeno dall'esterno.
Con un gesto preciso e quasi meccanico il maggiordomo
sollevò una mano
guantata di morbido bianco e la strinse in pugno, bussando
delicatamente.
Nessuna risposta, naturale.
Insistere era inutile, il maggiordomo ci era abituato;
rigirò
lentamente il pomello dorato nel palmo, finchè un flebile
schiocco accompagnò il socchiudersi della porta,
permettendogli
di entrare con un movimento fluido.
La stanza in cui si trovava era vasta, molto. Riposava in un buio
pesto, quello pacato e pigro
della mattina presto, in cui era così piacevole crogiolarsi.
La
penombra impediva una visuale precisa di ciò che conteneva,
ma lui lo sapeva fin troppo bene.
Si avvicinò alla parete opposta rispetto all'ingresso, per
scostare le tende di pesante broccato blu. Appena i lembi ricaddero
contro il muro, liberati dalla stretta d'un cordone dorato, la dolce
luce rosata dell'alba filtrò dai vetri rischiarando la
stanza.
Era arredata con ostentata eleganza, si riusciva a percepire
chiaramente: ogni cosa era troppo costosa ed eccentrica, dal
baldacchino di fruscianti stoffe pregiate all'armadio finemente
intagliato. Eppure le lenzuola del letto erano sfatte, il cuscino di
piume sformato e il letto vuoto.
-Sono qui, Claude!- La figura esile di Alois Trancy si stagliava contro
i bagliori giallastri che penetravano dal corridoio. Entrò,
esaurendo con pochi passi la distanza che li separava. -Non riuscivo a
dormire, ero troppo emozionato. Così ho deciso di alzarmi
prima!- rivelò, con un sorriso entusiasta.
-Buongiorno.-
Aveva un aspetto particolarmente angelico, quella mattina: i capelli
biondo cenere erano tanto chiari da parere argentei alla luce del sole,
la camicia immacolata che indossava per dormire ricadeva fino alle
ginocchia. Gli occhi turchesi erano sgranati, ancora un po' gonfi dal
sonno.
-Sai che giorno è oggi, Claude?- domandò poi,
eccitato.
-Certamente.- Claude si esibì in un breve inchino. -Buon
compleanno, danna-sama.-
Il ragazzino sorrise, andandosi a sedere sul bordo del letto. -Oh, lo
sarà. Su, avanti, sbrigati: ho un sacco di progetti in mente
per
quest'oggi. Sono arrivati, vero?-
-Sì. Regali da parte di moltissime famiglie fra le
più
prestigiose a Londra sono stati recapitati proprio un'ora fa. Nessuno
le
farebbe un torto, scordandosi di farle i propri più sentiti
auguri.- rispose apaticamente Claude, chianandosi dinnanzi a
lui e
cominciando a slacciare con mani esperte i bottoni della camicia, per
poi sfilarla.
-Ovvio che no.- concordò Alois compiaciuto. Ma la sua mente
era
altrove, già fantasticava sulle incredibili
opportunità
che quel giorno gli offriva.
Il maggiordomo lo aiutò ad indossare un elegante completo
rosso
intenso, abbottonando con cura la giacca con gli alamari e lisciando il
colletto guarnito di pizzo rigido.
Alois sporse languidamente una delle gambe affusolate e candide,
così che Claude potesse infilargli i pantaloni.
-Questa mattina mi porterai in città, mi
fermerò a mangiare lì. -
ordinò con brio.
L'altro annuì rigidamente, ben sapendo che il suo padrone
avrebbe cambiato idea nel giro di qualche minuto.
Appena ebbe stretto il bel fiocco color rubino degli stivali al
ginocchio, Alois balzò in piedi e piroettò con
grazia.
-Ohh, sarà tutto così perfetto, Claude!
Sì,
è tutto perfetto. Ora andiamo, su, su! Sorridi, Claude,
è
una bellissima giornata!-
Lui non lo fece, ma il padrone o non se ne accorse o fece finta di non
vederlo. Claude non sorrideva mai, in fondo, e persino la cocciutaggine
del giovane conte non sarebbe mai riuscita ad increspare quelle labbra
severe.
Tlac tlac tlac,
facevano i
tacchi di Alois contro i gradini. Saltellava esuberante giù
per
le scale, e forse poteva sembrare felice. In realtà
è solo
esaltato, rimuginava Claude silenziosamente, e non durerà a
lungo. Sicuro, no.
Hannah, di fianco alla scalinata, attendeva ansiosa. Fra le mani
reggeva il manico d'una scopa, alla cui estremità vi era uno
straccio bagnato, e lavava con monotona precisione ogni piastrella. I
suoi occhi blu lapislazzulo scintillavano speranzosi.
-Buon compleanno, danna-sama.-
sussurrò, timorosa. Lui giunse al pianerottolo e le
passò
di fianco senza degnarla d'un occhiata, limitandosi ad annuire
distrattamente.
Hannah si morse il labbro inferiore. Era una porta chiusa, quella, lo
sarebbe stata sempre: e faceva paura, sì.
Alois attraversò il salotto ancora semibuio; gli unici raggi
del
Sole provenivano dalle persiane socchiuse, creando un gioco di luci e
ombre sul pavimento smaltato.
Raggiunse la soglia della cucina, ed il suo sguardo raggiante si
posò sulla tavola imbandita: i tre demoni gemelli suoi
servitori
si affacendavano attorno ad essa, intenti a posarvi piatti e piegare
con attenzione tovaglioli. Il conte riuscì a scorgere fette
di
pane abbrustolito, vasetti di marmellata, una scodella di panna,
biscotti di diverso genere, caraffe di latte, succo, tè e
spremute. Sorrise soddisfatto.
Thompson, Timber e Canterbury interruppero il loro lavoro per qualche
istante, giusto per poter fare una riverenza e bisbigliare senza un
suono dei buon
compleanno. Alois
ignorò anche loro, dato che aveva appena addocchiato l'alta
pila
di regali che l'attendeva. Scordatosi di colpo della fame, si
gettò sul pavimento emozionato.
-Questo cos'è?- Afferrò un pacco squadrato
ricoperto di
semplice carta da pacco marrone, la strappò malamente.
Aprì poi la scatola bianca che vi trovò
all'interno:
conteneva un vaso, probabilmente di vetro soffiato, d'uno straordinario
blu cobalto. Storse il naso infastidito, quasi emanasse un cattivo
odore.
-Banale.- Lo mollò immediatamente, attirato da una pergamena
arrotolata legata da un nastrino. Appena la dispiegò,
spalancò gli occhi.
-Claude.-
-Danna-sama?-
-Cosa credi che rappresenti?- Alois indicò il
disegno
raffigurato sul foglio. Era una specie di vortice colorato,
attraversato da diverse linee orizzontali, in uno sfondo viola prugna.
-Suppongo si tratti di un'opera astratta.- ribattè Claude,
con
tono monocorde. L'altro osservò la pergamena ancora qualche
secondo, con le sopracciglia aggrottate, prima di perdere completamente
interesse per essa -come per tutto, come sempre. Attaccò un
altro pacchetto, non molto grosso, rettangolare, e lo scartò
rapidamente. Si trattava di un libro, L'aristocrazia ieri ed oggi; Alois
non dedicò alla copertina di pelle più di cinque
secondi
prima di gettarlo, con un gesto di stizza, alle sue spalle.
-Che regali noiosi. Possibile che nessuno riesca a farsi venire idee
migliori?- sbuffò, il buonumore di pochi secondi prima
già esaurito.
-Mi perdoni, danna-sama.-
Alois si voltò, poichè Claude era rientrato in
cucina e
lo stava fissando con i freddi occhi dorati. -Hanno appena consegnato
questa, per lei. Con tanti auguri.-
Da dietro le sue spalle comparve una figuretta minuta. Si trattava di
una ragazzina, sì, una ragazzina dall'aria spaurita. Aveva
boccoli neri e scompigliati sciolti sulle spalle e grandi occhioni
castani, scuri e profondi come pozzi; la sua carnagione smunta sembrava
quasi malata, e indossava un abito grigio sgualcito dall'orlo
incrostato di fango e terra, che le copriva a malapena le gambe ossute.
Teneva lo sguardo basso, fisso sul terreno, e tremava
vistosamente.
Alois non disse niente. La osservava, schiudendo impotente le labbra
mute. Nulla, non ci riusciva. Silenzio.
Lentamente, sui suoi lineamenti rigidi iniziò a prendere
forma qualcos'altro. Incredulità.
-...una...dodicenne?-
I suoi occhi si affilarono come schegge di ghiaccio. Rabbia.
-Mi hanno regalato una
dodicenne per il compleanno?! Una dodicenne?! Una dodicenne?!-
Cadde il silenzio. Nessuno parlava, persino la bambina
aveva
trattenuto il respiro. I battiti del suo piccolo cuore spaventato erano
frastuoni assordanti.
Alois afferrò un piatto di porcellana dalla tavola
egregiamente
apparecchiata e lo scaraventò a terra con tutte le sue
forze.
Ansimava, lo sguardo sbarrato e vitreo.
Proprio come avevo
previsto, meditò
Claude strattenendo una smorfia sprezzante. Il conte Trancy non era il
terribile tiranno che molti descrivevano ma solo un bambino, un bambino
capriccioso e malinconico che passava le sue giornate ad illudersi
d'avere trovato la felicità. La maggior parte degli umani
sapeva
essere prevedibile o patetica, lui riusciva in entrambi.
-Portala via, Claude. Portala via!- Tremava, un bambino
irragionevolmente arrabbiato con colei che scatenava quei tormentosi
ricordi. -Non voglio più vederla!-
Claude s'inchinò senza parlare. E, altrettanto silenzioso,
uscì dalla sala accompagnato dalla figuretta sottile della
ragazzina.
Alois non aveva più fame. Deglutì. -Buttate via
tutta questa porcheria. Non state lì a fissarmi!-
I gemelli si mossero in sicrono, impilando nelle braccia cataste di
piatti in un equilibrio sempre più precario. I tovaglioli
vennero raccolti e ripiegati. La festa era già finita.
Era stufo, Alois, di quella realtà amara e spietata. Pronta
a
sbattergli in faccia il suo dolore, mai davvero finito, in qualsiasi
momento. Determinata a non fargli dimenticare nemmeno una lacrima. Non
voleva piangere, non voleva disperarsi nè compatirsi. Era
stufo,
Alois. Stufo del suo passato e del suo presente.
Attese, finchè il tavolo non tornò una superficie
traslucida. Ignorò -o finse di ignorare, impossibile dirlo-
i gemelli, che per liberarsi di
tutto quel cibo avevano deciso di utilizzare i loro stomaci. E
pensò a ciò che aveva sul serio intenzione di
fare.
Qualcosa di diverso. Qualcosa di nuovo. Qualcosa che, negli anni a
venire, non avrebbe dimenticato.
Un sorriso naque lento sul suo volto. Forse gli era venuta un'idea.
-Claude, sbrigati!- lo chiamò vivacemente, all'improvviso.
Forse quella giornata poteva ancora essere salvata.
Il sole sorgeva pallido da dietro una spessa coltre di nubi, quasi
timidamente, nel cielo lavato dalla pioggia. La grande tenuta Trancy si
stagliava contro la luce bianca, squadrata ed elegante ed imponente, il
candore delle mura violato da tralci di rose di sangue. La carrozza
varcò il cancello di ferro battuto, dagli spuntoni
acuminati, un
rumore di zoccoli equini sulla strada acciottolata.
Claude si voltò, la sua solita espressione indecifrabile in
volto.
-Danna-sama,
le spiacerebbe informarmi riguardo la sua destinazione?-
Era sprofondato nel sedile di velluto arancio, di fianco a lui, il
giovane padrone: aveva riaquistato tutta la vitale, frizzante allegria
del risveglio e l'episodio della bambina sembrava ormai dimenticato. Il
suo sguardo trasognato era perso in un punto impreciso della moquette
che tappezzava la carrozza, i tacchi degli stivali colpivano
distrattamente il sedile anteriore ed i suoi pensieri volavano a miglia
e
miglia di distanza. Il ragazzino sorrise enigmatico, per poi attaccare
bisbigliando
una nenia infantile.
No, niente da fare. Si divertiva troppo, Alois, a mettere in
difficoltà il suo maggiordomo perfetto.
L'altro rigirò il capo, silenzioso. Non sapeva cosa
aspettarsi,
ma d'altronde aveva imparato a non azzardare futili interpretazioni sui
sardonici silenzi del ragazzino. Finiva sempre per fare qualcosa di
terribilmente immaturo e insensato, nemmeno quella volta si sarebbe
smentito.
In fondo, che importanza
poteva avere il luogo in cui avrebbe sprecato il suo inutile tempo?,
si chiese volgendo la sua attenzione alla campagna inglese oltre il
finestrino.
E Alois gli lanciava occhiatine fugaci, esitanti, sperando di
intravedere una smorfia di contrariata curiosità
insoddisfatta
su quel viso di marmo.
Che non c'era. Non c'era mai stata la minima attenzione nei suoi
confronti. Lui urlava e non veniva sentito, lui piangeva e veniva
ignorato.
Soffriva senza parlare, il cuore consumato sempre di più da
un acre cero in una notte senza sorriso.
Alois spinse contro il battente della porta, aiutandosi ad aprirla con
una spalla.
Un odore nauseante di sudore, soffocante e pestilenziale, gli
riempì le narici. Il locale era affollato, una massa di
corpi umidi che si spintonava a vicenda, e le luci soffuse gli
impedivano di
scorgere molto di più. Il bancone di lineum scuro era
coperto di
graffi consumati, un vecchio ingobbito dagli anni lustrava stancamente
dei boccali di birra dietro ad esso. In sottofondo, si poteva udire una
fioca musica indistinta proveniente da un giradischi gracchiante.
Si fece largo, tentando di non urtare quella calca disgustosa,
aguzzando lo sguardo per individuare una persona.
-Lei è il signor Trancy?- Un cameriere alto e allampanato
attirò la sua attenzione, un vassoio poggiato sul braccio.
-Cosa volete?- esordì Alois irritato.
-La prego, mi segua. Mi hanno chiesto di accompagnarla nella sala
fumatori.- rispose l'altro.
-Allora faccia strada!- ribattè animandosi. Passarono in
mezzo alla gente, fino al fondo dell'angusto locale: una tenda verde
scuro occultava un
ingresso; il cameriere la scostò di lato,
permettendo ad Alois di entrare, poi si dileguò senza dire
una parola.
Nella sala dove fece capolino, invece, vi era un intenso aroma speziato
che non avrebbe potuto definire con certezza. Era piccola, circolare, e
non vi erano tavoli nè posti a sedere. Su un comodo divano
imbottito era stravaccato un uomo magro -e anche piuttosto alto, da
quanto Alois poteva intuire-, dai lineamenti del volto evidentemente
orientali ed un chimono azzurro indosso, ricamato di vorticose spirali.
Accoccolata sulla sua gamba, avvinghiata con ambo le braccia
al suo corpo, stava una ragazza molto graziosa dai lucenti capelli
corvini, anch'ella cinese, strizzata in un minuscolo abitino a fiori.
L'uomo socchiuse gli occhi sottili, concedendogli poi un sorriso
placido e sereno.
-Conte Trancy! Sono davvero lieto di fare la sua conoscenza. Prego, si
accomodi.- Con un leggero cenno della mano, indicò il posto
di fianco al suo.
Sorrise angelico. -Non si disturbi, signor Tare. Ho piuttosto fretta.
Davvero, intendo solo concludere questo affare il più presto
possibile. Solo...perchè ha scelto questo posto per
incontrarmi?-
-Ci sono affari che non si possono fare alla luce del sole, sa? E poi
mi chiami Lau. Tutte queste formalità non servono.- Lau, una
pipa molto lunga fra le dita, aspirò una boccata.
Attese pazientemente che riprendesse a parlare. La ragazza lo fissava
impassibile, con grandi e gelidi occhi d'oro puro, e Alois sosteneva
tranquillo il suo sguardo.
-Cosa la spinge a fare un acquisto del genere, se posso permettermi? Si
tratta di droga, non di un semplice divertimento per ragazzini.- L'uomo
lanciò un'occhiata di scherno, a quel bambino stizzito che
non voleva domande, a quel moccioso che non sapeva quel che stava
facendo.
-Il desiderio di levarsi ogni problema dalla testa. Non è
forse quello che vogliono tutti?- ribattè lui, senza
scomporsi.
Lau non indagò oltre. Era lì per vendere, non per
chiacchierare nè per farsi i fatti di Alois.
-Ecco dunque tutto quello che le serve. Mi raccomando, conte: non
più di 100 grammi al giorno.- Gli tese un sacchettino di
cuoio, chiuso da un laccio.
-Altrimenti cosa succede?- rispose subito lui, sgranando gli occhi
azzurri curioso. Lau si limitò a ridere piano.
-Non glielo consiglio.-
-Quanto vuole?-
-No, per ora non facciamone nulla.- Lau respinse con un cenno l'altro
sacchetto che Alois porgeva, gonfio di monete. -Faremo i conti quando
tornerà, la prossima volta.-
Alois lo fissò confuso. Non aveva parlato di prossime volte.
Ma, come Lau aveva previsto, ci sarebbero state.
Provoca assuefazione, l'oppio.
Appena socchiuse la porta di casa, una folata di vento gelido gli
ferì il viso. Erano le undici meno dieci, il cielo pesto era
nuvoloso e le stelle non riuscivano a brillare.
Una brutta notte, quella.
La figuretta scivolò fuori, rapida e silenziosa, e lui la
seguì. In quel momento erano lì, su quella
stradina di ghiaia bianca.
-Vai.- Alois indicò con un braccio il cancello aperto, la
strada che portava in città, il mondo sconfinato che
l'attendeva. -Puoi andare. Sei libera.-
La ragazzina, solo una piccola schiava coperta di stracci, lo
guardò incredula e terrorizzata. Non ci credeva.
-Vattene, ho detto! Sparisci dalla mia vista, rendi la tua vita
qualcosa per cui valga la pena respirare! Subito!- ordinò
perentorio, la voce appena incrinata.
Lei esitò, con quegli occhioni enormi e straziati.
Azzardò qualche timido passo, poi una corsetta spaurita.
-Va'.- ripetè Alois, in un sussurro. Si sentiva meglio, in
qualche modo. Se non l'avesse fatto, non sarebbe riuscito a dormire.
Gli occhi gli bruciavano, ma non pianse. Se l'era ripromesso: non
avrebbe pianto mai più per Jim Macken.
Rientrò in casa, sicuro di avere fatto la cosa giusta quella
sera.
E incerto su tutto il resto.
Quattordici. Da quel
giorno sarebbero stati quattordici, gli anni del suo inferno.
Note dell'Autrice: Fi-ni-ta. Alè. Anzi, no, olè (ahahahah,
che ridere -.-).
Ci lavoro da secoli, e finalmente è terminata. Non posso
credere che qualcuno sia davvero riuscito a leggerla tutta, ad arrivare
fin qui. In questo caso:
1. Complimenti. Sei il primo, sicuramente.
2. Come ricompensa recensirai! Ahahah!
Scherzo, ovviamente. Recensite solo se vi fa piacere. Grazie per la
cortese attenzione,
Lucy
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