You, like nobody else.

di Giulia_G
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 2: *** Capitolo due. ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre. ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro. ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque. ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei. ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette. ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto. ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno. ***


Mi persi ancora una volta, l’ennesima, nei suoi occhi. Mi sorrise, quasi come se si fosse accorto che quel gesto fosse tutto ciò di cui avevo bisogno in quel momento.
«Ti amo» mi sussurrò all’orecchio, provocando dei brividi a cui non ero abituata, ma che mi fecero sentire importante. Strinsi con una mano i suoi capelli, mentre con l’altra gli accarezzavo una guancia. Si avvicinò, unendo le sue labbra alle mie e dando inizio a uno dei baci più appassionati in cui io fossi mai stata coinvolta. Infilò le dita sotto la mia maglietta, sicuro del fatto che non avrei avuto niente da obiettare. Si insinuò veloce fino alle spalle, tentando di slacciare il reggiseno. Mi lasciai sfuggire un sorriso quando mi accorsi che la cosa gli dava dei problemi, ma tornai immediatamente sulla sua bocca, per poi aiutarlo nell’impresa. Sfilai le bretelle dalle maniche della maglietta e lo lanciai dall’altra parte della stanza. Il suo sguardo mi mancò da morire per i pochi secondi in cui non poter goderne, durante i quali gli feci togliere la t-shirt gettandola a qualche metro da noi, sul pavimento, e facendo fare la stessa fine alla mia. Mi spinse fino al bordo del materasso, facendomi sdraiare sopra le coperte e appoggiandosi poi a me. Feci forza sui piedi e arretrai leggermente, guardandolo mentre mi seguiva. Mi baciò ancora, mentre abbassava la lampo dei miei pantaloni, fermandosi poi per regalarmi qualche carezza. Mi sfiorò il collo con le labbra, muovendosi verso l’orecchio. Aveva un buon profumo. Alzai il mento e presi un respiro, pronta a fiondarmi di nuovo su di lui. Allungai le mani verso i miei jeans e ne feci uscire le gambe, lasciandoli appesi alle caviglie. Non lo vedevo bene in faccia a causa del buio, ma ero sicura che avesse gli occhi bene aperti, attento a osservare ogni mia mossa e ogni mia espressione. Lo sentivo su di me, percepivo la sua voglia di abbattere anche gli ultimi ostacoli che ci separavano. Mi afferrò per i capelli, facendomi buttare la testa all’indietro per baciarmi ancora il collo, scendendo poi sulle spalle. Si diresse convinto verso il seno e per un attimo pensai di fermarlo, ma appena vi ci appoggiò le labbra ritirai quel pensiero, accarezzandogli la testa. Tornò presto a guardarmi negli occhi. Vedevo brillare i suoi grazie alla luce della luna che filtrava dalla finestra, e speravo che anche lui si accorgesse di ciò che splendeva in me. Con una mano, mi infiltrai sotto il bordo dei suoi pantaloni, scorrendo poi fino al bottone che li teneva chiusi. Lo slacciai, aprendo poi anche la cerniera e facendoli scendere poco alla volta. Si sollevò appena, tenendosi sulle braccia, per facilitarmi, e pochi secondi dopo gettò ai piedi del letto anche le sue mutande. Rimanevano solo i miei slip come ultima barriera, poi mi sarei trovata ad affrontare a pieno quello che sarebbe stato uno dei passi più importanti della mia vita. Ero riuscita a fatica a trattenermi fino a quel momento, ma non sarei potuta andare oltre senza confessargli quello che mi premeva dentro.
«E’ la mia prima volta» dissi, tutto d’un fiato, chiudendo gli occhi e attendendo una sua risposta. Mi sarei aspettata uno di quei suoi sorrisi da togliere il respiro, un bacio appassionato o una parola dolce, ma tutto quello che ottenni fu il fatto che si bloccò, rimanendo fermo per più di un minuto nella stessa posizione.
«Davvero?» chiese semplicemente, con voce quasi preoccupata, fissando lo sguardo sul mio volto. Non fiatai, certa che avrebbe capito anche senza bisogno di un ‘sì’ vero e proprio. Ero decisa a ricominciare da dove ci eravamo interrotti, a unirmi a lui nell’unico modo in cui ancora non ci eravamo uniti, ma evidentemente lui non era del mio stesso parere. Quasi il cuore mi si fermò quando si buttò di lato, occupando lo spazio libero sul copriletto con tutto il suo corpo. Mi voltai su un fianco per guardarlo in faccia, ma non scorsi niente tranne quella che identificai come inquietudine, paura, o qualcosa di simile. Probabilmente aveva gli occhi chiusi, coperti da un braccio. Ansimava, prendendo aria sia dal naso che dalla bocca; l’addome si muoveva ritmicamente, con un movimento veloce e regolare. Desiderai con tutta me stessa che si riprendesse, che tornasse a baciarmi il più presto possibile, che mi mormorasse all’orecchio ancora una volta che mi amava, ma niente di tutto ciò successe. Lo guardavo quasi speranzosa, intuendo che qualcosa non andava, nell’attesa che facesse qualcosa, qualunque cosa, purché non rimanere lì, immobile di fianco a me.
«Merda» esplose, più ad alta voce di quanto mi sarei aspettata, mettendosi a sedere e abbandonando la testa tra le mani.




Yeah :D
Ecco il primo capitolo della mia seconda storia, di cui sinceramente sono molto soddisfatta (: E' stata scritta tutta in una sera, o meglio, in una notte xD E' molto breve, dura solamente otto capitoli, ma è anche corta come lasso di tempo della storia stessa.. Spero di non aver corso troppo nel raccontarla, e spero soprattutto che piaccia a voi tanto quanto a me (: Non ha senso, lo so, pubblicarla mentre ne ho già una in corso, ma sono molto ansiosa di sapere cosa ne pensate.. La trama è nata per sbaglio durante una chiacchierata con un'amica, che saluto xD (Eli, ce l'ho con te).
Arrivata al punto giusto nella storia pubblicherò la one-shot relativa ;)
E.. niente. Volevo solo farvi notare una cosa: non è stato fatto nessun nome in questo capitolo ;) Perciò, quando lasciate una recensione fatemi sapere se secondo voi si sta parlando di Harry, Liam, Louis, Niall o Zayn :D
Commentate, fatemi sapere cosa ne pensate e grazie a tutti quelli che la leggeranno, metteranno tra le seguite eccetera xD
Se vi va passate anche dall'altra mia storia ("She didn't expect this").
Vi lascio in pace, sono logorroica xD Un bacione a tutti,
Giu.

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Capitolo 2
*** Capitolo due. ***


Eccomi con il secondo capitolo (: Premetto che qui si dirà chi è uno dei protagonisti, mentre ne verrà introdotto un altro, per ora sconosciuto *w* Ho letto e riletto questa storia decine di volte, e continuo a dire che a me piace molto, e che probabilmente rimarrà una delle mie preferite, tra le tante cagate che ho scritto xD Però non voglio peccare di presuntuosità, quindi lascio a voi il giudizio ;)
Mi raccomando, recensite. A chi legge non costa niente, e per chi scrive è davvero un piacere immenso leggere le recensioni, credetemi.
Ah, se avete scritto qualcosa anche voi lasciatemi il link in un messaggio personale (non nella recensione perchè mi sembra di aver capito che non si può) che passo dalla vostra ff (:
Un bacio a tutti, fatemi sapere cosa ne pensate (:
Giulia.




«Cosa…?» provai a chiedere, ma le parole mi si fermarono in gola.
«Merda» ripeté. Si alzò dal letto, portandosi dietro un cuscino, con il quale si coprì mentre camminava nervoso per la camera. Continuava a ripetere quella parola, battendosi una mano sulla fronte e urlando cose senza senso. Parlava da solo, senza aspettare che rispondessi e senza preoccuparsi del fatto che in quella stanza ci fossi anche io.
Lo seguivo con lo sguardo mentre faceva avanti e indietro da un muro all’altro, fermandosi ogni tanto per lanciarmi un’occhiata e ripartire immediatamente dopo.
«Si può sapere cos’hai?» riuscii a domandare, iniziando a spaventarmi per il suo comportamento. Mi ero seduta anche io sul bordo del materasso, cercando le parole giuste da dirgli perché si tranquillizzasse. Era giusto che si agitasse per ciò che gli avevo detto, ma non mi sembrava il caso che mettesse su tutto quel teatrino.
«Quando diavolo avevi intenzione di dirmelo?» scoppiò, gridandomi in faccia. Sembrava stesse per piangere, ma lo conoscevo troppo bene per credere che da un momento all’altro si sarebbe lasciato sopraffare dalle lacrime. Era troppo orgoglioso, troppo pieno di sé per ammettere che qualcosa avrebbe potuto anche solo scalfirlo.
«Io… Non pensavo che… Perché hai reagito così?» balbettai.
«Come pensavi che avrei reagito?» strillò ancora. Io stavo parlando piano, perché urlava così? Perché non mi aveva semplicemente sorriso, raccontandomi quanto fosse bella per lui l’idea di essere il primo con cui avrei fatto l’amore?
«Pensavo che ne saresti stato felice» ammisi, abbassando la testa. Non riuscivo a sostenere il suo sguardo, nonostante fosse uno dei più meravigliosi nei quali fossi mai sprofondata.
Sbuffò, tornando contro il muro. Raccolse le mutande dal pavimento e se le infilò velocemente, battendo poi un pugno contro la parete.
«Che cazzo hai?» gli chiesi ancora, alzando il volume della voce per raggiungere il livello che stava aveva usato lui. Gli andai incontro, evitando del tutto il contatto fisico ma tentando di creare quello visivo. Si voltò lentamente, con un’espressione in viso che non gli era mai appartenuta. Era arrabbiato, ma allo stesso tempo pareva non gli interessasse niente della situazione.
«Niente, non ho niente» disse, scoppiando in una risata isterica. Lo guardai storto, cercando di comprendere cosa gli passasse per la testa, ma non riuscivo assolutamente a trovare un punto d’incontro tra ciò che sentivo io e quello che immaginavo stesse provando lui.
«Harry!» lo chiamai. Continuava a ridere, come se non avessi neanche parlato.
«Non posso, non posso fare sesso con te» concluse serio, come se quello fosse il risultato di ore intere di riflessione.
«Come sarebbe a dire che non puoi?» chiesi una spiegazione, calcando con la voce sull’ultima parola. Mi chinai a raccogliere i miei vestiti da terra e uno a uno me li misi addosso, capendo che non ci sarebbe più stato bisogno di rimanere mezza nuda.
«Non posso, non voglio, mettila come vuoi» ripeté. Aveva colpito esattamente nel punto più debole. Gli rivolsi ancora un’occhiata disgustata, poi mi avviai verso la porta, spalancandola e richiudendola alle mie spalle con un tonfo. Corsi fino alla porta d’entrata, infilandomi la maglietta e le scarpe che avevo lasciato davanti al divano quando ero arrivata. Afferrai la cartella della scuola e uscii da quella casa come se si trattasse di un castello di vampiri assetati del mio sangue.
«Vaffanculo» gli gridai, pur sapendo che dalla strada non mi avrebbe sentita. Le lacrime uscirono da sole, senza che fossi io a controllarle. Non avevo neanche la forza di fermarle, figurarsi se sarei stata in grado di andare molto lontano sulle mie stesse gambe. Mi accasciai sulla prima panchina che trovai nel viale, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e cercando qualcosa che mi permettesse di avere una visione diversa di tutta quella situazione, ma non trovai neanche un piccolo squarcio di positività. Il pianto faceva il suo corso senza che io neanche me ne rendessi conto, intenta a ripercorrere tutte le immagini e le parole che invece avrei dovuto scacciare dalla mente. Lo rividi spostarsi dal mio corpo, allontanarsi e percorrere la stanza a grandi passi, mentre io rimanevo inerme sul letto a osservarlo. Non riuscivo a capacitarmi che avesse potuto parlarmi come aveva fatto e di comportarsi in quel modo, ma allo stesso tempo non ne ero affatto sorpresa. Anzi, mi stupii di non essermi accorta prima della possibilità che ciò accadesse.
Sentivo la mia voce che bofonchiava frasi senza senso, rotta dai singhiozzi, ma non le prestavo attenzione. Tutti i rumori intorno a me, che in un'altra circostanza avrei apprezzato di gran lunga, in quel momento diventarono un disturbo. Non desiderai altro che il silenzio, volevo solo che ogni ticchettio, tonfo e fruscio intorno a me cessassero, lasciandomi da sola con i miei pensieri. Le mani erano bagnate, ma mi accorsi troppo tardi che non lo erano a causa delle mie lacrime.
Perfetto, pioveva. Neanche il cielo aveva pietà di me.
Non passarono neanche sessanta secondi, che mi ritrovai inzuppata dalla testa ai piedi, fatta eccezione solo per il volto, ben coperto. Pensai di alzarmi e correre verso casa, ma realizzai che non sarebbe di certo servito a tornare asciutta. E comunque avevo ancora più di un’ora e mezza di autonomia; l’avrei sicuramente trascorsa su quella panca, solo in compagnia di quei fastidiosi elementi della natura.
«Allyson?» mi sentii chiamare, da quella che probabilmente era l’unica persona di cui avevo bisogno in quel momento. Alzai la testa, permettendo alle gocce di acqua di segnarmi anche il viso, trascinandosi dietro il trucco nero che ancora le lacrime non erano riuscite a portar via.

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Capitolo 3
*** Capitolo tre. ***


Hola :D Oggi pomeriggio non avevo niente da fare quindi vi pubblico un altro capitolo di questa mia seconda fan fiction xD Spero vi piaccia almeno quanto piace a me xD
Mi raccomando, recensite *w* Vi prego, mi fa un sacco piacere vedere le recensioni che qualcuna di voi lascia, vi ringrazio e vi apprezzo singolarmente (:
Quindi, niente xD Leggete, commentate e via xD
Passate anche dall'altra mia ff a leggere e recensiere, se vi va (:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=982308&i=1

Bacioni a tutti, Giulia (:




«Cosa ci fai qua?» chiesi al ragazzo in piedi di fronte a me, non preoccupandomi di fermare le lacrime che comunque continuavano a scendere sulle mie guance. Stropicciai gli occhi, sfregandoli con le mani e facendo leggermente fatica a riaprirli sotto la pioggia.
«Ti ricordo che abito lì» mi fece notare, indicando con un braccio una delle villette a schiera di quella zona. Annuii, mentre si sedeva di fianco a me, probabilmente aspettando che gli svelassi quale fosse la causa del fatto che mi trovassi su quella panchina alle dieci passate di sera, da sola. Lo guardai, sperando che capisse che l’ultima cosa che volevo era ritrovarmi costretta a raccontare quello che era successo, e quando distolse lo sguardo capii che gli era arrivato il messaggio.
«Non ti preoccupare» disse piano, tanto che sentii appena la sua voce, coperta dal suono della pioggia che batteva sul legno. Allungò una mano verso di me e mi cinse le spalle, accarezzandomi un braccio. Mi lasciai andare completamente, sapendo che non avrebbe giudicato né me, né le mie lacrime. Appoggiai la testa al suo petto, tirando su le gambe e accavallandole alle sue, per farmi di nuovo prendere dai singhiozzi. Non era più un pianto di rabbia, di angoscia e di tristezza, ma un pianto liberatorio, con il quale speravo di riuscire a farmi scivolare addosso tutto quello che era accaduto, nonostante sapessi bene che non sarebbe bastato quello. Mi passò una mano tra i capelli, percorrendoli fino alle punte, per poi tornare su e ricominciare a sfiorarli, mentre io mi facevo cullare dalla sua voce e dal ritmico cadere dell’acqua sul mio corpo. Faceva freddo, nonostante qualche settimana prima la bella stagione avesse fatto capolino, portando con sé il sole tipico di fine marzo. Probabilmente stavo tremando, ma non mi interessava. Ero tra le sue braccia, ero al sicuro.
 
 
Non so quanto tempo passò prima che mi riprendessi, ma quando finalmente ciò accadde, era come se sentissi su di me un peso in meno. Ruotai il busto, portando le gambe di fronte a me, pulii leggermente le guance dal nero bagnato e appiccicoso del trucco, e guardai dritto per qualche minuto. Mi alzai velocemente, cercando di mantenermi in equilibrio. Gli porsi una mano e quando la afferrò lo tirai a me per abbracciarlo ancora una volta, nonostante fossimo stati vicini per tanto tempo che ormai non averlo accanto mi lasciava quasi un senso di vuoto.
«Grazie Liam» gli dissi all’orecchio, scostandomi una ciocca di capelli da davanti agli occhi. Lo vidi sorridere, nonostante intorno a noi fosse buio pesto: il suo sorriso avrebbe illuminato anche l’oscurità di una caverna.
«Ti accompagno a casa» si offrì, prendendomi per mano. Non aveva la più pallida idea del perché fossi scoppiata a piangere sulla sua spalla, né del perché mi fosse così difficile per me anche solo abbozzare un sorriso, ma era riuscito comunque a farmi sentire meglio, semplicemente con un abbraccio e qualche canzone accennata all’orecchio. Era quella la sua magia.
Un piede davanti all’altro, oltrepassammo la fila di alberi che separava la strada dal marciapiede, per poi avanzare per qualche isolato.
«You light up my world like nobody else» gli canticchiai a bassa voce, riprendendo una delle melodie che mi aveva fatto ascoltare non molti giorni prima. Sentii la sua stretta aumentare, non c’era nessun bisogno di usare delle inutili parole per capirci.
La sensazione che provai ritrovandomi di fronte al portone di casa mia fu di assoluto benessere. Finalmente ero a casa, lontana da tutto e da tutti.
«Ci sentiamo domani» si raccomandò, incurvando un lato della bocca in quello che sarebbe dovuto essere un sorriso d’incoraggiamento. Annuii, stampandogli un bacio sulla guancia e oltrepassando la porta di casa. All’interno faceva caldo, più di quello che mi sarei aspettata. Salii con calma le scale, cercando di fare meno rumore possibile per non svegliare chiunque stesse dormendo. Sbirciai nel corridoio e vedendo la luce spenta lo attraversai tranquillamente, con la testa bassa e le scarpe bagnate in mano. La mattina dopo mi sarei dovuta inventare una buona scusa per spiegare le impronte di acqua lasciate in tutta la casa. Mi spogliai in fretta, infilandomi sotto il lenzuolo, chiudendo gli occhi e sperando con tutta me stessa di addormentarmi all’istante.
 
Camminava avanti e indietro per la stanza, aumentando sempre più in altezza. Ogni secondo che passava si avvicinava di più al soffitto della stanza, fino a quando non arrivò quasi a toccarlo.
«Harry calmati» lo pregai, ponendo le mani avanti contro qualcosa che comunque sarebbe riuscito ad abbattere facilmente quella mia barriera. Chiusi gli occhi, in attesa del colpo che avrebbe sferrato da un momento all’altro. Quando li riaprii gridai più forte che potei, per farmi sentire anche dai morti. Qualcuno sarebbe dovuto venire ad aiutarmi! Era a pochi centimetri da me, il suo occhio era grande almeno quanto la mia mano, e si beava di una risata che mi incuteva un terrore che non avevo mai provato.
«Smettila» lo implorai ancora, portando le mani davanti agli occhi e cercando di respirare normalmente.
«Allyson!» pronunciò il mio nome come se fosse una maledizione.
«Allyson!» ripeté, non ancora contento del risultato ottenuto.
 
 
«Allyson!». Mi svegliai di soprassalto, sudata e tremante. Il viso di mia sorella regnava sul resto della stanza, più vicino a me di quanto avrei voluto che fosse. La spinsi via con una mano, girandomi verso il muro e mugugnando qualcosa.
«Tutto bene?» chiese preoccupata, sfiorandomi una spalla. Annuii velocemente, accompagnando il gesto con un verso. Rimase in quella posizione per almeno un altro minuto, fino a quando non mi decisi a guardarla in faccia e assicurarle che era tutto a posto.
«Tutto bene Brooke, è stato solo un brutto sogno, torna a dormire».

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro. ***


Eccomi qua :D Ho postato un po' più tardi perchè avevo perso la chiavetta, ma comunque adesso sono viva xD Mi rendo sempre più conto che questi capitoli sono brevissimi, ma ormai per me è una storia finita e non più modificabile ;) Questo però è davvero corto T_T In ogni caso, spero vi piaccia, è forse l'unico capitolo della storia in cui non succede niente di particolare, però è un capitolo di passaggio che mi serviva per quello dopo, che è decisamente il mio preferito xD Dopo il quinto capitolo pubblicherò anche la relativa os ;)
A proposito, passate a leggere la mia nuova one-shot se vi va (:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1030528&i=1

Anywaaaay, let me know what you think ;) Recensite, mi raccomando xD mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate (: E niente, vi lascio a questo brevissimo capitolo (che tra un po' è più lunga l'introduzione ma vabbè xD)
Bye bye (:
Giulia.




Le giornate a scuola erano sempre peggio da quando i professori avevano deciso di non darci neanche un momento di tregua. Verifiche, interrogazioni, test, ci stavano bombardando. Ero sfinita, come se la storia con Harry non fosse sufficiente per definire quel periodo come uno dei peggiori di sempre.
«Un bagno, ho solo bisogno di un bagno» dissi a me stessa un pomeriggio, realizzando che sarebbe stato l’ideale per allentare un minimo la tensione. Non facevo un bagno in casa da sola da almeno un anno, non me l’avevano mai permesso. Sapevano che l’acqua nella vasca era uno dei pochi metodi che conoscevo per non lasciare tracce di sangue in giro.
«Stai tranquilla» sussurrai. Presi un respiro, aprendo il rubinetto e sfilandomi di dosso i vestiti. Lanciai un’occhiata allo specchio, regalandomi le peggio smorfie. Quei capelli non avevano un senso, davvero, e li occhi cerchiati li accompagnavano. Mi soffermai a guardare il getto che scendeva veloce, passando una mano dentro la vasca per controllarne la temperatura dell’acqua, nella quale mi immersi appena raggiunse la metà della profondità, sprofondando fino al collo.
«Rilassati» consigliai alla parte di me che ancora si agitava al solo pensiero di Harry. Era inevitabile pensare a lui, ma cercavo comunque di occupare la mente con altro, come la sensazione che mi regalava l’acqua calda al contatto con la mia pelle.
«Pensieri felici, pensieri felici» canticchiai, ricordando la famosa raccomandazione di Peter Pan ai bambini, mentre insegnava loro a volare. Chiusi gli occhi e mi abbandonai al calore del bagno, facendomi cullare dalle onde invisibili che solo io riuscivo a percepire.
«Non posso, non voglio, mettila come vuoi» continuava a ripetermi la sua voce nella testa, senza che io potessi anche solo pensare di controllarla. La scacciai, ma tornò imperterrita, più forte di prima. La sua risata, tutto ciò che aveva detto, riecheggiava in tutto il mio corpo, occupando anche gli spazi più angusti, che nient’altro sarebbe mai riuscito a raggiungere. Di nuovo, le lacrime presero il sopravvento, forzando i cancelli dietro i quali avevo provato a rinchiuderle. No, non sarebbe potuta finire così, non avrei permesso a quel ragazzo di rovinare la mia vita, portandomi a rovinare il mio corpo. Mi asciugai le lacrime con le mani bagnate, sciacquando la faccia e lavando via il mascara nero e la matita che erano serviti a coprire i segni di una notte quasi insonne. Ero concentrata solo sul dolore che quei ricordi mi provocavano. Fu in quel momento, quando mi accorsi che non sentivo più il mio cuore battere, che capii che da sola non l’avrei superata. Avevo riconosciuto l’inizio e sapevo come sarebbe andata a finire, ma non avrei concesso la vittoria a quella maledizione una seconda volta. Ricordavo di averne lasciata una all’interno di una saponetta, contro ogni coerenza, e a stento riuscii a trattenermi dall’allungare un braccio e scioglierla fino a tirarne fuori la lametta. Buttai una mano fuori dalla vasca, cercando a tentoni il cellulare. Quando lo afferrai, non ci fu neanche bisogno di cercare il suo numero in rubrica; riuscii a digitarlo direttamente, nonostante gli occhi fossero ancora impiastrati a causa del trucco e delle lacrime che non accennavano a voler interrompere la loro aggressione.
«Pronto?» sentii la sua voce dall’altra parte della cornetta e il suo effetto si fece sentire immediatamente. Presi un respiro, per risultare il più calma possibile nel momento in cui avrei parlato.
«Dimmi qualcosa» lo supplicai, nel tentativo di non fargli accorgere del fatto che stessi piangendo, di nuovo.
«Qualcosa tipo?».
«Quello che vuoi, qualsiasi cosa» gli ripetei.
«Ha smesso di piovere» osservò.
Sentivo i muscoli distendersi mano a mano che mi raccontava la sua giornata, il cuore riprendeva lentamente il suo battito regolare e il respiro tornava quello di sempre. Le dita intorno al telefono si rilassarono, così come quelle strette sul bordo della vasca da bagno. Mi tirai su piano, ed evitando di scivolare mettendo male un piede mi alzai e mi infilai l’accappatoio appeso dietro la porta.
«Grazie Liam» gli dissi piano, sperando che dall’altra parte della linea mi sentisse.
«Dieci minuti e sono da te, mi raccomando» fece.

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque. ***


Hei ciao a tutte :D
Pubblico il quinto capitolo così presto, subito dopo il quarto, solamente perchè oggi è il mio compleanno xD Tanti auguri a me, tanti auguri a me, tanti auguri a Giulia, tanti auguri a me xD
No, vabbè, a parte la mia idiozia.. Questo è il capitolo che preferisco, forse in competizione con quello dopo.. Mmh xD Comunque dopo questo verrà pubblicata la one-shot relativa, che a me piace molto e che soprattutto mi è piaciuto un sacco scrivere :)
In ogni caso, spero vi piaccia anche questo, non ci sono state recensioni sul capitolo precedente ma va bè xD
Spero che abbiate pietà di me e mi facciate un bel regalo di compleanno recensendo xD

Passate anche dalla mia one-shot     http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1030528&i=1

O dall'altra storia xD     http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=982308&i=1

Grazie a tutti quelli che recensiranno o simili (: Vi ringrazio davvero di cuore, è importante (:

Un bacio a tutti (:
Giulia.





Quando suonò al campanello di casa mia stavo ridendo. Stavo ridendo senza un motivo, senza una spiegazione valida e coerente. Stavo morendo dentro e ridevo.
«Vaffanculo Ally» mi salutò, entrando e abbracciandomi forte come la sera prima, credendo che quel mio comportamento fosse naturale e sincero.
«Non ce la faccio» ammisi, forse più a me stessa che a Liam, separandomi da lui e andandomi a sedere sul divano del salotto. Nascosi la testa tra le gambe per nascondere le lacrime e i singhiozzi che tornavano ad aprirsi un varco dopo la risata isterica di qualche minuto prima.
«Basta Ally» provò a calmarmi. Si lasciò cadere sul posto accanto a me, avvolgendomi con un braccio e tirandosi addosso le mie gambe. Mi lasciai coccolare come solo lui era in grado di fare, dando un ritmo al mio respiro con il suo, che sentivo leggero sul mio collo. Mi strinsi a lui, cercando le parole giuste per raccontargli ciò che era successo poco meno di ventiquattro ore prima. Sapevo che voleva essere messo al corrente dei fatti, che voleva conoscere il perchè fosse una settimana intera che dormivo poco e in ogni momento mi lasciavo andare al pianto, ma conoscendolo sapevo anche che non si sarebbe mai osato a chiedermelo.
«Harry… Eravamo a casa sua, nel letto… Stavamo per fare l’amore, non sai quanto ero felice…» iniziai, interrompendomi più di una volta.
«Ma tu gli hai detto che sarebbe stata la tua prima volta» concluse lui per me, premendo con le dita tra i miei capelli. Si spinse leggermente avanti, per poi tornare indietro e ripetere quel movimento altre quattro o cinque volte, probabilmente alla ricerca di un modo per tranquillizzarmi. Lentamente tirò su l’asciugamano che mi era scivolato da una spalla e mi coprì per bene, lasciando la mano sotto il tessuto, a contatto con la mia pelle. I brividi che mi corsero per tutta la schiena erano nuovi, non mi erano mai appartenuti, e non avrei saputo riconoscerne la causa. Alzai il viso e abbandonai la schiena al suo braccio, che mi tenne stretta, permettendomi di appoggiare la testa nell’incavo del suo collo. Lo sentii deglutire, mentre abbassava lo sguardo su di me. Portai una mano dietro il suo orecchio, giocando con i suoi ricci, più lunghi di quello che ricordavo. Respiravo il profumo della sua pelle, mi perdevo nell’immaginare che colore sarebbe stato se al nostro mondo fosse esistita una forma di vita che si fosse potuta avvicinare a quella dei colori. Sarebbe stato un rosso, di quelli intensi e che non danno cenno di volersi spegnere mai. Sarebbe stato perfetto per ogni occasione: un ballo, una chiacchierata, un’amicizia, un amore appena iniziato… una prima volta. Fu in quel momento, in quel preciso istante, che mi saltò in mente l’idea più stupida che avessi mai avuto, ma che mi sembrò la più efficace di questo pianeta. Mi sentii come se avessi appena trovato la soluzione al più grande dei problemi mondiali, come se avessi appena scoperto la cura per ogni malattia. Alzai il mento, fino a toccare il suo con il naso. Premetti con le dita dietro il suo collo, per potermi alzare il necessario per arrivare ad avvicinare le mie labbra alle sue. Lo sentii sorridere sulla mia bocca, nonostante percepissi che non fosse sicuro di quello che stava per succedere. Sapeva quanto me che sarebbe stato sbagliato, forse il più grande errore che entrambi avremmo mai commesso, ma io ero decisa a non fermarmi, ad andare fino in fondo. Speravo che mi avrebbe aiutata, che non mi avrebbe abbandonata. Aspettai qualche secondo una sua conferma, e quando chinò la testa per eliminare quella poca distanza che ci separava, non attesi a fiondarmi su di lui. Mi aggrappai ai suoi capelli, muovendo velocemente una gamba e sistemandomi a cavalcioni sulle sue gambe, dimenticandomi completamente del fatto che sotto l’accappatoio fossi quasi nuda, coperta solo dall’intimo che avevo avuto l’accortezza di indossare prima che lui arrivasse. Gli presi il viso tra le mani, baciandolo con tutta la passione che riuscii a tirare fuori. Infilò entrambe le mani sotto le mie cosce, per poi mettersi in piedi, portandomi con sé. Incrociai le gambe sulla sua schiena, tenendomi a lui anche con un braccio per avere una presa più salda. Si mosse lentamente, salendo le scale un gradino per volta. Quando entrammo in camera mi sentii come la sposa che oltrepassa la soglia della casa nuova in braccio al marito, con la piccola differenza che la protagonista era una ragazza sbagliata, con le idee confuse, abbracciata a un ragazzo la cui definizione più giusta era quella di migliore amico, se non di fratello. Mi appoggiò delicatamente a terra, guardandomi negli occhi per tentare di comprendere cosa mi passasse per la testa, senza rendersi conto che i miei pensieri fossero più alla rinfusa dei suoi.
«Allyson…» richiamò la mia attenzione, tenendomi il viso fermo con una mano. Scossi leggermente la testa, pregandolo con lo sguardo di non parlare, di non dire niente. Il groppo in gola non pareva voler scendere, mentre il peso sul cuore aumentava ogni secondo di più.
«Scusa» gli sussurrai all’orecchio, prima di tornare a poggiare le mie labbra sulle sue.

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Capitolo 6
*** Capitolo sei. ***


Non pensavo che avrei amato tanto ciò che sarebbe venuto dopo, ma dovetti ricredermi. Mi accarezzava il viso, guardandomi negli occhi e osservando un sorriso spuntare sul mio volto. Amavo il modo in cui mi osservava, come se in quel momento fossi la cosa più importante per lui, come se percepisse il mio sentirmi protetta dalle sue braccia e dal suo soffio tra i miei capelli. Mi prese la mano, intrecciando le sue dita con le mie, senza smettere di fissarmi. «A cosa pensi?» mi chiese. Abbassai il volto, asciugandomi la prima di quella che immaginai sarebbe stata una cascata infinita di lacrime. «Scusami» dissi semplicemente, sapendo che avrebbe capito cosa intendevo. «Non piangere» mi consolò piano, abbracciandomi. Di nuovo quel senso di sicurezza al contatto con la sua pelle. «Non mi lasciare, ti prego». Piangevo, quasi a singhiozzi. «Non lo farò, mai. Te lo prometto» sussurrò, sapendo bene che ciò a cui alludevo io non era lo stesso a cui pensava lui. Probabilmente non lo aveva capito subito, ma il rendersi conto di essere una specie di strumento per me in quel momento, non era assolutamente servito a fermarlo. Mi facevo schifo da sola, non ci sarebbe stato bisogno di nessuna predica, di nessuna paternale per spiegarmi che era sbagliato prendersi gioco così di una persona. Mi sentivo una merda, dentro e fuori. Mi scoppiava il cuore al solo pensiero di avere usato Liam per uno scopo così stupido, per un fine così inutile e infantile. Sapevo che avrei ricordato quella serata come uno dei più grandi sbagli della mia vita, ma nonostante questo non riuscivo a pentirmi di quello che era successo. Mi era piaciuto, non solo nel senso fisico. Era quello ciò che mi preoccupava: mi ero sentita bene, al sicuro, felice addirittura, mentre mi dedicava tutte le attenzioni di cui era capace. «Allyson?» mi chiamò, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Lo guardai con l’aria di chi ha mille e più azioni da farsi perdonare, ma lui non era arrabbiato, né pareva avere intenzione di aspettare delle scuse. «E’ tutto ok» mi assicurò, guardandomi negli occhi. Mi accoccolai ancora a lui, continuando a ripetere l’errore di pensare solo a me stessa, quasi come se non mi fossi accorta di commetterlo anche solo rivolgendogli un sorriso di troppo. «Scusami» ripetei, prima di mettermi a sedere. Avevo ancora le dita intrecciate con le sue, e mi costò una fatica enorme lasciarle andare per alzarmi. «Dove vai?» domandò, sedendosi sul bordo del materasso e infilandosi velocemente i boxer. Recuperai l’accappatoio e me lo misi addosso, prima di girarmi e tornare sul letto. Mi accovacciai accanto a lui e presi per l’ennesima volta la sua mano. «Ti amo» riuscì a dirmi, evidentemente in lotta contro se stesso per ricacciare indietro le lacrime che facevano a pugni per venire fuori. Quelle due parole ruppero ogni muro interiore che avevo, facendomi sciogliere come un panetto di burro sotto il sole estivo. «Mi dispiace Liam, io non…» iniziai, ma mi interruppe, abbracciandomi come avrebbe fatto il mio migliore amico, non come il ragazzo con cui ero appena stata a letto solo per avere la possibilità di andare con un altro. «Lo so» mi tranquillizzò, accarezzandomi la testa. «Ma dovevi saperlo comunque» aggiunse. Sentivo che non era tutto ok, sapevo di aver rovinato per sempre il nostro rapporto ed ero consapevole del fatto che Liam fosse la persona più stupenda sulla faccia del pianeta. Stava lì, fermo, a sorbirsi il mio capriccio. Mi vergognavo persino di non essermi accorta subito che il motivo che aveva spinto lui a stare al mio gioco era diverso da quello che aveva incoraggiato me, ma allo stesso tempo sapevo di averci pensato più di una volta e di aver cacciato quel pensiero per puro timore. Quando sciolsi l’abbraccio mi accorsi di non riuscire a sostenere il suo sguardo. Non mi era mai successo, mai in tutta la mia vita, di non riuscire a guardare Liam negli occhi. Sarei voluta rimanere in quel letto con lui per sempre, a cercare insieme un modo per risolvere la cosa, essendo consapevoli del fatto che non lo avremmo mai trovato, ma sapevo che non sarei dovuta andare oltre. Era finito il tempo di pensare a ciò che volevo io. I minuti, le ore e i giorni successivi furono un totale inferno. Rischiai più di una volta di ricadere nella trappola; non fosse stato per mia sorella, che ogni volta era arrivata puntuale a tirarmi fuori dalla vasca dal bagno o ad allontanarmi dai frammenti di vetro, sarei sprofondata nell’oblio di quella tortura, di quel massacro che mi sarei inflitta da sola. Mi mancava Liam, sentivo la mancanza di ogni parte di lui. Volevo sentire la sua voce, il suo fiato sulla mia pelle, ma ovviamente non mi sarei meritata che fosse tornato da me come se nulla fosse mai accaduto. E neanche mi sarei mai sognata di fargli una richiesta simile. Avevo anche pensato di cercare Harry per… non sapevo neanche io per cosa. Dopo quarantotto ore di totale digiuno, mi ero decisa a buttare giù un paio di biscotti, ma il risultato non era stato per niente soddisfacente. Lo stomaco si era rigirato più e più volte, in disaccordo con la scelta di provare a riempirlo con qualcosa. Non facevo altro che dormire, piangere e dormire ancora, aspettando un miracolo, attendendo che qualcuno venisse a salvarmi. Passarono tre settimane prima che mi rendessi conto che mi sarei dovuta salvare da sola, che nessun angelo custode sarebbe sceso in terra per risolvere i miei problemi con una bacchetta magica. Mi mancavano gli abbracci di Liam, la sua voce, gli sguardi di Harry e il suo corpo vicino al mio. Non sentire Liam era come rimanere sola al mondo, isolata dentro una bolla indistruttibile, ma passare le giornate a chiedermi cosa stesse facendo Harry in quel momento era anche peggio. Ricorderò sempre quella mattina come quella in cui mi sentii più determinata che mai a ottenere ciò che volevo. Colsi al volo l’occasione per uscire, data da mia madre che cercava qualcuno da mandare a fare una commissione nel supermercato più vicino. Casa di Harry era sulla strada per il negozio, lo sapevo, e avevo intenzione di fermarmici. Quando arrivai di fronte al portone, alzai una mano per suonare il campanello, ma non ne ebbi la forza. La riabbassai, girando sui tacchi e sedendomi sulla mia panchina, quella che mi aveva tenuto compagnia decine di volte in tutti quegli anni. Non riuscii a scollarmi da quel vialetto per almeno un’ora, poi sentii la sua voce. «Allyson, devo parlarti». Mi salutò così Harry, quando mi vide. Non sorrideva, i suoi occhi erano come scuriti, anche se il sole splendeva stranamente nel cielo. Lo guardai intensamente, ingoiando la rabbia e disponendomi ad ascoltarlo. Attesi un minuto, due, tre, ma non parlava, così decisi che avrei iniziato io il discorso, sputando fuori il segreto che mi tenevo dentro già da troppo tempo. «Sono stata con Liam, non sono più vergine» esplosi, sostenendo perfettamente il suo sguardo. Fu solo grazie al fatto che fossi in grado di guardarlo negli occhi, che mi resi conto di come si illuminarono dopo quella mia frase. «Sul serio?» chiese, portando leggermente avanti la testa, forse senza neanche accorgersene. Annuii un paio di volte, seria, prima di aprire di nuovo la bocca. «Ho agito d’istinto, non avrei dovuto usarlo per arrivare a te, ma in quel momento non me ne sono resa conto» continuai, con una voce calma al punto che stupii anche me stessa. Come ero arrivata al punto di ritrovarmi quasi a chiedere scusa ad Harry? Non meritava nessuna giustificazione, eppure ero lì, di fronte a lui, a cercare le parole migliori perché desse la giusta importanza a ciò che era successo. Vedevo il suo conflitto interiore, combattuto tra l’idea di arrabbiarsi con me per essere andata con un altro ragazzo mentre, almeno teoricamente, stavo ancora con lui, e la voglia di ricominciare tutto da dove si era interrotto un mese prima. Infilò veloce una mano sotto i miei capelli, appoggiandola sul collo e avvicinandosi come un fulmine. Mi resi conto troppo tardi di avere le sue labbra incollate alle mie, e di stare ricambiando quello che immaginai fosse un bacio di ricongiungimento.

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Capitolo 7
*** Capitolo sette. ***


Quando si allontanò da me sorrise, fissando la sua attenzione sul mio volto e provando a capire qualcosa della mia espressione, senza però riuscire nell’impresa. Lasciai che mi trascinasse fino a casa sua, senza dire una parola, senza ribattere alle frasi a vanvera che metteva una dietro l’altra e senza opporre alcuna resistenza alla sua presa sul mio polso.
Salimmo le scale in tutta fretta, quasi cadendo quando inciampai nel laccio di una delle mie scarpe. Guardavo da troppo tempo un punto nel vuoto, ma lui sembrava non accorgersi del fatto che la mia mente fosse da tutt’altra parte e che ciò che stava dicendo mi entrasse da un orecchio per uscire dall’altro pochi secondi dopo. Quando arrivammo in camera mi fece voltare verso di lui, afferrandomi il mento per baciarmi di nuovo.
Chissà cosa aveva detto in tutto il tempo in cui avevamo camminato velocemente per strada.
Mi infilò la lingua in bocca quasi con fare prepotente, ma non riuscii a oppormi neanche a quel suo gesto. Misi una mano tra i suoi capelli, abbandonandomi alle sue braccia. Sfilò velocemente la mia maglietta, senza pensarci due volte. Feci lo stesso con la sua, convinta che da lì in poi non sarei più riuscita a controllarmi. Mi baciava con quella che credevo fosse passione, ma che non poteva assolutamente essere paragonata al modo in cui le labbra di Liam avevano sfiorato le mie quella sera. Gli passai una mano sulla schiena, ricordando quanto mi piacesse quella parte del suo corpo, ma la forma delle sue scapole, delle spalle, della curva, non era quella giusta, non era come me la sarei aspettata. Aprii gli occhi di scatto, quasi spaventandomi quando trovai i suoi spalancati a pochi centimetri dai miei, di un colore che non era quello che volevo. Le dita che tenevano le mie erano troppo salde, non avevano la presa dolce di quelle che avevo intrecciato l’ultima volta.
Mi sfilò i pantaloni e, senza aspettare una mia risposta, fece cadere a terra anche i suoi. Gli saltai in braccio, aspettando che mi afferrasse con sicurezza, ma barcollò indietro, per poi tornare stabile solo qualche secondo dopo. Mi appoggiò presto al letto, tuffandosi su di me e infilando le mani dietro la schiena, desideroso solo di slacciare il reggiseno. Lo baciavo con foga, velocemente e quasi con rabbia.
Sentivo il mio cuore battere, solo il mio. Il cuore di Harry non batteva, non a ritmo del mio. Respirava affannosamente, mirando solo a una cosa.
«Fermo!» gli gridai, premendo sul suo petto con una mano, mentre ancora tentava di baciarmi.
«Cosa c’è?» chiese, senza scollare un secondo la bocca dal mio corpo.
«Ti ho detto di stare fermo!» ripetei, alzando ancora il volume della voce. Si bloccò e mi guardò, cogliendo l’occasione per riprendere un po’ di fiato. Lo spinsi indietro con forza, alzandomi e correndo per la stanza a recuperare tutti i miei vestiti. Li infilai alla svelta, senza rivolgerli neanche un’occhiata.
«Dove vai?» mi urlò dietro mentre scappavo da quella camera.
«Scusa Harry, vado a fare la cosa giusta, per una volta» risposi.
Scesi le scale più velocemente che potei, sbattendomi la porta alle spalle quando finalmente sentii l’aria fresca venirmi incontro. Girai a destra, prendendo la prima strada e ritrovandomi sotto casa di Liam, con il fiatone, dopo meno di trenta secondi. Suonai più di cinque volte, ma nessuno mi aprì. Cercai il cellulare nella borsa e composi il suo numero, ma continuava a rispondere la segreteria telefonica.
«Cazzo» mi lasciai sfuggire, insieme a un sorriso che in quel momento non aveva nessun motivo di esistere. Provai almeno altre dieci volte a chiamarlo sul telefono, ma dopo mezz’ora ancora non avevo sentito la sua voce. Il fiatone era sparito, lasciando il posto a un respiro lento e regolare, che non rispecchiava affatto l’ansia che avevo dentro.
«Liam» lo chiamai, sperando di udirlo dall’altra parte della cornetta.
«Sono qui» disse invece, a pochi metri da me. Mi voltai lentamente, riponendo il cellulare nella borsa. Quando mi resi conto di averlo a distanza ravvicinata, gli corsi incontro, vivendo il tutto a rallentatore. Gli buttai le braccia al collo, aspettandomi come reazione iniziale uno sbigottimento o qualcosa del genere. Invece, ricambiò il mio abbraccio, quasi sollevandomi da terra. Lo guardai negli occhi, cercando di trasmettergli con un solo sguardo tutto quello che le parole non sarebbero mai riuscite a esprimere. Mi avvicinai piano al suo viso, augurandomi che non si allontanasse da me e che, al contrario, compiesse quel gesto che io avevo così paura di fare. Piegò la testa di lato, donandomi uno dei sorrisi più sinceri che avessi mai visto in tutta la mia vita. Quando azzerò i pochi centimetri che erano rimasti tra di noi, appoggiando le sue labbra sulle mie, sentii le ginocchia perdere ogni forza. Mi aggrappai a lui, unendo le braccia dietro il suo collo e ricambiando quel bacio che stava dicendo tutto al posto nostro.
«Ti amo» gli confessai, ammettendolo per la prima volta anche di fronte a me stessa. Come avevo potuto essere così cieca?
Mi guardò e sorrise ancora, accennando quasi una risata, per poi ricambiare con un «Ti amo anche io» quasi liberatorio, ma pieno di tutto ciò che nessuno dei due era mai riuscito a dire. Si guardò intorno, cercando tracce del motivo per cui fossi lì e quando adocchiò la borsa di plastica che avevo dimenticato poco prima sulla panchina corse a prenderla, per poi tornare da me e fiondarsi di nuovo sulle mie labbra. Mi prese per i fianchi, spingendomi leggermente indietro con il busto. Allungò il braccio libero verso la serratura, allargando ad ogni movimento il sorriso che regnava sovrano sulla sua espressione.
Mi tenne per mano fino alla porta di camera sua, poi mi lasciò per chiuderla a chiave. Lo osservai mentre si girava lentamente, sperando che notasse ciò che brillava nei miei occhi così come io avevo notato la luce che c’era nei suoi. Fissò il suo sguardo nel mio, rimanendo lontano e immobile. Quando si mosse, avanzai anche io, come se fosse la mia calamita. Appoggiò una mano sulla mia schiena, infilandola sotto la maglietta, nello stesso punto in cui poco tempo prima mi aveva toccata Harry. Ma questa volta era diverso, lui non era Harry, e io non ero una bambola nelle sue mani. Ero io, Allyson, decisa e sicura.


I vestiti buttati sul pavimento ricordavano vagamente la volta in cui avevamo fatto l’amore credendo di fare semplicemente del sesso, la mia prima volta. Ma l’aria intorno a noi era particolare, diversa da qualunque concezione un uomo potesse avere di quella parola.
Gli passai una mano nei capelli, sistemandogli dietro l’orecchio un ciuffo ribelle. Percorrevo con lo sguardo ogni singolo centimetro del suo volto, mentre vedevo che invece il suo si muoveva su di me semplicemente da un occhio all’altro, come a cercare di dirmi qualcosa.
«Cosa sarebbe successo se io non mi fossi accorta di te? O se tu non fossi stato disposto a perdonarmi?» gli domandai dopo che, per la seconda volta, mi aveva reso la persona, la donna, più felice di sempre.
«Il mondo sarebbe un posto peggiore» rispose, mentre una lacrima gli rigava la guancia.
Ci addormentammo così, quasi piangendo, non saprei dire se per la gioia o chissà per cos’altro, ma sono certa che fu lì che capii che non ci sarebbe stato mai nessuno come lui in tutta la mia vita.




First of all, volevo dirvi che ho pubblicato la one-shot relativa a questa fan fiction, che descrive l'unico momento che Allyson, la protagonista, non descrive, che è descritto appunto da Liam (:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1043073&i=1

Ecco il settimo capitolo, quello che chiude un po' la storia.. Ci sarà anche l'ottavo, ma sarà un po' un epilogo (:
Spero vi piaccia anche questo e spero che recensiate (: E' importante per me, vi giuro che ogni volta che vedo una recensione faccio i salti alla Horan xD
Fatemi sapere cosa ne pensate (:


Un bacione a tutti,
Giulia (:

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Capitolo 8
*** Capitolo otto. ***


«Sono incinta» annunciò Brooke alla nostra tanto attesa cena di famiglia, con il sorriso più splendido che avesse mai avuto in volto. Si toccava la pancia come se al suo interno fosse custodito il tesoro più prezioso di questa terra. Harry, accanto a lei, le prese la mano e le stampò un bacio sulle labbra, guardandola come solo un uomo innamorato era capace di fare.
«Diventerò zia» realizzai, scoppiando in una risata piena di felicità. Neanche io riuscivo a credere a quelle parole. Era assurdo. Rivolsi un’occhiata complice a Liam, che si alzò in piedi prima di me.
«E anche tu» esclamai, rivolta a Brooke, correndole incontro con le braccia aperte.
«Cosa?» gridarono in coro mia madre e mio padre, increduli, mentre io e mia sorella ci scambiavamo uno di quegli abbracci che non si scordano facilmente. Harry e Liam, accanto a noi, si stringevano la mano orgogliosi. Ci dirigemmo insieme verso i nostri genitori, pronte ad asciugare le lacrime di mamma e a raccogliere l’entusiasmo di papà.
«Non ci posso credere, due figlie che aspettano un bambino negli stessi mesi» strillò mia madre, che probabilmente ancora non era riuscita a chiarire bene nella sua mente quell’idea.
«Non saranno un po’ troppo giovani? Brooke ha venticinque anni e Allyson solo ventitré» fece notare mio padre, rivolgendosi alla donna più emozionata in quella stanza.
«Ma piantala Frank» lo rimproverò mia madre, colpendolo sulla testa con una mano.
«Sono di tre mesi» mi raccontò mia sorella, mostrandomi la pancia appena accennata sotto la maglia attillata che aveva deciso di indossare per l’occasione.
«Io di due» ribattei, abbracciandola nuovamente. Dall’altra parte del tavolo, i futuri padri aspettavano ansiosi di potersi congratulare con le rispettive cognate. Mi affrettai a percorrere il lato più lungo della tavolata, diretta verso lo sguardo emozionato di Harry.
Mi accolse stringendomi a sé più sinceramente di quanto non avesse mai fatto in anni e anni che ci conoscevamo.
«Ti voglio bene» gli dissi piano, in modo che solo lui potesse sentire.
«Io te ne voglio di più» rispose. Sapevamo entrambi che in quelle poche e semplici parole erano racchiuse le scuse reciproche che in tutto quel tempo non ci eravamo mai scambiati e che erano sempre rimaste chiuse nei rispettivi cuori. Sciolsi l’abbraccio e rimasi qualche secondo a osservarlo, abbozzando un sorriso.
«Rimani sempre meraviglioso Styles» mi complimentai, tirandogli una pacca sulla spalla e facendogli un occhiolino.
«Allyson!» mi richiamò Liam all’attenzione, afferrandomi da dietro e cingendomi i fianchi.
«Scusa» risi, per poi girarmi e baciarlo dolcemente.
«Oh, lasciala a me» intervenne mia mamma, separandoci e riempiendomi di consigli, baci e abbracci.
«Non so come tu abbia potuto lasciarti scappare uno come Harry» mi disse Brooke con aria meravigliata quando riuscimmo a sederci di nuovo a tavola composti, rivolgendo un’occhiata furtiva al suo futuro padre di famiglia.
«Ho capito che non era l’uomo con avrei voluto passare il resto dei miei giorni» le risposi con un sorriso, volgendo lo sguardo in direzione di Liam, che mi aspettava con occhi pieni di felicità. Gli presi la mano, mentre Brooke continuava a parlare con i nostri genitori del fatto che non avevano ancora pensato al nome da dare al figlio, o alla figlia, che sarebbe nato.
Dopo quasi sei anni, ancora non mi stancavo di vedere nascere il sorriso sulle labbra di Liam, ancora mi sentivo mancare il respiro quando mi toccava o anche solo quando parlava del nostro futuro insieme. Dopo duemilacentosei giorni al suo fianco, ancora non era sparita dai miei occhi quella famosa scintilla, che continuava a splendere, alimentata da quell’amore che solo chi trova la propria metà della mela può provare.
Lui illuminava il mio mondo. Lui, come nessun altro.




Ecco qui l'ultimo capitolo della mia seconda fan fiction (:
Spero vi sia piaciuta, a me sinceramente ha soddisfatto molto, ma probabilmente è una questione data solamente dal fatto che l'abbia scritta io, vabbè xD

Dico ancora qui che ho pubblicato la one-shot relativa a questa fan fiction, se vi interessa leggerla questo è il link (:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1043073&i=1

Anyway, fatemi sapere cosa ne pensate (:

Ringrazio tutti quelli che hanno recensito, quelli che magari (spero xD) recensiranno in futuro, quelli che l'hanno messa tra le preferite, tra le seguite o tra le ricordate (:

Grazie a tutti, in ogni caso, per averla letta :D

Un bacione (:
Giulia.

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