Amor vincit omnia (dipende dal tipo di amore... ne esistono diversi!) di slytherin ele (/viewuser.php?uid=109164)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'incontro-scontro ***
Capitolo 2: *** Papi... Ti sei messo nei nei guai! ***
Capitolo 3: *** Mai sottovalutare un avversario. (1a regola del combattimento) ***
Capitolo 4: *** Perché se una giornata comincia male... ***
Capitolo 5: *** stai pur certo che finisce in modo disastroso! ***
Capitolo 6: *** Prigioniero di guerra o semplice punizione? ***
Capitolo 7: *** Lo sbaglio ***
Capitolo 8: *** Nella Tana della Tigre ***
Capitolo 9: *** Rimorsi, ricordi e radiosità ***
Capitolo 10: *** Ultimatum o non ultimatum???( questo è il dilemma, alla faccia di Shakespeare.) ***
Capitolo 11: *** un nuovo dilemma ***
Capitolo 12: *** Si chiama tradimento, se in realtà non si è promesso nulla? ( perché pensarlo è facile, agire non tanto...) ***
Capitolo 13: *** Ti salverò da qualunque cosa che possa distruggere la tua innocenza ***
Capitolo 14: *** A carte scoperte! ***
Capitolo 15: *** A mali estremi, estremi rimedi! ***
Capitolo 16: *** M per manipolatori ***
Capitolo 17: *** Giornata di regali! ***
Capitolo 18: *** Indecisione, violenza e fastidio. ***
Capitolo 19: *** Ancora problemi... No! ***
Capitolo 20: *** La soluzione che non ti aspetti. ***
Capitolo 21: *** La motivazione più alta. ***
Capitolo 22: *** Quando si è soli... ***
Capitolo 23: *** Incontri... di vario genere! ***
Capitolo 24: *** Da approfondire meglio... ***
Capitolo 1 *** L'incontro-scontro ***
C’era
un ragazzo di quattordici
anni con i capelli
biondi e gli occhi
grigi per le strade affollate di Diagon Alley. Era solo, senza il
padre, che di
solito lo accompagnava. In quei giorni suo padre era strano, aveva
cominciato a
comportarsi in modo diverso con lui, a fare cose che precedentemente
non si
sarebbe mai sognato di fare: mentiva.
Difatti gli aveva detto di aver del lavoro importante da
sbrigare e di
voler essere lasciato solo. Il giovane non aveva obbiettato e si era
limitato
ad imitarlo, mentendo a sua volta. Di certo sua nonna non si trovava a
Diagon
Alley! Ma tanto suo padre non lo avrebbe mai scoperto…
Colse di
sfuggita il profilo di due
uomini, seduti al tavolino di un bar, che sorseggiavano quelle che
dovevano
essere un paio di Burrobirre. Inizialmente non prestò loro
molta attenzione,
perlomeno fin quando capì che non erano due uomini
qualunque. Sbarrò gli occhi,
si trattava di Draco Lucius Malfoy-suo padre- e Harry James Potter!
Studiò
le due figure, silenzioso.
“Sparirai
come gli altri…”, pensò,
sfiorando con la mano sinistra la cintura ornata dalle quindici borchie
simboleggianti i precedenti fidanzati di suo padre, fuggiti dopo che si
erano
incontrati. O forse sarebbe meglio dire scontrati?
Incuriosito, il
ragazzo si sedette su
una panchina, dirimpettaia al piccolo bar, quasi in attesa. Si
guardò attorno,
sospettoso: non era un posto molto frequentato. Evidentemente Potter
non voleva
che si sapesse in giro o forse era proprio suo padre che temeva un
possibile
incontro. Ma ormai l’unica cosa veramente importante era una:
ora sapeva.
Qualche minuto
dopo i due uomini
uscirono, e dopo essersi scambiati un veloce bacio di saluto, presero
direzioni
completamente opposte.
Degnò
suo padre di poca attenzione e
scrutò, accorto, Harry; che si apprestava a girare
l’angolo, in modo piuttosto
guardingo.
“Ti
senti spiato… eh?” pensò il ragazzo,
seguendo l’ombra della schiena ampia dell’uomo.
«Scusi,
potrei parlarle un attimo?»,
chiese, avvicinandosi a lui, e sfoderando il tono più
innocente di cui era
capace.
Harry si
girò e lo scrutò, prima che
un guizzo attraversasse i suoi occhi verdi.
«Ehm…
certo», borbottò, leggermente
spiazzato. C’era un tarlo nella sua mente che…
«Salve,
io sono Vegida Draco Abraxas Malfoy
e volevo chiederle: da quanto tempo abusa di mio padre?».
Harry
sobbalzò, sorpreso. «C-cosa? T-tu
saresti il figlio di Draco…. ma lui
è…»
«Omosessuale,
assolutamente… io non posso
che definirmi un affare. Un semplice definito chiaro affare ben
pianificato dai
miei genitori…».
«Un
che… affare »
Ghignò,
tutti ci erano rimasti male,
sapendolo. Evidentemente quel bamboccio imbambolato davanti a lui era
esattamente come tutti gli altri. Illuso e patetico. Bah!
«Sì,
mio nonno voleva un’erede, i
parenti di mia madre volevano un erede… Eccomi qui! Ecco
l’erede! Frutto di un
semplice definito chiaro affare»
«Io…
io non sapevo che Draco avesse un
figlio… Sono tornato poco tempo fa in Inghilterra ma
lui… lui non mi ha detto
nulla!»
Il ragazzo
ghignò, soddisfatto!
Illuso!,
pensò.
«Forse
non sei così importante per
lui… O forse ha paura che io non ti reputi adatto!».
L’uomo
sobbalzò, incredulo.
«Credevo
che fosse come tutti gli
altri, ma mi sbagliavo! Lei non è neanche degno di essere
una borchia!» sputò,
acido.
Harry
tossicchiò appena e mosse un
passo in avanti, minaccioso. «Se stai cercando di impaurirmi,
sprechi il tuo
tempo! Ora purtroppo ho degli impegni importanti da sbrigare, ma
sarà un vero
piacere riprendere questo discorso venerdì sera, a cena,
quando ci sarà anche
tuo padre. Sono molto curioso di conoscere il suo parere a
riguardo… tu no?».
Eccolo. Eccolo il guanto di sfida
lanciato da
Harry James Potter.
Guanto che lui, da bravo Malfoy,
non si sarebbe mai sognato di rifiutare.
Mai.
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Capitolo 2 *** Papi... Ti sei messo nei nei guai! ***
Ormai
era giunto il crepuscolo, i raggi
aranciati penetravano nello studio di Draco, attraverso le tapparelle
semi-abbassate, illuminando il profilo scuro del suo calderone.
Vegida
lo guardò, con un sopracciglio
inarcato per lo scetticismo, mentre si fingeva concentrato al miscuglio
ribollente, che aveva tutta l’aria di essere stato fatto
senza seguire un
procedimento logico, ma dopotutto
è tornato da dieci minuti...,
pensò il ragazzo, con il sarcasmo che
gli pungeva la punta della lingua. La morse con i denti, donandosi un
po’ di
sollievo. «Ciao… papà».
Draco
colse di sfuggita il profilo di suo
figlio, poggiato contro lo stipite della porta. «Ehi,
amore… allora? Com’è
andata? Che cosa ti ha detto la nonna?»
Vegida
storse la punta del naso. «Bah…
sempre le solite cose: hai visto le rose
rosse? Sai, sono nuove… mi sembra incredibile voi giovani
possiate andare in
giro vestiti così… Giusto ieri, ho visto un
ragazzo con i pantaloni talmente
sdruciti che erano sul punto di trasformarsi in stracci!»,
squittì,
imitando il tono di voce acuto e gracchiante di sua nonna.
Draco
sorrise, ma non aggiunse nulla.
Vegida
si sentì congedato e
silenziosamente andò nella sua camera, ora il suo scopo era
solo uno: pensare
al modo più doloroso possibile per spezzare il cuore a Harry
James Potter.
Stava
scrivendo da quasi due ore: tutti
piccoli stratagemmi per incenerire il cuore di Harry.
Qualcuno
bussò alla porta.
«Avanti»,
sibilò, con voce lenta e strascicata.
Una
piccola Elfa s’inoltrò nella stanza.
Tenny era alta quanto un comodino, aveva gli occhi viola-blu e uno
sguardo vispo.
Era stata la balia di Vegida, il che lo aveva spinto a considerarla come
la
figura femminile assente nella sua infanzia…
perché sua madre… beh lei viveva
in Italia con il nuovo marito. L’uomo di cui era realmente
innamorata. Dal loro
rapporto era nato Felipe, il suo fratellino di undici anni. Solitamente
li
vedeva nei giorni festivi: nel periodo natalizio o in quello estivo. I
suoi
genitori andavano molto d’accordo, non c’erano mai
state faide o ripercussioni
tra loro.
«E’
pronta la cena, signorino…»
Con
un cenno del capo annuì appena, e dopo
aver riposto tutto nel primo cassetto del comodino, uscì
dalla stanza,
silenziosamente. Si chiuse la porta alle spalle e schioccò
la lingua contro il
palato, un flebile sibilo provenne dal fondo del corridoio.
Siaf
stava arrivando.
Siaf
era il suo animale domestico, uno dei
migliori regali di compleanno che aveva ricevuto. Era un cobra di
quattro metri,
verde, con gli occhi gialli. Sin da subito tra lui e Siaf si era
instaurato un
saldo rapporto, quasi… magico.
Lui
era il solo in grado di controllarlo.
Giunse
nella sala da pranzo, seguito dal
cobra. Si accomodò al suo solito posto, alla sinistra del
capotavola, postazione
occupata da suo il padre.
Draco
gli sorrise, occhieggiando l’animale
in modo quasi affettuoso.
«Sai,
ho ricevuto una lettera da Theodore
poco fa… il tuo padrino, intendo… sai lo zio di
Joshua… a quanto pare tra voi andate
d’accordo, no? Immagino che per te non sia un problema andare
a cena da loro,
domani… vero, amore?»
«Tu
non vieni?», chiese Vegida,
consapevole della risposta.
«Ho
da fare…»
Il
ragazzo si limitò ad annuire, non
voleva dire al padre di sapere, non subito almeno.
La
cena passò velocemente, tra domande che
vertevano su temi differenti e cose non dette, finché Draco
non decise di
congedarsi, per immergersi nella lettura.
Draco
si diresse verso l’ala della villa,
a lui adibita, quando il figlio gli si rivolse nuovamente.
«Domani, non andrò
dai Nott… ma sta’ tranquillo, non ti
rovinerò la serata con Potter… Buon
riposo, papà».
Ecco
uno degli svantaggi di avere un figlio
Serpeverde. E’ decisamente troppo perspicace! Domani si
uccideranno, lui e
Harry. Lo so. Lo sento! Oh, povero me…
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Capitolo 3 *** Mai sottovalutare un avversario. (1a regola del combattimento) ***
L’indomani,
Vegida si svegliò con un’idea che stuzzicava in
modo piacevole la sua mente. Ma
non si trattava di Potter, non quella volta. Vegida si era ricordato di
un
fatto più importante, e aveva deciso che avrebbe agito
d’istinto con l’Auror,
quella sera.
Si
alzò, si mise indossò la tuta
d’allenamento e si diresse verso la palestra, che
si trovava nei sotterranei del Manor. Suo padre aveva deciso, di comune
accordo
con sua nonna Narcissa, di trasformare i luoghi una volta adibiti alle
segrete,
nelle sue stanze per allenarsi. Vegida praticava il karate da quando
era molto
piccolo. Inizialmente era stato un ordine di sua madre, ma poi lui ci
si era
appassionato. Era uno sport che gli piaceva molto, si adattava al suo
essere e
poteva sfogarsi, quando voleva. A scuola non gli era possibile
allenarsi come
avrebbe voluto, di certo non avrebbe potuto mettersi in mezzo al
giardino a
dare calci e pugni agli alberi, quindi, a casa, appena sveglio
cominciava gli
allenamenti.
Erano
soltanto le sette del mattino, e nella villa persino i domestici
dormivano
ancora. Ma lui no. Lui si allenava in vista di un combattimento
particolarmente
interessante.
***
Scagliò
un potente pugno al sacco da boxe, che compì una piccola
parabola, per poi
riposizionarsi dove si trovava prima. Schioccò le dita e
Tenny comparve con un
asciugamano tra le dita e una lettera che le levitava attorno. Vegida
si
avvicinò, prese il panno, e si strofinò i capelli
un attimo; poi prese la
missiva, ma non la lesse, la poggiò sul tavolino alla sua
destra e s’incamminò
verso la cabina-doccia. Non era solito parlar fino alla fine degli
allenamenti,
lo deconcentrava.
Ritornato
nella palestra, già vestito con gli indumenti preparatigli
da Tenny, prese la
lettera e s’incamminò verso la sala da pranzo.
Ormai erano le nove e cominciava
ad aver fame. Giunto nella sala, si sedette su una sedia e
aprì la busta. La
lesse velocemente e un ghigno apparve sul suo volto: era il momento.
«Tenny,
io esco. Dillo a mio padre, quando si sveglia»,
borbottò, mentre s’infilava il
mantello nero, e sibilava richiamando Siaf a sé.
«La
colazione… signorino», provò a dire un
piccolo Elfo, che non era il suo
prediletto.
«Non
sono affari tuoi, microbo!», urlò il ragazzo, si
sentiva particolarmente
crudele quel giorno.
Uscì
e
si diresse in un luogo preciso: il Ghirigoro. Un ragazzo dai lisci
capelli neri
e gli occhi verde-scuro, stava mangiando un dolce, poggiato con le
natiche su
un muretto.
«Vegida,
ti aspettavo prima…».
«Un
elfo ha avuto l’ardire di fermarmi… ma non
resterà impunito!».
L’altro
sorrise. «Ti vedo in vena di vendetta… perfetto! I
Grifoni ci aspettano al
prato adiacente al ponte. Andiamo», concluse, porgendogli una
mano.
In
disparte, senza che nessuno lo vedesse, c’era Harry Potter,
accompagnato dai
suoi due inseparabili amici. Si trovavano lì per caso, ma
quando il Salvatore
aveva notato il figlio di Draco, aveva deciso di seguirlo tra le
lamentele dei
due amici. Hermione gli aveva suggerito di non farlo dal momento che
Vegida lo
sopportava già poco di suo. Ronald aveva detto di lasciare
Malfoy e rimettersi
con Ginny, alla seconda uscita, Harry aveva risposto con una gomitata
nello
stomaco.
I
due
giovani arrivarono al luogo designato dagli avversari, vi trovarono
già Smith,
Finnigan, James Potter e altri che conoscevano solo di vista.
«Non
vi siete portati la scorta, Principi», cominciò il
piccolo Potter, derisorio.
Loro erano i Principi della casata Serpeverde, nessuno si era mai messo
contro
di loro, tranne quel piccolo gruppo di Grifondoro.
«Siete
voi che avete bisogno di rinforzi», rispose acido
l’altra Serpe.
«Basta…
non siamo qui per questo… siamo qui per combattere,
no?».
Vegida
non vedeva l’ora di iniziare, ghignò e
toccò con la mano sinistra la collana
d’argento a forma di serpente.
«Hai
ragione Malfoy… dove hai lasciato
l’animaletto?», chiese Smith, ironico.
Vegida
assottigliò le palpebre, ma in quell’istante
Finnigan disse: «Niente bacchette,
si fa alla Babbana!», poi gli si scagliò contro.
Vegida si limitò a spostarsi e
a guadarlo minaccioso, ma quando vide Potter lanciarglisi contro, diede
una
gomitata all’altro e lo afferrò per un braccio,
fermando il suo attacco sul
nascere.
Una
volta spinto James sull’erba, in modo poco gentile, Vegida si
guardò intorno.
C’erano cinque Grifoni in tutto, senza una minima conoscenza
delle arti
marziali, che andavano a istinto, era ovvio che non sapessero cosa
fosse né una
guardia né un gancio ben assestato. Persino
l’altro Serpeverde, che aveva
cominciato due anni fa un corso di Judo, poteva tenere testa a due
ragazzi,
senza tanti problemi. Finnigan provò a riattaccarlo, ma
Vegida lo perse per un
braccio, e facendo perno sulla gamba destra, lo alzò e lo
fece scontrare con il
suolo. Lanciò poi un’occhiata a Potter, che lo
guardava stupito e arrabbiato:
mai sottovalutare l’avversario.
I
Grifoni rendendosi conto dell’accaduto, indietreggiarono,
Potter si alzò
continuando la battaglia di sguardi con Vegida.
Le
due
Serpi ghignarono, Smith, l’unico dei ragazzi a frequentare
l’ultimo anno, non
sembrò d’accordo e, sfoderata la bacchetta,
colpì l’altro ragazzo con uno
Stupeficium. Vegida guardò il compagno volare per
più di due metri e cadere su
un cespuglio. Smith rise, guardando i compagni che non sembravano del
tutto
d’accordo con lui: i Grifondoro non baravano, non gli piaceva
vincere così.
Smith
continuò a ridere, finché non si trovò
faccia a faccia con Vegida, che presolo
per il colletto, lo fissò in cagnesco e caricò
il destro.
Smith
gli puntò la bacchetta sull’addome e sorrise, il
ragazzo ghignò di rimando,
schioccò le dita e la collana che aveva al collo si
trasformò, rivelando Siaf,
che si attorcigliò al collo del Grifone, il quale
terrorizzato lasciò la
bacchetta, urlando.
«Più
sbraiti, più gli verrà da morderti... Potter non
fare quella faccia, avete
cominciato voi, poi non è una bacchetta!».
James
si zittì e fece segno agli altri di battere in ritirata, nel
momento in cui i
cinque Grifoni si allontanarono, Siaf lasciò Smith e si
riavvicinò al padrone,
che si era piegato sul compagno, per guardare come stava. Il ragazzo
aveva una
ferita sul braccio a causa della caduta, ma niente di più,
sospirò, calmandosi.
«Joshua,
mi senti Joshi», lo chiamò.
Il
ragazzo si riprese e sorrise appena.
«Vegi…», sussurrò.
« Li hai fatti
fuggire…», constatò allegro, poi
abbassò lo sguardo su Siaf, sorridendo «Hai
risposto al loro barare, hai fatto bene…».
Vegida
sorrise, sinceramente, senza ghigni; e lo aiutò ad alzarsi,
poi s’incamminarono
verso il centro di Diagon Alley.
Harry,
prima che sparissero, vide Joshua circondare le spalle di Vegida con un
braccio
e il figlio del suo quasi- fidanzato poggiare le labbra su quelle
dell’altro,
per un attimo solamente. Non era neanche sembrato un bacio, ma Harry lo
catalogò
come tale, mentre le parole di suo figlio echeggiavano nella sua testa:
«Papà,
io non ne posso proprio più di Malfoy! Tratta tutti come
servi! L’unico che
sembra essere suo pari è l’altro Principe, quel
Kendel! Bah… leggermente più
sopportabile di lui! Leggermente… Stanno sempre insieme,
lezioni a parte, dato
che Kendel ha quindici anni. A volte si isolano persino dai
Serpeverde! Comunque
ti stava dicendo che prima della fine della scuola mi ha fatto uno
scherzo
orribile…».
Ora
aveva capito. Quei due stavano insieme di nascosto, in fondo il figlio
non era
così diverso dal padre!
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Capitolo 4 *** Perché se una giornata comincia male... ***
Vegida
sbuffò,
seriamente contrariato, erano ormai dieci minuti che aspettava la
colazione,
aveva ordinato una cioccolata, non gli sembrava nulla di sofisticato,
ma in
quel locale di seconda categoria non riuscivano a preparare in tempi
decenti
nemmeno quella.
«Vegi,
tesoro…qual
è il problema?»
Vegida
sibilò
somigliando molto al suo animale domestico con quel gesto.
«Non mi chiamare in
quel modo in pubblico!».
«Pubblico?!».
Joshua
si guardò
intorno con fare scettico, c’erano la cameriera, il barista e
un cliente, che
sembrava non aver incontrato la doccia da decenni, visto i vestiti e
l’odore
che emanava. «E’ deserto qui! E mettendo da parte
il fatto che non so perché
non potevi mangiare in un posto normale… Perché
non dovrei chiamarti così?», il
sopracciglio destro si era alzato, in modo vertiginoso: c’era
aria di tempesta.
«Lo
sai che la cosa
non deve essere di dominio pubblico…»,
rispose il biondo con fare naturale,
ma in cuor suo già si preparava alla sfuriata
dell’altro.
«Eh
no! Non
accetto tutto questo… tu non ne hai alcun
diritto… se ti vergogni, dillo e
chiudiamo qui!», detto questo il ragazzo, si alzò
e con tutta l’aristocraticità
derivante dal suo titolo nobiliare, se ne andò.
Vegida
guardò la
figura di Joshua sparire in modo, apparentemente, indifferente. Aveva
cose più
importanti cui pensare al momento, che alla momentanea voglia di coming
out del
suo ragazzo.
Il
principale
problema che gli si poneva davanti aveva i capelli neri, di un crespo
assurdo,
gli occhi verde chiaro e il suo cognome cominciava per P
e finiva per otter.
Rabbrividì all’idea che tra meno di dieci ore si
sarebbero incontrati sotto lo
stesso tetto, avrebbero mangiato lo stesso cibo e avrebbero condiviso
la stessa
aria.
***
Dopo
essere
riuscito nell’ardua impresa di bere una cioccolata calda
-dopo altri ventotto
minuti e tredici secondi di attesa frustante, doveva essere il locale
con
personale più lento al mondo- il ragazzo
uscì da quel lugubre posto,
dove non avrebbe più messo piede e si diresse verso casa.
Tra qualche ora
sarebbe arrivato colui che nella sua mente era diventato l’abusatore.
Ma, come insegnano gli eventi, se una giornata comincia male
è normale che
continui peggio. Vegida trovò, nuovamente, sul suo percorso
James Sirius -Mi
sento fantastico perché mio padre ha salvato il mondo-Potter.
Vegida
non aveva
voglia di litigare, di pestare, neppure di conversare, si rese conto
che con la
persona che aveva davanti era impossibile l’ultima cosa, non
era neppure certo
che fosse dotato di tale innata facoltà.
«Ciao,
Malfoy… ho
saputo che oggi ci sarai anche tu alla cena dei due amanti…»,
disse, con
disgusto malcelato.
«Cosa?!».
Okay,
il suo
inenarrabile autocontrollo aveva deciso di partire e non tornare per un
lungo
periodo, non si stava arrabbiando, no la notizia che ci sarebbe stato
anche quello
lì non era un motivo per alterarsi. Era solamente
la causa di una Terza
Guerra magica! Oh sì, e lui sarebbe stato il Mago Oscuro che
malediceva tutti i
Potter morti, viventi ed eventuali discendenti… Doveva
calmarsi o gli avrebbe
spaccato la faccia!
«Perché,
di
grazia, ci dovresti essere anche tu?», non che il suo
controllo fosse tornato,
ma doveva trattenersi, era in un luogo pieno di testimoni.
«Perché
è mio
padre a scop…».
Sbam!
Potter
finì a
terra senza preavviso, schiantato da un sinistro, particolarmente
potente, di Vegida.
Ora lo avrebbe ucciso, era sicuro, lampante come il fatto che il Sole
sarebbe
imploso tra quattro miliardi di anni , inglobando anche il pianeta
Terra
nell’esplosione (ed è vero!).
Per
la fortuna di
Potter una voce lo fermò prima del compimento del fattaccio:
«In realtà ti
sbagli Jamie, Draco ha detto che andiamo a pranzo, mi sto dirigendo
proprio alla
villa... Ciao Vegida, come va?».
Vegida
si girò
come un automa verso l’autore delle sue disgrazie ripetute
con uno sguardo
assassino… Erano troppi due omicidi in un solo giorno? Si
disse di no, e
schioccò le dita, pronto all’attacco. Potter
sibilò qualcosa e Siaf non si
rianimò.
«Guarda
che ti
pesto anche a mani nude, se voglio!».
«Adesso
ci diamo
del tu… Che bello!», esultò Potter
Senior, in modo finto. «Casomai mi farai
vedere dopo le tue abilità di karateka, tuo padre ci sta
aspettando…», si girò,
allungando una mano nella direzione del figlio, ancora a terra per lo
shock e
proclamò un: «Andiamo!», che per Vegida
sapeva troppo di ordine. Ghignò, se
credeva che lui sarebbe stato un suo sottoposto si sbagliava, non aveva
ancora
visto la parte più diabolica di Vegida Draco Abraxas Malfoy!
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Capitolo 5 *** stai pur certo che finisce in modo disastroso! ***
Quando
giunsero alla villa, Vegida sussultò, vedendo che, davanti
alla porta
principale si trovava Joshua, con la faccia di uno che voleva solo fare
la pace
e rotolarsi tra le lenzuola per i prossimi due millenni, insieme a lui.
«Oh
santissimo Merlino!», pensò Vegida. «Non
adesso Joshi…».
Titubante,
fece qualche passo in più verso la porta
d’ingresso. Il suo comportamento non
sfuggì ai due Potter. Harry, che aveva intuito la
situazione, si limitò a
sorridergli con il ghigno di chi sa, al contrario James non
sembrò dello stesso
avviso.
«Ehi!
Che hai? Non mi dire! Perché non corri ad abbracciare il tuo
amichetto? Avete
litigato? Oh no… La Casata sarà in lutto, quando
lo scoprirà!», terminò il suo
discorso derisorio, con un’ espressione di finta
disperazione, mista a
malinconia, aggiungendo un gesto teatrale: si mise una mano sulla
fronte,
fingendo uno svenimento, poi ghignò nella sua direzione.
La
Serpe non rispose alla sua frecciatina, non ci riusciva con lo sguardo
triste
dell’altro Serpeverde puntato addosso.
«Jamie,
lascialo stare! Andiamo! Draco si chiederà che fine abbiamo
fatto», disse
Harry, interrompendo un probabile nuovo insulto del figlio, nei
confronti del
ragazzo biondo.
“Potter
mi ha aiutato…. Non si immaginerà mica che lo
ringrazi?!”, pensò il
rettilofono, un po’ sorpreso dal comportamento
dell’Auror.
Passò
davanti a Joshua e disse, mentre l’intero corpo lo implorava
di
ripensarci: «Va’
via! Nessuno ti ha
chiesto di venire qua!».
Solito
tono acido e freddo.
Aprì
la porta ed entrò, senza staccare, neppure per un attimo,
gli occhi da quelli
verdi dell’altro che, attraversati dalla tristezza, si
abbassarono, poi lo vide
correre via. Digrignò i denti, amaramente, sforzandosi di
non corrergli dietro
per implorarlo di restare, per implorarlo di…
«Cattivo!»,
lo sbeffeggiò Potter, interrompendo il filo dei suoi
pensieri. Era appena
entrati nella casa e Potter non aveva dato prova di esserne rimasto
colpito,
guardava solamente con aria di sufficienza l’unico figlio
scorrazzare qua e là,
con espressioni di stupore.
«Si
può dire tutto di voi, ma non che non abbiate ragione quando
insinuate che i
discendenti Weasley hanno davvero poca classe!»,
constatò, sottovoce per farsi
udire soltanto da
Vegida, il quale si
limitò a sorridergli sghembo, ma non colse la pluffa al
balzo, per una serie
d’insulti, come Potter immaginava.
«Andiamo
a mangiare, papà sta aspettando…», ma
nella sua voce non c’era più quella vena
acida e accusatoria. Si diresse verso la Sala da Pranzo, con passo
lento e gli
occhi bassi. Harry
sorrise, in fondo
triste per il ragazzo: era pur sempre il figlio di Draco e lui ci
teneva al suo
quasi-fidanzato!
«Ciao
tesoro, come va?», fu così che Draco accolse il
figlio, senza ricevere
risposta, il quale si limitò a sedersi e gli
lanciò un’occhiata stupita quando
lo vide dare un bacio a fior di labbra a Harry.
James, dal canto suo, simulava un conato di vomito e, simultaneamente,
riceveva
un’occhiataccia dal padre.
Quando
tutti furono seduti, cominciarono a mangiare, il cibo era abbondante e
raffinato, degno di una famiglia nobile. L’aria era meno
tesa, di quanto Draco
potesse immaginare. Vegida era stranamente spento, ma in quel momento
non ci
badò molto. Dopotutto era meglio così, almeno per
quel giorno.
Dopo
dieci minuti di conversazioni frivole, cui parteciparono solo i due
adulti,
Draco annunciò due eventi che avrebbe voluto che si
avverassero, senza troppi
problemi.
«Ho
deciso di prendere un cane… e Harry…»,
aggiunse, guardandolo dolcemente.
«Accetto la tua proposta di vivere insieme. Da domani, se
vuoi, puoi trasferirti
a casa mia…».
Aveva
approfittato del fatto che Vegida sembrasse estraniato dal mondo
intero, quel
giorno, e si era fatto avanti. Sfoderando un coraggio quasi Grifondoro.
Al
ragazzo crollò la terra sotto i piedi, sentendo quelle
parole, e si risvegliò
dal torpore in cui era caduto.
«Uno:
non mi sembra che tu abbia bisogno di un cane, hai già un
animale tra i
piedi!», abbaiò, fissando il padre e indicando
Harry. «Due: ci vivo anch’io qui
e non vivrò sotto lo stesso tetto di questo individuo…
io lo
detesto e no! Non capisco perché tu lo faccia e non credo
affatto che tu possa
amarlo! Sai che
cosa sei, papà? Lo sai?
Una puttana! Ecco cosa!».
Draco
sbarrò gli occhi, che cominciarono a riempirsi di lacrime.
La persona più
importante per lui, lo considerava in quel modo, qualcosa dentro di lui
si
spezzò. Si alzò e scappò via dalla
stanza, piangendo. Si sentiva ferito dalla
persona per cui aveva sacrificato la sua vita, i suoi sogni, il suo
tutto… non
aveva mai pensato, fino a quel momento, di aver fatto la scelta
sbagliata. Ma
ora…
«Draco…»,
sussurrò Harry, vedendolo andare via. «Come hai
osato, eh?! Quello è tuo padre
e… perché non vuoi accettarmi nella tua vita?!
Perché?!», urlò, alzandosi
velocemente e dirigendosi verso Vegida. Non vedendo reazione da parte
dell’altro, il quale aveva addirittura ricominciato a
mangiare, non ci vide
più. «Rispondimi!», gridò,
scagliando un pugno setto nasale del ragazzo,
rompendolo. Vegida si sfiorò la parte lesa, ma
nella sua mente non pensava
al dolore provato o a quello provocato al padre, due parole la
popolavano, da
tutta la durata della cena: «Voglio Joshua!».
Siaf
si rianimò, senza che il padrone lo desiderasse, e si
scagliò contro Potter,
che nonostante il suo essere rettilofono, fu obbligato a ricorrere alla
bacchetta
per fermarlo.
«Io
rimarrò qui che tu lo voglia o no!».
E
sì,
quella era sia una promessa sia una minaccia!
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Capitolo 6 *** Prigioniero di guerra o semplice punizione? ***
Era
passata una settimana
dal litigio con suo figlio e Draco si sentiva sconsolato più
che mai, sembrava
che tutta la sua presunzione e la sua boria
fossero state ereditate da Vegida, senza lasciare traccia
del loro
passaggio nel suo corpo.
Rise
al suo stesso
pensiero, una persona non perde parti del suo carattere per strada,
forse lui
non era mai stato così: aveva portato per anni una stupida
maschera.
Si
alzò dal letto,
dirigendosi verso la finestra, si girò guardando il
giaciglio, dove Harry
dormiva ancora beatamente. Un sorriso, sincero, comparve sulle sue
labbra. Da
quando questi si era trasferito alla villa, la loro storia aveva preso
un’altra
piega, molto positiva, l’unica pecca era che, da una
settimana, non parlava più
con suo figlio. I convenevoli c’erano sempre, ma erano parole
distaccate e
fredde, gli occhi di Vegida erano spenti e vuoti, come non li aveva mai
visti.
Sospirò,
avvicinandosi a
Harry e stampandogli un bacio casto sulla bocca.
“Ciao
amore”, sussurrò
l’altro, svegliandosi.
“Ciao…
dormito bene?”.
Harry
stava per
rispondere alla domanda, ma Draco non gliene diede il tempo. Si
rialzò e disse:
“Credo che dovresti lasciare che esca…
è una settimana che lo obblighi a stare
qui dentro, prigioniero nella nostra casa, non ti ho chiesto di
convivere
perché diventassi la guardia carceraria di mio
figlio…”.
“Draco,
ascoltami!”,
disse Potter, impassibile. “So quanto ami tuo figlio, ma dopo
quello che ti ha
fatto, una punizione mi sembra il minimo… oltre tutto non si
è neanche scusato
e…”, aggiunse, alzando una mano, per interrompere
le proteste del suo
interlocutore. “Sono consapevole che voi Malfoy,
difficilmente, chiediate
scusa, ma almeno tra di voi… sei suo padre, Draco, e sembra
che sia lui a
comandare e questo non è giusto”, concluse,
abbracciandolo da dietro e
posandogli un bacio sulla spalla scoperta. “Su, vedrai che si
sistemerà tutto,
ma deve essere lui a fare il primo passo…!”-
“Hai
ragione, se non ci
fossi tu… probabilmente orai sarei annegato nelle mie
lacrime…”.
“Ehi!
Dov’è finito il
Draco che cercava in tutti modi di farmi rompere l’osso del
collo a scuola?” disse,
scherzosamente, cercando di allentare la tensione.
“E’
morto, Harry… insieme
a suo padre ad Azkaban… con il Bacio, penso...”,
borbottò, mesto, per poi
riprendersi. “Sai, sono contento che il vecchio Draco non ci
sia più: era
antipatico, menefreghista ed altezzoso… e poi se ci fosse
non ci sarebbe mai
stato qualcosa tra noi”, concluse, baciandolo con trasporto,
facendolo
ruzzolare sul letto.
Per
una volta, Vegida, sarebbe
stato al secondo posto nella sua mente. Ora c’erano solo lui
e Harry.
Era
ancora presto per
alzarsi, avevano ancora tempo per un po’ di coccole e anche
qualcosa di più!
***
Vegida
stava studiando
Pozioni, circa da due ore, erano le undici ormai e dopo
l’allenamento
mattutino, non aveva idea di cosa fare per far passare il tempo, non
potendo
uscire. Non che lui ubbidisse a Potter, sarebbe stato più
probabile che la
Terra prendesse a girare in senso contrario, ma l’Auror aveva
messo incantesimi
protettivi e allarmi ovunque.
Vegida
sbuffò, oltremodo
contrariato, quella era casa sua. Si sentiva rinchiuso in una prigione
dorata,
un uccellino in gabbia, una bellissima gabbia, ma qual era la
differenza?
Posò
la penna, per non
rischiare di romperla in un impeto di rabbia.
Qualche
secondo dopo
sentì la porta della camera aprirsi e Siaf avvicinarsi, lo
aveva mandato a
vedere che cosa stessero facendo i due piccioncini, spostò
la sedia e allungò
il braccio sinistro verso l’animale, in modo che salisse e
gli si accomodasse
in grembo. Il serpente sibilò, riferendogli quello che aveva
visto e sentito.
Vegida chiuse gli occhi di scatto, il vetro della finestra
s’infranse,
spargendo schegge ovunque. Il ragazzo schioccò le dita e un
elfo, di cui non
ricordava il nome, comparì sbarrando gli occhi davanti allo
spettacolo di tutti
i pezzettini di vetro e legno che avrebbe dovuto raccattare.
“Pulisci...”,
ordinò
Vegida, personificazione della calma, almeno esteriormente.
Aprì la porta della
sua camera, lasciando che Siaf strisciasse fuori e poi uscì.
“Buon lavoro”,
aggiunse, ghignando, prima di chiudersi la porta alle spalle. Poteva
iniziare
Trasfigurazione, dato che non aveva nulla da fare.
***
Harry
si stava abbassando
a baciare la coscia di Draco, ma la sua mente stava già
pensando ad andare più
giù. Sentì un gemito del suo compagno e sorrise,
pensando che, finalmente,
potevano farlo come e quando volevano. Pensò che nulla
potesse andare storto,
quando…
Una
luce rossa si sparse
per la stanza, lampeggiando a più riprese.
“Cos’è
?” esclamò Draco
stupito.
Harry
rimase un attimo
interdetto, poi capì: “Quel piccolo bastardo sta
cercando di scappare, ha
forzato gli incantesimi! Se lo prendo questa
volta…”
“Prova
a toccare mio
figlio un’altra volta e giuro che non mi vedrai neanche
più in fotografia!
Capito, Potter?!”
E
se lo chiamava Potter,
non scherzava affatto; Harry decise di stare zitto, si
rinfilò i boxer, velocemente, e
si diresse verso l’ala opposta del Maniero, mentre Draco,
lasciandosi cadere a
peso morto sul letto, diceva ad alta voce: “E io che pensavo
di avere un solo
ragazzino in casa, beh mi sbagliavo, non so chi dei due sia
più infantile!”
Harry
proruppe nella
camera di Vegida, come un tornado, facendo sobbalzare il povero elfo,
intendo a
pulire in ogni dove.
L’
Auror si guardò in
torno e chiese: “Dov’è Vegida? E non
mentirmi, sono un Auror, me ne accorgo se
menti e fidati quello che ti posso fare io è peggio di
qualunque cosa possa
farti lui…”, finì, digrignando i denti.
Il
piccolo elfo
indietreggiò, impaurito.
“Sono
qui, Potter. E non
spaventare i miei servitori, forse non lo sai, ma tenere a lucido questa
casa
costa. Beh capisco che il posto dove vivi tu debba sembrare un porcile,
in
confronto, ma… non per questo devi pensare che tutti vivano
nel lerciume come
te o i tuoi amichetti Weasley.”
Stranamente
Harry era
contento di sentire la sua voce. Certo non era molto felice per quello
che gli
era stato detto, ma non si può avere tutto dalla vita, per
una volta decise di
sorvolare sugli insulti, degni del Draco adolescente.
“Eh
sì! Sei proprio suo
figlio… non hai idea di quanto gli assomigli... ”,
la sua voce era passata dal
tono saputo, a quello quasi adorante.
Vegida pensò di
vomitare, ma si limitò ad
alzare un sopracciglio, scettico, si aspettava tutt’altra
reazione: avrebbe
passato un po’ il tempo scannandosi con Potter.
“Tu
non stai bene…”
disse, dirigendosi nuovamente nel salottino, dove lo aspettavano tre
temi di
Trasfigurazione.
“Aspetta…che
cosa è
successo qui?” disse, indicando la finestra e il pavimento,
sommerso da pezzi
minuscoli di vetro.
“Magia
involontaria, e
adesso se non ti spiace avrei tre temi sulla teoria della
Trasfigurazione
dall’inizio dell’Era Magica fino ai tempi di
Merlino da svolgere...”
Era
deciso ad andarsene,
prima che Potter decidesse di provare ad avere una conversazione con
lui.
“Vuoi
una mano?” disse
Harry, stupendo persino se stesso, non era mai stato granché
in quella materia
e poi perché aiutare chi lo considerava un nemico?
“No,
grazie… mi
piacerebbe prendere un bel voto, se avrò bisogno di aiuto
nel Quidditch, ti
chiederò…” disse, sulla porta, senza
neanche voltarsi per parlare.
Harry
sorrise, alle
parole del ragazzo, quello lì era troppo perspicace per i
suoi gusti.
“E…
Potter?”.
“Uhm?”
disse solo,
alzando il volto, in direzione di Vegida, che ora lo guardava con un
ghigno.
“Non
andare in giro in
mutande, gli elfi potrebbero spaventarsi…” chiuse
la porta, sogghignando, la
giornata era cominciata bene.
Harry
arrossì alle parole
del ragazzo, guardandosi i vestiti, o meglio i boxer neri che portava,
poi
ribollì dalla rabbia, aprì velocemente la porta e
urlò: “Sei solo invidioso,
ragazzino, perché io ho un bellissimo corpo e tu non te lo
sogni neanche di
essere così a quasi quarant’anni!”,
stavolta, l’ultima parola l’aveva avuta
lui, o almeno così credeva, finché la voce di
Vegida non lo raggiunse.
“Il
karate forma molti
più muscoli del Quidditch, per tua
informazione…” Poi una risata si levò
in
cielo, una risata genuina.
Harry
sorrise, per niente
arrabbiato, pensava che il figlio di Draco non sapesse neanche ridere,
era
contento di averlo fatto divertire, anche se a sue spese: era un inizio.
-Forse,
non potrò
migliorare il mio corpo e mi supererai, ma stai certo che mi
terrò in forma-
pensò, dirigendosi verso la stanza da letto, pronto a
saltare addosso a Draco.
Questa frase non l’avrebbe mai detta a Vegida o sarebbe
finito in ospedale per
veleno di cobra, ne era certo.
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Capitolo 7 *** Lo sbaglio ***
A Harry sembrava di vivere in un sogno, da quasi tre giorni le frecciatine tra lui e Vegida si erano affievolite fino a diventare quasi delle battutine scherzose. Perciò quella mattina del 2 Luglio si svegliò di buon umore, guardando teneramente l’uomo che si trovava tra le sue braccia e stringendolo delicatamente, lo baciò sulla tempia. La sua vita era perfetta, avrebbe voluto che quel momento non finisse mai, ma quel giorno c’era un colloquio importante per il tirocinio di un nuovo membro degli Auror, al quale doveva partecipare per forza.
Controvoglia si alzò dal letto e iniziò a vestirsi, si mise una maglietta verde e dei jeans blu scuri, aveva imparato che bastava poco per affievolire l’astio di Vegida, mettersi dei vestiti dei suoi colori preferiti era un modo sopportabile per farsi odiare di meno. Infine si pettinò, per quanto possibile, e s’infilò la tunica viola e blu da Auror.
Si diresse in cucina e si sedette al tavolo, in quel momento un elfo comparì con la colazione e una lettera. Harry la posò sul tavolo e cominciò a bere il suo caffè dolce, guardò la missiva, leggendo il destinatario: era per Vegida, si disse che doveva ricordarsi di dirglielo. Si rigirò tra le mani la busta: era una classica busta bianca, ma al posto del mittente, portava un sigillo, che sembrava nobile, che incuriosì Harry. Si disse che non doveva aprirla, ma la curiosità vinse. Già dalla prima parola, l’Auror si accorse di aver commesso uno sbaglio, ma ormai era troppo tardi.
“ Amore mio,
la prima volta che ti ho visto, ho capito subito, che non ti avrei mai più scordato, sei stato la luce che ha illuminato la mia vita, dandomi la forza di non buttare via la mia esistenza, nonostante tutti i miei problemi… nonostante il mio complesso di inferiorità nei confronti dei miei perfetti fratelli. Con il tuo modo di fare, con la tua sicurezza, con le tue parole, mi hai convinto che anch’io posso valere quanto loro.
Hai dato un senso alla mia vita, il quale scopo è amarti. Non mi lasciare o sprofonderò, di nuovo, nel baratro.
Tuo per sempre… Solo tuo,
Joshua.”
Harry lasciò cadere la lettera di scatto, il terrore che Vegida lo scoprisse lo assalì. Guardò l’orologio a pendolo della cucina: era tardi, immensamente tardi, rimise, velocemente la missiva nella busta, e agguantando il mantello, scappò fuori dal portone.
In quel momento, Vegida scese le scale, girò l’angolo e si diresse in cucina, dove sul tavolo ancora apparecchiato vide la busta stropicciata, ancora aperta.
Si avvicinò la prese e digrignò i denti, pensando che la convivenza forzata, sarebbe diventata guerra. Nessuno poteva toccare le sue cose!
Tirò fuori il foglio e lesse, in fretta, la rabbia svanì, al suo posto un senso di tristezza e felicità al tempo stesso. Delle lacrime scesero dai suoi occhi, diventati quasi neri a causa dell’emozione.
-Sono un cretino, stronzo senza cuore… lasciare Joshi, farlo soffrire per la paura di far sapere… paura di che, poi!-, pensò Vegida, lanciandolo il piattino della tazzina a terra e frantumandolo.
Non poteva dire di amare Joshua, ma ci teneva e si sentiva a suo agio, quando stava con lui. Doveva raggiungerlo, allarmi o no sarebbe uscito. Nel momento in cui prese il mantello per uscire, la voce di suo padre lo raggiunse.
“Tesoro, ti prego… tu e Harry state convivendo in modo civile, aspetta qualche giorno e ti farà uscire…”
Sentendo pronunciare il nome del nemico, Vegida si alterò:
“Certo! Peccato che io l’abbia beccato a leggere una mia lettera… sai che me ne faccio del fatto che lui mi apprezzi… nulla!”, e si girò , aprendo la porta. “Papà , mi dispiace.”
“Amore, tranquillo… so che non lo pensi e sei comunque mio figlio…”
“Anche per quello… ma io intendevo che tu abbia scelto un tale cretino per farti fot…”
“Vegi! Io amo Harry e mi spiace ma devi adattarti a questo… Di chi era la lettera?”
“Non t’interessa…” disse Vegida, mentre un lacrima rigava il suo viso.
Draco si avvicinò e lo abbracciò: “Vai da lui, ci penso io a quel cretino di Potter… la pagherà”, finì di dire, con il classico ghigno made in Malfoy sul volto.
Sapeva che suo padre aveva intuito qualcosa, Joshua era stato un sacco di volte a cena da loro e si sa i Malfoy non sono degli sciocchi, sanno leggere tra le righe.
Vegida uscì dalla villa correndo, con un pensiero fisso: -Joshi, aspettami!-
Vegida
Joshua
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Capitolo 8 *** Nella Tana della Tigre ***
Quando arrivò alla villa della famiglia di Joshua, si fermò davanti al cancello in ferro battuto, portante il simbolo della casata dei Kendel: una tigre dorata. Nel maniero vivevano la madre, Isabella Nott in Kendel, i quattro figli: Jordan, Benjamin, Daniela e Joshua e il fratello della madre, Theodore Nott, che aveva preso le redini delle due famiglie dopo la morte prematura del padre dei ragazzi, Bernhardin Kendel.
Joshua, che avrebbe compiuto sedici anni a settembre, era il più giovane dei quattro figli, i fratelli avevano, rispettivamente, ventidue, venti e diciotto anni. Ormai, anche Daniela aveva terminato gli studi a Hogwarts e intrapreso la carriera di Medimagia, Benjamin stava studiando per diventare Auror e Jordan era all’ultimo anno di Magiavvocato. Questo era il quadro famigliare in cui viveva Joshua, senza un padre e con la costante paura di non essere all’altezza dei fratelli, che lo perseguitava.
Vegida guardò il cancello come se questo potesse aprirsi senza che bussasse o suonasse. Il terrore di incontrare una delle sorelle del suo compagno e l’interrogatorio che ne sarebbe derivato, lo aveva assalito. Non era sicuro di aver fatto la scelta giusta, forse avrebbe dovuto scrivere una lettera per risolvere la situazione.
Portò la mano al cancello e lo toccò: il cancello si aprì, identificandolo come individuo non pericoloso; le famiglie nobili, dopo la guerra, aveva fatto installare dei congegni speciali: se non eri un nobile o un funzionario del ministero non potevi entrare in contatto con i membri delle famiglie. Anche il portone principale si aprì e, camminando, Vegida pregò Merlino che né Jordan, né Daniela lo aspettassero.
()()()
Harry stava seduto alla scrivania, aspettando che gli fosse presentato l’aspirante Auror, cui doveva fare il colloquio, era arrivato mezz’ora in ritardo, ma era riuscito a preparare alcune domande sensate. Non riusciva a concentrarsi molto, poiché l’onnipresente pensiero di Draco semi-nudo sul loro letto continuava a tornargli in mente, voleva andarsene da lì.
Sbadigliò, prendendo in mano il fascicolo del candidato e iniziò a sfogliarlo.
Nome: Benjamin
Cognome: Kendel
Età: 20
Data di nascita: 13 febbraio 1992
Studi: Scuola di magia e stregoneria di Hogwarts.
Continuò a leggere il dossier, che mostrava le doti del ragazzo: velocità, prontezza di riflessi e sangue freddo.
-Ehm… è perfetto per fare l’Auror… -, pensò Harry, posando i fogli rilegati. Si passò la mano destra tra i capelli e un dubbio lo accolse. Quel cognome non gli era nuovo -Kendel… dov’è che l’ho già sentito ? Ah, certo… Joshua! Bah, si vede che sono parenti…!-, esclamò dentro di sé. In quel momento la porta si aprì e un ragazzo, con i capelli castani, gli occhi azzurri e l’aria molto sicura, entrò.
-Non si assomigliano, affatto…-, pensò Harry.
“Bene, si accomodi, signor Kendel”, disse, mentre fissava la persona che gli era davanti, cercando di cogliere anche la minima somiglianza con il compagno di scuola del figlio.
“Salve, signor Potter. E’ un piacere conoscerla”, rispose il giovane, sedendosi sulla poltrona rossa, davanti alla scrivania.
-Un lecchino…bleah!-, pensò Harry, con una smorfia disgustata in volto.
“Possiamo cominciare, vorrei sapere, dove ha fatto i suoi studi da Auror e perché le interessa questa professione”, disse, gongolante, poiché pensava di aver posto delle domande formidabili.
Benjamin cominciò a rispondere, mentre l’Auror sfogliava le pagine, ancora non lette della cartella del neo- tirocinante.
[][][]
Vegida si era accomodato nel salotto, invitato da Jordan, che aveva cominciato a parlare dei suoi studi e dei fratelli minori. Il ragazzo conosceva l’intera famiglia da molti anni, tanto che aveva incontrato anche il padre, prima della morte. La donna, arrivata a parlare del fratello più piccolo, che adorava, disse:
“E’ da quattro giorni che è chiuso nella sua stanza, esce solo per mangiare, non parla e non risponde né alle frecciatine di Daniela, né alle mie domande… Sono preoccupata per lui, non mi fa neppure entrare nella sua camera… Se vuoi, puoi tentare la sorte… Attento alle fatture!”
Vegida si alzò, ringraziandola per l’avvertimento e per non aver fatto domande sulla sua visita. Poi si diresse verso la camera di Joshua al piano superiore della villa, arrivato davanti alla porta, bussò.
“Vattene, non voglio nessuno!”, la voce di Joshua lo raggiunse. Aprì la porta ed entrò, il compagno era seduto sul letto, girato di spalle, con un libro scolastico in mano, ma sentendo il rumore della porta, si era alzato, aveva preso la bacchetta dal comodino e gliel’aveva puntata contro. Vegida fece un passo indietro, non aspettandosi quella reazione. Joshua alzò lo sguardo su di lui e una volta incontrati i suoi occhi grigi, lasciò cadere l’arma e si avvicinò titubante.
“Vegi, ciao…” disse, con voce fievole, quasi non pensando che fosse davvero lì.
Il quattordicenne, abbassò lo sguardo. “Scusa, Joshi… io non…”
Non lo lasciò finire, lo avvicinò a sé, unendo le loro labbra, sempre più profondamente, poi lo abbracciò e lo buttò sul letto.
“Mi dispiace tanto… sono uno stupido, uno stronzo…non ne avevo alcun diritto…”, queste parole uscirono dalla bocca di Vegida, mentre Joshua gli baciava il collo e lo spogliava dalla maglietta.
“Tua sorella potrebbe venire a vedere che succede… Smettila…”, la sua voce era tutt’altro che ferma e autoritaria. Non ci credeva neppure lui in quello che diceva.
Joshua si staccò e lo fisso, con uno sguardo a metà tra il maligno e l’eccitato. “L’unico che verrà… sarai tu!”, la mano destra andò a toccare il cavallo del biondo, che annaspò e si avvicinò di più a lui, unendo le loro labbra, per non gemere. Il ragazzo bruno cominciò a slacciare i pantaloni neri in pelle di Vegida, mentre lui gli baciava la mascella, fino ad arrivare al lobo dell’orecchio destro e morderlo.
“Oh sì… Finalmente mio!” disse Joshua, sentendo l’erezione del compagno, sotto la sua mano.
“Fratellino, non hai ucciso l’ospite…”, una ragazza bionda era entrata, poi si era fermata di botto, con un’espressione basita sul volto.
“J-j, abbiamo scoperto perché Josh era triste… Vieni, qui!”
Josh si allontanò dal letto seccato, rimettendosi a posto i vestiti. Dire che Vegida era scocciato sarebbe stato un eufemismo, i suoi occhi lanciavano dardi infuocati.
“Che c’è, Danny?”, Jordan entrò, guardò prima il fratello, poi l’ospite, che era ancora senza maglia, i pantaloni slacciati e la testa fra le mani in segno di arresa alla fine della loro intimità.
La donna sorrise. “ Ecco perché non ti ha ucciso, il mio fratellino…” disse, avvicinandosi a Joshua, e prendendogli il volto tra le mani, aggiunse: “ se qualcuno ti dice qualcosa, se la vedrà con me…” poi gli diede un bacio sulla fronte.
“Ah… ah… ah… prima Ben, adesso tu…se la famiglia vuole degli eredi, dovrà contare sulle donne!” Danny continuava a ridere.
“ Smettila! Stai zitta!”
“ Ma… J-j …io…”
“ Non insultare Josh o te la vedrai con me….” Concluse la sorella maggiore.
“ Che cos’hai contro quelli come noi? O, forse c’è, l’hai solo con tuo fratello?” Vegida si era alzato e rivestito, con voce ferma, aveva detto quelle parole, inchiodando Daniela sul posto, con il suo sguardo glaciale.
La ragazza tossì a disagio, poi si riprese e disse: “ Non mi faccio intimidire da un frocietto che lo da’ a mio fratello…”.
Vegida assottigliò gli occhi, schioccò le dita e Siaf partì all’attacco. Daniela si scontrò contro il muro, urlando, mentre il cobra si arrampicava sul suo braccio.
“ Sai mi piace stare con tuo fratello, mi piace tanto e sicuramente non sarai tu a impedirmelo.” Disse il ragazzo con in ghigno sadico sul volto, poi si avvicinò a Joshua rimasto in disparte per tutto il tempo e lo baciò, facendolo finire quasi seduto sulla scrivania in legno tarsiato. Quando si staccò, lo guardò negli occhi verdi, stupiti, ma felici, e gli sussurrò: “ Puoi non crederci, se vuoi, ma io tengo, davvero, a te…”.
Schioccò le dita e Siaf subì la trasfigurazione in collana, cadendo a terra, Daniela, spaventata corsa via, urlando qualcosa d’inerente alla pazzia di Vegida.
Jordan sorrise, divertita e si rivolse al ragazzo, abbracciato al fratello: “ Mi piaci, sai… hai il coraggio per tenere testa a uno della nostra famiglia, beh, in realtà, è da quando ti conosco che non ti fai mettere i piedi in testa da nessuno…”.
“ Sono un Malfoy, questo fa di me una persona eccezionale, senza alcun dubbio…”.
“ Non molti ne andrebbero fieri… molte persone pensano che dobbiate essere condannati. “
“ Molti, non sono le persone di cui m’interessa l’opinione, Jordan… Il loro giudizio mi scivola addosso e basta.”
Jordan sorrise, era sicura che Vegida non sarebbe mai cambiato, così era quando lo aveva conosciuto cinque anni prima e così sarebbe stato sempre, o almeno sperava che nulla lo avrebbe mutato.
“ Beh, io vado…” disse, uscendo dalla stanza.
Joshua si sedette sul letto e sospirò, stanco.
“ Divertiti, fratellino…” la voce della donna li raggiunse un’ultima volta.
“ Dov’è Benjamin ?” chiese Vegida.
Joshua lo guardò con una luce tra il triste e arrabbiato negli occhi.
“ Perché? Che te ne importa di Ben? Non puoi essere felce di essere qui con me e basta!” esclamò, urlando, mentre la tensione accumulata a causa di Daniela, veniva scaricata su una delle persone che lo aveva aiutato.
Vegida non si arrabbiò, consapevole che non fosse il momento si limitò a sedersi sul letto, accarezzando il suo viso con la mano destra, mentre gli passava la bocca sul collo e la mano mancina lo faceva stendere sotto di lui.
“ Ora, sono qui… con te… ci siamo solo io e te… rilassati… starò qui finché lo vorrai.” La voce roca fece rabbrividire il ragazzo bruno.
“ Voglio che resti qui a cena… e anche a dormire… ti voglio…”.
Vegida ghignò: “ E allora… prendimi!”
Fu durante la notte che Jordan, a tre camere di distanza da quella di Joshua, sentì dei gemiti di piacere e sorrise, felice per il suo fratellino adorato!
Mon
Espace:
Anche
l’ottavo è andato… che
lungo…ammetto che è stato un po’
complicato scriverlo… perché
era l’intersezione di molti personaggi tutti diversi, molti
ancora sconosciuti…
Vorrei
sapere che ne pensate…. Leggete in tanti, ma recensite in
pochi, PERCHE’?
Va
beh, io non obbligo nessuno, solo mi farebbe piacere.
Bye
Sl
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