Cops & Robbers

di LaniePaciock
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Part One ***
Capitolo 2: *** Part Two ***



Capitolo 1
*** Part One ***


AVVISO: allora ovviamente i personaggi non sono miei e la storia non è mia. O meglio è mia (l'ho scritta io), ma la trama è quella dell'episodio 4x7 quindi non è propriamente mia... Vabbé spero si sia capito. La parte finale invece, come vedrete, è mia! Il tutto comunque è visto dalla sola parte di Kate. Volevo provare a descrivere i suoi pensieri e le sue emozioni di quella luuuunga giornata. Spero di non aver involontariamente scopiazzato qualcuno (nel caso avvertitemi!). Doveva essere una one-shot, ma al solito non mi è venuta per niente corta, così l'ho divisa in due parti che pubblicherò insieme. Ok detto questo, buona lettura! :)
Lanie
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Part One

Era una bella mattinata di sole. Kate era arrivata al distretto in orario, come al solito quando non c’erano casi. Appoggiò la giacca alla sedia e diede un’occhiata alla marea di carte che le affollavano la scrivania. Scartoffie… pensò con un sospiro rassegnato. Prima di cominciare andò in sala relax a prepararsi un caffè. Sapeva che quella mattina Castle non sarebbe venuto. L’aveva avvertita la sera prima. Voleva accompagnare sua madre, Martha, in banca. A quanto aveva capito le servivano dei soldi per fare dei lavori alla scuola di recitazione, ma non voleva chiederli al figlio. Fece un sospiro, mentre guardava la tazza riempirsi di caffè caldo e fumante. Le mancava già un po’ la presenza e il caffè dello scrittore, ma di certo lei non glielo avrebbe detto. E poi chissà perché, ma era sicura che l’uomo comunque avrebbe trovato qualche scusa per non venire quel giorno. Odiava le scartoffie. Lo annoiavano. E se si presentava quando non c’erano casi era solo per infastidirla. O perché Martha aveva requisito l’appartamento per una delle sue scenografie e lui cercava un posto dove rifugiarsi. In quel caso si muniva di Angry Birds e passava tempo con quello. Si chiese quando scrivesse visto che comunque era quasi sempre lì. Tornado alla scrivania salutò Ryan ed Esposito che erano appena arrivati. Si sedette fece un respiro profondo e prese la prima carta.
Era passata quasi un’ora da quando aveva iniziato che il suo cellulare squillò. Mise da parte il foglio che aveva appena finito di compilare e diede uno sguardo al piccolo apparecchio. Il nome ‘Castle’ campeggiava sullo schermo scuro.
“Cosa vuoi Castle?” chiese. Non riuscì a reprimere un sorriso. Anche solo sentirlo riusciva a metterla di buonumore. Sono proprio malata… pensò la donna.
Tell me you need me” rispose lo scrittore. Il sorriso le morì sulle labbra. Il cuore all’improvviso aveva iniziato a battere velocemente. Cosa???
“Come hai detto?” riuscì a malapena a domandare cercando di darsi un contegno prima che qualcuno si accorgesse del suo cambiamento. Sperò che Castle non avesse notato il leggero tremolio della sua voce.
“Sono bloccato in banca con mia madre che sta chiedendo un prestito…” sbuffò lo scrittore annoiato. “Ti prego dimmi che c’è un omicidio da risolvere.” Beckett riuscì in qualche modo a non far sentire il sospiro di sollievo. Il sorriso le tornò sulle labbra.
“Ah, spiacente nessun cadavere. Solo molte pratiche. Ma potresti aiutarmi a sbrigarle… per una volta!” esclamò la detective. Ma conosceva fin troppo bene quell’adulto bambino.
“Grazie, ma sbrigare delle noiose pratiche è peggio che stare qui” sbuffò ancora Rick. Aveva proprio il tono di un bambino annoiato che non sa come passare il tempo. Come volevasi dimostrare pensò Kate ridacchiando internamente.
“Conveniente! Sei il mio partner quando c’è da prendere un delinquente, ma quando si tratta di scartoffie mi lasci sola” disse fintamente offesa la detective. Compilare moduli e scrivere rapporti era un lavoro utile, ma sapeva anche lei che era altamente noioso. Quello che ricevette in risposta però non fu una battuta alla Castle, come si aspettava, ma un mugugno. “Che c’è?” chiese con un sbuffo divertito. Lo scrittore non rispose subito, ma dopo qualche secondo.
“Credo che questa banca stia per essere rapinata” rispose piano scandendo le parole. Kate non poté fare a meno di sorridere a questa uscita.
“Davvero? Ti annoi a tal punto?” domandò divertita. Era convinta fosse un'altra storia fuoriuscita dalla mente fantasiosa dello scrittore. Forse elaborare teorie insieme, negli anni, non gli aveva fatto troppo bene se ora vedeva reati ovunque. Anche questa volta Castle non rispose subito. Sembrava stesse soppesando possibilità e parole.
“Vedo un uomo… e una donna” rispose lui estremamente serio. “Con divise da ospedale. E hanno entrambi una protuberanza sospetta sotto la giacca.” Beckett scosse la testa.
“Ti stai lasciando trasportare troppo dalla tua immaginazione” gli disse alla fine la donna, mentre riprendeva la penna per continuare a compilare i fogli che aveva davanti. La pausa ricreativa era durata anche troppo. Dopo neanche due secondi però sentì un rumore strano, di porta metallica chiusa in lontananza. Ci mise un attimo a capire che non veniva dal distretto. No, non da qui… da Castle! Un secondo dopo udì in sottofondo la voce alta di un uomo. Non doveva essere troppo distante dallo scrittore visto che le sue parole erano abbastanza comprensibili anche dal telefono.
“Mettetevi a terra! Subito!” urlò. Un brivido percorse la detective appena lo sentì, il battito accelerò. Le grida in sottofondo inoltre non la aiutavano certo a ragionare meglio. La voce dello scrittore la fece rinsavire.
“Non è la mia immaginazione, credimi! Non me lo sto immaginando!” esclamò allarmato, sottovoce e velocemente Rick. Kate sentì altre urla in sottofondo. Riuscì a malapena a udire la voce di Martha che diceva qualcosa e subito l’uomo che le rispondeva in tono urgente “Sta giù mamma”.
“Castle, ma che succede?” chiese preoccupata. Le urla dall’altra parte del telefono però le fecero rimangiare la domanda.Castle aveva ragione! Stanno rapinando quella banca! pensò con orrore Kate. Ma non riusciva a ragionare, quelle urla la stavano facendo solo angosciare di più. Forza Kate! Castle ha bisogno di te! Ora! “Dove sei?” domandò allora.
“Alla banca New Amsterdam, sulla Lexington” rispose sempre sottovoce. Kate poteva sentire la tensione che sprigionava da ogni parola.
“Esposito!” chiamò subito Beckett alzando la testa e attirando l’attenzione dei due detective alle loro scrivanie di fronte a lei. “Rapina in corso alla banca New Amsterdam sulla Lexington. Avvisa le pattuglie” ordinò.
“E da quando in qua ci occupiamo delle rapine in banca?” chiese Ryan curioso aggrottando le sopracciglia.
“Castle è là dentro” rispose solo. Bastò quello che i due si voltarono e si misero subito al lavoro per chiamare la sezione rapine e le pattuglie in zona in moda da isolare l’area. Non avevano fatto in tempo nemmeno a fare una faccia stupefatta o preoccupata. Se Castle, il loro amico e ‘collega’, era lì dentro, allora dovevano essere più veloci che mai.
“Sono nascosto dietro una scrivania con mia madre…” sentì mormorare lo scrittore. Kate percepì una piccola inflessione della voce alla fine della frase, come se fosse sotto sforzo e scocciato. Probabilmente aveva appena tirato giù Martha che si stava esponendo troppo. “…ma riesco a vedere tutto” continuò poi. “Indossano divise da ospedale. La donna sta vuotando le casse. Uno degli uomini si è avvicinato al direttore della banca.” Beckett, concentrata, pendeva letteralmente dalle sue labbra. Cercava di recepire quanti più dettagli possibili. “Gli ha strappato una chiave dal collo. Sta andando sul retro…” proseguì lo scrittore telegrafico.
“Ok! Squadre in arrivo sul posto” la avvertì Esposito dalla sua scrivania. La detective gli fece un breve cenno di assenso e ritornò allo scrittore.
“Castle ascoltami. Quanti sono i rapinatori?” chiese velocemente. Doveva prendere quante più informazioni possibili per quando sarebbero arrivate le squadre di agenti.
“Sono… tre” rispose. Dopo nemmeno un secondo però, Kate riconobbe chiaramente lo schiocco di un grilletto tirato. Ed era molto, troppo vicino al cellulare dello scrittore. “Facciamo quattro…” mormorò infatti sconsolato Rick subito dopo.
“Ecco l’eroe che punirò come esempio” sentì dire Kate. La voce era ovattata e bassa per la lontananza dal telefono, ma era sicuramente di un uomo. Beckett si bloccò e deglutì. L’hanno scoperto! Udì poi un rumore, come di strusciamento sul cellulare. Glielo stava sfilando dalla mano. Un secondo dopo la voce dell’uomo, chiara, ferma, scura, irruppe dal suo telefono.“Spiacente, il tuo amico non può più parlare.” Era strafottente, sicuro di sé. E questo fece subito reagire la detective.
“Non mi preoccuperei per lui, ma per te stesso. Ho mandato i miei agenti sul posto” disse dura prima che potesse riagganciare.
“Sei un poliziotto!” esclamò sorpreso l’uomo. “Hai chiamato la polizia?” chiese poi. La domanda era rivolta a Castle che probabilmente era davanti a lui.
“No!” sentì subito rispondere Castle. A malapena distinse le altre parole dello scrittore a causa della lontananza dall’apparecchio e perché aveva abbassato la voce. “Eravamo già al telefono quando… voi siete entrati”
“Ascolta bene” riprese la detective riportando l’attenzione su di lei. Doveva giocarsi bene le sue carte. Non aveva molti punti. E stava per bluffare. “Finora nessuno si è fatto male e niente è stato rubato. Quindi se lasciate tutto com’è e uscite da quella banca… vi lasceremo andare.” Non l’avrebbe mai fatto, ma al momento era l’unica merce di scambio che aveva. E se davvero ancora non avevano combinato nulla, allora avrebbero potuto comunque uscire di prigione in poco tempo con un bravo avvocato.
“Oh, e prometti che non verrai a cercarmi?” chiese ironico. La sua voce era calda e suadente, ma allo stesso tempo pericolosa.
“Non ti cercherei… Ti darei la caccia. E credimi non ti piacerebbe” minacciò la donna con tono di voce basso. Non stava scherzando. Avrebbe cacciato quel bastardo in capo al mondo se avesse fatto qualcosa al suo partner. Gli lasciò qualche secondo per recepire bene le sue parole. Poi continuò ancora con tono basso e sibilante. “Quindi andatevene subito e questo resterà solo un trafiletto nella cronaca cittadina.” Ci fu qualche attimo di silenzio. Beckett aveva il fiato sospeso. Per un secondo sperò di averlo convinto.
“Spiacente tesoro, preferisco finire in prima pagina” esclamò però l’uomo divertito e, detto questo, chiuse la comunicazione. Appena sentì la chiamata bloccarsi si rivolse a Ryan ed Esposito, che erano in attesa di notizie e pronti a muoversi.
“Andiamo” ordinò ai due alzandosi velocemente. Non riuscì a nascondere la nota di preoccupazione della sua voce. Possibile che tu riesca a metterti nei guai anche senza un caso? sospirò internamente la detective pensando a Castle.
 
Arrivarono alla banca circa venti minuti dopo. Beckett scese in fretta dall’auto, parcheggiata a caso nel piazzale di fronte all’edificio. Le squadre, vestite con elmetti, giubbotti antiproiettile e armi in pugno, erano già pronte e posizionate nei punti strategici esterni alla banca. Qualcuno era sui tetti di fronte, il fucile già puntato. I poliziotti erano ovunque, dentro e fuori le transenne che delimitavano l’esterno dell’edificio. Giornalisti e telecamere avevano già invaso la parte di spiazzo non chiuso. Kate poteva vedere bene la contrapposizione caratteristica dei casi in diretta: la calma assoluta dentro le transenne, tipico delle squadre speciali in posizione e pronte al minimo ordine, e quello che sembrava il caos appena all’esterno di esse, dato dalla confusione di reporter e agenti. Si mosse in avanti costeggiando gli sbarramenti, lo sguardo che scrutava ogni particolare, mentre cercava un riferimento che le indicasse dove potesse essere l’agente a capo dell’operazione. Dopo qualche secondo finalmente vide un camioncino scuro con impressa la scritta POLICE in bianco. Doveva essere per forza lì, così si avviò velocemente verso di esso. Entrò per la stretta porta e rimase per un attimo stupita della quantità di carte e schermi video che erano all’interno del furgone. Un uomo la fece ritornare alla realtà.
“Lei chi è?” chiese bruscamente. Era alto e muscoloso. Pelato. Indossava una divisa blu scuro, con il nome Peterson da un lato e dall’altro la scritta POLICE in bianco, come l’esterno del furgone. Chiaramente era lui che comandava lì dentro.
“Detective Kate Beckett, della omicidi” si presentò immediatamente.
“La chiamerò se muore qualcuno. Nel frattempo, la prego, se ne vada…” replicò subito indicandole la porta, ma la donna lo interruppe.
“No signore. Il mio partner è là dentro.” Lui la scrutò per un momento stupito.
“C’è un poliziotto là dentro?” chiese sorpreso. E ora che gli dico?? pensò la detective. Non poteva certo dirgli che era uno scrittore di gialli combina guai… Cercò di rendere la cosa il più morbida possibile.
“È un investigatore civile” rispose piano scegliendo accuratamente le parole. “Eravamo al telefono durante l’irruzione nella banca. Ha detto che ci sono quattro rapinatori e che indossano delle divise da ospedale”
“E sa dirmi altro?” Bene. Aveva catturato il suo interesse. Forse sarebbe riuscita a convincerlo a farla rimanere a seguire le operazioni.
“Sì, ho parlato con uno dei rapinatori…” cominciò, ma il comandante la interruppe.
“Che atteggiamento aveva?” Beckett ci pensò un secondo.
“Calmo… Sì, sembrava molto calmo”Calmo e pericoloso. Peterson annuì pensieroso e si rivolse di nuovo alla donna.
“Grazie, faremo di tutto per tirare fuori il suo partner sano e salvo.” Era un modo più o meno gentile per accommiatarsi, ma Kate non lo capì o non lo volle capire.
“Ok, qual è la prossima mossa?” chiese infatti la detective.
“La sua è quella di lasciare la mia postazione di comando” esclamò Peterson. Beckett lo guardò per un momento stupita. Stava per ribattere che non ci pensava minimamente, ma l’uomo la interruppe ancora una volta. “Se vuole aiutare il suo partner ci lasci lavorare.” Poi si voltò e ordinò a un suo sottoposto di procurargli una linea diretta con la banca. Ma lei non poteva andarsene. Là dentro c’era Castle. Il suo parter, il suo amico... l’uomo di cui era innamorata. Lei doveva aiutarlo. Però si trattenne dal ribattere. Scosse la testa impotente. Non poteva opporsi a quell’uomo che era a capo delle operazioni e che sicuramente ne sapeva molto più di lei in fatto di rapine in banca, con o senza ostaggi. Quando l’uomo si girò era ancora là ferma, combattuta.
“Ancora qui detective?” chiese alzando le sopracciglia. Lei fece una smorfia, ma annuì e uscì dal furgone. Lanciò un ultimo sguardo alla banca. Allontanandosi si affidò alla bravura del comandante Peterson. Sperò con tutto il cuore che la fortuna che aveva salvato la pelle allo scrittore in questi anni fosse ancora dalla sua parte.
 
Mentre si spostava dal furgone, vide Ryan ed Esposito poco lontano che stavano arrivando. Si avviò nella loro direzione. Entrambi notarono la sua faccia scura.
“Che cos’hai scoperto?” chiese Ryan preoccupato.
“Che i nostri servizi non sono richiesti” rispose amareggiata. I tre si scambiarono uno sguardo scocciato, ma consapevole. In fondo lo immaginavano. Non erano della sezione rapine, quindi non c’entravano niente. Se non fosse stato per Castle, non avrebbero neanche saputo della rapina se non dai telegiornali. Kate lanciò un’occhiata alla banca dietro di sé e le venne un’idea. “Esposito hai ancora amici all’unità emergenze?” chiese dopo qualche secondo.
“Certo” rispose il detective.
“Bene. Scopri che cosa sanno.” Se Peterson non voleva tenerli informati, allora avrebbe trovato un altro sistema per scoprire che stava succedendo là dentro. “E indagate sulle recenti rapine con lo stesso modus operandi. Più sappiamo su questi rapinatori e meglio sapremo come agire.” Ryan ed Esposito annuirono.
“Detective Beckett?” la chiamò un uomo alle sue spalle. Si voltò e vide un agente rivolto verso di lei poco lontano dal furgone da cui era prima uscita. Aveva una mano sul fianco e l’altra sulla pistola nella fondina. Non sembrava troppo amichevole. “Il capitano Peterson le vuole parlare.” Lei aggrottò le sopracciglia confusa. Poi lo seguì sul furgone, facendo un ultimo cenno a Esposito e Ryan per intimargli di sbrigarsi prima di salire.
“Mi dica. Cosa credeva di fare?” Anche il tono di Peterson era tutt’altro che amichevole.
“Stavo solo facendo il mio dovere” rispose con aria di sfida pensando che avesse già scoperto le disposizioni che aveva lasciato a Esposito e Ryan.
“Come? Flirtando con il rapinatore?” disse scocciato il capitano. La risposta la lasciò stupefatta.
“Che cosa??”
“L’avevamo al telefono. Ma prima ancora di lasciarmi aprire bocca ha detto 'Parlerò soltanto con la poliziotta, quella con la voce sensuale'” lo scimmiottò Peterson. Oh… Kate non sapeva che dire. Non pensava certo di aver fatto colpo da quello che si erano detti con il rapinatore. “Voleva far parte della squadra?” continuò poi il capitano alzando un sopracciglio. “Benvenuta” disse ironico. Cosa?? Prima mi caccia e ora mi fa addirittura trattare con il rapinatore? Non era così che pensavo di aiutare Castle! Non voglio portare ulteriori guai!
“No signore, non sono addestrata per negoziare il rilascio di ostaggi” esclamò. Era vero, non sapeva da che parte cominciare. Lei era addestrata a inseguire e stanare i criminali, a farli parlare, a costringerli a confessare, non a portare pazienza e negoziare.
“Beh, non c’è tempo per un seminario, quindi mi ascolti. Faccia l’opposto di quello che le hanno insegnato alla omicidi, ok? Non urli, non faccia la prepotente, non lo minacci in alcun modo. Deve tenerlo calmo.” Ecco, proprio quello che temeva. Kate deglutì e aggrottò le sopracciglia, combattuta. Voleva salvare Rick, non metterlo ancora più in pericolo. “Detective?” la richiamò alla realtà Peterson. Lei tornò a guardarlo, con la bocca semiaperta, come se non riuscisse a respirare correttamente. “Se la sente?” Lo guardò ancora per un secondo, poi prese la sua decisione.
“Sì. Sì certo che me la sento” rispose, anche se un po’ meno convinta di quanto volesse. Si tolse la giacca e la appoggiò a una sedia. In che guaio mi sono cacciata? si domandò internamente passandosi una mano sulla faccia. Speriamo sia la cosa giusta. Intanto il capitano Peterson aveva iniziato a spiegarle cosa fare.
“Lo faccia parlare il più possibile. Instauri un rapporto con lui e ricordi che finché è impegnato a parlare non può ferire gli ostaggi”
“Va bene” rispose subito. Sperò di essere all’altezza della situazione. Doveva solo riuscire a controllarsi, perché se fosse stato per lei sarebbe entrata dentro quella banca e avrebbe preso a calci il rapinatore.
“Chiaro?” chiese un po’ scettico il capitano alzando un sopracciglio, ma non avevano altre alternative. Kate annuì, preoccupata. Se la sua performance non fosse stata corretta, le persone nella banca, Martha e Rick ne avrebbero pagato le conseguenze. Le diedero un auricolare in modo da poter comunicare con il rapinatore. Fece un respiro profondo. Poi si sedette su una sedia e Peterson la collegò con la banca. Al secondo squillo, il rapinatore rispose.
“Chi è?” chiese. Aveva la stessa voce calma e calda di quando gli aveva parlato la prima volta. Sembrava quasi un po’ annoiato. Per esperienza personale però sapeva che più un criminale era tranquillo, più poteva essere pericoloso. Inizia lo show.
“Sono il detective Kate Beckett. Mi hanno detto che volevi parlare con me”
“Quell’altro non mi piace” rispose subito il rapinatore.
“Già, neanche a me” esclamò la detective. Lanciò poi uno sguardo a Peterson che vagava dietro di lei ascoltando la conversazione. L’uomo alzò le sopracciglia come a chiedere spiegazioni per la risposta. Kate coprì il microfono con una mano. “Ha detto di instaurare un rapporto” sussurrò per discolparsi con la faccia più angelica del mondo, anche se forse un fondo di verità c’era. Il detective annuì con un leggero sospiro e alzò le spalle, facendole un cenno per incitarla a continuare. “Allora come ti chiami?” chiese quindi.
“Chiamami Trapper John” rispose lui. Poteva quasi vedere il sorrisetto ironico che gli si era formato in volto.
“Sei un fan di MASH” disse con tono fintamente stupito la detective. “Anche io. Allora come va?” Questa storia dell’instaurare un rapporto le piaceva sempre meno, ma doveva farlo. Per Castle. Per gli ostaggi. Continuava a far girare la penna che aveva in mano, nervosamente. “Che posso fare per aiutarti?” domandò ancora.
“Oh, Kate, Kate, Kate… Stai seguendo quello stupido copione, vero?” la canzonò lui ironico. Sembrava stesse parlando con una bambina. Beckett si girò verso Peterson con sguardo perplesso e un po’ stupito. Li conosce. Conosce i metodi della polizia. “Che ti ha detto capitan simpatia? Di tenermi calmo? Di instaurare un rapporto? Di carpire informazioni?” continuò Trapper John. “Ecco come andranno le cose. Se mi menti, uccido gli ostaggi. Se cerchi di manipolarmi, uccido gli ostaggi. Se irrompete nella banca, uccido gli ostaggi.” Ottimo, tutto questo non da molto margine di manovra… pensò Kate ironica, ma con amarezza. “Ah Kate” la chiamò ancora una volta il rapinatore. “Inizierò con il tuo fidanzato” disse scandendo bene ogni parola, minaccioso, ma sempre con la stessa calma che lo aveva caratterizzato fino a quel momento. La donna trattenne il respiro. Non le servì chiedere di chi stesse parlando. Lo sapeva già. Rick… Poi Trapper John chiuse la chiamata. Forse fu un bene, perché se le avesse lasciato la possibilità di parlare, non era ben sicura che il piano di Peterson sull’instaurare un rapporto con il rapinatore sarebbe andato in porto. A meno che minacciarlo di morte non facesse parte di esso.
 
Kate poteva sentire i rumori della folla fuori dal furgone, ma ovattati. Sirene della polizia, chiasso dei giornalisti… ma tutto questo non le importava. Al momento, l’unica sua preoccupazione era far uscire Castle e tutti gli altri dalla banca sani e salvi. Si stava torturando le mani e lo sguardo era fisso davanti sé, mentre la mente era occupata a cercare ogni possibile soluzione.
“Almeno abbiamo capito una cosa” disse a un certo punto Peterson, che non aveva mai smesso di spostarsi su e giù per il furgone, fermandosi vicino a lei.
“Quale?” chiese drizzandosi sulla sedia e voltandosi verso di lui. Ogni indizio poteva essere utile e lei lo sapeva bene.
“Non è un teppista che si improvvisa rapinatore. Sa quello che fa e sa come lavoriamo. È un professionista” spiegò il capitano. Beh, questo l’avevo capito anch’io… sospirò silenziosamente la detective portandosi una mano alla faccia senza però dire niente. Peterson intanto si era rivolto ai suoi tecnici per sapere se si erano inseriti nei circuiti delle telecamere. Kate si sentiva imprigionata in quel furgone. Voleva fare qualcosa di più concreto. Lei era una donna d’azione, non poteva stare semplicemente ad aspettare che i rapinatori si facessero vivi. Soprattutto perché c’era il suo partner all’interno di quella maledetta banca. Si alzò rapida dalla sedia e si avvicinò al capitano.
“Signore, che posso fare?” chiese.
“Niente” rispose lui. La risposta la lasciò spiazzata, la bocca semiaperta e le sopracciglia aggrottate.
“Come ha detto?” domandò ancora. Sperava che non fosse davvero così, perché fare niente non era proprio nel suo stile, né nel suo carattere.
“Non è un omicidio” rispose paziente il detective. “Non si tratta di indagare o di cercare indizi. In questi casi la mossa migliore è non fare niente. Lasciamo che Trapper John rifletta e poi… lo richiameremo” e si voltò, dichiarando così chiusa la conversazione. Kate sospirò contrariata e incrociò le braccia sul petto fissando uno dei numerosi monitor davanti a lei. Le ci sarebbe voluta tutta la sua forza di volontà per non fare niente.
 
Non riusciva a rimanere ferma e tranquilla nel furgone, così uscì e si appoggiò al fianco del veicolo. Il suo sguardo era catturato costantemente dalla banca. Non poteva fare a meno di pensare a Castle. Sperava ardentemente che per una volta anche il suo partner decidesse a stare buono e non fare niente. Ma questo non era da lui come non lo era per lei. Ed era la cosa che più la preoccupava. In quel momento sentì dei passi venire verso di lei. Era Esposito.
“Novità?” chiese speranzosa.
“Solo cattive notizie” rispose però il detective con sguardo sconsolato. “L’unità emergenze non sa cosa succede all’interno. Le telecamere sono fuori uso e i muri sono troppo spessi per essere forati”
“Se facessero irruzione nella banca?” domandò cauta Kate. Era una delle possibilità che le erano venute in mente, nonostante i rischi che comportava. Non sapeva però fino a che punto arrivassero questi pericoli.
“Entrerebbero alla cieca”
“E in base alla tua esperienza quali sarebbero le probabilità di sopravvivenza degli ostaggi?” chiese allora lentamente, avendo paura della sua risposta. Ma la non-risposta di Esposito fu anche peggio. La guardò con occhi tristi, non riuscendo a esprimere verbalmente la bassa percentuale di riuscita dell’operazione. Kate non riuscì a sopportare oltre quello sguardo e lo spostò nuovamente sulla banca. Rick…
 
Kate rientrò nel furgone qualche minuto dopo, abbattuta. Appena ebbe messo piede nell’abitacolo, Peterson la chiamò per dargli ulteriori istruzioni. Sembrava che ora Trapper John fosse pronto. Il tempo di fare niente forse era finito.
“Capitano è lui!” esclamò un agente per attirare la loro attenzione.
“Ricordi la strategia” le disse Peterson.
“Sì” rispose decisa. Poi afferrò l’auricolare, l’accese e lo sistemò all’orecchio. A quel punto il capitano le diede la cartellina con i dati personali delle persone in ostaggio. Si ricomincia.
“Allora, come procede?” chiese.
“Finora tutto bene” rispose tranquillo Trapper John. Kate lesse dalla cartella un nome che le avevano già raccomandato prima.
“E come stanno gli ostaggi? Mi interessa particolarmente Simon, la cassiera incinta. È una situazione stressante. Perché non liberi lei almeno?” domandò.
“No no no, Kate. Bisogna prima dare… per poter ricevere” rispose con la sua voce calda. Sembrava quasi divertito. Beckett si girò a guardare Peterson. Le fece un piccolo cenno d’assenso per incitarla a continuare e stare al suo gioco.
“Ok, e che cosa vuoi?” chiese cauta.
“Un pullman.” La voce dell’uomo cambiò. All’improvviso sembrava più chiara. Fino a quel momento doveva aver indossato qualcosa sul volto per non farsi riconoscere e ora l’aveva tolto. “Con i vetri oscurati. Per trasportare me e i miei compagni e gli ostaggi all’aeroporto di Peterborough. Lì ci farai trovare un aereo che ci porterà in un paese straniero a mia scelta. A quel punto, rilascerò la cassiera incinta. Una volta atterrati in paradiso, rilascerò gli altri ostaggi.” La detective guardò scoraggiata il capitano. Poi il rapinatore la chiamò ancora. “Kate… Hai solo tre ore” concluse prima di chiudere la chiamata. Kate si tolse con violenza l’auricolare, quasi fosse colpa sua quella situazione. Peterson intanto stava già dando disposizioni.
“Ehi Monfris, prepara un pullman con i vetri oscurati”
“Aspetti, davvero intende dargli quello che vuole?” chiese sconcertata Beckett, le sopracciglia aggrottate.
“Certo che no. I rapinatori lasceranno quell’edificio in manette o in una bara” rispose secco il detective. Poi, prima che la donna potesse chiedere spiegazioni, riprese “Ma prima ci serve il pullman per farli uscire dalla banca… e farli abbattere dai cecchini.” Se possibile Kate era ancora più scioccata di prima. Volevano stanarli come topi con il formaggio. Ma se si fossero fatti scudo con gli ostaggi? Se avessero colpito uno di essi? Se avessero colpito Castle? Stava pensando a un modo alternativo per catturarli, quando uno degli agenti ai monitor attirò la loro attenzione.
“Ma che cosa…?” cominciò. “Lo vede?”
“Sì” rispose Peterson. Beckett si avvicinò per vedere cosa incuriosisse tanto i due uomini. Erano riprese delle telecamere che mostravano l’esterno della banca. Si potevano vedere gli uomini con i giubbotti antiproiettile appostati dietro le colonne. Qualcosa però attirò anche la sua attenzione. In due riprese, sulle quattro mostrate, era visibile parte del soffitto sopra la porta a vetri della banca. C’era una strana luce tonda che continuava a mostrarsi a intermittenza su di esso. Un riflesso? Forse, ma è troppo cadenzato, troppo preciso, troppo… impossibile! Appena pensò questo, un sorriso iniziò ad aprirsi sul suo volto. Solo una persona là dentro poteva pensare una cosa del genere. Ci scommetteva la testa.
“È il codice Morse” esclamò sicura. Prese il primo block notes libero che si trovò davanti e una penna. Contò punti e linee, tipici del codice. Si accorse che il risultato erano sempre tre lettere e tre numeri.
“SDB 120, ripetuto più volte. Cosa può significare?” chiese al capitano vicino a lei.
“Sarà un’abbreviazione o un codice. Soldi… Deposito… Banca…” rispose quello con una leggera alzata di spalle. Intanto anche Kate cercava di venire a capo di quello che, chiaramente, era un indizio di Castle. Aveva riscritto la stessa sigla, ma in colonna in modo da poter provare a mettere delle parole. Che vuol dire SDB 120? Un’abbreviazione forse sì, ma per cosa? pensava mentre la lista del capitano le ronzava nelle orecchie.
“Soldi!” esclamò Kate, appuntandolo vicino alla S, mentre Peterson continuava con “Banchiere”.
“Aspetti, aspetti…” mormorò un secondo dopo Kate cancellando quello che aveva scritto con una smofia e riprovando. “Sicurezza… Deposito… Sicurezza… Ho capito allora!” esclamò alla fine. “Cassetta di sicurezza (Safe Deposit Box) 120! Controlli!” ordinò all’agente davanti al computer.
“Che cosa c’entra una cassetta di sicurezza?” chiese confuso Peterson, mentre Monfris pigiava velocemente sulla tastiera.
“Non lo so, ma se Castle ci ha mandato questo messaggio significherà qualcosa” rispose automaticamente.
“Come sa che è lui?” chiese scettico e stupito il detective. Kate fece un mezzo sorriso. Non poteva essere altro che il suo scrittore.
“È lui mi creda. Non ho dubbi” replicò sicura. In quel momento il computer emise un bip.
“Cassetta di sicurezza 120. Appartiene a una coppia sposata, Agnes e Gideon Fields” esclamò l’agente leggendo il rapporto davanti a lui.
“Altre informazioni?” domandò Peterson.
“No, solo che accedono entrambi alla cassetta una volta al mese” rispose. Il capitano a quel punto si voltò verso Beckett con le sopracciglia aggrottate.
“Dirò ai miei di indagare” dichiarò subito lei. Forse l’indizio di Castle, li avrebbe aiutati a scoprire qualcosa di più sui rapinatori. E forse avrebbe permesso di tirare fuori da lì tutti sani e salvi. Finalmente aveva qualcosa su cui poter lavorare. Fino a quel momento si era sentita impotente. Ora invece avevano una pista. Sperò solo che questo scherzetto non mettesse nei guai Rick.
 
Beckett informò Esposito e Ryan delle ultime novità e gli disse di andare a casa dei Fields a fare qualche domanda. La donna continuò poi, per la mezz’ora seguente, a camminare su e giù per il furgone aspettando notizie o un’ulteriore chiamata. Le comunicarono che Gideon Fields era morto quasi quattro anni prima, ma che marito e moglie continuavano ad andare alla cassetta di sicurezza ogni mese. Inviò subito un messaggio con l’informazione a Esposito. Qualcosa non quadrava. Sperò che una chiacchierata con la signora Fields avrebbe portato a qualche spiegazione. Era persa nei suoi pensieri quando il suo cellulare squillò e la riportò alla realtà. Esposito? pensò confusa e sorpresa la detective quando lesse il nome sul telefono.Ma se gli ho mandato la notizia su Gideon Fields nemmeno cinque minuti fa! Come è possibile che l’abbiano già interrogata?
“Esposito dimmi che avete trovato qualcosa” rispose Beckett speranzosa. Dall’altra parte ci fu un mezzo sbuffo.
“Beh, qualcosa abbiamo trovato, ma non credo ti piacerà…” replicò. Le comunicò che avevano rinvenuto Agnes Fields morta in casa, seduta su una sedia del soggiorno. Ryan aveva già chiamato Lanie e la scientifica. Kate lanciò mentalmente un’imprecazione quando il detective le disse del ritrovamento. La donna informò velocemente Peterson sulla scoperta del cadavere e prese la giacca. Aveva bisogno d’aria, così uscì dal furgone. Avrebbe voluto essere lei a esaminare la scena del crimine, ma si accontentò delle informazioni telefoniche che Esposito le stava dando.
“La proprietaria della cassetta deve essere morta da almeno una settimana” le spiegò il detective dal vivavoce, mentre lei usciva dal camioncino. “Dai segni sul collo sembra l’abbiano strangolata”
“Che altro sapete dirmi?” domandò nervosa e stanca.
“La casa è sottosopra. L’assassino cercava qualcosa. C’è una catenina portachiavi rotta al collo della vittima. Ma niente chiave” rispose Esposito.
“La chiave che manca apre la cassetta di sicurezza, presumo” replicò ironica. Ovviamente.
“Non capisco” riprese quello confuso. “ Era una povera bibliotecaria in pensione. Cosa potrebbe esserci in quella cassetta da provocare tutto questo?”
“Dell’oro nazista, la fusione fredda, una mappa per Atlantide…” Kate scosse la testa con un sorriso. Non poteva essere che Ryan quello che aveva appena parlato. A volte passava davvero per un Castle junior. Esposito infatti lo riprese subito allo stesso modo.
“Ehi, Castle, ti dispiace pensare come un poliziotto?” chiese ironico.
“Lo sto facendo” replicò Ryan offeso. Doveva essere più lontano dal ricevitore perché sentiva la sua voce ovattata.
“Davvero?” domandò retorico l’altro detective. Kate scosse ancora la testa divertita nel sentire quei due. A volte sembravano proprio una coppia di sposini.
“Deve essere qualcosa di grosso se hanno dovuto ucciderla, non credi?” sentì dire a Ryan. Dopo nemmeno due secondi lo udì chiamare Esposito. “Ehi superpoliziotto! Guarda qua”
“Che hai trovato?” chiese subito Beckett curiosa.
“Una cimice” rispose. “E non una da quattro soldi. È roba da professionisti…” Mentre ascoltava, Kate si girò verso le transenne e si bloccò. Alexis! La ragazza l’aveva avvistata a stava venendo verso di lei, ma si era bloccata poco lontano vedendola al cellulare. Nella sua espressione poteva leggere angoscia e rabbia, la fronte corrugata.
“Scoprite tutto quello che potete su Agnes Fields. Ora devo andare” disse ai due detective e chiuse la comunicazione. Si prospettava tutt’altro che una conversazione allegra quella con la ragazza. Fece un sospiro, si girò verso la figlia dello scrittore e la raggiunse. Non fece neanche in tempo ad avvicinarsi più di tanto che già Alexis la stava investendo di domande, preoccupata.
“Sono là dentro, vero? So che venivano qui e non rispondevano al telefono!”
“Alexis…” cercò di fermarla la donna, ma invano.
“Mio padre risponde sempre alle mie chiamate! E poi ci sei tu qui!” continuò ancora più nervosa, ma finalmente Kate riuscì a farsi ascoltare.
“Calmati! Ascoltami Alexis! Andrà tutto bene, ok?” le disse con tono sicuro, poggiandole una mano sul braccio. Doveva rassicurarla, rincuorarla. Sia lei che sé stessa. “Comunque sì, sono nella banca” ammise alla fine. La vide trattenere il respiro per un secondo, poi cominciare invece a respirare velocemente, spaventata, gli occhi umidi.
 
“Che posso fare io?”chiese Alexis decisa dopo qualche secondo. Si era un po’ ripresa dalla notizia e ora voleva aiutare. Come lei e il padre, anche la ragazza non riusciva a stare senza fare niente. Ma anche lei avrebbe dovuto adeguarsi alle disposizioni.
“Niente, stiamo facendo il possibile…” rispose la detective scuotendo la testa. Non era facile sentirselo dire e lo sapeva bene.
“Loro sono tutto ciò che ho” esclamò Alexis con gli occhi umidi e la voce leggermente incrinata. Poi si infiammò. “Capito? Sono tutto ciò che ho!” Era arrabbiata e spaventata. Suo padre e sua nonna, la sua famiglia, erano là dentro e lei non poteva fare assolutamente nulla. Una sensazione di impotenza nel vedere Alexis in quello stato pervase la donna.
“Alexis ascoltami!” la richiamò prendendole le braccia per farsi prestare attenzione. La guardò dritto negli occhi, così simili a quelli del padre. “Ti prometto che non succederà niente.” Li avrebbe salvati e avrebbe sbattuto in carcere quel bastardo che ora gli stava facendo provare una simile angoscia. Per Alexis. E per lei.
“Sarà meglio” esclamò la ragazza arrabbiata dopo qualche secondo. La guardò stupita, le sopracciglia aggrottate. Più sorpresa che offesa. Quella risposta, così dura, l’aveva spiazzata. Non se la aspettava da Alexis. Ma poteva capirla.
“Beckett!” si sentì chiamare. Si girò e vide l’agente Morfis a qualche passo di distanza dal furgone proteso verso di lei da sopra una transenna. “C’è una chiamata.” Annuì e tornò a guardare Alexis.
“Devo andare” mormorò veloce e preoccupata. “Tu sta con lei” ordinò poi rivolta ad un agente appena dietro la ragazza prima di avviarsi a passo svelto verso furgone. Poteva sentire lo sguardo della figlia dello scrittore su di sé, mentre risaliva sul camioncino.
 
Si sfilò la giacca e indossò velocemente l’auricolare. Non era previsto che Trapper John richiamasse. Doveva essere successo qualcosa.
“Beckett”
“Allora Kate” cominciò con la sua solita voce calma e quasi annoiata. “Uno degli ostaggi ha avuto una crisi epilettica ed è svenuto. Di norma me ne infischierei, ma gli altri ostaggi si stanno agitando troppo…” E indovina chi si starà agitando più degli altri? Ti prego non fare cavolate Rick! Ho promesso a tua figlia che ti avrei tirato fuori tutto intero! “Perciò, ecco la mia proposta. Manda un paramedico a prenderlo. E in cambio di questa generosità, mi farai avere il pullman tra venti minuti.” Kate si girò verso Peterson. Lui fece un brusco cenno di diniego.
“Mi serve più tempo” rispose Beckett seguendo le indicazioni del detective.
“Non mi interessa. Venite a prenderlo subito. Se non vedo il pullman tra venti minuti, inizio a far fuori gli ostaggi” replicò e chiuse la chiamata. Kate prese l’auricolare e se lo tolse di dosso con una smorfia. Sapeva bene da chi avrebbe cominciato.
“Quanto ci vuole per quel pullman?” chiese scocciata all’agente.
“Trentacinque minuti” rispose quello. Troppo. Anche Peterson doveva aver avuto lo stesso pensiero.
“Gli chieda più tempo” ordinò infatti.
“Non c’è lo concederà mai” replicò scuotendo la testa.
“Allora dobbiamo fare irruzione” disse il capitano in tono neutro, iniziando già ad allontanarsi per dare disposizioni. Ma Beckett lo fermò.
“Non possiamo fare irruzione!” esclamò contrariata.“Non sappiamo in che punto della banca si trovino. Se entriamo alla cieca, gli ostaggi verranno uccisi”
“Se vogliamo salvare qualcuno di loro, non abbiamo scelta” affermò Peterson con tono che non ammetteva repliche. Ma Kate non si sarebbe arresa così.
“Invece sì” dichiarò bloccandolo. Le era venuta un’idea. Lui si girò con un sospiro stanco. “Possiamo usare l’ostaggio che sta male a nostro vantaggio” disse con un mezzo sorriso. Ora il capitano la guardava con curiosità. “Al posto di un paramedico mandiamo un poliziotto con addestramento tattico che può acquisire le informazioni necessarie per fare irruzione nella banca”
“Presumo abbia già qualcuno in mente” disse Peterson con un sopracciglio alzato. Iniziava a conoscerla. Lei fece un mezzo sorriso. Ovviamente.
Si era aspettata che facessero storie alla sua proposta, ma evidentemente avevano notato la decisione e l’esperienza di cui era dotata. Ma soprattutto la testardaggine. Non avrebbe certo lasciato questo compito a un agente qualsiasi. Voleva sincerarsi personalmente delle condizioni del suo partner e degli altri ostaggi. Le diedero una tuta da paramedico e una barella. Un vero paramedico le spiegò brevemente quello che doveva fare vedendo l’ostaggio epilettico, per non fare danni e per non farsi scoprire nel caso i falsi medici all’interno conoscessero le procedure d’emergenza. Cosa di cui dubitavano. Nel giro cinque minuti Beckett era pronta. Prese la barella e si avvicinò alla porta principale della banca. Era circondata da poliziotti in giubbotti antiproiettile, caschi e fucili. Le fecero un cenno per tranquillizzarla della loro presenza quando gli passò accanto. Arrivata davanti alla porta prese un respiro profondo e si morse il labbro inferiore. Avrebbe avuto poco tempo all’interno per studiare la situazione. Sperò di vedere anche la posizione e la condizione degli ostaggi. E di uno in particolare. Dopo qualche secondo vide le porte aprirsi e spinse la barella all’interno. Tre finti medici erano intorno alla porta ad aspettarla, mentre un altro sorvegliava gli ostaggi. Chissà perché, ma si aspettava di vedere lo scrittore proprio vicino all’uomo steso a terra con l’attacco epilettico. Se non altro poté subito constatare che stava bene. Lo vide alzare lo sguardo verso di lei. Ci mise un secondo a riconoscerla, stupito. Non si aspettava la sua entrata. Gli occhi blu di Castle non si staccarono da lei, mentre iniziavano a perquisirla. Kate poté leggere tutta la preoccupazione per gli altri ostaggi, per la madre e forse anche per lei, perché ora era dentro. Se l’avessero riconosciuta, nessuno dei due sapeva cosa sarebbe accaduto. Prestò attenzione all’uomo solo per poco però. Mentre ancora la perquisivano, fece vagare lo sguardo per la banca. Vide gli ostaggi e le loro posizioni. Prese mentalmente nota di tutti i dettagli che poteva nei pochi secondi in piedi davanti alle porte. Le stavano controllando le braccia, quando vide che neanche Castle aveva mantenuto lo sguardo. Lo adocchiò che si stava girando velocemente di nuovo verso di lei, mentre copriva qualcosa nella giacca. Lo vide scrivere qualcosa di nascosto. Quando la lasciarono andare, si avvicinò e si accovacciò vicino all’uomo a terra e a Castle. Il primo lanciava dei piccoli gemiti e sospiri di dolore. Beckett deglutì e cominciò la recita. Non dovevano sospettare che lei e Castle si conoscessero.
“Come sta?” chiese in quello che sperò fosse un tono neutro allo scrittore vicino a lei.
“Non bene” rispose. Dio, quanto mi era mancata la sua voce… Forza Kate concentrati! Sei qui per aiutare a tirarlo fuori! Si guardarono negli occhi per un momento. Capì che il ‘non bene’ non era riferito al solo malato. Con la coda dell’occhio vide che Castle aveva un foglietto raggomitolato nel pugno della mano nascosta dalla giacca. Aspettava il momento migliore per passarglielo. “Si chiama Sal Martino. È epilettico. La crisi sarà stata provocata dallo stress” continuò serio. Kate annuì, ma in parte pensava ad altro. Doveva prendere quel foglietto che lo scrittore continuava a stringere. Era sicura che fosse importante. Si morse il labbro inferiore e si avvicinò all’uomo per controllargli i sintomi, come le aveva spiegato il paramedico.
“Sal? Sono un paramedico” disse richiamando l’attenzione dell’uomo, mentre faceva finta di fare i primi accertamenti. Di certo comunque non stava bene. Tremava, sudava e aveva della bava alla bocca. “Come ti senti?” Non si aspettava una risposta, le sue condizioni parlavano per lui. Perciò continuò a bassa voce “Sal ascoltami, sappi che là fuori ci sono delle persone che tengono a te. Quindi continua a respirare.” Quelle parole però non erano solo per Sal Martino. Erano anche per lo scrittore vicino a lei. Gli aveva fatto intuire che c’era Alexis là fuori. Mentre diceva quelle frasi, prese una mano di Rick e gliela strinse, di nascosto ai rapitori. “Ti prometto che ti tirerò fuori da qui” sussurrò a entrambi, ma girando la testa per guardare il suo scrittore negli occhi. Non l’avrebbe lasciato solo. L’avrebbe tirato fuori da lì. Rick era rimasto un momento spiazzato dal gesto, ma aveva capito. Il suo sguardo diceva che credeva in lei, anche se aveva paura per come avrebbe potuto risolversi il tutto. Dopo qualche secondo, uno dei finti medici li interruppe. Ordinò a Castle di aiutarla a mettere Martino sulla lettiga. In due tirarono su l’uomo, che gemeva, e lo stesero sulla barella. Beckett diede un’occhiata ai rapinatori davanti a lei. Era sicura che l’uomo che era tranquillamente appoggiato alla porta con solo una pistola in mano fosse Trapper John. Non azzardarti a torcere un capello a qualcuno di loro, oppure mi pregherai in ginocchio di risparmiarti. E non basterà. Chiuse l’imbracatura che avrebbe tenuto fermo l’uomo sdraiato, senza rischio di farlo cadere. Per lui quell’incubo sarebbe finito tra poco, mentre per gli altri non avrebbe saputo dire come e quando si sarebbe concluso. Mentre chiudeva l’ultima fascia di protezione lo scrittore riuscì a passarle il foglio che aveva tenuto chiuso nel pugno fino a quel momento. Lo nascose anche lei nel pugno chiuso, appoggiandolo velocemente a un lato della barella. Poi si allontanò da Castle e iniziò a spingere la lettiga verso la porta. Gliela aprirono e lei uscì con essa. Prima che chiudessero la porta si girò indietro. Castle era ancora dove l’aveva lasciato e aveva uno sguardo addolorato, preoccupato e speranzoso. Con gli occhi cercò di fargli sentire la sua determinazione a portarlo fuori di lì vivo. Tornò a guardare davanti a sé quando vide che le stavano chiudendo la porta alle spalle. Spinse velocemente la barella fuori dalla zona della banca verso le transenne per dare modo ai veri paramedici di portare Martino in ospedale. Vide Alexis appoggiata a una delle barriere e si avviò verso di lei per darle notizie.
“Tuo padre sta bene” esclamò. “Anche tua nonna…” continuò, ma si bloccò. Aveva tirato fuori il biglietto che le aveva dato Castle e l’aveva appena letto. Le ultime parole le uscirono in un sussurro. “…sta bene.” Alexis aveva notato subito il cambiamento di tono della detective.
“Che succede?” chiese preoccupata.
“Alexis va subito dietro la linea gialla e resta lì! Allontanatela subito!” ordinò poi a un agente dietro la ragazza. Non aveva tempo per le spiegazioni. Il foglietto conteneva solo una lettera e un numero, scritti con la veloce calligrafia di Castle. C4. Avevano dell’esplosivo nella banca! Non sapeva come lo scrittore avesse avuto quell’informazione, ma questo cambiava molte cose. Doveva subito allertare gli agenti e far allontanare tutti.

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Capitolo 2
*** Part Two ***


Part Two

Beckett corse immediatamente dentro il furgoncino con su scritto POLICE e disse subito a Peterson del messaggio di Castle.
“Hanno il C4?” domandò sorpreso il capitano, aggrottando le sopracciglia. Kate annuì.
“Io non l’ho visto, ma se Castle dice che c’è vuol dire che è così” rispose.
“Allora un’irruzione è fuori discussione” esclamò categorico Peterson. “Non posso mandare i miei uomini a macello. Metteremo i rapinatori sul pullman”
“Il pullman sarà qui tra venti minuti e c’è ne restano solo cinque. Inizierà a uccidere gli ostaggi” disse scoraggiata dopo aver dato uno sguardo al suo orologio da polso.
“Deve guadagnare altro tempo” le disse il capitano per poi allontanarsi per ordinare a un suo agente di chiamare il rapinatore. Kate fece un sospiro rassegnato. Riprese l’auricolare e si preparò allo scontro che ne sarebbe seguito da quella richiesta. Trapper John rispose al secondo squillo.
“Dov’è il mio pullman?” esordì questa volta. Sembrava aver perso un accenno della calma che aveva mantenuto fino a quel momento.
“Il pullman sta arrivando, sarà qui tra venti minuti” rispose. Aveva le mani sui fianchi e aveva iniziato a fare su e giù per il furgone come le altre volte faceva Peterson.
“E gli ostaggi moriranno tra due minuti” esclamò quello, come se fosse una cosa ovvia.
“No! Ascolta, non morirà nessuno. Ok? Il pullman sta arrivando, è solo bloccato nel traffico.” Sperò che questo bastasse, ma era un’illusione.
“Ti ricordo il nostro patto Kate. Se non mi porti il pullman, ucciderò gli ostaggi. E io mantengo sempre la mia parola”
“E io manterrò la mia! Mi serve solo…” ma lui la interruppe.
“Ti avevo avvertita. Non dovevi prendermi in giro. Conosci bene le conseguenze, devo provarti che non scherzo? Vuoi questo?” No, doveva calmarlo. Non doveva andare così. Si stava agitando troppo, si stava arrabbiando, e questo non era un bene per gli ostaggi.
“Ok facciamo entrambi un respiro profondo, così ne discutiamo con calma” disse cercando di placarlo, ma ottenne l’effetto contrario.
“Non voglio più discutere!” urlò al telefono. Poi sentì uno sparo che le fece perdere un battito.
“Cos’è stato?” chiese subito allarmata.
“Uno sparo di avvertimento Kate! Al prossimo morirà un ostaggio!” No! Meno di un secondo dopo sentì chiaramente la voce di Martha che gridava contro Trapper John e quella di Castle che cercava di fermarla. “Kate!” la chiamò Trapper John. “Sto per macchiare di rosso il tuo fidanzato!” Rick! “Ho la pistola puntata alla sua gola e farò un bel quadro di Pollock con le sue budella!” le urlò.
“Deve calmarlo” sentì dire a Peterson vicino a lei, ma non lo ascoltò minimamente. Stava minacciando Castle. Lui aveva fatto la sua mossa. Ed era quella sbagliata. Ora toccava a lei.
“Ascolta bene, jackass! Io non controllo il traffico. Quindi dovrai darmi altri venti minuti!”
“Hai solo un minuto Kate!”
“No! Ne ho venti” rispose sillabando e spuntando veleno a ogni parola. “Hai capito? Venti. E se provi a premere quel grilletto… Entrerò là dentro e io stessa ti ficcherò una pallottola nel cranio.” Ci fu qualche secondo di silenzio assoluto e teso.
“D’accordo Kate” rispose quello ritornando al suo solito tono calmo. “Hai altri venti minuti” e chiuse la chiamata. La donna si accorse solo in quell’istante di aver trattenuto il respiro.
“È un altro modo di negoziare…” sentì commentare Peterson dietro di lei. Aveva un tono a metà tra l’ammirato e lo stupito.
 
Kate tolse l’auricolare e si aggrappò al bancone davanti a lei per non cadere. Era andata bene sì, ma aveva rischiato parecchio. Chiuse gli occhi per qualche istante e prese un respiro profondo. Però ora che ci pensava le sembrava strano. Prima aveva fatto un sacco di storie per la puntualità del pullman, mentre dopo aveva ceduto facilmente. Troppo facilmente… Scosse la testa e si girò verso Peterson che la stava chiamando. Stava per ricontrollare i punti da cui attaccare con gli altri agenti e voleva che sentisse. Si avvicinò e si appoggiò al banco dietro di lui.
“Mancano 18 minuti. Rivediamo le postazioni…” disse il detective. Beckett sentiva che Peterson parlava, ma non prestava attenzione. Perché è stato così facile? Dopo qualche secondo di ripensamenti, un’altra domande le sorse spontanea e finalmente esternò il suo pensiero, interrompendo Peterson.
“Come mai non mi ha chiesto niente?” domandò, più a sé stessa che al detective davanti a lui.
“Che cosa?” chiese quello in risposta, irritato per essere stato bloccato. Kate sembrò ritornare alla realtà in quel momento.
“Signore… Ci ha concesso altri venti minuti, ma stranamente non ha chiesto niente in cambio” rispose cercando di spiegare il suo punto di vista. Trapper John era un tipo freddo e calcolatore. Forse anche la scena della sparatoria era predisposta per farli rimanere nei tempi. Ma finora aveva sempre chiesto uno scambio, come il pullman per l’ostaggio epilettico. “Se avesse voluto mantenere il controllo, avrebbe preteso qualcosa in cambio. Insomma è fin troppo facile così”
“Si goda la vittoria” le rispose Peterson secco. Il capitano non capiva.
“No senta, ci sfugge qualcosa. Non stiamo facendo le domande giuste.” Di solito negli interrogatori sapeva sempre cosa chiedere, ma stavolta qualcosa non quadrava. “Insomma… Serve il C4 per rapinare una banca? E come può essere collegato l’omicidio di Agnes Fields?” Troppe domande. E stavolta non aveva nessun sospettato da poter interrogare. Stavolta poteva fidarsi solo del suo istinto e della sua logica. E il suo istinto le stava urlando che c’era qualcosa di sbagliato. Peterson la guardò per qualche secondo, soppesando le sue domande. Poi un agente gli passò il telefono e interruppe quel contatto, lasciando aperti gli interrogativi della donna. Ma Beckett non si sarebbe fermata.
 
Kate chiamò Esposito per vedere se almeno lui riusciva a risolvere qualcuno dei suoi dubbi.
“Scoperto qualcosa sulla vittima?” chiese.
“Abbiamo esaminato i tabulati telefonici e parlato con i vicini, ma finora niente” rispose il detective. La donna si passò una mano sul viso, stanca e delusa.
“E riguardo alla cassetta di sicurezza nella banca? Qualcuno fingeva di essere il suo defunto marito per accedervi ogni mese. Qualche pista?”
“No, per ora niente” sentì rispondere Ryan, più in lontananza.
“Altri parenti?”
“Uhm, non aveva parenti in vita” replicò stavolta Esposito. “Suo marito è morto. E sua figlia e suo nipote sono morti in un incidente in barca circa un anno fa”
“L’unico parente in vita è il genero, Ron Brandt. Abbiamo provato a chiamarlo, ma non ha risposto” continuò Ryan. Beckett fece un sospiro.
“Sentite, non c’è tempo per aspettare che risponda al telefono. Quindi cercatelo…” Uno scoppio le fece interrompere la frase. Kate perse un battito e le mancò il respiro. Il botto aveva fatto tremare il furgone e lei ora aveva le mani agganciate al banco dietro di lei. Il cellulare le era caduto a terra, ma neanche se ne era accorta. La bocca semiaperta dallo stupore. No… Non poteva essere… Non poteva averlo fatto davvero! pensò terrorizzata. Non riuscì a muoversi per qualche secondo, poi deglutì, lasciò andare il bancone e si avviò a passo lento verso la porta del camioncino. La aprì e scese il gradino per arrivare all’asfalto. Ma doveva essersi chiuso sui suoi piedi perché non riuscì più a muovere un muscolo quando alzò gli occhi sulla banca. O meglio su ciò che ne restava. Del fumo chiaro avvolgeva tutto l’atrio, nascondendo i danni alla vista. Avevano fatto scoppiare il C4. No… NO! Si accorse a malapena degli altri agenti e delle persone intorno a lei. Qualcuno urlava ancora, spaventato. Altri avevano la sua stessa espressione attonita. Altri ancora, soprattutto poliziotti e artificieri, chiamati alla notizia dell’esplosivo, correvano o si spostavano per sottrarsi al fumo. Fu subito organizzata una squadra di ricognizione all’interno della banca. Kate si presentò immediatamente volontaria. Le diedero un giubbotto antiproiettile, per precauzione, che indossò subito, mentre Peterson decideva chi altro fa entrare. Impugnò la pistola e un torcia elettrica. Poi si avvicinarono alla porta, Beckett in testa. Fu però spinta dietro due agenti perché non perfettamente equipaggiata in caso di assalto. Il fumo si stava diradando velocemente per fortuna. Scostarono i resti dell’entrata e si avventurarono dentro velocemente.
“Castle!” gridò appena varcata la soglia della porta. In tre passi si portò comunque in testa al gruppo, ignorando gli ordini. Ti prego rispondimi! Dimmi che sei vivo! “Castle!” gridò ancora sempre più preoccupata. Iniziava a disperare di trovarlo vivo. “Castle!”
“Beckett?” urlò una voce stupita in risposta. Veniva da davanti a lei. Ed era la voce dello scrittore. Kate puntò subito nella sua direzione, finché non lo vide dietro una doppia porta con le sbarre. E con lui c’erano gli ostaggi, tutti seduti a terra. Sembrava una gabbia, ma doveva essere stato il luogo in cui erano custodite le cassette di sicurezza. Illuminò Rick con la pila. Era in un angolo, vicino alle sbarre. Le fece un mezzo sorriso sollevato e alzò una mano come saluto.
“Sono qui!” gridò Kate all’indietro per avvertire gli agenti aprendo la prima grata. Gli ostaggi erano dentro la grata più interna. Corse in avanti e aprì anche la seconda. Non erano chiuse a chiave. Mentre entrava, sentì Castle gongolare felice.
“Ve l’avevo detto, no?” esclamò scoppiando in una risata liberatoria. Kate sentì vagamente gli altri ostaggi, compresa Martha, che mormoravano sollevati. Si inginocchiò davanti allo scrittore, tra le sue gambe. Vide che aveva i polsi legati. Rimise la pistola nel fodero ed estrasse un coltello dalla tuta. Non poté fare a meno di guardarlo e sorridergli. Era davvero vivo, davanti a lei. E lui rispondeva con un sorriso altrettanto sollevato.
“Ora ti libero” mormorò allo scrittore. Gli tagliò la fascetta che gli teneva i polsi con solo colpo. “Ecco fatto” disse in un sussurro. Poi alzò gli occhi per legarli ai suoi. Aveva avuto paura di non poterlo più fare. Senza pensarci si avvicinò leggermente allo scrittore e gli prese delicatamente il colletto della giacca per sistemarglielo. Non sapeva perché l’aveva fatto. Aveva agito d’impulso, “Come stai?” chiese preoccupata e felice. Non riusciva a smettere di guardare in quei suoi occhi blu e sorridere. Il sorriso dell’uomo invece di spense un poco al gesto della detective. Non se lo aspettava, ma non sembrava dispiaciuto. Anzi pareva quasi in attesa e ora che si era ripreso stava sorridendo ancora di più. Kate lo vide muoversi impercettibilmente in avanti, quando la voce di Martha bloccò entrambi e li fece girare verso di lei.
“Non è l’unico qua dentro, sai?” esclamò la donna con un sorriso mostrando i polsi legati. Ah sì? fu il primo pensiero, stupito, di Kate a quelle parole. Poi si riprese scuotendo leggermente la testa. Per un momento si era completamente dimenticata degli altri ostaggi.
“Oh, scusami…” disse la detective imbarazzata lasciando il colletto della giacca di Castle. Vide l’uomo alzare gli occhi al cielo, portare la testa all’indietro e sbatterla con una mezza smorfia contro la parete di cassette di sicurezza cui era appoggiato. Sentì un piccolo tonfo vuoto quando la testa gli cozzò contro uno dei contenitori di metallo. Beckett però era quasi certa che la smorfia dello scrittore non fosse dovuta al dolore per la zuccata. Non riuscì anche in questo caso a trattenere un sorriso. “Perdonami Martha” mormorò ancora la detective. “Ti libero subito. Come stai?” chiese tagliando la fascetta ai suoi polsi.
“Mi fischiano un po’ le orecchie” commentò l’attrice. “E a te?” domandò poi rivolta al figlio.
“Sì, anche a me…” mormorò lui con tono rassegnato. Beckett li aiutò ad alzarsi e si avviarono verso l’uscita della stanza, insieme agli altri ostaggi liberati e agenti. Mentre tutti uscivano, si accorse che Peterson era sulla porta della camera di sicurezza ad aspettarli.
“Manca qualcuno?” chiese a quello che doveva essere il direttore della banca, appena dietro Beckett.
“No. Siamo tutti qui e stiamo bene” rispose quello con un sospiro sollevato.
“Che fine hanno fatto i rapinatori?” domandò allora Beckett. Non potevano essersene andati senza che nessuno li vedesse.
“Sono morti. Nell’esplosione” rispose il capitano lapidario.
“Che cosa?” esclamò sorpresa la donna, aggrottando le sopracciglia.
“A quanto pare il C4 serviva per la loro fuga” rispose. Dopo qualche passo si fermò e indicò la camera blindata della banca alla loro sinistra, quella in cui erano depositati i contanti. Era completamente distrutta. La porta con le sbarre divelta. Martha si portò le mani alla bocca, inorridita. “Hanno scavato un passaggio nel pavimento del caveau che porta a una stazione della metropolitana abbandonata.” Kate era rimasta stupita dalla scena, ma anche dall’intelligenza di Trapper John. Sarebbero scappati senza che nessuno se ne accorgesse e poi avrebbero fatto esplodere le tracce e gli ostaggi. “Ma devono aver commesso un errore. Hanno fatto scattare l’esplosione in anticipo e sono saltati in aria” concluse Peterson. Non è possibile... pensò Kate.Trapper John era intelligente e calcolatore. Non avrebbe mai sbagliato a regolare il timer o l’esplosivo.
“Come è possibile?” chiese Castle esponendo il suo stesso dubbio. “Il C4 è un esplosivo molto stabile. Non ci si può sbagliare e loro non erano ladruncoli da quattro soldi” disse rivolgendosi a Beckett, cercando di spiegare ciò che aveva notato dei rapinatori. “Sembravano ben addestrati. Non avrebbero commesso un errore del genere” disse convinto. Peterson alzò le sopracciglia dubbioso.
“Sicuro? Perché i loro corpi smembrati dimostrano il contrario” replicò. Non trovando appoggio dall’uomo, Castle si girò verso Kate. Sapeva che poteva leggere il suo stesso pensiero. Beckett però non continuò la conversazione. Non era né il momento né il luogo. Rick e Martha avevano qualcuno da riabbracciare fuori e lei voleva uscire da quella banca ormai distrutta e che portava con sé solo pensieri d’angoscia, fumo nei polmoni e odore di corpi carbonizzati. Aveva bisogno di aria pulita per pensare lucidamente.
“Andiamo via da qui” disse infine. Si diressero quindi senza dire niente verso l’uscita. Kate avanzò di qualche passo, appena fuori dalla banca, per chiamare con un gesto i paramedici delle ambulanze presenti. Rick e Martha stavano aiutando la cassiera incinta Simon a camminare. Poi vide l’attrice trattenuta dal direttore della banca e notò che le passava un biglietto da visita. Fece un mezzo sorriso alla scena e si girò verso lo scrittore. Aveva appena lasciato la cassiera a un paramedico e anche lui stava osservando la madre. Kate poi lo guardò girarsi e bloccarsi con gli occhi in un punto poco distante, vicino alle transenne. Alexis. Lo vide mormorare il suo nome e dirigersi a passo spedito verso la figlia che gli corse incontro, chiamandolo. Si abbracciarono stretti. Dopo qualche secondo, Martha li raggiunse e si unì anche lei all’abbraccio. Kate era qualche passo dietro di loro e li osservò con gli occhi che minacciavano di farsi umidi. Era riuscita a mantenere la promessa. Le aveva riportato la sua famiglia. Poi Alexis, immersa in un ulteriore abbraccio di padre e nonna, alzò la testa verso di lei. Aveva gli occhi lucidi. Non disse niente. Semplicemente la guardò e le fece un quasi impercettibile cenno con la testa per ringraziarla. Kate le sorrise in risposta. Dopo qualche secondo vide le figure di Ryan ed Esposito che si avvicinavano e si fermavano poco lontano. Li raggiunse, lanciando un ultimo sguardo ai tre.
“Stanno tutti bene?” chiese Esposito.
“Sì, devono solo riprendersi dallo shock” rispose con un sospiro.
“Sappiamo che i rapinatori sono morti” disse Ryan. Beckett scosse la testa.
“Non capisco. Un’anziana viene uccisa per la chiave della sua cassetta di sicurezza, alla quale il suo defunto marito accedeva ogni mese. E poi questo!” esclamò indicando la banca dietro di sé. “C’è qualcosa che ci sfugge” continuò mordendosi l’interno della guancia, nervosa e scocciata. Doveva esserci un nesso che non vedeva. Le venne in mente che prima dell’esplosione stavano parlando al cellulare. “Che stavate dicendo prima sull’unico parente in vita di Agnes Fields?”
“Il genero, Ron Brandt” rispose Ryan tirando fuori il cellulare. “Gli abbiamo lasciato un messaggio, ma ha molti affari oltreoceano. Potrebbe essere all’estero” continuò mostrandole la foto della patente dell’uomo dal telefono. “Abita in un attico nell’Upper Est Side. Potremmo andare lì a…”
“Aspetta, aspetta…” mormorò bloccandolo. “È lui il genero?” chiese con gli occhi sgranati, stupita.
“Sì, perché?” domandò il detective confuso. L’uomo nella foto, Ron Brandt, era lo stesso che aveva portato fuori lei stessa in barella mezz’ora prima. Sal Martino.
“Era uno degli ostaggi!” esclamò. “Ha avuto una crisi epilettica e…” si bloccò. Potrebbe essere che sia lui il nesso? Ma allora… “Oh, no” mormorò tirando fuori il cellulare. Compose velocemente il numero dell’ospedale in cui era stato ricoverato. Le rispose una ragazza, probabilmente un’infermiera. “Sono il detective Beckett, polizia di New York” disse all’apparecchio. “Voglio notizie su un paziente ricoverato oggi in seguito a una rapina, Sal Martino.” Ma la risposta non le piacque per niente. Martino, o Brandt, era uscito dall’ospedale ed era sparito. Lo comunicò anche ai due detective davanti a lei.“Non c’è dubbio è stato lui a orchestrare tutto questo!” esclamò furiosa. Quell’uomo l’aveva presa in giro.
 
Kate si cambiò velocemente, mentre i due detective si avviavano al distretto. Lei li raggiunse poco dopo. Non ci fu verso a convincere Castle a non venire, così portò anche lui. Non che a Kate dispiacesse. Gli piaceva avere di nuovo la presenza dello scrittore intorno, ma pensava volesse riposarsi. Evidentemente anche lui però credeva che il solo modo per far finire quel giorno era trovare Brandt e arrestarlo.
“Allora, Ron Brandt dirige un’azienda internazionale che fornisce forze speciali alle industrie della difesa” disse Esposito leggendo da una cartelletta che aveva in mano.
“Ok, quindi usa le sue conoscenze in ambito militare per ingaggiare dei mercenari” dichiarò Castle. “E per coprire ogni traccia manomette il timer dell’esplosivo”
“Ci vuole sangue freddo” commentò il detective.
“E avrebbe fatto tutto questo per il contenuto di quella cassetta di sicurezza?” chiese confusa con le sopracciglia aggrottate Beckett. “Castle, hai detto che c’erano lettere e foto all’interno, giusto?” Glielo aveva raccontato, mentre arrivavano in auto al distretto.
“Sì” rispose lo scrittore. “Brandt allora deve averle prese quando si è fatto accompagnare in bagno. Poi ha finto la crisi epilettica ed è stato liberato” ricostruì Castle.
“Ma perché? Che c’era di così speciale nella cassetta di sicurezza della ex-suocera?” domandò ancora Beckett.
“Hai detto ex-suocera?” la interruppe lo scrittore. Sembrava essere stato colto da un’illuminazione.
“Sì” rispose Esposito. “Circa un anno fa, Tania, la moglie di Brandt e figlia di Agnes, è morta in un incidente in barca insieme al figlio Connor”
“No, no. Brandt mi ha parlato del figlio. E non ne ha parlato come se fosse morto” esclamò convinto lo scrittore. “Connor è ancora vivo.” E lo scrittore aveva ragione. I corpi dei due non erano mai stati ritrovati e Ryan scoprì dei sospetti precedenti per violenza domestica dell’uomo. Brandt però non era mai stato accusato perché aveva le giuste conoscenze. Capirono che Tania si era nascosta con il figlio dopo aver finto la propria morte, ma era rimasta comunque in contatto con la madre, Agnes, attraverso la cassetta di sicurezza. Tania spediva lettere e foto a un intermediario che poi lasciava il tutto nella cassetta, fingendosi il marito dell’anziana donna. Brandt, sospettoso sulla morte di moglie e figlio, aveva nascosto delle cimici nella casa della suocera e aveva scoperto il trucco. Quindi aveva fatto uccidere Agnes e creato la messinscena alla banca per scoprire da dove venivano spedite le lettere. La sua idea era una sola: uccidere la moglie e riprendersi il figlio. Scoprirono, attraverso degli assegni di Agnes, che l’intermediario era un prete, padre Sean McCaskey, lo stesso che aveva officiato il funerale di Tania e Connor. Beckett e Castle andarono subito a parlare con lui e si fecero dire dove erano nascosti madre e figlio. La detective avvertì la polizia di Ithaca, dove abitavano Tania e Connor.
 
Erano tornati al distretto ed erano rimasti per tre quarti d’ora in ansia vicino al telefono. Finalmente questo squillò per annunciargli l’arresto di Ron Brandt ad Ithaca. Quando mise giù il telefono si girò verso i tre uomini. Ryan ed Esposito erano in piedi davanti alla sua scrivania, in attesa. Castle invece era sulla sua sedia, a lato della stessa.
“Li hanno trovati” annunciò sollevata. Erano arrivati appena in tempo, un momento prima che Brandt sparisse con il figlio. Tania era un po’ malconcia, ma per il resto stavano bene. Lo scrittore fece un segno di vittoria ed Esposito si animò subito.
“Andiamo a prenderli!” disse felice al suo partner.
“A Ithaca?” domandò quello preoccupato. Erano 4 ore di auto. Appena si allontanarono, Kate si sedette finalmente con un sospiro sulla sua sedia. Decisamente una giornatina niente male… pensò. Ovviamente non poté mancare un commento di Castle, ora che tutto si era concluso per in verso giusto.
“Perfino da ostaggio ti aiuto a risolvere gli omicidi” esclamò compiaciuto. La donna non poté fare a meno di sorridere da dietro le mani incrociate davanti al volto. Castle aveva portato una mano al mento e sembrava stesse pensando a qualcosa di molto importante. “Beckett, credo che… tu abbia il partner perfetto!” Una risata le venne spontanea.
“Già, tranne quando si tratta si scartoffie!” replicò.
“Touché” rispose l’uomo. Forse comunque non hai tutti i torti Castle… pensò Kate guardandolo sempre con un sorriso.
“Allora, andiamo al tuo pub?” chiese poi riprendendosi. “Ti offro da bere.” La musa aveva voglia di coronare quella serata con il suo scrittore.
“No” rispose però lui a sorpresa. “Ho una proposta migliore” continuò con un mezzo sorriso. Beckett inclinò appena la testa di lato, curiosa. La proposta consisteva in una cena a casa Castle insieme a Martha e Alexis. Accettò con piacere. Aveva assolutamente bisogno di stare con qualcuno quella sera, che non fosse il suo freddo e vuoto appartamento. E quale compagnia migliore dell’intera famiglia Castle?
Appena Richard aprì la porta, Kate si ritrovò stretta in un abbraccio di Martha.
“Oh, Kate! Che piacere averti qui, splendida creatura! Entra pure. Unisciti a noi.” L’attrice era decisamente allegra quella sera. E ne aveva tutte le ragioni. Si avvicinarono alla tavolo del salone dove tutto era pronto per cenare e Beckett vide che la donne si era data un gran da fare. C’era abbastanza cibo per far mangiare tutto il distretto.
“Come hai fatto a fare tutto questo?” chiese curiosa e sorpresa con un sorriso.
“Ah, beh, scampare alla morte ti porta a festeggiare la vita!” disse con tono teatrale, ma dietro a quelle parole percepì tutta l’angoscia per quel giorno da dimenticare. “Stasera facciamo festa!”
“Dov’è Alexis?” chiese poi lo scrittore. In effetti la ragazza non si era ancora vista. Martha le indicò lo studio e l’uomo ci si avviò lasciando Kate e la madre a fare brindisi e a chiacchierare. Tornarono in salone qualche minuto dopo quando Martha chiamò la nipote in cucina. Alexis fece un cenno di saluto a Kate con la testa, mentre le passava accanto e lei rispose con un sorriso. La donna aveva in mano due bicchieri pieni a metà di vino e ne porse uno allo scrittore.
“Non ti ho ancora ringraziato a dovere per avermi salvato la vita” disse Rick prendendo il calice.
“Oh, non c’è ne bisogno Castle. Siamo partner. Ci salviamo a vicenda” replicò con un sorriso.
“Già” disse avvicinando il suo bicchiere a quello della donna per un brindisi. “Anche se non sei ancora alla pari…” commentò sottovoce lo scrittore, ma Kate lo sentì benissimo e scostò il calice.
“Aspetta… Che intendi dire?” chiese sospettosa.
“Solo che è l’ottava volta che mi salvi la vita, mentre io te l’ho salvata nove volte” rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Aveva una faccia da schiaffi terribile in quel momento.
“Ok, innanzitutto non riesco a credere che tu stia tenendo il conto…” replicò la detective cercando di rimanere seria. Però un sorriso le scappò comunque. Lui la guardò con finta faccia stupita. “E poi non mi hai salvato la vita più volte di quanto l’abbia fatto io. 9? Ma per favore” continuò. Non è possibile che Castle mi abbia salvato la vita più volte di quanto abbia fatto io! O sì…?
“Facciamo un ripasso ti va?” replicò allora lo scrittore con un mezzo sorriso. “La prima volta è stata quando ho distratto con una bottiglia di champagne quell’uomo armato e, sì!” bloccò la detective prima che potesse controbattere. “Ti ho salvato la vita quella volta. L’hai ammesso anche tu!” Va bene quella poteva tollerarla. Era vero, l’aveva ammesso anche lei. Era successo in uno dei loro primi casi assieme. Si avviarono al tavolo apparecchiato, dove Martha e Alexis li aspettavano. Si sedettero mentre ancora Richard continuava a elencare le volte in cui l’aveva salvata. “La seconda volta è stata… ah già! Quando il serial killer ha fatto esplodere una bomba in casa tua, mentre eri sotto la doccia. Ho affrontato delle fiamme infernali per tirarti fuori dalla vasca da bagno…” Kate era sbalordita. Aveva veramente tenuto il conto delle volte in cui si erano salvati la vita a vicenda! Lo scrittore continuò per tutta la cena, bisticciando con la sua musa, mentre tentava di trovare un modo per non dargliela vinta. Ma era impossibile. Rick aveva ragione: le aveva davvero salvato la vita 9 volte, mentre lei solo 8.
“Beh, sono una poliziotta. Dovrebbe essere normale che io sia più nei guai di te, no?” aveva dichiarato a fine cena Beckett, sconfitta dalla memoria del suo partner. L’uomo ridacchiò. Chiacchierarono ancora per un’ora anche dopo cena, finché la stanchezza non ebbe la meglio. Martha aveva mantenuto il sorriso tutta la sera e anche ora che si apprestava ad andare a dormire sembrava che nulla sarebbe riuscita a turbarla. Salutò figlio e nipote e abbracciò ancora una volta la detective prima di sparire di sopra. Alexis invece le era sembrata per tutto il tempo sollevata, ma anche turbata. Quando la nonna salì, chiese alla detective se potesse parlarle un momento. Rick, con la scusa di dover mettere a posto la tavola e lavare i piatti, se ne andò in cucina, lasciando sole le sue donne. Si infilarono nello studio dello scrittore. Dopo qualche secondo di silenzio, Alexis finalmente parlò.
“Mi dispiace Kate” disse solo facendo un sospiro e senza guardarla negli occhi. La detective aggrottò le sopracciglia.
“Per cosa?” chiese confusa.
“Per quello che ti ho detto oggi, ma soprattutto per il tono in cui l’ho detto” rispose la ragazza mortificata. Kate scosse la testa con sorriso.
“Eri sconvolta Alexis. Tuo padre e tua nonna erano dentro quella banca. Uno scoppio di rabbia era più che giustificato” la rassicurò. In quel momento la ragazza alzò la testa e la guardò con occhi lucidi.
“Sì, ma tu stavi facendo di tutto per aiutarli e io…” cominciò con voce rotta. Kate le mise una mano sul braccio e la fermò.
“Alexis ascoltami. Non sono arrabbiata con te. Tu eri turbata e spaventata. So cosa vuol dire perdere qualcuno che ami. So che emozioni si prova. E so cosa vuol dire aver paura che succeda qualcosa a qualcuno a cui tieni. Rimanere nell’incertezza. Conosco la sensazione” disse amaramente. “Ognuno reagisce a modo suo in questi momenti. La tua reazione è stata la rabbia. Non c’è niente di cui vergognarsi. E niente di cui scusarsi” disse la donna con tono dolce e rassicurante, anche se con un velo di tristezza, senza staccare il legame tra i loro occhi. Diceva la verità. Aveva perso sua madre e il terrore di perdere qualcun altro a lei caro era stato un incentivo a costruirsi intorno un muro. Quel muro che il padre della ragazza davanti a lei stava faticosamente e inesorabilmente distruggendo. Alexis la fissò ancora per qualche secondo, poi fece un passo avanti e l’abbracciò. Kate la strinse a sé confortandola. Quando la ragazza si scostò da lei, Kate la guardò ancora negli occhi. “Non aver paura di mostrare ciò che senti. Inoltre sfogarsi con qualcuno a volte serve a riprendere lucidità” disse la detective con un mezzo sorriso, che Alexis ricambiò, anche se un po’ di scuse. “Se hai bisogno di qualcuno, anche solo per parlare, ricordati che per te ci sarò” continuò. Lo aveva promesso anche allo scrittore tempo prima e non sarebbe mai venuta meno a questo impegno. La vide annuire e stavolta farle un sorriso un po’ più largo. Kate notò però che c’era ancora un fondo di tristezza in quegli occhi blu, ma non chiese niente. Non c’è ne fu bisogno comunque, perché Alexis stessa le confidò di aver lasciato Ashley quella sera. Beckett cercò un po’ di rincuorarla, poi scoppiarono a ridere quando Alexis fece un mega sbadiglio nel bel mezzo si una tirata contro l’ormai ex-ragazzo. Era stata una dura giornata anche per lei. Tornando nel salone, trovarono Rick seduto sul divano che faceva zapping alla tv.
“Ehi, tutto bene?” chiese sorridendo e passandosi una mano nei capelli. Sembrava tranquillo e rilassato. Kate però vide benissimo che era preoccupato per la sua bambina. Lo zapping era solo un modo per passare il tempo senza che lo beccassero a girare come un’anima in pena per la stanza. Entrambe annuirono.
“Sì, tutto bene papà” disse Alexis sorridendo e lanciandole un’occhiata d’intesa. “Ora vado a dormire. Domattina c’è scuola. Buonanotte!” Salutò Kate, baciò il padre su una guancia e salì anche lei di sopra. Rick la guardò andare di sopra con occhi teneri. Probabilmente aveva pensato di non poterlo più fare in quella maledetta banca. Poi si girò verso Kate.
“Non so cosa tu le abbia fatto o detto, detective, ma ora è molto più tranquilla di quando è entrata in quello studio” disse con tono riconoscente. La donna sorrise e fece un cenno col capo come ringraziamento.
“Niente di che. Abbiamo solo fatto qualche chiacchiera al femminile” rispose. L’uomo ridacchiò.
“Ok, se questo è un modo per dirmi che da te non saprò niente, rinuncio in partenza” replicò alzando le mani in segno di resa. Beckett scoppiò a ridere.
“Bravo Castle, vedo che hai capito!” replicò scherzosa. Quando lo guardò però si accorse che era diventato più serio.
Thanks” disse solo. Kate si perse nei suoi occhi blu. Aveva uno sguardo dolce in volto e sinceramente riconoscente. Per aver salvato lui e la madre. Per aver confortato Alexis.
Always” rispose. Dopo qualche secondo però, Kate si sottrasse a quello sguardo magnetico e diede un’occhiata distratta al suo orologio. “È tardi ora. Domattina sveglia presto, mentre tu sicuramente vorrai riposarti dopo la giornata di oggi.” Lo vide sospirare e annuire. “Vieni pure nel pomeriggio se vuoi. O prenditi la giornata libera domani” continuò poi sorridendogli. Lui ridacchiò.
“Non so… dipende da che ora mi sveglierò, credo. Comunque spero non ci siano omicidi domattina, perché il tuo partner perfetto ha tutta l’intenzione di dormire.” Kate alzò gli occhi al cielo senza che il sorriso le sparisse dal volto. Poi si avviò verso l’uscita. Rick le porse la giacca e le aprì la porta. “Beh, buonanotte detective” disse lo scrittore. Sembrava un po’ triste. A vederlo con quello sguardo da cucciolo, Kate non resistette e ancora una volta, come in banca, agì d’impulso. Si avvicinò a Rick e gli diede un bacio sulla guancia, forse un po’ più lungo e un po’ più vicino alla bocca del normale. Lo scrittore era immobile, stupito dal gesto, la bocca semiaperta. La guardò prima come perso, poi con uno strano luccichio negli occhi.
“Buonanotte scrittore” rispose con un sorriso e un po’ rossa in viso. Un attimo prima di girarsi e andare verso l’ascensore, vide chiaramente la consapevolezza della realtà di quel gesto farsi strada nello scrittore. E scorse, con la coda dell’occhio, anche il sorriso fantastico che gli nacque in viso subito dopo, ancora sulla porta, mentre lei entrava in ascensore con un sorriso altrettanto grande.

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Xiao!! :D
Allora spero vi sia piaciuta questo 'resoconto' delle emozioni di Kate e la parte finale! ;) Avevo voglia di scriverlo e con un po' di pazienza ho rivisto la 4x7 in italiano per i dialoghi e in inglese per le intonazioni. Di solito i doppiatori mi piacciono, ma in questa puntata mi avevano soddisfatto un po' poco... Ok so che il vostro primo pensiero sarà "Che voglia...", ma che ci volete fare ero ispirata così! X) 
Detto questo, spero che mi lasciate qualche recensioncina, giusto per sapere che ne pensate! :)
A presto! :)
Lanie

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