Eternamente tua.

di asyouwishmilady
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


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«E' come la gravità: il tuo baricentro si sposta.
Improvvisamente non è più la terra a tenerti attaccato qui.
Faresti qualunque cosa, saresti qualunque cosa di cui lui ha bisogno.
»


In ufficio faceva abbastanza freddo, nonostante la piccola stufa elettrica, appostata sotto la grande scrivania comune, fosse perennemente accesa. Carol, la segretaria, aveva comunicato la settimana precedente che l’impianto di riscaldamento era andato in panne, ma tutti sapevano che in realtà quello era soltanto uno dei tagli che il boss aveva dovuto compiere, con suo – e nostro - grande dispiacere. Stavamo fallendo. Certo, chi comprerebbe un mensile da 5 dollari, durante il clou della crisi finanziaria?
Io non amavo particolarmente il mio lavoro: l’ufficio fatiscente, le colleghe pettegole, le banali rubriche che mi toccava scrivere, decisamente al di sotto delle mie capacità. Solo una cosa, una, mi teneva inchiodata a quella fredda e scomoda sedia: lui.
A dirla tutta, nel momento stesso in cui firmai il contratto ero consapevole del fatto che quella sarebbe stata soltanto un’occupazione provvisoria. Negli ultimi 4 anni mi si erano presentate occasioni incredibili. Ma la verità era che non ero – e non sono – abbastanza coraggiosa da lasciare lui per sempre. La consapevolezza che al di fuori del posto di lavoro non l’avrei mai più rivisto mi lacerava.
«L’hai vista la nuova fiamma del boss, Celine?» Sandra prese a girare in tondo sulla sedia, finché si blocco di colpo, in attesa della mia risposta.
«Non me ne intendo di macchine, lo sai» soffocammo entrambe un risolino. Sandra era quel che avevo di più simile ad un’amica.
«Ma quale macchina…» alzò gli occhi al cielo «Mi riferisco al suo nuovo uomo, compagno, fidanzato. Chiamalo come ti pare»
Feci spallucce, mostrando un’indifferenza idilliaca «Spero solo che questo non abbia le ciocche di capelli rosa»
Mi accorsi che Sandy aveva smesso di prestare attenzione a quello che dicevo perché si era completamente voltata verso Candace e Lali che litigavano furiosamente, sventolando fogli ed altri oggetti a portata di mano.
Non appena mi resi conto che nessuno stava prestando attenzione a me, sprofondai in quel buio baratro, famigliare eppure sorprendentemente diverso ogni volta, quell’inferno in cui cadevo ogni volta che mi si presentava davanti la dolorosa certezza che stavo buttando la mia vita dietro ad  una storia impossibile.
«Ragazze» un battito di mani sbrigativo per zittire le chiacchiere e le liti.
Ed eccolo. Bello come un Dio greco. Con quei capelli perfettamente pettinati, senza bisogno di gel, quegli occhi del colore della terracotta antica, e quelle spalle, che parevano essere state tornite da Michelangelo.
«Celine, mi vuoi spiegare cosa sta succedendo?» si accostò svelto alla mia scrivania. Potei sentire il suo profumo penetrarmi nelle radici. Il cuore prese a battermi all’impazzata.
«Ehm… Non lo so, stavo…» balbettai con voce tremante. Lui scosse la testa seccato.
«Sempre nel tuo mondo, vero, Fox?» il suo rimprovero suonava ancora più severo del necessario, con quel cognome messo lì a fine frase. Arrossii violentemente, nonostante sapessi che quel richiamo era del tutto gratuito: stavo solamente facendo il mio lavoro del resto, al contrario di quelle galline. Ma a loro non era riservata nessuna umiliazione, a quanto pareva.
«Celine» quando mi risvegliai dai miei pensieri mi accorsi che stavo stringendo i pugni sulla scrivania e che digrignavo con forza i denti.
«Potresti farti trovare nel mio ufficio tra quindici minuti, per cortesia?» il suo tono era così musicale eppure così inflessibile. Non sapevo quale fosse il motivo di quella riunione ma avrei contato i minuti.

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Recensite e ditemi che ne pensate, perché se nessuno legge non la continuo çç il prossimo capitolo è già pronto e penso vi sorprendeà ;) 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


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«So che sei stata ferita prima d'ora ma mai dire mai, piccola.
Rallenta e non chiudere la porta:

hai aspettato tanto.

So che il tuo cuore è stato messo sotto pressione
ma sei arrivata così lontano,
quindi non correre via.
So che stai per arrenderti.
Voglio solo darti amore
e cercare di farti sorridere.
»


Tenevo gli occhi fissi sul quadrante del mio orologio preferito, quello che mi aveva regalato mia nonna per la cresima. Mancava meno di un minuto alla scadenza dei quindici minuti, eppure non avevo la forza di entrare. Durante il tragitto non avevo fatto che abbassarmi la gonna – rischiando di strapparla – temendo che il richiamo fosse proprio per quello: “abbigliamento non decoroso per la fama della rivista”.
 
«Prego» la porta dell’ufficio si spalancò e lui fece capolino, invitandomi ad entrare. Ero così tesa che, sedendomi, quasi ribaltai la sedia traballante.
 
Dopo aver tirato un sospiro di sollievo per essermi salvata da un’irrimediabile figuraccia, accavallai le gambe e cominciai a concentrarmi su di lui.
 
 «Ti chiederai per quale motivo ti ho convocata qui, beh…» si perse in un risolino divertito e malvagio al contempo.
 
«Dunque» proseguì prendendosi tutto il tempo di cui aveva bisogno «Sono rimasto particolarmente sbalordito dalle recensioni sulla tua, ehm, piccola rubrica»
 
«Spero che…» lo interruppi quasi involontariamente, presa dall’ansia. Lui ringhiò, infastidito.
 
«Voglio darti una bella promozione, te la meriti» si allungò da dietro la scrivania abbastanza da appoggiare la sua mano calda alla mia gelida.
 
Non sapevo cosa dire, né cosa fare. Mi limitai ad alzare lo sguardo in cerca dei suoi occhi, anche se sapevo che era una mossa pericolosa.
 
«Sono molto orgoglioso di te» continuò, senza scostare la mano «Sei incredibilmente migliorata in questi anni. Hai reso appassionante una rubrica di scarto».
 
Feci spallucce ed abbassai gli occhi. Sapevo di essermi impegnata e sapevo di averlo fatto per lui (ma questo sarebbe stato un mio segreto).
 
Aspettavo questa gratificazione dal primo giorno e, ora che l’avevo ottenuta, la scoprii ancora più appagante di quanto mi fossi mai immaginata.
 
Respirai profondamente e mi decisi a riportare i miei occhi a suoi. Qualcosa mi diceva che lui non li aveva mai staccati.
 
«Celine…» mormorò in tono impercettibile.
 
«Boss, io…» accennai appena, prima che lui infilasse le sue dita tra le mie.
 
«Nicholas, chiamami, Nicholas» annuii con un sorriso nervoso in volto: la visione di lui così inverosimilmente umano mi metteva in soggezione.
 
Aprii lievemente la bocca per parlare, ma ogni frase mi sembrava inopportuna in quel momento.
 
«Allora… Che mi dici?» chiese lui, con lo sguardo immobile fisso su di me.
 
Il battito cardiaco mi aumentò. Ogni mossa mi sembrava sbagliata. Rimasi per qualche istante a squadrarlo, con espressione frustrata. Da vicino non era solo bello: era caldo, protettivo.
 
«Perché non vieni qui?» si picchiettò ripetutamente sulla gamba, per indicarmi di sedermi in braccio a lui.
 
Lasciai la presa della sua mano e mi accorsi, con grande sorpresa, che mi sentivo come se mi fosse stato tolto un pezzo di corpo.
 
Mi avvicinai a lui a grandi passi, con i tacchi che rimbombavano sul pavimento. Immaginavo che avrebbe voluto che mi mettessi a cavalcioni su di lui – o almeno io lo desideravo terribilmente – ma fui costretta dalla gonna troppo stretta ad accomodarmi di lato sulle sue gambe confortevoli.
 
Mi afferrò all’improvviso dal retro delle ginocchia e mi avvicinò ulteriormente a sé, per sfilarmi le scarpe con un gesto secco.
 
«Non voglio che rischi di romperti una caviglia» disse serio, proponendo però quella frase come battuta. Gli sorrisi più ampiamente del dovuto per poi lasciare cadere la testa sulla sua spalla.
 
Lui appoggiò le labbra sul al mio orecchio, provocandomi lunghi brividi lungo la schiena. Mi voltai di scatto verso il suo viso e, evitando il suo sguardo, gli posai un leggero baciò all’angolo della bocca. Mi cinse con forza i fianchi e premette le sue labbra sulle mie, fino a farle aderire perfettamente. Poco dopo iniziò a muoverle lentamente, ma così appassionatamente da farmi sussultare.
 
«Che c’è?» biascicò senza smettere di baciarmi. Io, quasi senza fiato, lo tranquillizzai con una carezza sulla guancia. Sorrise, staccandosi per pochi secondi da me.
 
Mi affrettai ad incollarmi di nuovo a lui, spaventata all’idea che, improvvisamente, mi sarei potuta svegliare da questo sogno meraviglioso.
 
Lui si avvicinò ulteriormente a me e, finalmente, insinuò la lingua nella mia bocca e prese a giocherellare con la mia.
 
Mi scoprii del tutto rapita da quella sua mossa: non ero più in grado neppure di coordinare i pensieri.
 
Lo sentii eccitarsi sotto di me, mentre mi stringeva sempre più forte. All’improvviso allentò la presa e mi invitò ad alzarmi in piedi. Lui fece lo stesso e corse tra mie braccia a baciarmi di nuovo.
 
Accarezzò pressoché tutta la mia gonna, in cerca della cerniera per togliermi da quel fastidioso impiccio.
 
Guidai la sua mano sulla zip e lui la abbassò con frenesia per poi sfilarmela e lanciarla a terra, insieme ai collant.
 
Come una leonessa mi buttai sulla sua giacca e gliela tolsi in fretta, per passare poi a slacciare – uno ad uno – i bottoni della sua camicia, sotto il suo sguardo eccitato. Man mano che scoprivo il suo petto mi sentivo sempre meno consapevole.
 
Lui, come per vendetta, sbottonò la mia camicia e, incapace di fermarsi, mi strappo letteralmente anche la canottiera.
 
Non mi sentivo in imbarazzo, nelle mie imperfezioni, a restare semi nuda si fronte a lui, a dire la verità non mi ero mai sentita così disinibita.
 
Gli sfilai i pantaloni e rimasi fissarlo per qualche istante. Lui voleva me – non importava il motivo – e io volevo lui, non c’era altro in quel momento.
 
Indietreggiò di qualche passo e tornò a sedersi sulla sua salda sedia e io, finalmente, mi misi a cavalcioni su di lui.
 
Sentii immediatamente la sua erezione premere contro di me e mi ci strofinai contro per qualche momento, mossa dalla sua espressione seria e vogliosa.
 
Preso dalla foga mi slacciò il reggiseno per poi baciarmi delicatamente i capezzoli. Buttai la testa all’indietro, più per farlo impazzire che per altro. Quando appoggiai i seni contro il suo petto, per baciarlo di nuovo, lo sentii eccitarsi ulteriormente.
 
Con un balzo mi rimisi in piedi e mi chinai sui suoi boxer grigi, baciando ed accarezzando il suo sesso.
 
Tornai in posizione eretta e mi permisi di fare un piccolo strip tease, sotto il suo sguardo selvaggio.
 
Mi sfilai le mutandine con un gesto agile, poi mi voltai e mi chinai lievemente, giusto per provocarlo.
 
Dopo pochissimi istanti lo sentii entrare in me. Io stessa non capivo come avesse potuto essere stato tanto svelto, ma in pochi secondi mi concentrai su tutt’altro.
 
Il piacere mi squarciava e l’idea che lui provasse lo stesso mi appagava ancora di più.
 
All’improvviso mi afferrò dalle spalle mi voltò verso di lui «Prima di continuare, voglio confessarti che sei la prima»
 
Sorrisi «Non si direbbe» dissi poi, con il respiro mozzato.
 
«Volevo solo che tu lo sapessi» terminò tutto d’un fiato.
 
Mi spinse contro il muro e, dopo aver sollevato con delicatezza e decisione la mia gamba destra, mi penetrò.
 
Ogni tanto si avvicinava per baciarmi dolcemente, più spesso io affondavo le mani nei suoi capelli, finché non finimmo in un vortice di piacere così intenso da portarci, in pochi secondi, entrambi al culmine del piacere.
 
Mi prese tra le dita una ciocca di capelli e ci giocherellò mentre riprendeva fiato. Io crollai tra le sue braccia, bisognosa di sentirlo vicino come lo era stato fino a pochi minuti prima.

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Che dire? Spero vi sia piaciuto il capitolo. Nel prossimo ci sarà una bella svolta. Del resto non può essere tutto così semplice per Celine... 
Grazie di aver letto! Un
bacio.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


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«Lui è la ragione delle lacrime sulla mia chitarra,
l’unico che abbia mai avuto un pezzo abbastanza grande di me per spezzarmi il cuore.

 Lui è la canzone che continuo a cantare in macchina, e non so perchè lo faccio.
Lui è il tempo che mi assorbe, ma non ce n’è mai abbastanza,

lui è tutto quello in cui ho bisogno di cadere»

 

Mi aveva congedata con un “Grazie, Celine. Torna pure al lavoro” forzato dall’indiscreta presenza di Carol. Da quella fredda mattinata d’autunno, tra di noi fu un succedersi di  colpi di tosse, sguardi imbarazzati, sorrisi forzati. Era evidente che il suo scopo fosse quello di riportare tutto alla normalità, di fingere che, in quell’ufficio, non fosse accaduto niente di diverso da un formale incontro lavorativo.

E la promozione me l’aveva data eccome, alla fine. Quello che non mi aveva dato – e quello che io più desideravo – era una conferma che quella non fosse stata solo una  fugace avventura tra colleghi, ma l’inizio di qualcosa. Qualcosa che io infantilmente identificavo come una vita felice al suo fianco, circondati dai nostri bambini e animali domestici. Quella fantasia mi imbarazzava terribilmente. Non facevo che ricacciarla indietro, ma non appena lui posava – anche per un secondo – gli occhi su di me, riappariva tingendo le mie guance di un rosso acceso.
I suoi sguardi, i suoi sorrisi non avevano fatto che alimentare in me la speranza che lui mi volesse al suo fianco. Certezza che tuttavia svanì quel Venerdì pomeriggio.
 
Un uomo sulla trentina, dall’abbigliamento certamente non adatto ad un ufficio, aveva fatto capolino tra le nostre scrivanie e con noncuranza si era lasciato cadere su una delle sedie non occupate.
«Ehi, l’hai visto?» Sandy si voltò verso di me e, con un movimento della testa, indicò ripetutamente l’uomo misterioso.
«Visto cosa?» volevo sviare il discorso perché non prospettava nulla di buono.
«Ma come “cosa”!» inveì quasi istericamente, prima di darmi un colpetto sulla spalla.
«Penso proprio che sia lui» proseguì, questa volta indicando platealmente lo sconosciuto che, imbarazzato dal comportamento di Sandra, abbassò lo sguardo.
Scossi la testa. Non volevo. Non potevo credere a quelle parole.
«E’ lui l’uomo del boss!» rincarò la dose e si portò le mani alla bocca, entusiasta.
Penso di averle lanciato un’occhiata veramente minacciosa, perché spostò lo sguardo e riprese a lavorare. Strinsi i pugni sotto la scrivania, lacerata dal dolore com’ero. Negli ultimi 2 mesi non avevo fatto che autoconvincermi che non esistesse nessuna “nuova fiamma del boss” o che… Fossi io.
La consapevolezza così violenta di aver vissuto una fantasia per tutto quel tempo mi fece a pezzi.
Mi resi conto di aver poggiato la testa alla scrivania e di essere sul punto di vomitare. Mi diressi a grandi passi verso il bagno, ignorando le domande preoccupate delle mie colleghe.
Sapevo che era l’uomo misterioso la causa del mio malessere e – per vendetta – rimasi tutto il resto del pomeriggio chiusa in bagno.
Nel momento stesso in cui decisi di uscire da quello sgabuzzino puzzolente, udii il rumore di una chiave girare nella serratura del bagno. Balzai in piedi.
«Che cosa stai facendo?» riconobbi la voce ancora prima di alzare gli occhi sul viso.
«Mi sento male» cercai di essere forzatamente sgarbata, anche se il risultato fu poco convincente.
«Cosa ti senti?» domandò cortese, ma incredibilmente distaccato.
«Chi è lui?» mormorai in un soffio, mentre un giramento di testa mi fece barcollare.
Lui mi afferrò. E mi sentii immediatamente meglio, come se non fosse successo nulla.
«Lui chi?» chiese innocente.
Alzai gli occhi al cielo e mi staccai da lui, totalmente controvoglia.
«Lo sapevi. Lo sapevano tutti» fece stizzoso, sulle difensive.
«Credevo di essere speciale per te» ero totalmente onesta, non recitavo una parte e speravo lui facesse lo stesso.
«Non è così semplice» biascicò lui, dopo aver spostato lo sguardo altrove, facendo trasparire una forte malinconia. Gli occhi marroni avevano preso a brillare, eppure rimanevano cupi, spenti.
«Perché hai fatto sesso con me se non mi volevi?» mi spaventava la mia aggressività nei suoi confronti e l’improvvisa confidenza che si era creata tra noi.
Esitò per qualche istante, poi, curandosi di non avere nessun’altro attorno, mi cinse i fianchi «Perché provo qualcosa per te. Non so cosa precisamente… Ma sei la prima donna di cui mi… Invaghisco»
Sorrisi ed appoggiai la testa alla sua spalla, senza dire una parola. Per me significava molto sapere che qualcosa – anche se di insignificante – per me provava.
«Ma non c’è niente, niente, che mi farà staccare da lui» proseguì in tono dolce. Il contatto con il suo corpo alleggeriva fortemente il peso di quelle parole.
«Lui per me è un punto fermo, una certezza. Tu sei…»
«Occasionale?» proposi in tono pacato. Lui si irrigidì e mi accarezzò i capelli con un gesto delicato.
«No» mi staccò dalla sua spalla e per un secondo temetti di averlo contrariato, poi mi posò un bacio sulla fronte e mi tranquillizzai.
«E’ come se…» emise un risolino «Il nostro è un amore fatto di steroidi, totalmente insensato, pericoloso» si fece serio e scosse la testa «Ma così appassionato e intenso da creare dentro una sensazione di appagamento talmente forte…»
Sorrisi timidamente a sguardo basso. Il nostro amore. Credevo di aver perso il filo, invece, sorprendentemente seppi ribattere.
«Proviamoci. Sarà l’esperienza più terribile delle nostre vite o la più fantastica»
Sorrise malinconico «Non lo so, Celine»
Gli afferrai le mani con forza «Guardami. Pensi che ne valga la pena? Perché se per te non vale la pena è tutta un’altra storia» gli mollai all’improvviso le mani, quasi gliele spinsi via.
«Mi stai chiedendo se vale la pena di mandare all’aria i felicissimi 4 mesi passati con quello che ritengo l’uomo della mia vita? Se vale la pena di annullare l’appuntamento all’ufficio immobiliare che abbiamo preso per comprare casa insieme?»
«No, vero?» chiesi fredda, cercando di mascherare il dolore.
«Quello che provo per te è insensato» bofonchiò serio. A quel punto non valeva nemmeno la pena di ribattere ancora. Mi voltai per andarmene ma fui costretta da un conato di vomito a tornare indietro.
Mi chinai sul water e udii il rumore dei suoi passi farsi sempre più leggeri, finché non sprofondai in un doloroso e straziante silenzio.

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Rieccoci. Spero tanto che il capitolo vi sia piaciuto, mi raccomando, recensite e fatemi sapere le vostre impressioni :) posterò il quarto moooolto presto.
Bacio.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


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«Non voglio addormentarmi 
perchè non so se mi sveglierò. 

Non voglio fare una scenata 
ma sto morendo senza il tuo amore.

Ti sto implorando per sentire la tua voce. 
Dimmi che anche tu mi ami 
perchè piuttosto starei sola
se sapessi che non posso averti.»


Il mese seguente fu incredibilmente struggente. Squarciata dal suo rifiuto. E non solo. Non volevo più vederlo – al di fuori del posto di lavoro, naturalmente – ma ne fui costretta.
Non avevo mai avuto il suo numero di cellulare o di casa, quindi fui obbligata a mettere da parte l’orgoglio e parlargli di persona. Mi ero precipitata arrogantemente nel suo ufficio e, per giunta, ero entrata senza nemmeno bussare. Non avevo fatto caso alla reazione dei colleghi, ma qualcosa mi diceva che avrei dovuto subire un interrogatorio degno del crimine più grave.
«Celine?» era sorpreso. Non gli rivolgevo la parola da quella volta, nel bagno.
«Hai bisogno?» domandò con un sorriso cortese in volto. Come se non fosse successo niente. Come se fossi una delle sue tante dipendenti.
«Nicholas, per favore. Finiscila con questa scenetta» lo pregai debolmente. Mi girava terribilmente la testa e lasciai cadere sulla sedia traballante. Mi coprii il viso con le mani e mi massaggiai le tempie con le punte delle dita.
«Cosa c’è? Perché sei venuta qui?» chiese frustrato. Forse gli stavo rovinando la vita.
«E’ successo solo una volta: è stato solo del semplice sesso!» proseguì irritato, battendo i piedi a terra.
«Hai ragione» sbottai, dopo essermi alzata in piedi, ignorando le vertigini.
«E’ stato solo sesso» lo pungolai al petto, minacciosa, mentre le lacrime calde mi rigavano il volto.
«Ma è bastata una sola volta, una» proseguii io, quasi strillando. Lui mi strinse i polsi per fermarmi.
«Cosa stai dicendo, Celine?»                    
Mi liberai dalla sua presa e presi a slacciarmi la camicetta bianca dal basso. Abbassai la gonna con un gesto deciso e scostai la canottiera, mettendo in mostra l’addome innaturalmente gonfio.
Lui, confuso, alzò gli occhi sui miei «Sei incinta?» non attese una mia risposta «Sei incinta»
Scosse la testa con forza «Avrei dovuto saperlo»
Non era solo arrabbiato, era anche avvilito, e questo mi feriva ancora di più. Sentivo di avergli rovinato la vita, eppure il barlume di speranza che lui mi volesse con sé non si decideva a spegnersi.
«Cosa dovrei fare io ora?» mi domandò, con le mani tremolanti in gesto di supplica.
Spostai lo sguardo: non mi sarei potuta permettere di incontrare i suoi occhi, non un’altra volta. Avrebbe solamente mandato all’aria i miei piani e il discorso che mi ero preparata.
«Ormai è tardi per abortire» dissi tutto d’un fiato, senza nemmeno provare a controllare la sua reazione «Però posso fingere che non sia tuo»
E sapevo, nel momento stesso in cui lo dicevo, che ce l’avrei fatta, anche se avrebbe fatto terribilmente male. L’idea di vederlo provare totale indifferenza nei confronti di suo – nostro – figlio mi uccideva.
Finalmente alzai gli occhi su di lui: aveva le sopracciglia leggermente incrinare verso il basso e la mascella contratta ma non riuscivo a trovare in lui un vero sentimento di rabbia, sembrava solo spaventato.
Avevo l’impressione che lui volesse sentirsi arrabbiato, che lui volesse rifiutarmi. Il tutto a causa della sua morbosa mania della logica. Avrei voluto spiegargli che i sentimenti non sono sempre basati su qualcosa di pienamente sensato, anzi, che il più delle volte sono totalmente irrazionali e masochisti. E io lo sapevo bene.
«Che genere mostro credi che sia?» rispose, quando ormai avevo scordato la mia ultima frase. Era scuro in volto e aveva gli occhi lucidi e arrossati.
«Non volevo offenderti» feci spallucce.
Sospirò e si strofinò gli occhi con la parte interna delle dita «Mi dispiace per quella volta in bagno. Ero arrabbiato con me stesso, non avrei dovuto coinvolgere anche te»
Rimasi immobile per qualche istante, sorpresa dalla svolta che aveva preso la conversazione.
«Mi hai detto che sono la prima donna a cui ti sei interessato»
«Non mi riferisco a quella parte, Celine» mi rimproverò serioso.
«Lo so, ma dovrà pur contare qualcosa» protestai come una bambina capricciosa.
Punzecchiato in un punto debole cambiò di nuovo discorso «Il bambino è mio. Davvero pensi che sarei in grado di mandarti uno stupido biglietto di congratulazioni e fare finta di niente per tutta la vita?»
Inarcai le sopracciglia «Non ti conosco molto bene, ma so che sei molto bravo a fare… L’uomo di ghiaccio»
Scosse la testa con indifferenza, poi catapultò lo sguardo sul suo costoso orologio da polso «Tra mezz’ora devo essere dall’altra parte della città per una riunione»
«Mi lasci così? Senza essere venuti a capo di nulla?» protestai, rifiutandomi mentalmente di tornare davanti a tutte quelle pratiche scritte così in piccolo da farmi incrociare gli occhi.
Sospirò e si passò una mano tra i capelli perfettamente pettinati «Riguardo al bambino: farò del mio meglio per essere un buon padre»
Picchiettò con le unghie sulla scrivania di legno scuro «Per il resto… Non so darti una risposta, sinceramente»
Incredibilmente mi sentivo sollevata, quasi felice del suo responso. Non escludeva niente, questo significava che avevo il 50% di possibilità di essere felice. Il restante percento lo ignoravo: avevo bisogno di tutt’altro che vedere il bicchiere mezzo vuoto.
«Devo proprio andare» disse in tono colpevole.
Io annuii e gli indicai la porta con la mano, con espressione neutra in volto.
Si avvicinò, con uno strano sorriso – appena accentuato – in volto.
«Ciao» mi salutò con più calore del dovuto.
Io rimasi seria ed allargai le braccia, senza però avvicinarmi, lasciandogli aperta così la possibilità di scegliere cosa fare.
Come mi aspettavo non rifiutò l’abbraccio ma, in qualche modo, avvertivo un muro invisibile che impediva ai nostri corpi di sentire il calore reciproco.
Prima che potessi dire qualcosa, era già sparito.
Mi domandavo cosa avrei raccontato a quelle pettegole là fuori, a questo punto.
«Ehi» una voce maschile rimbombò nell’ufficio di Nicholas. Una voce non sua, ovviamente.
Quando mi voltai, mi resi conto di trovarmi di fronte a l’uomo misterioso, che tanto misterioso non era più. Non l’avevo più visto dopo quel Venerdì pomeriggio, che sembrava incredibilmente lontano ora.
«Tu devi essere Celine Fox» accennò un risolino palesemente sarcastico.
La sua espressione si fece seria pochi istanti dopo. Si avvicinò a passi lenti e, quando fu a pochi centimetri da me, mi scosse violentemente un braccio, stringendolo così forte da farmi male «Abbiamo qualcosa di cui discutere, Celine cara».

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Ciao a tutti. Vi è piaciuto il capitolo? Fatemelo sapere presto! Posterò abbastanza in fretta, in modo da non lasciarvi sulle spine :) 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


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«Non ti farò del male, ti proteggerò, non lascerò che piova.
Ti sarò sempre accanto
e capirò se, a volte, vorrai solo spalancare le tue ali e volare,
facendo brillare i tuoi colori.
»

 
Non mi sentivo arrabbiata con Alex – era venuto fuori che quello era il vero nome dell’uomo misterioso – per l’occhio nero, anzi gli ero grata per avermi dato un pretesto così comodo per fare la vittima con Nicholas. Del resto, da mondo a mondo, picchiare una donna incinta non è affatto giusto.
Faceva piuttosto male e lo sentivo pulsare sia con l’occhio aperto che con l’occhio chiuso. A Sandy avevo detto che, nell’afferrare uno scatolone un po’ troppo in alto, avevo finito per prenderlo in faccia. Non era difficile da credere, del resto, visti i miei precedenti con la pinzatrice, il taglierino e mille altri articoli da ufficio.
Le gambe ormai mi si muovevano automaticamente: mi sembrava di camminare da una vita ma, quando incespicai con gli occhi su una gigantesca targa dorata sulla quale era inciso il nome della via – Kennedy st. – realizzai di essere arrivata.
Il palazzo era bello, curato nei minimi particolari: rispecchiava in pieno la personalità di Nicholas. Mi avvicinai ai campanelli in cerca del suo nome e lo trovai anche troppo in fretta: ormai i miei occhi ci avevano fatto l’abitudine tra pratiche e fogli intestati.
Arrivata alla sua porta, mi aprì ancora prima che potessi avvicinare la mano al campanello.
«Ciao» la sua voce suonava seria ma incredibilmente affettuosa: una sua caratteristica del tutto a me sconosciuta fino a qualche mese prima.
«Ehi» gli sorrisi, attendendo con impazienza le sue domande sul mio evidente bozzo sul viso. Non disse nulla, ma proseguì a fissarmi, bloccandomi il passaggio per entrare. Non mi allarmai: ormai mi erano del tutto familiari queste sue stranezze.
«Mi fai entrare? Ho freddo» tentai poi, vedendo che non cedeva.
Annuì senza dire una parola e si spostò sul lato della porta per farmi entrare. Il suo appartamento era caldo e ordinato: i mobili erano perfettamente coordinati tra loro e non sembravano essere mai stati utilizzati da tanto erano immacolati.
Probabilmente si accorse che avevo il respiro pesante e che mi reggevo il pancione con le mani, perché mi invitò a sedermi sul divano rosso sangue.
Dopo essersi accomodato a fianco a me, mi prese il volto tra le mani calde e lo scrutò serio, finché non scoppiò in un risolino «Vedo che hai conosciuto Alex»
Gli spinsi via la mano con un gesto stizzoso «Fa così con tutte le persone che incontra per la prima volta?» domandai stranamente divertita.
«Solo con quelle che cercano di rubargli il ragazzo» scosse la testa «Non avrei dovuto parlargliene»
Sobbalzai, rischiando di dargli una testata «Tu glielo hai detto?»
Annuì a malincuore «Speravo avesse potuto aiutare…»
«Ad aiutare a picchiarmi come un sacco da box» bofonchiai. Ora non ero più tanto grata ad Alex per il suo pugno.
«Eh dai» mi accarezzò la guancia con la parte esterna delle dita «Non te la prendere con me: non gli ho detto di andare a picchiarti» avvicinò il suo viso al mio e sentii l’intensità del respiro aumentare «Sai che non l’avrei mai permesso»
No, non lo sapevo. Non ci speravo nemmeno più. Le sue parole mi scaldarono così tanto il cuore che iniziai a sentire freddo in tutto il resto del corpo. La lunga vampata di calore che mi aveva colto a metà strada era finalmente finita.
«Spero tu gli abbia dato una bella lezione» mormorai debolmente, presa alla sprovvista dal freddo e dalla nausea, ma sempre stretta dal rancore verso Alex.
«L’ho lasciato» fece indifferente.
Un sorriso andò a disegnarsi sul mio viso, contro la mia volontà e improvvisamente sentii del calore fastidioso invadermi.
«Sei contenta» non era una domanda «Non dovresti»
Si alzò in piedi ed estrasse da uno scompartimento del divano una coperta di pile marrone terracotta e me la buttò – letteralmente – addosso.
«La prossima volta chiedi» disse brusco, prima di lasciarsi cadere accanto a me.
«Perché?» domandai confusa, mentre mi sistemavo la coperta addosso.
«Perché non sono né un indovino né un supereroe» fece sarcastico.
Scoppiai in una sonora risata e sistemai una parte della gigantesca coperta anche su di lui «Intendo perché non dovrei essere contenta»
Lui annuì e rivolse lo sguardo in un punto vuoto della stanza «Perché io sono gay, lo sai»
Feci per ribattere ma lui mi precedette «E lo sarò sempre, non importa quanto può essere fantastica una donna»
Scossi la testa, con gli occhi affondati, seri, nei suoi «Non ti credo»
Ridacchiò dolcemente «Piccola Celine» mi diede un buffetto sul mento «Non è così facile»
«Volere è potere» ribattei contrariata mentre mi avvicinavo lentamente a lui, bisognosa del suo calore corporeo.
Scosse la testa e cercò, a tentoni, la mia mano nascosta sotto le coperte «Non basta che mi piaccia una donna. Che mi piaccia davvero, intendo»
Abbassai lo sguardo delusa. La fiamma di speranza si faceva sempre più fioca ma non accennava a spegnersi. L’avrei aspettato fino a non avere più nemmeno una dignità.
«Perciò» mi strofinò la mano con il pollice liscio «Mi limiterò a volerti bene» si avvicinò poi lentamente al mio viso «Per ora» mormorò in tono quasi impercettibile, prima di posarmi un leggero bacio sulla guancia.
Sprofondai tra le sue braccia e, prima di poter ragionare sulle sensazioni che provavo, crollai in un sonno tranquillo. C’era lui a vigilare su di me, del resto. 

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Capitolo cortino, non trovate? Spero vi sia piaciuto comunque... Vi assicuro che il prossimo sarà più lungo (l'ho già scritto) e che lo posterò il prima possibile! Cosa ne pensate dell'insistenza di Celine? E del costante rifiuto di Nicholas? Ditemi tuuuuuutto nelle recensioni :)
bacione.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***


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«Finchè non sarai mio, 
il mio stato d'animo non riuscirà a tirare fuori il meglio.
Ho bisogno che tu mi sia accanto. 
Sto cercando di trovare 
un modo per potere arrivare a te. 
Voglio solo arrivare a te.»

I restanti mesi trascorsero più svelti di quanto pensassi, tra le braccia calde di Nicholas e il suo appartamento confortevole. 
Non avevo mai più messo piede in ufficio e, effettivamente, ero curiosa di sapere cosa si era inventato Nick per giustificare la mia scomparsa improvvisa. Non ero sicura che fosse riuscito facilmente ad ingannare quelle arpie e non ero sicura nemmeno che Sandy mi potesse mai perdonare: ero una delle damigelle al suo matrimonio, ormai trascorso da 2 mesi.
Non mettevo piede fuori da quella casa da almeno 4 mesi – avevo dimenticato il giorno in cui mi aveva invitato a casa sua, quindi mi era impossibile tenere il conto – e non mi ricordavo più come fosse il mondo là fuori. Non volevo nemmeno riscoprirlo, a dirla tutta.
Nicholas diceva spesso che non era sano per me stare rinchiusa giorno e notte in casa – seppure si trattasse di una casa con palestra, idromassaggio e quant’altro mi servisse per tenermi in forma –, che avevo bisogno di più contatto con le persone, o sarei impazzita.
Forse lo ero già, ma l’unica persona di cui pensavo di aver bisogno per vivere era lui.
 Ora me ne stavo spaparanzata sul divano morbido, sotto una coperta abbastanza grande da coprire una squadra di baseball, ad aspettare che la creatura nascosta nella mia pancia nascesse.
Ogni volta che la dottoressa Howley veniva a visitarmi, costringevo Nicholas a non guardare lo schermo in cui apparivano le immagini dell’ecografia: volevo che fosse una sorpresa per entrambi.
Mentre guardavo distrattamente una soap opera, fui colta da un susseguirsi di pensieri negativi: e se Nicholas mi avesse tenuto in casa perché non voleva far sapere che aspettavo un bambino da lui? E se finita la gravidanza mi avrebbe abbandonata?
Udii i suoi passi farsi sempre più sonori ed uscii immediatamente dalla mia fantasia.
«Come stai?» chiese premuroso, una volta giunto di fronte al divano.
«Normale» sbottai, ancora preoccupata dalle ipotesi di prima.
Si sedette accanto a me ed appoggiò entrambe le mani sul mio ventre «Scalcia» mormorò tra sé, divertito.
Annuii. Avevo smesso di farci caso, anche se avvertivo sempre un minimo di fastidio.
«Nicholas» cercai il suo sguardo «Qualcuno sa…» posai una mano sulla sua, sulla mia pancia.
Si guardò attorno dubbioso per qualche istante, poi fece spallucce «Lo sanno tutti» 
Sobbalzai «Co-come glielo hai detto? E quando? Ora sarò lo zimbell…»
Si avvicinò a me e mi abbracciò dolcemente, per poi baciarmi su una guancia lievemente arrossata «Non preoccuparti di niente»
«Sai che non è possibile» biascicai debolmente.
Mi lanciò uno sguardo severo «Quello che conta è che io sia qui con te, ora»
Non potei ribattere: aveva perfettamente ragione. Niente per me era più eccitante dell’idea di averlo al mio fianco, di essere legata a lui per sempre, tramite quella creatura che si muoveva dolcemente nel mio ventre.
Poco importava che probabilmente avrebbe trovato un nuovo uomo, disposto a sopportare la sua paternità. E in quanto a me, non avrei voluto più nessun’altro che non fosse lui.
«Sempre nel tuo mondo, vero, Fox?» la sua voce roca ed incredibilmente melodica si insinuò nei miei pensieri: era da veramente tanto tempo che non mi rimproverava per la mia scarsa attenzione e, a quel punto, cominciavo a pensare che avesse ragione. Avevo la testa tra le nuvole davvero troppo spesso. 
«Ehm, hai detto qualcosa?» alzò gli occhi al cielo e si spostò, andandosi a sedere accanto a me.
«Sai che quando nascerà il bambino non potrai più permetterti di perderti nei tuoi pensieri ogni due per tre?» 
Aprii la bocca per ribattere ma, prima che potessi formulare una frase di senso compiuto, lui proseguì con il suo impeccabile tono autorevole.
«Non voglio che venga la polizia perché lasci piangere il bambino per ore mentre pensi a chissà cosa»
Emisi un lungo sbuffo, cercando di farlo desistere dai suoi rimproveri, ottenendo però solo un risolino divertito da parte sua.
Gli lanciai un’occhiataccia, senza riuscire a trattenere un sorriso.
«Scusami» fece senza smettere di sghignazzare «Ma sembravi un…»
Incrociai le braccia «Non sei divertente»
Si strinse nelle spalle e si fece serio, lievemente cupo «Cosa faremo dopo?»
Io, non ancora completamente uscita dal momento scherzoso, sorrisi «Vedi che non sono l’unica che viaggia con la mente?»
Non badò al mio commento e si fece ancora più scuro in volto. La mia espressione andò ad imitare la sua «Cosa c’è che non va?» sollevai una mano per carezzargli la guancia, ma si scostò improvvisamente.
Avvertii un vuoto nello stomaco e, per un secondo, per il mio corpo si espanse l’antico e familiare dolore causato dal suo rifiuto.
«Niente. Ho solo paura» abbassò lo sguardo e, d’un tratto, la maschera da uomo di ghiaccio che indossava si infranse a terra.
«Di cosa?» domandai in un soffio.
Non rispose subito. Si massaggiò le tempie ad occhi chiusi per quasi cinque minuti. Quando finalmente aprì bocca, mostrò un lato fragile di lui che non conoscevo.
«Celine… La mia vita fin’ad ora è stata il lavoro, qualche uomo che momentaneamente mi rendeva felice e… Il lavoro»
Sollevò lo sguardo in cerca dei miei occhi, per assicurarsi che lo stessi seguendo.
«Ora crollerà tutto e io non sono sicuro di riuscire a sopportarlo» sospirò angosciato.
Ebbi il desiderio di consolarlo ma a malapena riuscivo a respirare. Ansimai per qualche minuto. Avevo avuto un po’ di tempo per elaborare i pensieri, così le parole uscirono senza fatica «Se vuoi io me ne andrò. Se la cosa ti farà felice sparirò»
Speravo che non si accorgesse che mentivo, che, in realtà, il mio unico desiderio era averlo con me. Avrei voluto essere abbastanza forte da volere la sua felicità incondizionata, anche a discapito della mia.
«Il problema è che non sarei felice comunque, anzi, sarebbe peggio perché avrei anche i sensi di colpa»
«Fammi sapere cosa scegli» sussurrai fredda, la voce rotta dal dolore.
Si mise in piedi a fatica, evitando il mio sguardo «Non c’è niente da scegliere. Io starò con te» strinse i pugni e finalmente incrociò i miei occhi «Con voi. E vi proteggerò finché potrò. La felicità arriverà».
Lievemente sollevata gli sorrisi. Lui ricambiò timidamente, prima di riprendere a parlare «Sarai per sempre la madre di mio figlio» mi strinse forte la mano tremolante e si fece vicino per posarmi un bacio sulla fronte.
Sapevo leggere tra le righe e sapevo quello che intendeva: non ci sarebbe stato nient’altro. 
Abbassai lo sguardo e scossi impercettibilmente la testa, mentre lui era ancora così vicino da farmi avvertire il suo respiro caldo e regolare in faccia.
Faceva abbastanza male sapere che, tra di noi, le cose non sarebbero mai maturate. Ma tra le sue braccia mi sentivo così bene che, in un secondo, mi lasciai tutto alle spalle. E mi addormentai.
Non molto tempo dopo, un movimento delicato mi svegliò ma, quando mi resi conto che mi aveva preso in braccio per portarmi nel letto, chiusi gli occhi e ricaddi nel mio sonno – purché disturbato da qualche dolore – profondo. 
 
 
 
 
 
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Eccoci qua! Chissà come si metterà la storia a questo punto... ;) noto con dispiacere che man mano che si va avanti le recensioni dimuiscono D: per favore fatemi sapere cosa ne pensate, datemi un'opinione. Se non siete iscritti a EFP potete anche scrivermi su twitter
Qui. Bacione e grazie di essere arrivati a leggere fino a qui. Mi metto al lavoro con il prossimo capitolo :)
  
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. ***


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«Queste cose cambieranno.
Riesci a percepirlo ora?
Questi muri che hanno eretto per reprimerci, cadranno.
Questa è una rivoluzione:
arriverà il momento in cui, infine, vinceremo.
»

Correvo. Non sapevo di poter correre tanto veloce. Mi muovevo così in fretta da non riuscire a delineare un'immagine precisa del paesaggio: vedevo solo una grande nube verde muschio, che mi faceva intuire di trovarmi  in un enorme bosco. Improvvisamente udii un brusio fastidioso ed incredibilmente familiare. Senza nemmeno volerlo, mi voltai verso i bordi del sentiero che stavo percorrendo e mi ritovai a fissare una fila lunghissima  di persone di cui - nonostante la velocità - riconobbi i visi. C'era Sandy, i piccoli occhi spenti, il volto contratto dalla delusione. C'era Carol, piegata per le tante risate che l'assalivano, mentre mi puntava l'indice contro. C'era Alex, il volto deformato da una smorfia di dolore e gli occhi scuri gonfi di lacrime. C'erano le altre colleghe, mia sorella, la portinaia del condominio in cui vivevo. Tutti mi puntavano il dito contro. Abbassai lo sguardo, per guardare io stessa la causa dei loro giudizi. Giusto per capire se era davvero così ridicola e orribile. Con gran sorpresa mi accorsi di non avere il pancione: il ventre era piatto. Lo accarezzai per accertarmene. Nel momento in cui lo toccai, un dolore atroce mi attanagliò e mi costrinse a fermarmi. Caddi a terra, sull'erba pungente e sulla terra umida, per poi perdere completamente il controllo del corpo.
 
Mi svegliai di soprassalto e, d'istinto, cercai il pancione. Ci posai entrambe le mani e lo massaggiai, finché non trovai la forza di tirarmi su. Accesi l'abajour con un gesto rapido e controllai l'ora: erano le 4 di notte... O del mattino. Sospirai. Il sogno aveva creato dentro di me una bolla di inquietudine, difficile da fare espolodere da sola. Cercai così l'aiuto di Nicholas «Ehi» sussurrai, tentando di svegliarlo nel modo meno brusco possibile.
«Nick» insistetti, stavolta aiutandomi con dei leggeri strattoni.
«Che c'è?» chiese in un lieve mormorio, ancora tra il sonno e la veglia. 
«Ho fatto un brutto sogno» feci spallucce, consapevole del fatto che lui non stesse guardando verso di me - e che non avesse nemmeno gli occhi aperti.
Finalmente spalancò gli occhi marroni, arrossati e - come me - si mise seduto.
«Allora? Cos'hai sognato?» domandò premuroso, senza dare segni di fastidio per il risveglio improvviso.
Esitai.
«Ho sognato che tutti mi giudicavano per questo» sollevai la mano, senza indicare un punto preciso.
«Per... Per la gravidanza? O per...»
Lo interruppi bruscamente «Per tutto, Nicholas. Per la gravidanza, per il fatto che sono sparita, per il fatto che...» a quel punto avrei voluto dire "Con te. Per il fatto che sto con te", ma temevo troppo che avrebbe frainteso.
Mi strinse a sé ed appoggiò le labbra calde e immobili alla mia guancia «Abbiamo già abbastanza problemi per conto nostro. Penso che l'opinione della gente sia l'ultimo dei nostri problemi» il suo tono era di nuovo distaccato e freddo.
«Il sogno non è finito» borbottai contrariata.
Senza attendere una risposta proseguii «Cadevo a terra a causa di terribile dolo...» e rieccolo. Tentai, senza successo, di trattenere una smorfia di dolore.
«Celine!» mi scosse senza un briciolo di finezza. 
A quel punto il dolore si era fatto così forte da impedirmi di emettere suoni. Inspirai intensamente e, quando buttai fuori l'aria, il dolore svanì nel nulla.
Mi resi conto che Nicholas non aveva mai smesso di parlare «... Che ti succede? Respira, respira!»
«Sto bene» dissi in tono tremolante. Lui si rilassò.
«Sei impazzita? Stavo per avere un attacco di cuore» fece scontroso ma con un riflesso d'ironia.
«Ho avuto un dolore increbile, come quello del sogno»
«Si chiamano doglie» ribatté irritato.
«No!» strillai quasi «Non ora» 
«Sai... Di solito per queste cose non si fissa un appuntamento» ridacchiò sarcastico.
Ero sfinita. Dal sogno, dal significato che ne avevo colto, dai dolori. Mi appoggiai alla morbida testata del letto e chiusi gli occhi. 
Li riaprii immediatamente, quando sentii il letto muoversi. Cercai Nicholas con lo sguardo: si era alzato in piedi «Ce la fai ad alzarti da sola? Devo portarti in ospedale»
«Ti ho già detto che ora non è il momento» ribattei a mezza voce. Prima che potessi provare ad immaginare quale sarebbe stata la sua risposta, mi prese in braccio. Come quando mi aveva portato in camera, qualche ora prima.
Sul suo petto si stava così bene: il suo respiro caldo e regolare mi accarezzava i capelli e il battito del suo cuore mi cullava in una ninna nanna. Non ci volle molto prima che mi addormentai.
 
«E' tutto assolutamente normale, non si preoccupi: può capitare che le acque non si rompano da sole. Il bambino soffrirà ancora meno» una voce femminile acuta e stridula mi svegliò.
Quando mi accorsi di non essere più tra le braccia di Nicholas spalancai gli occhi. E, insieme alla luce, arrivò il dolore. Con grande sollievo, però, mi resi conto che lui era a pochi passi da me, intento a discutere con una donna in camice. Sbattei ripetutamente le palpebre e misi a fuoco il panorama: era una stanza d'ospedale, cupa e fredda. Fredda anche perché ero stata privata del mio caldo pigiama ed ero stata infilata in una specie di vestaglia di carta colorata che non copriva nemmeno metà del mio corpo.
«Ho freddo» borbottai spazientita, rivolta verso i due, ancora intenti  a discutere.
Nicholas si avvicinò a grandi passi e si chinò su di me per scaldarmi, mentre l'infermiera, con le mani ghiacciate, mi aveva fatto aprire le gambe.
«Manca poco» aveva sentenziato infine, prima di sparire.
C'erano un mare di cose che avrei voluto - e dovuto - dire a Nicholas, ma il dolore mi costringeva a stare immobile. Non mi rendevo pienamente conto di quello che sarebbe successo dopo, quando il dolore sarebbe terminato. Avevo paura e premura al contempo.
«Respira» mormorò lui.
«Sto respirando» feci, con la voce che tremava come la fiammella di una candela quando c'è vento. Nel momento stesso in cui terminai la frase, sentii che era arrivato il momento.
Gradualmente il dolore si fece più intenso. Avevo lo sguardo annebbiato e non capivo chi fossero tutte quelle persone attorno al mio letto e cos'avessero da urlare tanto. 
Nicholas mi teneva la mano ma io non la sentivo, sentivo solo il dolore e le urla - e mi resi conto che provenivano proprio da me.
Una voce sovrastò le altre «Forza, piccola. Io ti amo».
Strinsi i denti e spinsi con tutte le mie forze per uno, cinque, quindici minuti.
In pochi secondi, il dolore fu sostuito dal sollievo e ripresi finalmente coscienza del mio corpo.
Udii un pianto e vidi Nicholas allontanarsi. Prima che potessi chiamarlo, riapparse, appoggiandomi la piccola creatura sul petto.
«E' una bambina» sussurrò vicino al mio orecchio, per poi schioccarmi un bacio sulla guancia.
Mi voltai verso la piccola e notai che aveva smesso di piangere. Era bella, innocente, una cosa di cui vantarsi - non di cui vergognarsi.
Le accarezzai la testolina già ricca di capelli e la strinsi piano a me «Piccolina» biascicai prima di scoppiare a piangere. Non era solo un frivolo escamotage per tenermi per sempre Nicholas accanto, era la mia bambina, il mio vero amore.
Mi voltai verso Nick, curiosa di vedere la sua espressione, e realizzai che stava piangendo come me. Non lo avevo mai visto così rilassato. Non si preoccupava di nascondere le emozioni, di apparire debole, stupido. Quello era il mio Nicholas.
Avvicinò la mano tremolante a quella piccina della bimba e gliela strinse in un gesto scherzoso «Piacere, sono Nicholas Jonas, il tuo papà».

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Ciao a tutti! Allora? Che ne pensate? Fatemi sapere, mi raccomando. Il prossimo arriverà prestissimo! Recensite e ditemi le vostre impressioni.
Bacio.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8. ***


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«Stavo cercando di volare
ma non riuscivo a trovare le mie ali,
poi sei arrivato tu ed hai cambiato tutto.»

 

Avevo completamente perso la cognizione del tempo: non riuscivo a capire se fosse giorno o notte, se fossi ancora in ospedale o se mi avessero portato da qualche altra parte. Ero sprofondata in un sonno profondissimo – avevo persino sognato – e, anche ora che mi ero svegliata, non trovavo la forza di aprire gli occhio. Del resto, dietro ai miei occhi chiusi, si nascondeva una splendida immagine di felicità: lui che diceva di amarmi. Temevo troppo che sarebbe scomparsa nel nulla se mi fossi svegliata completamente.
«Deve svegliarsi» borbottò una voce femminile rauca e sconosciuta.
«Ci penso io» ed ecco la voce melodica di Nicholas. Udii i suoi passi e, prima che potesse aprir bocca, spalancai gli occhi.
La sua reazione fu un lieve sorriso, accompagnato da una carezza «Credevo non ti saresti più svegliata»
Emisi un risolino leggermente irritato.
Proseguì «Lei sta bene. Tra poco la portano qui per farla mangiare»
Io annuii impercettibilmente «Lei?» domandai, ricordando che non avevamo ancora pensato ad un nome.
Si accarezzò il mento e, come se mi avesse letto nel pensiero, rispose alla mia domanda silenziosa «Io pensavo a Rosalie»
Sorrisi ed abbassai lo sguardo «E’ un bel nome. Rosalie» ripetei pensierosa.
«Solo, pensavo…» riprese lui serio «Che ne dici di pronunciarlo alla francese: Rosalìe»
Annuii «Fantastico»
Lui ridacchiò «Sapevo che trovare un nome last minute sarebbe stata una buona idea»
Prima che potessi rispondere, il suono di un vagito risuonò nella stanza. L’infermiera – forse quella con cui aveva parlato poco prima Nick – apparve, con la piccola Rosalie tra le braccia.
Piangeva, ma non era un suono fastidioso, era cristallino, come un canto.
Allungai le braccia per afferrarla e, solo al contatto con il suo corpo, mi resi conto di quanto era piccola e delicata.
Calò un silenzio di ammirazione. Nicholas fissava la bambina ed io facevo lo stesso.
Aveva le guance leggermente arrossate per il pianto e le labbra socchiuse. Non trovavo alcuna somiglianza fisica tra me e lei, ma questa scoperta non mi rendeva triste.
Ero felice perché somigliava a lui, con le sopracciglia ad ala di gabbiano, le labbra carnose, i capelli folti e castani.
Mi voltai verso Nicholas «Ti somiglia tantissimo» biascicai, con la voce che faticava ad uscire a causa della commozione.
Lui annuì ed accarezzò delicatamente la testolina della piccola «Penso che abbia fame»
Spostai lo sguardo altrove «Serve un biberon» mormorai, presa dall’imbarazzo.
«E’ più sano l’allattamento al seno» ribatté con il suo vecchio tono severo.
Mi arresi e mi lasciai guidare da lui che – maniaco del controllo – aveva letto libri a proposito.
In men che non si dica, Rosalie si addormentò, dolce com’era, tra le mie braccia.
«Ho sognato una cosa» sussurrai, accertandomi di non infastidire la bambina.
«Ho sognato che dicevi di amarmi»
Sospirò intensamente ed alzò gli occhi al cielo.
Sbottai senza contegno «Smettila con questa farsa! Tu mi ami, smettila di prendere in giro te stesso»
«Non era un sogno, io te l’ho detto durante il parto»
Annuii. Sentivo che la mia mente non avrebbe creato tutta da sola una scemenza così grossa.
«Ed è così. Solo che ho paura di non essere abbastanza per te…» confessò, a sguardo basso.
Ridacchiai «Tu non sei abbastanza per me? Tu sei il padrone di una rivista famosa in tutta la nazione, sei uno stratega, sei astuto, bello, sexy, acculturato» mi fermai perché avrei potuto proseguire all’infinito.
«Non è questo il punto» protestò «Sono completamente negato con i sentimenti, con i rapporti umani e con tutto quello che riguarda la sfera emotiva delle persone»
Scossi la testa «Hai solo bisogno di un po’ di esercizio»
Annuì, le guance rosse per l’imbarazzo.
Cercai i suoi occhi ed emisi un risolino «Quindi ti arrendi?»
Sospirò «Sì. Mi arrendo al suo amore, signorina Fox»
Si avvicinò a me quanto bastava per far sì che le nostre labbra si incontrassero.
Rosalie si svegliò a causa del movimento e spalancò i suoi occhioni marroni.
Con una mano strinsi quella della piccola, con l’altra, quella di Nicholas: finalmente era tutto perfetto.

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Sono un po' in ritardo, lo so. Purtoppo la scuola mi sta uccidendo. Alla fine però ce l'ho fatta e posterò prestissimo anche il prossimo :) mi raccomando, in un modo o nell'altro, fatemi sapere che ne pensate. Recensite o scrivetemi su Twitter tutte le vostre impressioni.
Bacione e grazie.

Ho riflettuto un po' e sono giunta alla conclusione che non c'era nient'altro da dire. Che è davvero la fine e il resto lo lascio alla vostra immaginazione ;) grazie davvero di aver letto questa storia. Per me è stata davvero importante: è la prima che scrivo così... diversa. Alla prossima.

 

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