Angelus- Riveduto e Scorretto

di Emrys
(/viewuser.php?uid=76416)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Routine ***
Capitolo 2: *** Il sogno ***
Capitolo 3: *** Sentimenti ***
Capitolo 4: *** Simon ***
Capitolo 5: *** Dov'é finito il mio angelo ? ***
Capitolo 6: *** Complicazioni ***
Capitolo 7: *** Imprevisti ***
Capitolo 8: *** Il Saint Paul ***
Capitolo 9: *** Mary Whater - La risoluzione di Orsi ***
Capitolo 10: *** Assestamenti e Sopravvivenza ***
Capitolo 11: *** Amicizia ***
Capitolo 12: *** Suriel ***
Capitolo 13: *** La fine di un essere umano vagamente talentuoso ***
Capitolo 14: *** CAmbiamenti ***
Capitolo 15: *** Risposte ***
Capitolo 16: *** Seconda parte- Primo Interludio ***
Capitolo 17: *** Nuovi Inizi ***
Capitolo 18: *** Lavatrici Esplosive ***
Capitolo 19: *** Assestamenti ***
Capitolo 20: *** Iris ***
Capitolo 21: *** Convivenza e nuovi guardaroba ***
Capitolo 22: *** Quotidianità(titolo provvisorio) ***
Capitolo 23: *** Piccoli Progressi (A.A.A. Il mio regno per un titolo decente)) ***
Capitolo 24: *** Attacco Generale ***
Capitolo 25: *** I Mostri - Andreas ***
Capitolo 26: *** Idhael ***
Capitolo 27: *** This is War ***
Capitolo 28: *** Resistere ***
Capitolo 29: *** PRIME CREPE ***
Capitolo 30: *** Meiel ***
Capitolo 31: *** Ormoni ***
Capitolo 32: *** Il Raccolto ***
Capitolo 33: *** Terza Parte Secondo Interludio ***
Capitolo 34: *** 34 ***



Capitolo 1
*** Routine ***


Ilaria studiò il locale con occhio critico, sulle labbra le apparve un sorriso fugace e per qualche minuto si lasciò cullare dalla musica. Il Blood Moon le trasmetteva sempre una sensazione rivitalizzante, era grande poco più di una quarantina di metri quadri, aveva cupe decorazioni gotiche e praticamente ogni settimana riusciva a riempirsi come una scatola di sardine. Quando era lì si sentiva libera da ogni tipo di preoccupazione. Passò le tre birre ai ragazzi al bancone e con ancora un mezzo sorriso sulle labbra dette uno sguardo fugace all’ingresso del locale: Maxwell era un ex militare che aveva da poco superato i trentacinque, si ostinava a portare i capelli a spazzola e lei era più che convinta che scegliesse magliette sempre più attillate soltanto per mostrare la sua ancora persistente tonicità fisica. Al ricordo di come si erano conosciuti la sua espressione si rilassò impercettibilmente, aveva avuto così paura, tornò a concentrarsi sul suo lavoro e sistemò le birre dietro il bancone. Maxwell aveva un aspetto rude e aveva assai poca comprensione con chi tendeva a sgarrare in modo recidivo, ma per lei ormai era diventato una sorta di fratello maggiore. “Ehi ! Una Caipiroska !” La voce del dovere la richiamò sotto forma di una ragazzina con un completo nero, anfibi alla moda e al collo quello che a prima vista le sembrava un lucido collare per cani. Contemplare l’evolversi di alcune mode la faceva spesso sentire più vecchia dei suoi anni, emise un sospiro stanco e dopo averla servita tornò ad osservare la folla danzante. Quel testone di Steven era in ritardo e per quanto fino ad allora non le avesse mai dato bidoni non riusciva a fare a meno di sentirsi un poco in ansia. Dopo qualche minuto la sua zazzera apparve nei pressi dell’ingresso, lo osservò per un lungo istante e nel vederlo avanzare con la maglia color fuoco attraverso la marea nera dei dark presenti nel locale le fece subito pensare a una nave che fendeva la tempesta. Quando poi si accorse che la stava cercando con lo sguardo Ilaria si sentì un vero e proprio faro. Si era forse dimenticata di dirgli che quello era uno dei sabati a tema del locale ? Chiese a un collega di sostituirla per un paio di minuti e con un’espressione da birbante si avvicinò lentamente al ragazzo. Una volta arrivata alle sue spalle tossicchiò ed esordì con un tono professionale: “Serve qualcosa ?” Steven cercò di nascondere un sussulto, si voltò per abbracciarla e tuffò la testa nell'incavo tra la spalla sinistra e il suo collo. “Adesso non serve nient'altro.”

Maxwell fece passare la coppia successiva, cercò Ilaria con la coda dell’occhio e fece un sorriso sghembo: la conosceva da quasi due anni e lei era rimasta lo stesso vulcano traboccante di energia. L’aveva assunta quasi per scherzo e lei era riuscita a inventarsi una dozzina di ricette segrete per cocktail che erano diventati gli assi nella manica del suo locale. Abbandonare l’esercito non era stato semplice, per mesi non era riuscito a provare un affetto spontaneo o istintivo, aveva visto l’orrore e si sentiva come morto dentro, invece con Ilaria era successo subito. Sapeva di non essere suo padre o suo fratello, tuttavia da quando si erano incontrati aveva sviluppato nei suoi confronti una sorta di senso di protezione. Aveva intensificato persino i controlli all’ingresso, così da bloccare eventuali spacciatori e malintenzionati. Ultimamente aveva anche cominciato a pianificare progetti di ampliamento: il piano superiore dell’immobile era in disuso e aggiungere un terrazzo sarebbe stato proprio un colpaccio per i suoi affari. Preso da queste riflessioni fece un cenno ad un giovane che aveva reclutato alla palestra vicina e questi lo sostituì subito all’entrata. L’ora non era ancora tarda, ma lui doveva ancora finire di controllare parecchie ricevute di spedizione e così oltrepassò il bancone per entrare nel suo piccolo ufficio e chiudersi la porta alle spalle.

“Allora, mio bel contadino, come procede ?” Steven sogghignò accarezzandole il braccio e Ilaria passò il vassoio con i sei shottini alla cameriera più vicina. “So che ti sembra strano e potresti pensare che io sia soltanto un giardiniere più pignolo della media, ma gli studi su quelle coltivazioni un giorno potrebbero risolvere il problema della fame nel mondo.” Ilaria lo prese per il colletto della maglietta, attirandolo a se, e gli dette un lungo bacio. Il suo sapore agrodolce aveva sempre un che di giusto e nel momento in cui le loro labbra si separarono gli mormorò in un misto d’ironia e sensualità: “Il mio Salvatore dell’umanità, ma ricorda che ci sono anche altri tipi di fame da placare.” I suoi cambi di umore lo coglievano sempre di sorpresa, ma ricambiò il bacio con la stessa passione e in pochi attimi si ritrovarono dietro il bancone. “Dare da mangiare agli affamati è il mio motto, non lo sai ?” Sorrise, la strinse a se con un abbraccio e le dette un pizzicotto vicino all’ombelico. Ilaria trasalì, reagì con una gomitata e il suo ragazzo la evitò per un soffio, poi alzò entrambe le mani in segno di resa. “Steven, io qui ci lavoro.” Le parole di Ilaria erano poco più di un sussurro e quando un vassoio di bicchieri fu depositato sotto il suo naso Steven si sedette sforzandosi di mostrare la più innocente delle espressioni. “Lo so. E non mi sono dimenticato che domani mattina hai un incontro importante con la Strega, comunque questo non cancella ciò che vorrei fare.” Lei inarcò un sopracciglio, invitandolo a parlare, ma Steven assunse un’irritante aria furbetta e le rubò un bacio a fior di labbra: “No, no, troppo facile chiedere, bisogna provare per credere !” Con quest’uscita tra l'enigmatico e il provocatorio scavalcò il bancone, ordinò una birra e andò a bussare all'ufficio di Maxwell. Ilaria si spruzzò un po’ d’acqua in faccia, ancora confusa, sperò che l’idea di Maxwell di prenderlo come aiuto part-time per i lavori di ampliamento che voleva cominciare in estate si rivelasse giusta e soprattutto lo tenesse occupato almeno fino alla fine del suo turno. Alla fine ammise a se stessa che Steven a volte era un vero scemo, ma era il suo scemo e le piaceva, come non le era mai piaciuto nessuno prima.

§§§

La piazza era tutt’altro che omogenea, composta com’era da edifici antichi e nuovi accozzati gli uni agli altri, e il casermone color antracite che il Comune spacciava per la sede della facoltà di Storia Antica appariva come la massima estremizzazione del cosiddetto - Pugno in un Occhio -. Magari era solo frutto del nervosismo, tuttavia quella mattina l’edificio apparve a Ilaria come una prigione medievale, e le due finestre rotte con le sbarre ancora intatte sulla facciata di fianco all’ingresso furono un nuovo incentivo al suo pessimo umore. Poco importava l’assenza delle divise o la tolleranza sul comportamento, la postura ingobbita come se avessero il peso del mondo sulle spalle e i passi strascicati lungo le scale erano un segno più che distintivo di quanto quel posto spegnesse i sogni e la vitalità degli studenti. In quella tetra omologazione nessuno spirito libero poteva sentirsi propriamente a suo agio. “So che oggi devi consegnare la relazione alla perfida strega dell’Ovest, ma adesso sta facendo morbido Jim e ho paura che sia troppo magrolino perché le basti come pasto.” Ilaria sbuffò e gli dette un pugno sul braccio. Luke Orsi, con la sua faccia da bravo ragazzo e la sua discendenza orientale, era il cocco del responsabile di Storia del Vicino Oriente Antico. Oltre che la voce più affidabile riguardo all’umore altalenante degli aguzzini assetati di sangue che si travestivano da insegnanti. “La scadenza per la relazione è oggi e sai bene quanto sia facile ottenere da lei una proroga.” “In questo caso, forse dovresti pregare i tuoi angeli !” Lei sbuffò, gli fece la linguaccia e si fermò davanti all’aula di ricevimento. Nonostante l’antipatia che la Yarin spesso suscitava a pelle nessuno poteva mettere in dubbio il fascino che suscitava la sua aula: quella donna aveva riempito ogni angolo con reperti o copie di manufatti che aveva scovato durante le sue esplorazioni in ogni angolo del mondo. “Avanti, avanti.” La sua crocchia grigio topo emerse da una massa di fascicoli e il tono gracchiante trasmise a Ilaria un piccolo brivido, proprio mentre Jim le passava a fianco con la testa bassa.

All’apparenza la Yarin sembrava piccola, quasi fragile, eppure quando difendeva le sue asserzioni aveva la furia di un pitbull. Da quando Ilaria aveva attraversato la soglia aveva pronunciato si e non due parole, limitandosi a sfogliare con mosse veloci il lavoro che le aveva consegnato e ad appuntare qua e la dei commenti con la sua luccicante penna rossa. “Non è male, non è male. Hai fatto un lavoro abbastanza dettagliato, soprattutto per le fonti nelle diapositive che affianchi alle tue considerazioni. Anche se ci sono ancora dei punti che potresti ampliare, come il culto di Aton o dei maggiori dettagli riguardanti la terza dinastia. Ti consiglio di confutare altre fonti aggiuntive.” Ilaria si limitò ad annuire, appoggiandosi maggiormente allo schienale della sedia e prendendo il lavoro che la professoressa le stava restituendo: una parte di lei trovava ammirevole che si prendesse la briga di correggere e restituire i lavori in tempi tanto brevi, ma l’aver visto quanta penna rossa aveva usato le rendeva impossibile non detestarla.

Luke alla fine decise di aspettarla e quando Ilaria uscì dall’aula la centrò alla nuca con una pallina di carta. Lei non capì subito da dove provenisse e non appena lo vide farle ciao con la mano scosse la testa, per poi lanciare in aria la pallina e restituirgliela con una schiacciata. “Ti pare il modo di accogliere una condannata ?” La sua teatralità lo aveva sempre stuzzicato, le si affiancò e tirò fuori dal giubbotto di jeans una barretta. “Il ruolo della vittima può andar bene a quelli come Jim, tuttavia non riesco a ricordare una sola occasione in cui ti ho visto piegata dagli eventi. Un po’ di zuccheri per ricaricare le energie ?” Lei ne prese mezza e la sgranocchiò con avidità. Fissava il vuoto e dopo un attimo giunse alla conclusione che in qualche modo l’opinione che Orsi aveva di lei la lusingava. “Tu piuttosto, non dovresti aver finito da un pezzo la tua tesi mattone ? O hai qualche remora a entrare nel fantastico mondo dei lavoratori ?” Erano arrivati alla fila dei motorini e per non rischiare di soffocare dalle risate Luke si ritrovò a sputacchiare pezzi della barretta ai cereali. “Ila, di questi tempi lo chiamerei piuttosto il mondo dei disoccupati o dei disadattati. E che io sappia non esiste nessuna legge che vieti di trovare qualche lavoretto anche prima di essersi liberati di questo postaccio.” Con l’indice indicò la facoltà. “E allora ?” Lei lo incalzò, curiosa, e proseguì dopo essersi messa il casco. “Non mi dirai che miri a tre lodi al prezzo di una, stai forse cercando un fantomatico tomo in grado di darti tutte le risposte ?” Anche con il volto nascosto dalla visiera Luke riusciva a sentire il suo sorriso. “Chissà, magari esiste una spiegazione più semplice: al dipartimento non riescono a rassegnarsi alla mia perdita !” L’abbracciò ammiccando, allora si separarono e proseguirono in direzioni opposte.

§§§

“Mio signore, posso capire che lui abbia deciso di perdonare il suo ultimo sgarbo, ma non riesco ad accettare che abbiate deciso di lasciargli ancorata tanta libertà.” L’uomo sembrava confuso, eppure nelle sue parole era facilmente percepibile un sottofondo di astio. “Tranquillizzati, la ragazza smetterà presto di essere un problema ed Eric tornerà presto all’ovile.” “Ma.” Sihel gli fece a malapena un cenno e l’altro chinò al testa in segno di rispetto. “Le tue rimostranze sono comprensibili, tuttavia è stato uno dei nostri migliori cacciatori per oltre un secolo e per quanto quella ragazzina possa affascinarlo non credo che oserà mordere la mano del Padrone.” “Lord Sihel, mi inchino alla vostra saggezza.” Non osava esprimere oltre la sua opinione e il suo Signore parve compiaciuto da quel silenzio. “Mio caro, non devi dimenticare che il suo amico potrebbe benissimo farlo ragionare. L’altro annuì, fu investito da una brezza leggera e quando si dissolse si ritrovò solo.

******
Eccomi qua, si ricomincia con una storia pennuta nuova di zecca. Sperando questa volta di riuscire a evitare la solita collezione di refusi ed errori di battitura. Che altro posso aggiungere ? Buona lettura !

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il sogno ***


Il sole scompariva all’orizzonte e per quanto fosse ancora arrabbiata, doveva sforzarsi di allungare il passo, altrimenti la mamma le avrebbe fatto la solita paternale. Grazia Hollys era stata una stronza e venerdì sera doveva assolutamente fargliela pagare, non poteva mancare alla festa di Rosy. Era talmente concentrata che non sentì il rumore dei passi farsi sempre più vicino,  quando un paio di mani sudaticce le afferrarono il polso, quasi le prese un colpo. Dopo un attimo provò a divincolarsi e gridare, ma altre mani le tapparono la bocca e la tirarono per i capelli: erano in tre, puzzavano di birra e in pochi minuti riuscirono a trascinarla fino a un vicolo. I loro commenti sconclusionati sommati alle palpate sulle natiche lasciavano ben poche speranze sulle loro intenzioni, non sapeva cosa fare e le lacrime cominciarono a solcarle le guance. Le braccia bloccate dietro la schiena le facevano male e per quanto tirasse calci, lì mancava sempre di qualche centimetro: era terrorizzata. Fu schiacciata contro un muro che odorava di stantio e il più fatto dei tre le tirò una serie di schiaffi. Forse voleva che urlasse di più o magari doveva essere una sorta di promemoria sul fare la brava, lei non lo sapeva. Se anche avesse ripreso a urlare non sarebbe arrivato nessuno, era una cosa loro e non le restava che sperare che finissero in fretta. Quando i bottoni della camicetta cominciarono a saltare via, Ilaria aprì gli occhi e si accorse di essere nel proprio letto, ansimante e madida di sudore. Da quella notte infernale erano passati anni, la notte in cui aveva incontrato il suo angelo, eppure non riusciva ancora a ricordarla fino alla fine. Lui era apparso all’improvviso e aveva abbattuto i tre ragazzi come se fossero fuscelli, per poi indicarle la strada con un gesto. Lei era corsa via e dopo una ventina di minuti aveva portato la polizia sul posto, trovandovi ancora i tre privi di sensi. Il suo salvatore però non c’era più, sia i suoi genitori che la polizia avevano cercato di spiegarle che chiunque l’avesse aiutata probabilmente non voleva grane. A lei non tornava, tuttavia dopo le prime settimane aveva deciso di non discuterne più. Quell’evento l’aveva cambiata, in un modo che forse neanche lei capiva a pieno, e per gli amici e i familiari quel cambiamento fu espresso con la nascita di una passione piuttosto bizzarra: angeli, spiriti e ogni genere di storia che riusciva a trovare su di loro. Una piccola parte di lei sognava ancora di conoscere il suo, o in qualche modo di essergli più vicino. Si lasciò sfuggire un sospiro e una volta scesa dal letto, prese dall’armadio alcuni abiti puliti. Allora entrò in doccia e mentre il tepore dell’acqua corrente le rilassava i nervi, cercò di riordinare i suoi pensieri. I sogni su di lui non erano mai smessi, anzi, con il tempo erano diventati sempre più nitidi, ma lei non aveva mai avuto il coraggio di parlarne con qualcuno. L’esperienza della nonna le aveva fatto capire quanto poco ci volesse per avere addosso l’etichetta di pazza del quartiere e lei non era per niente interessata a seguire le sue orme.

Quella notte aveva creduto di morire, eppure era sopravvissuta e aveva preso in mano le redini della sua vita. Angelo o non angelo non doveva dimenticarlo. E se anche lui non era più riapparso, aveva la perenne sensazione di averlo vicino, un custode che la faceva sentire come avvolta in un calore protettivo quanto rassicurante. Si fermò davanti allo specchio per darsi una strigliata ai capelli recalcitranti, lasciò l’asciugamano sul letto e le sue labbra disegnarono un sorriso derisorio. “Chissà, se lo raccontassi a Steven, magari sarebbe geloso.” Pensarci era divertente e in più riusciva a darle una scarica di adrenalina. Indossò velocemente un paio di jeans sdruciti, una felpa rossa con il disegno di Snoopy sulla parte anteriore e un paio di scarpe da ginnastica scure. Poi salì su un motorino grigio argento e s'immerse nel traffico.

§§§

Il lavoro part-time al Caravan era nato per caso, ma aveva dato un sostanzioso aumento alle sue finanze. Anche se, sommato alle ore al Blood Moon, non era proprio un toccasana per il sonno. Superò un camioncino in curva e dopo aver oltrepassato la circonvallazione, posteggiò a una ventina di metri dall’entrata. Si tolse il casco, dette un’ultima sistemata ai capelli e varcò la soglia con passo veloce. Il Caravan era una piccola libreria in una delle stradine del centro storico e la prima volta c'era capitata per puro caso, innamorandosi di un romanzo con la copertina macchiata che faceva bella mostra nella vetrina. Amava la tranquillità di quel posto e a oggi quel romanzo era ancora nella top ten dei libri che l’avevano colpita di più. Il solo lato scadente della piccola scoperta era rappresentato dal proprietario: Josia. Quel viscido era sicuramente uno dei più grandi esperti di libri che avesse conosciuto, tuttavia aveva la pessima abitudine di provarci con ogni femmina della specie, compresa lei e l’altra sfortunata commessa. Come se qualcuno che poteva essere suo padre e possedesse la personalità di un mollusco fosse ai suoi occhi anche solo lontanamente attraente. “In orario. Non posso crederci, forse oggi cadrà una cometa sulla libreria ?” Sbuffò e senza darle il tempo di rispondere aggiunse: “Veloce ragazzina, il tempo è denaro !” Il suo tono petulante era come al solito pedante e fastidioso, ma questa volta Ilaria sembrò sentirci anche una nota di divertimento.

§§§

Il suono di un miagolio scocciato lo richiamò improvvisamente alla realtà: quando era salito su quel tetto, si era assicurato di essere solo, ma adesso aveva compagnia. E non si trattava soltanto di quel gatto troppo cresciuto. “Così hai già ripreso a spiarla ? Come fai a non renderti conto di quanto sia monotona la vita di quella femmina ?” Il suo interlocutore finse uno sbadiglio e proseguì: “Anyel ha perdonato le tue precedenti intromissioni, ma solo perché ha preso in considerazione i tuoi meriti passati. E da allora te la stai cavando giusto perché non ho ancora riferito le tue abitudini voyeuristiche.” Si umettò le labbra e visto che l'altro non reagiva, continuò. “Non fraintendermi, ci spalleggiamo da secoli e non è certo da me criticare gli estimatori della bellezza, tuttavia noi guardiamo e non tocchiamo. È così da sempre.” La voce melodiosa che cercava di rabbonirlo apparteneva a un uomo con i capelli castani, un’espressione gentile sul volto e degli occhi che mantenevano il colore del cielo in tempesta. Era vestito con un paio di pantaloni di lino scuri e dei mocassini, una giacca e una camicia chiara: lo stereotipo del perfetto uomo d’affari. “Abbiamo fatto altre volte questi discorsi,: non è compito nostro interferire, non dobbiamo impicciarci, il nostro dovere è osservare mantenendo l’obbiettività. Sono sul serio solo io ad avere l’impressione che sia tutta una grande recita ?” Castar arricciò il naso, ma non lo interruppe. “La tua mente è sveglia quanto la mia, se non di più, sappiamo entrambi quanto sia stupido seguire dettami che da millenni hanno bisogno di essere aggiornati. L’ordine è mantenuto con il pugno di ferro, lo so bene, ma è sbagliato !” Riprese fiato e sulle sue labbra apparve un sogghigno, mentre l’amico si guardò intorno con gesti furtivi e gli fece subito cenno di tacere. “Sei più testardo di un mulo accadico! Inizio a credere che ti ficchi volontariamente in queste situazioni.” Il suo interlocutore scomparve e gli apparve alle spalle. “Castar, amico mio, hai forse dimenticato che so badare a me stesso?” “Quando si tratta di lei no, sei diverso! E non dimenticarti della Francia.” “Vero, mi hai salvato dall’ira di quel pessimo imbrattacarte di Robespierre. Non l’ho dimenticato.” La sua bocca formò un sorriso tra il nostalgico e il divertito. “C’è chi fuma, chi va nei night umani e chi si concede decine di altre tentazioni. Anyel e gli altri sono soltanto dei maniaci dell’apparenza, quindi lasciami il mio piccolo hobby e se mai ci saranno problemi, li affronterò come ho sempre fatto.” Sparì in un alito di vento e dopo un minuto scarso Castar sospirò frustrato. Eric voleva davvero fargli credere che il suo fosse solo un hobby ? O semplicemente cercava di convincere se stesso ? Eric era conosciuto come una creatura controllata e pronta ad eseguire ogni tipo di ordine, tuttavia quando fissava quella ragazza era come se il gelo del suo animo si sciogliesse. Rischiava di diventare incontrollabile e se non si decideva a cambiare strada, persino lui sarebbe stato costretto a prendere provvedimenti. Scosse la testa e saltò giù dal tetto, in un attimo fu inghiottito dalle ombre sottostanti.

°°°°°


Ringrazio le veterane che hanno messo subito la storia tra i preferiti (Arib, Sacu, ISA83, Criss) e la rinata Lalaila che ha fatto capolino per segnarla tra le seguite. Per i lettori silenziosi, ricordo che un commentino è sempre ben accetto , eh ? Spero sinceramente che anche in questo capitolino ci siano pochi errori ma ne dubito. (L’antipatia a Palle sarà difficile da dimenticare:-p) Baci e alla Proxima !!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Sentimenti ***


Le sue amiche la stressavano da quasi una settimana con la festa della facoltà di economia, Maxwell aveva rappresentato l’ultima scusa per non andare e lui l’aveva tradita dandole il weekend libero. Ilaria era stata costretta a capitolare.  Adesso Emily e Lily l’aspettavano nel piccolo salotto di casa, mentre lei era chiusa nel bagno da una decina di minuti. Aveva il respiro affannato ed entrambe le mani strette attorno al lavandino, il dolore al petto l’aveva assalita all’improvviso ed era riuscita a nascondersi per pura fortuna. Grazie al cielo le fitte stavano diminuendo, di questo passo sarebbe potuta uscire presto, anche se l’ansia per quei malori l’avrebbe certo accompagnata a lungo. Quella sensazione era ormai familiare quanto angosciante, per quante visite avesse fatto nessun dottore le aveva riscontrato problemi fisici o neurologici particolari. A volte quell’incertezza perenne la faceva sentire come se camminasse alla cieca e fosse arrivata sul ciglio di un burrone, anche se sempre più spesso preferiva far finta di niente e ignorarli. Il suono di un bussare leggero la convinse di essere di nuovo in forze e quando Ilaria aprì la porta, si ritrovò davanti a una slanciata sacerdotessa africana con una minigonna blu scura e una giacca di pelle: Lily era splendida e la prese a braccetto per trascinarla fino alla cucina. “Iniziavamo a preoccuparci, però ora che il trio è completo, possiamo finalmente andare a caccia.” Emily le aspettava con un succo in mano, portava pantaloni a vita bassa, un top nero e una giacca elegante. Sembrava una femme fatal dei vecchi polizieschi anni sessanta. “Voi due quanti cuori volete spezzare?” La domanda era innocente, tuttavia i risolini con cui le risposero le amiche trasudavano malizia. “Se qualcuno ha già trovato il principe azzurro, non vuol dire che noi altre dobbiamo restare a bocca asciutta. Perché limitare la ricerca? La perfezione è un obiettivo alquanto duro da raggiungere.” Lily sogghignò e dopo un paio di minuti lasciarono l’appartamento.

La facoltà di economia era stata spostata un paio di anni prima, durante uno dei tanti tentativi di riqualificazione del centro cittadino. Adesso era in un nuovo complesso insieme a quella di giurisprudenza e d’ingegneria. Era significativo che le altre università non fossero state spostate o tantomeno restaurate. In ogni caso, per le feste quelli di economia non avevano a disposizione un cortile o un piano dell’edificio, ma un quartiere in miniatura: la musica era buona e il posto trasudava un’atmosfera simile ai Rave Party. Lily, poi, era uno spettacolo in grado di far rinascere il buon umore anche nell’animo più tetro: adesso ballava flessuosa in mezzo a tre studenti del quarto anno e alternava i partner con grazia e sensualità. Emily invece era seduta a un tavolo sulla sinistra, stava con altri ragazzi ed era arrivata al momento clou di una gara a chi riusciva a bere più birra.

Luke rimase a guardare Ilaria per alcuni minuti, quasi volesse imprimersela a forza nella memoria, poi prese due birre dal minifrigo di fianco a una delle colonne nella piazzola e la raggiunse. Nonostante l’ambiente festoso gli sembrava inquieta. “Com’è che ancora non ti ho visto buttarti in pista? Non c’è proprio nessuna canzone in grado di elettrizzarti?” Ilaria sussultò, lasciò cadere la bottiglia mezza vuota e lo colpì al petto con una gomitata. Poi riconobbe la fibbia Bastard Inside semi nascosta dalla sua camicia azzurro scuro e gli lanciò un’occhiataccia. “Siamo nervosetti?” “Odio essere colta di sorpresa.” Con quel tono imbronciato era davvero buffa, tuttavia lui decise di non infierire e dopo averle passato una birra fresca, si sedette accanto a lei. “Non hai di meglio da fare?” Ilaria aveva un atteggiamento tra l’acido e il sospettoso ma Orsi non se la prese e anzi ne approfittò per buttar giù un altro sorso di birra. “Questo è un posto come un altro per ascoltare buona musica e lasciarsi trasportare dall’energia della festa.” Fece una pausa e si voltò per guardarla negli occhi. “E poi, dove altro potrei studiare così da vicino una musona che cerca in tutti i modi, seppur con scarso successo, di fingere che non ci sia nulla che non va?” Aveva mantenuto un tono neutro, quasi distratto, eppure le sue parole suscitarono in Ilaria un brivido di sorpresa frammista a irritazione: quello stronzo, prima buttava frasi apparentemente casuali e alla fine sganciava la bomba emotiva. Lei una cosa del genere la poteva accettare da Emily, vivendoci insieme da più di un anno le poteva sembrare persino naturale, ma da Orsi le sembrava sempre terribilmente strano. Ai limiti del fuori luogo. “Bastardo.” Davanti a quell’insulto appena mormorato Orsi cominciò a ridere di gusto. “Non credo di averlo mai negato, ci buttiamo?” le porse la mano e nonostante la prima ritrosia Ilaria la afferrò e si rimise in piedi. Un paio di minuti e furono in pista.

§§§

Il suono del campanello le fece rimbombare il cervello e per l’ennesima volta Ilaria si disse che per quanto alla fine si fosse divertita una notte sfrenata non era certo consigliabile se il giorno seguente aveva un turno al Caravan. Il cliente appena entrato era un uomo sulla sessantina, indossava un paio di pantaloni di velluto scuri, mocassini lisi e una casacca rossa scura. Aveva il volto stanco e i capelli grigio argento. Josia gli si avvicinò veloce, sfoderando subito il suo aplomb di venditore, ma uno sguardo fermo del vecchio fu stranamente sufficiente a fermare la sua carica. Per quanto si sforzasse di ricordare Josia era capace di vendere sua madre per una cifra adeguata, eppure con questo tipo si era bloccato e stava girando i tacchi a tutta velocità. Era un avvenimento che meritava di essere sondato. Lasciò il libro di fianco alla cassa e si avvicinò al signore con la sua migliore aria professionale. “Mi perdoni. Serve aiuto? Cerca un titolo in particolare?” Riuscì a mantenere un tono professionale e ne approfittò per studiare con più attenzione il volto dell’uomo: sembrava che avesse sempre un sorriso bonario sulle labbra e questo gli dava un che di fanciullesco, mentre le rughe che gli solcavano le guance evidenziavano un contrasto invisibile tra quello che era e quello che ancora si sentiva in grado di fare. “La ringrazio, ma forse lei è troppo giovane per … Non importa.” Estrasse da una tasca un foglio ingiallito, senza preoccuparsi di finire la frase, e Ilaria lo prese aspettandosi quasi che le si sbriciolasse tra le mani. Scorse con attenzione i titoli di una decina di volumetti e poi rialzò lo sguardo sul cliente. “Se può aspettarmi un momento, credo che la sorprenderò.” La cordialità era l’arma migliore del venditore, Josia lo ripeteva sempre, tuttavia aveva sempre interpretato le sue parole come un qualcosa di falso. Invece con quell’uomo le veniva naturale. Andò nel retro e aprì la botola sulla cantina.

Perché Josia non si decideva a far rivedere quelle dannate scale? Era mai possibile che il suo capo fosse talmente tirchio da preferire che lei si rompesse il collo su quegli scalini piuttosto che rimetterli a nuovo? Cercò di non pensarci e arrivata in fondo andò al piccolo indice che aveva compilato durante le prime settimane di lavoro. Quel testone forse non aveva altro a cui pensare e poteva ricordarsi tutte le locazioni a memoria, ma lei aveva una vita normale. Ci mise una decina di minuti e riemerse con una quantità industriale di polvere sulla faccia, oltre a una decina di volumetti cartonati risalenti al 1944. Lo sguardo che le rivolse il signore fu un’indicazione più che sufficiente: aveva fatto centro. Riuscì appena a posarli sul bancone che l’uomo sfiorò ogni copertina con mani tremanti, quasi avessero una vita propria. “Li sto cercando da più di dodici anni, ti ringrazio.” Ilaria notò una lacrima scendere sul volto dell’uomo, ma non disse niente e gli fece il conto: 144,00 euro. Lui le passò i soldi e con una delicatezza infinita infilò i volumi nella busta, poi le strinse la mano e ci fece scivolare una banconota da cinquanta. “Mia moglie li leggeva quando ci siamo conosciuti, ora che è morta è come se con essi una parte della mia Magda fosse ancora al mio fianco. Grazie, grazie ancora.” Ammiccò e dopo averle rivolto un sorriso, lasciò la libreria. Ilaria mise in tasca la banconota e lo osservò fino a quando non girò l’angolo: quel signore bislacco le faceva tenerezza e forse anche un po’ d’invidia per il sentimento che lo legava ancora così intensamente alla donna amata. Forse tra lei e Steven un giorno sarebbe stato così, sperare in fondo non costava niente.
 

§§§

Hello ! Sono in ritardo ma ecco il nuovo capitolo ! Che ne pensate ? Alla prossima !!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Simon ***


Il turno era cominciato da poco più di un’ora, tuttavia Ilaria si sentiva stanca come se avesse servito da bere per un decennio. Emise un sospiro stanco e lasciò vagare lo sguardo lungo il locale. Le notti erano sicuramente più divertenti quando poteva stare dall’altro lato del bancone, ma anche assai meno remunerative e le bollette non si pagavano certo da sole. Sacrificare qualche serata di bagordi in cambio dell’indipendenza economica era un baratto vantaggioso, senza dimenticare che le permetteva di continuare gli studi. “Un Cuba Libre.” La voce di un biondino dalla chioma arruffata la richiamò alla realtà, aveva un’espressione divertita e nel prendere gli ingredienti Ilaria si sentì stranamente soddisfatta: queste erano le ordinazioni che le piacevano ! Adorava preparare cocktail e i più difficili arrivava a considerarli come una forma d’arte. “Un soldo per i tuoi pensieri.” Lei si bloccò e lo fissò interrogativa: non le sembrava come gli altri ragazzi che si scatenavano nel locale, aveva la bizzarra sensazione che emanasse un fascino calmante. “Non è una tecnica d’abbordaggio un pelino stagionata ?” Gli porse il bicchiere e lui cominciò a ridere. “Vecchia, ma sempre attuale per rompere il ghiaccio. Io sono Simon.” Prese due sorsi e proseguì. “Era da un po’ che pensavo di venire a ordinare e quando mi sono seduto ho notato che avevi un’espressione corrucciata. Qualche problema in Paradiso ? Non mi dirai che il tuo ragazzo ti fa soffrire, perché sarebbe proprio uno sciocco !” Lei scosse la testa e gli voltò le spalle nascondendo un sorriso spontaneo. “Non ti stai confondendo ? Non toccherebbe a chi sta da questa parte del bancone ascoltare i problemi degli altri ?” Lui alzò gli occhi al soffitto, facendo finta di pensarci su e dopo un istante negò convinto. “Ascoltare tocca sempre a chi si rende conto delle cose, non penso tu abbia idea del coraggio che deve avere un ragazzo per provare a far colpo su qualcuna che sembra avere lo sguardo perso in chissà quali riflessioni.” Simon stava passando dall’approccio filosofico alla spudoratezza, però la divertiva. “Eppure non mi sembri così messo male da non attirare l’attenzione del gentil sesso.” Sul finire della frase Ilaria ebbe una fitta al petto, le mancò l’equilibrio e riuscì a non cadere soltanto appoggiandosi pesantemente al bancone. “Tutto ok bellezza ?” Simon si alzò di scatto, pronto a sostenerla, ma lei imprecò a mezza voce e lo fermò con un gesto della mano. “È solo un calo degli zuccheri, prima di iniziare il turno avrei dovuto fare uno spuntino.” Lasciò cadere il panno sul ripiano e fece un fischio acuto nella direzione dell’ingresso. “Maxwell !Lascio Jan al bancone e faccio una pausa. Giusto cinque minuti.” Da quando l’aveva assunta l’aveva trattata a metà tra una mascotte e una sorella minore, le fece un cenno noncurante e Simon la osservò in silenzio mentre si allontanava verso l’uscita sul retro. Poi scomparve tra la folla senza neanche terminare il drink

§§§

Eric era seduto a un tavolo d’angolo e giocherellava col cocktail che gli avevano servito senza decidersi a berlo. Da quanto era nervoso, non si accorgeva neppure di trasmettere al bicchiere piccole scariche elettriche attraverso i polpastrelli. Non era la prima volta che discuteva con Castar e tuttavia la loro chiacchierata su quel tetto era stata senz’altro la più grave. Il tempo stava scadendo, lo sapeva bene, ma se l’avesse aiutata ancora, Anyel non l’avrebbe presa per niente bene. Emise un ringhio sommesso, socchiuse gli occhi e per un breve istante Eric si lasciò andare alla stanchezza della sua reale età. “Loro si mascherano dietro leggi e regole, ma in realtà sono solo creature assetate di potere e sono terrorizzati dalla possibilità di perdere la loro posizione.” Fece un mesto sorriso e spaziò lo sguardo su i giovani presenti nel locale: le loro energie avevano sapori diversi, ma erano tutte accumunate da uno spasmodico desiderio di libertà. Era ironico pensare a quanto spesso gli esseri umani si nascondessero dietro delle leggi sempre più complicate, quando in realtà nel loro intimo non desiderassero altro che essere liberi. Si rilassò per qualche istante, tuttavia i suoi pensieri corsero subito alla sua razza e il suo volto assunse un’espressione amara: se un qualunque fratello avesse espresso apertamente le stesse critiche sarebbe stato messo in catene ancor prima di riuscire a contare fino a dieci. Nessuno aveva mai osato ribellarsi, il rischio di perdere la testa era troppo alto.

Ilaria serviva ogni cliente con mosse sicure, a volte Eric aveva l’impressione che conoscesse a memoria la sua postazione e dentro di sé sperò di poterle permettere di restare all’oscuro dei pericoli che correva. Non sarebbe stato facile ma non avrebbe gettato la spugna. Con la coda dell’occhio la vide portarsi le braccia al petto, stava male, ma non capiva perché. Allora spinse le proprie percezioni attorno a chi le stava vicino e per la tensione il bicchiere gli si frantumò in mano. Dopo neanche mezzo minuto, Eric sparì come risucchiato dalla penombra del locale.

§§§

Ilaria era immobile, la schiena contro il muro, sulla destra della porta di servizio e con le braccia distese lungo i fianchi. Era arrivata a contare fino a centocinquanta, ma adesso la sua respirazione si stava finalmente normalizzando. Ancora qualche minuto e sarebbe stata meglio, nonostante questa consapevolezza manteneva lo sguardo basso e non riusciva a scacciare il disagio. Come se qualcuno la potesse sul serio vedere in quel vicoletto puzzolente, quando poi un gattino spelacchiato fece capolino da dietro un cassonetto gli rivolse un sorriso innocente. “Ehi, magari sembro strana anche a te: dovrei essere a servire al bancone e invece sono qui a pregare perché il dolore vada via. E se questo non bastasse, adesso mi sto confessando con un felino. Patetica !” Il micio sembrò rassicurato dal suo atteggiamento, così le miagolò di rimando e avanzò di qualche passo. “Dovrei parlarne con qualcuno, ma ho paura. Ogni volta la pressione è sempre più forte, come se dentro di me ci fosse qualcosa d’incontrollabile che preme per uscire. Cos’ho che non va ?” Inclinò la testa di lato e si chinò per accarezzarlo. “Tu lo sai ? Ho paura di parlare con le persone che mi sono vicine, non voglio che cambino l’opinione che hanno di me, e i dottori sono stati tutti d’accordo nel definirmi sana come uno dei pesci che ti piacerebbero tanto.” Gli avvicinò l’indice della mano destra e il gatto si ritirò sospettoso. “È bizzarro che mi sia tenuta dentro tutto per mesi, per poi sfogarmi con il primo micio spelacchiato che incontro. Non è che sei un terapista in incognito, eh ?” Adesso si sentiva più leggera e d’istinto afferrò la maniglia della porta. “Se aspetti qui, tra un po’ ti porto la parcella sotto forma di un grosso piatto di avanzi. Va bene ?” I miagolii con cui le rispose le diedero la sensazione che il gatto la capisse sul serio. Già si sentiva strana per quegli pseudo attacchi di panico, se adesso avesse cominciato a immaginare conversazioni argute con gli animali avrebbe senza dubbio ricevuto una stanza a suo nome nel manicomio più vicino.

§§§

La notte era avvolta in un silenzio ovattato, mentre gli odori del quartiere sembravano aver acquisito qualcosa di marcio. Eric planò sull’ennesimo tetto e ancor prima di toccare l’edificio modellò una catena di fulmini azzurri che partì verso Simon. Questi si voltò, incrociando il suo sguardo all’ultimo secondo, evitò il colpo con un movimento fluido e i fulmini azzurri finirono con l’abbattersi sul marciapiede a un metro scarso dal bersaglio. Eric aveva un’espressione arcigna e Simon restò a fissarlo come una sorta di bestia rara. “Così questa brezza leggera la devo a te, il nostro Eric: perennemente con cappotto nero, pantaloni scuri e un’espressione torva sulla faccia. Non riesci proprio a sorridere ai tuoi compagni ?” Teneva le braccia incrociate davanti a sé e aveva un’aria sicura quanto sprezzante.

“Cosa le hai fatto ?” Eric era in preda alla rabbia e questa era una cosa pericolosa: lasciarsi guidare dalle emozioni in uno scontro con i suoi simili era quanto di più sbagliato potesse mai fare. “È incredibile: nonostante tutto fatico ancora a credere che tu ti ostini a mettere il destino di quella femmina umana davanti al nostro. Noi siamo la tua famiglia !” Lui non ribatté e Simon avanzò di qualche passo. “Quella mortale ti ha fatto proprio perdere la testa: non ti ho mai visto così irruente ed emotivo. Non hai mai mancato una missione e hai spento per noi innumerevoli vite. Da quanto hai scoperto di avere una coscienza?” Il suo tono era ragionevole, da fratello maggiore pronto a rassicurare e spiegare i perché della vita, mentre Eric restava immobile come una statua. “Per quanto tu sia giovane, devi per forza essertene reso conto. Il suo sapore cambia in continuazione e questa instabilità può voler dire solo una cosa: il suo risveglio è prossimo.” Fece una pausa a effetto e il suo volto assunse un’espressione sconsolata. “Nessuno è mai riuscito a impedire un risveglio e le sue conseguenze sono note a entrambi, no? Quindi, perché non ti togli lo sfizio di cavalcarla e poi torni ad essere il cacciatore di una volta?” Le ali di Eric fremettero violentemente e questo fu l’unico segno tangibile della sua rabbia trattenuta a stento. Era cresciuto tra la gente di Sihel e per secoli era arrivato a considerarla la sua famiglia, eppure non erano in grado di comprenderlo.

“Le mie mani sono macchiate di sangue, ho le mie colpe, ma ciò non toglie che vi impedirò di farle del male. Nessuno di voi dovrà avvicinarsi a lei, o giuro che …” Simon alzò l’indice destro, interrompendolo, e nel tempo di un battito di ciglia scomparve. Eric si guardò intorno e se lo ritrovò alle spalle. “Ho il sospetto che ci sia un equivoco: io non l’ho attaccata, altrimenti la tua ragazzina umana sarebbe già cibo per i vermi.” Eric si voltò per colpirlo con un’altra scarica, ma lui gli bloccò il polso e continuò. “Per quel che riguarda la tua follia, temporanea o meno che si dimostrerà, non credere che tutti abbiano l’indulgenza di Castar.” Il suo tono adesso era freddo e rasentava il distacco,ma prima che Eric potesse reagire fu investito da una dozzina di lame di ghiaccio. La violenza dell’impatto lo scagliò fino a una macchina dall’altro lato della strada. “Quando si fatica a mantenere il sangue freddo è facile fraintendere, io mi sono limitato a stuzzicarle l’aura e soltanto per cercare di capire cosa stia influenzando il suo risveglio.” Si lisciò il mento e rivolse a Eric, ancora malamente accasciato, uno sguardo obliquo. “Sei duro d’orecchi, non credevo che ci fosse bisogno di tornare su i dettagli della situazione: Anyel ha deciso di passare sopra ai tuoi due ultimi interventi e Sihel crede che Castar riuscirà a farti ragionare.” Sbuffò, poco convinto. “Se cercherai di salvarla un’altra volta, gli Anziani faranno di te -un esempio- Come la mettiamo?” Sul suo volto apparve un sorriso di finta premura, ma nel suo sguardo Eric riusciva a leggere soltanto odio e compiacimento. Allora si rimise in piedi, per quanto ancora traballante, e mentre si sforzava di ritrovare la stabilità fu sovrastato dalla gravità dei programmi di chi guidava il suo popolo. Lui si era ribellato, voltando le spalle a tutto quello in cui credevano. Era a tutti gli effetti un reietto, tuttavia il ricordo dell’espressione terrorizzata di Ilaria spazzò via ogni dubbio. Quella notte l’aveva difesa da quei tre imbecilli e per nessuna ragione al mondo avrebbe accettato di abbandonarla ! “Hai finito con la predica ? Qualunque cosa tu dica, io non la lascerò sola. La guiderò nel cambiamento e non permetterò a nessuno di farle del male !” Simon rise e disegnò con cristalli di ghiaccio l’immagine di due cuori intrecciati. “Vorresti sul serio vivere così ? Tipo due cuori e una capanna ? Sei ridicolo, non …” La sua replica saccente s’interruppe a metà e soltanto allora lo fissò sgranando gli occhi per lo stupore: “Sei stato tu, vero ? Sei stato così folle da …” Eric alzò le braccia davanti a se, un formicolio gli attraversò entrambe le mani e dai palmi emise una serie di fulmini nella direzione di Simon. La notte fu illuminata a giorno e quando ritornò ad essere rischiarata dal chiarore lunare, entrambi erano scomparsi, inghiottiti dalla luce.

§§§

Ecco qua, capitolo nuovo vita nuova ! Commenti ? Domande ? Risposte ? Chiedete e vi sarà dato ! (fa un bel respiro e cerca di ricomporsi) A quanto pare abbiamo perso di nuovo Isa1983, pensavo fosse presto ma penso che dovrò tirar fuori il retino d’ordinanza *_* ! Ringrazio l’Uccellino e Criss per la perseveranza e invito Esquire e Sacu a farsi coraggio e proseguire nella lettura *_^ ! Che altro aggiungere ? La_laila. Bene_tuffi ? Mi devo dare all’ippica o la storia vi intriga ? siete così silenziosi da sembrare statue di cera … Su, su, che un commentino non costa niente! Alla proxima !

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Dov'é finito il mio angelo ? ***


Dalla sera in cui si era confessata al micio, per quanto darle tanto significato le sembrasse fin troppo infantile, si sentiva libera e in pace. Quella serenità era un dono inaspettato e l’aveva ampliamente aiutata a farle ottenere risultati ottimali in molti dei campi in cui aveva provato a cimentarsi. Il ricordo di come aveva ribattuto colpo su colpo a ogni intervento, persino ai più insidiosi, la Yarin era rimasta senza parole. Dopo anni di torture da leggende metropolitane, veder affondare quella vecchia balena bianca era stata una cosa entusiasmante. Portò una mano alle labbra, nascondendo un sorriso sul nascere, si appoggiò a una colonna del cortile e alzò la testa per fissare il cielo. Da Quella notte gli attacchi erano spariti, aveva dato una lezione a un’insegnante nota per il suo carattere da arpia professionista ed era riuscita a tornare in pari con gli esami del suo anno. E come ciliegina sulla torta, a oggi continuava a mantenere due ottimi lavori al Caravan e al Blood Moon. Erano passati eoni dall’ultima volta in cui si era sentita così sicura. Alla prossima visita sul retro del Blood Moon quel gatto avrebbe trovato un piattino di latte e del pesce fresco talmente gustoso da fargli leccare i baffi. Cominciò a saltellare come una ragazzina e lasciò la facoltà, era felice, la vita era bella e avrebbe fatto un’improvvisata al suo Steven. Ancora non gli aveva raccontato del signore al Caravan e aveva voglia di vedere il suo contadinello !

§§§

Castar era fermo davanti a un negozio di ottica e la sua staticità era tale che ben pochi tra i passanti si rendevano conto della sua presenza. L’energia di Eric si era dissolta, non riusciva a percepirla da nessuna parte. Sperando di ritrovarlo grazie al suo cosiddetto –Hobby- aveva cominciato a seguire gli spostamenti della sua umana, ma erano passate più di settantadue ore e niente era cambiato. Adesso la stava osservando mentre lasciava la facoltà e si confondeva tra le persone che affollavano la via. Distolse lo sguardo e soffocò un’imprecazione a denti stretti. Eric restava uccel di bosco e lui non sapeva più cosa inventarsi. Calciò di tacco il muro alle sue spalle e strinse le mani a pugno: la sola idea di qualcosa tanto sconvolgente da riuscire ad allontanarlo dalla sua ossessione gli trasmetteva inquietudine. “Amico mio, non può venirne fuori niente di buono. A maggior ragione se dietro la tua scomparsa ci sono le Alte Sfere.” Se gli Anziani avevano deciso di punirlo nessuna forza in cielo o in terra avrebbe potuto riportarlo indietro. Si scostò dal muro, rivelando così la crepa che il suo calcio aveva prodotto tra il negozio di ottica e il tabaccaio all’angolo. “So che è una possibilità remota, ma quell’idiota potrebbe anche essere scappato. Magari è riuscito a inventarsi qualcosa per confondere gli emissari che lo vogliono far fuori, chissà.” Continuò a rimuginare a testa bassa e alla fine si fermò nei pressi di un palo della luce, dove si lasciò andare a un sospiro ricolmo di frustrazione. Nel bene o nel male il destino di quell’umana era segnato, eppure far entrare il concetto nella testaccia di Eric era stato come cercare di parlare a un muro. Avrebbe fatto il possibile per impedirgli di giocarsi la testa ancora una volta. Con quest’ultimo pensiero oltrepassò il lampione e scomparve nella sua esile ombra.

§§§

La serra era una struttura di oltre duecento metri quadrati, il cui interno si suddivideva in otto padiglioni più o meno regolari, secondo quello che cercavano di coltivare. Per quanto si divertisse a prenderlo in giro, in fondo Ilaria era orgogliosa del lavoro che il suo ragazzo portava avanti. Forse proprio per questo, all’ultimo momento, era passata dalla trattoria all’angolo e gli aveva comprato qualcosa di caldo, o magari desiderava soltanto pranzare insieme a lui. Davanti al cancello riconobbe la sagoma rotonda del guardiano Pecchi. Nelle precedenti visite si era dimostrato una piacevole compagnia e ricordando quanto la moglie lo teneva sotto stretto regime alimentare gli lasciò un piatto di plastica con un cosciotto di pollo ancora fumante. Un pensiero così gradito che l’aveva fatta immediatamente sommergere di lodi. Nel lasciarla passare, il guardiano si sporse dalla sua postazione e con un sorriso complice le ripeté che Steven era davvero un uomo fortunato. Erano complimenti imbarazzanti, ma alla ragazza fecero più piacere di quanto si aspettasse. Non era la prima volta che andava a trovarlo sul lavoro, tuttavia davanti a quel labirinto aveva sempre avuto l’inconscio timore di perdersi. E poi non voleva che il pranzo si freddasse ! Prima che si facesse prendere dal panico iniziò a distinguere delle voci, non capiva bene le parole, ma era talmente sollevata che corse verso di loro per farsi dare un’indicazione: dopotutto si sarebbe risparmiata la figuraccia con Steven. Nello scoprire chi stava conversando ebbe la sensazione che il tempo si dilatasse in un istante di dolore: Steven, il suo Steven, era seduto su una delle panchine di marmo che costellavano i corridoi e teneva tra le braccia una splendida donna. Lei non la conosceva, ma vederla giocare con la zazzera del suo contadino le faceva male; per non parlare di come si strusciava contro di lui e lo accarezzava con evidente desiderio. Ilaria inghiottì a vuoto, avanzò di un passo, e senza neanche rendersene conto lasciò cadere a terra il pacchetto. Non riusciva più a sentire le parole, ma l’imbarazzo colpevole sulla faccia di quello stronzo era qualcosa d’inequivocabile. “Ila, piccola, non ti aspettavo.” Lei ebbe la forza di fare un sorriso sghembo e, con tutta l’alterigia che gli era possibile, gli si avvicinò senza degnare di uno sguardo la ‘gatta morta’ al suo fianco. “Sei un fottutissimo figlio di puttana !” Lui non sembrava particolarmente scosso dal suo sfogo, al contrario manteneva un’espressione sicura e al limite della sfrontatezza. Addirittura allungò una mano verso di lei e cominciò a parlarle in tono conciliante, come se potesse in qualche modo calmarla. Ilaria gli afferrò il polso con un movimento automatico e lo colpì in faccia con un destro talmente poderoso da farlo volare per terra.

“Quel lurido stronzo. Quell’animale !” Faticava a controllare i suoi stessi pensieri e vedere la tipa accorrere da lui rappresentò l’ultima goccia. Fu come se qualcosa rinchiuso per un tempo infinito trovasse all’improvviso la via d’uscita, quando poi cominciò a parlare sentì la diga che le opprimeva lo spirito andare in frantumi. “Sei una merda indegna di lavorare in posti come questo ! Sei lo sterco dell’umanità !” Dopo l’urlo corse via, sentendo il loro sguardo bruciante su di se. Ad ogni passo le balenava in mente un ricordo felice con Steven e nello stesso tempo percepiva la struttura della serra scricchiolare pericolosamente. Quando oltrepassò la postazione di Pecchi, e fu di nuovo all’esterno, sentì quasi un terzo della struttura cedere e ripiegarsi su se stessa: la serra era implosa.

§§§

Emily era stanca morta: aveva cominciato il tirocinio da appena un paio di settimane, eppure si stava dimostrando più faticoso di quanto si aspettasse. Almeno le piaceva e quando finiva la giornata era sempre soddisfatta. Prese le chiavi dai jeans, aprì la porta, e lasciato il cappotto all’entrata si preparò per fare un bel bagno caldo. Purtroppo, ogni desiderio di relax fu sconvolto dal riconoscere una tremante sagoma femminile davanti al piccolo salotto di casa. Che cazzo era successo a Ilaria ? Piangeva in silenzio e sulla maglietta riconosceva almeno un paio di macchie rossastre dall’odore pungente: sangue. “Ila ? Tesoro ? Va tutto bene ?” Certo, capiva da sé che era una domanda stupida, ma per adesso l’importante era avere da lei un qualunque tipo di reazione. “Mi senti?” Le era arrivata davanti, ma prima che riuscisse a toccarla, la vide alzare la testa e aprire lentamente gli occhi. La sua amica aveva un’espressione addolorata, tanto che per un breve istante Emily arrivò a credere che anche il semplice tenere gli occhi aperti aumentasse la sua sofferenza. “Emily …” Dopo un attimo di esitazione provò ad alzarsi, poi continuò: “Scusa … Mi dispiace.” Ilaria la vedeva solo come una sagoma sfocata, tuttavia poteva giurare che la sua amica le aveva appena fatto una delle smorfie indignate che le piacevano tanto. “Non diciamo fesserie. Non devi scusarti di niente, altrimenti a cosa servirebbe avere un’amica con un paio d’anni di esperienza in più?” Le sfiorò il naso con l’indice destro e la aiutò ad alzarsi. “E ricorda: esperta, non vecchia …” Ilaria le regalò un sorriso e si fece sostenere da lei fino alla porta del bagno. Era incredibile come la vicinanza della sua amica bastasse a far rinascere in lei il buon umore.

Emily la aiutò a spogliarsi e dopo un paio di minuti la lasciò al tepore di un bagno caldo. Il programma di uscita era saltato e da come aveva trovato Ilaria si preannunciava una serata di confidenze e problemi tra ragazze. Emily prese un volantino dal mobile della cucina e preparandosi mentalmente digitò il numero: il cinese avrebbe portato l’ordinazione in non più di un quarto d’ora e davanti a dei deliziosi involtini primavera sarebbe riuscita a farla aprire. Parlare dei propri problemi era il modo più veloce per trovare un primo sollievo.

§§§

In poco tempo il tepore del’acqua riuscì a diminuire la tensione delle sue articolazioni. Quel bagno era proprio ciò che le serviva, aveva avuto una gran fortuna a trovare un’amica come Emily. Sospirò preoccupata e sentì che l’angoscia che le serrava la gola non si era ancora sciolta del tutto. Come se non fosse sufficiente tutto quel casino, aveva l’impressione che le cose fossero talmente complicate da renderle difficoltoso parlarne con chiunque. Come spiegare a qualcuno qualcosa che neanche lei stessa era in grado di capire? Sbuffò e la schiuma fluttuò lungo la vasca, poi immerse la testa sott’acqua per una decina di secondi: quel calore era bello e le dava la sciocca sensazione di essere ancora protetta, all’interno del grembo materno. Quando riemerse, restò ad occhi chiusi per cinque minuti abbondanti, passò la lingua sulle labbra e riepilogò dentro di se tutto quello che era successo in quella dannata giornata. Era iniziata così bene, ancora non si capacitava di come fosse finita in quel disastro totale. Comunque, il dolore era una prova del fatto che non si era immaginata tutto. Si sentiva ferita e umiliata dal tradimento di quel maledetto bastardo. Guardando lo specchio si sforzò di sorridere, ma con l’indice disegnò in un angolo del vetro una piccola faccina triste. Erano stati insieme due anni e mezzo. Amava il suo arricciare il naso quando qualcosa lo sorprendeva e stringerlo come un orsacchiotto era una delle cose più divertenti. Eppure quello stronzo l’aveva tradita, se non lo avesse colto in flagrante chissà per quanto ancora l’avrebbe presa in giro. Continuò a strofinarsi con l’accappatoio e una lacrima raminga le solcò una guancia. “Un mese prima le aveva addirittura proposto di convivere. Che razza di mentalità subdola nascondeva? Com’era anche solo immaginabile proporre a qualcuno la convivenza quando si continuava ad andare a letto con gli altri?” La propria voce le suonava ruvida, senza perdere tempo a cercare una risposta corse a nascondersi in camera.

§§§

Emily alzò lo sguardo dalla tazza e vide sgattaiolare l’amica verso la sua stanza. Le apparve sulla faccia un cipiglio interrogativo, umettò le labbra e ricordando il giorno in cui si erano conosciute nel caos dell’affollatissima segreteria le sue labbra disegnarono un sorriso rassegnato. Ilaria le era apparsa come una ragazzina pallida in abiti scuri e in tutto quel marasma la sua calma apparente spiccava come una sorta di mosca bianca. Le voleva bene al pari di una sorella minore, ma sapeva anche che la piccola Biancaneve odiava dipendere da qualcuno, o anche solo mostrarsi debole. Appoggiata la tazza sul tavolino rise e ripeté con un sussurro il nomignolo: Biancaneve. Maxwell, il corpulento direttore del Blood Moon l’aveva soprannominata così sin dal loro secondo incontro e tutt’ora lo utilizzava per spronarla durante le lezioni di autodifesa. All’apparenza sembrava un uomo rude, ma la sua preoccupazione nei confronti di due ragazze sole era una cosa molto dolce. Emily si alzò in piedi e con mosse silenziose raggiunse la porta dietro cui si stava nascondendo l’amica. Ilaria era sveglia e in movimento, poiché Emily era preparata all’idea di dover entrare con la forza; decise di interpretarlo come un buon segno. “Mi metto qualcosa di più comodo e ti aspetto in salotto … Ma ti avverto, se fai finta di dormire chiamo il tuo capo e gli chiedo di venire a buttar giù la porta!” Dette due colpi leggeri alla porta, per essere certa che avesse recepito il messaggio, e prima di allontanarsi aggiunse: “Per essere chiari, penso che Josia sarebbe più che lieto di dare un’occhiata alla tua camera.” Il tonfo di un cuscino lanciato contro la porta chiusa fu l’unica risposta per la sua provocazione.

§§§

Quando Castar si fermò sulla cima dell’antica cattedrale il sole aveva ripreso il suo eterno percorso. Aveva gli abiti sgualciti e la sua solita espressione bonaria era stata sostituita da un broncio rigido come il marmo. L’energia del suo più caro amico era scomparsa e le tracce dei fratelli che agivano nel continente si affievolivano di minuto in minuto. Era come se fosse in atto una vera e propria evacuazione di massa. Perché? Quale diavolo di problema poteva provocare un fuggi fuggi così generale? Raccolse un frammento di tegola e con un gesto di stizza lo lanciò sul tetto più vicino. Si distese a guardare il cielo e incrociò le braccia davanti a sé. “Eric, dire che li hai fatti arrabbiare è riduttivo. E come al solito non hai voluto il mio aiuto. Vai avanti sempre da solo, come un ariete fuori di testa, per non mettere in pericolo nessun altro.” Chiuse gli occhi e alzato un braccio verso il cielo disegnò nell’aria delle piccole eclissi consecutive. “Quando mi riapparirai davanti, ti prenderò a pugni tanto forte da farti sembrare un sollievo qualunque punizione si siano inventati gli Anziani.” Era un tentativo d’ironia forzata: aveva l’umore a terra e non riusciva a permettersi niente di meglio. Castar era per natura un realista e quindi sapeva che se le alte sfere si erano messe in movimento, le possibilità di rivedere il suo amico erano davvero poche. Fu proprio in quel momento di cupa rassegnazione che percepì una piccola scintilla di potere, la speranza gli gonfiò il petto e si smaterializzò per correre ad identificarla.

§§§

Ilaria chiuse la porta a chiave, lanciò sul letto l’accappatoio e si fermò davanti allo specchio. “Non c’è più.” Lo aveva notato appena uscita dalla vasca, ma dirlo ad alta voce le faceva tutt’un altro effetto. Mosse la mano destra fino a sfiorare l’incavo tra il collo e la spalla sinistra, trasalì ancora una volta. La piccola voglia a forma di goccia che l’aveva accompagnata fin dall’infanzia adesso era scomparsa. L’aveva considerata per la prima volta durante i corsi di nuoto delle elementari, era solo una bambina, ma ricordava con che velocità la sua immaginazione aveva trasformato quella voglia in un marchio fatato. Eppure, per quanto guardasse bene e ne potesse ancora seguire i contorni a memoria, adesso non c’era più. Come diavolo faceva una voglia cutanea a sparire da un giorno all’altro ? Trattenne la mano ancora per un paio di secondi e poi spalancò le ante dell’armadio. Stavano accadendo troppe cose strane per pensare all’eleganza, così afferrò la prima polo che le capitò a tiro e un paio di pantaloncini bianchi. Una volta vestita fece per uscire, ma fermò la mano a metà del gesto e la strinse a pugno un paio di volte. “Posso dirle che mi sono lasciata con quel figlio di puttana, però se raccontassi anche della voglia, o di come penso che buona metà della serra sia crollata a causa mia. Persino lei mi prenderebbe per matta.” Era frustrante dubitare dei propri occhi, soprattutto quando la parte più pragmatica e razionale della sua psiche le suggeriva che il tutto poteva essere visto come un insieme di congetture: i vetri si erano rotti quando aveva sentito la rabbia crescerle dentro e aveva urlato contro Steven, ma non c’era nessuna prova effettiva che i due eventi fossero legati in una sorta di rapporto causa effetto. “Devo smetterla di prendermi in giro.” Adesso aveva un’espressione sbarazzina e prima di continuare afferrò con forza la maniglia. “La verità è che non lo sento più, dopo sei anni in cui mi sono sentita protetta e al sicuro, adesso, quelle sensazioni sono scomparse. Cosa ti è successo angelo mio? Mi hai abbandonato?” Con questa domanda ancora a fior di labbra raggiunse Emily.

Usare i suoi poteri per far rifrangere le molecole di luce gli era sempre riuscito con facilità, tuttavia quando Castar riapparve all’interno di una camera da letto femminile la sua sicurezza fu subitaneamente sostituita da confusione e sorpresa. Vedendo poi, alle sue spalle, una ragazza nuda che si guardava allo specchio gli venne il dubbio si aver sbagliato qualcosa. La stanza non era molto grande e a meno che qualcuno non si fosse nascosto sotto il letto quella ragazza doveva essere la sola occupante. Perché sentiva l’energia di Eric? Non aveva senso. Al fruscio dei vestiti Castar si fermò per studiarla meglio, e non appena la vide in faccia il suo cuore perse un battito: quella ragazza era l’umana con cui si era impuntato Eric. Lei lo ignorava, ma mentre afferrava la maniglia per uscire la sentì dire: . “La verità è che non lo sento più, dopo sei anni in cui mi sono sentita protetta e al sicuro adesso quelle sensazioni sono scomparse. Cosa ti è successo angelo mio? Mi hai abbandonato?” Chiuse la porta alle sue spalle e Castar digrignò i denti, mantenendo le mani convulsamente strette a pugno. L’aveva fatto davvero, non riusciva a crederlo, non voleva crederlo ! Tuttavia rappresentava la sola spiegazione sensata, per quanto terribile. Nessun’altra ragazza appartenente alla sua ascendenza era arrivata ai venticinque anni sana di mente, anzi, la maggior parte di loro erano morte durante l’adolescenza. “Non capisco come ho fatto a non pensarci prima, ci hai fatto davvero un bello scherzo … Ho sempre creduto che tu volessi soltanto seguirla durante il risveglio, assicurarti che potesse condurre una vita dignitosa, ma quando si tratta di far incazzare qualcuno tu miri sempre al massimo, eh? Darle il tuo sangue … Dovunque tu sia spero per il tuo bene che deciderai di restarci ancora a lungo.” Reggeva la fronte con la destra e dopo un attimo si lasciò andare ad una risata nervosa, per poi scomparire com’era arrivato.

§§§

Eccomi qua ! Che si dice ? Vedo che la “minaccia” del retino basta a far risbucare i primi dispersi *_^ La_laila, Isa1983;

Ringrazio per le recensioni e resto in attesa dei commenti, eh!!

Arib, vediamo se tra me e te siamo riusciti a eliminare tutti i refusi o l battiture sbagliate ! *_^

Esquire, benvenuto e mettiti comodo ! Spero che la storia non ti deluda, eh ! Criss ? sparita nei meandri del tempo ? Spero di rivederti presto , eh !


Bene_tuffi ? vedremo apparire anche t prossimamente ? Buona giornata e alla prossima !!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Complicazioni ***


Un’ombra opprimente oscurò il sole e dopo una frazione di secondo avvolse Castar nella sua interezza. Lui rabbrividì sforzandosi d’individuare una via di fuga e con un ultimo scatto disperato si catapultò nel Mc Donald all’angolo della strada. Quel posto aveva un odore pungente che gli feriva le narici, eppure la frenesia con cui si agitavano le persone al di là del bancone gli sembrava stranamente rassicurante. Gli umani non si erano accorti di niente, questo lasciava pochi dubbi sulla reale natura di quell’ombra inquietante. La voce lo raggiunse inaspettata, un fremito gli corse lungo la schiena e Castar si rifugiò dietro uno dei tavolini più appartati. “Castar, Castar. Non pensi che sia arrivato il momento di smetterla di giocare?” Quando lui osò alzare lo sguardo, incrociò quello di un adolescente brufoloso e con capelli rossicci arruffati: l’Anziano Sihel. “Non devi aver paura, nessuno è arrabbiato con te.” Quel tono flemmatico aveva il preciso scopo di fargli abbassare la guardia, così Castar decise di non ribattere e rimase in attesa. L’anziano sembrò compiaciuto del suo comportamento, e dopo un istante di silenziò cominciò a giocherellare con la scatoletta delle salse: “Vecchio mio, sai perché ti ho sempre apprezzato?” Castar scosse il capo e lui gli rivolse un sorriso paterno: “Perché sai stare al tuo posto: conosci le leggi e non ti limiti a rispettarle passivamente, le difendi. Non è certo colpa tua se le persone con cui ti accompagni non sono altrettanto degne di fiducia.” Il suo monologo trasmetteva sensazioni di tranquillità e gratitudine, ma Castar sapeva bene cosa si nascondeva dietro quelle parole: la condanna a morte di Eric. “Mio signore, sono qui per seguire il vostro verbo: ordinate e sarà fatto.” Nel pronunciare una simile affermazione sentiva la bile salirgli in gola, tuttavia Sihel era tanto potente da annientarlo con uno schiocco di dita e se voleva cavarsela doveva rabbonirlo. Questi lo gratificò con un sorriso luminoso e alzandosi dalla sedia di fronte gli dette una pacca sulle spalle. “Bravo, questo è il giusto modo di parlare. Anch’io soffro per la perdita di uno dei miei migliori cacciatori, tuttavia adesso ha lasciato il sentiero dei giusti e non è più tempo di seconde occasioni. Non può continuare a far parte della famiglia.” Inspirò e lo guardò negli occhi: “Castar, se andrai avanti così sarà per me un piacere proporti come mio vice.” Senza attendere risposta si scostò dal tavolo e scomparve nel nulla, solo allora Castar smise di trattenere il respiro: percepiva ancora un leggero residuo della sua aura opprimente, ma nonostante questo faticava a credere che Sihel si fosse mosso personalmente. Non riusciva a pensare, erano nei guai fino al collo e per la prima volta da oltre trecento cinquant’anni aveva paura.

§§§

Luke rientrò sbadigliando vistosamente, lanciò la giacca sulla panca all’ingresso e lasciò sul letto la sacca con il materiale. La faccia gli faceva un male cane, ma era un dolore intermittente che sarebbe passato presto, mentre la soddisfazione di rompere il culo a quel dannato damerino lo avrebbe assaporato a lungo. Fece un sospiro e attivò la segreteria, più per abitudine che per reale interesse. Fare a botte era qualcosa che non faceva da anni, ma i commenti di quel rompiscatole gli avevano proprio fatto saltare i nervi. Allora s’infilò in doccia, facendo attenzione agli ematomi e si sforzò di riepilogare quello che gli restava da fare. Nell’ultimo periodo le cose che sfuggivano al suo controllo stavano diventando troppe e lui odiava non cogliere l’essenza di quello che gli accadeva attorno: come ad esempio, quella costante sensazione di essere seguito. Era sciocco tornare a pensarci e tuttavia da circa un mese aveva la pressante impressione di avere gli occhi di qualcuno, o qualcosa sempre addosso. Aveva addirittura scomodato lo zio Eugenio, perché chiedesse a qualcuno di tenerlo d’occhio. Al ricordo di quella volta si voltò verso lo specchio e rivolse alla sua immagine riflessa un sorriso stanco: le foto dell’investigatore non avevano portato a nulla, se non a convincere suo zio che soffriva di una leggera forma di paranoia. Alla fine di tutto aveva avvertito anche il resto dei suoi familiari e lui non aveva potuto far altro che inventarsi una scusa, spiegando che forse negli ultimi mesi aveva studiato troppo. Lo stress era la scusa utilizzata per ogni cosa: lui però sapeva che non era tutto frutto della sua immaginazione, capiva che non aveva senso, eppure aveva la certezza che in quelle fotografie fosse sfuggito qualcosa. Un particolare che faceva capolino nella sua memoria e all’ultimo momento scappava via. Accantonò tutti i pensieri complottasti e lasciato il bagno con solo i boxer entrò in cucina per farsi una omelette: pensare a stomaco vuoto non dava mai i frutti sperati ! Cucinare, anche cose semplici, lo rilassava.

Dopo mangiato accese la radio e dispose lungo il tavolo del salotto le diapositive che aveva portato dalla facoltà. Quel lavoro l’aveva intrigato fin dalla prima tavoletta e adesso che era riuscito ad interpretare le prime sillabe di quella oscura lingua c’era ben poco in grado di distrarlo. Concentrato com’era, non si accorse della piccola ombra che strisciava sotto la porta che s’insinuava lentamente in causa sua, ne notò che ad ogni centimetro sembrava farsi più grossa. Almeno fino a quando essa non si fermò alle sue spalle. “Uomo, dobbiamo parlare …” Aveva un tono sprezzante, tipico di coloro che sono abituati a trattare gli altri dall’alto in basso. “Sono qui per farti la proposta della tua vita: esaudisci la mia richiesta e in cambio ti donerò successo e ricchezze oltre ogni immaginazione.” Luke aveva la sensazione che fosse una sorta di copione trito e ritrito, ma decise di non commentare e con mosse lente si girò a fissare l’ombra. Era davvero gigantesca: copriva da sola un terzo del muro. “Sei senza parole e lo capisco, non capita tutti i giorni che uno di noi appaia alla tua specie …” Era un’ombra, eppure il suo compiacimento era più che palpabile. “Hem, sinceramente sto solo aspettando: sono abbastanza abituato alle offerte porta a porta e darvi il tempo di esporre il contratto mi sembra il minimo richiesto dalla comune cortesia.” “Offerte porta a porta ?” “Si, sai quelle scene patetiche in cui i venditori affermano che la loro merce può cambiare la vita?” L’ombra emise un grugnito e un’improvvisa brezza si diffuse per tutta la stanza. “Mortale, stai forse prendendoti gioco di me?” Orsi gli rivolse un sorriso sghembo e alzò le braccia, in un universale segno per dimostrare di non aver cattive intenzioni. “Sei tu ad essere venuto da me.”

§§§

Finì il racconto e dette l’ultimo morso all’involtino primavera, allora incrociò le braccia al petto e rimase in attesa. Parlare con Emily era liberatorio quanto sfogarsi con il micio del vicolo, ma questa volta ci sarebbe stato anche un giudizio. Emily non l’aveva mai interrotta e aveva mantenuto per tutto il tempo un’espressione mortalmente seria, non sapeva cosa aspettarsi. “Sai, è un peccato che tu gli abbia dato soltanto un pugno. Quando mi capiterà a tiro lo prenderò a calci fino a trasformarlo in un eunuco.” Lei la guardò sorpresa, l’amica le fece l’occhiolino e dopo aver posato la birra si lasciò andare con una gaia risata. “Spero che ti sia chiaro che è lui a perderci … E non lasciarti andare alla malinconia, devi sforzarti di pensare al lato positivo: adesso andremo a caccia dell’uomo giusto tutte e tre insieme. Ci aspettano delle serate molto interessanti !” Le sue guance ripresero colore e con un mormorio sommesso Ilaria la ringraziò, per poi alzare la bottiglia in un brindisi e lasciarsi cadere sulla poltrona. “I maschi della città tremeranno al passaggio del nostro terzetto ! O altrimenti possiamo sempre far cadere i tetti in testa agli stronzi …” Risero e in quell’istante Ilaria si rassegnò all’idea che la sua amica considerasse il crollo della serra come una mera coincidenza.

§§§

I raggi del nuovo giorno attraversarono le inferiate e la routine all’interno del Saint Paul ricominciò come ogni mattina. I pazienti erano per lo più intontiti dalle medicine e il susseguirsi di giornate sempre uguali dava loro una sorta d’illusoria stabilità. Persino gli inservienti erano assuefatti al ritmo della casa di cura, tanto che i pochi casi in cui avveniva un cambiamento anche minimo era subito notato, o in caso contrario direttamente ignorato. Tutto pur di far proseguire il più possibile quella quiete apparente. Come a dimostrazione della cosa, quel giorno nessuno fece caso ai deliri di una signora con i capelli ormai argentati e il volto ridotto a una maschera di rughe: quella donna non spiccicava parola da più di un decennio e quindi per gli addetti ai lavori era scontato che continuasse così fino alla fine dei suoi giorni. In realtà Mary Wheather aveva da poco passato il sessantanovesimo compleanno, ma una vita di dolore e follia aveva lasciato su di lei segni indelebili sia nel suo spirito che sul suo corpo. “Lei no, non prenderete anche la mia nipotina. Lui non lo permetterà. Avete preso la mia povera figlia e mi avete costretto qui, ma lei è speciale. Non fermerete ancora una volta il cambiamento. Lui la proteggerà, l’ha promesso!” Mary era rivolta verso un muro bianco e neanche le anime perse al suo fianco sembravano in grado di seguirla in quello che sembrava un vero e proprio delirio.

§§§

Per quanto in ritardo, ecco il capitolo novello ! spero vi piaccia :-p Isa1983, vdrò di prestarti i miei retini ma prima devo riacchiappare Criss… La nostra dispersa del mese !
O_O ohhhhh! È riapparsa anche La_laila ?
Esquire, non credevo avessi questi dubbi d’identità *_^ !
Uccellino, so che ma l’anonimato ma prima o poi devi imparare a volare via dal nido, no ? Alla prossima gente !


***
Non capisco perché ma non mi fa più il testo giustificato... O_ò suggerimenti ?

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Imprevisti ***


Ilaria lanciò il cartone deformato del latte, facendo canestro, indossò la giacca e prima di uscire tracciò l’ennesima X consecutiva sul calendario. Dalla sfuriata con Steven e dalla perdita del suo angelo era passato poco più di un mese, ma ormai si stava in un certo senso abituando. Era stata dura, ma le aveva anche permesso di scoprire dentro di sé una forza che fino a quel momento aveva ignorato. Si sentiva più viva e al suo buon umore aveva notevolmente contribuito la decisione della Yarin di prendersi un periodo di congedo, il primo in poco più di quarant’anni d’insegnamento. Adesso si godeva la brezza nel giardino del quartiere e con gli occhi chiusi si sforzava di riepilogare tutte le cose che le erano successe fino a quel momento. “Sogni un bel Principe Azzurro ? Potrebbe essere più vicino di quanto credi.” Il tono ironico e sognante di Lily era inconfondibile e in men che non si dica se la ritrovò seduta al fianco. “Pantera, chi dovrebbe mai essere il mio Principe?” Ilaria appoggiò il gomito alla spalliera e si sporse di fianco per osservare meglio l’amica, che le fece un sorriso malizioso e continuò. “Capita sempre così: più i principi giusti sono vicini e meno ci accorgiamo di loro. Comunque, per la cronaca, quella testa a spazzola del tuo ex non mi è mai piaciuto.” Ilaria scosse la testa, divertita, ma quando l’amica pronunciò il nome di Luke, la fissò come se le avesse appena confessato di aver visto un branco di elefanti svolazzare davanti al tribunale. “Orsi è un impiccione ostinato, niente di più, e se ti piace tanto perché non ti sei ancora lanciata alla conquista?” L’altra passò la lingua sulle labbra, assumendo un’espressione meditabonda, per poi farle l’occhiolino e accavallare le gambe. “Se non sbaglio, è dalla festa di facoltà che non lo vedi, vero?” Ilaria mantenne un’aria circospetta e Lily andò avanti. “Io l’ho incrociato: aveva un occhio pesto, il labbro spezzato e da come camminava probabilmente anche qualche problema alle costole.” Sulla faccia di Ilaria preoccupazione mista a sorpresa erano più che palesi. “Ha fatto a botte? Se non ha mai alzato un dito contro nessuno !” Non capiva, doveva esserci uno sbaglio. “Mi prendi per i fondelli?” In realtà, più che una domanda quella di Ilaria suonava una supplica, tuttavia Lily continuò implacabile. “Prima di dire quanto sia impossibile, io mi chiederei chi sia stato l’altro contendente o almeno come l’abbia ridotto.” Ilaria aprì la bocca, ma non emise un suono: sembrava un pesce fuor d’acqua. “È il pettegolezzo più succoso della facoltà di biologia e giusto per puntualizzare: Steven ne è uscito peggio del nostro amico. Chissà cosa mai potrebbe avere Luke contro il tuo ex contadinello?” Lily si allontanò da Ilaria con movimenti felini e le fece un cenno per ricordarle che si sarebbero visti per il compleanno di Emily, da lei alle 20:00. Ilaria era così impegnata a rimettere insieme i pezzi che non sembrò neanche ascoltarla: Luke non poteva aver fatto a botte per lei, non aveva senso. Loro erano solo amici che si divertivano a infastidirsi a vicenda. Non poteva provare qualcosa di più, non voleva che Luke provasse qualcos’altro per lei. Si alzò con movimenti meccanici, ancora stordita, e si avviò verso la casa: perché la sua vita doveva essere così piena di complicazioni ?

§§§

Erano da poco passate le 13:00, Luke lasciò cadere sul tavolino il fascio di fotocopie e si accomodò sul divano. Negli ultimi giorni si stava isolando sia da amici che da parenti e a mente fredda sapeva di sbagliare, ma nonostante questo non riusciva a smettere: in qualche modo sentiva che la ricerca su cui si concentrava era più importate. Inoltre, il suo ospite sgradito rappresentava una distrazione più che sufficiente. L’ombra si manifestò di fianco a lui, come evocata dai suoi stessi pensieri, tuttavia si decise ad alzare lo sguardo soltanto quando la sua voce arrogante gli urtò le orecchie. “Hai pensato alla mia offerta? In fondo, cos’è una sola vita paragonata al successo e alla ricchezza che posso offrirti?” Luke gli rivolse un sorriso sprezzante, inclinò il capo in un cenno di saluto e lo fissò con stanca curiosità. “Avevo l’impressione che ne avessimo già parlato, in ogni caso, il successo e la ricchezza non sono mai stati tra le mie priorità.” Afferrò una fotocopia e con la mano libera indicò le piume sparse sul pavimento. “Per favore, vedi di non lasciarmi troppe piume in giro, la mia casa non è un nido.” L’ombra sbuffò e senza distogliere lo sguardo dai fogli Orsi aggiunse: “È proprio strano, come puoi emanare il profumo della primavera e trasmettere un’essenza marcia ogni volta che apri bocca? Le persone che tormenti non le l’hanno mai fatto notare?” L’ombra ebbe un fremito d’ira e s’ingrandì, come se spalancasse un paio d’ali grigiastre. “Umano, la mia offerta era soltanto un incentivo. Mi ubbidirai. Sempre che tu non preferisca che accada qualcosa di grave ai tuoi familiari. Ti piace di più questo nuovo accordo?” L’ombra era ancora intangibile, ma nella sua voce si distingueva benissimo il fastidio di qualcuno convinto d’aver appena dato scacco matto. Luke la ignorò ancora una volta e quando alla fine si rassegnò all’idea che non se ne sarebbe andata, sbuffò rumorosamente. “Avevo intuito che non sei dotato di molta immaginazione, ma non mi aspettavo scadessi anche in cliché così triti: carota e bastone.” Il muro su cui si proiettava l’ombra ebbe una scossa, Luke però finse di non accorgersene. “In ogni caso, tanto per essere chiari, non penso che per decidere il da farsi tu abbia bisogno del mio permesso.” L’ombra ringhiò e lui la ignorò per l’ennesima volta. “Non amo i cani e neanche i pennuti ringhianti, quindi abbassa i toni o sparisci.” Un colpo delle ali d’ombra scagliò a terra la radio sul mobile vicino, allora la creatura emise un sibilo stizzito e scomparve. Luke attese per un lungo istante, come fosse tutto normale, si alzò per recuperare i tre pezzi in cui si era spaccata la radio. “Stupido uccellaccio troppo cresciuto, mi promette il mondo in cambio di una vita e non è neanche in grado di entrare nei dettagli.” Buttò il tutto nel cestino e dopo un lungo sospiro tornò a lavorare sulla documentazione. “Ilaria, in che guaio ti sei cacciata?”

§§§

Ilaria scolò la pasta e chiamò Emily, che dopo meno di un minuto apparve sulla soglia di cucina. Indossava una polo chiara con un paio di mutandine nere e i capelli scompigliati le incorniciavano il viso ovale. “Il profumo è invitante, hai preparato il sugo a parte, complimenti allo Chef.” Emily tirò fuori i piatti con mosse collaudate e in un attimo apparecchiò per entrambe. Nell’osservarla l’espressione di Ilaria si addolcì, voleva bene alla sua amica ed era contenta di aver ritrovato un po’ della routine quotidiana, per quanto una vocina interiore continuasse a sussurrarle che da settimane non trovava il coraggio d’incrociare la strada con Orsi. Era più facile concentrarsi sulle migliori notizie di quel caotico periodo: il dolore al petto, quell’energia violenta che la tormentava con ciclicità non era più tornata.

Lo squillo del telefono le sorprese a metà del secondo, Ilaria inghiottì velocemente il boccone e fece segno a Emily di restare a sedere. Non appena riconobbe la voce del padre, sentì un tuffo al cuore e la sua espressione s’incupì impercettibilmente. “La nonna, adesso sta bene?” Le frasi di suo padre furono assorbite con un misto di sorpresa e dolore, tant’è che dopo i primi minuti si limitò a rispondergli con una serie di monosillabi. Alla fine attaccò e quando tornò da Emily, si sentì come se fosse stata appena investita da un autobus. “Mia nonna, sta male, sono anni che è in una specie di casa di cura ma è peggiorata all’improvviso.” Emily annuì, non sapendo cosa dire. “Oggi hanno chiamato papà, dicono che potrebbe andarsene da un momento all’altro. Non riesco a crederci, è il solo legame con mia madre che mi è rimasto. E ora se ne andrà anche lei.” Emily le strinse la mano, cercando di trasmetterle conforto. “Domani torno a casa, devo riuscire a vederla un’ultima volta.” Razionalmente neanche lei capiva perché lo sentisse come una cosa tanto urgente, tuttavia l’amica si limitò a farle un cenno d’assenso e le dette un abbraccio colmo d’affetto.

§§§

Sihel sorseggiò il liquido color rubino e alzò lo sguardo verso l’ingresso della stanza, dove in meno di un istante si palesò un’ombra grigio scura. “Riel, mi aspettavo che saresti venuto a curiosare molto prima.” L’ombra assunse lentamente le sembianze di un vecchio incappucciato e gli rivolse un sorriso condiscendente. “L’indipendenza sostanziale, per quanto urti l’amor proprio del nostro Anyel, è sempre stata alla base dei nostri rapporti. Tuttavia, il tuo disertore potrebbe rappresentare un’anomalia pericolosa.” Le labbra di Sihel disegnarono un sorriso maligno. “Eric, presto non sarà più un problema, mentre Castar è rientrato nei ranghi.” Il silenzio si protrasse per un interminabile minuto. “E la femmina?” Aveva pronunciato appena tre parole, ma Sihel ci aveva percepito una venatura di scherno, così ribatté tutto di un fiato. “Ho trovato una soluzione perfetta, pratica quanto elegante: il migliore dei miei persuasori sta convincendo una di quelle scimmie a ucciderla per noi. Non lascerà prove e neanche il più paranoico potrà osare accusarci di qualcosa.” Riel emise una bassa risata e annuì compiaciuto. “Approvo pienamente la tua soluzione, ma io parlavo della vecchia.” Sihel parve perplesso e Riel continuò: “Alcuni dei miei dicono di aver rilevato reazioni inconsuete …” “È soltanto una vecchia pazza, negli ultimi decenni non è stata neanche capace di pulirsi la bocca da sola, e ora mi vieni a dire che la consideri un problema?” Riel non gli rispose e lui assunse un’espressione stizzita. “Apprezzo la prudenza ma il confine con la paranoia è assai sottile, vecchio mio.” Il vecchio sbuffò e scomparve com’era venuto, lasciando Sihel a riflettere su i propri piani sanguinari.

§§§

Ilaria strinse le sue amiche in un lungo abbraccio, sforzandosi di mantenere un atteggiamento positivo, e promise loro che le avrebbe chiamate non appena arrivata. Ormai l’altoparlante aveva segnalato il suo treno, eppure separarsi da quelle scatenate, le dava una sensazione fin troppo simile al privarsi di una parte di se stessa. Stando a quanto le aveva riferito suo padre la salute della nonna era diventata da tempo precaria e quel viaggio poteva benissimo concludersi con la perdita dell’ultimo fragile legame che avesse mai condiviso con sua madre. “Dovrei tornare entro due o tre giorni, cercate di non mettervi nei guai!” Le salutò con un’ultima stretta fugace e saltò sul vagone. Cercò d’individuare un posto libero e alla fine si sedette davanti a una coppia di studenti, di fianco a due pendolari in completo scuro e dietro a una famiglia sommersa dalle valigie: forse stavano rientrando dalle vacanze? Appena il rollio monotono del treno cominciò, socchiuse gli occhi e si sforzò di seppellire in un cassetto mentale l’angoscia per la situazione: entro due ore avrebbe rivisto suo padre e il semplice prendere atto della cosa la rendeva maledettamente nervosa. La nonna era grave? Tutto si sarebbe risolto per il meglio? Sarebbe tornata alla sua vita in pochi giorni? Neanche era arrivata che già pensava a ripartire, la sua testa era un fermento di dubbi e domande cui non sapeva rispondere, così decise di smettere di provarci e cercò di dormire un po’. Nel dormiveglia lo sguardo le cadde sulle mani intrecciate dei due studenti che occupavano le poltrone davanti a lei, allora in un angolino della sua mente una voce suadente prese a ripeterle insistentemente una domanda che preferiva continuare a ignorare: “Luke aveva fatto a botte, per lei, come doveva comportarsi adesso?”

§§§

Salve, sono mancato da un po’ ma ecco il capitolo nuovo. Che ne pensate? Troppi orrori? Spero di risolvere i casini e aggiornare presto !
Quasi dimenticavo, buona domenica !!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Il Saint Paul ***


Le due ore erano trascorse in un soffio e Ilaria non era ancora riuscita a trovare una risposta, tuttavia ora aveva ben altre priorità da affrontare. Si alzò con passo malfermo e indossata la giacchetta cercò di rilassarsi: entro breve avrebbe riabbracciato suo padre, era tornata a casa. In mezzo alla folla la figura rassicurante del genitore emerse con lentezza, indossava un completo con camicia e cravatta e il suo volto stanco riusciva in qualche modo a trasmetterle un sorriso radioso. Ilaria gli corse incontro, rifugiandosi nel suo abbraccio, e fu subito investita dal suo nostalgico profumo di tabacco misto a liquirizia. Per la prima volta da settimane ebbe dentro di se la certezza che alla fine si sarebbe risolto tutto per il meglio. “Ila, attenta che così mi fai cadere …” Le accarezzò una guancia con fare tenero, la prese sotto braccio e si avviò verso l’uscita. “Non si capisce quanto qualcosa ci sia mancato fino a quando non lo riotteniamo.” Ilaria era tranquilla, ma dal suo tono trasparivano perfettamente i sentimenti che provava. “Ho prenotato al tuo ristorante preferito, così potrai pensarci ancora un po’: non sei obbligata ad accompagnarmi da Mary.” Aveva buttato la frase con casualità, osservando la figlia e cercando di coglierne le reazioni. Lei però lo sorprese, fermandosi a fissarlo nel bel mezzo del marciapiede. “Papà. Hai fatto tutto per me e non mi hai mai chiesto niente. È mia nonna e non vi lascerò da soli.” Lui si sentì gonfiare il petto d’orgoglio e le dette un buffetto su una guancia. La sua bambina era diventata una donna responsabile e bellissima.

Ilaria sfiorò il tessuto del golfino a collo alto e sentì il proprio cuore riempirsi di tenerezza. Suo padre gliel’aveva fatto trovare sul sedile del passeggero e da quando lo aveva indossato non aveva ancora smesso di sorridere. Dalla morte della moglie si era fatto in quattro perché non le mancasse niente, ma spesso si trovava in difficoltà nell’esprimere i propri sentimenti e in quelle occasioni cercava di manifestarli con regali improvvisati. La premura di quel golfino si annoverava in questa categoria di doni e proprio perché lo conosceva bene aveva imparato ad apprezzare anche il più goffo segno d’affetto.
Alla fine, Ilaria non aveva fatto altro che parlare per tutto il tragitto, raccontandogli delle amiche, del tradimento di Steven e dello smacco che aveva dato alla Yarin. Sapeva bene che suo padre non approvava si mancasse di rispetto ai professori, tuttavia nel luccichio del suo sguardo lei poté riconoscere un misto di orgoglio paterno e divertimento. “Mi piace sentirti così piena di vita, ormai sei una donna bella e forte, arriverà il momento in cui quel ragazzino si pentirà amaramente di aver perso una creatura luminosa come te.” S’interruppe per sorpassare un’altra auto e in quel momento la sagoma vittoriana della casa di cura apparve al di sopra delle file degli alberi. “Sai, questo posto lo scelse tua madre, pensava che una casa in città avrebbe potuto aggravare le condizioni di tua nonna. All’inizio sembrò l’idea migliore, infatti i primi mesi lei mantenne un quasi costante contatto con la realtà. Ha sempre apprezzato la natura.” Fece una pausa, perso nei ricordi. “Non la vedi da parecchio, magari non ti riconoscerà, tuttavia non devi aver paura. Io ti resterò accanto ogni minuto.” Lei si limitò ad annuire, continuando a guardare la strada: in realtà le sembrava che fosse proprio lui il più agitato, e la parte più infantile del suo cuore gongolava davanti a tanta apprensione.

§§§

Per accedere alla struttura oltrepassarono un lucido cancello incernierato in due pilastri di pietra color porpora, il lungo viale d’ingresso era circondato da alberi maestosi e con uno sguardo più attento ci si poteva anche accorgere che tutta la proprietà era immersa in un bosco rigoglioso. Solo la zona dove sorgeva la casa era libera da quelle macchie verdi. Il Saint Paul le era sembrato un miscuglio di stili rattoppati in diverse epoche tuttavia, con un breve sforzo di memoria, riuscì a notare le piccole differenze: le zone del primo piano erano state ricostruite con tecniche dei primi decenni del secolo scorso e i settori aggiunti al pian terreno, durante il boom edilizio degli anni sessanta, continuavano a trasmettere un’apparente sensazione piacevole, quasi di calore. Eppure per lei era come se fissasse un edificio freddo come l’artico. Neanche tenere la mente occupata riusciva a scacciare la sua inquietudine, aveva intravisto una figura indistinta vicino ai buffi gargoyles sul tetto e quando aveva sbattuto le palpebre questa era sparita. Avere una nonna che aveva dato di matto le dava un precedente e gli avvenimenti alla serra, sommati all’allucinazione non erano sintomi proprio rassicuranti. Dottori e inservienti portavano tutti uniformi bianche e in un angolino del suo cervello osservarli le ricordò come alcuni studiosi fossero convinti che determinati colori influissero sull’umore e l’aggressività di pazienti disturbati. Il metal detector posto a una decina di metri dall’ingresso non la sorprese più di tanto, al contrario dell’apparizione improvvisa di un uomo robusto sulla trentina che strinse vigorosamente la mano di suo padre e lo chiamò per nome. Non sapeva perché, ma trovava estremamente dolce che nelle sue visite periodiche suo padre fosse riuscito a entrare in confidenza con gli addetti ai lavori. Per questo, quando il tipo si presentò come Carter, lei gli strinse la mano e gli sorrise con calore. Purtroppo erano arrivati proprio mentre lui cominciava il suo turno all’ingresso, quindi Carter li affidò ad un collega e questi li accompagnò fino alla reception. Firmarono il registro delle visite e, controllato dove si trovava la signora Wheater, s’incamminarono per raggiungerla.

Il corridoio asettico e impersonale dette un ulteriore scossone allo spirito di Ilaria, che si sforzò di non far notare il proprio turbamento. Il padre la teneva d’occhio distrattamente, notando che ad ogni passo la figlia gli si avvicinava di qualche centimetro, e quando arrivarono alla stanza della nonna le cinse le spalle con fare protettivo. L’inserviente aprì la porta precedendoli e, una volta oltrepassata la soglia le narici di Ilaria furono investire da un odore nostalgico che lei stessa faticava a capire. Quell’impressione durò un istante, poi la stanza tornò a profumare di morte, medicine e malattia. “Signora Wheater, è tornato a trovarla suo genero e con lui c’è anche sua nipote. Visto che lei è sempre così brava io aspetterò qua fuori. Se c’è qualche problema basta che suoni.” Strinse la mano esageratamente gracile della donna e le posò in grembo il pulsante dell’allarme. Una volta soli, Ilaria si chinò sull’anziana e con mani esitanti le accarezzò il viso. “Nonna, sono Ila, mi riconosci?” la sua stessa voce le sembrava vuota, in fondo erano state davvero poche volte in cui l’aveva incontrata e ancor meno le occasioni in cui sua nonna era stata abbastanza lucida da riconoscerla. Eppure vederla così immobile e lontana le provocava un dolore enorme al petto: sua nonna era una statua con lo sguardo rivolto verso un buio irraggiungibile e quando poi una manica dell’abito indossato dall’anziana salì per un paio di centimetri, Ilaria capì perché suo padre avesse tanto insistito sull’urgenza di andarla a trovare. Quei tagli non potevano avere più di un mese, da qualche parte in quel guscio rugoso sua nonna c’era ancora e non facendocela più aveva cercato l’unica via d’uscita che era in grado d’immaginare: togliersi la vita.

§§§

L’ombra fissava il ragazzo da una decina di minuti, aveva sempre considerato gli esseri umani come poco più di scimmie senza peli, stupide e corruttibili, tuttavia quel Luke era qualcosa che non riusciva a interpretare: in cambio della femmina umana gli aveva promesso ricchezza e potere, ma lui aveva rifiutato tutto con un ghigno derisorio. Lo aveva scagliato in aria, prendendolo per il collo e minacciandolo di morte, tuttavia anche in quell’occasione lui gli aveva risposto con una calma semplicemente frustrante “Se mi ammazzi torni al punto di partenza e dubito che chi ti dà gli ordini sarebbe contento.” Stava cominciando a odiare il suono della sua voce. Usare un umano per evitare che Eric intervenisse o potesse presentare qualche lamentela era la soluzione migliore, però scovare il metodo adatto per piegare la volontà del loro strumento stava diventando troppo ostico. Chissà attraverso quale procedimento il sommo Sihel era giunto a scegliere quel ragazzo, era davvero indispensabile che fosse lui ? Se avesse tirato la corda ancora a lungo gli avrebbe spezzato il collo personalmente, anche se forse la sua morte avrebbe potuto complicare i suoi piani. “Hai riflettuto? Può non importarti niente del tuo destino, ma non credo che questa indifferenza valga anche per i membri della tua famiglia. O credi sul serio di poter ingannare uno della mia specie?” Il gelo nel suo tono strappò a Luke un sussulto, tuttavia in pochi istanti il perenne sorriso sghembo gli riapparve sulle labbra. “Se vuoi sfoltire il mio albero genealogico fai pure, potrei persino suggerirti il nome di un paio dei miei fratelli.” Fece una pausa e dopo essersi umettato le labbra, riprese. “Non hai niente con cui ricattarmi, mentre io al contrario penso di aver trovato la combinazione giusta.” L’ombra non ebbe il tempo di ribattere che sentì una forza sconosciuta attirarla verso il centro della stanza. Urlò e si dimenò come una belva in gabbia, tuttavia alla fine dovette cedere e si staccò dal muro. In poco meno di un minuto prese la forma si un maschio sulla trentina, con corti capelli arruffati e una tunica grigiastra, e le due ali candide che svettavano sulla sua schiena presero a muoversi convulsamente. “I libri su di voi sono davvero pieni di stronzate, pensa che alcuni racconti vi definiscono cordiali e servizievoli.” Orsi digrignò i denti e l’ombra grugnì. “Avete fatto un lavoro di pulizia quasi perfetto, ma se si cerca nei pochi frammenti dei testi precristiani giunti fino a noi e ci si mette a scavare con caparbietà.” Lasciò in sospeso la frase e la stanza fu scossa da un breve tremito. “Nessuno ha mai potuto…” “Forse nessuno si è dimostrato testardo quanto me.” Luke sogghignò e con la sinistra accarezzò le fotocopie di quelle che sembravano delle tavolette d’argilla cotta, incise con caratteri cuneiformi. “Questo giochino risale al tardo periodo di Uruk, un’epoca intrigante, e vista la longevità della tua razza potresti persino aver assistito alla sua fondazione.” L’altro non rispose, limitandosi a fissarlo con odio sgomento. “Su, non mi guardare così, sono solo un inutile essere umano. Giusto? Un essere umano che adora la storia. E ora tu mi racconterai la tua…” Orsi adesso era in piedi e dalle sue dita fuoriuscivano dei fili argentei che avvolsero con forza crescente il corpo dell’angelo. Il tono della sua voce era diventato gelido e l’occhiata fredda che lanciò all’alato gli trasmise un brivido lungo le piume.

§§§

La stretta improvvisa della nonna strappò a Ilaria un urlo acuto, non se l’aspettava, tanto che per un pelo non cadde a sedere per terra. Suo padre le si affiancò, mettendole una mano sulla spalla, tuttavia Ilaria se ne rese appena conto: ogni stilla della sua attenzione era rivolta al volto della vecchia. “Piccola mia, loro hanno preso la mia bambina, però non avranno anche la mia dolce nipotina.” “Cosa, forse dovremmo andarcene.” La voce dell’uomo suonava incerta: durante tutte le sue visite lei non gli aveva mai rivolto la parola e per quanto stesse farneticando, non poteva fare a meno di considerarlo un miglioramento. “No.” Ilaria aveva avuto appena la forza per sussurrarlo, sottolineando la sua determinazione stringendo la mano che il padre gli aveva posato sulla spalla. Al suono delle parole di nonna Mary l’energia nel petto era riapparsa, ma per quanto il ricordo di quanto accaduto alla serra l’atterrisse voleva sentire. Voleva capire. “Lui ti protegge ancora. Non devi aver…” Ogni suono scomparve, coperto dalle scosse che avvolsero l’edificio, e quando la terra smise di tremare le urla degli altri pazienti sembravano provenire dai più profondi gironi dell’inferno.

§§§

E rieccomi qua. Vedo che Criss rimane latitante insieme a La_Laia e al piccolo uccellino :-p so che fa caldo ma venite pure fuori senza paura ! Non mordo, al massimo uso il retino !
Ringrazio poi Bene_taffi per aver messo la storia tra le seguite, invitandola a lasciare una recensione(non è una malattia e fidati che nessun commento può essere considerato troppo scontato). E non mi dimentico certo di Hika_shidou che ha messo la storia tra le preferite, se non ricordo male ci siamo incrociati nel recensire “Questo sono io…”

lo so, ti aspettavi che mi fossi dimenticato ma invece no, quindi saluto anche Sacu  un passo alla volta e alla fine arriverai in fondo a questo mio piccolo delirio piumato dai !


Che altro aggiungere ? Buon inizio settimana e a prestissimo !!!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Mary Whater - La risoluzione di Orsi ***


Per quanto lo vedesse con i suoi occhi non poteva crederci: era pura follia ! Quella regione non era soggetta a movimenti tellurici da più di un secolo, eppure adesso le scosse si erano fatte talmente forti da far ballare la clinica sin dalle fondamenta. Mary saltò in piedi e Frank ebbe la netta impressione che sua suocera si aspettasse tutto quel casino, tuttavia decise di tacere e, mentre Ilaria teneva d’occhio il corridoio, l’aiutò a tenersi in equilibrio. I corridoi erano sommersi da corpi urlanti e fumo, una marea quasi impenetrabile, ma sia Ilaria che suo padre non si dettero per vinti. “Schermiamoci il viso con un pezzo di stoffa bagnato, così risentiremo meno del fumo, e mi raccomando: non dovremo fermarci per nessun motivo.” Frank sembrava avere il controllo della situazione, anche se per ogni metro che guadagnavano l’espressione di Mary si faceva sempre più lucida. “Alla fine l’hanno fatto. Nipote, devi far loro una paura del diavolo. Fino a oggi non avevano mai osato manifestarsi così apertamente. La segretezza è sempre stata il loro maggior vanto.” Frank la ascoltava distrattamente, ma a Ilaria quelle parole facevano venire i brividi: sua nonna Mary parlava dell’angelo! Il suo stramaledetto Angelo!

“Forse mi prenderete per matta, tuttavia sono decenni dall’ultima volta che mi sono sentita così viva.” Frank imputava quei discorsi al delirio senile, ciononostante la prontezza di spirito di sua suocera diventava sempre più sovrumana. Un gruppo di persone urlanti bloccò loro la strada, agitavano scompostamente le braccia e la paura pareva averli fatti impazzire, così si rintanarono in una saletta d’angolo e sbarrarono l’entrata. “Ilaria, bambina, stai bene?” Frank le sfiorò la spalla e lei annuì, rassicurandolo. “Frank, sei sempre stato un uomo troppo ansioso, il nostro prezioso uccellino ha una tempra forte. , ed è un bene perché probabilmente il peggio lo deve ancora affrontare.” Il tono di Mary Weather si era fatto improvvisamente risoluto e quando entrambi si voltarono a guardarla restarono interdetti: nonostante la ridicola camiciola mezza aperta, adesso sembrava ergersi come un gigante sicuro e determinato. “Mary.” “Nonna.” Erano entrambi sconvolti e lei rivolse loro un dolce sorriso sdentato. “Se mi fissate così inizierò a sospettare di esser diventata un troll, sono sicura che questa non è neppure lontanamente la scena più strana a cui hai assistito.” Ilaria trasalì e Frank alternò lo sguardo tra loro, senza capire. “Di cosa state parlando?” “Dopo, ci sarà tempo per le spiegazioni. Adesso dobbiamo uscire di qui e dobbiamo farlo senza che loro ci trovino.” L’anziana donna evidenziò il termine loro con un’occhiata penetrante verso la nipote, che per quanto fosse a dir poco confusa annuì stringendo i pugni. Le spiegazioni avrebbero aspettato, ora avevano questioni più urgenti da risolvere: uscirne vivi.

La nonna afferrò da terra un bastone e spalancata la porta della saletta cominciò a farsi strada: i suoi movimenti erano in qualche modo maestosi e la sua abilità di farsi strada tra la folla esagitata poteva ricordare un po’ Mosè che apriva le acque del Mar Rosso. Sembrava addirittura possedere un effetto calmante sugli altri malati, che quando le stavano accanto tornavano tranquilli e confusi. Purtroppo anche quella calma aveva un raggio limitato e bastava che tornassero ad essere lontani da loro per più di due o tre metri che i malati ricominciassero ad urlare e agitarsi. Quando raggiunsero le scale furono investiti dal fumo, ci fu un’altra scossa e Ilaria fu sbalzata contro la ringhiera. Parte dell’intonaco del soffitto si staccò, cadendo addosso a Frank e lui cadde faccia in avanti. Allora sentì la vista offuscarsi e provò a parlare, tuttavia si accorse di biascicare parole incomprensibili: stava perdendo i sensi. Tra le luci intermittenti e il fumo sempre più denso, il timore che ai piani inferiori fosse scoppiato un incendio divenne certezza. Dopo un paio di rampe emersero in successione una decina di ombre nere, praticamente identiche a quella che Ilaria aveva notato di fianco a uno dei gargoyles che decoravano il tetto. Frank si reggeva in piedi a malapena e il suono delle sue rassicurazioni le giungeva ovattato, quanto le urla di pazienti e dottori intrappolati nella struttura: Ilaria era terrorizzata !

Mary colpì un’ombra con il bastone e, mentre questa si sforzava di mettersi fuori portata, dette uno sguardo fugace a suo genero: Frank zoppicava vistosamente e per quanto non potesse vedere il pericolo imminente era comunque teso allo spasmo per proteggere sua figlia. La sua nipotina, Ilaria, era diventata una donna e anche il dono si stava svegliando nel suo corpo. Aveva percepito la sua condizione non appena l’aveva sfiorata, quella sottile corrente elettrica era inconfondibile e, giacché lei sembrava del tutto ignara, quell’impiccione doveva aver fatto qualcosa. La sua mente corse al ricordo dell’ultima volta che si erano parlati e sorridere le venne spontaneo. Il fumo presto avrebbe inondato i locali e i ghigni inquietanti di quelle creature facevano diventare quasi invitante l’idea di diventare dei carboncini. Frank grugnì e lei cercò di andare avanti con la forza della disperazione: traballava lui stesso e tuttavia la presa con cui teneva in braccio la figlia era ferrea. “Voi siete la mia famiglia.” Mary aveva appena sussurrato quelle parole, commossa, e infatti né il genero né la nipote la sentirono. Allora spalancò gli occhi e dopo tanti anni liberò il potere che le fremeva dentro: sotto il suo influsso aveva rasentato la pazzia, ma adesso era cambiata, tutto era cambiato. Le figure scure smisero di volteggiare, furono sferzate da un vento improvviso e, dopo una prima resistenza si schiantarono contro il soffitto. I loro volti ora non erano più nascosti dalle ombre e i loro sogghigni si erano trasformati in smorfie di odio misto a rabbia. In un certo senso Mary li trovò estremamente divertenti: era libera e non avrebbe permesso a nessuno di mettere le mani sulla sua nipotina.

§§§

La risata di Simon risvegliò Eric dal torpore in cui era caduto. Non ricordava da quanto fosse in quel posto e, prima che potesse formulare un qualunque pensiero una serie di dolori lancinanti gli attraversò il corpo. “Bene, bene, con l’ultima scossa temevo di aver esagerato. L’Anziano Sihel si è raccomandato di tenerti in vita e conosciamo quanto sia terribile con chi delude le sue aspettative.” “Che carino, gli serve forse un nuovo passatempo? Ora inizio a capire come hai fatto a creare questa gabbia a sette punte, senza il suo potere non ci saresti mai riuscito.” Simon batté le mani e il sorriso sul suo volto si allargò. “Non hai perso la tua perspicacia, anche se saperlo non ti aiuterà a liberarti. Sei mio e quando strapperanno il cuore dal petto della tua umana tu non potrai fare niente per impedirlo!” Eric ringhiò e incurante delle scariche si scagliò nuovamente contro i confini della gabbia: Quel maledetto sigillo sembrava fatto alla perfezione, tuttavia doveva trovar e il modo per liberarsi ! Ilaria aveva bisogno di lui !

§§§

“Mio signore, qualche ore fa è stato effettuato un accesso al flusso eterico.” Riel fece un sorriso ferale e annuì. “Sihel è troppo pragmatico, non riesce a capire quanto possano essere pericolose le emozioni umane.” “Dobbiamo forse intervenire?” L’Anziano scosse il capo e una volta di fronte all’angelo gli fece cenno di alzarsi. “Intervenire in qualunque modo potrebbe essere interpretato come un insulto, sai bene quanto siamo permalosi.” Riel gli circondò le spalle con un braccio e cominciò a camminare con lui lungo il corridoio di pietra brunita. “Sei il mio miglior cercatore, è una cosa indubbia, hai la mia fiducia e ho per te una missione di vitale in portanza.” “Lord Riel, voi mi lusingate, non tradirei mai la vostra fiducia.” “Bene, bene.” L’aveva servito bene per secoli e Riel sapeva come motivare la sua gente: scesero fino alle zone sotterranee, che lui stesso illuminò con una sfera di energia e non appena oltrepassarono la soglia degli archivi si misero al lavoro.

§§§

La risoluzione di Orsi

Orsi aveva la sensazione che il suo corpo andasse in pezzi, per sicurezza aveva fatto prima dei piccoli esperimenti ma non erano neanche lontanamente paragonabile allo sforzo cui si stava sottoponendo. “Ragazzo, ora sai tutto. Comunque non credere di… I sigilli…” Le sue parole furono soffocate da un urlo e Orsi inspirò profondamente. “Pennuto, ho letto le istruzioni e so che i sigilli hanno un prezzo. Sono disposto a pagarlo.” Allora ruotò lentamente il palmo sinistro e i fili color d’argento che immobilizzavano il suo pedante ospite lo avvolsero completamente. Un lampo di luce riempì la sala, Orsi strinse i denti e dopo pochi secondi si ritrovò a sputare sangue con il corpo rannicchiato in un angolo del pavimento. “Va bene, poteva andare peggio.” La propria voce adesso gli suonava quasi estranea, arrochita, e quel disgustoso sapore metallico che gli ammorbava la bocca era tutt’altro che un presagio positivo. Dopo qualche minuto cercò di alzarsi, ma soltanto al terzo tentativo riuscì a mantenere una parvenza di equilibrio, allora prese qualcosa con cui fasciarsi gli avambracci e si lasciò cadere sul vecchio divano. Sul muro alla sua destra adesso era impressa la sagoma annerita del suo ospite alato e il resto del salotto sembrava un campo di battaglia. “Non è stata una passeggiata, però posso dire di aver superato la prova del fuoco: i simboli minoici funzionano, anche se sono tutt’altro che giocattoli.” Dette uno sguardo alle sei tavolette e fece un sorriso.

Non gli piaceva quello che aveva fatto al tacchino. Cavolo, solo uno psicopatico poteva trovare piacevole arrostire in quel modo un altro essere vivente. Almeno adesso si era fatto le idee più chiare su tutta quella maledetta faccenda. “Non avrei mai creduto che si potesse ridurre tutto a una squallida questione sessista, addirittura i Veglianti del libro di Enoch sembravano più umani di quei figli di puttana.” Eppure avrebbe potuto aspettarselo: le società patriarcali avevano tutte caratteristiche simili e per quanto piumati, quegli angeli da operetta erano tutto fuorché infallibili. “Se mi potessero vedere i miei fratelli si farebbero delle grasse risate: sono invischiato con una banda di piccioni troppo cresciuti, estremamente permalosi, e la mia salute rischia di andare veramente in malora.” Si pulì le labbra con la manica e scosse la testa. “Senza dimenticare il masochismo che mi spinge a sacrificare le energie per una ragazza che non ha la minima idea di quello che sto combinando.” Sospirò, trattenendo la rabbia, prese dal muro un pizzico dei rivoltanti resti dell’alato e lanciò il bicchiere in un angolo: ora doveva liberare qualcuno e doveva farlo in fretta.

§§§

Quando era apparso il portale color rubino Luke fu pervaso da un’eccitazione adolescenziale e lo aveva attraversato senza sapere cosa aspettarsi: la luce lo aveva avvolto con la tangibilità di una membrana e, una volta giunto dall’altra parte, si era ritrovato ai piedi di una costruzione tanto bizzarra da poter essere frutto di uno dei tanti architetti futuristi che ultimamente andavano di moda. Il suono di passi in avvicinamento lo distolse dalla contemplazione, ebbe giusto il tempo di tracciare alcuni segni cuneiformi sul terreno che due alati in armatura svoltarono l’angolo. Immobilizzarli gli era costato meno energie che con l’angelo di casa sua, così ne approfittò anche per estorcer loro qualche informazione e lì lasciò privi di sensi in uno dei tanti anfratti dell’edificio. In qualche modo riuscì ad evitare le altre sentinelle e dopo qualche minuto raggiunse il piano superiore. “Questo diavolo di posto sembra una Sing Sing medievale, tuttavia la tavola non smette di brillare: dovrei essere vicino.” Rimise in tasca il frammento di argilla e sospirò: fregare un reparto dal dipartimento di antichità, non aveva mai pensato che sarebbe arrivato a tanto.
“Fermati ! Cosa ci fai in questo settore?” Va bene, forse non era poi così abile nel passare in osservato. Levò entrambi i palmi nella direzione delle guardie e tracciò per aria cinque segni differenti: i due angeli furono scagliati contro il muro e prima di perdere i sensi si ridussero in due grottesche statue di sale. “Ma guarda te: ecco come è stata trasformata la moglie di Loth!” Era impressionato, tanto che quando le statue gli si sbriciolarono tra le mani sentì passare lungo la schiena un brivido inquieto.

§§§

“Cosa diavolo…” Simon si morse le labbra, frustrato, colpì Eric con un pugno e poi corse all’esterno: aveva perso il contatto con un altro dei suoi sottoposti e questo era il sesto. Uno o due potevano essere una coincidenza, ma sei costituivano un problema. Qualcuno era riuscito a raggiungere la prigione, ma chi? Chi poteva essere tanto pazzo da opporsi al volere degli Anziani? Spalancò il portone in preda ai dubbi e subito fu travolto da una scarica di fuoco color blu elettrico. “Finalmente! Cominciavo sul serio a pensare di girare in tondo.” Luke Orsi studiò la stanza con circospezione e avanzò con passi misurati, aveva l’aria stanca e a ogni movimento gocce ritmiche del suo sangue cadevano sul pavimento. “Chi sei? Cosa sei per osare contrapporti…” Simon era ebbro di rabbia, non poteva permettere che una creatura inferiore ostacolasse i suoi piani, ma quando scagliò contro di lui gli aculei di ghiaccio questi si sciolsero senza neanche riuscire a sfiorare il bersaglio. “Normalmente apprezzerei un educato scambio di battute, ma in questo momento sono particolarmente irritato.” Le parole di Luke erano poco più che sussurrate, ma il suo tono non lasciava dubbi riguardo alla sua sicurezza.

I sensi di Eric si risvegliarono all’improvviso, il sigillo che lo imprigionava s’infranse e per rallentare la caduta spalancò le ali. Gli doleva ogni muscolo e non appena si guardò intorno riconobbe due corpi poco distanti dal portone d’ingresso. Il primo era di sicuro Simon, ma l’altro era certamente umano. Che diamine ci faceva un essere umano ? “Ragazzo? Svegliati, sei tutto intero ?” Luke aprì gli occhi e si mise a sedere con fatica. “Chi sei? Come hai fatto ad arrivare in questo posto?” Il tono di Eric era accorato, rassicurante, tuttavia Luke non si sentiva affatto in vena di convenevoli: quel pennuto sembrava un suo coetaneo e questo non lo rendeva una figura adatta a fare delle paternali. “Una dozzina di sigilli di Cnosso, ho sempre amato spulciare nelle antichità.” Faticava a parlare, eppure Eric sentiva chiaramente quanto fosse orgoglioso per aver raggiunto un simile risultato. “Perché?” “Ilaria. Devi proteggerla, altrimenti giuro che troverò il modo per ingabbiarti anche peggio di come ha fatto quello psicopatico.” Indicò con un cenno il corpo di Simon ed Eric gli rivolse un sorriso di gratitudine mista a rispetto. “Un problema per volta, adesso usciamo di qui e pensiamo a curarti le ferite.” Luke rispose con un grugnito e quando Eric lo aiutò a rimettersi in piedi mormorò: “Grazie.”

§§§

Luke inghiottì a vuoto e cercò di appoggiarsi sulla poltrona che aveva di fronte, ma alla fine ci cadde come un goffo peso morto. Aveva male ovunque, però era sopravvissuto. Aveva fritto i pennuti cattivi e grazie ai sigilli minoici era riuscito a liberare il protettore personale di Ilaria. Eric avrebbe raggiunto la piccola Stern entro poche ore e di sicuro sarebbe passato parecchio tempo prima che i compagni del suo arrosto di pennuto si accorgessero che era successo qualcosa. Si avviò all’ingresso, raggiunse il mobile con passo malfermo e allora dette un ultimo sguardo alla casa della sua infanzia. “Quando vedranno tutto questo casino chissà cosa immagineranno, vorrei poter vedere le loro facce.” Aveva usato i sigilli per poco tempo, eppure lo avevano già abbastanza incasinato. Non aveva recriminazioni e ormai poteva andare solo avanti: doveva occuparsi dell’incolumità delle due ragazze che Ilaria teneva più vicine a sé e non aveva certo tempo da perdere.

§§§§


Allora, seguendo l’opinione del nostro Oissela ho postato in tempi ravvicinati. Anche se all’appello mi mancano sempre Criss, Esquire e La_laila. Sacu completerà a scalata con i suoi ritmi e so già che il mio uccellino al momento ha altro per la testa 

Isa1983, nonostante gli infortuni continui a seguire stoicamente e vedremo se sopravviverai alla prossima visita all’ikea. Alla fine bisogna pur fare una scelta di arredamento, no ?
Hika_shidou, approdata da poco, sei proprio sicura di continuare in questi lidi ? Stra pennuti pericolosi e case di cura tremebonde? Spero che il capitolo piaccia, visto che è più o meno ex novo. Alla proxima !!!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Assestamenti e Sopravvivenza ***


Ilaria era come circondata da un calore accogliente e aveva la bizzarra sensazione di fluttuare. Provò ad aprire gli occhi e allora scoprì di essere sospesa lungo la scala antincendio. Trattenne il fiato soffocando una crisi isterica e, facendosi violenza, voltò la testa di lato: sua nonna non era da nessuna parte, mentre il corpo do suo padre era di fianco a lei. Lo shock la immobilizzò per un minuto buono, ma poi si rese conto che lei e suo padre erano trasportati da qualcuno, o qualcosa, che sembrava avvolto da un velo nebuloso. Forse era troppo veloce perché l’occhio umano riuscisse a distinguerlo? Era il suo angelo? Provò a muoversi ancora una volta, sforzandosi per distinguere la faccia di chi la stava trasportando, ed ebbe la sensazione di muoversi all’interno di uno spazio liquido: era come essere circondati dalla melassa. “Mi dispiace di averti fatto preoccupare, non volevo. Cerca di riposare, avremo tempo per parlare.” Quella voce era carica di triste dolcezza e apprensione, ma Ilaria riusciva a percepirvi anche una stanchezza profonda. Ilaria inghiottì a vuoto e raccolse le forze per rispondergli, anche solo per ringraziarlo, ma riuscì appena a fargli un cenno di assenso: era troppo stanca ed in breve tempo perse ancora una volta i sensi.

§§§

Una volta arrivato a un centinaio di metri dall’edificio in fiamme Eric planò verso il terreno, nel bel mezzo degli alberi. Ilaria e suo padre erano un po’ affumicati ma, eccetto qualche livido, sostanzialmente illesi. Una volta posati entrambi sul terreno, trattenne un gemito e portò la mano destra al fianco. La sua camicia non poteva certo definirsi nuova, soprattutto dopo il trattamento di Simon, e proprio sul fianco destro spiccava una macchia vermiglia che si allargava con drammatica lentezza. Doveva curarsi al più presto, tuttavia prima doveva assolutamente risolvere altre priorità: per accedere a quel dannato edificio aveva sfondato una finestra, stendendo una manciata di quei rompiscatole, ma nel resto del palazzo ce n’erano come minimo un’altra dozzina. Purtroppo non era riuscito a salvare anche Mary e la sola idea della sua morte lo faceva soffrire come un cane. Senza il sacrificio di quella donna forse non sarebbe riuscito a portar via suo genero e sua nipote, era vero, ma non bastava ad attenuare i suoi sensi di colpa. Quel figlio di puttana di Simon e la sua prigione gli avevano quasi prosciugato le forze, altrimenti avrebbe potuto fare assai di più. “Mi dispiace, amica mia.” Era un sussurro carico di rimpianto: conosceva Mary Wheater da anni e una piccola parte di lui era arrivata a considerarla una di famiglia. Dopo un paio di minuti di quiete Eric si chinò a sentire i battiti di Frank e Ilaria, allora i suoi sensi furono ancora una volta messi in allerta: tre elementi avevano lasciato l’edificio in fiamme e stavano arrivando da loro a tutta velocità.

Quando il ragazzo umano, Luke, l’aveva liberato dal sigillo era subito corso a raggiungerla. La preoccupazione per il destino di Ilaria gli aveva fatto ignorare il dolore delle ferite fresche e aveva fatto passare in secondo piano il calo dei suoi poteri. Era stato un idiota e se sommava alle sue condizioni di partenza anche l’entrata a effetto nella casa di cura, il risultato dell’equazione era uno solo. In ogni caso, per quanto fosse in svantaggio, era riuscito a nascondere la sua identità e quei tre non potevano aver già individuato la loro posizione. Allora Eric allargò le braccia, strinse alternativamente le mani a pugno e dai suoi palmi proruppe una cortina nebulosa color grigio spento: Castar preferiva l’invisibilità completa, tuttavia lui era sempre stato dell’idea che con i i giusti accorgimenti un’ombra potesse essere ben più temibile di un nemico ignoto. Concentrò le sue percezioni, così da capire quanto fossero distanti, e fu colto di sorpresa dal constatare che avevano rotto la formazione: i primi due continuavano a muoversi in coppia, ma il terzo elemento si ero portato avanti. Sembrava uno stallone al galoppo, tuttavia poteva fare il suo gioco: abbattendoli uno per volta poteva cavarsela. Scomparve in un riflesso di sole e si tuffò nella battaglia.

Le nuvole si scurirono all’improvviso, i primi tuoni colsero impreparato lo stesso Eric, tuttavia il cielo scuro s’integrò perfettamente nei suoi piani e lui ne approfittò per mimetizzarsi nel temporale e restare in attesa. Dopo pochi minuti le sagome dei loro inseguitori apparvero all’orizzonte. L’angelo aspettò fino a quando non riuscì a distinguerne i lineamenti e congiunse le mani, creando così un fulmine globulare che scagliò all’interno di una successione di fulmini naturali. Il primo cadde senza neanche rendersi conto di cosa lo aveva colpito. Vedendolo cadere al suolo, Eric per un momento si compiacque di non aver perso la mira di un tempo. Un istante dopo qualcosa gli apparve alle spalle, ma Eric evitò il fendente e scomparve a sua volta. “Dov’è finito?” “Non ha abbastanza forza per allontanarsi significativamente.” “Non lascerà gli umani, però non dobbiamo sottovalutarlo.” Il loro scambio di battute era tutt’altro che rassicurante, i due si rivolsero un cenno d’intesa e furono avvolti in due manti nero brillante. Scesero di quota e ripresero la caccia: il fallimento non era un’opzione accettabile.

Appena cominciarono a perlustrare il terreno, percepirono le energie di due esseri umani. Gli bastò un attimo per riconoscere Ilaria e suo padre, gli planarono vicino e subito due lame luminose si materializzarono tra le loro mani. “Avevo l’impressione che fosse un po’ presto per la caccia alle anatre.” La voce di Eric sembrava provenire da ogni dove, però intorno a loro non riuscivano a sentire la minima traccia della sua energia, perché? Passarono minuti carichi di tensione e la figura del ribelle emerse da un tronco alle loro spalle, unì i palmi delle mani e creata una lama di luce troncò di netto le ali dell’avversario a lui più vicino. Questi emise un urlo disumano e si accasciò al suolo in preda alle convulsioni. Il suo manto nero si dissolse progressivamente e il compagno si mise in guardia. “Hai mai pensato quanto sia strano che la regola del non intervento venga mandata alle ortiche con tanta facilità ? O io e la ragazza siamo diventati una sorta di caso speciale?” Nel parlare avevano cominciato a girare in cerchio, studiandosi a vicenda. “Sei pronto, o forse preferisci tornare dagli Anziani con le ali tra le gambe?” Si fissarono in silenzio per una decina di secondi, poi l’avversario fece apparire una seconda lama di luce e cominciò un duello serrato.

§§§

I soccorritori raggiunsero il Saint Paul in poco meno di quarantacinque minuti, ma soltanto quando riuscirono a domare l’incendio poterono dedicarsi alla ricerca dei superstiti. Dopo una mezza giornata trovarono Frank e Ilaria privi di sensi e, per lo sconcerto generale, loro furono i soli sopravvissuti del disastro. La ragazza era stata la prima a riprendersi i sensi e adesso aspettava all’interno della saletta d’attesa del pronto soccorso, ansiosa di sapere le condizioni di sue padre. Si abbracciava il petto con entrambe le braccia, facendo fatica a trattenere i singhiozzi e sentiva il proprio cuore preda di tumulti contraddittori: paura per suo padre, rimpianto per nonna Mary e una malinconica felicità per il suo angelo le accarezzava la pelle. I medici insistevano su come le esalazioni di fumo e il trauma psicologico potessero provocare allucinazioni, ma lei sapeva che era reale: era stato lui a stendere le ombre nere e l’aveva portata in salvo insieme a suo padre. “Signorina.” Ilaria alzò gli occhi e distese le gambe, ritornando alla realtà. Aveva davanti un dottore stempiato, sulla sessantina, che teneva tra le mani una cartella color azzurro spento. Sembrava lo stereotipo vivente del vicino tranquillo, ma l’espressione che le rivolse ebbe il potere di terrorizzarla: esprimeva rammarico, compassione e un pizzico di tenerezza. Lei non voleva sapere perché la compativa, non voleva il suo rammarico o la sua tenerezza professionale; voleva suo padre ! “È uscito dalla sala operatoria cinque minuti fa, l’operazione è riuscita, ma oltre al fumo che può aver inalato non possiamo dimenticare che è un fumatore da più di vent’anni. Non sappiamo come reagiranno i suoi polmoni e il colpo alla testa gli ha provocato un trauma cranico di lieve entità.” Trauma cranico? Quando mai un trauma cranico poteva definirsi lieve? Ilaria stava per cedere al panico. “In ogni caso, per adesso è stabile e non ci resta che aspettare.” “Quando si sveglierà?” Il dottore cercava di trovare le parole giuste e questo era un ulteriore brutto segno. “Non lo sappiamo con certezza, durante l’intervento abbiamo dovuto indurre un coma farmacologico, ma mi aspetto che riapra gli occhi entro poche ore.” Ilaria sentì il proprio cuore perdere un battito, nelle parole rassicuranti del medico aveva appena letto una sconvolgente possibilità: suo padre, il suo papà poteva anche restare in coma per il resto della vita. Inghiottì a vuoto e smise di ascoltare, attese che il dottore la lasciasse sola e poi corse fuori dall’ospedale. Corse senza preoccuparsi di frenare le lacrime, soffocando le urla del suo cuore con lo sfinimento: sapeva di non essere più una bambina, ma non poteva impedirsi di pensarci. Adesso sarebbe stata davvero sola, suo padre era il suo unico parente ancora in vita e perderlo in quel modo…

§§§

Castar atterrò con eleganza, fermandosi al suo fianco, e dopo un istante le ali grigio fumo scomparvero sotto le pieghe della sua giacca. Eric lo ignorò per quasi un minuto, ma alla fine si decise a fissarlo con un’espressione stanca: se il suo amico era riuscito a trovarlo, curare le ferite prodotte dallo scontro e dalla prigionia gli stava costando troppo tempo. “Ciao.” “Ciao? Stupido imbecille, dov’eri finito? È successo un casino !” Il mezzo sorriso che ricevette in risposta rappresentava benissimo un silenzioso “direi che me ne sono accorto”, ed ebbe il potere di irritare Castar ancora di più. “Forse non sei aggiornato, tuttavia Sihel in persona si è scomodato per venire a minacciarmi: vuole che smetta di preoccuparmi per te. Eric, ti ammazzeranno.” Il suo amico non mostrava il minimo timore, tanto da fargli dubitare che avesse capito, e quando lo vide ridere un dubbio atroce si fece strada nella sua mente: forse Eric era impazzito sul serio. “Direi che ci hanno già provato, tuttavia sono ancora il cavallo vincente.” Fece una pausa e provò con cautela a muovere il braccio destro. Solo allora Castar sembrò accorgersi delle sue ferite però, prima che potesse aprir bocca, Eric riprese: “Mi sembra che ormai la guerriglia sia più che cominciata, forse ti converrebbe sul serio lasciarmi perdere. Non ho neanche la certezza di salvare la mia di vita, figuriamoci il tempo materiale per preoccuparmi anche della tua.” Cercava di stemperare la tensione con il sarcasmo, però Castar non aveva intenzione di assecondarlo. Per la prima volta in tanti secoli d’amicizia Eric vide apparire sul suo viso l’espressione disperata della preda che si accorge di essere finita in trappola. “Almeno dimmi perché: all’inizio credevo che volessi impedirne il risveglio, poi ho anche creduto che nella tua testa bacata lo volessi accelerare, per poterla istruire e usarla per rovesciare i cinque Anziani.” Eric lo fissava in silenzio e Castar alzò le braccia, scuotendo il capo. “Sappiamo entrambi che non è così, quindi ora dimmi la verità. Me lo merito, perché butti la tua vita per una senza ali qualunque?” L’altro fece un sorriso sghembo e Castar spalancò gli occhi. “Io non capisco cosa…” “Cazzo ! Le hai dato il tuo sangue ! È solo grazie a questo che non è ancora morta o impazzita. Perché?!”

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Amicizia ***


Ilaria si guardò intorno ancora una volta, osservando con tristezza l’ambiente che la circondava. Questo era davvero il colmo del ridicolo, aveva corso per ore, fino ad esaurire tutto il fiato che aveva in corpo, e ora non riconosceva più neanche la strada che stava percorrendo: si era persa. Poteva mettersi nei guai in un modo più idiota? Aveva i vestiti rovinati, era sporca, ferita e le doleva anche il più insignificante dei muscoli, non si era mai sentita più patetica. Indipendentemente dalle sue condizioni, quando varcò la porta del tabacchi, neanche uno dei presenti le rivolse più di un’occhiata fugace. Era proprio vero, più c’erano casini e più gli esseri umani tendevano a farsi i fatti propri, ringraziando il cielo che non fosse toccato a loro. Giusto Orsi non si comportava in quel modo, ma con il suo atteggiamento lui rappresentava un caso a sé. O forse soffriva del complesso del buon Samaritano. Era buffo pensare a lui in un momento simile, poiché dalla conversazioni con Lily l’aveva relegato in un angolino dimenticato della sua mente. Etichettando la questione con il cartello: risolvere in un secondo tempo. Le sembrava fosse passata un’eternità. Comprò una spuma e un tramezzino cotto e fontina, poi si sedette ad un tavolo e si sforzò di comportarsi nel modo più normale possibile: diventare una sorta di caso umano non era proprio tra le sue priorità immediate. La batteria del cellulare era carica, quindi non era del tutto isolata, e aveva dei soldi. Come a volerlo verificare, tastò la tasca posteriore dei pantaloni: oltre alla pelle del portafoglio trovò un inaspettato fruscio di carta. La estrasse e posandola sul tavolo si ritrovò ad osservare una busta azzurra malamente accartocciata. E questa da dove veniva?  Quelle macchie sulla parte anteriore dovevano essere sangue rappreso, da quando riusciva a distinguerlo così bene?
Era inquietante. La fissò come se potesse morderla da un momento all’altro e alla fine l’aprì:

Ciao Ila,

 se stai leggendo questa lettera vuol dire che l’angelo è riuscito ad arrivare in tempo, quindi vedrò di non spiumarlo. È inutile che strabuzzi gli occhi e ti mordi le labbra, dovresti sapere che sono un tipo pieno di sorprese. Non ho tanta esperienza con i pennuti, ma lui mi è sembrato a posto: è una testa calda però, anche se lo nega, ha un buon cuore.
È persino dotato di un certo senso dell’umorismo !
Spero che nei momenti di necessità lo aiuterai a mantenere la calma.

Con lui forse potrai sorridere davvero, per favore non ricominciare a negare perché abbiamo già fatto questo discorso una miriade di volte e, da quando ti conosco, sento le tue urla sorde mascherate con ironia o da sorriso. Tutti hanno segreti e problemi, però il trucco per riuscire ad affrontarli è condividerli. Comunque, non ho tempo da perdere in paternali: se quello che ho in mente funziona, di solito è così (non storcere il naso che ti vengono le rughe), riuscirò a liberarlo da questa specie di puntaspilli luminoso e lui sarà subito da te.

Non preoccuparti per Emily e Lily, con i regalini che ho in mente anche loro dovrebbero essere al sicuro, almeno fino al tuo ritorno. Avrei voluto vederti un’altra volta, tuttavia con i desideri non sono mai stato fortunato e quindi temo che non sarà possibile.
Ti pieghi alle intemperie,
ma non ti spezzi mai; per questo mi piaci.
(alcune parole sono cancellate)

Ti auguro di essere felice.

Luke Orsi

Terminò di leggere con gli occhi appannati dalle lacrime e sforzandosi di tornare calma le asciugò con il dorso della mano. Odiava come spesso riuscisse a indovinare le sue reazioni, però Orsi come faceva a conoscere il suo angelo ? Non poteva essere uno scherzo, perché solo lui avrebbe potuto infilarle in tasca quella lettera. Luke lo aveva liberato per lei. Cosa caspita voleva dire che avrebbe voluto rivederla? Stava male? Era stato ferito? No, no. Anche se sarebbe stato proprio tipico di lui, puntava sempre ad avere l’ultima parola. Non poteva essere morto così, senza darle spiegazioni o farla controbattere ! Non riusciva a immaginare di non poter più ascoltare le sue risposte saccenti, o le sue sparate tanto sicure da dare l’idea che fosse in grado di leggere la mente. Orsi, era suo amico, le voleva bene, e Ilaria non si sentiva in grado di assorbire anche il peso della sua perdita.

§§§

Castar lo fissava in cagnesco, tuttavia questo non bastava a guastargli il buon umore: l’amico aveva passato i secoli a fingersi un bonaccione che non voleva dare fastidio a nessuno, come lui per tanto tempo si era mostrato privo di emozioni, però adesso sembrava che le maschere di entrambi fossero divenute superflue. “Mi hai ripetuto più volte che sono il più giovane degli adepti di Sihel, che quindi non posso sapere, ma io ricordo lo stesso quando erano altri a guidarci ! Allora essere ciò che siamo ci rendeva orgogliosi.” Castar fece un gesto brusco con la mano, quasi volesse scacciare anche l’ombra di quell’idea. “Vorresti forse…” Eric gli sorrise, avvicinandosi e posandogli una mano sulla spalla. “Negli anni loro hanno continuato a manifestarsi e sono state sistematicamente annientate perché nessuno le ha protette. Non lo senti anche tu come una mancanza personale ?” Castar grugnì, però decise di  lasciarlo finire. “Dovremmo aiutare gli esseri umani, guidarli, invece loro vogliono che ci comportiamo come spettatori al cinematografo. E se malauguratamente lo spettacolo non è gradito, nessun problema, possiamo sempre darci un taglio.” Lo sguardo di Castar s’indurì, colpì il tronco al loro fianco con un gesto di stizza e non appena il suo pugno si staccò dalla corteccia questa divenne di pietra. “Non puoi scatenare una rivoluzione, non da solo.” “Mantieni il controllo, amico mio, e ritorna dagli anziani come un bravo figliol prodigo. Hai presente la parabola, no?” “Tu provi qualcosa di più, se t’interessasse soltanto portare un ordine nuovo non le avresti dato il tuo sangue. Volevi che avesse una vita normale. Volevi proteggerla.” Eric aprì la bocca per negare e Castar lo colpì al braccio sano con un pugno amichevole. “Non abbiamo tempo da perdere, fila via e renditi presentabile.” Ammiccò, per poi farsi circondare da un turbinio di foglie morte. “Come dicono nei film di spionaggio umani: per un po’ andrò sotto copertura. Comunque, non credere che mi dimenticherò della tua umana ! Chiamami al primo guaio, non cercare di fare sempre tutto da solo !” Fu un istante, le foglie ricaddero sul terreno e Castar non c’era più.

§§§

Questo l’aveva colta alla sprovvista: la sua corsa disperata l’aveva portata fino al quartiere dove abitava suo padre, alla casa della sua infanzia. Sfiorò il legno della porta con delicatezza, si chinò studiando il porta ombrelli e con un groppo in gola sposto il vaso da fiori dove tenevano le chiavi di riserva. Quando era bambina il portone brunito le era sembrato assai più grande. Si lasciò sfuggire un gemito malinconico e inserì la chiave nella serratura. Era priva di forze e metabolizzava a fatica quanto le era successo nelle ultime ore. La stanza d’ingresso le parve fredda e vuota, neppure il profumo rassicurante dei libri stagionati da decenni riusciva a calmarla. Lasciò la lettera insanguinata di Luke sul tavolo, sfiorò i contorni del divano e raggiunse la porta della cucina. I piatti che suo padre aveva usato a cena erano nel lavello, mentre l’odore delle sue sigarette impregnava ancora la stanza. Ricacciò indietro le lacrime, dette un pugno alla porta e corse verso il bagno. Lungo il corridoio iniziò a lanciare i vestiti per aria e alla fine varcò la soglia del bagno con soltanto le mutandine. Gettò uno sguardo fugace allo specchio sopra il lavandino e la vista del sangue secco unito  alle ferite le provocò una fitta di dolore nella zona dello stomaco. All’ospedale le avevano classificate come ferite superficiali, tuttavia lei si sentiva come qualcuno sopravvissuto a un pestaggio violento. Sia fisico che emotivo.
Lasciò la biancheria sul pavimento ed entrò nella cabina della doccia.

§§§

Lo spettacolo offerto dalle rovine fumanti del Saint Paul provocò nella popolazione locale una serie di manifestazioni che oscillavano dallo sgomento al raccapriccio, ma per Suriel quei resti erano soltanto una fonte di disgusto. Aveva fallito. I suoi l’avevano tenuta d’occhio per più di un quarto di secolo, si aspettava che prima o poi un’altra femmina avrebbe fatto visita alla vecchia, e quando l’attesa era stata finalmente premiata niente era andato secondo i piani. Era inconcepibile, neanche la trappola di Simon era stata in grado di fermare il traditore e i macchinosi piani dei suoi fratelli lo stavano irrimediabilmente stancando. Tolse la mano dalla tasca dell’impermeabile grigio, rivelando una lama affilata lunga una decina di centimetri e la contemplò per qualche momento. Alla fine la fece roteare sopra la sua testa e la sua bocca disegnò un sorriso divertito. “Beh, possiamo sempre trovarci un lato positivo: ci siamo liberati della Vecchia. Chi si aspettava che in tutti questi anni fosse riuscita a superare la follia, non aveva fatto altro che aspettare il momento giusto per palesarsi e ci erano cascati in pieno.” Digrignò i denti, tuttavia la rabbia non riuscì a distoglierlo dal corso dei suoi pensieri.
“Se le trappole e i piani troppo complicati non portano a niente, non penso che la cosa potrà cambiare in futuro. Avrebbero fatto bene a seguire subito il mio suggerimento, però loro non mi hanno ascoltato. Non mi ascoltano mai.” Bloccò la lama tra l’indice e il medio, per poi fissarla con uno sguardo allucinato, allora si lasciò sfuggire un sogghigno. “Non ho più voglia di aspettare: è ora di tagliare.”

§§§

Il suono di un parcheggio nei pressi della casa la distolse dall’estasi dei flussi d’acqua calda, quel tepore era riuscito a ridarle un minimo di calma però, se stava arrivando qualche amico di papà non poteva certo accoglierlo in versione nudista ! Chiuse l’acqua e uscì dal box saltellando: la differenza di temperatura le strappò un piccolo urlo e in un minuto, dal mobile accanto al lavandino, tirò fuori un grande asciugamano colorato. Ora riusciva a riconoscersi di più nel riflesso dello specchio, anche se i capelli arruffati erano in un certo senso stonati: le ricordavano di più le feste di carnevale, quando era ancora adolescente, certo non una pettinatura all’ultimo grido. Sorrise, alzando il pollice verso la sua immagine riflessa, e lasciò il bagno nel momento in cui qualcuno bussò alla porta d’ingresso. Corse ad aprire, fregandosene di essere ancora scalza, e sentire i propri passi come tonfi su quel pavimento fu per Ilaria come tornare bambina. Inchiodò davanti alla porta, producendo uno strano stridio con i piedi, e si sporse per guardare dallo spioncino.

Maxwell fece un sospiro teso e dette un altro sguardo fugace all’auto. Quelle erano questioni private, anche lui in situazioni simili tendeva a rifugiarsi dai suoi familiari. Forse non c’era nessuno, poteva ancora rimontare in macchina ed evitare una figuraccia, tuttavia in quel caso l’ansia che lo attanagliava avrebbe continuato a tormentarlo. Il locale era nelle mani del suo vice e da quando aveva aperto non si era mai concesso una vacanza, poteva approfittarne in quell’occasione ? Accarezzò, ancora titubante, qualcosa che teneva all’interno di una delle tasche della giacca e indietreggiò di un passo: non c’era nessuno, sarebbe tornato in un altro momento. “Ora vediamo di trovare qualcosa anche per te, ok?” Dalla tasca gli rispose un miagolio sommesso e appena voltò le spalle alla casa, la porta si spalancò. Ilaria era sulla soglia, con escoriazioni e lividi nascosti a malapena da un sottile asciugamano e i capelli pesantemente arruffati. Restava immobile, a bocca aperta, e dietro il ciuffo scomposto che le copriva il viso Maxwell intuì che aveva pianto.

“Max!” Sembrava quasi che il suo nome fosse diventato un’ancora di salvezza e lei ne aveva un gran bisogno: era sciocco, ma un adulto disposto ad ascoltarla, (sapeva di non essere più una bambina, tuttavia ne aveva bisogno), era la risposta alle sue preghiere. Era tutto troppo incasinato e Ilaria non si sentiva in grado di cavarsela da sola. Gli prese una manica della giacca, come una bambina delle elementari e lo trainò dentro. “Mi metto qualcosa e torno!” Maxwell accarezzò quello che teneva in tasca, inclinò il capo per studiare il salotto e restò in attesa. Lei riapparve dopo cinque minuti, aveva messo in riga la lucida chioma ribelle e ora indossava una camicia celeste di qualche taglia più grande. Le arrivava poco sotto la vita e l’aveva presa dall’armadio di suo padre. Si lanciò sul divano davanti a Maxwell e lo fissò incrociando le gambe nude. “Mi fa piacere vederti. A cosa debbo questa improvvisata?” Ora cercava di essere di essere disinvolta, però lui non aveva dimenticato in che condizioni l’aveva accolto e stava studiando con occhio esperto anche la più piccola ferita che riusciva a scorgere. “Cos’è successo?” Aveva intrecciato le mani davanti a se e il suo tono si era improvvisamente fatto professionale. “Non capisco di cosa parli, guarda che…” Ilaria aveva bisogno di parlarne con qualcuno e quando l’amico era apparso sulla soglia era stata pronta a raccontargli ogni cosa, però adesso non sapeva da dove cominciare. “Va bene, forse prima dovrei presentarti il tuo secondo ospite; faceva così tanto chiasso che alla fine ho deciso di portarlo con me.” Neanche avessero combinato la presentazione, una cosetta piccola e pelosa saltò fuori dalla sua tasca e finì in grembo a Ilaria, guardandola con dei grandi occhioni pieni di aspettativa: era il gatto spelacchiato del vicolo ! Ora però non sembrava più messo così male, anzi, aveva messo su qualche chilo e il suo pelo era tornato folto, piacevole da accarezzare.
“Miaoooo !” Quel saluto le fece rompere gli ultimi indugi e le rubò un sorriso. “Grazie, sei stato molto gentile a prenderti cura di lui.” Maxwell aprì le braccia con la tipica espressione da “cosa vuoi che sia” e Ilaria sospirò. “Quello che ti dirò potrebbe non avere senso, ti prego di farmi comunque finire, altrimenti rischierei di non trovare più il coraggio di continuare.”

§§§

Lily finì il caffè e dopo un attimo di esitazione riportò lo sguardo su di lui. La ragazza indossava una gonna nera che evidenziava le lunghe gambe da pantera e una camicia bianca che lasciava ben poco spazio all’immaginazione. “Dimmi in che guaio ti sei messo, tu non sei così.” Luke strinse di più la chiusura del giubbotto, quasi potesse trasformarsi in una corazza, e le rivolse il sorriso più innocente di cui era capace. “Così come? Non capisco cosa intendi: non è la prima volta che vi regalo qualcosa, anche se non è niente di particolarmente prezioso.” Si allungò sul tavolo e con la sinistra spinse la piccola scatola verso di lei. Lily si morse il labbro e aprì una seconda volta la scatola, dando così uno sguardo più attento ai due braccialetti che conteneva: erano d’oro bianco, o almeno placcati ed entrambi avevano diversi pendagli formati da cristalli alternati di quarzo e ametista. Li espose alla luce e così si accorse che su ogni pietra era stato inciso qualcosa, davvero un lavoraccio di precisione, forse il loro numero di serie. Erano dei begli oggetti, questo era innegabile, ma perché voleva regalarli a lei e Emily ? Non voleva provarci con Ilaria? E perché insisteva per farle indossare subito il suo?

Tutte le volte che faceva qualcosa per qualcuno, anche insignificante, nella mente dell’interessato spuntava quella odiosa parola: Perché? Orsi si sentiva debole e aveva paura per quelle due ragazze, tuttavia doveva sottostare a quella sottospecie di rituale duello di cortesie. Era una cosa ridicola ! “ Volevo che restasse un segreto, come minimo fino a quando non ci fosse stato un effettivo risultato, ma se insisti: questi due braccialetti sono dei portafortuna molto particolari.” Il corpo di Luke fu straziato da un tremito, ma Lily non se ne accorse. “Le incisioni sulle pietre sono state fatte a mano dagli artigiani del negozio, dovrebbero essere degli amuleti d’amore.” Lasciò la frase in sospeso, sperando che l’amica abboccasse e infatti la vide subito annuire, compiaciuta di se stessa. “Ok, in questo caso lo accetto volentieri: di questi tempi giusto la magia può aiutare una ragazza a trovare l’uomo giusto.” Lei abbandonò il tavolo con movimenti sinuosi e una volta pagato il caffè tornò da Orsi. “Buona fortuna.” Un sussurro seguito da un occhiolino e lui si ritrovò cinto in un abbraccio fugace. “Vado subito da Emily, l’adorerà !Ci vediamo in giro Luke !” Davanti a quel congedo repentino lui non seppe cosa ribattere, in ogni caso quelle due ora erano al sicuro. I colpi di tosse arrivarono all’improvviso e ancora ansimante lui pulì il sangue con un fazzoletto di stoffa. Aspettò qualche minuto, giusto il tempo di normalizzare il respiro, e abbandonò a sua volta il bar.

Lily alzò il braccio sinistro, studiando ancora una volta i riflessi che producevano i raggi del sole che colpivano i cristalli del bracciale e allora sorrise, assumendo l’aria soddisfatta tipica del gatto che si è appena mangiato il topolino. Ancora non capiva come avesse fatto a non arrivarci prima, aveva rischiato di rovinare tutto, ma meglio tardi che mai: i bracciali erano regali d’affetto, simboli di amicizia, e se doveva credere alla storia dei talismani d’amore il resto era abbastanza ovvio: Orsi era interessato all’Ila e ora che quel demente del contadinello era fuori dai piedi non desiderava certo l’apparizione di altri rivali ! In ogni caso, il suo era stato un gesto squisitamente carino.


§§§§§§§§

CHE DIRE ? Domande ? Risposte?

A questo punto credo come minimo di avervene fatte sorgere tante ! Attendo molto curioso vostri commenti critiche e perplessità !

Alla prossima !

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Suriel ***


“Direi che questo è tutto.” Ilaria aveva parlato tutto d’un fiato, camminando per il salotto in preda all’enfasi e cercando in ogni modo di nascondere il proprio disagio. Aveva raccontato a Maxwell di suo padre, della nonna e di come qualcosa  li avesse tirati fuori. Nelle loro condizioni non potevano essersi spinti da soli sino al bosco: dovevano essere stati aiutati da qualcuno. Inoltre, per la prima volta nella sua vita, aveva trovato il coraggio di parlare anche del suo angelo: delle sensazioni che le trasmetteva e della violenza di quando era una ragazzina. Maxwell l’aveva ascoltata senza mai interromperla, era talmente concentrato da assomigliare a una di quelle statue che spesso erano poste all’ingresso dei templi buddisti. Forse gli mancava l’abito giusto, tuttavia anche solo la sua corporatura e l’espressione seria facevano un certo effetto. Ilaria adesso aveva finito e si era rifugiata in cucina per prendere dell’acqua, o magari per rimandare di un altro paio di minuti il momento in cui avrebbe sentito il suo amico darle della pazza.

Maxwell fissò il soffittò per degli istanti interminabili, assumendo un’espressione seria e socchiudendo gli occhi con fare meditabondo: negli anni aveva sentito alcuni commilitoni parlare di spiriti guida, angeli custodi o più generiche entità protettive che avevano soccorso i battaglioni in situazioni di pericolo estremo e quelle storie potevano essere paragonate con facilità alla storia che gli aveva raccontato Ilaria. Quella ragazza non era mai stata brava  a inventarsi stronzate e quando l’aveva fatto entrare le era sembrata parecchio sconvolta. Si alzò in piedi e con passi misurati raggiunse Ilaria di fianco al frigo. “C’è una birra la dentro?” Mostrò il suo miglior sorriso sornione e l’amica, per quanto ancora titubante,  gliela passò mantenendo lo sguardo basso. Il micio osservava trafficare i due umani con una cerca curiosità e quando la ragazza tirò fuori anche un piattino con del latte trotterellò miagolando felice. “Piccola, puoi smetterla di stare sulle tue: ti credo.” Quella frase inaspettata le provocò un sorriso felice e senza neanche accorgersene fu avvolta dal suo abbraccio. “In questa faccenda non sei sola, io non ho intenzione di abbandonarti e anche le tue amiche sono pronte ad aiutarti con le unghie e con i denti. Presto tuo padre starà bene.” Quando faceva così, Maxwell le sembrava un vero e proprio orso coccolone. Comunque, affondò lo stesso la faccia sul suo petto forse per la prima volta da mesi si sentì serena: aveva bisogno di un po’ di coccole gratuite.

§§§
 

 
Suriel sogghignò estasiato e, una volta uscito dal locale, si accarezzò la coda di cavallo. Non si curava dei corpi che lo circondavano e appena si fu allontanato una decina di metri, schioccò le dita. L’interno del locale fu avvolto dal fuoco e la sua espressione divenne estremamente soddisfatta. Un po’ di sana violenza riusciva sempre a fargli tornare il buon umore, le urla della cassiera l’avevano rimesso al mondo ! Allora cominciò ad annusare l’aria, come una sorta di cane da tartufo, per poi scomparire e superare in un balzo altri tre quartieri. Si sentiva in forma e pronto a porre fine a quanto riguardava quell’irritante situazione. Era in giro da secoli ma, per quanto cambiassero, le città umane erano troppo simili a dei giganteschi formicai. Mancavano completamente di gusto, tuttavia lei era vicina e lui non aveva altro tempo da perdere in immaginarie ristrutturazioni urbani. Atterrò su una Volvo distruggendone il tettuccio e, con l’atteggiamento del cacciatore, spaziò lo sguardo lungo gli immobili più vicini: Eric non si vedeva da nessuna parte, ma l’odore di quell’umana si era fatto molto più intenso. “Meglio così, senza il traditore avrò più tempo per divertirmi a sperimentare nuovi giochi.” Fece roteare sopra la sua testa due lame gemelle, poi le riprese per la punta e sulla sua faccia si disegnò un’espressione da squalo.
 

§§§

Era strano stare così, nel salotto della sua infanzia, come se niente fosse. Erano passati appena due minuti dalla telefonata dell’ospedale e non poteva certo lamentarsi: fino a quando le condizioni di suo padre restavano stazionarie potevano sperare e adesso si stava sforzando di cucinare qualcosa di buono per il pranzo. Da quando gli aveva raccontato tutto, Maxwell non aveva più accennato alla cosa, eppure aveva l’impressione che ci stesse rimuginando parecchio: lui aveva l’indole dell’uomo d’azione e certamente non vedeva l’ora di fare qualcosa. In fondo il problema era proprio quello: che diamine di piano potevano organizzare loro due da soli? Il gatto si strusciò contro di lei e davano a quelle fusa innocenti Ilaria si sforzò di scacciare tutti i cattivi pensieri. Non avrebbe affrontato tutto da sola, Max sarebbe stato al suo fianco e l’angelo sarebbe tornato presto da lei. Doveva soltanto avere fiducia. Una vocina interiore le ricordo anche di Orsi, tuttavia la scacciò con una punta di irritazione: se una volta che lo avesse chiamato avesse scoperto che era morto, era convinta che non sarebbe riuscita a reggere la notizia. Lui era suo amico e non voleva che gli accadesse niente di male; Orsi doveva stare bene !

 Accadde tutto all’improvviso: un attimo prima la porta d’ingresso era chiusa e solida, mentre l’attimo successivo era spezzata in due, divelta come se fosse stata di carta. Maxwell si mise subito accanto a lei, con i pugni alzati e uno sguardo agguerrito. Era l’immagine vivente di un soldato pronto alla lotta; tuttavia l’uomo che oltrepassò la soglia aveva un cipiglio così arrogante e malvagio che Ilaria sentì le gambe tremare. Come poteva affrontarlo un semplice umano? “Chi sei? Vattene altrimenti ti romperò il culo.” Il suo tono da duro super collaudato, in grado di terrorizzare i commilitoni e far scappare i cialtroni che rompevano al locale, provocò appena un sorriso di scherno sul volto del nuovo arrivato. “Quindi ha lasciato un cane da guardia?” Il suo atteggiamento trasudava sarcasmo, eppure ancora non aveva fatto un passo verso Ilaria. “Fuffy, vuoi sul serio che ti strappi il cuore o vai a farti una passeggiatina? A me interessa solo la tua padroncina.” Rise, inclinandosi un po’ in avanti, come se stesse rivolgendosi a un cane, ma l’occhiata che lanciò ad Ilaria esprimeva solamente attesa e cattiveria. Quell’uomo non vedeva l’ora di farle sperimentare cosa fosse il vero dolore.

Max non attese oltre, tenne la guardia alta e gli si scagliò contro. Ilaria era come congelata dallo spettacolo che si svolgeva davanti ai suoi occhi: sapeva che Max era stato un militare e sia la sua agilità che la sua forza erano ancora notevoli, tuttavia lo sconosciuto riusciva ad evitare pugni e calci con movimenti tanto perfetti da dare l’impressione che stesse giocando con un bambino. In più, si confrontavano già da alcuni minuti e quella creatura non aveva nemmeno una goccia di sudore o un segno di stanchezza a solcargli il volto. Al contrario, Maxwell cominciava ad essere a corto di fiato. “Mi piace questo tipo di ballo, sai cagnolino?” Rise denigrandolo e in un attimo fu alle sue spalle. “Devi lasciare che t’insegni qualche passo nuovo, altrimenti potresti annoiare troppo i tuoi futuri padroni !” Lo colpì al ginocchio e nel momento in cui si piegò, gemendo per il dolore, lo afferrò per la vita e lo lanciò addosso a una poltrona. Il micio soffiava, pronto a unirsi alla lotta, ma lei lo teneva stretto cercando di farsi sempre più piccola: da soli non avevano speranze.

§§§

 Luke si fermò davanti al Megastore, faceva sempre più fatica a respirare ma non poteva fermarsi. Soffocò una risata, pensando a quanto gli erano sempre piaciuti i film di spionaggio: il cinema non si soffermava molto sulle difficoltà che si potevano incontrare nel cercare di seminare qualcuno. Dopo un po’ entrò tenendo le mani in tasca e sforzandosi di nascondersi dietro un sorriso artefatto. I clienti erano tranquilli, rilassati e concentrati su i loro acquisti. Erano ignari di quanto stesse succedendo e, per quanto fosse in mezzo a loro, Luke ebbe l’impressione di trovarsi in un deserto assolato. Come se non bastassero le sue condizioni, erano ormai un paio d’ore che la sensazione di avere addosso gli occhi di qualcuno era tornata. Questo era un problema, un grosso problema: gli altri pennuti si erano accorti della fuga di Eric. Non ne aveva la certezza, ma l’idea che volessero indagare anche su di lui non era affatto da scartare. Forse avrebbe dovuto comportarsi in modo più discreto, ma almeno aveva avuto il tempo di consegnare alle ragazze i bracciali. E lui avrebbe consegnato a Ilaria la sua lettera. La situazione era brutta, più brutta di quanto avesse mai provato a prevedere, eppure una risata sincera gli proruppe dal cuore: era un peccato non poter assistere; quando i responsabili del dipartimento si fossero accorti del furto della tavoletta e dei bracciali, le loro facce sarebbero state sul serio impagabili

Aveva preso tutti e tre i manufatti dall’ultima consegna e aveva addirittura portato via le pagine dell’archivio relative alla loro spedizione. Non aveva avuto il tempo o l’abilità per crearne delle copie e sapeva che rubare era sbagliato, ma aveva dovuto arrangiarsi per proteggere adeguatamente Emily e Lily. Luke Orsi non era altro che un dilettante vagamente talentuoso e, per quanto avesse fatto del suo meglio, presto non sarebbe stato più niente.

 

§§§

Il corpo di Suriel risplendeva di luce propria, una luce fredda e feroce, quel cagnolino lo stava facendo divertire molto più delle sue solite prede: prediligeva le femmine, ma il più delle volte loro si limitavano a piangere e urlare. Al contrario, l’umano stava addirittura ignorando il rumore delle sue stesse ossa che si frantumavano. Sembrava convinto di potergli resistere, ridicolo. Quelle scimmie senza peli erano irrimediabilmente stupide, eppure potevano rivelarsi dei passatempi interessanti. “Basta, basta.” Un sussurro, una preghiera disperata. La stessa Ilaria faticava a riconoscere la propria voce, quando poi vide la creatura tirar fuori un coltello si sentì morire: Maxwell zoppicava e non avrebbe potuto evitare l’affondo. Il suo amico sarebbe morto per lei. “Noooo!” Alzò la mano destra verso l’assalitore e lo vide piegarsi su se stesso, allontanandosi poi di almeno due metri da Maxwell. Quando poi l’amico aprì gli occhi tutto fu avvolto da un candore accecante.

 §§§

 Orsi aveva atteso fino all’ora di chiusura, riposando e cercando di non dare nell’occhio, ma alla fine era tornato in strada. Debole e indifeso davanti all’oscurità. Ci volle poco meno di mezz’ora perché fosse di nuovo individuato e allora la sua ombra cominciò a cambiare, allungandosi alle sue spalle e mostrando le sagome di un paio d’ali spalancate. All’improvviso si scatenò un vento intenso, dei mulinelli d’aria si diffusero lungo la via e Luke fu sollevato fino a inchiodarsi contro dei cassonetti. Per un terribile momento non riuscì a respirare, alla fine gemette e senza smettere di sputare sangue cercò di rimettersi in piedi. Una risata si diffuse nel vicolo e l’ombra tornò a grandezza umana, fino a condensarsi in un ragazzetto brufoloso e con capello arruffati color carota. Teneva la testa inclinata e studiava Luke come se fosse una bestia rara. “Umano, sei curiosamente sfuggente. C’è stato persino un momento in cui la tua aura è sparita nel nulla; avevo pensato che i miei ti avessero ucciso. Non immaginavo che aveste imparato dei trucchi tanto interessanti.” Luke continuò a fissarlo in silenzio, mentre con gesti misurati si sforzava di rimettersi in piedi. “In ogni caso, ti assicuro che ci divertiremo molto. Vediamo se sarai ancora capace di scomparire.” Nel suo sguardo Luke vedeva solo un nero senza fine, tuttavia si fece forza e riuscì a non tremare. Dagli sproloqui di quell’essere aveva intuito che i bracciali funzionavano anche senza particolari attivazioni, se lo avevano ritrovato solo dopo che aveva consegnato entrambi i manufatti a Lily. “Direi che la descrizione calza a pennello: un pennuto basso come un adolescente, con un volto che ha urgente bisogno di antiacne e una modo di parlare saccente al limite del logorroico.  Sihel, giusto?” Non era nella posizione di fare ironia, ma non aveva mai sopportato le persone con un atteggiamento così sprezzante. La sua boccaccia lo aveva messo spesso nei guai, tuttavia non era proprio riuscito a trattenersi.
 

§§§§

Eccomi qua, in una nottata pseudo estiva in cui il mio organismo si sta sforzando di non fondere... Ho fatto attendere un po' ma spero che il capitolo colpisca al punto giusto *_^
Ringrazio Esquire, Hika E isa1983 per le recensioni e l'interesse, confidando che verso l'autunno anche un Uccellino fara la sua riapparizione !
Alla proxima !
 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** La fine di un essere umano vagamente talentuoso ***


La luce calò d’intensità, fino a dissolversi nel nulla, Ilaria sbatté le palpebre e allora fissò con timore crescente la propria mano destra. Lo aveva fatto lei? Come? E soprattutto cosa aveva appena fatto ? Non lo sapeva né lo capiva, tuttavia non ebbe il tempo materiale per rimuginarci troppo: il loro assalitore era ancora in piedi, nascosto dietro un paio d’ali grigio fumo. Quando poi Suriel dischiuse le ali, lei era riuscita a malapena a venire a patti con l’essere perseguitata da un angelo. Quest’ultimo ora era scarmigliato, ringhiante e con diverse ferite fresche lungo il corpo muscoloso. Ilaria non riusciva a muoversi dalla paura e allo scatto di lui fu colta di sorpresa dalle mosse inaspettate del gatto, che le saltò in grembo e con gli artigli in bella mostra si frappose fra lei e l’angelo. Suriel lo considerò appena, forse con una divertita perplessità, e dopo un momento lo allontanò con un calcio indispettito. “Scimmia, non riesci a muoverti ? Già finito il tuo coraggio?” Ilaria sentì gelare il sangue nelle vene, era a un palmo da lei e quando il riflesso di un pugnale tagliò l’aria per raggiungere la sua giugulare chiuse gli occhi con una sola certezza. Sarebbe morta e non avrebbe mai più visto le persone che amava. 

Trascorsero i secondi e il suono di un pallido applauso fu il primo inaspettato segno di vita che raggiunse le orecchie della ragazza. Ilaria si fece coraggio e aprì gli occhi, trovandosi a fissare un paio di jeans logori, una schiena snella sormontata da un paio di ali nere e dei corti capelli scuri. “Ed io che pensavo di dover salvare una fanciulla in pericolo, trovi sempre il modo per sorprendermi.” Si era voltato verso di lei e le aveva fatto l’occhiolino così, anche se per pochi secondi, la ragazza era riuscita a vederlo in faccia. La forma del suo viso le era rimasta in presso, anche se erano i suoi occhi color del mare in tempesta ad averla colpita di più. Aveva sognato il suo sguardo dalla notte dell’aggressione e in quel momento le era addirittura sembrato che riflettessero pagliuzze dorate. L’emozione era tale che riusciva soltanto a respirare: lui era l’angelo, il suo angelo. L’avvolse una sensazione di calore e per la prima volta dall’entrata in scena di Suriel non ebbe più paura. L’angelo era con lei, quindi sia lei che Maxwell sarebbero sopravvissuti, ne era certa.

“Ecco l’ospite d’onore. Non sei stanco di insozzarti con questi senza ali?” Sogghignava con atteggiamento tronfio e tra le sue mani il coltello si trasformò in una daga purpurea. Accorciò le distanze con un movimento sovrumano e tempestò Eric di affondi. Lui però non si lasciò sorprendere: scansò i colpi con la grazia di un ballerino, scartò con un movimento laterale e gli afferrò il polso, per poi storcerglielo dietro la schiena.
Solo al tintinnio della daga che cadeva a sul pavimento si permise un piccolo sorriso di compiacimento: “Non riesco a capacitarmi di come abbiano fatto a  scegliere un sadico del tuo stampo, Sihel pensa sul serio che tu sia in grado di sostituirmi ?” Suriel ringhiò e lui aumentò la pressione sul braccio. “O forse gli Anziani sono troppo concentrati nei loro giochi politici per starmi dietro?” Suriel ansimava, era una tigre in gabbia, tuttavia trovò la forza per contrastare la presa di Eric e non si fermò neanche al suono del proprio braccio che si spezzava. “Io sono sempre stato migliore di te ! Dopo che avrò preso la tua testa nessuno oserà più dubitarne!” Il suo volto era deformato dalla rabbia, ma Eric non si curò di rispondergli: la daga caduta a terra era rimasta tra loro e nel riflesso della sua lama scorse tre, quattro, cinque stiletti affilati che fluttuavano alle sue spalle. Nonostante i discorsi altisonanti Suriel non sarebbe mai cambiato. “Io non voglio il tuo sangue, puoi ancora tornare indietro.” Per tutta risposta l’angelo gli sorrise in modo sprezzante e fece partire gli stiletti, Eric riuscì ad evitarli con un semplice spostamento laterale ed era ancora di spalle quando sentì il rumore prodotto dalle lame mentre affondavano nel petto del loro padrone. Odiava spengere le vite dei suoi fratelli, anche se si trattava di sadici bastardi quanto Suriel. Ilaria era sgomenta, mentre si spostava verso Maxwell era appena riuscita a raccattare da terra il micio e adesso che lo teneva tra le braccia poteva sentire che muoveva la coda impercettibilmente. Per fortuna Maxwell sembrava essere ridotto meglio, per quanto dalla sua espressione allibita era chiaro che dubitasse di essere ancora sveglio. Per dargliene la prova, appena gli fu accanto, Ilaria gli dette un grosso pizzicotto su una natica. Davanti al sogghigno che ricevette in risposta si ripeté ancora una volta che sarebbe andato tutto bene.

“Posso aver accumulato meno esperienza della maggior parte di noi, in fondo a una spada non servono altro che bersagli, tuttavia io sto cambiando. Sono cambiato. Non riuscirete a fermarmi.” Eric era sprezzante, ma soprattutto arrabbiato: si era lasciato trasportare dai sentimenti, ancora una volta ! Quando si trattava di quella ragazza perdeva completamente il controllo ! Suriel si accasciò sul pavimento e fu investito da una gabbia di fulmini azzurri, poi scomparve come se non fosse mai esistito. “Diciamo che i pochi dubbi che potevo avere sono più che dissipati: amica mia, hai agganci davvero importanti con le alte sfere !” Il tono di Maxwell produsse in Ilaria una risata nervosa e lei gli dette una leggera pacca sulla spalla, sperando che la smettesse di blaterale. Nello stesso momento, Eric si volse verso di loro con un’espressione stanca e cominciò ad avvicinarsi con una lenta camminata.

§§§

Il corpo di Orsi fu percorso dall’ennesima ondata di sofferenza e quando provò a rimettersi in piedi, Sihel gli dette un poderoso calcio al ventre, facendogli fare un volo di quasi tre metri. “Sai, per quanto apprezzi quel vostro popolare sport, inizi a stancarmi.” Quella creatura gongolava e si stava godendo ogni istante, Orsi suppose stesse parlando del football e all’idea di essere paragonato a una palla sulla sua bocca si disegnò un sorriso. “Sei solo una scimmia senza peli, eppure hai neutralizzato il mio migliore persuasore e hai osato interferire anche con i piani di Simon. Come hai fatto ? Che trucco hai usato ?” Gli si era avvicinato e lo stringeva per il collo, spingendolo contro un muro del vicolo. “Preferisci forse continuare? Alla fine parlerai, non esiste altra possibilità: devi solo decidere quanto vuoi soffrire. Tutti parlano.” Da quel petulante pel di carota trasparivano freddezza e calcolo, in qualche modo Orsi era abbastanza certo che la sua esperienza in fatto di torture andasse ben oltre il piano teorico. Il pennuto che aveva abbrustolito nel salotto gli aveva parlato di tutti loro, classificando Sihel come lo stratega degli Anziani, ma il suo comportamento gli sembrava tutt’altro che stabile: reagiva come un bambino che non voleva ammettere di aver torto, ma aveva la forza per radere al suolo ben più di una città. Era una combinazione pericolosamente esplosiva. I colpi di tosse lo colsero all’improvviso, però Sihel ignorò le gocce di sangue che sputava e non smise di fissarlo. Aveva serrato ulteriormente la presa, forse era sul serio uno dei migliori cervelloni a disposizione dei pennuti, comunque a Orsi sembrava troppo fissato con la questione dell’aver o meno le ali e delle scimmie senza peli (razzista), orgoglioso e supponente. Lo sottovalutava, come l’altro che aveva cercato di ricattarlo nella sua stessa casa e lui era abituato a sfruttare questo modo di pensare.
Aveva smesso di attaccarlo ed era tanto concentrato nello studiare le sue reazioni che Orsi fu certo di potergli fare una sorpresa: radunò le sue ultime energie, ignorando i deliri di onnipotenza dell’altro e si strappo quel che restava della sua camicia preferita. Davanti al suo petto straziato, su cui aveva personalmente inciso l’ultimo sigillo cuneiforme, Sihel parve scosso da un brivido premonitore: lo lasciò subito andare  e spalancate le ali vermiglie fece per allontanarsi. Orsi cadde al suolo, producendo un tonfo atono, era sfinito e con un movimento disperato accostò il palmo insanguinato al petto. Il contatto agì come la chiave di accensione di un’automobile e nel tempo di un respiro furono entrambi inghiottiti da un arcano bagliore: il sangue dell’umano si accese, quasi avesse vita propria, collegandosi in tutto il vicolo con sottili filamenti vermigli. Una gabbia ottagonale apparve dal nulla e si chiuse intorno a loro con un inquietante rumore metallico. Sihel ringhiava, sbatteva le ali in modo frenetico e il suo volto d’adolescente era devastato dalla furia. “Non è possibile ! Sei solo umano, non dovresti essere in grado di creare una gabbia… Le indicazioni per tradurli nel modo corretto dovevano essersi perse nel tempo !” Orsi si sentì particolarmente orgoglioso: era sempre stato bravo con le lingue, però le considerazioni di quel cosiddetto anziano classificavano la sua abilità a un livello bizzarramente leggendario. “Non c’è niente che non possa essere scoperto di nuovo, basta un pizzico di passione e altrettanta testardaggine.” Dopo ci fu soltanto silenzio. Nella vicolo tornò la penombra naturale e le macchie di sangue secco rimasero le sole testimonianze sulla lotta appena svolta.

 §§§

 I volti di Ilaria e del suo amico erano colmi di meraviglia, rappresentavano un’immagine buffa, ma Eric fu estremamente felice per lei: trovare amici disposti ad affrontare qualcuno come Suriel non era cosa facile. Eric si chinò ad accarezzarle una guancia, era calda e il tocco umido delle sue lacrime gli rubò un ansito. “Mi dispiace averti spaventato, però adesso è tutto finito.” Si sforzava di mantenere un tono rassicurante e dopo uno sguardo alle loro condizioni posò la mano destra sul gatto e la sinistra sull’uomo. “Sei sorprendente.” Ilaria arrossì, abbassando lo sguardo, e un calore azzurro avvolse i corpi di Maxwell e del micio: le loro ferite si chiusero senza lasciare la più piccola cicatrice e il miagolio perplesso che accarezzò le orecchie della ragazza fu la testimonianza della buona salute del felino. “Porco cane! Questa si che è bella !” L’imprecazione di Maxwell le fece tirare un sospiro di sollievo. “Come hai...” Quando Eric le passò l’indice sulle labbra, in un gesto inaspettato quanto intimo, la timida domanda le morì sul nascere. Forse erano le troppe emozioni, o magari l’adrenalina, tuttavia a quel contatto Ilaria percepì il battito del proprio cuore accelerare come un treno. “Noi per natura siamo guaritori, può darsi che tu abbia incontrato qualcuno della mia razza nel periodo in cui hai conosciuto gli orrori delle vostre guerre.” Aveva allontanato la mano dal volto di lei e, prima che Maxwell gli rispondesse, si alzò in piedi. “Ti ringrazio per averla protetta, senza di te non sarei mai arrivato in tempo.” Max gli fece un impacciato saluto e un sorriso sghembo. “Dovere, amico.” Per Ilaria il cameratismo maschile restava uno dei misteri dell’universo: sembrava capace di superare ogni genere di barriera. “Prendete il primo treno e tornate a casa. Penserò io a tuo padre e cercherò anche di rimettere a posto la casa della tua infanzia.” “Io non…” “Al momento giusto risponderò a ogni domanda, ora vai. Ti prego.” Lei si morse il labbro inferiore, soffocando una replica tagliente, si chinò per afferrare il micio e quando alzò la testa, il suo angelo senza nome non c’era più.

 §§§

Ilaria si mosse come in sogno. Perfino il tanfo della stazione ora le sembrava un rilassante olezzo di gelsomino: già questo era un sintomo chiaro di quanto l’avesse colpita l’incontro con l’angelo. Max lo capiva, nonostante fosse lui stesso sotto shock, e la conduceva lungo i marciapiedi evitando che andasse a sbattere contro qualcosa. Il cellulare squillò all’improvviso, riportando Ilaria alla realtà, e riconoscendo la voce dall’altro capo temette di svenire. Maxwell le rivolse un’occhiata obliqua tuttavia, nel sentirla parlare, la sua espressione divenne improvvisamente dolce. “Papà?” Era incredula e sentì gli occhi farsi umidi. “Sono io, adesso sono sveglio e sto bene, non devi preoccuparti. Parti tranquilla e concentrati sullo studio. Scusami se negli ultimi tempi non ti sono stato molto vicino. Ti voglio bene, quando avrai bisogno ci sarò sempre.” Lei allontanò il cellulare nascondendo un gemito, lo salutò e, con il cuore infinitamente più leggero, raggiunse Maxwell in fondo alla carrozza del treno.

Frank attaccò e si mise in grembo il cellulare, per poi tornare a fissare il giovane che aspettava dall’altro lato della camera. Svegliandosi aveva riconosciuto l’odore asettico d’ospedale e le macchine cui era attaccato esplicavano con chiarezza quanto le sue condizioni fossero gravi. Nonostante ciò, si sentiva bene. Si mise a sedere con un piccolo sforzo, era confuso così fu Eric a rompere gli indugi. “Frank, vedo che ti ricordi di me. Eri molto giovane quando m’intrattenevo con Mary, mi dispiace per tua…” “Ho sempre pensato che fossi una sorta di lontano parente, un cugino di terzo o quarto grado. È passato oltre un decennio, però tu non sembri invecchiato di un giorno.” La meraviglia che leggeva nel suo sguardo gli provocò una certa tenerezza: quell’uomo aveva perso la compagna dopo pochi anni ed era appena uscito da un inferno in cui non si era neanche accorto di essersi infilato. “Non ho potuto aiutare Mary, ho fallito per la seconda volta, però non permetterò che a Ilaria accada qualcosa di male.” Per enfatizzare l’affermazione spalancò le ali nere e le sbatté per un paio di volte. “Niente è per me più importante di lei, la proteggerò.” Frank annuì senza riuscire a parlare e, nel tempo di un battito di ciglia, tornò ad essere il solo occupante della stanza. “Un angelo, la morfina non può essere tanto forte da provocarmi allucinazioni.” Si passò un panno sulla fronte e sorrise. “Era l’angelo che Ilaria insisteva di aver visto. La mia bambina.” Pianse, commosso, e all’arrivo dell’infermiera si trovò al centro del putiferio emotivo dei medici di turno: a quanto pareva, sul suo risveglio non avevano puntato in molti.
 

§§§
L'estate è a fine e visto che ho un minimo di problemi internettiani, e per una volta sono riuscito a entrare, ho pensato che di lasciare un ricordino :-p Chissà se con l'autunno riappariranno anche i lettori dispersi ! Buona giornata a tutti ! (come al solito sono sempre ben accette e attese, critiche, domande risposte e quant'altro, solo così posso provare almeno un pelino a migliorarem bo ? bye bye

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** CAmbiamenti ***


Castar seguì la corrente ascensionale e planò sul tetto del palazzo, rimanendo in attesa per qualche minuto: era teso quanto una corda di violino, ma rimandare non avrebbe certo migliorato la situazione. Si fece coraggio e piegato il ginocchio portò il palmo sinistro a contatto con le tegole. Mosse l’indice con la maestria di un pittore e in poco più di tre minuti completò quattro segni diversi. “Castar vi chiede udienza.” Non ricevette subito risposta, tuttavia dopo alcuni minuti percepì la presenza dei quattro Anziani che si solidificava davanti a lui: ombre apparentemente innocue, ricolme di un potere antico quanto devastante.

“Castar, sono felice che tu abbia riflettuto sul tuo comportamento.” La voce di Anyel trasmetteva sempre una sensazione di protezione mista a timore. “L’amicizia è una gran cosa, però non si deve mai dimenticare a chi si deve la propria lealtà.” Con il suo filosofeggiare distaccato Riel era inconfondibile. “Se chi perde la strada non è più recuperabile, il nostro dovere ci impone di eliminarlo. Le sue azioni non devono intaccare il ricordo della persona che era prima.” Pratico e secco, Meiel preferiva sempre i fatti alle parole. “In cosa possiamo aiutarti, fratello ritornato all’ovile?” L’ultima voce era intrisa d’ambiguità, Caiel non si smentiva mai. Lui inghiottì a vuoto e dopo un ultimo istante di silenzio si fece coraggio. “Sono giunto al vostro cospetto per comunicare notizie infauste, per quanto io stesso stenti a crederci l’energia del sommo Sihel è scomparsa. Ho provato a cercarlo, ma senza successo.” Per risposta ricevette soltanto silenzio, così andò avanti. “Purtroppo sono riuscito soltanto a scoprire che aveva intenzione di corrompere un umano per togliere la ragazza. Anche quell’umano sembra sparito nel nulla.” “Lo avrebbe eliminato un essere umano? Pensi che una di quelle scimmie sia sul serio in grado di uccidere uno della nostra razza?” Meiel sbuffò sarcastico, loro erano superiori e non era concepibile che degli insetti potessero ostacolarli con successo. “Anch’io dubito che sia possibile, ma non ho risposte.” “Non ne hai bisogno: se è in grado tornerà, altrimenti possiamo sempre eleggere un altro quinto.” Anyel non faceva trapelare la più piccola emozione, eppure il suo messaggio era chiaro, cristallino: nessuno è insostituibile. “Ho paura di osare, capisco quanto la situazione sia tesa, ma vorrei chiedervi il permesso di occuparmi personalmente di Eric. Desidero testare il suo potere, può esserci sempre lui dietro la sparizione del sommo Sihel. È pur sempre una possibilità.” Le ombre si consultarono tra loro e scomparvero una dopo l’altra, in breve sul tetto rimasero soltanto Castar e l’ultima delle ombre. “Sei una fonte continua di sorprese, Castar, hai il nostro permesso.” Anyel era divertito dalla situazione e dopo un attimo raggiunse gli altri Anziani. Castar si permise di respirare in maniera tranquilla e scese in strada: i quattro avevano preso fin troppo bene la scomparsa di Sihel e adesso la mossa successiva spettava a lui.

 §§§

 Aveva lasciato l’ospedale in cui era ricoverato Frank da poco più di un’ora, inizialmente credeva che quelle sensazioni gli fossero provocate dal luogo, eppure l’inquietudine non accennava ad abbandonarlo: aveva rilevato la sua natura a degli esseri umani, aveva infranto uno dei più alti tabù della sua gente, ma non poteva dare per scontato che avrebbe portato soltanto conseguenze negative. Frank era una brava persona che si era trovato per caso in mezzo ai loro scontri e aveva perso la moglie, rischiando che anche sua figlia lasciasse questo mondo. Meritava di ricevere una spiegazione, per quanto la sua fosse stata piuttosto parziale. Quel Maxwell, poi, gli era sembrato una persona affidabile.
Poteva tornare in città in pochi secondi, eppure provava un bisogno lancinante di volare. Sentire la brezza accarezzargli la pelle gli trasmetteva un misto di libertà e leggerezza, per non parlare di come quel contatto l’aiutasse a riflettere in modo più lucido. E dopo gli eventi degli ultimi giorni aveva molte cose su cui farlo.

 §§§

 Il rollio del treno ricordava leggermente il modo con cui una madre cullava amorevolmente i propri bambini, per questo Maxwell non si meravigliò più di tanto nello scoprire che Ilaria aveva ceduto al sonno dopo appena dieci minuti di viaggio. Teneva la testa sulla sua spalla e le ispirava un’infinita tenerezza. La sua amica era stata spinta in mezzo a un casino soprannaturale, fin da adolescente, e soltanto negli ultimi giorni aveva avuto modo di rendersene conto sul serio. Come se ciò non bastasse, la morte di sua nonna, l’incendio della casa di cura e  il rischio di perdere anche l’ultimo genitore rimastole erano stati una bella batosta da metabolizzare. Lui stesso era agitato quanto uno scolaretto e aveva assistito soltanto allo scontro tra quei due esseri alati. Almeno nessuno di loro era crollato in preda a una crisi isterica, altrimenti sai che tormentoni ne sarebbero venuti fuori ! Le labbra di Maxwell si distesero in un sorriso, lui chiuse gli occhi e si abbandonò al ritmo ipnotico del vagone.

 §§§

 Emily studiò per l’ennesima volta il tabellone degli arrivi, sbuffò incrociando le braccia al petto e con quel movimento liberò il bracciale di Luke dalla manica lunga. Lily era al suo fianco, aveva appena messo il burro di cacao e stirandosi come una pantera annoiata teneva le braccia levate verso il cielo. Aveva temuto di arrivare tardi, ma alla fine erano in anticipo di una buona mezz’ora e li si sentiva in balia di una noia mortale. Emily era una sua ottima amica, era innegabile, però a suo dire a volte era anche troppo seria e inquadrata. Non vedeva l’ora di riabbracciare l’Ila, così da riferirle tutte le voci e i succosi pettegolezzi che si era persa su Luke e gli altri. “Vedrai che ora arriva.” Emily riusciva a sentire l’irrequietezza della compagna e doveva ammettere che lei stessa era un poco agitata: Ilaria era sparita all’improvviso, a causa di problemi familiari, e non si era fatta viva se non per comunicare il momento del rientro. Non sapeva se alla fine era riuscita a sistemare la situazione e, per quanto si sforzasse, non riusciva a impedirsi di essere preoccupata. – IN ARRIVO SUL BINARIO TRE IL TRENO REGIONALE … - L’annuncio fu sufficiente a richiamarle dall’apatia, prima ancora che l’altoparlante si zittisse stavano entrambe correndo verso il binario d’arrivo.

 §§§

Ilaria riaprì gli occhi a cinque minuti dalla stazione. Dopo un iniziale momento di smarrimento, si mise in piedi e allora si accorse di aver sbavato nel sonno. Tirò fuori un fazzoletto e provò subito a pulire la giacca di Maxwell. Lui continuò a fingere di dormire, godendosi la scena, ma dopo un minuto non ce la fece più e la fermò, dandole un buffetto. “Dormito bene?” “Scusa, scusa, scusa. Non volevo rovinarti la giacca !” La sua risata la fece imbronciare, Ilaria andò a sciacquarsi la faccia e quando ritornò si avviò con Maxwell verso l’uscita. “Max bello, non mi starai diventando sentimentale?” Lui non le rispose e all’ultimo momento si scansò di lato, godendosi la scena in cui Emily e Lily la travolgevano in un abbraccio comune. Il vortice di gridolini isterici lo fece sogghignare, strinse il trio in un abbraccio da orso e adducendo come scusa il dover tener d’occhio il Blood Moon le lasciò sole. “Così ti sei fatta accompagnare da Max, eh?” Il tono provocatorio di Lily fece subito scattare lo sguardo di Emily verso il soffitto e Ilaria le abbracciò commossa: quelle due erano per lei come una seconda famiglia. “Hai passato gli ultimi giorni ad organizzarmi una lista di appuntamenti?” “Vedremo, vedremo. Devi capire che il mercato è aperto e mica posso permettermi di passarti indicazioni su ragazzi con cui avremmo un interesse comune.” Aveva assunto una sorta di tono professionale, da addetta ai cuori solitari, e in quell’istante Emily le sussurrò all’orecchio: “Ti rendi conto con chi mi hai lasciato? Mi ha proposto ogni genere di amante, addirittura il figlio del lattaio !” Erano diverse, come il giorno e la notte, ed erano le sue migliori amiche.

 §§§

 Eric era riuscito a sentire solo un sibilo sommesso e l’attimo dopo si era trovato steso sul marciapiede. I suoi pensieri l’avevano distratto, si era fatto cogliere di sorpresa, e alzando lo sguardo si trovo davanti ad una figura incappucciata. “Suppongo che non ci sia modo di parlarne, vero?” L’altro grugnì e fece apparire una spada luminosa, il tempo si fermò per un’interminabile minuto e poi lo sconosciuto investì Eric con una serie alternata di affondi e fendenti elaborati. “Non c’è male, però se speri di sopravvivere a questa guerra dovrai fare di meglio !” La sua voce era innaturalmente rauca, probabilmente contraffatta tuttavia, quando all’ennesimo incrocio di spada Eric si ritrovò con le spalle al muro, riuscì a vederlo in faccia per una breve frazione di secondo: era Castar. Stava duellando con Castar? Era una cosa ai limiti dell’inverosimile, la prova finale di come il mondo si era capovolto?
-Continua a combattere, ci stanno tenendo sotto controllo- La voce lo aveva raggiunto senza che Castar muovesse le labbra, il contatto mentale era una delle specialità del suo vecchio amico. “Perché?” “Per i traditori non esiste il perdono !” –Stiamo danzando proprio bene, potremmo presentarci al prossimo concorso di ballo. Sihel è scomparso e nei ranghi si vocifera che sia stato steso da un semplice umano, amico della tua ragazzina.-
Eric era scioccato, stava forse parlando del giovane che l’aveva liberato? Allora fu sorpreso da un pugno al ventre. “Sveglia, dobbiamo essere perfetti.” La frase era stata mormorata tra i denti e subito dopo ripresero lo scambio di colpi. Tempo una ventina di minuti e Castar saltò, facendo una capriola all’indietro, finse di cadere in malo modo e insultò Eric ancora una volta. Gli lanciò contro la lama di energia e scappò via ad ali spalancate. Eric lo fissò fino a che non scomparve, si asciugò il labbro ferito con la manica della maglia e si lasciò andare con un gemito di frustrazione.
L’amico era stato un genio a utilizzare il finto scontro per scambiarsi informazioni: il contatto mentale era un mezzo comodo e silenzioso, ma a Castar occorreva essere ad una distanza minima per eseguirlo. L’idea che Sihel fosse sparito nel nulla gli sembrava comunque strana e la storia dell’umano gli ricordava fin troppo quell’umano. Aveva detto di chiamarsi Luke e si era dimostrato sorprendente, tuttavia l’ultima volta che lo aveva visto sembrava parecchio male in arnese. Sperava sinceramente che avesse trovato il modo di cavarsela.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Risposte ***


La sveglia sul cellulare era un antipatico promemoria del suo ritardo tuttavia, prima di uscire, tornò su i suoi passi e inchiodò davanti al cassettone. La settimana in cui si era trasferita vi aveva scoperto un doppio fondo, liquidandolo come un evidente segno di paranoia del precedente proprietario, ma negli ultimi giorni lo aveva utilizzato lei stessa per nascondere la lettera insanguinata di Luke. L’amico era sparito dopo aver consegnato a Lily ed Emily due bracciali dall’aria antica e nessuno dei suoi familiari aveva idea di dove fosse finito. Due giorni prima era stata interrogata anche lei dalla polizia, ma le indagini non stavano portando a nulla. La lettera che le aveva scritto non era certo un inno all’ottimismo, mentre il sangue con cui era macchiato il foglio era tutt’altro che rassicurante, ma lei ancora non si sentiva di parlare di Luke al passato. Parlarne al passato significava accettare l’idea che fosse morto per lei e lei non riusciva neanche a pensarlo. L’ultima ad averlo visto era stata Lily, avevano preso un caffè insieme e per quanto le fosse sembrato strano sia lei che la sua famiglia non consideravano neanche lontanamente l’idea che avesse deciso di scappare, tagliando i ponti con tutti. Quando poi la polizia era andata a perquisire la casa, si era trovata davanti a uno spettacolo come minimo strano: il salotto ridotto ad un campo di battaglia e una sagoma umanoide impressa sul muro orientale del salotto stesso. Questo aveva aperto la strada alla task force sulle sette sataniche, tuttavia la stessa Yarin era intervenuta a smentire prontamente: il materiale che era identificato come probatorio in realtà serviva a Luke solo dal punto di vista didattico ma, nonostante avesse rivelato che la sua tesi si basava sullo sviluppo di riti esoterici nei corsi e ricorsi della storia, la polizia non era ancora del tutto convinta.
Ad aggravare una situazione già più che grave, dall’intervento nella casa dove era cresciuta il suo angelo non si era ancora fatto vivo. Aveva decine di domande senza risposta e la frustrazione dell’attesa unita alla preoccupazione per Luke la stavano rendendo iperattiva: fermarsi a riflettere o pensare le faceva troppo male. Scosse la testa, scacciando immagini e cattivi pensieri, poi afferrò le chiavi e corse via.

Emily fissò il cielo nuvoloso e sospirò, Ilaria era tornata da loro e fingeva che con il suo viaggio non fosse cambiato niente, tuttavia il suo ritorno alla normalità le suonava davvero troppo forzato. Neanche con lei aveva parlato di quello che era successo a sua nonna e a suo padre, dal suo ritorno nemmeno Maxwell aveva spiccicato parola e le poche volte in cui aveva provato a fargli domande lui si era limitato a farle uno sguardo triste, tipo quelli dei cuccioli abbandonati. Era un’immagine tenera, per quanto stonasse un po’ su una figura come quella di Max. Si versò il caffè e sentì l’amica correre lungo il corridoio. Uscì prima di darle il tempo di chiamarla. “Ecco un’altra mattina in fuga da domande e risposte, quanto pensi di andare avanti Ilaria?” Oltre a ciò che poteva essere successo a sua nonna e a suo padre Ilaria doveva affrontare la scomparsa di Orsi. Lily le aveva raccontato del suo interesse per l’amica e, per quanto loro non ne avessero mai parlato, poteva essere quell’occasione mancata la causa del silenzio di Ilaria. Lasciò la tazza sul mobile di cucina e stirandosi la schiena alzò le braccia al soffitto. Ci fosse voluto anche un mese, quando Ilaria avrebbe trovato la forza di parlare lei ci sarebbe stata.

 §§§

L’ingresso del Caravan le sembrava ancora surreale; erano successe così tante cose dall’ultima volta che ci aveva messo piede ma, dopo un paio di secondi di contemplazione, Ilaria si decise a varcarne la soglia. La accolse la voce nasale di un Josia urlante e facendo pochi passi oltre la soglia della libreria, riuscì a vedere l’altra cassiera che gli dava un ceffone, seguito da un calcio negli stinchi. Allora gli voltò le spalle e raggiunse l’uscita con passo parziale. “Cosa?” La ragazza la sorpasso senza risponderle e la allontanò dalla porta con una spallata. Josia era rosso come un peperone. Quando poi si rese conto che Ilaria aveva seguito tutta la scena, le ordinò bruscamente di scendere a fare l’inventario, per poi tornare dentro il proprio ufficio con una camminata impettita da gallo cedrone.

La ragazza scese i primi gradini e, approfittando di quell’attimo di solitudine, si lasciò andare con una risata liberatoria: era una cosa grandiosa ! Qualcuno gli aveva finalmente dato una lezione, ma farne le spese non turbava affatto il suo buon umore. “Certo, però quel coglione avrebbe anche potuto dare una sistemata all’impianto, invece aveva passato le ore a molestare la sua ex collega. Che porco.” Sbuffò, accantonando la dichiarazione e mettendosi al lavoro.

All’ora di pranzo era riuscita a ultimare metà del lavoro e nel frattempo Josia non era ancora uscito dal suo ufficio. Riemergendo al piano della libreria ebbe la sensazione di essere diventata una sorta di spugna mutante acchiappa polvere, starnutì e cercò di mantenere un minimo di dignità dando fondo alla sua autostima. Scosse via lo strato di grigio, almeno per una decina di volte, e tirò fuori da sotto il bancone il cartello TORNO SUBITO. Lo affisse alla porta e sedendosi alla cassa cominciò a mangiare il piccolo panino che si era portata per il pranzo. Lavorare per un tiranno lascivo le stava stretto, però senza soldi non si campava e dopo quello che avevano passato insieme era restia a chiedere a Maxwell un altro anticipo: se anche fosse stato lui stesso in cattive acque a lei non lo avrebbe mai negato.

§§§

Josia fissò il giovane con attenzione: quel ragazzo era entrato nella sua libreria con una tranquillità ai limiti del fuori luogo e da quel momento aveva preso d’assedio il suo ufficio. Poteva essere coetaneo delle ragazze che prendeva come assistenti, eppure il suo sguardo color del mare a tatti riusciva a trasmettergli antichità risalenti a un’altra epoca. Quando era diventato così impressionabile ? “Fatemi capire, volete per caso insegnarmi il mestiere? O siete qui per conto di una di quelle sciocche ragazzine?” Si zittì, facendo una pausa a effetto e dopo aver messo i piedi sulla scrivania si grattò la pancia. “Siete senza parole? Non vi aspettavate di trovarvi di fronte a un uomo della mia scaltrezza, vero?” L’altro continuava a osservarlo, a pochi sogli dalla porta dell’ufficio e con la bocca cucita. Josia aveva l’aria compiaciuta, certo di riuscire a superare l’ultima denuncia per molestie con la facilità con cui riusciva a schioccare le dita. Era accecato dalla sua ottusa superbia e perciò non si accorse di come il suo interlocutore cambiava man mano che descriveva Ilaria come un bocconcino succulento pronto per essere assaggiato. “Fatemi capire, signore, secondo voi quando una ragazza vi dice no in realtà il rifiuto rappresenta soltanto un incitamento all’essere più irruenti?” La voce di Eric era un ringhio sordo, ma Josia non lo notò e annuì con il sorriso dell’uomo di mondo che spiegava le ovvietà ad un infante che si affacciava per la prima volta alla vita.

§§§

Un trambusto improvviso la colse di sorpresa, facendole trattenere il respiro e sputacchiare l’ultimo morso del panino. Il lumacone era sempre stato un personaggio bizzarro, però quella era la prima volta che Ilaria sentiva provenire dal suo ufficio rumori da lotta greco romana. Si grattò dietro l’orecchio e con passo felpato si spinse fino ad arrivare a uno scaffale dalla porta di Josia. Che il genitore o il fidanzato di qualcuna delle ex commesse si fosse deciso a far visita a quel vecchio porco? Il semplice immaginare la scena la divertiva, figurarci assistervi, e per un pelo non fu centrata dalla porta dell’ufficio che si spalancava all’improvviso. Si nascose dietro uno scaffale e con scatti veloci ritornò alla cassa di fianco all’entrata: quella era la sola uscita, quindi se qualcuno aveva steso Josia sarebbe per forza passato da lì. 

“Ciao, disturbo forse?” Eric si era appena chiuso alle spalle la porta dell’ufficio di Josia, raggiungendola poi con un’andatura tranquilla e un sorriso disarmante sulle labbra. “Direi che possiamo fare quella conversazione, che ne pensi?” Si era fermato davanti alla cassa e Ilaria era talmente scioccata che non smetteva di fissarlo con un’espressione inebetita stampata sul volto. “Tu cosa ci fai qui?” Era un sussurro pronunciato a fatica, lui inclinò la testa con fare indulgente e le indicò l’ufficio dive aveva lasciato Josia. “Passavo di qua e mi sembrava giusto approfittarne per dare una lezione al vostro polpo da compagnia,niente di irreparabile comunque, vogliamo andare?” Le porse la mano e dopo una prima esitazione Ilaria l’afferrò: fu subito attraversata da una scossa di energia calda e dopo un istante erano entrambi scomparsi.

§§§

Riapparvero all’interno di una piscina coperta e Ilaria si staccò subito dall’angelo, un gesto quasi d’urgenza. Si sedette sulla panca alle sue spalle e quando posò nuovamente lo sguardo sul suo angelo si morse il labbro: era sul serio davanti a lei e, per Dio più lo guardava più sentiva una scintilla scalarle il cuore. “Non posso continuare a chiamarti angelo, hai un nome?” Distolse lo sguardo, in un imbarazzo a lei non consono, e strinse entrambe le mani a pugno: non era un’adolescente fragile e tendente alle crisi di nervi, tuttavia lui la intimidiva.

Eric osservava ogni suo gesto con un misto di curiosità ed affetto: “Almeno stiamo cominciando con le domande più facili: nel corso dei secoli ho usato molti nomi, ma puoi chiamarmi Eric. Ilaria, è un vero piacere conoscerti.” S’inchinò, eseguendo la caricatura di un inchino comune alle presentazioni ufficiali del secolo scorso. Suo malgrado la ragazza si lasciò sfuggire un risolino. “Sei proprio un angelo? Come quelli della Bibbia?” “Siamo vecchi quanto il tempo stesso, voi umani ci avete identificato in molti modi diversi: spiriti, demoni, djinn. E per la Bibbia diciamo che un tempo abbiamo servito il Trono, ma lui è scomparso e lo stesso hanno fatto i Primi.” Ilaria lo seguiva con attenzione, intrecciando le mani davanti a se e sforzandosi di non cedere alla tentazione di toccarlo. “Noi ci siamo sempre stati e, restando nell’ombra, abbiamo vegliato sulla storia umana.” Allora la ragazza inghiottì a vuoto, più impressionata di quanto volesse mostrare.

“Se è così, perché adesso intervenite ? Cos’è cambiato?” Domande a raffica che alla fine si trovò a soffocare con un grugnito poco femminile. Eric si sedette al suo fianco e con un gesto spontaneo le rimise un ciuffo ribelle dietro l’orecchio. “In realtà è cambiato tutto, in un certo senso, è come se i principi della mia gente si fossero ribaltati: noi viviamo a lungo, ma non siamo immortali e nelle nostre file è sempre più raro che nascano femmine.” Lei aprì bocca, ma alla fine tenne per se la domanda e lo invitò ad andare avanti. “Per questo da oltre un millennio ci accoppiamo con donne umane e molto spesso i maschi nati da tali unioni sono in grado di condividere il retaggio della nostra razza. In quel caso vengono presi e allevati insieme a noi. Al contrario, le femmine hanno sempre rappresentato un problema: nove su dieci mostrano picchi enormi di potere, tuttavia non riescono mai a imparare come gestire i loro doni e raggiunto il quarto di secolo tendono tutte a impazzire.” Si fermò. Forse parlarne aveva rievocato dei momenti angoscianti e, davanti a tali rivelazioni, Ilaria era sul serio sbalordita. Allora gli strinse la mano, un gesto istintivo per fargli forza. “I primi, gli Aartsengel, ci guidavano con giustizia e rettitudine, ma sono scomparsi e chi ha preso il potere dopo di loro ci ha trasformato in un regime odioso. Sono terrorizzati dall’idea di perdere il potere e per questo hanno deciso di estirpare anche la più infinitesimale traccia di discendenza femminile. Ho fatto tante cose orribili, non puoi neanche immaginare.”  Lei rabbrividì e, d’istinto allontanò le mani dalle sue, rimettendosi in piedi. “È questo che è accaduto alla nonna e a mia madre?” Eric non le rispose, incerto se rivelarle la verità, ma dopo un minuto incrociarono lo sguardo: le tremavano le spalle e serrava le mani con tanta forza da affondare le unghie nella carne. “Hanno ucciso mia madre e rinchiuso la nonna ! Non avevano fatto niente di male, erano soltanto se stesse … Perché con me non ci hanno provato prima?” Il vento si agitava intorno a lei, la rabbia era un perfetto catalizzatore per il potere latente, allora lui le rivolse un sorriso tirato e sospirò stancamente. “Tua madre era solo una portatrice, non aveva modo di attingere al potere, a volte capita. Hanno cercato a lungo di soggiogare tua nonna, Mary però aveva una tempra indomabile.” Ilaria era commossa, non riusciva a parlare e quando Eric si sedette le lo fece a sua volta. “E te, Ilaria, hanno provato eccome ad eliminarti.” Lei rimase in attesa di una spiegazione e all’improvviso comprese: “Sei stato tu, ti sei messo in mezzo e hai impedito che mi uccidessero. Quel giorno, quando sei apparso per difendermi, non era un caso.” Riusciva a stento a trattenersi dall’urlare, tutte quelle informazioni provocavano in lei una serie di sentimenti contrastanti e sicuramente ci avrebbe messo un po’ a capire tutto.

Sulle spalle di Eric si dischiusero un paio d’ali nere e Ilaria gli si accostò, come in trance, allungando la mano destra fino a sfiorargli l’ala destra. “Queste sono. È così morbida.” Sul volto dell’angelo apparve la vaga espressione di un pavone che faceva la ruota. “Voglio che tu possa sentirti al sicuro con me, perché la storia non è finita qui.” Ilaria si fece subito attenta e portate le mani dietro la schiena, rimase in attesa. “Con il tempo il dono dei primi si è diluito, ma quando ti hanno aggredito la situazione è cambiata. Almeno per te. Io ti ho dato il mio sangue e quindi in te la Grazia, il nostro potere, potrebbe manifestarsi in tutta la sua lucentezza.” La ragazza si morse la lingua, era una faccenda terrorizzante, ma riuscì a impedirsi d’interromperlo. “Loro non si fermeranno mai, almeno non fino a quando non avranno ucciso l’ultima discendente.” “Se è così, perché? Perché mi hai aiutato? Ti sei messo contro tutto ciò che sei !” Lui fece in passo indietro, in un certo senso colpito dalla disperazione nelle sue parole, e nella sua mente apparve il ricordo della scena in cui Castar gli poteva la stessa domanda. “Io, io…”

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Seconda parte- Primo Interludio ***


Aphia oltrepassò la soglia della capanna e con un sospiro stanco constatò come la manutenzione del tetto fosse riuscita a reggere l’appena trascorsa stagione delle piogge. Aveva finito lei stessa il lavoro, visto che suo padre era stato richiamato prima del tempo, ma se uno qualunque degli abitanti del villaggio l’avesse scoperto non ci avrebbe mai creduto: lavori del genere erano esclusivo appannaggio degli uomini, follia! Allora lasciò il secchio con l’acqua del pozzo di fianco all’ingresso, mettendosi poi a selezionare le verdure che aveva precedentemente raccolto dall’orto dietro casa. Le posò sul tavolo brunito e si mise a triturarle per preparare il pranzo. Quella sarebbe stata di certo una giornata impegnativa: oltre alle faccende di casa doveva pulire gli strumenti di riserva di suo padre e le stuoie laterali andavano riparate. Come se non bastasse doveva ovviamente occuparsi degli anziani del villaggio, quei vecchi s’impicciavano in ogni ambito della vita degli abitanti e se avessero scoperto l’ospite sotto il suo tetto non avrebbero mai smesso di fare domande. “Maledetti pettegoli, per far loro capire l’utilità di bollire la lame per evitare infezioni, ho dovuto inventare una decina di ragioni mistiche. Non saprebbero riconoscere la sensatezza neanche se gli capitasse sotto il naso.” Ultimamente tendevano a far pesare di più la loro autorità e lei aveva sempre più l’impressione che lo scontro con suo padre presto sarebbe diventato qualcosa d’inevitabile. Rese omaggio ai numi tutelari della casa, e dopo un silenzioso minuto volse lo sguardo nella direzione dello loro piccola cantina interrata. I suoi genitori l’avevano costruita per conservare erbe e medicinali, ma in tempi recenti aveva assunto uno scopo più che mai inatteso: lo aveva trovato lei stessa, sulla spiaggia, privo di sensi e con il corpo pieno di ferite. Sembrava così indifeso, ma ogni volta che gli portava da mangiare si sentiva istintivamente a disagio. Fin troppo spesso gli Dei si divertivano a spese dei mortali e la semplice possibilità la spaventava terribilmente. “Ha l’aspetto di un persiano e le cicatrici sul suo petto sono terribili, ma i lineamenti del suo viso sono troppo dolci perché sia un soldato di professione.” Era inquieta, tuttavia rimuginarci troppo non avrebbe cambiato la situazione: dopo averlo visto suo padre era stato irremovibile, lei non poteva a far altro che affidarsi al suo buon senso e alla sua esperienza come guaritore.


Nell’aprire gli occhi si rese subito conto di essere al’interno di un luogo sconosciuto: era un ambiente fresco e malamente illuminato, dalla sua posizione non riusciva a distinguere molto altro ma doveva essere in una zona vicina al mare. Almeno dall’odore salmastro che gli riempiva le narici. O forse era semplice pesce sotto sale ? In fondo non era una cosa importante. Quanto aveva dormito? Quella strana stanza sembrava una sorta di fossa scavata grezzamente, ma dove diavolo era? Faticava a mettere in ordine i propri pensieri, era confuso e per quanto ci provasse non riusciva proprio a calmarsi. L’ultima cosa che ricordava era il dolore atroce delle ferite, poi era stato circondato dalla luce e dopo quel bagliore aveva riaperto gli occhi su quel giaciglio.  Si sentiva e impotente, odiava quelle sensazioni ! Mosse il braccio destro, seguendo con le dita il percorso delle cicatrici su petto e braccia, poi sul suo volto stanco apparve un sorriso sghembo: “I lividi sono spariti e le ferite sembrano ben rimarginate, fasciate e pulite di fresco.” Doveva essere parecchio che dormiva in quella sottospecie di seminterrato, lo avevano accudito e protetto, forse poteva essere ottimista: magari chiunque lo avesse portato la sotto lo considerava un ospite e non un prigioniero. “In ogni caso, per quanto non ami lagnarmi, sarebbe carino se qualcuno mi spiegasse dove diavolo sono finito.” La stanchezza lo assalì improvvisa, forse a causa della convalescenza, e malgrado le proprie rimostranze faticava anche a restare seduto. Nel giro di qualche minuto si distese nuovamente e cedette ad un sonno ristoratore.
 

§§§

Hola ! Domande ? spero di averne suscitate tante no ? bye bye

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Nuovi Inizi ***


La luna nuova illuminava il cielo sgombro e, come gli capitava sempre più spesso, Eric si prese qualche minuto per assaporare la quiete che avvolgeva la città. Erano trascorsi un paio di mesi dalla sera in cui aveva incontrato Ilaria all’interno della piscina comunale, tuttavia lui non era ancora riuscito a trovare il coraggio di risponderle con sincerità. La cosa lo turbava e la risata che si lasciò sfuggire aveva un suono fin troppo somigliane al latrato di un randagio. Aveva passato secoli ad ubbidire ciecamente agli ordini di Sihel, uccidendo e mutilando tutti i poveri disgraziati che avevano la sfortuna d’incorrere nell’ira degli Anziani, isolando sempre più il suo vero io e imponendosi di non ascoltare le urla della propria anima. Il sogno di distruggere i Cinque era stato a lungo l’unico motore che il suo cuore riuscisse a percepire, ma da quando l’aveva incontrata il suo animo era cambiato. Era diventato più forte. Era stata una sorta di rinascita e non appena Mary se n’era accorta aveva cominciato a prenderlo in giro. Aveva agito per puro istinto, una cosa a dir poco atipica, ma nonostante il tempo trascorso non era riuscito a soffocare quella paura irrazionale: non poteva perderla, non avrebbe mai permesso che qualcuno le facesse del male. C’era un solo punto stonato nei suoi intenti. Come si poteva perdere qualcuno che nemmeno ci conosce? “Non ho riconosciuto o benché mai accettato quel primo sintomo di follia, sono stato uno sciocco. Sono arrivato a usare il mio sangue, così da sigillarle i poteri e renderla irrintracciabile dagli occhi degli altri.” Si stese sul tetto dell’edificio, aveva un’espressione malinconica e incrociate le braccia al petto iniziò a fissare le stelle. “Castar, se potessi vedermi in questo momento passeresti almeno due stagioni a riempirmi di scappellotti e senza mai smettere di ridere. Con lei non riesco a mantenere il sangue freddo e se anche portasse alla mia fine, non riuscirei mai ad accettare l’idea di perderla.”  Disegnò nell’aria una serie di caratteri cuneiformi e non appena questi cominciarono a illuminarsi li cancellò. “Legarsi fino a questo punto con una mortale è follia, non posso. Quella notte ho fatto bene a non raccontarle nulla, non posso tornare indietro, la verità complicherebbe soltanto la situazione. La sua mente tornò al momento in cui Ilaria aveva accettato di partire con lui, quella ragazza aveva lasciato gli amici e la sicurezza della sua casa senza chiedergli nessun genere di garanzie e adesso come allora quella fiducia gli riempì il cuore di calore. Quelle emozioni erano piacevoli, ma anche potenzialmente pericolose. Non poteva permettersele, lo mandavano in confusione, tuttavia non era neanche in grado di domarle.

Ilaria credeva di essere ormai abituata alla nuova casa, tuttavia il senso dell’orientamento l’aveva tradita ancora una volta: invece di arrivare alla cucina si trovava davanti allo stanzino. “Perfetto.” Sbuffò irritata e imboccata la giusta direzione si scoprì a fissare la propria immagine nello specchio appeso al corridoio: capelli corti rosso vivo, arruffati, occhi che per quanto stanchi sembravano non mantenere un colore fisso per più di qualche secondo e la pelle abbronzata dal sole. Le labbra piene si curvarono in un sorriso spontaneo, sinceramente soddisfatto: stentava a riconoscersi, soprattutto con quella maglia informe che aveva riadattato come pigiama dopo l’epocale catastrofe del bucato. Separarsi da Maxwell e le ragazze era stato doloroso, comunque non rimpiangeva la sua scelta: oltre al controllo sul potere (come lo chiamava Eric), c’era in ballo proprio il comportamento del pennuto in questione. Lui agiva come un perfetto insegnante, attento a non creare equivoci, e il solo pensarci rischiava di farle davvero perdere la testa. Doveva rassegnarsi, provava qualcosa per il suo angelo e nessun tipo di sforzo fisico le avrebbe permesso di cancellare quei sentimenti. Proseguì per la cucina, dove si preparò una tisana. “Sono una sciocca.” Portò lo sguardo alla finestra e dopo un profondo sospiro ritornò alla sua camera.

§§§

Iris si era buttata sul letto da almeno un paio d’ore e il sonno non era ancora stato abbastanza cortese da farle visita. Aveva l’impressione di essere una bambola di pezza abbandonata all’angolo della strada e l’aver sperato che sarebbe stato diverso la faceva sentire un stupida. Da anni la notte per lei rappresentava il momento peggiore, perché le cose avrebbero dovuto all’improvviso migliorare? Era come se le stelle e la luna non fossero sufficienti per tenere lontani gli incubi, o anche più semplicemente i cattivi pensieri. Si mise a sedere sul letto e accesa la luce cercò d’ignorare gli occhi gialli del gufo che la fissava dalla finestra. La camera le era ancora in parte estranea, ma era comunque in grado di scorgervi le buone intenzioni degli Anderson. Indossava solamente un paio di mutandine  e una larga maglietta con il disegno di Hello Spank sul petto, con quel caldo qualunque altra cosa sarebbe stata una tortura. Sfiorò con le dita la scrivania in disordine, passando poi all’armadio di legno chiaro, alla cassapanca dipinta di fiori e infine a un piccolo quaderno pieno di macchie e strappi. Era stata accolta in quella casa da meno di due settimane e loro si erano dimostrati più che gentili, nonostante questo non poteva fare a meno di pensare che quel quaderno era l’unica cosa realmente sua in quella stanza. Aveva così tanta paura di perderlo che lo nascondeva alla stregua di un tesoro, mimetizzandolo con gli altri libri presenti nelle mensole. Lo strinse al petto e la investì un odore improvviso di muffa e cenere. Una lacrima fugace le solcò il volto e lei stessa fu scossa da un tremore improvviso. Non le credevano mai. I servizi sociali, fino a prova contraria avrebbero dovuto tutelare i suoi diritti, si erano a malapena scomodati procurandole una serie di sedute psichiatriche con annessi medicinali per i fuori di testa. Ricordava poco di quei giorni, ma l’esperienza le aveva insegnato che se anche persone come gli Anderson si dimostravano splendide non poteva permettersi di osare.
Se avesse raccontato loro quello che era successo nel migliore dei casi l’avrebbero presa come una crisi adolescenziale, altrimenti l’avrebbero cacciata ed etichettata come una matta da camicia di forza. Nascose il quaderno, poi inghiottì a vuoto e tornò sotto le coperte, si mise di fianco e rimase a fissare la porta della camera. “Sono passati tre anni, gli strizzacervelli continuano a dire che avrei dovuto superarlo, meta-metabolizzarlo, come dicono loro; come posso farlo se vogliono convincermi che i miei ricordi di quel giorni non sono reali?” Gemette frustrata, chiuse gli occhi e dopo mezzo minuto si girò dall’altra parte, così da guardare il piccolo specchio a fianco dell’armadio. Non mise a fuoco subito, ma dopo qualche minuto si rese conto che il suo riflesso le sembrava la parodia della bambina che era stata e di quello che aveva perduto. Di cosa si meravigliava ? Negli ultimi anni la sua vita non era stata proprio la parodia di una vita normale? Quella maledetta notte qualcosa le aveva strappato tutto e nonostante il tempo lei faticava ancora a ritrovare tutti i pezzi. Cosa mai le faceva sperare che con gli Anderson sarebbe stato diverso? Forse i mostri non l’avrebbero di nuovo raggiunta? Oppure gli adulti avrebbero miracolosamente cominciato ad ascoltarla, smettendo di mandarla da dei signori talmente incartapecoriti da cercare un significato addirittura dietro un culo? Non voleva che continuasse così, sarebbe stata una tortura, e tuttavia non desiderava neanche restare da sola. Si addormentò rannicchiandosi in posizione fetale, con paura e dubbi che continuavano ad affollarle la mente: la notte non le avrebbe non le avrebbe portato nessuna risposta, ma in quel momento lei desiderava soltanto un sonno senza sogni.

§§§

Faticava ad abituarsi, tuttavia quelle maledette scimmie avevano smesso di temere il buio e i bagliori artificiali con cui si circondavano erano un distintivo segno della loro rivalsa sulle tenebre. Quelle luci lo irritavano e gli rievocavano l’immagine di viscidi serpenti striscianti. Anyel sfiorò la croce sul tetto della cattedrale e sulle sue labbra apparve un ghigno si superiorità. Quelle formiche si affannavano per raggiungere i loro interessi e si sforzavano di mascherarli con stucchevole buonismo. Erano solo animali in cerca di esseri superiori da servire e lui non avrebbe mai condiviso lo spirito di sacrificio che i primi avevano provato per quell’infima razza. “Ael, Rafael, Zackfiel. Cosa vedevate mai in loro? Cosa vi spingeva a seguire e intervenire lungo il cammino della loro evoluzione? Paragonati alla nostra gloria loro non possono essere altro che polvere.” Erano secoli che le sue interrogazioni erano diventate soltanto domande retoriche, tuttavia, per la prima volta in quasi seimila anni gli eventi si stavano muovendo tanto veloci dal rischiare di sfuggire al suo controllo. Questo non andava affatto bene. “Eric, sei da solo. Per quanto t’impegni per nascondere quell’infima creatura prima o poi la troveremo.” La tensione sul suo volto al’improvviso si sciolse. “nel frattempo noi vedremo di fare una bella piazza pulita.” Piegò la croce della cattedrale, un gesto noncurante, e sparì nella notte.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Lavatrici Esplosive ***


I suoni provenienti dall’esterno la raggiunsero con la delicatezza del canto di un usignolo e Ilaria aprì gli occhi con la fugace impressione di essere cullata da una ninna nanna gentile. Cominciò a stiracchiarsi e mugugnando si mise a sedere, poi saltò giù dal letto e aprì la porta della camera con un’inconsueta circospezione: Eric aveva l’irritante abitudine di sorprenderla alle spalle senza mai farsi sentire e lei cominciava ad odiare la sua supervelocità angelica. Quando Ilaria mise piede in corridoio la sua attenzione fu subito attratta da uno strano trambusto proveniente dalla zona della cucina, non aveva idea di cosa stesse succedendo, indossò la felpa e corse ad indagare. Arrivò al salottino del pian terreno e aperta la porta raggiunse la cucina. Lo spettacolo che si trovò davanti fu per lei tanto sconcertante quasi quanto l’apparizione di Suriel nella casa in cui era cresciuta: Eric indossava un paio di jeans con una maglietta nera e le dava le spalle, era chino su i fornelli e sembrava concentratissimo. La quantità di fumo non era molto rassicurante, ma quando l’odore le investì le narici lo trovò delizioso: lo assaporò con un respiro deliziato e chiuse la porta alle proprie spalle. “Non pensi che sia pericoloso farti interagire con altri elettrodomestici? Non amo mettere il dito nella piaga, però di recente abbiamo avuto una prova alquanto clamorosa di quanto possa essere rischioso  chiederti di occuparti del bucato.” Era accostata alla porta, teneva le braccia incrociate dietro la schiena e sul volto aveva stampata un’espressione maliziosa. Eric fece saltare l’omelette e con un’occhiata fugace controllò il livello di cottura delle frittelle. “Molto spiritosa, Rossa, prima di criticare assaggia ! Decidere a priori che qualcosa ci piace o meno non è mai sensato.” “Dopo un invito tanto elegante non posso certo rifiutare, quanto manca per gustare i tuoi manicaretti?” La ragazza inclinò il capo, continuando a studiargli la schiena: il ricordo delle sue ali che si dischiudevano era ancora troppo fresco e sentiva un desiderio irrazionale di accarezzargli la schiena. Non era il caso di perdere anche l’ultimo brandello di controllo, soprattutto a stomaco vuoto, quindi era bene che le sue mani continuassero a restare intrecciate dietro di lei. Eric prese due tovaglioli e ci coprì l’interno di una ciotola, poi ci versò le frittelle e mise l’omelette nel piatto accanto. Allora spense il fornello e depositò il tutto sul tavolo di cucina. “Vieni?” Ilaria inghiottì un singulto e annuì, concentrò lo sguardo sulle fritte e lo raggiunse al tavolo. Sapeva che era una follia, eppure percepiva lo sguardo di Eric come se le accarezzasse la pelle e questa cosa le faceva provare una strana eccitazione: i suoi neuroni non volevano proprio capire.

Eric aveva passato la nottata a riflettere e rimuginando sulla situazione, ma era riuscito a distendere  i nervi solo verso l’alba: quando gli era venuto in mente di fare una sorpresa alla ragazza e decise di prepararle la colazione. Aprendo il frigo fu però assalito da un atroce dubbio di natura culinaria: c’erano così tante ricette e lui non era molto abituato a cucinare per qualcuno, se le avesse fatto qualcosa che non le piaceva? Era indeciso ma alla fine accantonò ogni titubanza: Sorprenderla gli piaceva e il resto passava in secondo piano. Cominciò preparare un’omelette e tirò fuori anche gli in gradienti per delle frittelle: non sapeva se preferisse dolce o salato, ma sarebbe caduto in piedi. “Vediamo un po’, quante uova servono?” Era strano, in un certo senso quei piccoli gesti riuscivano a trasmettergli un calore molto simile a quello che gli riempiva il petto tutte le volte che la guardava.
Il profumo di lei lo sorprese mentre copriva con un coperchio la padella delle frittelle, perché restava a fissarlo in silenzio? Era forse successo qualcosa? “Non pensi che sia pericoloso farti interagire con altri elettrodomestici? Non vorrei mettere il dito nella piaga, di recente abbiamo avuto una prova alquanto clamorosa di quanto possa essere rischioso chiederti di occuparti del bucato.” Lui s’imbronciò, emettendo un impercettibile sospiro: quella ragazza avrebbe mai smesso di rinfacciargli la quasi estinzione del suo guardaroba? “Molto spiritosa, Rossa, prima di criticare assaggia ! Decidere a priori che qualcosa ci piace o meno non è mai sensato.” “Dopo un invito tanto elegante non posso certo rifiutare, quanto manca per gustare i tuoi manicaretti?” Le sue frecciatine erano sempre in grado di rubargli un sorriso: dopo averla osservata così a lungo, rimanendo nell’ombra, parlarci ogni giorno senza temere di essere scoperto lo riempiva di un calore nuovo, splendido e nel contempo disarmante. Allora verso le frittelle in una ciotola e la omelette in un piattino preparati in precedenza. “Vieni…” Aveva continuato a darle le spalle, istintivamente, ma quando alzò gli occhi su di lei quel semplice richiamo gli morì in gola: le studiò le gambe da cerbiatta, risalendo poi alla maglietta sformata che le occultava le forme e fermandosi sul suo volto sereno. La sua protetta era bella, anche con quell’espressione ipnotizzata con cui fissava le frittelle fumanti. Le passò i piatti e nel vederla studiare le pietanze trattenne una risata. Si aspettava forse che fossero avvelenate? Per tranquillizzarla dette il primo morso e quando le assaggiò anche lei il sospetto sul volto d’Ilaria fu sostituito da un assaporare convulso. Dopotutto, non era un cuoco così arrugginito.

§§§

Iris aprì gli occhi, mugugnò qualcosa con la voce ancora impastata dal sonno e, scese dal letto con mosse ancora incerte. Sin dalla prima famiglia affidataria aveva preso l’abitudine di lasciare aperte le imposte delle finestre, così da svegliarsi con le prime luci e non essere mai colta di sorpresa, e per quanto fosse ormai un’abitudine consolidata non ne aveva mai parlato con nessuno. Neanche gli strizzacervelli ne sapevano niente, aveva troppa paura di essere vista ancor più paranoica e problematica. “Ok, adesso è meglio darci una sistemata,” Raggiunse il bagno con passo strascicato, dette uno sguardo alla propria immagine riflessa e si sciacquò la faccia con foga. Lavati i denti s’incamminò verso la cucina e qui trovò la signora Anderson che cantava, aggirandosi tra fornelli e sportelli con la grazia di una danzatrice. Suo malgrado, Iris si scoprì ad ammirarla e una familiare morsa la colpì allo stomaco: non ricordava bene i suoi veri genitori, ma fin dal primo incontro con gli Anderson la signora le aveva trasmesso quell’affetto incondizionato e quel calore che doveva dare una mamma.

“Iris, piccola, vieni avanti.” Il suo canto l’aveva fatta imbambolare sulla soglia e lei le aveva rivolto subito uno sguardo carico di dolcezza. “Se la canzone ti piace te la posso insegnare, hai molta fame?” Aprì il frigo senza aspettare risposta e prese un cartone di latte con delle ciambelle. Iris strascicò i piedi, sedendosi rigida e mantenendo lo sguardo basso, tuttavia nei momenti in cui la Anderson le dava le spalle tornava a fissarla con sentimenti che lei stessa faticava ad accettare o tantomeno riconoscere. Voleva fidarsi di lei. “Grazie signora Anderson.” L’aveva ringraziata con un filo di voce, eppure la donna era riuscita a sentirla: si bloccò e le arrivò davanti con uno scatto, Iris non sapeva cosa aspettarsi e lei si chinò appoggiando la fronte sulla sua, per poi farle l’occhiolino. “Capisco che può essere difficile chiamarmi mamma, però non devi aver paura.” Le accarezzò una guancia e scostandosi di un passo le lasciò un bacio sulla fronte. “Non hai niente da temere da me o da Paul, so che un mese con qualcuno è poco eppure io ti voglio bene. Qualunque cosa accada, io sarò sempre dalla tua parte.” Tornò a trafficare con i fornelli e dopo qualche minuto mise davanti a Iris una tazza di latte fumante. La ragazza teneva entrambi i pugni serrati contro il tavolo: la signora Anderson era una donna buona e questo lei lo sapeva già, comunque le era impossibile parlarle delle proprie paure e in realtà faticava a immaginare se ne avrebbe mai avuto il coraggio. “Spero che turante questa estate tu riesca ad abituarti a noi, per la scuola non devi preoccuparti: Paul ed io pensiamo sia giusto parlare con te per scegliere l’istituto che frequenterai.” Nelle pause tra le frasi fischiettava, come se la sua testa continuasse a sentire un sottofondo di musica classica. Iris si sforzava di fare finta di niente, nascondendo il volto con la tazza, ma dopo qualche minuto si alzò in piedi e la abbracciò alle spalle. Quando la mano della Anderson sfiorò le sue si staccò, subito, e uscendo le urlò che andava a correre: scoppiare in lacrime davanti a quella donna era l’ultima cosa che  desiderava.

§§§

Il Megastore aveva un’insegna color arcobaleno, al centro della quale spiccava una famiglia che faceva una grigliata in giardino, era tanto grande da essere visibile a distanza di chilometri e più di una volta Eric si era chiesto se il cattivo gusto dei commercianti negli ultimi decenni non avesse ricevuto una spinta eccessiva. Comunque decise anche questa volta di non esprimere a Ilaria la propria perplessità: era già più che scocciata per dover buttar via un pomeriggio a scegliere una nuova lavatrice, non era il caso di aizzarla ulteriormente. Lui non lo aveva fatto certo a posta, ma da quando la lavatrice era saltata per aria la ragazza era diventata un vero e proprio fascio di nervi. Aveva persino iniziato a lasciargli post-it lungo tutta la casa. Un modo come un altro per chiarire che lo stanzino del bucato per lui era diventato off-limits.

“Allora…” Lei alzò la mano aperta, fermandolo e lo fulminò con lo sguardo. “Ho detto che scelgo io.” Erano entrati da una buona mezz’ora, gli addetti al negozio lanciavano loro occhiate sempre più curiose, ma Ilaria sembrava perfettamente a suo agio: passeggiò lungo i corridoi della zona elettrodomestici per un altro quarto d’ora e alla fine si decise a scegliere uno dei modelli col maggior periodo di garanzia. Doveva interpretarlo come un attestato di sfiducia ? Quando lasciarono il negozio Eric sentì il commento di un commesso, su come lui e Ilaria fossero una coppia ben assortita e ne fu allo stesso tempo sia irritato che compiaciuto. Se lo avesse visto uno qualunque degli angeli che conosceva da secoli si sarebbe piegato in due dal ridere. Lui che era noto per essere il distacco personificato, cosa stava diventando ?

Appena confermata l’ordinazione Ilaria si sentì più calma. Comunque, il fatto che Eric non si rendesse conto di aver decimato il suo guardaroba ancora la irritava notevolmente. Gli uomini erano tutti uguali, che avessero le piume o meno. “Andiamo ? Abbiamo altre cose da …” Aveva avuto un tono più duro di quanto fosse sua intenzione e una volta tornati in macchina si accorse che Eric la stava guardando come se fosse uno spettacolo curioso. “Che c’è?” Le sue labbra disegnarono uno dei suoi tanti sorrisi ironici, però invece di risponderle chiuse la portiera e le cinse le spalle con un abbraccio. “Va bene, sotterra l’ascia di guerra e andiamo a mangiare qualcosa. Per oggi salteremo l’allenamento, ma non te ne approfittare !” Aveva un’aria divertita e soltanto quando le scompigliò i capelli Ilaria comprese che stava scherzando. “Non spettinarmi, per le donne la loro cura può essere un incubo.” Si guardò intorno e lo seguì passeggiando in silenzio, tuttavia resistette soltanto per un paio di marciapiedi: “Non dovremmo stare all’erta?” potrebbero trovarci e allora.” La sua debole protesta fu bloccata sul nascere dall’indice con cui Eric le sfiorò le labbra e inaspettatamente le trasmise una piccola scarica elettrica, tanto che dovette guardare altrove per non fargli capire di essere arrossita come una ragazzina. “Non dobbiamo abbassare la guardia, è vero, ma per poterci difendere dovremo essere anche abbastanza riposati. Ultimamente sei stata così tesa per quel marchingegno che hai dormito male e potresti avere reazioni più lente.” Alzò gli occhi al cielo e per quale istante a Ilaria sembrò che la sua espressione assomigliasse a quella di un bambino. “Un pomeriggio di relax on può farti che bene, da quando ti ho trascinato qui non abbiamo praticamente visitato la città e abbiamo sempre lavorato: non credi che potrebbe essere una buona occasione?” Lei annuì incerta, pensando che in fondo anche il suo pennuto potesse essere stanco. Avrebbe potuto cogliere l’occasione per guardare le vetrine dei negozi, con un po’ di fortuna avrebbe potuto iniziare a ricreare il suo scomparso guardaroba.

§§§

Per quei momenti la sua uniforme d’ordinanza era sempre costituita da un paio di pantaloni di una tuta da ginnastica, delle Nike scure e una maglietta abbastanza grande da permetterle di farci un noto all’altezza della vita. Lasciava il ventre parzialmente scoperto e ogni volta la parte più timida di lei aveva un moto di protesta, ma quando correva per lei non c’era niente di più importante che sentire il vento sulla propria pelle. Iris Inspirò una, due, tre volte e si preparò a cominciare. Sapeva che correre senza riscaldamento non era una buona idea, infatti di solito si fermava appena fuori casa e faceva stretching per una decina di minuti, adesso però l’idea non le passava neanche per l’anticamera del cervello. Aveva soltanto bisogno di sentire il vento ed estraniarsi da tutto il resto: cominciò piano, lungo il solito percorso attraverso vialetti identici a quelli rappresentati nelle serie televisive e man mano che aumentava la velocità le immagini intorno a lei diventavano sempre più nebulose. Era sempre così: ogni volta la sua visuale si concentrava soltanto sulla linea retta del percorso e sul controllo della respirazione. Svoltò l’angolo scansando una cassetta della posta e l’espressione tesa che aveva in faccia finalmente si distese: correre le trasmetteva ogni volta una meravigliosa sensazione di libertà. Gli Anderson erano buoni, pensavano addirittura di pianificare il suo futuro e per quanto la cosa le desse i brividi, la parte più intima di lei gongolava. La sensazione di potersi affidare a un adulto era bella e stranamente rassicurante. In ogni caso, la scuola restava comunque un argomento maledettamente spinoso e tutto soltanto perché si era picchiata con un gruppo di ragazzetti che allungavano troppo le mani. Il preside non aveva saputo che altro fare se non espellerla, non gli capitava tutti i giorni di trovare quattro ragazzi a terra e in mezzo a loro una ragazza con i vestiti strappati. Quella volta i suoi genitori affidatari avevano preferito lavarsene le mani e dopo che il provveditorato aveva insabbiato la storia lei si era ritrovata nuovamente tra le grinfie dei servizi sociali. Era così stanca di sentirsi sola e indifesa contro il mondo. Asciugò una lacrima con la manica, spaventata dai suoi stessi pensieri e aumentò il ritmo, forse sperando di poter davvero fuggire dalle proprie paure.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Assestamenti ***


Ilaria si muoveva per prima, godendosi il calore del sole che riusciva ad attraversare le fronde e sorridendo ai piccoli animali che studiavano le loro movenze attraverso le ombre e gli anfratti del posto. Immersa in quella natura incontaminata era felice e si sentiva in pace con se stessa: il suo animo era riuscito ad accettarla propria duplice natura e finalmente aveva smesso di sentirsi un’aliena trascinata a forza in un mondo avverso. Eric le passò accanto, sfiorandole il fianco, e mentre muovevano i primi passi nella piccola radura tra la foresta e il fiumiciattolo Ilaria si sorprese a studiare l’atteggiamento del compagno: durante gli allenamenti era come se la confidenza e la spontaneità emerse durante la quotidianità evaporassero e durante quelle ore Ilaria aveva la netta sensazione di non essere davvero con Eric, ma con una sua maschera elaborata attraverso secoli di silenzi e sospetti. “Ilaria, scusami se ti ho strappato dalla tua vita tranquilla e dai tuoi amici: era l’ultimo tra i miei desideri.” Aveva un tono apparentemente distaccato, però dal suo atteggiamento traspariva una chiara tristezza: evitava il suo sguardo e accarezzava con mosse convulse una pietra levigata che aveva raccolto da terra. Ilaria lo fissò con un’espressione sorpresa e quando fece per rispondergli i suoi occhi furono attraversati da un guizzo di malizia. “Eric, non mi hai portato via, non sono un fiore delicato che non può opporsi quando è colto dal suo prato, ho scelto io di seguirti.” Sorrise, immaginandosi un girasole che mordeva la mano pronta a coglierlo per poi cominciare a inveire e poi proseguì: “Avevo bisogno di staccare  e poi comprare una villetta di campagna è sempre stato uno dei miei sogni più segreti.” Almeno quest’ultima affermazione sembrò riuscire a scuotere il giovane, che si voltò verso di lei e la studiò con uno sguardo perplesso per almeno un intero minuto. “Ragazza mia, sei meravigliosa.” Ilaria arrossì e distolse lo sguardo: perché non riusciva a impedirsi di sperare che dietro quelle parole ci fosse qualcosa di più? Era una sciocca. “Come ti ho già accennato la scorsa volta, è nella nostra natura intrinseca la possibilità di  controllare un determinato numero di elementi.” Perfetto, aveva cominciato la lezione e questo l’aiutava a non perdere altro tempo dietro ai deliri dei propri ormoni. “Spesso con l’aumento del potenziale del soggetto aumentano anche il numero degli elementi che può manipolare, ma esistono anche casi di specializzazione ed entrambe le scelte sono tutt’altro che da sottovalutare.” Ilaria aveva l’impressione che stesse narrando una storia tipica dei falò da campeggio e per un istante riuscì a immaginarsi Eric con la divisa tipica dei Capi scout. “Tua nonna Mari era Maestra nel richiamare il vento e contro Suriel tu stessa sei riuscita a farlo.” Lei annuì, sottolineando il suo controllo dell’elemento sollevando il palmo destro verso il cielo: una goccia di sudore le attraversò la tempia e nella sua mano apparve un minuscolo mulinello d’aria. “Lo rammento, mi hai già insegnato a evocarlo secondo la mia volontà.” Eric le rivolse un sorriso sghembo e si sedette a sua volta. “Rossa, non direi che ti ho proprio insegnato, anche se devo ammettere che impari in fretta.” Le strizzò l’occhio e Ilaria si disse che il suo angelo quel giorno sembrava molto più coinvolto del solito. “Adesso vedremo se sai mantenere il controllo anche in situazioni più dinamiche.”

§§§

Iris era a corto di fiato e così si appoggiò al lampione più vicino, ansimava ma era soddisfatta, così alzò la testa e alla vista del cono gigante di fianco all’insegna le tornò subito il buon umore. Il loro cono si dimostrò ancora una volta gustoso e fin dalla prima settimana quel negozio era diventato per lei una specie di virtuale traguardo: il punto da cui fare dietrofront e tornare verso casa. Si asciugò la fronte e il volto grassoccio del gelataio le rivolse un sorriso bonario: Iris non ci aveva fatto neanche caso, ma doveva essere diventata una sorta di cliente affezionato. In una delle prossime occasioni quel tipo l’avrebbe potuta accogliere con il quesito tipico dei pub dei film: Il solito?

La ragazza scosse il capo e dirigendosi verso l’uscita si accorse di essere osservata da una sua coetanea che sedeva in un angolo: jeans, maglietta a fiori, degli occhi grandi a malapena nascosti dagli occhiali e dei capelli color nocciola raccolti in una treccia. “Ciao, io sono Janet.” Le sorrideva e con un gesto della mano la stava invitando a sedersi con lei. Iris immerse le labbra e assaporò il cono al limone, mentre il suo cervello si sforzava di decifrare la tipa e le sue gambe la spingevano da lei. Cosa voleva quella ragazza? Era sicura di non averla mai vista, tuttavia quella non smetteva di sorriderle. “Ciao.” L’aveva salutata con un sussurro incerto, ma lei sembrava non accorgersi delle sue esitazioni e la invitò nuovamente a sedersi. “Sei nuova, vero?” Iris s’irrigidì ma prima che potesse risponderle Janet andò avanti: “Non voglio metterti a disagio, tranquilla.” Aveva alzato entrambe le mani davanti a se, in una muta dimostrazione di buone intenzioni. “È solo che non ricordo di averti incontrata prima e penso che dovremmo essere più o meno nella stessa classe.” “Giusto, sono arrivata in città da poco, mi chiamo Iris e sono dagli Anderson.” Nel momento stesso in cui si presentava Iris se ne pentì: Janet avrebbe messo in giro pettegolezzi su di lei? Ottenere informazioni e non concederle era da sempre la sua prima regola di sopravvivenza. Ho capito, hai un nome davvero carino.” Suo malgrado Iris arrossì timidamente: non era per niente abituata ai complimenti. “Spero che diventeremo buone amiche, che ne dici?” Sembrava sincera e quando Iris l’osservò lasciare la gelateria si sentì stranamente serena: Janet poteva piacerle, avrebbe avuto un’amica.

§§§

La stanza era avvolta in una grigia coltre sovrannaturale e al suo centro svettavano cinque bracieri di bronzo finemente lavorati. Era no allineati l’uno di fronte all’altro e i loro fregi erano riconducibili a scene della mitologia medio orientale. Quando cominciarono i rintocchi s’illuminarono uno per uno, tramite fiamme dalle sfumature differenti e tuttavia l’ultimo di essi rimase inerte: una spaccatura lo passava verticalmente da parte a parte e dopo pochi istanti si ridusse in polvere. Trascorsero attimi interminabili e all’interno delle fiamme danzanti apparvero le ombre dei quattro Anziani sopravvissuti a Sihel. “Non possiamo lasciare che il disordine si propaghi fino a contaminare anche i nostri ranghi.” La fiamma di Anyel sfarfallò fino a farsi sempre più scura. “Ne abbiamo parlato più volte, eppure per quanto ci abbiamo pensato la soluzione resta sempre e soltanto una.” Nei suoi sardonici interventi Caiel aveva sempre un che d’irritante. “Scegliamo un nuovo quinto Anziano, sarà soltanto un fantoccio che eseguirà i nostri ordini però calmerà i facinorosi e noi avremo il tempo di cancellare le cause principali dei nostri problemi.” L’irruenza tipica di Meiel traspariva addirittura nella sua fiamma di comunicazione, che fin dal primo istante non aveva mai smesso di agitarsi con frenesia. “Perdonatemi l’ovvietà, tuttavia già il fatto che le nostre riunioni avvengano con questi mezzi tanto arcaici rappresenta un segnale indicativo della situazione in cui ci troviamo: non abbiamo più la certezza del controllo sulla popolazione e il tarlo del tradimento potrebbe arrivare ad intaccare persino noi Anziani.” Nessuno degli altri accennò a protestare o ribattere, così Riel andò avanti. “Restando uniti potremo ancora schiacciare l’opposizione, tuttavia  i nostri animi non sempre sono concilianti e questo può rappresentare un ostacolo non da poco. Perché non lasciamo che ognuno di noi sia libero di fare quello che gli riesce meglio?” La sua voce era calma e trasmetteva sicurezza, Riel possedeva da sempre  l’abilità innata di far sembrare ragionevole anche il piano più folle. “Cos’avresti in mente?” Meiel mugugnava sospettoso, come se per natura dubitasse di chi possedeva una lingua troppo sciolta. “Niente di troppo complicato mio possente collega: ad esempio penso che voi dovreste occuparvi della nostra piccola spina nel fianco.” Meiel approvò con un grugnito. “Mentre Anyel, con il tuo carisma potresti sedare i dubbi tra i nostri fratelli di rango inferiore. Il popolo deve mantenere sempre una sufficiente fiducia in chi lì governa.” Questi parve divertito dalla sfacciata proposta e così Riel continuò. “Caiel, non credere che mi sia dimenticato del tuo interessante seguito o dei tuoi talenti. In un certo senso penso di averti lasciato la ciliegina sulla torta: Eric e la sua scimmia da compagnia. Che te ne pare?” Come risposta ricevette una sonora risata: “Non vedo l’ora di mostrargli i miei giocattoli.” “E per te quale importante compito di saresti riservato?” Anyel era sarcastico, però Riel non se ne curò. “Mio caro, direi che ì ovvio: come esperto marionettista cercherò il burattino adatto a sostituire il vecchio Sihel.” Con una risata sguaiata la sua fiamma si spense, la riunione era finita.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Iris ***


Per quanto la semplice idea le suonasse aliena non riusciva più a negarlo: si stava ambientando. Di giorno in giorno sentiva sciogliersi progressivamente il nodo di ansia e tensione che l’aveva accompagnata per la maggior parte della sua vita, era spaventata, e non aveva la minima idea di come doveva comportarsi. Iris normalizzò il respiro e spalancata la porta della gelateria si sforzò di fare il vuoto in testa, Janet le sorrise dal solito angolo e lei la ricambiò con timidezza: era la quarta volta che si trovavano lì alla stesa ora e per quanto ancora non ne capisse il motivo, quella ragazza continuava a insistere nel dirsi sua amica. Mark si appoggiò al bancone, assunse un’espressione sorniona e senza darle il tempo di ordinare mise tra le braccia di Iri un vassoio con due coppe pronte: crema-limone e fragola yogurt. Iris aprì la bocca per dire qualcosa, ma l’occhiolino  dell’uomo la spinse a voltargli le spalle e andare dritta al tavolo: poteva essere soltanto un’impressione, ma aveva la sensazione di essere diventata troppo prevedibile. “Non c’è che dire, se fossimo in uno di quei vecchi film polizieschi ormai potremmo chiedere a Mark – il solito -. Ha imparato i nostri gusti.” Le sorrideva con innocenza e Iris si sedette trattenendo a stento una risata: Janet aveva l’arcano potere di farla star bene, anche nelle giornate più nere. Era bello avere un’amica. “Potrebbe essere un’idea, anche se mi suona più come una battuta da saloon.” Lei finse di rifletterci su e alla fine annuì  afferrando la coppa di gelato. “Iris, sembra che alla fine hai capito che non mordo.” Lei  abbassò lo sguardo, restando con il cucchiaino a mezz’aria e dopo un momento le sue orecchie furono raggiunte dalla spontanea risata dell’altra. “Beh, la mia non è certo una critica: troppe persone tendono a fidarsi al primo sguardo e questo può portare a dimenticare che le serpi possono essere sempre dietro l’angolo.” Iris non si aspettava certo un’uscita simile, ma in un certo senso doveva ammettere che aspettarsi un problema dietro ogni angolo era proprio il suo atteggiamento più tipico. “Comunque, i Tuoi alla fine hanno scelto a quale scuola iscriverti?” Davanti a questo argomento Iris ebbe un brivido istintivo. “Non hai motivo di temermi, nella nuova classe mica troverai soltanto stronze egocentriche ! E poi, in ogni caso io  non ti lascio. No, no, no …” Scuoteva l’indice in modo buffo e Iris iniziò a ridere fino alle lacrime, arrivando persino a sputacchiare pezzi di gelato sul tavolo. “Gra…zie.” “E di che? Siamo amiche e le amiche si sostengono a vicenda. Visto che non è poi così difficile lasciarsi andare?” Allora mise un gomito sul tavolo e inclinando la testa sulla destra l’appoggiò al palmo della mano. “Ora smettiamola con questi discorsi, quando le vacanze e questo forno travestito da estate finiranno incontreremo anche i ragazzi.” Fece una pausa a effetto e per un attimo Iris rimase interdetta. “Lo so anch’io che otto maschi su dieci hanno il cervello grande quanto una nocciolina, tuttavia per quanto più difficili da trovare esistono anche quelli fichi !” Aveva una luce maliziosa nello sguardo e per un pelo Iris non si strozzò dalla sorpresa: con tutto quello che aveva passato negli ultimi anni non aveva mai avuto il tempo di pensare  ai maschi come qualcosa di più che degli alieni irritanti.    

§§§

Il flusso d’acqua della doccia era estasiante, proprio quello che serviva ai suoi muscoli indolenziti, e quando alla fine Iris si avvolse nell’accappatoio verde chiaro si sentì letteralmente rinascere. Quella sera la signora Anderson, Anna, era uscita insieme ad una sua vecchia amica del liceo e quindi i soli presenti in casa erano lei e il signor Anderson: Paul. Lui portava spesso il lavoro a casa e per questo sia lei che sua moglie riuscivano a vederlo molo poco, così dopo aver tergiversato un po’ si mise il pigiama e andò a trovarlo nel suo studio. “Ciao.” La porta non aveva neanche cigolato, eppure lui l’aveva sentita: superudito ? Inspirò, come se dovesse tuffarsi in un mare in tempesta e la figura di Paul le apparve dietro una scrivania anni ’50 sormontata da libri e fascicoli. Due strani baffi neri gli coprivano il labbro superiore, non aveva mai incontrato prima un adulto con i baffi, e i capelli con qualche ciocca grigia perennemente arruffati gli davano un certo stile. Tutto sommato con i suoi 47 anni conservava un aspetto alquanto giovanile. “Non volevo disturbare.” L’aveva detto con un tono da cucciolo smarrito e subito si morse le labbra per impedirsi di continuare. “Vieni pure, non disturbi mai, Iris... Siediti...” Era gentile e inaspettatamente rassicurante, lei inghiottì a vuoto e strascicò i piedi fino ad accomodarsi. “Io...” Era imbarazzata e non aveva idea di cosa dire, senza contare che di solito parlare con gli adulti moltiplicava i problemi, invece di risolverli. Per adesso Paul le piaceva, ma parlargli all’improvviso non le sembrava più un’idea così brillante. “Spero che per te ambientarsi non sia troppo difficile: ambiente nuovo, amici...” Iris lo interruppe con enfasi. “No, no, va tutto bene. La città mi piace e mi sono già fatto un’amica.” Gongolava per la gioia, in fondo erano giorni che moriva dalla voglia di raccontare a qualcuno di Janet: la sua prima amica in più di un anno. “Sono contento.” Paul si alzò dalla sedia e le arrivò davanti tirandola su di peso, neanche fosse stata un fuscello, per poi stringerla in un abbraccio inatteso.

Quell'uomo odorava di tabacco e cuoio, ma soprattutto in qualche modo sapeva di buono. Pertanto, dopo  una prima esitazione Iris lo strinse con la foga di un naufrago che ha trovato un’insperata scialuppa di salvataggio. “Qualunque esperienza tu abbia subito prima di giungere da noi non importa più. Se qualcuno proverà a farti del male io ti proteggerò, forse abbiamo passato ancora poco tempo insieme ma sei mia figlia e ti voglio bene, bambina mia.” Le aveva parlato all’orecchio e per l’emozione Iris cominciò a piangere affondando il viso sul suo petto. Dopo qualche minuti Paul sciolse l’abbraccio e Iris gli stampò un bacio sulla guancia, per poi fuggire fino alla porta e voltarsi verso di lui all’ultimo momento: “Grazie, papà.” Era la prima volta che lo chiamava così e Paul ne era felice, anche se tra i due non si poteva dire chi fosse il più sorpreso.  

§§§

Iris entrò in camera e chiuse la porta con un’insolita delicatezza, lanciando poi le scarpe contro l’armadio e tuffandosi sul letto. I capelli le coprivano la faccia, però uno sbuffo fu sufficiente per far scostare il ciuffo ribelle e lei recuperò la visuale. Era tesa e maledettamente in conflitto con se stessa: paragonata con le sue ultime famiglie affidatarie le cose andavano molto meglio, il che era tutto dire, e inoltre aveva trovato qualcosa che nelle precedenti occasioni le era sempre mancato. Un’amica. Senza contare il fatto che si stava affezionando ai modi da chioccia di Anna e alla silenziosa comprensione di Paul, ancora faticava a credere di averlo chiamato papà ! Nonostante questo una vocina fastidiosa continuava a sussurrarle ossessivamente che non poteva permettersi di avere legami. Inspirò, chiuse gli occhi e poi rotolò sul materasso avanti e indietro, fino a tornare alla posizione di partenza: voleva davvero continuare a prendersi per i fondelli? Gli voleva bene, provava affetto per gli Anderson e ogni loro piccolo gesto le trasmetteva una tenerezza  a cui non era più abituata: aveva la strana sensazione di appartenere a un nido ed era una novità piacevole.

La situazione generale era semplice e allo stesso tempo maledettamente incasinata: Paul e Anna credevano di poterla tenere al sicuro, tuttavia lei sapeva che essere al sicuro non era altro che una bugia smielata. Abbandonarsi all’idea della loro illusoria protezione restava lo stesso una tentazione fin troppo forte. “Mi manderebbero via se.” Un groppo in gola le impedì di andare avanti: Janet le era amica e per gli Anderson poteva come minimo dire lo stesso, malgrado ciò nessuno di loro sapeva la verità su i mostri. Stava davvero pensando di parlargliene? Poteva permettersi di rischiare? Spostò lo sguardo verso l’interno della camera e si capovolse restando in silenzio, per poi fermarsi a fissare il soffitto.

§§§

Castar accarezzò la statua di marmo bianco al suo fianco e dopo un istante fece un sospiro tipicamente umano: Eric era sparito con la senza ali e Sihel, che gli aveva offerto un posto nel suo entourage, era stato inghiottito da una luce aliena insieme a un essere umano sconosciuto a tutte le loro fazioni. Alla fine le alte gerarchie l’avevano ripreso nei cieli, come il figliol prodigo di alcuni testi umani, malgrado ciò adesso era diventato una sorta di ramingo. “Il mio status attuale non è proprio il più adatto per raccattare informazioni valide.” Da quando era tornato trovava soltanto pettegolezzi o voci imprecise e l’ultima era così inverosimile da puzzare terribilmente di balla: gli Anziani avevano ripreso a cercare qualcosa o qualcuno e con un’enfasi addirittura maggiore della sua simpatica coppia di fuggitivi. Cosa poteva essere più importante del traditore e di una femmina umana erede del loro lignaggio?

Eric aveva portato dubbio e malcontento tra le loro file e come conseguenza immediata già alcuni civili stavano riprendendo a pensare con la propria testa, nonostante questo gli anziani non intervenivano e invece di concentrare le forze su di lui e la senza ali dividevano le forze. Per riuscire sul serio a capirci qualcosa doveva per forza entrare in uno dei loro squadroni: Riel e Anyel non erano neppure da prendere in considerazione, troppo paranoici e machiavellici, e Caiel era decisamente troppo instabile. Quindi l’unico bersaglio seriamente papabile era Meiel. Rimase immobile per quasi un minuto, forse per accettare l’idea, si stiracchiò sparì tra le ombre con un sorriso sghembo.

§§§

Erano passati secoli dall’ultima volta in cui Meiel si era sentito tanto eccitato: essere un Anziano gli dava enormi privilegi, ma la noia di quelle continue attese burocratiche stava diventando qualcosa di insopportabile. Per rintracciare il bersaglio aveva già sguinzagliato i suoi lui, in grado di seguire ogni genere di odore, e dopo i primi tempi in cui si era immerso nelle loro sensazioni aveva cominciato ad allenarsi intensamente con i suoi. Sempre pronti era la regola fondamentale di tutta la sua esistenza. Fu mentre disarmava un angelo biondo e lo faceva piegare su se stesso con una ginocchiata all’inguine che Castar apparve in un angolo dell’arena e lo vide: capelli riccioli corti e un accenno di grigio sulla barba, grandi occhi caprini colmi di divertimento e una cicatrice all’altezza del collo che spiccava sul corpo atletico. Aveva steso a mani nude due avversari armati e quello era solo un mero esempio della sua forza.

“Abbiamo ospiti.” Il tono di Meiel era sprezzante e prima che Castar potesse ribattere se lo trovò alle spalle. “Vuoi sgranchirti un po’ con me?” Sulle sue labbra si disegnò un sorriso fugace e con un salto improvviso provò a colpire l’Anziano con un calcio alla testa, il colpo fu da lui parato con un semplice gesto del polso. “La ginnastica può essere divertente, ma io cerco un nuovo Padrone.” Il ghigno sulla faccia di Meiel si allargò, simile all’espressione di un predatore che ha messo con le spalle al muro la sua preda. “Conosco la tua storia Castar, maestro di Himotep, e direi che la cosa si può fare.” Spalancò le ali e dopo due battiti veloci, per sgranchirle, si mise in posizione di guardia. “I dettagli potremo pianificarli in seguito, adesso vediamo se sei all’altezza delle mie aspettative!” Gli fu addosso in un lampo e sotto gli occhi curiosi dei sottoposti lì radunati cominciarono a combattere furiosamente. 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Convivenza e nuovi guardaroba ***


Ilaria digrigno i denti irritata e tentando di riprender fiato appoggiò la schiena ad un tronco: aveva capito da subito che per salvarsi le chiappe doveva imparare delle nuove tecniche di difesa personale, le lezioni di Maxwell non potevano neanche lontanamente bastare contro creature come quel Sihel, tuttavia questo non toglieva nulla al fatto che lottare con Eric era una cosa altamente frustrante. Quel, quel, quel bastardo riusciva a muoversi con la velocità di una tempesta e quando la colpiva la riempiva di colpi leggeri ,irritanti e dispettosi. Una sorta di odiosissima grandine. Allora la ragazza scattò in avanti, evitando per un soffio un calcio al ventre e oltrepassati due cespugli di more riprese a correre.  Era ironico pensare che il fastidio maggiore di quegli scontri non fossero i lividi o il dolore, bensì il fatto che quello stronzo si trattenesse. Lo aveva visto lottare e sapeva che anche senza usare i suoi poteri soprannaturali era in grado di colpire con più convinzione e forse persino più velocemente. La stava trattando come una cosina delicata e lo trovava umiliante. Dopo un istante Ilaria si rese conto che intorno a se non si sentiva più un suono, i rami sopra la sua testa scricchiolarono, e l’ombra del suo angelo preferito l’avvolse. Fu una questione di secondi: Ilaria alzò le mani verso la sua figura, creandogli intorno una gabbia d’aria concentrata. Subito la planata di Eric perse precisione ed eleganza, arrivando a caderle goffamente addosso nel finale. I loro corpi si fusero in una sorta di amorfa palla di carne e fango, rotolando poi per il pendio per 5 minuti buoni.

Eric sentiva la testa che gli girava ed era ancora fortemente intontito, probabilmente a causa dell’interpretazione della trottola che aveva appena compiuto, contro le ali spiegate percepiva il contatto della terra umida e quando aprì gli occhi ebbe la conferma del peso caldo e morbido che sentiva sul suo petto: Ilaria. Lei lo fissava con sorriso soddisfatto e si sorreggeva tenendo entrambi i gomiti puntellati sul suo ventre. Eric le scostò le foglie dei capelli e allora lei gli fece la linguaccia. “Hai visto? Hai visto vero? Il mio controllo sull’aria deve essere stato come minimo eccellente per fregare uno con un’esperienza millenaria eh ?” “Rossa, hai barato.” Il sorriso di lei diventò più largo. “Non eri tu a farmi notare, fin troppo spesso, che se si lotta per la vita non esistono regole?” L’espressione piccata di Eric, sommata all’imitazione della sua voce fatta dalla ragazza fecero volar via l’ultima goccia di serietà legata alla situazione: presero a ridere e forse senza neppure accorgersene Eric si trovò ad abbracciarla, tanto da sentire il corpo di Ilaria aderire al suo. “Sei brava, quasi diabolica! Comunque cerca di non far sfigurare troppo presto il tuo povero maestro. Va bene?” Le fece l’occhiolino, riprendendo a ridere, anche se ora la sua risata poteva sembrare un po’ forzata. Tutto pur d’ignorare l’effetto che gli provocava il contatto con le curve di quell’umana maledettamente invitante.

Ilaria sentiva il corpo di Eric scuotersi e il proprio battito cardiaco accelerare in sincronia, dopo qualche minuto smise di ascoltarlo, concentrata sulle proprie sensazioni inghiottì a vuoto parecchie volte e alla fine gli fece qualche timida carezza. L’immaginazione della ragazza galoppava e quando Eric sciolse l’abbraccio il ritorno alla realtà fu come schiantarsi contro un muro apparso all’improvviso. Lei si tenne il petto, aveva il respiro accelerato e sfinita gli rotolò al fianco. Non avevamo deciso che una cotta per in immortale non avrebbe portato niente di buono ? Il suo cuore le rispose con un secco NO COMMENT, allora si permise di sfiorargli un’ala e il tocco delle piume sulla pelle le trasmise una serie di sensazioni talmente forti da non riuscire a descriverle: mantenere la razionalità al primo posto al momento era proprio al di fuori delle sue capacità.

§§§

La luce crepuscolare illuminava l’ambiente a tratti,ormai parte delle schiere di Meiel se n’era andata e a ogni movimento Castar sentiva ancora alcune ossa scricchiolargli. Quelle fitte pungenti erano impossibili da ignorare, tuttavia non erano niente davanti alla consapevolezza di aver superato la prova dell’Anziano. Solitamente i loro domini erano costituiti da una parte civile e una marziale, però a quanto sembrava Meiel si era spinto a militarizzare ogni cosa: fin dove si espandeva l’orizzonte Castar riusciva a individuare dei fratelli impegnati in delle manovre. Quella organizzazione aveva un suo fascino, anche se era davvero triste che non avesse risparmiato neppure i centri di studio fondati da Ramael. “Quando si fa una rivoluzione spesso si cancella anche il ricordo del passato, per questo la storia è pericolosa: fa pensare.” Planò verso il terreno con ancora queste cupe riflessioni sulle labbra e atterrando incrociò altri due servitori, questi lo fulminarono con un’occhiata malevola e lui si limitò a scuotere la testa. La sua entrata in squadra non era stata presa bene da tutti, Meiel spronava troppo la competizione e ogni paio d’ali in più era identificato immediatamente come un rivale pericoloso. Avrebbe dovuto guardarsi le spalle.

§§§

Gli odori non l’assalivano più come nelle prime settimane e la parte più selvaggia del suo spirito aveva da tempo identificato anche il bosco come casa. Se quella era casa, Eric era. “No.” Ilaria arrossì senza osar finire il pensiero. Lei reagiva quando i loro corpi si sfioravano, faceva quasi scintille, ed era sicura di aver notato anche in lui qualcosa. O forse si stava soltanto illudendo? Credeva sul serio di poter diventare intima con il suo angelo (spirito, djeen, pennuto o come diavolo volesse essere chiamato.)? No, il suo angelo era stato qualcosa di intangibile, una sorta di cavaliere bianco della sua adolescenza, mentre Eric era lì: era di carne e sangue. Reale. Se solo avesse compreso come fare breccia nella sua muraglia, ma sarebbe servito a qualcosa, o avrebbe portato soltanto l’ennesima figuraccia ? Ecco, quello era proprio uno dei momenti in cui desiderava di più avere ancora con se Emily e Lily: le il loro chiacchierare e i loro consigli contraddittori che in qualche modo si equilibravano, quelle due erano una sorta di manuale di comprensione dei maschi e con ali o senza anche Eric apparteneva alla categoria.  

Durate gli ultimi esercizi, sia pratici che teorici, le era sembrato persino più coinvolto. Sul momento le aveva fatto piacere, ma alla fine i suoi muscoli ancora non avevano smesso di lascarsi e rimpiangere l’Eric distaccato. Inserì la chiave nella toppa e una volta entrata si appoggiò alla porta con un gemito stanco. Prima si lamentava di quanto fosse distaccato e ora che gli allenamenti sembravano coinvolgerlo anche emotivamente si sentiva lo stesso contrita, quasi a disagio. Qualcosa l’avrebbe fatta mai contenta? Fissava lo specchio e dopo qualche minuto rispose alla sua muta domanda con un sorriso ironico e un’espressione sbarazzina: “Si, un bagno.” Lasciò le scarpe di fianco alla porta e la maglia finì sulla poltrona. Lanciò il resto dei vestiti lungo tutto il tragitto, una sorta di molliche di pane, e come tocco finale abbandonò la biancheria davanti alla soglia del bagno. Poteva diventare un nuovo codice per segnalare quando era occupato? All’idea una risata spontanea le proruppe dalla gola. Si massaggiò i lividi e non appena l’acqua fu alla temperatura giusta s’immerse d’un fiato. Fin dal primo contatto sentì il corpo rilassarsi e gemiti di piacere misto a sollievo le salirono alle labbra: stava tornando alla vita.

Dopo una trentina di minuti afferrò un accappatoio leggero e senza curarsi di chiuderlo con il laccio uscì dalla vasca. Ritrovando i vestiti lungo il corridoio Ilaria afferrò subito le mutandine e grattandosi una guancia promise a se stessa che avrebbe raccattato il resto prima che tornasse il suo coinquilino. Coinquilino, che strano termine per riferirsi ad Eric. Adesso era più rilassata. Anche se sempre titubante nei confronti dei propri sentimenti, per non parlare dei segnali ipotetici che lui poteva averle mandato. Quando poi afferrò la maniglia della porta di camera sua ebbe la strana sensazione che ci fosse entrato qualcuno. Eric? I cattivi? Ecco come potevano diventare snervanti anche le cose di tutti i giorni! Intrecciò le mani, mordendosi il labbro inferiore, e dopo un attimo sentì il vento risponderle. Allora la porta si spalancò con uno schianto, e mentre il vento spazzava la stanza lei rotolò fino al fianco del letto. “Ecco, lo sapevo.” La stanza era vuota e il disordine che aveva davanti lo aveva creato lei stessa richiamando il vento. PER fortuna Eric non l’aveva vista, altrimenti sai che risate! Con tutti quegli allenamenti la stava facendo diventare paranoica. Sbatté la porta e lasciato cadere l’accappatoio sul letto si fermò allo specchio:  i muscoli c’erano e quindi l’allenamento stava facendo effetto. Sempre che con tutto quell’esercizio Eric non la trasformasse in una virago palestrata, perché in quel caso lo avrebbe spennato e messo personalmente in pentola ! Si preparò all’immagine desolata dei pochi capi sopravvissuti al disastro lavatrice e quando aprì l’armadio per un pelo non cadde in terra dalla meraviglia: era pieno. Tutto l’armadio era ricolmo di vestiti nuovi, alcuni con ancora l’etichetta del negozio attaccata. Lì sfiorò assaporandone il tessuto fresco e liscio, per un attimo pensò di aver sbagliato casa, eppure non era possibile che in vicino spuntasse così dall’oggi al domani. Dopo poco un luccichio in fondo all’angolo destro attirò la sua attenzione, si chinò per capire cosa fosse e allora si trovò tra le mani una spilla a forma di piuma appuntata ad un biglietto:

 

--Ciao bambina, ci ho messo un po’ ma dovrei aver ritrovato almeno metà dei tuoi vestiti. (Ammetto che è stata una faticaccia, perché non ho mai fatto caso a quanto la moda cambiasse durante i secoli). Gli altri sono un regalo, spero di aver indovinato almeno qualcosa di tuo gusto. Non provare a dire che non puoi accettarli, considerali un premio per i progressi che hai compiuto. Ho ancora la mascella dolorante per l’ultimo allenamento! Quasi dimenticavo, puoi smetterla di guardare la spilla con perplessità: hai il mio sangue e credo sia giusto che tu possa portare almeno una piccola piuma come riconoscimento delle tue origini. Forse farò tardi, tuttavia non vedo l’ora di scoprire come ti staranno ! –

 

Ilaria era incredula, si sedette sul letto e rilesse più volte il piccolo biglietto. Alla fine cominciò a ridere e si lasciò scivolare fino al pavimento: ogni volta che aveva dei dubbi, trovava un equilibrio o sperava di aver capito il suo modo di pensare Eric la sorprendeva. Strinse vicino al cuore la piccola spilla e con un’espressione civettuola cominciò ad esplorare la montagna di vestiti che le aveva comprato.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Quotidianità(titolo provvisorio) ***


La massa degli spettatori del cinema assomigliava a una grande onda inquieta: Iris voleva andare a vedere Eclipse da quando aveva saputo la data di uscita, però si vergognava ad andarci da sola, quindi il fatto che piacesse a morire anche a Janet era stato un vero e proprio segno divino. Sospirò, buttando la confezione di pop-corn e voltandosi verso l’amica scoprì che le stava sorridendo. “Non è stato niente male, di certo un salto di qualità paragonato ai primi due.” Fingeva un tono da critica professionale e Iris le dette una gomitata.”Non credo che qualcuno si sia lamentato, visto l’attore che faceva il vampiro vegetariano.” Odiava aver così poca memoria per i nomi dei protagonisti. Janet ammiccò, e incrociate le braccia dietro la testa le venne in aiuto con un sussurro sognante: “Edward Cullen, ci fare anch’io un pensierino.” In un certo senso, Janet la stava aiutando a ricordare come si viveva in modo normale, non aveva un’amica dall’arrivo dei mostri ed era una cosa davvero bella poter contare su di lei. Un braccio attorno alle spalle la travolse inaspettatamente: Janet le si era appesa come una stramba altalena umana, e la fissava con un’espressione critica. “Cosa avevamo deciso riguardo i tuoi momenti mistici di isolamento?” Era una sorella maggiore che fa la ramanzina alla sorellina e Iris sbuffò cercando di non arrossire. “Sono i vecchi a fissare il vuoto, persi in chissà quali pensieri, noi siamo gio-va-ni!” Era un uragano di energie. “Lo so, comunque.” Iris voleva solo dirle che doveva tornare a casa per non preoccupare gli Anderson, ma Janet l’aveva subito fermata con una  mano sul petto e la fissava con un’espressione strana. “Non provare a dire che devi andare perché non sono nemmeno le 22:00, E poi ho già mandato un sms ai tuoi per avvertili che dopo il cinema andavamo al parco, abbiamo come minimo un’oretta di autonomia.” “Tu... Hai... Loro...” Lei la fissò, passandole una mano davanti al viso. “Va bene. Adesso smetti di balbettare per piacere, tua mamma era felicissima che te la spassassi insieme a me per qualche ora.” Iri era ancora un po’ interdetta. “Forse non ci crederai, però nel vicinato ho la fama di essere una bravissima e timida fanciulla. Quindi, andiamo !” Si era impuntata con entrambe le braccia su i fianchi, stile carabiniere, e iris la sorprese con un abbraccio travolgente. “Si, si, va bene. Quando ti incrociavo alla gelateria non mi sembravi una ragazza tanto emotiva.”

Il parco era tenuto meglio di quanto Iris si aspettasse, aveva persino un aspetto gradevole, l’unico tasto dolente erano gli onnipresenti bisogni canini. Janet le spiegò che nel periodo delle vacanze ci si poteva trovare giusto barboni o drogati (e vista la sua naturalezza Iris si chiese un’altra volta se la sua amica avesse mai avuto paura di qualcosa), invece nei periodi tranquilli la fontanella e in alcune panchine strategiche si riunivano le compagnie dei ragazzi. “A me piace anche così …” “Che hai gusti eccentrici l’ho già capito da un pezzo, Iris.” Un sorriso fece capolino sulle sue labbra e si accomodarono entrambe su una panchina di fianco alla fontanella. Era prima volta che non si sentiva offesa ad essere vista come una strana: Janet l’accettava. “se scoprissi che un tuo amico è un vampiro, o un cagnone troppo cresciuto lo vedresti come un mostro ?” Alla sua uscita improvvisa Janet alzò gli occhi al cielo e sorrise. “Cos’è? Un testo su quanto possa essere simile a Bella?” Lo aveva preso come un gioco e Iris subito cavalcò l’equivoco. “Allora?” Aveva inghiottito a vuoto, tuttavia l’amica sembrava non essersi accorta del suo disagio. Janet corrugò la fronte, concentrandosi, e poi scosse il capo facendo volteggiare la treccia: “Non credo che potrei accettare subito ogni cosa, la storia di Bella e Edward in questo senso forse è troppo immediata.” Incrociò il suo sguardo e Iris sentì un macigno schiantarsi sul suo petto. “Comunque, penso che alla fine non mi cambierebbe niente: se uno è il mio ragazzo o la mia migliore amica, non credo che una dieta diversa o qualche problema di peluria potrebbero cambiare la cosa. Resterebbe sempre la persona che conosco. Continuerei ad aver fiducia in lui, o lei.” Aveva parlato d’un fiato e con una serietà quasi da discorso pubblico, eppure per Iris era stato come se avesse appena udito la più bella tra le melodie: forse erano solo parole, ma forse se le avesse parlato dei suoi segreti non l’avrebbe additata dandole del mostro ! Le tirò la treccia e li balzò in piedi con un’agitazione improvvisa. “Cosa?” “Me l’ero dimenticata! Cavolo! Cavolo! Cavolo! Dopo domani arriva mio cugino e io volevo organizzarvi qualcosa ...” Aveva un’aria furba e Iris ebbe un momento di panico. “Come? Cosa hai? Perché tuo cugino …” “Tranquilla, è fico e non troppo maniaco del pallone. Hai ancora bisogno di scioglierti e in questi casi un ragazzo è perfetto.” “Ma, ma, ma.” Lei le batté una mano sulle spalle: “Calmati, non è un vampiro e gli ho parlato di te più che bene.” Ammiccava scherzando, ciò nonostante Iris non si sentiva affatto tranquillizzata.

§§§

Ilaria aveva la sciocca sensazione di partecipare a una sfilata in solitaria, stese sul letto una gonna verde scura e inspirò profondamente, assaporando la vista di tutti quei capolavori. Il suo angelo era sorprendente, poteva pesare di lui qualunque cosa, tuttavia di sicuro adesso aveva la prova del suo buon gusto nel vestire. Prese un topo aderente, abbinandola a una minigonna nera, e nel momento in cui si specchiò non poté far a meno di compiacersi: la gonna e arrivava poco sopra le ginocchia e creava un effetto vedo non vedo, mentre il top aderente le evidenziava più che esplicitamente il seno. Era tanto che non si metteva in tiro e vedersi bella le dette una certa sicurezza. “Chissà cosa penserebbe a vedermi vedendomi così.” Si passò un dito sul ventre scoperto e d’impulso uscì dalla camera. Le sue amiche le mancavano da morire e aveva una voglia terribile di raccontar loro quello che sentiva, o credeva di sentire, per Eric. Afferrò il cellulare e nel portarlo all’orecchio si ripeté per ben tre volte che era una pessima idea. Alla fine però non resistette e compose il numero a memoria, in mezzo minuto la voce registrata le comunicò che Lily non era al momento raggiungibile e allora digitò con sicurezza il numero della più affidabile Emily, restando in attesa. Era buffo che adesso le venisse meno il respiro ad ogni –tuuu- proveniente dall’apparecchio. “Dai! Rispondi!” “Pronto?” “Ciao...” Emily sembrava tranquilla e dal rumore di sottofondo riconobbe la musica del Blood Moon: loro tre avevano fatto un vero e proprio abbonamento a quel locale. “Ila? Sei tu?” Percepiva incertezza e aspettativa, per un attimo Ilaria si sentì  soffocare dall’affetto che provava per quelle sue testarde amiche. “Sto bene Emi, e tu riesci a sopravvivere alla compulsiva caccia al maschio di Lily?” A immaginarle girare per locali le labbra di Ilaria si piegarono in un sorriso sottile. “Non me ne parlare, si è fissata con l’ultimo DJ assunto da Maxwell e infatti adesso è a fargli gli occhi dolci. Non che i ragazzi siano propensi a  guardarla negli occhi, dovrebbe controllare meglio le sue scollature vertiginose.” Rideva e Ilaria riconobbe dietro la sua manifesta disapprovazione il divertimento per le situazioni in cui si tuffava la loro impulsiva amica. “Mi mancate, lo sai vero?” Di solito la dominava, però la nostalgia era comunque lì, pronta ad acchiapparla non appena abbassava la guardia. “Maxwell fa sempre il finto orso?” “Che altro ci si potrebbe mai aspettare da lui?” Emily s’immaginò l’amico con un travestimento da orso coccoloso e il riso proruppe spontaneo. “In ogni caso, spiegami: sei partita dall’oggi al domani con un bel fusto che non avevamo mai visto e ti manchiamo no?” La sua imitazione dei toni tipicamente accademici era impagabile. “Hai forse battuto la testa?” “No, no, no …” Rideva e per evitare di cadere in terra si appoggiò ad una poltrona. “Tra noi non c’è niente.” “In questi mesi ti sei forse fatta suora?” Allo sgomento dell’amica rispose con uno sbuffo stizzito. “Siamo solo amici, quindi piantala, sembri una suocera che spasima per accasare la figlia single.” Emily non rispose subito e dalla diminuzione del volume della musica Ila pensò che stesse cercando un posto più silenzioso. “Quando sei partita lo guardavi come una principessa fissa il suo cavaliere dalla scintillante armatura e la tensione sessuale tra voi era palpabile. Pensa che con Lily abbiamo addirittura fatto scommesse su quanto ci avreste messo per finire a letto. Si tratta forse di un problema di lunghezza della spada?” Ilaria sbatté il sedere sul pavimento e rischiando di strozzarsi emise una serie di suoni grotteschi: on avevano niente di più interessante da fare che scommettere su di lei e la… Spada di Eric ? “Non è che senza avermi in carne ed ossa mi avete trasformato in un argomento di Gossip, eh? “In realtà il gossip riguarda più il tuo ragazzone: non riuscivamo a immaginare da sotto quale cilindro lo hai tirato fuori e Maxwell si ostina a tenere la bocca sigillata.” Ilaria non fece fatica a immaginarla imbronciarsi. “Tornerò presto e allora potrete sottopormi ad un interrogatorio completo. Vi voglio bene.” Non aspettò la risposta di lei e una volta chiuso il cellulare lo fece roteare sulla sua mano, per poi appoggiarsi sul tavolino. “Io ed Eric, una cosa fuori dal mondo !” Ultimamente era sempre lui a incaricarsi dei pasti, però sentire Emily le aveva fatto venir voglia di cucinare. Gli avrebbe fatto una sorpresa !

§§§

Eric apparve in ginocchio, poco fuori dal bosco, indossava un trench nero un poco bruciacchiato e aveva le ali spalancate per la lunghezza del loro diametro.  Si mise in piedi con uno sforzo e nel richiudere le ali frementi parve trovare un minimo di sollievo. Ilaria stava facendo passi da gigante, eppure gli Anziani non facevano la loro mossa. “Non che la loro immobilità mi dispiaccia più di tanto, è solo che non capisco. Stanno programmando qualcosa e senza notizie da Castar non sarò in grado di reagire nel modo giusto.” Si passò la mano sinistra sulla faccia e ancora immerso in quelle considerazioni provò a immaginare chi avrebbero mandato a sistemarlo: il vecchio Riel e Anyel amavano dirigere e quindi non si sarebbero mossi personalmente, restavano quella pulce schizofrenica di Caiel e Meiel: il colosso con il cervello grande al pari di una nocciolina. Alzando la testa scorse la sagoma della casa illuminata e strinse la mano destra per un paio di volte: stare con lei era pericolosamente allettante, eppure gli altri non lì avrebbero ignorati all’infinito. “E poi Ilaria rimarrebbe con me?” Non sapeva la risposta o forse non la voleva neppure sapere, perché qualunque fosse stata avrebbe portato con se complicazioni e problemi. Doveva concentrarsi sulle cose semplici e gestibili: gli allarmi erano intatti e al loro posto, quindi erano ancora al sicuro. Appoggiò il palmo alla porta di casa e concentrandosi fu sorpreso dalla sensazione di fermento che la ragazza trasmetteva: aveva sbagliato qualcosa con i vestiti che aveva scelto per lei? Aprì con mosse silenziose e un odorino appetitoso gli stuzzicò le narici. Seguì la pista, vino ad arrivare alla cucina e ci trovò Ilaria: la ragazza si muoveva con inaspettata destrezza tra insalata mista, arista e qualcos’altro che ancora gli sfuggiva. Al suo ingresso nella stanza non aveva avuto nessuna reazione ed Eric decise di restare sulla soglia, per osservarla con tutta calma. Sembrava serena, felice, ed era così bella: la gonna corta attirava lo sguardo sulle gambe flessuose e le cadeva a pennello, mentre il ventre piatto e il top attillato erano uno spettacolo per gli occhi. Eric sbatté le palpebre, coprendosi la faccia con la destra e si umetto le labbra: sentiva il corpo in fiamme, tuttavia non era il fuoco del potere che lo accompagnava da segoli. Probabilmente la convivenza con quella ragazza lo stava lentamente portando al delirio.

§§§

Anyel storse il naso e atterrò con mosse eleganti all’interno del piccolo anfratto tibetano, il mantello color porpora svolazzava in balia del vento e dopo aver ritirato le ali lo chiuse con un fermaglio ingioiellato. “I tuoi gusti nello scegliere i luoghi per le nostre riunioni private non sono affatto migliorati.” Era sprezzante e da come si guardava intorno il suo disgusto era trasparente. “Preferiresti che le nostre parole fossero udite in un salone dorato? Magari colmo di sudditi adoranti? Mi spiace, ma è una cosa un po’ troppo distante dalla mia idea di segreto conciliabolo. Sono comunque aperto ai suggerimenti: la prossima volta potremmo usare la piazza di una qualche città umana, che ne pensi?” Il suo tono traboccava d’ironia e dopo un istante la figura canuta di Riel emerse dal buio della caverna. “Stai sempre a programmare anche i dettagli più superflui, sembri un piccolo ragno grinzoso che s’impegna a tessere la propria tela.” Teneva le mani intrecciate davanti al petto, vestiva con un abito di foggia monacale color verde chiaro e le sue inquietanti iridi bianche stavano fissando Anyel con un’insistenza inquietante. Un gesto dell’altro fu sufficiente a creare una sfera grande quanto un pugno e l’ambiente fu subito rischiarato da una luce purpurea. “Le cosa stanno andando esattamente come avevamo programmato, ciò nonostante non smetti di assillarmi con i tuoi complotti.” Adesso il Primo degli Anziani aveva un’aria scocciata, Riel imprecò a mezza voce e con uno schiocco di dita illuminò la caverna con decine di bagliori nero brillanti. “Sono sempre occupato a tessere inganni perché qualcuno deve pur farlo, non dimenticare che ciò che sei oggi e merito mio ! Quel che ho dato posso sempre riprende melo. Fino a quando non lì troveremo non possiamo permetterci di rallentare. Non dimenticarlo mai.” Al dissolversi della sua voce irritata la caverna tornò al buio e quando Anyel cerò tracce del compagno scoprì di essere rimasto solo.

§§§

Castar non capiva come alcuni tra i suoi fratelli potessero preferire stare a terra, muoversi seguendo le correnti gli liberava sempre la mente e il cuore e ora ne sentiva un estremo bisogno. Gli anziani non avevano rinunciato alla ricerca di Eric e dell’umana, però ciò che lo turbava di più era il fatto che avessero incaricato Meiel di concentrare le sue forze qualcosa che almeno apparentemente gli spaventava a morte. “Cosa può agitarli così tanto?” Sbuffò e mentalmente si ripeté che doveva trovare un modo sicuro per comunicare le novità ad Eric. Scese mantenendo un’espressione estatica e vedendo una piccola folla radunarsi nella sala delle dimostrazioni tornò ad avere un’espressione imperscrutabile: Meiel era certamente meno cervellotico di Sihel, però la sua smania di tenere in riga le truppe con il pugno di ferro implicava una serie di lividi perenni quanto tatuaggi.

 

§§§

Come lo intitolo questo ? Si accettano suggerimenti, consigli, critiche e quant'altro !

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Piccoli Progressi (A.A.A. Il mio regno per un titolo decente)) ***


“Coff, coff.” Il suono inaspettato dei colpi di tosse strappò ad Ilaria un gridolino isterico e per poco la ragazza non lasciò cadere il vassoio che teneva tra le mani. “Cosa?” Le parole le morirono sulle labbra e l’incarnato del suo volto divenne assai simile a quello di un peperone: Eric la stava fissando e lei non l’aveva nemmeno sentito entrare. Porco gatto ! “Ciao, mi hai spaventato.” “Lo vedo.” Eric abbozzò un sorriso, (la stava forse sfottendo?), e si avvicinò ai fornelli. Ilaria era rimasta immobile e si torturava il labbro inferiore con piccoli morsi: non voleva in nessun modo rendere manifesta la sua irritazione, la sua cena di ringraziamento stava cominciando in salita e dopo la fatica che aveva fatto non poteva incasinare tutto. “Volevo ringraziarti per il guardaroba, sei stato gentile.” Perché all’improvviso non riusciva a uscire dai formalismi? Perché quella dannata faccia di bronzo fissava l’arista senza fare un commento sulla gonna o il top? Stronzo. “Dal profumo si direbbe tutto gustoso. Spero di non aver sbagliato troppe taglie o dimenticato niente.” “No, era tutto perfetto.” Rispose automatica, con un sorriso accennato e una sempre più crescente frustrazione: sbagliato taglie? Mi vede forse ingrassata? Ilaria si sentiva un groviglio inestricabile di nervi ed emozioni incontrollate. Il momento in cui avrebbe voluto davvero scomparire fu quando, una volta a tavola, le dita di Eric sfiorarono le sue e lei si lasciò sfuggire un breve ansito: perché? Perché, porco gatto maledetto! Eric aveva lo stramaledettissimo potere di farla comportare come un’adolescente alla sua prima cotta !

Quando era così concentrata gli sembrava che la sua Ilaria risplendesse di luce propria. La sua? Eric scosse la testa, cercando di non fermarsi troppo sulla propria perplessità: Ilaria non era sua e mai lo sarebbe stata. “Coff, coff.” Voleva soltanto far notare la sua presenza, in modo pacato, eppure anche in quel modo l’aveva colpita alla sprovvista. “Cosa?” Ilaria si era lasciata sfuggire un urlo e vedendola arrossire Eric si sforzò di mantenersi distaccato e non riderle in faccia. Ovviamente, ciò non voleva dire che la sua espressione contrita non fosse esilarante. “Ciao, mi hai spaventato.” “Lo vedo.” Era strana e ad Eric sembrava anche in qualche modo imbarazzata, ma perché? Aveva paura di aver sbagliato a cucinare qualcosa ? Tuttavia il profumo e l’aspetto erano invitanti (e non solo quelli delle pietanze). Allora si avvicinò ai vassoi con passo tranquillo e cercando di non guardarla: era tutto perfetto, quindi perché la sentiva così rigida e tesa? “Volevo ringraziarti per il guardaroba, sei stato gentile.” Eric fece un sospiro impercettibile, questo proprio non se l’era aspettato: cosa diamine aveva fatto per farla tornare ad un atteggiamento da primo incontro? Presto si sarebbe dovuto aggiornare comprando due manuali importantissimi: il primo, per capire se stesso e come Ilaria influiva sulle sue sensazioni e il secondo proprio sulla sua protetta. Un momento la capiva e quello successivo tornava ad essere un enigma privo di indizi. “Dal profumo si direbbe tutto gustoso. Spero di non aver sbagliato troppe taglie o dimenticato niente.” “No, era tutto perfetto.” Ok, se non erano i vestiti perché nessuno dei due era più riuscito a spiccicare parola e adesso si trovavano a tavola uno di fronte all’altra? E perché sentiva il desiderio di averla più vicina? Perché non riusciva a fare a meno di studiarle le labbra carnose tra una forchettata e l’altra? Ilaria, la ragazzina che aveva aiutato oltre un decennio prima, perché bramava così tanto il suo contatto? Le loro dita si sfiorarono per caso e una piccola scossa elettrica l’attraversò improvvisa. Per quanto Ilaria facesse finta di niente e fissasse il piatto con massima concentrazione Eric aveva percepito con chiarezza la sua reazione: la scossa non era passata inosservata neanche a lei.

§§§

Sapeva che era metà mattina e sentiva sua... Madre, era ancora parecchio strano chiamarla così, affaccendarsi per i corridoi della casa. Erano passate poche ore, malgrado ciò l’idea dell’appuntamento che le aveva combinato Janet non smetteva di provocarle un frustrante capogiro: lei e un ragazzo da soli? Cos’avrebbe fatto? Le sue uniche esperienze in materia risalivano alla rissa con i quattro compagni di scuola che avevano pensato di divertirsi a sue spese e alla terza famiglia affidataria, dove il suo fratellastro acquisito l’aveva inchiodata a un muro strizzandole le tette con le mani umidicce. L’aveva addirittura baciata con la grazia di un viscido merluzzo e per liberarsi gli aveva dato un calcio nelle palle, con tutta la sua forza, arrivando a schiacciargli un testicolo. L’ovvia conseguenza era stata un viaggio di ritorno per direttissima all’istituto. Aveva pochissima esperienza sull’argomento maschi, tuttavia era abbastanza sicura che non avrebbe dovuto trattare in quel modo anche il cugino di Janet. “Vado, o non vado?” Se lo ripeté allo specchio per almeno dieci volte e alla fine uscì dalla camera per raccontare ad Anna dell’appuntamento (ma lo era davvero?) con il fantomatico cugino di Janet.

§§§

Il messaggero atterrò di fianco a Caiel e prima di aprir bocca le sue ali fremettero per un brivido di soggezione. “Mio Signore.” Caiel schioccò le dita e mentre le parole gli si strozzarono in gola il corpo del suo servitore fu avvolto da delle fiamme verdognole. “Avevo detto che non volevo essere disturbato, spero per te che sia importante.” Si voltò, osservandolo con distacco, e con un veloce gesto del palmo le fiamme che avvolgevano il suo uomo si dissolsero. Ora rantolava sul pavimento e le sue ali grigie emettevano sbuffi di fumo, la sua mano tremava come se fosse malato di Parkinson e a malapena riusciva a parlare. “Grande Caiel, le ricerche del traditore e dell’umana non stanno producendo risultati. Le spie grazie a cui seguiamo gli spostamenti di Castar riferiscono che per ora è una creatura diligente, pronta ad ubbidire ai desideri dell’Anziano Meiel.” Ansimava, tuttavia nell’osservare la sua condizione il volto infantile di Caiel non ebbe il minimo cambiamento. “Grande? Non ho mai apprezzato l’ironia su questo argomento.” Allontanò lo sguardo dalla figura tremante e questa fu ancora una volta tormentata dal fuoco. Le sue urla agonizzanti accompagnarono il cammino dell’Anziano verso le stanze vicine. “Sono inutili, inutili, inutili. Comunque, se Castar si diverte a interpretare la parte del soldatino tornato nei ranghi vorrà dire che darò sfogo alla mia creatività per giocare con te e la tua amica umana.” Accarezzò un muro coperto parzialmente da un affresco raffigurante Apollo e con un gesto accese il focolare nell’angolo. “Eric, sarà molto divertente.”

§§§

Iris mise piede nel terzo camerino e appese i vestiti di fianco allo specchio. Fissò la sua immagine riflessa e si accorse di stare sorridendo. Dire che Anna l’aveva sorpresa sarebbe stato poco: era riuscita appena ad accennarle dell’appuntamento che la donna aveva cinguettato come un usignolo e l’aveva trascinata fuori di casa. A quanto pare il primo pseudo - appuntamento di sua figlia doveva essere festeggiato con uno shopping sfrenato, da come era contenta sembrava quasi che fosse lei a prepararsi per uscire. “La sua energia è contagiosa, è bello avere una mamma così.” Sussurrò questa confessione alla sua immagine riflessa e dopo un istante si tolse pantaloni e maglietta per indossare i jeans e la polo che aveva scelto. Restò in silenzio per un intero minuto e alla fine annuì, riuscendo in qualche modo a trattenersi dal cominciare a saltellare sul posto: era stradiga ! Anna confermò la sua impressione con un mugolio di approvazione e Iris d’istinto le mise le braccia al collo: aveva trovato la Mamma migliore del mondo !
 

§§§

Anche qui non ho idea di che titolo metterci... ma visto che in precedenza non è arrivata l'ombra di un suggerimento non so se aspettarmente qualcuno per questo.... Boooh
In ogni caso buona pasqua !! (è anticipata ma non si sa mai quando riappaia :-p)

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Attacco Generale ***


Ilaria spaziò lo sguardo lungo la stanza, come se si aspettasse che potesse improvvisamente cambiare, era tutta la mattina che non riusciva a stare ferma e cominciava seriamente ad intuire le emozioni degli animali in cattività. Più si sforzava di ignorarli e più i ricordi della cena si facevano vividi: perché era stata tanto tesa ? Perché aveva interpretato ogni piccolo gesto o complimento di Eric come qualcosa di cattivo e puntiglioso? Un momento lo voleva stringere tipo peluche e l’attimo dopo l’avrebbe preso a volentieri a calci fino al Polo Nord. Questa altalena di emozioni era normale? In realtà, con tutto quello che stava succedendo forse era comprensibile che non facesse caso ai vestiti che lei indossava. Lo capiva, eppure non bastava a farle dimenticare il modo in cui Eric aveva spudoratamente ignorato il fatto che si fosse tirata a lucido, “Mi sono sforzata in ogni modo, ma non riesco più a negarlo. Neanche a me stessa.” Giocherellava con la spilla a forma di piuma, uno stupido gesto di distensione che le permetteva di ritardare, anche solo di pochi istanti, ancora il momento in cui lo avrebbe detto ad alta voce. All’improvviso la strinse nel palmo e si sedette sulla sponda del letto. “Lui ha secoli, per non dire millenni di esperienza, ed è virtualmente immortale.” Allora inghiottì a vuoto, percependo negli occhi un pizzicore premonitore di lacrime. “Mi vedrebbe come una stupida, lo considererebbe soltanto il complesso della principessa infatuata del suo cavaliere, tuttavia non riesco a soffocare quello che provo. Mi piace, lo desidero …” Si fermò, come se la frase successiva fosse fin troppo grossa per le sue stesse orecchie. “Io lo amo, terribilmente, e mi sento una stupidissima adolescente.” Si morse le labbra e accostò la spilla alla fronte: i suoi sentimenti erano sciocchi, se ne rendeva conto, tuttavia non poteva continuare ad ignorarli. Scagliò la spilla in un angolo, frustrata, e dopo qualche minuto la riprese subito da terra. Se continuava a rimuginarci il cervello le sarebbe scoppiato: doveva tenersi occupata o altrimenti sarebbe sul serio impazzita. Seguendo questi pensieri Ilaria si decise a fare una doccia gelata, sperando che quel gelo bastasse a scacciar via anche i suoi sentimenti, e indossata felpa e Jeans uscì di casa. Sapeva che era pericoloso uscire da soli, tuttavia non era paranoica quanto Eric e non le sembrava giusto che continuasse ad occuparsi da solo degli approvvigionamenti. Inoltre, quel testone aveva ripreso l’abitudine di sparire senza dire niente e un po’ di shopping era un buon metodo per non pensare a quanto le mancasse. “Almeno fino a quando non troverò il coraggio per parlargli, se mai accadrà.”

§§§

Iris si sentiva felice e desiderata, solo il cielo sapeva da quanto non provava entrambe quelle sensazioni. La giornata di acquisti con Anna era stata favolosa e in un certo senso le aveva fatto finalmente capire come sarebbe potuta essere la sua vita senza i mostri. Rientrando a casa avevano scoperto che il si signor Anderson non era ancora arrivato, così Anna si era messa a preparare la cena e li si era preparata un bagno. Essere riempita di attenzioni la inebriava e al pensiero che entro poche ore avrebbe incontrato Dario il suo cuore batteva al ritmo di una macarena. “E se poi non gli piacessi? E se dicessi qualcosa di stupido?” Si era concessa di esprimere questi dubbi soltanto nell’intimità della vasca tiepida, in fondo la paura del rifiuto era ancora più che radicata nel suo intimo. “Allora, come abbiniamo i colori?” Anna era entusiasmo allo stato puro: non appena Iris era uscita dal bagno l’aveva trascinata nella sua camera e ora studiava, con l’attenzione di uno stilista navigato, tutti i possibili accostamenti di abiti che le venivano in mente. Iris si limitava a osservarla, annuendo o facendo una smorfia quando le proponeva magliette con brillantini o la faccia di un cartone animato. Era un’uscita e lei non era una poppante. 

Ok, ora però la cosa stava diventando paradossale: non aveva detto “Beu” a nessuno dei consigli di Anna, infatti tra pochi minuti sarebbe uscita indossando un paio di fuseau, scarpe da ginnastica semplici e una polo color rosso papavero. Tutto rigorosamente consigliato da sua mamma, ma  sul trucco era irremovibile: la sola idea le dava la sensazione di trasformarsi in un pagliaccio. Da quando le aveva detto che non si sarebbe truccata sua mamma la guardava con una silenziosa disapprovazione, era una cosa strana: era sul serio così grave dire no a qualcosa? Iris dette un’ultima occhiata ll’ingresso, Paul era tornato e le stava rivolgendo un sorriso colmo di incoraggiamento, mentre sua mamma la fissava con un broncio di disappunto. Lì strinse entrambi in un veloce abbraccio e corse fuori. Richiusa la porta alle spalle si avvicinò ad un muretto di fianco alla casa e fece un sorriso sghembo. “Certo che anche le dinamiche dei genitori giusti sono ben strane.” Se lo lasciò sfuggire guardando i passanti e un sorriso beato apparve sulle sue labbra: nelle altre famiglie era stata una gara al rilancio per chi si disinteressava di più, ma fino ad ora gli Anderson erano sempre stati lì, pronti per lei. Dopo un istante Iris scacciò queste cupe riflessioni e tornò a guardarsi intorno: Janet le aveva detto soltanto il nome di suo cugino, Dario, e quindi uno qualunque dei ragazzi che passavano poteva essere lui. Sinceramente, non sapeva cosa aspettarsi.

§§§

Eric era arrivato alla piccola piazza con largo anticipo ne aveva approfittato per prendersi un caffè. Da quando aveva preso con se Ilaria si era sforzato di tagliere ogni contatto con le schiere alate e proprio per questo la richiesta di un incontro da parte di Castar l’aveva fatto all’armare: Come l’aveva trovato? Era in pericolo? L’ultima volta erano rimasti che si sarebbe riunito al gregge per raccogliere informazioni, tuttavia il darsi alla macchia aveva reso abbastanza fuorvianti quegli accordi. Se anche Castar avesse scoperto qualcosa di grosso poteva non avere i mezzi per riferirglielo, allora come diamine gli aveva mandato il messaggio? Si scostò un ciuffo dalla fronte e fece uno sbuffo scocciato: quando era in compagnia della rossa quasi non riconosceva più se stesso, con lei arrivava a dimenticare la loro condizione di latitanza, il pericolo della sua rivolta contro gli Anziani e tutto il resto. “Per quanto lo voglia, purtroppo non siamo in tempi tranquilli e a conti fatti i senza ali rischiano anche più di noi alati.” Erano riflessioni amare, soprattutto all’idea di quanto le volesse bene. “Eppure io per lei non sono altro che qualcuno che l’ha catapultata in un mondo ai limiti della follia.” Riflettere su quel che provava lo rendeva triste, così tornò a guardare la piazza, e soffocando un’imprecazione  si chiese quali casini fossero in grado di far ritardare il suo amico.

Bastò una frazione di secondo ed Eric percepì la presenza di qualcuno che veniva verso di lui. Saltò appena in tempo per vedere il cemento su cui si era fermato ridursi in frantumi, per poi appoggiarsi a un balcone e rendersi conto di aver fatto la figura dell’idiota: Castar non gli avrebbe mai dato appuntamento a un’ora e in un posto così pieni di umani! Era una trappola e il numero degli avversari che si stavano rivelano rappresentava un segno bizzarro della reputazione che si era fatto agli occhi del mandante. “Non c’è modo di parlarne?” Non sapeva bene a chi si stesse rivolgendo, aveva un tono afflitto e un’aria quasi scocciata. “Non ci sono parole che spieghino il tradimento!” La risposta aveva un’origine indistinta, dava l’idea di provenire da ogni dove, e digrignando i denti Eric ribatté con poco più di un mormorio. “Odio giocare a nascondino.” Tre ombre emersero dall’appartamento di fianco al balcone dove si trovava e con un salto all’indietro Eric evitò ancora una volta i loro fendenti. “Sempre con questa vuota retorica, pensare che alcuni di noi son tanto vecchi da aver conosciuto Cicerone.” Il suo atteggiamento continuava ad apparire indolente, quasi divertito, e all’ennesimo attacco di un avversario Eric si limitò a evitarlo con una mezza giravolta. Poi, appena prima che questi tornasse nel gruppo, lo afferrò per la gola e lo fissò dritto negli occhi. “Non ci siamo, non ci siamo proprio. Non sembrate una vera squadra, mancate di sincronia, siete più simili ad un’accozzaglia di derelitti. Beh, almeno non avrete problemi a raccontarmi i vostri piani riguardo a questo assalto casareccio.” Lanciò l’angelo contro il palazzo accanto e raccolse la sua arma: ora si che si sentiva a suo agio. “Che dite, si comincia?”

§§§

Osservare il mondo attraverso gli occhi dei suoi manichini era sempre stato divertente e in questo caso risultava anche molto comodo: sfruttando le sue creature avrebbe comodamente tenuto d’occhio l’irruenza di Eric e allo stesso tempo si sarebbe occupato della sua piccola Nephlim. Lo scorrere dei secoli non aveva influito in modo particolare sul traditore, che aveva mantenuto un carattere distaccato e intransigente, tuttavia quella femmina c’era riuscita. Forse aveva fatto anche di più, visto che sotto la sua scorza odierna poteva percepire la scorza di rabbia così estranea al vecchio Eric.

“Prima di andarsene non si è neanche disturbato a controllare le difese.” L’immobile era apparentemente vuoto, e quando volse lo sguardo all’ambiente circostante il sorriso compiaciuto lasciò le sue labbra di bambino. “Così è troppo facile, però sarà lo stesso interessante scoprire come reagirà alla vista del cadavere di quella ragazza.” Si fregò le mani con soddisfazione e nel suo unico occhio sano apparve una luce sinistra. Si lasciò andare ad una risata di follia e il ciuffo di capelli che gli copriva parte del volto si scoprì leggermente: al posto dell’occhio sinistro, parzialmente coperto dalla pettinatura, c’erano un’orribile cicatrice trasversale e un’orbita vuota.

§§§

In tutta la sua esistenza aveva sempre odiato i damerini abituati a riempirsi la bocca con dichiarazioni altisonanti, quasi sempre si dimostravano soltanto ciarlatani e non raggiungevano mai un effettivo risultato. Per questo aveva scelto di servire l’anziano Caiel e si era offerta volontaria per guidare l’offensiva, così che il suo padrone avrebbe avuto tutto il tempo per pensare all’umana. Purtroppo, anche i piani meglio elaborati erano soggetti a imprevisti e sia le bambole che i novellini del suo contingente si stavano dimostrando maledettamente scadenti. Eric era riuscito a soverchiarli dal primo momento, con distacco derisorio ed esperienza. Per quanto fossero superiori di numero, non erano ancora riusciti a fargli un solo maledetto graffio. “Sei sempre stato abile e vederli cadere ai tuoi piedi m’infiamma come mai prima.” Si umettò le labbra, continuando a seguire la lotta e all’improvviso l’espressione imbronciata del suo volto fu sostituita dall’eccitazione. “Alla fine nessuno di loro riuscirà a fermarti, lo sapevo, solo io posso domare il tuo fuoco. Eric, sarai mio prima dell’alba.”

Eric fermò la caduta aggrappandosi a un palo, che sotto il suo peso si piegò come fosse fatto di burro, ormai stavano raggiungendo la periferia e una volta lì si sarebbe potuto muovere più liberamente. In ogni caso, il problema del loro esorbitante numero restava ancora più che mai tangibile. Trenta. Non riusciva ancora a crederci, gli avevano messo alle calcagna un’intera trentina di sgherri, e per quanto ne avesse stesi una decina durante la corsa, l’incognita sulle potenzialità dei restanti era un qualcosa da non sottovalutare. Digrignò i denti e mentre lì osservava avvicinarsi gli apparve alle spalle un giovane dai capelli color del grano. Questi aveva la schiena sormontata da un paio d’ali frementi e nella sinistra stringeva una corta sciabola: scrutò Eric per qualche secondo, quasi non riuscisse a credere a chi si trovasse davanti, poi il dubbio e la sorpresa furono soppiantati dalla decisione. Con un gesto deciso Gli affondò la lama nel bel mezzo delle scapole e quando sfilò la lama dal suo corpo lui cadde sul marciapiede con un rantolo.

“Ce l’ho fatta ! Ho fermato il traditore !” Jinael era in preda all’euforia, ancora non si capacitava di essere riuscito nell’impresa. Nessuno dei veterani di Caiel l’aveva mai trattato con rispetto, per loro  era meno di una delle bambole dell’Anziano, ma nonostante questo lui c’era riuscito e loro avevano fallito: aveva  trovato Eric, l’aveva colto di sorpresa grazie a una semplice mimetizzazione e come ciliegina sulla torta l’aveva infilzato come uno spiedo. “Non eri poi granché, solo uno sporco cane che ha rifiutato i propri fratelli per queste disgustose senza ali.” Aveva dimostrato il suo valore, una volta tornati magari lo avrebbero premiato con un titolo e gli Anziani stessi avrebbero lodato il suo valore !

§§§

Iris superò l’auto con un salto, per poi riprendere fiato rotolando sul marciapiede. Correva da più di una ventina di minuti e loro non avevano ancora mostrato l’ombra di un cedimento. Era nei guai, in grossi guai. Va bene, lei non credeva alle favole da quando aveva compiuto 10 anni e l’idea di un principe azzurrognolo che accorreva in suo aiuto era notevolmente fuori luogo. Comunque, le avrebbe fatto fottutamente comodo. Perché i mostri erano tornati proprio quella sera? Afferrò un lampione per darsi maggior spinta e svoltò il quarto angolo: le corse quotidiane le avevano donato una notevole resistenza, tuttavia non poteva ne voleva correre tutta la notte, e quei bavosi avevano sfondato un Suv sfruttando soltanto l’impeto del loro slancio. “Così imparo ad adagiarmi, sognare appuntamenti anche solo lontanamente romantici e una famiglia normale.” Iris se lo lasciò sfuggire con uno sbuffo d’amarezza: prima non aveva mai avuto niente, ma gli Anderson e Janet le avevano fatto sperare che le potevano cambiare. Grosso errore. L’ennesimo tonfo alle sue spalle la fece sussultare e per un pelo non inciampò  nelle crepe del malmesso marciapiede. Doveva almeno portarli lontano dagli Anderson, loro erano buoni e non meritavano di avere altri problemi.   

 

§§§§§§

Hola, rieccomi qua , pronto a lucidare i retini per la caccia ai dispersi. e lo so che vi state guardando intorno ma parlo proprio di voi :-p
Per quanto questo capitolo un titolo lo abbia, rinnovo l'invito ai suggerimenti rigurdo titoli consigli, critiche (a volte anche agognate in fondo) e quant'altro
Quasi dimenticavo, che sia la volta buona che ci siamo liberati del pennuto Eric?
Alla proxima !

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** I Mostri - Andreas ***


Iris frenò la bici con una sgommata, per poi caracollare a terra nella parte est del parco: non ce la faceva più, ma visto che le stavano ancora dietro Paul e Anna erano al sicuro. E lei ? Doveva mettersi una mela in bocca aspettando di essere sbranata come un maialino arrosto? “No.” In qualche modo trovò la forza per alzarsi e come una lepre guidata dal panico più cieco cominciò ad arrancare alla ricerca di un nascondiglio. “Salire in cima ad un albero, no. Mi ammazzerei con la caduta. Cespugli, mi scoverebbero nel giro di qualche minuto, e la zona per bambini sotto il loro impeto avrebbe la resistenza di un castello di carte.” Era così concentrata nel cercare una soluzione che alla fine arrivò davanti alla fontana, con il fiato corto e il cervello privo di idee. “Perché, perché?” Perché sta succedendo tutto questo ?” Le tornò in mente l’immagine del padre, con tutta la sua crudezza, straziato in un mare di sangue: avevano ucciso lui e la sua mamma, trasformando così la sua tranquilla infanzia nel peggiore degli incubi. Adesso che con gli Anderson sentiva… Sentiva di poter essere di nuovo una ragazza normale, felice, quelle maledette bestie erano tornate. Dei grugniti e un ringhiare sommesso alle sue spalle la colsero in fallo, strappandole un sussulto. Allora Iris si voltò con gesti misurati e lì vide: tre mastini neri con la bava alla bocca e zanne affilatissime che sporgevano dall’arcata superiore del muso. Avevano le pupille rosse come tizzoni ed il loro pelo scuro era lucido come il petrolio. La loro stazza abnorme lì avvicinava più all’immagine di pony troppo cresciuti che a una razza canina vera e propria. Erano mostri.

§§§

Castar ansimò appena e scrocchiò le dita: era stato stressante, ma alla fine era riuscito a stendere tutti e tre gli irritanti spioni che gli avevano affibbiato. Pensandoci bene c’era una certa ironia: quei tre erano stati inviati singolarmente da tre dei quattro anziani. Era bizzarro che in fondo il solo Anziano che si fidasse di lui fosse proprio Meiel. In ogni caso, i suoi cani erano stati sguinzagliati e il loro terribile odore era stato un percorso fin troppo facile da seguire. Cosa diavolo cercavano in quello squallido parco umano ? Non riusciva a immaginarlo, ciò nonostante dopo neanche un minuto che lo sorvolava scorse Iris irrompere nel giardino, cadere da una bicicletta e agitarsi in preda al panico.

Dietro di lei i tre mastini adesso ringhiavano minacciosi e la ragazzina impallidiva di minuto in minuto. Castar planò nascondendosi tra le fronde di un albero e mugugnò qualcosa di incomprensibile: a quanto pareva Meiel aveva scatenato i suoi mastini contro quella ragazzina umana, ma perché? Era lei la creatura in grado di terrorizzare tanto gli Anziani? A parte le chiare doti da podista non sembrava niente di speciale, ora poi non sapeva più dove nascondersi e tremava come uno scricciolo indifeso. “Non sono solito fermarmi alle apparenze, tuttavia trovo difficile credere che una cosina tanto fragile sia realmente in grado di fare qualcosa.” All’urlo di Iris rischiò di cadere dall’albero, una sorta di piccione troppo cresciuto,  le radici emersero dal terreno in un impeto violento e allungandosi in una danza sinuosa avvolsero tutti e tre i botoli ringhianti. “Le cose iniziano a essere più chiare, adoro i colpi di scena.” Dopo il primo sussulto si sorpresa Castar era tornato calmo, quasi soddisfatto per la piega che avevano preso gli eventi: il suo cervello finalmente stava mettendo a posto tutte le tessere del puzzle.

§§§

Jinael non era ancora riuscito a smettere di gongolare, sognava futuri sempre più gloriosi e saltava intorno al corpo esanime di Eric come un forsennato. “Chissà, considerando la scomparsa del grande Sihel potrei persino candidarmi per il quinto seggio.” Il sorriso colmo di soddisfazione sul suo volto fu però presto sostituito da perplessità e timore: il corpo di Eric si dissolveva davanti al suo sguardo e questa era una cosa tutt’altro che comune. Si chinò verso di esso, senza avere un’idea precisa su cosa poteva fare, ma prima che potesse avere anche soltanto l’ombra di un’idea percepì la pressione di una mano che gli sfiorava il fianco. “Chi…” Anche la più piccola parte del suo corpo fu improvvisamente invasa da un calore insopportabile e dopo una manciata di secondi per Jinael non ci fu altro che il buio. Eric fece capolino dall’ombra del vicolo e asciugatasi la fronte con una manica emise un verso sprezzante. “E con questo pivellino abbiamo quasi raggiunto la dozzina, non avrei mai creduto che esistesse ancora qualcuno tanto imbranato da cadere in illusioni così elementari. Meglio per me, speriamo che anche gli altri siano manovrabili come questo.” Il suo tono era sommesso e dopo un ultimo sguardo a Jinael, schiuse le ali: alcuni di quei rompiscatole erano fanatici frustrati come il biondino che aveva steso, tuttavia da diversi dei suoi inseguitori percepiva solamente una soverchiante sensazione di vuoto. Aveva perso del tutto il senno, altrimenti le voci sulle bambole di Caiel erano maledettamente vere. Era un’ipotesi inquietante, perché in quel caso il loro numero potenziale poteva seriamente metterlo in difficoltà.

§§§

Era  inverosimile: in qualche modo i suoni provenienti dalla città si erano attutiti fino a scomparire e adesso anche la natura sembrava addormentarsi placidamente. Erano trascorsi già diversi minuti da quando aveva sentito l’ultimo cinguettio degli uccelli e nonostante la brezza leggera anche le fronde degli alberi non emettevano alcun suono. Ilaria era stata tanto impegnata ad orientarsi che in realtà aveva appena iniziato a farci caso: tirando le somme, quella era una fottuta notte senza luna, sulla soglia di casa aveva evitato una decina di proiettili d’aria ed era a riuscita a depistare chi la inseguiva solo grazie a una buona dose di fortuna. Era entrata in quel labirinto travestito da foresta seguendo soltanto l’istinto e il panico, scoprendola adesso insonorizzata al pari di uno studio di registrazione. “Devo fare attenzione, chiunque sia sta tendendo le file di una trappola curata nei minimi particolari.”
Ilaria si morse la lingua, appoggiò la mano destra ad un tronco e si concesse un sospiro affaticato: non rammentava da quanto camminasse, mantenere la concentrazione all’interno di quella sottospecie di ampolla silenziosa la faceva sentire a disagio e le rendeva praticamente impossibile indovinare la direzione dei colpi. Il bastardo la stava fregando. Un taglio profondo si abbatté contro l’albero cui era appoggiata, lei si staccò sorpresa e una corrente d’aria formò attorno a lei una sorta di scudo traslucido. Ci rifletté per appena un secondo, strinse le mani a pugno e riprese la sua corsa a zigzag tra gli alberi: era una delle prime cose su cui Eric aveva insistito, se costretta alla fuga non avrebbe mai dovuto mantenere un percorso in linea retta. Una cosa simile avrebbe solo facilitato il tiro degli inseguitori. Odiava sentirsi indifesa e una fredda rabbia le bruciava nel petto, però nella foresta non aveva la minima possibilità. C’erano troppe ombre e nascondigli in cui mimetizzarsi, aveva bisogno di uno spazio aperto ! Era un pensiero pratico, una mezza strategia, ma un piede nel posto sbagliato la fece cadere a terra come un sacco di patate e con il poco fiato che le restava dovette optare per qualcos’altro. Arrivò a rotolare tra foglie secche e fango, i suoi vestiti ormai erano strappati in più punti e coperti di terra mista a sudore, non che Ilaria si fosse mai sentita una Miss Perfezione. Aveva il fiatone, lividi in tutto il corpo e per i più quella dannata notte estiva era così afosa da darle l’impressione che fosse mezzogiorno di fuoco ! Ilaria si rimise in piedi con la forza della frustrazione e prima di chiudere gli occhi intravide uno scoiattolo che la fissava dal ramo sopra la sua testa: quindi non aveva addormentato gli animali, doveva aver insonorizzato un territorio circoscritto. Allora inghiottì, sentendo sulla lingua il sapore amaro del sangue e strusciando i palmi delle mani lungo i jeans. Per quanto potesse sembrare sempre uguale lei era in grado di orientarsi senza bisogno di segnali sonori, un’altra delle fissazioni del suo angelo assente, ricordava che poco distante scorreva un piccolo fiumiciattolo. Quel trucco doveva avere per forza un raggio di azione limitato: gli avrebbe reso tutto con gli interessi. Dopo quel pensiero bellicoso il suo volto fu illuminato da un sorriso e lei allargò le braccia verso l’esterno. Passarono i minuti e una fragile nebbia l’avvolse: se il suo inseguitore amava giocare a nascondino, avrebbe scoperto presto che ci sapeva fare anche lei. 

Per il momento la cosa sembrava funzionare, nessun altro attacco arrivava a meno di tre metri da lei e questo le dava finalmente una certa libertà di movimento: iniziò a lasciare rami spezzati o impronte in bella vista sul terreno fangoso e più andava avanti più sentiva farsi più forte l’odore del fiume. Ancora un po’ e avrebbe dato al suo persecutore la lezione che si meritava. “Imparerai cosa accade quando si bruciano i preziosi acquisti di una donna.”Il pensiero irrazionale di quel piccolo falò riusciva ancora a irritarla parecchio.

§§§

Parata alta, passo indietro e affondo. Schivata e colpo di taglio alla gamba destra. Parata laterale, scarto indietro, scarto indietro e scatto in avanti con affondo e successivo fendente al fianco. Eric si muoveva con gesti esperti e per adesso la velocità sommata alla sua capacità di previsione erano bastate a impedirgli di ricevere ferite troppo gravi. Che Caiel gli avesse mandato contro soltanto dieci creature senzienti era in un certo senso indicativo: gli altri venti facevano parte della sua personale collezione di fantocci animati e si muovevano come se fossero un sol uomo. Dei maledetti burattini completamente privi di fantasia. “Va bene, lo spettacolo è buono e certamente lo consiglierò agli amici. Comunque vorrei che il regista venisse a ricevere gli applausi del pubblico, non sarà mica timido ?” Era stanco di giocare agli inseguimenti e cercava di provocare l’Inquisitore che guidava l’operazione con ironia e insulti più o meno velati. Per sua esperienza gli appartenenti alle classi superiori assai di rado erano dotati di pazienza. Come volevasi dimostrare, Eric ebbe giusto il tempo di decapitare tre degli ultimi sette manichini che una figura sul tetto di fronte si mosse fino a venire alla luce: volto ovale, capelli biondi riccioli, occhi affilati ed un aspetto efebico. Per finire, le guance erano illuminate da una spruzzata di lentiggini. Vestiva un abito lungo, color zaffiro, che lasciava scoperte le braccia e aveva un lungo spacco sul fianco. “Ti è piaciuta la rappresentazione ? Ho pensato che fossi annoiato, dopo così tante notti in compagnia di quella insulsa umana. Adesso però lei appartiene a Caiel e io sono volata da te per farti tornare il buon umore ! Adesso sei tutto mio.” Si umettò le labbra con un gesto lascivo ed Eric fu percorso da un’ondata di rabbia: Caiel aveva trovato Ilaria? E lui non era al suo fianco, perdeva il suo tempo con bambole ridicole e i contorti deliri di Andreas. Pianificava, pianificava e alla fine si comportava sempre da idiota ! “Andreas, ne abbiamo già discusso: non ho alcun interesse per i travestiti. Se quello che hai detto su Caiel ed Ilaria è vero ho particolarmente fretta.” Eric appariva calmo, eppure nell’istante in cui richiamò fulmini e fiamme Andreas gli vide in faccia la rabbia selvaggia che da secoli lo spingeva a volerlo fare suo. “Io sono una donna ! Sei uno screanzato, ma avrò tutti il tempo per farti imparare la buona educazione !” Nelle sue mani saettò una frusta e al suo schiocco dei proiettili d’aria partirono verso Eric. 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Idhael ***


Iris cadde a terra, ansimante, ma nonostante il panico non smise di tenere d’occhio i mostri: sembravano intrappolati tra le radici di alcuni alberi e tuttavia lei non si fidava della loro apparente impotenza. Le faceva male il petto, come se fosse stato schiacciato da qualcosa d’invisibile, le tremavano le mani e sinceramente non sapeva più cosa pensare. Tranne che per gli alberi che avevano preso vita stava accadendo tutto come nella maledetta notte in cui aveva avuto la sfortuna di incontrarli per la prima volta: suo padre all’ingresso, in un lago di sangue, e sua mamma piegata su se stessa con lo squarcio di un morso che le deturpava orribilmente il ventre piatto. I suoi genitori erano morti l’uno accanto all’altra e lei aveva pianto, aveva urlato fino a perdere la voce. Allora lì aveva scossi implorandoli di svegliarsi, non riuscendo neanche ad immaginare che fossero già morti. E adesso, proprio come in quella notte maledetta, si trovava ad affrontare gli stessi mostri schifosi pronti a farle raggiungere i suoi cari. In quell’occasione si era stretta al corpo ancora caldo di suo padre, rifugiandosi un’ultima volta nel suo tepore rassicurante, mentre i mostri erano scomparsi in una grande luce accecante. Proprio come adesso le sue urla avevano in qualche modo svegliato le piante del parco e queste lì avevano intrappolati. Quindi la sua paura più grande era dunque realtà ? Lei non era una persona normale, era sbagliata, e quei mostri spaventosi avevano ucciso i Suoi soltanto perche cercavano lei. “Sono forse un tale mostro che persino per quelle creature devo essere … Soppressa ?” Aveva un tono disperato,  respirava a fatica, e per tutte le volte che era caduta durante l’inseguimento aveva brucianti escoriazioni sia sui palmi che sulle ginocchia. “Se non fossi mai esistita loro sarebbero ancora vivi, avrebbero potuto essere felici.” Le sue frasi erano degli ansiti flebili: iniziava a capire e le conclusioni a cui stava arrivando le facevano male, tanto male. “Mamma.” Si stropicciò forte gli occhi, sempre più umidi di pianto, e si preparò al peggio.

Il blando suono di un applauso le fece distogliere lo sguardo dai mostri che penzolavano irritati, la sagoma di un uomo robusto si stava avvicinando a loro con mosse stranamente rilassate e dopo qualche minuto Iris riuscì a riconoscerlo: era Mark, il simpaticissimo gelataio che incrociava puntualmente ogni volta che andava a correre. Sul volto solitamente bonario aveva un’espressione dura e alternava lo sguardo da lei ai mostri: in qualche modo sembrava che per lui quella situazione fosse perfettamente normale. C’era per forza qualcosa che non andava, mica si incontravano tutti i giorni cani del genere ! Per non parlare del trovarli impacchettati da radici e rami danzanti ! “Piccola, iniziavo a perdere le speranze: tuttavia ero sicuro che una volta sollecitata con la giusta dose di stress avresti tirato fuori le unghie.” Sembrava un maestro compiaciuto del suo riluttante allievo e quando si rese conto che iris era caduta in ginocchio si lasciò andare ad una risata sardonica. “Qualche problema ? Il vecchio e inoffensivo Mark ti sembra ora un orco cattivo delle favole ?” Ormai era ad una decina di passi da lei e si schernì battendo le mani sul pancione. “Che forse in quella testolina bacata qualche neurone abbia ripreso a funzionare…” Ogni parola equivaleva ad uno schiaffo di sarcasmo e disprezzo, tuttavia fu soltanto quando Mark accarezzo i mostri che il cervello di Iris smise del tutto di comprendere cosa le accadeva davanti. I mostri uggiolavano verso di lui, come dei barboncini troppo cresciuti, e nel giro di qualche minuto si consumarono fino ad essiccarsi e ridursi in polvere. Di pari passo, Mark appariva sempre più rinvigorito e sazio.
 “Cosa, come.” Iris indicava Mark e i resti dei mostri, faticando a parlare. “Hai, hai man… Mangiato quelle bestie ?” Davanti alla sua incertezza il sorriso di Mark si fece più evidente. “Devo correggermi: non sei senza cervello, sei più una ragazza sveglia che per qualche motivo finge di essere l’ultima delle imbranate.” I muscoli del suo corpo iniziarono a ballare, diventando molto simili alla gelatina, mentre il rumore di strappi e legamenti che si riassestavano su se stessi divenne qualcosa di terribile. Per un istante, Castar ed Iris ebbero la folle impressione che il corpo di Mark si stesse realmente spezzando in due. Alla fine del procedimento, dalla massa che era stata Mark emerse una figura completa: muscolosa, prestate, con capelli fluenti color crema ed uno sguardo azzurro  tagliente al pari del ghiaccio. “Non ho mai sopportato le cose dolci, odiavo essere rintanato in quel grottesco involucro. Adesso va molto meglio.” La presa di Castar sul ramo di fianco al suo si serrò con tanta forza da frantumarlo: Idhael, il custode dei Lupi da salotto di Meiel, aveva raggiunto la ragazzina con settimane d’anticipo e lui non se n’era neanche accorto. L’odore e la sua energia naturale erano stati  occultati dalla mutazione, eppure questo certo non bastava a giustificare la sua mancanza. Era stato un cretino.    

“Se intervenissi ora mi percepirebbe immediatamente, però non posso lasciare che… Le sue riflessioni passarono subito in secondo piano: la ragazzina aveva solidificato l’aria intorno a se e questa la difendeva con uno scudo dalla forma sferica. Dopo questa, ciò che restava del suo modo di concepire il mondo andava completamente sottosopra: quella tipa non aveva il minimo addestramento ed era lo stesso riuscita a chiamare ben due degli elementi. Come era riuscita a sfuggire al radar degli Anziani? Quei cinque macellai punivano con la morte chiunque nascondesse una figlia mezzosangue, se poi la piccola finiva nelle loro mani non le aspettava certo un destino migliore. “I suoi doni sono senza dubbio precoci e pare che siano attivati dall’inconscio, ma come cavolo può anche soltanto sembrare così in perfetta salute ?” Castar era confuso, soprattutto presagiva all’orizzonte un maledetto casino: tra loro non poteva esserci un altro idiota che aveva donato il proprio sangue alla piccola, come Eric aveva fatto per la sua femmina. D’altro canto, la ragazzina non mostrava neppure l’ombra dei sintomi legati ai malori da cui solitamente erano tormentate le discendenti. Da dove diavolo veniva fuori ?      

§§§

A Ilaria c’erano voluti almeno venti minuti e per fortuna era riuscita ad arrivare alla sponda del fiume senza che quel maledetto riuscisse a raggiungerla: si sentiva stanca, dolorante ed imbufalita. In bocca aveva il sapore aspro del suo stesso sangue ed una piccola quanto metodica parte del suo cervello le suggeriva che una volta finita tutta la faccenda si sarebbe scolata un’intera boccetta di colluttorio. Prese un intero minuto per contemplare i ciottoli levigati, visto che al momento la circondavano, e la parte più razionale di lei le ricordò come essi potessero essere un esempio perfetto di come una pressione costante fosse in grado di piegare praticamente ogni cosa. Il trucco dell’occultamento dei suoni aveva un raggio limitato, come aveva supposto e sperato: il rumore prodotto dal fiume che scorreva libero sotto i suoi occhi era ora per lei la più dolce delle melodie. Bevve con avidità e rabbrividì mentre lanciava unos guardo al buio della foresta: aveva lasciato tracce a dir poco evidenti e questo voleva dire che il suo assalitore non si sarebbe fatto aspettare ancora a lungo. “Tra le ombre giocavi avvantaggiato, ma chiunque tu sia, qua fuori saremo alla pari !” ok, forse on proprio alla pari, tuttavia sarebbe stato comunque un buon inizio. Era incapace di soffocare il proprio pragmatismo persino in situazioni del genere, era una cosa che intimamente odiava. L’acqua alle sue spalle sfrigolò, risvegliata dai suoi pensieri bellicosi. “Scimmietta senza peli ? Con il tuo cervello limitato pensi seriamente di poter essere alla pari con me?” La voce era ovattata, ma la tonalità era lo stesso percepibile come infantile e petulante. “In fondo dovremmo dare la colpa all’ignoranza che caratterizza la tua specie, almeno Sihel la pensava così: era convinto che sotto la giusta guida poteste trovare il modo di cambiare. Da parte mia, credo che siate semplicemente troppo limitati.” Va bene, non che quella filippica sull’evoluzione della specie non potesse essere interessante, però come cazzo aveva fatto a sentirla ? Era una sorta di Dumbo angelico? L’acqua parve placarsi un poco, adeguandosi al suo umore dubbioso e una volta che identificò la piccola sagoma in avvicinamento Ilaria imprecò sottovoce. “Eric, bastardissimo angelo dei miei stivali, dove cazzo sei finito?”

§§§

Eric aveva dischiuso le ali per cercare di allontanarsi dai centri abitati e sperando di trovare il modo per liberarsi di Andreas, tuttavia la pressione di quest’ultimo si stava rivelando talmente frenetica da impedirgli di lasciare le larghe strade della periferia cittadina. “Mi piace, mi piace, mi piace ! Preparati perché quando ti prenderò dovrai pagare pegno !” L’eccitazione e il divertimento del suo inseguitore avevano un che di sadico, Eric odiava l’irritante sensazione che per Andreas rappresentasse tutto un contorto flirt. All’ultimo momento scartò di lato e schiuse le ali per diminuire la velocità. Tempo un secondo ed Eric sentì alle proprie spalle il suono sordo di lame che si abbattevano contro le tegole di un tetto. “Ti ho già detto che non ho nessun.” Si sforzava di mascherare la rabbia, sapendo quanto il suo inseguitore ne avrebbe goduto, e il fatto che Andreas fosse concentrato in chissà quali pensieri non era affatto d’aiuto. “Mi stanno aspettando, quindi piantala !” Eric gli era davanti di una buona lunghezza, ma sapeva di non avere altro tempo da perdere: inchiodò all’improvviso e flettendo le gambe in una spinta all’indietro arrivò fin sopra il suo avversario, sfregò le mani tra loro e gli scagliò contro una scarica continua di fulmini azzurri. “Ora hai capito che non… Sono… Interessa…” Nel toccare terra cadde malamente su un ginocchio: forse aveva esagerato, ma aveva la certezza che col diradarsi del fumo si sarebbe trovato di fronte il corpo inerme di Andreas, un po’ abbrustolito e riverso al suolo.

Dolore, la sua stessa pelle andava a fuoco e le sue stesse ossa sfrigolavano al pari della carne alla griglia: il suo Eric, come aveva osato ? Andreas strinse la frusta con una forza febbrile e dopo un momento questa scattò come un serpente, avvolgendosi poi introno alla gamba di Eric. “Piccolo mio, tesoro, ho finalmente la prova del tuo ardore.” Era ancora in piedi, il bel folto ridotto ad una maschera di sangue e con il braccio sinistro che gli pendeva inerte al fianco. Nonostante tutto era di nuovo in piedi. “Sei focoso come uno stallone, ma lascia che adesso sia io a mostrarti la mia passione.” Il suo unico occhio sano si spalancò in un lampo diabolico ed Eric fu scagliato per aria, per poi sbattere più volte addosso all’edificio di fianco a loro. “Ti piace, vero? Mio caro, ho così tante sorprese in sebo per te !” Delirava, incurante delle proprie ferite, e ad ogni colpo lo stesso Eric perdeva sempre più lucidità: se Adreas fosse riuscito a sconfiggerlo Ilaria sarebbe rimasta sola. Caiel era un malato, eppure certo non rappresentava il pericolo maggiore… Non poteva permetterlo, la doveva aiutare… Proteggere… Forse furono questo genere di pensieri, o la rabbia per le complicazioni della situazione, fatto sta che afferrò la frusta con un gesto furioso e la tirò fino a far sbattere la faccia di Andreas contro una colonna a pochi metri dalla propria posizione. “Basta con i giochi, non ho più tempo per i tuoi discorsi deliranti.” Stanchezza e rabbia erano evidenti nelle sue parole. Una volta in piedi Andreas gemette, senza mai smettere di tastare il proprio volto sfigurato, e quando l’occhio gli si posò su Eric assunse un’espressione fra l’inebetito e la meraviglia: il suo corpo era circondato da un’aura rossa simile ad una fiamma danzante e questa sembrava del tutto fuori controllo. Andreas non aveva mai visto qualcosa di simile, ma questo spiegava finalmente quel fuoco in fondo agli occhi di Eric che era sempre stato in grado di farlo infervorare. “Facciamo l’ultimo gioco?” Per Eric era evidente che Andreas avesse perso anche l’ultimo briciolo di sanità mentale, ucciderlo sarebbe stato un gesto di misericordia. “Sarà il mio gioco più bello, te lo giuro. Preparati !” Andreas parlava come se la sua fosse una sorta di rappresentazione e nel momento in cui alzò il braccio sano per colpirlo sul suo volto apparve un’espressione estatica. Pochi istanti dopo il tetto e buona metà dell’ultimo piano del palazzo su cui si trovavano fu inglobato da una bolla grigiastra. Tempo una decina di secondi e la bolla scomparve, portandosi con se Eric, Andreas e buona parte del palazzo su cui si trovavano.
 

§§§§

Anche se lentamente, andiamo avanti ! Come al solito commenti, critiche, domande e pernacchie giustificate son sempre bene accette *_^

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** This is War ***


Iris non capiva, o meglio: non riusciva a capire, non voleva capire ! Era tutto troppo grande e folle per poter essere una cosa sul serio reale: i mostri che avevano distrutto la sua vita alla fine si erano dimostrati una sorta di cani domestici e Mark, sempre che fosse il suo vero nome (cosa assai improbabile), aveva succhiato le loro energie vitali come se fossero dei Chupa Chups. Mark, il padrone della gelateria dove si serviva quasi quotidianamente, era in combutta con i mostri. Anzi, sembrava proprio essere il capo di quei mostri. E per rendere il tutto ancor più inverosimile, pochi istanti prima il suo corpo era cambiato: adesso aveva l’aspetto di un uomo muscoloso, prestante e con fluenti capelli biondi. Il guscio vuoto che aveva indossato per servire cornetti e coppe di gelato giaceva afflosciato al suo fianco, proprio come un vestito vecchio. Ci mancava solo che spuntasse fuori anche Janet, trasformata in una creatura mitologica o chissà cos’altro. Perché è così difficile avere una stramaledetta vita normale? Era troppo piccola per aver già commesso peccati tanto irreparabili da scatenare quell’immenso casino !

“La tua morte non è in discussione, però se mi dirai dove tuo padre l’ha nascosto potrei eliminarti in un modo relativamente veloce e indolore. Magari potrei farti mangiare anche un ultimo dei miei gelati.” Idhael continuava ad avanzare con la lentezza pacata tipica del predatore, scrutando la ragazza per leggere anche la più insignificante delle reazioni. “Tu… Tu… Tu…” Iris faceva fatica ad articolare i pensieri, figuriamoci le parole. “Ecco, adesso sappiamo che sei una perfetta imitatrice delle linee telefoniche occupate.” Idhael assaporava il suo smarrimento, dopo tanto tempo sotto copertura era ansioso di divertirsi. Quando le arrivò tanto vicino da sfiorarle lo scudo, Iris trasalì e riemergendo da una specie di trance e trovando nuovamente la parola. “Hai ucciso mio padre e la mamma, perché?” Cercava di non piangere e l’altro rimase a fissarla con disprezzo misto ad un’accademica curiosità. “Quindi potrebbe averti insegnato lui ad usare i rami o lo scudo.” Idhael tastò diversi punti del miro invisibile ed Iris ebbe la sgradevole sensazione che quelle mani stessero toccando direttamente il suo spirito. “Quindi tu non sapresti niente? Fatico  a crederci.” Il tempo di finire la frase e lo scudo scomparve come una bolla di sapone, La ragazza emise un verso acuto fin troppo simile ad un umiliante squittio ed Idhael sfregò le mani tra loro. “Sai, quando il tuo paparino ha lasciato i cieli ci siamo rimasti molto male. Anche se forse è stata pure un po’ colpa nostra: non ci siamo resi conto di quanto avesse preso sul serio le ore di divertimento con tua madre. Lui e quel rompiscatole di Eric si sarebbero trovati più che bene.” Rifletteva sarcastico e misurava con accurata lentezza ogni passo che lo separava da lei. La paura di Iris aveva un sapore così agrodolce che una parte di lui iniziava a pensare di chiedere a Meiel di poterla tenere per se, almeno per un po’. Quella ragazzina poteva diventare uno splendido passatempo. “L’avrebbero punito in modo più blando se con la sua fuga non avesse rubato anche qualcosa che non gli competeva neanche lontanamente. Quando lo trovammo usò tutte le sue doti di attore per farmi credere di averlo distrutto e quando gli mostrai il corpo della sua compagna umana deve aver usato i suoi ultimi poteri per nascondere la tua presenza. Alla fine gli avevo lasciato un gruppo di cucciolotti, giusto per fare pulizia, tuttavia di loro non trovai più nessuna traccia.” Inclinò la testa, passando lo sguardo sul corpo tremante della ragazzina. “Devi averli eliminati tu. Comunque non importa, eccoti qui, inerme e al mio cospetto: è stata soltanto una questione di tempo.” La sua faccia era una maschera di soddisfazione, aveva atteso per troppo tempo quella ghiotta occasione: una brezza leggera gli accarezzava il corpo e man mano che essa aumentava d’intensità Idhael distese le braccia lungo i fianchi. Quando il vento smise di soffiare, entrambi i palmi delle sue mani avevano mutato completamente colore.

Castar era sconvolto: Non aveva idea di chi fosse il padre della ragazzina, ma sembrava che avesse scoperto qualcosa in grado di minare la sicurezza degli Anziani. Idhael giocava con lei come il gatto col topo, arrivando a rincorrerla e mancandola variamente all’ultimo secondo. I palmi delle sue mani adesso erano in grado di arrostire e congelare al semplice tocco e quel sadico bastardo se la stava proprio godendo. “Non posso lasciarla nelle sue mani, prima di ucciderla la torturerà fino a farla impazzire; e se alla fine non sapesse realmente cosa suo padre aveva trafugato ? Rischio comunque di perdere l’unica pista per distruggere il potere di Anyel e gli altri.” Anche limitandosi a far apparire un singolo dardo di luce, Idhael l’avrebbe individuato ancor prima di avere il tempo per lanciarlo. Perché finiva sempre in mezzo a situazioni tanto maledettamente complicate ? Prima aveva passato secoli a badare ad Eric, per far si che i suoi colpi di testa non fossero troppo notati, e quello va a scatenare una ribellione in piena regola ! E adesso questo pasticcio. Non riusciva neppure a pensarci seriamente. Quando poi Idhael fece tornare normali entrambi i palmi, colpì il ventre della ragazzina con una violenta ginocchiata ed ogni pianificazione di Castar perse importanza.

Iris non riusciva a respirare, il calcio di quell’essere doveva averle incrinato almeno un paio di costole e ora l’aveva inchiodata ad un albero senza il minimo sforzo. La stretta sul suo collo era inesorabile ed ogni istante che passava le era sempre più evidente che quel mostro non sentisse neanche i suoi pugni e calci disperati. Era sempre più debole e cominciava a vedere in modo annebbiato: l’aria, i polmoni bruciavano. Sarebbe morta, non poteva aiutarla nessuno. Paul e Anna avrebbero sofferto ? Si sarebbero incolpati per il suo destino ? Janet se la sarebbe presa con quel fantomatico cugino ? Non era giusto. Dopo così tanto dolore aveva pur diritto ad un poco di felicità ! Non aveva mai baciato un ragazzo… Faticava a tenere gli occhi aperti e l’ultima immagine che distinse con chiarezza fu un’ombra che si avvicinava a loro con scatti furtivi: un delirio per la mancanza di ossigeno ? La Morte ? Non importava più.

§§§

Ilaria alzò le mani al cielo, in un gesto disperato, e le acque del fiume la avvolsero prendendo la forma di una barriera sferica. Quel ragazzino pestifero non aveva smesso di bersagliarla un solo istante, e la sua inventiva riusciva a tirare fuori soltanto difese. “Questa è carina, niente male davvero. Sembra quasi che quel traditore sia riuscito ad insegnarti qualche cosa. Allora proseguirai l’apprendistato con Eric una volta all’altro mondo.” Caiel distese le braccia, con un ghigno sadico cominciò a muovere le dita e una decina di piccole pietre lungo il fiume si mosse per saettare contro la barriera d’acqua di Ilaria. “Ouch… Porca… ! La sua concentrazione scomparve sotto il peso delle sassate e quando una goccia di sangue le attraverso la tempia strinse i denti: era infuriata. Quel piccoletto l’aveva messa sulla difensiva sin dal principio e il fatto che il suo avversario avesse l’aspetto di un bambino non le era certo d’aiuto. Nonostante avesse capito chi era e in più quella creatura avesse ali color castagno in bella vista, la sensazione di affrontare un infante era qualcosa di destabilizzante. Il fiume sfrigolò, all’improvviso e cinque fiotti d’acqua ad alta pressione intercettarono altrettante pietre. Ilaria non aveva idea di come lì avesse creati, tuttavia Caiel interruppe la lapidazione ed un ghigno si fece strada sulle sue labbra sottili: evidentemente non si aspettava che avesse abbastanza forza da provare un’offensiva e questo la faceva arrabbiare ancora di più !  Almeno quella pausa le concedeva qualche secondo per radunare le forze. “Sei assai bizzarra, un’anomalia bella e buona.” Il volto infantile dell’Anziano era atteggiato in un broncio, mentre con l’indice della mano destra giocherellava con una manciata di piccole fiammelle multicolori. “Sei più vecchia delle comuni discendenti, eppure non ne dimostri i tipici segni di squilibrio. Perché ? Mi sa che sotto c’è lo zampino della nostra comune conoscenza.” Le fluttuava intorno e ad ogni pausa una lama d’aria saettava fino a tagliarle la carne. “Cosa ha combinato il nostro Eric ?” Le mandò contro le fiammelle multicolori, senza aspettare risposta e Ilaria le schivò finendo nel bel mezzo del fiume. Caiel inclinò la testa e schioccò le dita, la sua espressione sorniona era insopportabile, comunque il problema più impellente di Ilaria era un altro: l’acqua si stava congelando intorno a lei ad una velocità a dir poco impressionante.

Ok, d’accordo, l’importante era non farsi prendere dal panico: Ilaria socchiuse gli occhi ed aggrottando la fronte si sforzò di sentire gli elementi con ogni particella del suo corpo. Non era facile come durante gli allenamenti con Eric e soprattutto allora non aveva una strizza del diavolo, tuttavia sentì quasi subito il lieve sussurro dell’aria risponderle. Malauguratamente, gli altri elementi non si unirono alla festa e così si ritrovò punto a capo: come si poteva fermare il ghiaccio con delle brezze ? Era il momento di cedere al panico. “Cerca di metterti in una posa interessante, alla fine del processo potrei tenerti come ornamento.” Caiel girava intorno a lei, mantenendo uno sguardo al limite della critica artistica. Ecco, quello era troppo, già interpretare un ghiacciolo fino alla fine dell’eternità non era al primo posto tra le sue aspirazioni e adesso doveva sopportare anche il pessimo sarcasmo di quell’infantile faccia da schiaffi (poco importava se aveva ali, il volto sfigurato e più di cinquecento inverni) “Magari non ho seguito tutte le sessioni di allenamento con la dovuta attenzione, ma questo non da a nessuno il diritto di fottermi…” L’aveva pronunciata a denti stretti, tanto che Caiel stesso aveva interpretato quei suoni come delle mere esclamazioni di terrore. La morsa di gelo le aveva raggiunto l’inguine, se voleva fare qualcosa doveva per forza farla ora.

Caiel non si sarebbe mai stancato di guardarla: l’agonia e il panico su i volti dei suoi avversari erano qualcosa di sublime, e quell’umana avrebbe rappresentato una splendida statua per il salone principale del Consiglio. Anche nei suoi occhi aveva riconosciuto  lo smarrimento per il suo aspetto e vedere come il suo terrore veniva smorzato dalla pena era qualcosa che non avrebbe mai potuto accettare. Lui aveva vissuto più lustri di quanto un umano avrebbe mai potuto sognare e certamente non era un lattante. Gli bastò udire l’ennesimo mormorio della ragazza per sentire scemare la rabbia: che fossero umani o i suoi fratelli non aveva importanza. Chiunque guardasse la morte in faccia chiedeva perdono o implorava pietà. E quelle patetiche caricature di vita avevano il coraggio di provare pena per lui ? Ridicolo. “Patetici, le mie bambole sono di certo più letali e affidabili.”

§§§

“Cosa cavolo…” Iris strizzava gli occhi più volte, cercando di asciugare le lacrime con la destra, mentre la sua mano sinistra massaggiava quietamente il fondoschiena dolorante. “Non è che mi lamenti di essere ancora viva, solo.” La battuta le rimase inchiodata sulle labbra spalancate: era viva e adesso uno sconosciuto stava lottando ferocemente con il suo bastardo gelatai. Chi era ? Perché la stava aiutando ? Poteva forse sperare di non essere cattiva e sola ? “Non ti sei mai interessato alla nostra politica, cosa credi di fare ?” Idhael appariva annoiato dalla sua interruzione, eppure Castar lo conosceva abbastanza bene da poter interpretare i piccoli segnali che evidenziavano la sua difficoltà: la ripetizione delle stesse mosse senza una tattica precisa, non combattere soltanto con le armi, ma alternarvi attacchi di natura elementale ed infine cercare di distrarre l’avversario con insulti o interventi più o meno sagaci. Tutto inutile, lui in realtà non faceva neanche più caso al suo insulso blaterare: salvare quella ragazzina poteva donargli la soluzione degli enigmi che stava affrontando e non se la sarebbe lasciata sfuggire. “Non le farai del male.” Castar con la destra intesseva scudi legati a più elementi, mentre l’indice e il medio dell’altra mano tracciavano alternativamente dei segni per aria e sul selciato: doveva solo farlo blaterare un altro po’ ed entro pochi minuti lo avrebbe inscatolato in  una trappola coi fiocchi.

Idhael scosse la testa, concentrato sul loro folle girotondo: alla fine poteva anche accettare che Eric volesse per se l’altra senza ali, aveva le curve al posto giusto e poteva quindi dimostrarsi un buon passatempo. Al contrario, questa era praticamente piatta e che Castar si ostinasse così tanto per difenderla. Non aveva senso. Perché vuoi seguire la follia di Eric ? Ci anno guidati con saggezza e lungimiranza attraverso i millenni e voi vorreste mandare tutto all’aria?” Castar evitò un affondo e la successiva pioggia di sfere congelanti con movimenti laterali, aprì la bocca per rispondergli e dal prato sotto di lui un ramo saettò perforandogli la schiena. “L’Anziano Meiel stima molto la tua forza, mentre tu lo ripaghi in questo modo.” Idhael era deluso, ma Castar non aveva non aveva più il tempo per stargli dietro: era atterrato a fatica, aveva estratto il ramo con un urlo a mezza voce e si guardava intorno in cerca di una soluzione. “Ti ha passato da parte a parte. Sei finito.” Castar lo fulminò con un’occhiataccia, respirava a fatica, e nonostante la mano premuta sulla ferita il flusso di sangue continuava a fuoriuscire copioso.

§§§

Era costretto a riconoscerlo, anche considerando i suoi standard la situazione si era fatta davvero strana: parte dell’edificio su cui si trovava ora fluttuava in mezzo al nulla e i suoi stessi movimenti erano in qualche modo rallentati. Inoltre, come tocco finale alla follia, non appena era stato trasferito in quel dannato posto Andreas era sparito. Adesso che diavolo si era inventato ? Emise un sospiro stanco e ritirò le ali: se aveva sperato di sorprenderlo almeno con se stesso poteva ammettere che ci era riuscito in pieno. “Dobbiamo iniziare a giocare a nascondino, o ti decidi a venir fuori ?” La semplice creazione di una spada di luce era sufficiente a trasmettergli la sensazione di migliaia di aghi incandescenti che gli trafiggevano le mani, in che maledetto inferno lo aveva trascinato ? “Andreas, se non ricordo male mi sembrava di averti detto che ho fretta.” “Quanto siamo seri, mi stai per caso mettermi il broncio ? E io che ti ho portato nel mio giardino segreto. Il giardino dove tutte le anime vengono messe a nudo…” Le sue parole provenivano da ogni dove, ma nel minuto di silenzio che le seguì Andreas si decise finalmente a rivelarsi. “All’inizio ho pensato che tu fossi allo scuro, eppure la fiamma che ho visto in te è troppo luminosa perché tu non l’abbia mai neppure percepita.” Eric tacque: doveva avvicinarsi e farlo parlare, altrimenti sarebbe stato condannato a restare per sempre in quello strano ambiente futurista. “Hai già capito cos’è, vero?” il sorriso di Andreas era smagliante, e aveva di nuovo entrambi gli occhi sani: di secondo in secondo le cellule del suo corpo si stavano ricomponendo. “Una sacca tra i mondi.” “Non mi dirai che anche tu fai parte delle frange più retrograde della nostra sacra razza ! Quegli sciocchi continuano a considerare i legami tra le dimensioni come dei grossi tabù, ma se resteremo rinchiusi in questi dogmi restrittivi non riusciremo mai a evolverci.” Si atteggiava a mentore, anche se ad essere onesti forse somigliava di più ad un imbonitore di bassa lega. “Potresti tornare con noi, non tutti gli Anziani sono tanto rigidi da dimenticare i tuoi passati meriti.” Eric retrocedeva ogni volta che Andreas avanzava, tanto che le loro mosse cominciavano ad assomigliare a uno strano balletto. Il tabù supremo della loro razza era costituito dal succhiare energia dagli altri mondi e Andreas lo stava facendo davanti ai suoi occhi. Non poteva averlo imparato da solo e quello psicolabile di Caiel non era certo in grado di insegnarglielo. Dunque serviva due padroni ? Aveva scoperto abbastanza e Ilaria no era in pericolo: non poteva perdere altro tempo. Gli saltò addosso con uno scatto felino e quando Andreas lo evitò con un rapido battito d’ali gli occhi di Eric presero una sfumatura purpurea. I frammenti inerti dell’edificio trasportato con loro lì circondarono e anche in quell’assurdo mondo gelatinoso la grandine di oggetti a ripetizione in qualche modo riuscì a distrarre il suo avversario. Eric gli puntò contro entrambe le mani e urlando per il dolore lancinante lo colpì con delle scariche continue di fulmini. “Se per tornare da lei dovrò ridurti in briciole sono pronto a farlo !” Andreas non urlava ne cercava più di scansare i fulmini: si voltò a fatica per guardarlo in faccia e cominciò a ridere. Probabilmente era impazzito del tutto. Eric assunse un’espressione mesta, tuttavia non smise di colpire: Ilaria era nei guai e sentiva che aveva bisogno di tutto l’aiuto possibile. 

 

§§§

Altra crisi da titolo, come al solito i suggerimenti sono sempre ben accetti, soprattutto per capire se come trama sta diventando troppo cavillosa o meno eh !
 

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Resistere ***


Il ghiaccio cominciava a ricoprirle i seni, Caiel aveva smesso di girarle intorno e per godersi meglio la scena si era appollaiato proprio davanti alla sua faccia. I suoi muscoli erano percorsi da brividi che le toglievano il fiato, nonostante ciò la mente di Ilaria faticava ad ignorare la profonda ustione che deturpava il latro sinistro di quel volto infantile. Probabilmente, prima di ricevere quella cicatrice il nanetto inquietante doveva essere stato una persona diversa: raramente traumi di quel livello non intaccavano anche lo spirito. “Bene, bene, per il busto e le gambe ci siamo: ora assumi una posa estatica con le braccia e cerca di mantenere sul viso quest’espressione corrucciata: sarai uno splendido cimelio ! E farai da monito per coloro che pensano di potersi prendere gioco di me.”  Sembrava proprio un bambino, tuttavia per Ilaria avrebbe anche potuto essere un moscone troppo cresciuto: lei doveva liberarsi del ghiaccio ed il tutto il resto non era che una stupida distrazione. On sarebbe morta lì, non sarebbe diventata una dannata statua da giardino: lei doveva vivere, voleva vivere. Negli ultimi minuti se lo era ripetuto come un vero e proprio mantra e all’altezza del petto aveva sentito crescere, con sempre più vigore, un’energia calda e protettiva. “Io non.” A queste parole, appena sussurrate, Caiel stesso aveva smesso di gongolare e le si era avvicinato con un’espressione di sfacciata derisione. La statua di ghiaccio era ormai completa, quindi entro pochi secondi la mente dell’umana si sarebbe spezzata del tutto.

Aveva freddo, il velo di gelo la copriva fin sopra la punta dei capelli e si faceva sempre più spesso. Il suo angelo, Eric, non si era fatto vedere: l’aveva lasciata sola. Le aveva detto più volte che l’avrebbe protetta e lei ci aveva creduto, invece niente. Rabbia, malinconia ed un terrore pungente le attanagliarono il cuore. Riusciva appena a muovere le labbra, però parlare ora non serviva più: le bastava continuare a sentirlo: una fiamma, un’energia arcana le avvolgeva il petto e lentamente si insinuava sin nei più piccoli meandri delle sue cellule. La sua fita non sarebbe finita così, no, no, No ! Caiel cadde al suolo, investito da una decina di scaglie di ghiaccio, mentre Ilaria ansimava ed era bagnata fradicia. Aveva la pelle d’oca: era libera, tuttavia quel calore soprannaturale non scompariva; la sosteneva ancora. Adesso era il momento di chiudere i conti con quello psicolabile. Era tanto infervorata che ignorò la sua espressione esterrefatta, acchiappò Caiel per la collottola impedendogli di spiccare il volo e dopo un respiro profondo iniziò a prenderlo a schiaffi: “Stupido, scemo, cretino, imbecille, chi credi di essere per giocare in questo modo con la vita degli altri ? Hai mille, cento, diecimila anni ? Fatti tuoi, sei sfregiato ? Sfortuna nera, ma è forse colpa mia ? No.” Dopo ogni domanda si concedeva un attimo di pausa, in modo che Caiel la potesse guardare bene in faccia. “Sei soltanto un sadico che approfitta della pietà degli altri Cresci !” Ilaria urlò l’ultima frase e con un ceffone poderoso fece volteggiare l’Anziano fino alla sponda del fiume. Forse non si era comportata i modo maturo, ma in culo alla maturità ! Aveva cercato di trasformarla in un ghiacciolo e negli ultimi mesi i suoi predecessori non è che si erano comportati in modo migliore. “Mi sento meglio.” Lo sfogo le era costato le poche energie che le restavano, così si avvicinò ad un grosso sasso levigato e ci si sedette sopra.
§§§
Idhael sbadigliò, alternando lo sguardo annoiato tra la ragazzina tremante e Castar, che non accennava ad alzarsi e stringeva il fianco a fatica. Una simile fine era patetica ed estremamente deludente. “Se penso a quanto avresti potuto aiutare il cammino della nostra razza, è un vero peccato.” Alzò il braccio destro verso il cielo e nel suo palmo cominciò a radunarsi una massa d’energia complessa sempre più grande. “Castar non sapeva cosa fare: avrebbe dovuto schivare il colpo, certamente, altrimenti da quella distanza lo avrebbe incenerito. D’altra parte, se avesse interrotto il flusso di energia diretto alla ferita questa si sarebbe riaperta e allargata in meno di un minuto. Quindi, qualunque mossa facesse avrebbe avuto un risultato distruttivo. Alla fine, la terra prese la decisione al posto suo: aprendosi proprio sotto i suoi piedi. Allora Idhael spalancò le ali, sbattendole con enfasi, ma non appena iniziò a sollevarsi fu investito da una pioggia di ghiaia e rami secchi. “Per caso è il tuo canto del cigno ?” L’attacco a sorpresa non era servito nemmeno a fargli perdere la concentrazione, tutti i suoi sensi erano su Castar: in fondo la ragazzina non era niente, mentre il suo collega dava l’impressione di nascondere inaspettate riserve di energia. Forse fu proprio a causa di questi ragionamenti che non notò i sei rami che alle sue spalle fluttuavano furtivi. Non appena la pioggia di ghiaia e pietre cessò, la mezza dozzina di rami gli trafisse la schiena, con tanto slancio da passarlo letteralmente da parte a parte.

§§§

Iris strinse i pugni con tanta forza da farli sanguinare, fissò il corpo dell’angelo negli istanti della caduta e inghiottendo a vuoto si sentì sopraffare dall’orrore. Tornò a respirare solo quando i suoi resti smisero di muoversi, per quanto adesso fosse al sicuro sentì che qualcosa nella parte più profonda del suo spirito  si era malamente infranto. Non aveva mai, non aveva mai fatto del male a nessuno. E adesso aveva ucciso. Era un'assassina? Lei era un'assassina? Non voleva ucciderlo, era una persona cattiva, ma per Dio non voleva ucciderlo. Aveva soltanto desiderato che l’altro uomo, quello che presumeva avesse cercato di difenderla, non morisse. E subito gli alberi e il terreno circostante si erano mossi in una danza meccanica e fatale. Le era persino sembrato di sentire il dolore che provavano le piante, era stata davvero lei? Era un mostro. Si rimise in piedi, cercando di non pensarci, e corse da Castar: quell’uomo aveva cercato di aiutarla, e di sicuro poteva darle delle risposte. Doveva darle delle risposte !

 
“Hei ! Signore? Va tutto bene?” Castar era steso per terra, quasi incosciente, tuttavia gli scossoni della ragazzina lo rianimarono in un attimo. “Idhael...” Lei si limitò ad abbassare gli occhi, indicandogli il corpo poco distante: aveva spento una vita, faticava ancora a crederci. Cominciò a piangere senza preavviso e si rifugiò tra le braccia doloranti dello sconosciuto, neanche fossero una solida muraglia. “Io, io non volevo... Io... Sono state...“ Castar capiva, la prima morte non era mai facile. La cinse in un abbraccio, senza dirle niente, la circondò con le sue ali e provò a sussurrarle parole rassicuranti.

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** PRIME CREPE ***


“Dire che sono deluso sarebbe come minimo riduttivo, non avrei mai creduto che il buon Idhael facesse questa fine. Ucciso da un simile scricciolo, incredibile, per non parlare di te mio caro Castar: ti ho accolto tra le file dei miei fidi e mi ringrazi complottando contro di me ? Sei un ingrato.” Appena finì la frase due raffiche di vento fendettero il terreno davanti a loro ed il corpo di Iris fu scosso dai tremiti. “Non mi saluti come si conviene ? A tal punto arriva la tua insolenza ?” Oltre all’irosa incredulità adesso trapelava un’inaspettata ironia.  
“Come ti chiami ? So che hai paura e sinceramente ne ho parecchia anch’io, però devi fidarti di me.” Lei rinforzò la stretta sul suo petto e rispose senza alzare lo sguardo. “Iris, signore.” Davanti a tanta fragilità Castar sentiva stringersi il cuore, tuttavia non avevano tempo da perdere: presto Meiel lì avrebbe raggiunti. “Iris, siamo in un grosso guaio, ma tu sei una ragazza coraggiosa e se farai come dico vedrai che andrà tutto bene.” “Davvero?” Ora aveva alzato la testa e lo fissava con occhi lucidi di pianto. Castar staccò una piuma dall’ala destra e la mise tra le sue mani. “Appena vedrai il lampo comincia a correre verso casa tua e non ti fermare per nessun motivo. Capito ? Qualunque cosa tu senta o creda di vedere dovrai solo andare avanti.” La ragazza inghiottì cercando di non tremare e dopo qualche secondo annuì più volte. “E voi signore?” “Io ti troverò, fino a quando avrai con te la mia piuma io saprò raggiungerti. Ah, giusto per finire le presentazioni: io mi chiamo Castar. Lo so che è un nome strano.” “Ca… Star…” Iris lo pronunciò con attenzione, assaporandolo come se per lei fosse l’ultimo appiglio alla realtà, si sporse fino a dargli un bacio su una guancia e poi si preparò a correre.    
 
“Quante smancerie, in ogni caso è arrivato il momento della tua punizione.” Meiel era emerso dalla tenebra notturna, ad appena una decina di metri da loro, indossava un anacronistico completo da battaglia molto simile a quelli usati dai gladiatori dell’antica Roma ed in entrambe le mani stringeva due spade lunghe di foggia medievale. “Questa volta faremo sul serio, solo la morte porrà fine al duello.” Aveva pronunciato la frase con la serietà di una sentenza di morte e con un improvviso colpo di taglio aprì uno squarcio nel cemento, proprio accanto alla loro posizione. “Nessuna interruzione e nessuna indulgenza. Siamo d’accordo e proprio perché sei tu cercherò di trattenermi dal consigliarti un buon stilista: non sei affatto aggiornato in fatto di moda.” Castar alzò le braccia davanti a se, con entrambi i palmi aperti in segno di difesa, quando Meiel partì all’attacco unì le mani e un muro di fiamme danzanti gli bloccò subito il cammino. “Adesso !” Iris riconobbe appena un breve battito d’ali e cominciò a correre. Aveva la piuma vicina al cuore e per quanti rumori strani o paurosi percepì alle sue spalle non si voltò mai: Castar avrebbe vinto, si avrebbe vinto…

§§§

Per la prima volta in più di 8000 anni della loro storia la riunione era terminata con un gesto di violenza e degli sguardi di biasimo, ed era stato lui a compierlo ! La sorpresa e l’indignazione con cui avevano reagito gli pesavano ancora: come osavano chiedere spiegazioni !? D’altro canto guidare qualcosa o qualcuno portava anche responsabilità e lui era venuto meno alle sue. Anyel strinse i bracciali del seggio fino a farli crepare e tornò a fissare la sala ora vuota. Era maestosa come il primo giorno che ci aveva messo piede, la sua forma ellittica ricordava il movimento del sole e ad ogni muro cardinale splendeva il vecchio simbolo di un elemento. Quello era un luogo di tradizione, storia e soprattutto potere: il luogo dove venivano prese le decisioni più importanti per la sua razza. Persino le colonne che delineavano il perimetro avevano uno scopo preciso : insegnare come l’equità delle riunioni non potesse essere incrinata da faccende esterne. L’armonia sopra ogni cosa. “E io ho lanciato una sfera di fuoco contro un consigliere che aveva il solo torto di contraddire le mie affermazioni. Ho usato la violenza in questo sacro luogo. Ho agito come un insulso umano.” Sbatté il pugno e ringhiò frustrato. “Grazie al cielo una guardia si è messa in mezzo.” E la frangia di consiglieri a me fedeli a spinto a spinto per liquidare la cosa come un incidente frutto della frustrazione per le sconfitte degli ultimi mesi. “Però la verità è un’altra: tutte quelle domande, quelle stupide spiegazioni che continuavano a chiedermi mi avevano stancato.” Aveva guidato la sua gente con cura e perizia per più secoli, e ora osavano criticarlo? Sotto di lui non avevano avuto più guerre, e adesso dubitavano della saggezza delle sue scelte? Come se uno soltanto di quei faccendieri fosse in grado di capire le difficoltà che s'incontrano nel guidare un popolo... 
Aveva programmato ogni cosa con cura, per arrivare a quel seggio di potere, era riuscito a stare sempre un passo avanti ai suoi avversari e adesso... Adesso Eric istillava il dubbio, adesso i suoi stessi alleati chiedevano tempo per ragionare sulla situazione, adesso esigevano risposte e spiegazioni che anche solo due secoli prima non avrebbero mai neppure lontanamente osato chiedere. “Sembro così debole da permettergli di vacillare? Dove sono finiti la paura e il rispetto per quanto ho compiuto?” Alle sue stanche domande rispose solo un eco vuoto.  Il sostituto di Sihel, poi, durante la seduta non aveva fatto altro che tremare, e fissare i consiglieri: creatura inutile. E Riel, perenne presenza grigia delle riunioni, questa volta non si era presentato: l'aveva lasciato solo a rispondere ai dubbi e le paure di quel branco di burocrati pronti a salire sul carro del prossimo vincitore. Il pensiero di come avrebbero reagito alle notizie sul diario fu l'ultima goccia, schiuse le ali battendole in modo frenetico, e tornò verso le sue guardie personali. “Non permetterò a nessuno di portarmi via ciò che è mio... E se Riel proverà ancora ad aprir bocca lo cancellerò. Nessuno è insostituibile, soprattutto chi mi ha lasciato solo in un momento del genere.”

Dall'ombra di una delle colonne esterne emerse la scarna figura di Riel, si accarezzo il mento con un sorriso cospiratore e dette appena uno sguardo fugace alla sagoma in volo di Anyel. “Tutto è pronto, è tempo di raccogliere quanto ho seminato.”
§§§§

Domande ? risposte ? critiche ? resto in attesa ....
quasi dimenticavo---> buon annoooo !!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Meiel ***


Quando la sagoma della casa le apparve in lontananza Iris ebbe la sensazione di vedere finalmente la luce in fondo al tunnel. Il salotto era animato e dalla finestra chiusa, benché distante, riusciva a riconoscere tre distinte ombre: Ann… Mamma, Papà e con ogni probabilità la terza apparteneva al cugino di Janet. Dario. Ricordandosi del mancato appuntamento si senti ancora più male, immaginare il ragazzo parlare con gli Anderson le faceva perdere la poca lucidità che gli restava e così si fermò appoggiando la schiena ad un muretto. Era piena di ferite superficiali, lividi ed escoriazioni di vario genere; senza contare che i vestiti comprati apposta per l’occasione erano da buttare. “Non posso raccontare cosa è successo, mi spedirebbero a Mattolandia senza neanche darmi il tempo di finire.” Tornare a casa le aveva trasmesso speranza e sicurezza, tuttavia ora le provocava un panico crescente: si guardò velocemente alle spalle e mordendosi a sangue il labbro inferiore riprese a camminare. Domande imbarazzanti erano accettabili, soprattutto se di contro aveva le insidie che potevano ancora nascondersi all’esterno. Doveva inventarsi una balla, una balla abbastanza credibile e traumatica da giustificare il suo aspetto e non provocare troppe domande.

Anna doveva attingere a tutto il suo autocontrollo per non uscire a cercare Iris in strada, tenere le mani occupata l’aiutava a non pensare e per questo si era rifugiata in cucina a preparare una tisana calda. Al contrario, suo marito e il giovane Dario parlavano tra loro come se la situazione fosse tranquilla e sicura: nei momenti con più alto livello emotivo i maschi mantenevano il controllo unendosi in un cameratismo silenzioso, sua nonna aveva proprio ragione. Asciugò le lacrime con un gesto furtivo, afferrò il vassoio e tornò da loro. Il cigolio alla porta fece trasalire l’ansioso terzetto. Iris apparve sulla soglia: scarmigliata, ferita, e con una faccia stravolta ma soprattutto viva. Paul fu il primo a scattare in piedi ed in una manciata di secondi avvolse la ragazza in un abbraccio disperatamente protettivo. Iris ne fu colta di sorpresa, tuttavia si immerse subito nel suo profumo rassicurante: era a casa. “Cosa è successo? Che ti hanno fatto? Chi è stato?” Era stanca, emozionata per la preoccupazione e l’affetto che leggeva su quei volti, eppure non era ancora il momento di lasciarsi andare: doveva tirar fuori il suo rodato talento di attrice. “Io. Lo stavo aspettando.” Indicò con la mano il cugino di Janet, di cui al momento le sfuggiva il nome. “Dei cani, un branco di randagi, mi hanno assalito all’improvviso… Ho cominciato a correre eh… “ Anni di segreti e discussioni con gli adulti le avevano insegnato che spesso bastava una piccola imbeccata perché la loro immaginazione facesse il resto. Infatti Anna fu subito lieta di riempire il suo silenzio. “Piccola, adesso è tutto a posto. Domani avvertiremo la polizia della presenza di quel branco. Andrà tutto bene.” Lei annuì, tenendo gli occhi bassi, sentì le mani tiepide della Anderson accarezzarla e accettò di buon grado di essere accompagnata fino alla sua camera.
“Sono contento che sia sana e salva.” Paul sorrise, distolse lo sguardo dalle sue donne e dette una pacca sulla spalla al ragazzo. “Per quanto può valere, sarò felice se vorrete fare un altro tentativo.” Era strano dare una sorta di autorizzazione, ma quel ragazzo gli aveva fatto una buona impressione e più di ogni altra cosa voleva che la sua bambina si riprendesse dalle angosce del passato. Un nuovo amore poteva rappresentare l’inizio ideale.

Lasciare il ragazzo insieme a Paul l’aveva fatta sentire immensamente sollevata: le punte di stress della serata erano già parecchio oltre il limite e le mancava giusto il doversi scusare per avergli tirato il bidone. Allora si che l’imbarazzo si sarebbe trasferita in un eremo ai confini del mondo. Anna la lasciò davanti alla porta del bagno, dandole un abbraccio affamato, era come se si aspettasse un’altra sparizione di lì a minuti. Le raccomandò addirittura di lasciare la porta del bagno accostata mentre si lavava. In quel modo al minimo segnale di pericolo sarebbe arrivata interpretando la cavalleria. “Ecco fatto, mi stavo appena abituando e adesso mi suona ancora più strano chiamarla mamma.” Se lo lasciò sfuggire rivolta alla sua immagine riflessa nello specchio sopra il lavandino ed iniziò a spogliarsi con un’espressione triste. Lividi e tagli formavano un affascinante mosaico sulla parte superiore del suo corpo, però con il tempo sarebbero comunque scomparsi e solo la vista dei segni lasciati dalla presa di Mark attorno al suo collo arrivò a scalfire l’apatica accettazione di come lui si fosse finto innocuo e avesse cambiato aspetto. L’aveva tradita. Anche l’affetto di Janet era una finzione ? E se anche Anna e Paul stessero recitando ? Non poteva, non voleva pensarci, così si rifugiò nel box doccia e aprì l’acqua.

Iris era in camera con solo la biancheria e il largo asciugamano avvolto attorno al corpo magro. Era sfinita e per quanto odiasse avere i capelli umidi e arruffati poteva passarci sopra. Prese il pigiama da sotto il cuscino e il semplice allungare il braccio le strappò un gemito strozzato: i muscoli infiammati le facevano un male cane e i tagli delle ferite frizzavano da morire, ma soprattutto una presa fredda come l’acciaio le serrava il cuore. Terrore. “Mi hanno trovata, dovrei scappare un’altra volta, lasciare tutto e tutti.” Eppure la voce del suo io più profondo continuava a ripeterle che non poteva scappare in eterno, voleva bene agli Anderson e con loro si sentiva accettata. In più questa volta non avrebbe dovuto affrontare i mostri da sola: l’uomo alato che l’aveva fatta fuggire  sembrava dalla sua parte. “Ca…star, starà bene ? Era ferito.” Il ricordo del sangue che fluiva dalla sua ferita la assalì con forza e un attimo dopo senti affiorare in bocca un sapore acido: il taglio sulla lingua non ne voleva sapere di richiudersi. Non doveva preoccuparsi per l’uomo alato, anche lei era stata ferita, eppure era tornata a casa tutta intera ! “Si, ma ce l’ho fatta soltanto perché mi ha mandato via. Solo perché mi ha protetto.” Chiunque fosse la creatura che stava arrivano anche il suo soccorritore alato ne aveva paura, eppure prima di pensare a se stesso si era preoccupato per la sua incolumità. Ora si era fermata davanti alla finestra ed osservava l’esterno in un pensieroso silenzio: il gufo che aveva tormentato le sue prime notti in quella casa non si vedeva da giorni e lei voleva per forza interpretare la cosa come un buon segno. I tremori la colsero alla sprovvista, sentiva le gambe ancora deboli e afferrò lo schienale di una seda appena prima di cadere sul pavimento. Nel buio il suo stesso respiro le ricordava il cattivo del suo film preferito: Darth Fener, tuttavia lei non aveva il suo orripilante mascherone. Cercava di ancorarsi a quel pizzico di normalità che aveva guadagnato e un sogghigno inatteso apparve sul suo volto stanco. Lo stronzo aveva parlato di qualcosa d’importante, eppure la sola cosa che l’aveva accompagnata negli anni di peregrinazioni da una famiglia all’altra era stata il quaderno bruciacchiato. “E per quanto ho letto e riletto non mi sono mai accorta che ci fosse qualcosa di strano.” Lo tirò fuori con delicatezza e lo studiò rigirandoselo tra le mani: aveva l’aspetto di un semplice quaderno e anche all’interno c’erano giusto le storie che papà scriveva per lei. Gli dette un bacio delicato sulla copertina e lo nascose sotto il cuscino. “Non deve andare per forza tutto male: sono viva e questa volta non hanno fatto niente a chi voglio bene. Possiamo considerarlo un miglioramento.” Smorzò un singhiozzo e la vista le si appannava per il pianto trattenuto, non riusciva a parlare neanche da sola della morte dei suoi genitori. Si girò su un fianco e cercò di addormentarsi senza spengere la luce: il nuovo giorno avrebbe portato altre domande e poi voleva cercare il tipo con le ali. Sarebbe stata molto occupata.
§§§
 
 
Il combattimento con Meiel stava diventando una sorta di replica degli scontri di allenamento, come si era aspettato: l’Anziano basava le sue tecniche solo sulla forza offensiva e non si curava più di tanto della difesa, o di elaborare una strategia. In poche parole combatteva contro un ariete da sfondamento imbufalito e super corazzato. Castar bloccò un fendente da destra, ma la forza impressa nel colpo bastò a scagliarlo contro una ringhiera. All’impatto strinse i denti, per soffocare un urlo, e vedere come Meiel se la prendeva comoda lo faceva sentire davvero insignificante. “Ve bene, ho il sospetto che con un duello vecchio stile non arriveremo a risultati accettabili.” La lama di energia che stringeva nella mano destra tremolò e si affievolì all’improvviso. “Non mi dirai che già ti arrendi, è tutto qui quanto vali?” L’Anziano sembrava più rammaricato che soddisfatto, come se al di l’ha del compito avesse avuto per quel combattimento una sorta di aspettativa. “Beh, che posso dirti ? Love and Peace…” Con la mano sinistra fece il segno della pace ed avanzò verso di lui. “Inizio ad apprezzare le idee umane: meglio l’amore che la guerra, mettere dei fiori nei nostri cannoni e così via…” Allargò le braccia, fermandosi a dimostrazione dell’assenza di intenzioni offensive, un altro po’ e la distanza tra loro sarebbe stata quella giusta. “Sei patetico, una vergogna per…” Due metri: perfetto ! Castar gli fece un largo sorriso e lampi neri frammisti a sfere di magma apparvero dal nulla per bersagliare Meiel con una grandine infuocata. I segni che aveva tracciato per plasmare gli elementi contro Idhael adesso gli facevano piuttosto comodo, con questo pensiero sbatté le ali e cominciò a librarsi in volo. “Non sono al massimo della forma, però ti prometto che torno appena mi sono rimesso ! Parola di scout !” Non era solito a moti d’ironia e tuttavia in quel caso le parole gli erano proprio scappate di bocca.
 
Superato lo smacco iniziale Meiel sollevò le spade e cominciò a rotearle fino a creare dei mulinelli, così in breve riuscì a bloccare sia le sfere che i fulmini, ma alla fine il breve lasso di tempo della sua reazione permise a Castar di darsi alla macchia. Era frustrante dover constatare che anche un guerriero come quello, per quanto avversario, non fosse disposto a concludere uno scontro all’ultimo sangue. “ Un uomo non ha paura di morire, tutta qui la tua virilità? All’abbraccio della morte preferisci una vita senza onore? Mi disgusti.” Il rammarico dell’Anziano era sincero, per lui l’onore in battaglia veniva sopra ogni cosa e non si sarebbe mai permesso di lasciare il campo nel modo vergognoso appena fatto da Castar. Se paragonata alla disfatta la morte era sempre stata la sua scelta immediata. “Povero pazzo, non andrai lontano.” Rimise nel fodero la spada che aveva resistito alla precedente grandine di colpi e si alzò anche lui in volo: per trovarlo sarebbe bastato seguire la pista lasciata dal suo sangue, non poteva aver il tempo di tamponare le ferite e Meiel voleva chiudere la questione prima del sorgere del sole.

§§§

Castar si afflosciò su una fabbrica anonima della zona portuale,  il sangue continuava a uscire dalla ferita che Idhael gli aveva inflitto e a lungo andare quel lento fiume scarlatto gli avrebbe fatto cedere: non poteva permettersi di diventare troppo debole. Quando faceva sul serio Meiel era implacabile, ma restava completamente cieco ai particolari, andava avanti come un treno umano e non era mai disposto a cambiare posizione. Riutilizzare i segni già pronti era stata una mossa scontata e tuttavia lui ci era cascato in pieno. In ogni caso, se non tamponava quella maledetta ferita non sarebbe arrivato a niente. “Se ciò che possiede la ragazzina è così scottante non deve tornare nelle loro mani, ad ogni costo.” Si alzò facendo forza sulla lamiera, sfiorò il fianco sinistro con l’indice e il medio e la punta delle due dita fu avvolta da un bagliore che congelò subito la ferita che lo tormentava. “Almeno hai smesso di comportarti da idiota, quello che non hai il tempo di ricucire lo puoi bruciare o congelare.” L’ombra di Meiel apparve dall’altro lato della fabbrica, impugnava l’ultima spada e adesso presentava una serie di tagli lungo il lato sinistro del corpo. “Rallentare le molecole è un rimedio temporaneo, tuttavia non avrai bisogno di interventi più definitivi: basta e avanza per un cadavere che cammina.” Lo fissava imperscrutabile, senza lasciar trasparire l’acidità che impregnava ogni sua parola e una manciata di proiettili d’aria compressa sibilò tagliando l’aria a pochi centimetri dalla posizione di Castar. Quest’ultimo digrignò i denti e spalancate le ali scomparve alla vista: aveva lottato con Meiel altre volte e la sola possibilità che aveva consisteva nel non affidarsi a tattiche semplici o scontate. “Vuoi ancora giocare a nascondino?” Meiel sbuffò ancora più irritato, quest’ennesimo espediente sviliva del tutto l’idea che si era fatto delle abilità guerriere di Castar.   


§§§§ 
Rieccomi qua, rinnovo l'invito a critiche, domande e risposte eh ! Che poi mi tocca sul serio riprendere il retino per ripescarvi tutti ! Al prossimo capitolo

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Ormoni ***


Castar stringeva i denti per impedirsi di urlare, anche il più piccolo muscolo del suo corpo era sul punto di strapparsi e tuttavia non poteva fermarsi ne rallentare: girare intorno a Meiel ai limiti estremi della sua velocità gli aveva fatto credere che si fosse nascosto da qualche parte e da come sbuffava considerava la cosa come un altro insulto. Non aveva mai conosciuto una persona tanto eccentrica. Quel tracotante ammasso di muscoli e piume non sarebbe mai arrivato a pensare che dietro le sue mosse potesse esserci una qualunque tattica. Sentire le sue imprecazioni aveva un che di grottesco e tuttavia Castar aveva fin troppe cose da gestire per godersi pienamente lo spettacolo: allargò le braccia verso l’esterno, distese i palmi verso il cielo e dalle sue mani nacquero decine di piccole sfere luminose. In poco tempo riempirono l’ambiente circostante, creando una sorta di fitta griglia grigiastra, mentre l’ignaro Meiel non smetteva di agitarsi spaccando tegole e urlandogli di farsi vedere.

Muovendosi con precisione Castar giunse fino a sovrastare l’Anziano ed allora fece apparire una spada di grigio metallo. “Bestione, ti sono mancato ?” Meiel seguì il suono della sua voce trovandolo sopra di se e notando come adesso il suo avversario impugnasse soltanto una semplicissima spada dal taglio smussato. Un’arma del genere non gli avrebbe neanche fatto il solletico, che voleava solo una morte da guerriero ? “Ragazzo, forse non sei del tutto un codardo, ti darò una morte rapida.!” Lo raggiunse con un possente colpo d’ali e in quel momento le piccole luci sferiche di Castar divennero visibili. Subito aumentarono di intensità e tuttavia alla loro vista Meiel sembrò perplesso, al contrario Castar era pienamente soddisfatto: il loro perimetro complessivo formava una gabbia perfetta, lui era riuscito a stare fuori dal reticolato giusto per la lunghezza di una piuma ma Meiel ci era finito proprio in mezzo.
§§§
 
Ilaria si svegliò mugugnando, era in un letto soffice e la luce che passava attraverso la finestra lasciava intendere che fosse giorno fatto. Si sentiva riposata e leggera, eppure c’era qualcosa che non le tornava. Cercò di riordinare le idee e il contatto del lenzuolo con la pelle nuda la fece trasalire: l’ultima cosa che ricordava era l’aver steso il bambino psicolabile ed essere crollata nei pressi del fiume. Com’era arrivata a casa ? Che fine aveva fatto Eric ? E ultimo, ma nient’affatto importante: lei non dormiva mai nuda, chi caspio l’aveva spogliata ?  “Ok, basta mantenere la calma e…” “Ciao.” Le sue riflessioni ad alta voce furono interrotte dal pacato saluto di Eric, lui la stava osservando da una delle sedie in angolo della camera ed Erica istintivamente tirò il lenzuolo fino a lasciar scoperti solo collo e testa. “Credevo non ti svegliassi più, mi hai fatto preoccupare.” Le sembrava tranquillo, fin troppo naturale e Ilaria si sentì infiammare da un misto di rabbia e imbarazzo. “Dov’eri ? Mi hai lasciato sola ! Ho dovuto affrontare quel ragazzino dispotico e tu…” Odiava vederlo tanto calmo, avrebbe voluto che ribattesse o anche solo che si arrabbiasse, invece Eric giocava a fare la statua di sale che non è mai toccata da niente o nessuno. “Stronzo, non mi rispondi ? Ho rischiato di diventare.” Provò ad alzarsi, giusto per arrivare a prenderlo a schiaffi, ma fece appena a tempo a posare un piede sul pavimento gelido che si ricordò di essere nuda: il lenzuolo scese, rivelando le curve del seno e un inizio del fianco che precedeva la gamba tirata fuori dal letto.
Ilaria si bloccò, le mancava il respiro, e senza accorgersene assunse una colorazione sorprendentemente simile a quella dei pomodori maturi. Con mosse istantanee si raggomitolò sotto il lenzuolo e cominciò a urlare. “Fuori ! Esci subito da qui !” Il braccio con cui gli indicava la porta le tremava, tuttavia Eric rimase immobile e mai come allora la ragazza sentì bruciare sulla propria pelle quel suo maledetto sguardo ironico. “Ho detto fuori!” Ne aveva abbastanza di quei sorrisetti enigmatici e dei suoi silenzi improvvisi da filosofo di altri tempi, tuttavia non poteva ignorare come quella situazione le trasmettesse un sottofondo di eccitazione. Quest’ultima era un’incognita pericolosa, un’incognita che non poteva, ne voleva concedersi.

Appena si era liberato di Andreas era corso da lei, l’aveva trovata priva di sensi lungo il fiume e si era sentito mancare. Era stata una sensazione strana, in quel momento aveva avuto l’impressione di perdere una parte di se stesso. Solo quando aveva posato le dita sul suo collo, sentendo le pulsazioni chiare e forti, si era sentito riavere. Ilaria era viva, furiosa quanto uno stallone imbizzarrito ma viva. E ancora non aveva idea di quanto l’avesse fatto preoccupare. Ragionando a mente fredda Eric era in grado di vedere come dietro tutte le sue invettive si nascondevano il panico ancora legato allo scontro in solitaria con Caiel e l’imbarazzo per la sua inaspettata nudità. In ogni caso, non l’aveva lasciata sola per andare in villeggiatura da qualche parte, (nemmeno con tutta la fantasia del mondo poteva definire Andreas una passeggiata), e poi non l’aveva spogliata mica per divertimento: gli abiti che indossava erano tanto sporchi e strappati che il rischio di infezione era stato più che una mera ipotesi. Da come Ilaria continuava ad agitarsi forse non era il caso di farle notare che nonostante il velo del lenzuolo i suoi capezzoli stavano diventando evidenti quanto due piccole fragole mature…   

Gli esseri umani erano tutti complicati, lo sapeva bene, ma la Rossa sembrava davvero un enigma sospettoso nascosto all'interno di un altra decina di dubbi e ritrosie. “Mentre tu tenevi occupato Caiel, perché è questo è il nome del poppante alato, io ho dovuto pensare ai suo sgherri e delle sue dannate marionette...” L'improvvisa apprensione che le lesse negli occhi lo sorprese e in qualche modo gli procurò un particolare piacere: teneva a lui. “Avrai avuto una paura d'inferno, ma non hai idea di quanto fossi preoccupato. Sei riuscita a sconfiggere un Anziano contando soltanto sulle tue forze, è la prova che hai acquistato una maggiore familiarità e un miglior controllo nell’utilizzo del potere. Sei diventata più forte.” L'aveva raggiunta, sedendosi di fianco al letto, e attraverso il sottile strato del lenzuolo riusciva a sentire il contatto con la pelle calda delle gambe di lei. “Ilaria, sei stata brava, sono orgoglioso di te...” Quella ragazza aveva imparato in pochi mesi a dominare due elementi, e non si era fatta intimidire neppure davanti ad uno scontro vero : era un portento.

Perché cavolo si era avvicinato? Il contatto attraverso il lenzuolo bastava a mandarla in tilt ed era stanca di fare la figura di quella che non sapeva tenere a bada gli ormoni. “Io non ho fatto niente di... E poi non...” Era come se ricordasse soltanto adesso cos'era successo lungo il fiume: aveva messo KO un Anziano, tutta da sola... Eppure ricordava di essere stata in difficoltà fin dall'inizio, e soprattutto, era certa di non aver avuto il coraggio di dargli il colpo di grazia. “So che non l'hai ucciso, ma quando sono arrivato era scomparso.” E che diamine, allora riusciva sul serio a leggerle i pensieri? In quell'istante Eric posò una mano all'altezza della sua coscia destra, il corpo di Ilaria fu percorso da un brivido caldo e lei si lasciò sfuggire un ansito. Gli aveva urlato di uscire eppure era ancora lì e adesso lei voleva che rimanesse: maledetti ormoni fuori controllo ! Eric non le leggeva i pensieri, non poteva leggerle i pensieri, non voleva che le leggesse i pensieri, altrimenti in quel momento si sarebbe sotterrata. All'improvviso si accorse che le stava ancora parlando, interruppe quella sorta di cantilena e cercò di non fissare la sua bocca: doveva concentrarsi su quanto le stava riferendo. E riuscire a dominarsi.

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Il Raccolto ***


Dopo la batosta ricevuta da Ilaria Caiel rimase nella zona circostante il fiume, nascondendosi alla meno peggio ed osservando la ragazza umana con una certa circospezione. Più ci pensava, più la studiava e meno riusciva a capirla: invece di ucciderlo l’aveva preso a schiaffi, gli aveva fatto una ramanzina coi fiocchi e per di più non si era neanche preoccupata di perdere i sensi davanti a lui, Un nemico che fino a qualche momento prima aveva cercato di farla fuori, Non era normale.

Quando poi fu raggiunta anche da Eric, Caiel studiò anche come interagivano tra loro  e quel che vide gli provocò ancora più interrogativi: aveva sempre creduto che il suo tradimento fosse nato a causa della sua ambizione, opportunamente alimentata dal ritrovamento di uno strumento facilmente manovrabile come quell’umana. Invece la preoccupazione sul volto di Eric era genuina, anche dal suo nascondiglio poteva vederlo chiaramente mentre le mormorava parole di conforto.
Prendendo il volo l’aveva tenuta stretta come se fosse la cosa per lui più importante al mondo. Non era l’uomo che ricordava, la spada perfetta agli ordini di Sihel, in qualche modo a lui ignoto l’umana l’aveva cambiato. Quale poteva essere il suo segreto ? Caiel si era deciso a lasciare il nascondiglio soltanto alle prime luci dell’alba: manteneva l’equilibrio con fatica, nel complesso non era messo bene, e le sue ali fremevano tanto da impedirgli di mantenere anche un solo breve volo. Non gli era mai capitato prima. Perché quella donna l’aveva risparmiato ? Nei suoi occhi non aveva scorto traccia di compassione, solo una rabbia implacabile. Lui stesso l’aveva provocata ! Possibile che fosse proprio una senza ali la prima a vederlo al di la della cicatrice e del suo aspetto infantile ? Prima che potesse rifletterci sopra, si strinse il petto con una mano e cadendo a gattoni venne piegato da una serie di violenti colpi di tosse. Solo al cessare degli spasmi si rese conto che il suo unico occhio sano versava calde lacrime: lui, piangere ? Perché ? Erano passati millenni dall’ultima volta che aveva pianto. “Sono patetico, perché non si fermano ? Ad avermi visto piangere è stata solo… Mamma.” Un vento improvviso lo riportò alla realtà, era troppo improvviso per avere un’origine naturale e l’odore che trasportava era inconfondibile quanto l’ombra che da pochi secondi lo sovrastava. Era nei guai, eppure con sommo sconcerto si rese conto che non gli interessava più. Era cos’ importante continuare quella folle parodia d’esistenza ?

Riel era avvolto da una tenebra brillante e il suo abito danzava seguendo la brezza, sembrava vivo, lo stava fissando con le orbite bianche e dopo poco fece una smorfia di disgusto. “Non sei riuscito ad ucciderla, l’hai a malapena ferita: una mezzosangue inesperta è bastata a ridurti in questo stato.” Caiel non rispose e Riel prese il suo silenzio come un’ammissione di colpa. “Sei stato un buon strumento per diversi secoli, quasi perfetto, e tuttavia è giunto il tempo di porre fine al nostro rapporto.” Caiel non reagì neanche questa volta, riuscendo appena a mettersi a sedere e fissare l’altro con un’espressione vuota. Un attimo dopo il suo corpo fu penetrato da decine e decine di affilate lame di pietra, lui cadde morto senza un gemito. Le domande senza risposta che gli aveva procurato l’incontro con Ilaria avevano distrutto il suo spirito e ancor prima dell’apparizione di Riel, Caiel si era rassegnato al suo destino. L’Anziano osservò la scena con distacco professionale, attese che i suoi resti fossero ridotti e ci infilò dentro la mano: tempo un paio di secondi e quando la estrasse stringeva una pietra verde romboidale grande quanto un mignolo. “Bene, bene.” La rimirava con una bramosia mista ad occhio critico e sulle su labbra si disegnò un lento sorriso estasiato. “Sihel è sparito per mano di un umano e l’energia di Meiel cala di minuto in minuto. Prima che scompaia come quell’idiota saccente sarà meglio andare a verificare le sue condizioni.” Le sue parole sono marcate con rabbia, la scomparsa di Sihel era irritante e in qualche modo avrebbe potuto complicare i suoi progetti. “Di questo passo Meiel durerà ancora poco, loro possono aver già scoperto il diario e non tener d’occhio Hiel è stata una leggerezza di Anyel. Sono curioso di scoprire come cercherà di porre rimedio ai suoi errori.” Teneva il capo chino e le braccia incrociate davanti al petto, quando poi rialzò la testa rivelò un’espressione risoluta quanto gelida, Voltò le spalle alla polvere che era stata l’anziano Caiel e svanì nel nulla.

§§§

Il sole illuminava le strade già da qualche ora, gli umani riprendevano le loro attività quotidiane di formiche operose e Meiel era costretto a seguire quelle scenette con crescente disgusto. Quando Castar aveva creato le sfere di luce aveva creduto che fossero una sorta di attacco elaborato ed era caduto completamente nel tranello: quel maledetto bastardo lo aveva preso in giro, bloccandolo in una trappola infernale, e non si era neanche preso il disturbo di dargli il colpo di grazia. “Alla fine mi sono lasciato sfuggire sia la piccola mezzosangue che il diario.” Il solo pensiero di quel fallimento gli faceva diventare le ali rosse per l'umiliazione. Per di più, come se non bastasse il danno, c'era la beffa: la gabbia di luce l’aveva immobilizzato a mezz’aria, con l’ala sinistra spezzata in due parti e in una posizione ai limiti del ridicolo. Non sarebbe mai riuscito a liberarsi da solo. Ad aggravare le sue lamentele inespresse scorse in lontananza la figura di Riel: il Vecchio l’avrebbe liberato, ma prima non avrebbe perso l’occasione di sfotterlo adeguatamente.

Riel portava una casacca blu scura tendente al nero e grazie alla sua andatura pacata poteva sentire il tocco della pietra verde nascosta nella tasca interna. I rumori delle città umane, caotiche e apparentemente così ordinate, avevano per le sue orecchie un suono spassoso. Inoltre, anche le loro invenzioni più semplici potevano diventare intriganti: non mancavano mai di scoprire modi sempre più pittoreschi di uccidersi a vicenda. Sihel era scomparso con un ragazzino umano, una cosa imprevedibile da ogni punto di vista, e tuttavia poteva anche passarci sopra: nonostante quella posizione grottesca sentiva l'energia di Meiel scorrere viva e pulsante. Il sapore della sua vergogna era così forte da sovrastare ogni altra emozione e impregnarlo come una sorta di profumo di serie B. “Comunque, tre pietre possono sempre bastare allo scopo...” Prese la pietra di Caiel dalla tasca, e dopo averla rigirata tra le dita un ghigno di aspettativa apparve sulle sue labbra smunte. Sarebbe stato molto divertente ascoltare le ultime parole di Meiel.

L'Anziano fece un sorriso sgradevole e si fermò proprio davanti a Meiel.. “Anche tu da queste parti?” L’uscita ironica dell’ingabbiato provocò in lui solo uno sbuffo, si accarezzò il mento e non smise di fissarlo con le sue iridi bianche. “Eric non ha la pazienza di escogitare trucchi del genere, quindi ad averti impacchettato per bene deve essere stato Castar...” Il grugnito che ricevette in risposta strappò a Riel un sorriso ferino, era incredibile che anche dopo così tutto quel tempo la natura di quell’energumeno fosse per lui così trasparente. “Quindi, posso supporre che la figlia di Hiel sia ancora viva, e che in questo momento Castar abbia tra le mani quel maledetto diario...” Era frustrante, in un certo senso se l’era aspettato, eppure questo non diminuiva la sua irritazione: aveva fatto affidamento su altri, cercando di mantenere un basso profilo, tuttavia nessuno si era dimostrato all’altezza. “Non è che ...” Meiel non fece a tempo a finire, che la gabbia in cui era rinchiuso sfrigolò e si aprì. “Ti ringrazio, vedrai che...” Riel alzò l’indice destro ed appena lo puntò su di lui Meiel, fu scagliato addosso a un comignolo. Cercò di alzarsi ed un potere sconosciuto lo bloccò a terra con braccia e gambe spalancate. Nel vedere la velocità con cui lo smarrimento si faceva strada in lui Riel faticò a non ridere, si umettò le labbra, e mantenendo un sinistro sorriso modellò a mezz’aria una sfera traslucida. “Perché ? Noi siamo.” “Siamo compagni ? Dalla stessa parte ?” Il suo sarcasmo era più che evidente ed il sapore della paura di Meiel era una leccornia prelibata. La parte più famelica di Riel si rammaricava di non avere il tempo per assaporarla fino in fondo.

Meiel sentiva i muscoli contorcersi in una stretta di dolore e non riusciva a capire perché Riel lo stesse facendo, oltre la rabbia per quello che stava succedendo si sentiva tradito: avevano governato insieme per tanto tempo e si erano sempre fidati gli uni degli altri, perché adesso Riel lo stava fissando come se fosse diventato una bistecca fumante ? “Hai perso la testa ? Vuoi creare un’ulteriore ribellione parallela a quella di Eric?” Poteva solamente inveirgli contro e questo gli permetteva a stento di dimenticare l’odiosa sensazione di terrore che gli faceva accelerare i battiti ad una velocità vertiginosa: non poteva, non voleva morire così. “È ironico pensare che tra tutti noi sei sempre stato additato come il più forte e possente. Sei solo un ragazzo che non ha affrontato altro che bambini più piccoli di lui. Non hai idea di cosa sia la vera forza.” Quando la sfera traslucida entrò in contatto con il suo torace, Meiel urlò con tutto il fiato che gli restava in corpo: la pelle e i muscoli si liquefacevano sotto il suo sguardo atterrito e la mano ossuta di Riel si spingeva sempre più in profondità.

“No, No.... Haaa... No, n HAAA... Non puoi farlo... Noi...” “Non posso?” Riel lo fissò gli occhi sgranati, la sua mano era passata attraverso la sfera e teneva stretta qualcosa all’interno del suo torace. “Piccolo uomo, sembra che non ricordi il patto...” Dopo questo accenno Meiel perse il poco colore che gli restava. “A volte la dimenticanza può capitare, ma tu rammenti...” Tirò via la mano, senza aspettare una risposta, e il rumore secco di uno strappo lacerò l'aria. Aprendo il pugno Riel si lasciò andare ad un altro sorriso soddisfatto : nel suo palmo splendeva una pietra del tutto simile a quella di Caiel, ma color blu scuro. “Siamo a buon punto...” Schioccò le dita e scomparve.
§§§§
A.A.A. critiche commenti, domande e dubbi cercasi !
In preparazione retini d'assalto !
Alla prox !

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Terza Parte Secondo Interludio ***


Durante i suoi studi aveva letto diverse ipotesi di come fossero le costruzioni del periodo minoico, aveva persino sognato di poter vedere il palazzo reale al suo massimo splendore: ora lo aveva fatto, anche se doveva ammettere che il faccia a faccia con il re della città aveva lasciato un po’ a desiderare. Le gocce che cadevano ritmiche dal soffitto erano il solo suono che scandiva la sua prigionia, per tenere la mente occupata la mente era arrivato a contarle e ora sapeva che 300 gocce equivalevano a una giornata. Il rumore della ciotola di argilla che passava attraverso la feritoia inferiore della porte lo destò e nel mettersi a sedere contemplò l’umida cella in cui era rinchiuso un mese. Non per la prima volta si chiese cosa fosse accaduto all’uomo e la ragazza che avevano deciso di soccorrerlo e lo avevano condotto fino al palazzo. “Senza di loro sarei morto su quella spiaggia, esule in un mondo alieno, tuttavia quando li hanno accusati di essere miei complici non ho potuto fare niente.” Prese da terra la ciotola e rievocò gli avvenimenti che erano avvenuti nella sala: per loro anche il suo modo di parlare suonava sospetto, era stato condannato nel momento stesso in cui aveva messo piede nella sala, poco importava che non fosse una spia dell’impero Persiano.
Non aveva idea di come fosse giunto ad Elepthera, per non parlare poi dell’epoca in cui si trovava, però per quanto ci avesse provato non riusciva a trovare una miglior tattica dell’attesa. Dopo lo spettacolino che aveva improvvisato come inviato di Nettuno loro si sarebbero fatti vedere molto presto.
 
“Meglio non chiedersi di cosa sia la carne in questo stufato annacquato.” Il digiuno non era un’opzione praticabile, così cominciò a buttar giù qualche piccolo boccone. Una brezza primaverile passò attraverso la cella, lui lasciò la ciotola a terra e quando rivolse lo sguardo all’altra estremità della cella non poté nascondere la sua soddisfazione: ecco il pennuto che stava aspettando. “Uomo, mi devi delle spiegazioni: da dove vieni? I segni che porti incisi sul petto chi te li ha inflitti?” Se i loro simboli erano stati vergati nelle terre di Uruk era scontato che fossero presenti anche prima del declino minoico, ora doveva solo convincerlo e le probabilità di sopravvivenza per Ilaria sarebbero aumentate esponenzialmente. “Io stesso ho inciso i segni dell’estinzione nella mia carne, era il solo modo che avessi per annientare uno come te. Pensavo che saremmo morti entrambi, eppure sono qui ancora vivo e vegeto.” “Hai tradotto male i simboli, non avevi uno scriba di fiducia? Quei segni non estinguono la vita, in un certo senso riportano dove essa ha avuto inizio.” Avanzò venendo sotto la luce e per quanto suonasse bizzarro oltre alla tunica di foggia minoica indossava una maschera: perché un angelo doveva preoccuparsi di nascondere la sua identità?  “Trovo curioso che tu non mi chieda di chi stessi parlando: da quanto dici quel bastardo brufoloso ha ottenuto le ali in questo periodo. Sono stato fortunato.”
 “Ragazzo, ti vedo confuso: noi nasciamo con queste ali, non è che al momento della maturità ci spuntano fuori come funghi troppo cresciuti.” “Interessante lezione di biologia pennuta, anche perché questo non fa che aumentare i miei interrogativi: io sono Lukas e che tu mi creda o no vengo da un futuro tanto lontano che neanche riusciresti ad immaginare.” Le ali dell’altro fremettero impercettibilmente e dopo qualche secondo scomparvero entrambi nel nulla.

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** 34 ***


“Sei cresciuta, eppure è come se la tua essenza rimanesse pura e immutabile davanti allo scorrere del tempo.” Ilaria inghiottì a vuoto, sforzandosi di interpretarlo in qualche modo: era forse un modo angelico per dirle che gli piaceva? Un classico mi piaci era troppo tedioso? “Avrei voluto permetterti di avere una vita normale, ho il terrore che fino a quando sarai con me ti troverai invischiata in mezzo al sangue e alla violenza.” L'espressione sul volto di Eric non stava cambiando di una virgola, non lasciava trasparire niente e in quel momento Ilaria la trovava una cosa discretamente odiosa: voleva lasciarla? (Ma se non stavano neppure insieme.) Le stava dicendo che voleva agire da solo? (Un modo pateticamente delicato per sottolineare quanto gli fosse d'intralcio? Eppure era stata lei a stendere quel ragazzino petulante.) “Non tutti i desideri si realizzano, te l'ho già detto: qui non è affatto male.” Rifugiarsi nell'ironia era la sua sola scelta possibile, infatti vide subito apparire sulle labbra di Eric l’ombra di un sorriso: ok, non doveva pensare alla sua bocca, doveva ascoltarlo, doveva soltanto ascoltarlo. “Non hai neppure un quarto di secolo e sei già saggia.” Eric alzò la destra fino toccarle una guancia, e Ilaria fu avvolta in un piacevole calore che le fece mancare il respiro. Era ridicola, si comportava come una bambina, aveva già avuto dei ragazzi e quindi. Nel momento in cui lo vide chinarsi su di lei ogni pensiero razionale evaporò dalle sue sinapsi: un bacio? Voleva baciarla? L'avrebbe baciata? Si! Ilaria passò con bramosia la lingua sulle labbra, poi socchiuse gli occhi: era uno dei peggiori cliché dei film, tuttavia sentiva che se l’avesse guardato ancora in faccia si sarebbe sciolta.
Le loro fronti entrarono in contatto e per un prezioso secondo Eric desiderò di poter restare a contemplare il suo viso fino alla fine dei tempi. Ilaria manteneva gli occhi chiusi, era in attesa, e dal piccolo cipiglio sulla sua fronte Eric intuiva che aveva il terrore di aver frainteso tutto: forte e decisa nelle difficoltà, ma sempre dubbiosa e fragile quando qualcosa la coinvolgeva personalmente. “Mia.” Eric aveva sussurrato quella parola senza una ragione precisa, la vide fremere in risposta e quando le sue palpebre tremarono si chinò a baciarle con una languida lentezza. “Ogni parte di te ha un buon sapore, non sai quanto ho sognato poterti assaggiare.” Intervallava le parole ai baci con cui le tempestava il volto, e Ilaria non riusciva a capire se stesse sognando o meno. “Ho aspettato tanto.” L’aveva sussurrato a un centimetro dalle sue labbra, erano tanto vicini da passarsi la stessa aria ed Eric teneva entrambe le mani strette in quelle di lei.
“Tu ti lamenti di aver dovuto aspettare? Io per anni mi sono sentita rispondere che eri un parto della mia mente, o nel migliore dei casi un poco di buono che dopo essere intervenuto aveva preferito non avere guai. Non ho mai dimenticato quella notte.” Le era uscito spontaneo e prima che Eric osasse replicare gli mise le braccia al collo attirando a se le sue labbra. I loro baci erano profondi, insistenti e all’improvviso familiari: la lingua di lei scopriva la profondità e la dolcezza della bocca aperta di lui, mentre le esplorava la sua. Era il suo amico, il suo angelo prediletto, il salvatore e custode che rimanendo nell’ombra l’aveva protetta per tutti quegli anni. Nei giorni seguenti avrebbero dovuto affrontare gli Anziani, una banda di angeli squilibrati, o un esercito intero, eppure non aveva importanza: insieme erano completi e non lì avrebbe fermati niente e nessuno.
§§§
Iris aprì gli occhi lentamente e non appena si abituò alla luce fece uno sbadiglio spontaneo: la tensione prodotta dalla notte precedente non era sparita, eppure era riuscita a dormire tutta la notte. Merito dell’affetto che le trasmettevano gli Anderson? Forse. Scese dal letto con un balzo atletico, indossò un paio di pantaloni leggeri chiari e prima di correre in bagno ci abbinò una camicetta rossa. Erano gesti automatici, tipici di ogni mattina, tuttavia  quello che le si presentava era un giorno unico e pieno di entusiasmanti prospettive: doveva trovare l’uomo che l’aveva fatta scappare, lui per forza sapeva cosa stava succedendo r rappresentava l’ultimo appiglio per la sua speranza di non essere cattiva come i mostri che la inseguivano. All’improvviso chiuse gli occhi e smise di lavarsi i denti: lei era una persona buona, non aveva mai fatto del male a nessuno, e non doveva dimenticarlo, mai! Concedendosi quei piccoli incoraggiamenti si sentiva un po’ ridicola, tuttavia ogni volta che lo faceva riusciva a sentirne maggiormente il peso. “Io sono buona e non permetterò a nessun mostro di fare del male agli Anderson.” La sua immagine mostrava un cipiglio serio, ferino, ma durò solo un istante: loro erano il suo nuovo inizio, la sua famiglia.
Quando entrò in cucina scorse Anna, ma prima che potesse dire qualcosa fu travolta da un abbraccio e sommersa da un piatto di ciambelle fumanti: a quanto sembrava, la signora aveva la bizzarra convinzione che a stomaco vuoto non si potessero affrontare i problemi. “Prima che andasse a lavoro ho parlato con Paul.” iris aveva l’impressione che esitasse, tuttavia decise di concentrarsi sulla deliziosa ciambella e non le mise fretta: era bizzarro quanto le fosse di consolazione sapere che qualcuno si preoccupava per lei. “Lui non è molto convinto, non si fida di cose del genere, però ha accettato di fare un tentativo con un medico che conosciamo.” La signora Anderson fece appena a tempo a pronunciare la parola medico che Iris rizzò il capo sospettosa: la credevano malata? Sarebbe ricominciato il circo dei medici che la definivano problematica, asociale e con tendenze para. Paravoiche?(Che poi ancora non capiva come si potesse tendere a qualcosa: o si era o non si era in paravoico) “Sto bene, non erano altro che graffi e mi avete fatto fare l'antitetanica con il resto delle vaccinazioni. Quindi a cosa può servire un dottore?” Doveva riuscire a capire se dopo la scorsa notte gli Anderson si erano decisi a liberarsi di lei, non era proprio il momento di lasciarsi andare ai ricordi. “Non è un medico in senso stretto, come quelli degli ospedali, ma uno psicologo: non c’è da vergognarsi se quando si subisce un trauma se ne ha bisogno. Anch’io, quando ero giovane, ho seguito una lunga terapia.” A quest’ultima affermazione Iris inclinò il capo e la osservò meglio, non le sembrava che portasse i segni di quell’ipotetica terapia sul suo corpo. “E per quanto…” “…Dovrebbe durare? Sarà una cosa di pochi giorni e se in qualunque momento vorrai smettere, o vorrai parlarne con me, io ci sarò. D’accordo ?” Adesso Anna si era chinata verso di lei e le tendava la mano. Iris non era del tutto convinta della faccenda dello psicologo, ma il modo in cui sua mamma riusciva a presentarle le cose era sempre disarmante, così le strinse la mano di rimando e annuì con slancio. “Va bene, mi fido: se servirà a far sentire meglio te e… Papà andrò da questo tipo.” La soddisfazione di Anna era palese e prima che la lasciasse per fissare un appuntamento l'abbracciò ancora una volta.
§§§

Il camion delle consegne era arrivato in ritardo, come al solito, ma in fondo era solo una delle tante grane tipiche della gestione di un locale. Maxwell firmò le ricevute e quando il camion ripartì  iniziò a portare dentro le casse. Avrebbe dovuto assumere un aiutante, in realtà lo aveva fatto, però da quando aveva perso la sua barista migliore non era riuscito a trovare qualcuno all’altezza. O forse non voleva un sostituto, ma la ragazzina che aveva preso sotto la sua ala. Non poteva fare a meno di vedere Ilaria come una sorta di sorellina. Le sue amiche continuavano a passare le serate libere nel suo locale e ogni volta gli chiedevano se avesse avuto notizie. Come poteva raccontare loro quello che sapeva? Se non lo avesse visto con i suoi occhi non ci avrebbe creduto neppure lui. “Non mi sono mai accorto di quanto il Blood Moon potesse essere silenzioso.” Ormai passava nel locale più ore di quante ne passava a casa propria e in un certo senso sentiva i suoi dipendenti come una sorta di grande famiglia allargata. Il suono di un miagolio frustrato lo fece distrarre dai rendiconti, quel piccolo ladruncolo era diventato la mascotte del locale e pure lui sentiva la mancanza di Ilaria. “Hai sempre voglia di pappa, eh?” Il micio lo fissò con degli occhioni teneri e una volta saltato sulla scrivania cominciò a fare le fusa. Quell'infingardo era un bel furbetto. “Fammi finire qui e ti darò una tazza piena di latte caldo ok?” “Miaaao!” Avrebbe giurato di vedere nel suo sguardo un certo compiacimento, che il piccolo Hunter lo capisse davvero? In fondo al mondo esistevano cose ben più bizzarre di un gatto poliglotta.
§§§



Gli ululati dei lupi riecheggiarono nella vallata, Riel sogghignò e fissò il cielo con un'espressione meditabonda: la maggior parte di loro amava muoversi in fretta, affidandosi alle proprie ali, tuttavia lo spirito umano per lui era uno spettacolo tanto affascinante che desiderava studiarlo il più possibile. A maggior ragione adesso, visto che il tempo stava per scadere.
“In fondo è stato uno spettacolo interessante, ma il raccolto è maturo e non c’è più molto tempo.” Il suo palazzo, intagliato nella viva roccia, gli apparve all'orizzonte, e nel tempo di un istante gli si affiancarono due giganteschi lupi bianchi. “Hate e Skooll: le mie guardie migliori, le più fedeli. Fremete per riavere le vostre sembianze, vero? Anche voi sentite che l'ora del cambiamento è vicina, nessuno tra quei presuntuosi ha mai sospettato niente: creature patetiche.” Anche gli altri soldati di guardia sembravano averli scorti, e di stanza in stanza i lumi si accesero sotto il suo sguardo. “Questo vuol dire che possiamo mangiare?” La domanda di Hate, così apparentemente innocente e normale, attirò subito l'attenzione di Riel. “In fondo siete stati buoni per quasi mezzo millennio: meritate un premio.” Sfiorò la fronte di entrambi i lupi, in una muta benedizione, e questi scattarono lungo il sentiero che aveva appena percorso.
Il grande Anyel aveva ragione: Riel sta complottando per rovesciare l’ordine del nostro mondo. E quelle due bestie che lo avevano accolto erano ricolme di un’energia troppo vasta per essere dei semplici animali.” Doveva muoversi in fretta. “Eccolo.” Quella singola parola gli giunse direttamente nel cervello e quando dischiuse le ali per scappare uno dei lupi emerse alle sue spalle, squarciandogli il ventre con una zampata possente: non una ferita mortale, certo, ma comunque dannatamente dolorosa. “Se lo roviniamo subito non c’è gusto.” “Hai ragione, scusami, non sono riuscito a controllare l’entusiasmo.” Adesso entrambi i lupi erano usciti dalle ombre e gli mostravano le loro zanne affilate in un inquietante ghigno di derisione. Perché riusciva a sentire i loro pensieri? Cosa aveva fatto Riel per creare quei mostri? “Ragazzo, loro non sono mostri, ma soltanto due delle creature più fedeli del nostro signore. La tua presenza implica che il caro Anyel ha qualche sospetto, dalle insegne che porti sembri addirittura un membro del suo gruppo di spionaggio migliore.” La voce estranea rimbombò nell’aria, senza manifestare una fonte precisa, e lui si ritrovò sempre più immerso nella convinzione che non ne sarebbe uscito vivo. “Noi scompariremo.” Era un pensiero disperato, pronunciato a mezza voce, tuttavia maledettamente realista.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1002364