Last Friday night

di Clahp
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Kankuro + Gaara ***
Capitolo 2: *** Sakura ***



Capitolo 1
*** Kankuro + Gaara ***


Una luce

 

 

 


 

 

Disclaimer.

0.E’ il secondo giorno della Black Week! Chiedo venia per non aver postato ieri, ma proprio non potevo.

1. Non ho minimamente tempo per stare appresso a una fanfic, non ho idea di come fare a postarla, non ho idea di quale sarà la trama.

2. E’ estremamente corta e fatta maluccio (per capire seriamente qual è il mio problema, ritorna al punto 1); l’ho riletta appena una volta.

3.Odio la socia (e il fatto che io sia amministratrice di un forum, ehm).

4.L’ho ideata ieri sera per puro caso e ci penso su fra un autobus e l’altro, andando e venendo dalla mia maledetta facoltà.

5.Perciò, se dopo questi quattro mirabolanti (e incoraggianti) punti siete ancora qui, grazie di cuore.

Mi astengo da qualsiasi responsabilità su questa fanfic. Posterò (o almeno è quella l’intenzione) un capitolo al giorno, ma, dato l’enorme mole di roba che devo studiare, con più probabilità uno ogni due.

 

Buon Black Week  a tutti. <3

 

***

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una luce.

Una timida luce.

Una fottutissima luce gli stava perforando gli occhi…

Il ragazzo sbraitò, tentò di girarsi, ma inutilmente; qualcuno non aveva abbassato del tutto quella maledetta serranda (che naturalmente era davanti al suo letto) e aveva lasciato il solito sottilissimo spiraglio che lui tanto odiava vedere di prima mattina e che l’aveva dannatamente svegliato… Imprecò e si girò ancora; ma era inutile… dannazione, gli scoppiava la testa… oh, ma gliene avrebbe suonate a sua sorella, ah! Sicuramente l’aveva fatto apposta, sì, si divertiva sempre con quegli scherzi idioti… Gaara non era stato, no, lui era piuttosto scrupoloso e d’altra parte –

Guuaaaun.

Ecco, ora aveva anche fame. Era strano, per essere mattina così presto, che avesse tanta fame; ed era strano che avesse anche tanto mal di testa… se il buon giorno si vede dal mattino, beh, quella doveva essere una giornata terribile… ma a proposito, che giorno era?

Gaara si mosse, accanto a lui; batté una mano sul basso comodino, mugugnando una qualche strana forma di saluto. Ma lui ancora ragionava; gli scoppiava il cervello… Oh, sì, la guerra, sì. La guerra era finita, precisamente… sì, i suoi lividi e i tagli e i denti saltati e le ossa rotte poi riparate gli ricordavano decisamente qualcosa… e poi, dopo aver passato due buone settimane in ospedale, i Kage e gli accompagnatori erano stati invitati a Konoha per celebrare l’inizio della pace (o qualcosa del genere, eh)… ah, quindi erano a Konoha ora! Ecco perché non c’era quel caldo appiccicaticcio cui era tanto abituato…

«Kankuro.»

Quasi non sentì il fratello; era troppo impegnato a tenergli il broncio per non aver chiuso del tutto la serranda, ma che diamine, che cosa gli sarebbe costato accostarla quel tanto in più che gli consentisse di non svegliarsi con il cervello trapanato…

«Kankuro, ma hai idea di che ore siano?»

Naturalmente non ce l’aveva, ed era ben deciso a non dirglielo; si girò dalla parte opposta al letto del fratello (che naturalmente, essendo l’Onorevole Kazekage, dormiva su un suntuoso matrimoniale, altro che il suo povero tatami) per avere dalla sua parte la carta vincente, colei che come ogni volta avrebbe decretato il vincitore o il vinto nelle solite litigate fra fratelli; ma vide il terzo letto della camera vuoto. Kankuro sbuffò; dannazione, con lei dalla sua parte avrebbe costretto Gaara a fare penitenza per ciò –

«O meglio ancora, hai qualche ricordo di ieri sera? Perché io ce ne ho parecchi.»

Deglutì. Ieri sera…? Il giorno prima, beh, naturalmente era… era… beh, era un giorno della settimana, e loro erano andati a mangiare qualcosa fuori, sì, con mezza Konoha probabilmente, perché ricordava parecchia gente… Era però strano che Gaara fosse tanto loquace e gli facesse tante domande, e tutte di seguito; perciò mise da parte il broncio e rispose:

«Bo, abbiamo mangiato qualcosa?»

«Kankuro, ieri era Venerdì. Quel venerdì famoso della pace.»

Oh, merda. Il Venerdì… quel venerdì… ora capiva, capiva tutto; capiva il mal di testa, il sonno, il fatto che non ricordasse nulla (anche se pian piano, stuzzicati da quell’infimo particolare, i ricordi stavano facendo capolino nella sua mente confusa)… era naturale che Gaara fosse così puntiglioso; lui non aveva bevuto così tanto…

«Ok, quindi?» domandò Kankuro, (fintamente) noncurante.

«Quindi sono le cinque di pomeriggio, sto morendo di fame, ho un’emicrania terrificante» fu interrotto da un lungo sbadiglio, cui il fratello maggiore si accodò «…e dobbiamo partire per Suna entro stasera…»

Be’, era una brutta situazione, per carità, ma ne avevano passate di peggio, specialmente dopo quella lunga guerra, perciò egli non vedeva il problema; sbadigliò di nuovo e si stiracchiò, mentre piacevoli ricordi della serata passata affluivano nella sua mente.

«E allora, fratellino? Ti» ma qui si bloccò per l’ennesimo sbadiglio «…ti fai troppi problemi… ora mangiamo, ringraziamo chiunque per la bella serata e ce ne andiamo… non vedo il motivo di essere –»

«Il problema, Kankuro» sbottò il minore, scattando a sedere sul suo suntuoso letto, dopo aver retto fin troppo «è che c’è un letto dannatamente vuoto in questa stanza!»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Last

Friday

Night

 

Last Friday night
Yeah I think we broke the law
Always say we're gonna stop
Oh-whoa-oh…

[Katy Perry, Last Friday night]

 

Alzata la (maledetta) serranda, rifatti i letti, sbarbatisi, lavatisi, e dopo aver dato fondo a tutte le risorse della cucina di quella lussuosa pensione che Tsunade aveva procurato loro, appurarono la tremenda verità: Temari nel suo letto non c’era.

Ma c’era un enorme, annoso, angosciante e ben più grave problema: non c’era perché si era stancata di vedere i fratelli dormire a quell’ora, o non c’era perché non c’era mai stata, quella notte, in quel letto? «Be’, naturalmente…» mormorò Gaara, non appena entrambi (ma soprattutto Kankuro) avevano riacquisito l’aspetto proprio di un ambasciatore e di un Kage « potrebbe anche darsi che sia uscita a farsi una passeggiata all’ora di pranzo, insomma…»

Ma Kankuro dubitava fortemente: il suo letto era intatto e giaceva come la ragazza l’aveva lasciato la sera prima, poco prima di andare a quella dannata festa.

Quella sera prima, in effetti, era stato il Venerdì tanto atteso da tutti, grandi e vecchi, Kage e Genin, di Konoha o di Suna o di Iwa; avevano deciso che avrebbero festeggiato in grande la fine della guerra e il ritorno a casa di tutti gli shinobi che avevano partecipato a quel lungo e sanguinolento conflitto. Dopo circa due settimane di cure per tutti, erano stati invitati a rifocillarsi e a riposarsi a Konoha (il villaggio più vicino), cosa che chiunque aveva appoggiato con grande entusiasmo; ma quei giorni erano finiti con l’enorme banchetto della sera precedente, e tutti erano pronti a ritornare a casa entro il giorno successivo; gli altri di Suna erano probabilmente già in viaggio…

Perciò, con questi sentimenti di malinconia e di addio, da varie settimane a quella parte erano iniziati i preparativi per la festa; la Foglia era un tripudio di fiori, di manifesti, di facce allegre, di barili e barili di sakè e di liquori; erano tutti ansiosi di sfogare la propria vitalità repressa con tanta abnegazione e per tanto tempo; ed era per questo motivo che entrambi i fratelli Sabaku No si erano svegliati così tardi, così storditi, e così tranquilli. I festeggiamenti erano incominciati circa alle sei del pomeriggio, per poi proseguire fino a mattina inoltrata, e senza che nessuno obiettasse nulla; avevano iniziato con uno splendido ed enorme banchetto, un’unica tavolata fatta ai piedi della montagna su cui erano scolpiti le facce degli Hokage, e avevano proseguito nelle viuzze del Villaggio con fiere, animazioni e musica. Kankuro stesso ricordava assai poco… solo una splendida biondina in kimono con cui aveva trascorso la maggior parte della serata… e tanto sakè, risate, musica; persino uno spensierato Gaara che rideva…

Ma di sua sorella aveva il più totale vuoto. Sapeva che a cena era seduta accanto a lui, ma ignorava totalmente dove avesse trascorso la serata (o, per meglio dire, notte) dopo il banchetto; poteva essere ovunque. Dovevano partire per Suna, e alla svelta, ma non potevano andare via senza di lei: non avevano mai viaggiato soli, e ognuno dei tre voleva tornare alla loro casa dopo tanto tempo con la presenza degli altri due; mancavano da così tanto tempo…

Fra i due fratelli, nel frattempo, era calato un lungo e pensieroso silenzio, interrotto da qualche sbadiglio; erano oramai le sei di sera.

«In ogni caso, direi di aspettare qui» mormorò Kankuro, mentre si stiracchiava «è grande e grossa, sa badare a se stessa… e comunque sapeva che dovevamo tornare a Suna… perciò tornerà…»

Gaara annuì; era naturalmente la cosa più saggia da fare.

I due attesero.

Ma di Temari nemmeno l’ombra.

«Ma lei ha parecchie amiche qui a Konoha, no?» tentò il Kazekage dopo un’ora. L’altro deglutì.

«Sì, ma non possiamo andarla a cercare, non è una ragazzina!»

«Kankuro, dobbiamo tornare a Suna entro dopodomani, io sono il Kazekage!» sibilò l’altro.

Era vero anche questo, si disse Kankuro, mordicchiando un labbro.

«Sarà uscita all’ora di pranzo.»

«Certo.»

«Avrà incontrato qualcuno e non si sarà resa conto dell’ora.»

«Probabile.»

«D’altra parte domani partiamo, dovrà dire addio ai suoi amici e… magari, a qualcuno che ha partecipato alla battaglia.»

Si fermarono entrambi, ed entrambi si scambiarono una speculare occhiata; evidentemente collegarono i puntini allo stesso tempo, poiché ad entrambi venne in mente, fra tutti, un nome.

«Ma… fa caldo qui dentro, no? Che ne dici di…» mormorò Kankuro, grattandosi la testa e sbuffando(perché quella era una situazione del tutto paradossale e completamente, completamente folle); ma neanche finì che Gaara, piuttosto entusiasta, esclamò:

«Certo! Usciamo un po’ per… dire addio a Konoha… e se poi la incontriamo, be’…»

Sicuramente Temari era uscita per pranzo, sicuramente ora stava amabilmente chiacchierando con qualcuno, sicuramente quella notte non aveva bevuto neanche un goccio di sakè; ma d’altra parte, era sempre meglio accertarsene…

Ed entrambi uscirono.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*****

Ogni riferimento a fatti, luoghi, personaggi (o Venerdì 8D) presenti in questa fan fiction è puramente non voluto.

E sì, noi del forum The Black Parade siamo totalmente pazze e masochiste.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Sakura ***


Disclaimer (II)

 


Disclaimer (II).

(non so neanche se si scrive così, spjvpavhjpbèas)

 

0. Ieri ho scritto fino all’una e un quarto di notte e ora è mezzanotte e mezza, abbiate pietà di me D:

1. Non mi convince molto, ma questo è.

2. Grazie mille a tutti coloro che hanno commentato *____* vi risponderò decentemente appena posso, non mi va di fare una cosa svelta! Continuate, vi prego.

3. Black Week, giorno 5. Lo so che dovevo postare prima ma non c’è stato proprio modo :( (e volevo postare il 2 ma non sono stata veloce abbastanza da uppare a mezzanotte, eh).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La via principale di Konoha si apriva davanti ai due disgraziati, ma le espressioni dei passanti non potevano essere più diverse dalle loro. Chiunque rideva, scherzava, qualcuno perfino cantava; ai negozi erano ancora affisse insegne, luci, decorazioni, manifesti, stendardi e quant’altro, e le strade erano cosparse di coriandoli colorati. Era come se la festa non fosse ancora finita: era come se fosse ancora un magnifico venerdì sera.

Kankuro li guardò, provando per l’ennesima volta una fitta d’invidia per la loro spensieratezza, ma probabilmente quelli lì non avevano sorelle dementi…

«Ok, dunque?» mormorò poi a Gaara, per scacciare dalla mente il ricordo della bella serata del giorno prima (e per non confrontarla con quella di quel giorno).

«Dunque, be’…» sospirò il minore, grattandosi leggermente la testa. Aveva implicitamente assunto il comando di quella folle missione; nessuno dei due l’aveva detto, ma era naturale che fosse così. «Poiché abbiamo cercato nelle locande qui intorno e nessuno di loro l’ha vista, probabilmente Temari non è andata qui intorno per l’ora di pranzo, o perlomeno non è stata qui nelle ultime ore…»

Calò il silenzio, un silenzio imbarazzato.

«Ma tu proprio non ricordi di averla vista, ieri sera? Io ero al tavolo con gli altri Kage…»

Kankuro deglutì.

«Te l’ho già detto, ero da tutt’altra parte, in un’altra locanda…» rispose, sicuro di sé.

Ma l’altro non si diede per vinto: continuò a camminare, intrepido, osservando attentamente i negozi per la strada e soffermandosi a guardare dentro ognuno di quelli, mentre qualche passante si chinava o lo salutava cerimoniosamente; Kankuro lo seguiva, svogliato e contrariato, mandando maledizioni a sua sorella. Era arrivato il momento di parlare seriamente a suo fratello, che lui lo volesse o no; non aveva intenzione di girare mezza Konoha per stare appresso ai capricci di quella lì. Stava morendo di sonno e di fame e voleva tornare a casa dopo tanto tempo; ma finchè il Kazekage non avesse avuto la verità spiattellata sotto i suoi grandi occhi ingenui, evidentemente, non l’avrebbe capito. Perciò prese un profondo respiro e bloccò l’altro dall’entrare nell’ennesima locanda.

«Gaara, forse… ecco, non potremmo provare a casa di qualcuno, magari casa di…?»

L’altro si offuscò.

«Stai dicendo che Temari non è rientrata a casa, stanotte?»

Gaara aveva la più alta stima dei suoi fratelli, naturalmente, dopo tutto ciò che aveva fatto loro patire tanti anni prima e dopo tutto il tempo passato insieme per rimediare alle sue colpe; erano come il suo braccio destro e sinistro, e non avrebbe mai dubitato della loro condotta o delle loro azioni, poiché avevano entrambi la sua più totale fiducia… talmente tanta da non permettergli minimamente di pensare che Kankuro a quella festa non avesse toccato neanche un goccio di sakè o che Temari fosse realmente andata via per l’ora di pranzo quel sabato mattina. Ma Kankuro era parecchio su di giri, non vedeva l’ora di tornare a casa, e soprattutto sapeva vedere la questione da un punto di vista molto più obiettivo;  insomma, erano a Konoha e Temari era scomparsa da molte ore, dopo una festa con tanto, tanto alcool, dopo aver combattuto un’intera guerra fianco a fianco a quel capellone lì…

«Forse può essere andata a casa di qualche sua amica!» esclamò Gaara, lasciando perdere le frenesie dell’altro, e sorridendo. «Come ti dicevo prima, lei ha molte amiche qui… bene» affermò, deciso, senza chiedere parere all’altro «proviamo da una di loro. Sakura Haruno, che ne dici, eh?»

Il maggiore provò a ribattere, ma era inutile. Nulla avrebbe smosso Gaara dalla convinzione che sua sorella fosse un essere docile e angelico, specie in paesi stranieri; tuttavia, be’, suo fratello poteva anche aver ragione… Temari e Sakura, a quanto ricordava (sempre che Sakura Haruno fosse quella tizia che aveva in mente, il che non era ovvio), erano piuttosto amiche; magari la prima, stufa di aspettare il risveglio dei fratelli, era andata a casa della seconda? Non era da escludere, senza andare a pensare tanto male… E, in ogni caso, se pure Temari non si fosse trovata lì, magari quella là avrebbe avuto qualche informazione in più che la sua mente offuscata da tanto sakè non riusciva a ricordare; dunque, in definitiva, non era affatto un’idea malvagia.

E, ancora una volta, partirono.

 

 

 

 

***

 

 

Dopo varie figuracce, scambi di persona (ma quante ragazze bionde come Temari e alte come Temari e che menavano come Temari c’erano a Konoha?!), indirizzi mal capiti e strade sbagliate, si ritrovarono nel salotto di casa Haruno davanti a una fiammante tazza di Gyokuro* e finalmente seduti su comodi cuscini. Sakura li guardava, curiosa e leggermente divertita: la loro situazione le era parsa paradossale.

«Dunque, voi vorreste tornare a Suna stasera?» continuò lei.

Kankuro la osservò; era piuttosto carina, anche se aveva la loro stessa faccia stravolta e contenta. Come ben ricordava, era la ragazza che qualche anno prima gli aveva salvato la vita; in quella guerra aveva contribuito a curare migliaia di feriti in condizioni pietose, e ci era riuscita molto bene: doveva essere l’allieva di Tsunade. Gaara bevve l’ennesimo sorso di tè (che grazie ai Kami ebbe un effetto rilassante su entrambi) e sospirò. Come Kankuro ben sapeva, la ragazza non aveva minimamente visto la loro sorella in quella mattinata: era stato un viaggio dannatamente inutile.

«Avremmo voluto… è per questo che siamo venuti da te» disse suo fratello, deciso. Dopo qualche secondo, tuttavia, un’idea gli balenò nella mente, e subito aggiunse: «Ma potresti darci una mano lo stesso. Per caso tu l’hai vista, ieri sera? Io non c’ero e Kankuro era altrove…»

La ragazza arrossì. Kankuro sorrise: era fatta.

«Be’, sì, l’ho vista…»

«Oh, finalmente!» esclamò l’altro, alzando gli occhi al cielo. «Che stava facendo? Ti ha detto qualcosa…? Ha parlato di dove andava?»

Ma l’altra, evidentemente per nascondere l’imbarazzo, prese una lunga sorsata di tè.

«Lei… non è che mi abbia proprio parlato… non mi ha neanche visto. L’ho vista io, diciamo… ed era sul tardi, anzi, stamattina presto, nel parco di Konoha, vicino a dove abbiamo fatto il rinfresco, sapete, proprio davanti alle facce degli Hokage.»

I due la guardarono con tanto d’occhi, naturalmente non sapendo minimamente di che parco si trattasse.

«E che cosa ci faceva Temari, da sola, in un parco di mattina?» boccheggiò l’Onorevole Kazekage, piuttosto pallido.

«Oh, no, non vi preoccupate! Non era mica da sola!»

E fu allora che accadde ciò che Kankuro sapeva, sapeva che sarebbe accaduto prima o poi. Vide la scena come al rallentatore, come tante volte se l’era sognata, e come tante volte l’aveva temuta.

«E con chi era?» fece Gaara, di fianco a lui.

L’interlocutrice (che nei suoi sogni non aveva una faccia del tutto specificata) sorrise, come se quel sorriso potesse infondere loro coraggio e tranquillità grazie alle parole che stava per pronunciare.

E accadde.

«Ma con Shikamaru, naturalmente!»

 

 

 

***

 

 

[Il giorno prima, o anzi, la mattina stessa.

Ore 3.45]

 

 

 

 

La serata stava procedendo alla grande, veramente alla grande. Non che Sakura Haruno fosse una rinomata casinista, anzi; ma quella sera, quel Venerdì, aveva tacitamente deciso di volersi distruggere dalle risata, dal gran ballare, dal parlare a voce alta o –perché no?- dal bere; non voleva pensare a niente, non voleva progettare niente, voleva solo divertirsi fino alla nausea e nient’altro. Era più che legittimo, dopo tanti mesi di guerra, tante ore in ospedale, tanti pianti, tanti feriti, tanti morti… era un grande, grandissimo desiderio di sentirsi viva. E basta.

Per questo motivo aveva ballato gran parte della serata, anche se lo stretto kimono che aveva comprato per l’occasione era una tortura. Dopo l’enorme banchetto, erano andati a trascorrere la nottata in un bel locale proprio davanti all’Ichirarkututti, tranne naturalmente Ino, che aveva optato per un posto più chic; lì una piccola band di ragazzi di Suna e di Tsuchi aveva iniziato a suonare, e non c’era più stato modo di fermare la ragazza. All’inizio era stata appoggiata solamente da Kiba e da Lee, desiderosi molto più di lei di scatenarsi un po’, ma presto mezza Konoha era in pista… E così era andata avanti per molte, molte ore, mentre Lee e Gai ballavano con tutto l’ardore che fosse possibile e Konohamaru le lanciava qualche occhiatina intrigante; mancavano pochissime persone all’appello. Sasuke, ancora stordito nell’ospedale di Konoha, e a cui fino a qualche ora prima erano andati la maggior parte dei suoi pensieri; Shino e Neji, muti in un angolo; Kakashi-sensei, sebbene Gai lo avesse pregato; e, strano ma vero, l’uragano umano, ovvero Naruto.

Era strano. Lei si era aspettata che si lanciasse in pista e che nessuno potesse fermarlo; che strepitasse e urlasse, mentre beveva sakè come il suo vecchio maestro; e invece no. Se ne stava muto, in un angolo, con le braccia conserte e lo sguardo basso, appoggiato con la schiena contro una parete del locale di legno. A cena, sebbene fosse l’ospite d’onore e molte persone (primi fra tutti, i Kage) avessero voluto ringraziarlo e stringergli la mano, aveva parlato poco e controvoglia; si limitava a sorridere, come suo solito.

E… oh, quel sorriso. Era la cosa che più le era mancata in tanti mesi di guerra, più dei suoi genitori, degli allenamenti, di Tsunade-sama, forse anche più del Team 7… quel sorriso era davvero tanto per lei, così tanto che ne aveva iniziato a sentire il bisogno… Il sorriso di Naruto, d’altra parte, coinvolgeva tutti, ma quello che tanto spesso rivolgeva a lei era in qualche modo ancora più brillante e solare e bello; e il suo modo di fare, il suo grattarsi la testa se imbarazzato, di chiederle scusa pure se era lei a sbagliare… le era mancato così tanto… e lei aveva sperato davvero di potergli parlare come una volta, e di vedere solo lei quel suo sorriso, ma così non era stato. Anche in quel momento, in quel frastuono assordante, con così tante persone accanto a sé, con il sollievo di sapere Sasuke finalmente tornato a casa, si sentiva in qualche modo sola, incompleta; per la prima volta da tanto tempo, sentì la necessità di parlare con qualcuno, forse perfino con Ino, e –

Si bloccò; una mano fredda l’aveva presa al polso, in maniera molto garbata ma decisa. Si girò di fretta (non era del tutto raro che a Konoha qualcuno mettesse le mani dove si sarebbe amaramente pentito di averle messe) e diresse un certo quantitativo di chakra sulla mano, per poter dare una lezione a chiunque si fosse azzardato… ma con suo enorme stupore vide l’oggetto dei suoi pensieri proprio lì davanti a lei, l’unico fermo in una matassa di corpi scatenati.

La serietà nello sguardo di lui la fece rimanere letteralmente senza fiato: era come se avesse ricevuto un colpo in mezzo al petto. Boccheggiò.

«Sakura, tutto bene?» chiese l’altro, tornando una vaga ombra di se stesso.

Lei deglutì. Ma che diamine stava accadendo? Ecco, lo sapeva, lei non reggeva il sakè, maledetto Sai che gliene aveva offerti tanti…

«Sì, sì, ma… che vuoi?» sbottò, in maniera del tutto imprevista.

Lui si dispiacque un po’. Si grattò la testa, come al solito.

«Be’… se non ti dà fastidio, ecco… volevo parlarti.»

Lei si morse un labbro; non avrebbe dovuto reagire tanto duramente… dannazione! Era vero, voleva continuare a chiacchierare con gli altri e mangiare qualcosa e a non pensare a niente (anche se avrebbe sicuramente smesso di bere o di ballare perché le girava la testa oramai), ma Naruto aveva quello sguardo così serio e deciso e maturo, come non lo era mai stato, e la guardava in maniera così ferma e risoluta…

«Sì, be’, va bene…» annuì vagamente.

Lui non se lo fece ripetere; si girò, si aprì in qualche modo un sentiero e la condusse fuori da quella marasma di persone. Fecero la strada in silenzio, sempre con la mano di lui stretta dolcemente al polso di lei; ancora una volta, il ragazzo si fece largo fra la folla presente in ogni vicolo di Konoha e cercò un posto tranquillo. Non trovando altro, scelse il grande parco dove una volta (tanto tempo prima) si erano allenati: lì non c’era nessuno.

Per la prima volta da quando erano usciti dal locale, Naruto si voltò; l’espressione seria, tanto strana al suo viso immaturo e bambinesco, era tornata.

«Sakura» iniziò, senza il nomignolo infantile che di solito era solo suo «non credo che tu ti stia comportando al meglio nei miei riguardi.»

Ancora una volta, le mancò totalmente il fiato.

«Eh?» seppe dire, inutilmente.

Lui alzò gli occhi al cielo.

«Ma insomma, non ci vediamo da tanto tempo, torniamo da una guerra, e io ti–»

Ma si interruppe; a poco a poco, in effetti, un lieve rumore aveva iniziato a rovinare l’idillico silenzio intorno a loro. La loro prima reazione fu di mettersi in guardia e di portarsi una mano alla coscia, in cerca di qualche kunai; ma naturalmente non l’avevano. Si limitarono perciò a nascondersi dietro una grande quercia e ad ascoltare.

Dei passi venivano, sempre più pesanti, nella loro direzione; ma non erano passi nemici, sembravano, più che altro… passi di danza?

«Ma che diavolo?!»

A poco a poco, due teste uscirono da una collinetta in mezzo al bosco, davanti a loro, e a poco a poco si sentirono le voci dei due; ma chiunque, chiunque, dal più altezzoso ninja al più infantile genin non avrebbe creduto ai propri occhi.

Shikamaru Nara e Temari Sabaku stavano tranquillamente ballando, mentre cantavano e sorridevano e si prendevano la mano; era uno spettacolo incredibile.

Sakura sghignazzò; alla fine anche quei due testoni si erano lasciati andare dall’aria festiva… anzi, a guardarli bene, avevano del tutto l’aria di chi, a questo spirito festivo, aveva ceduto fin troppo: erano irriconoscibili.

«Ma guarda quello lì…!» esclamò Naruto, sorpreso più di lei, mentre rideva di gusto. «Shikamaru, il genio misogino, eh?»

La ragazza si accodò alla risata: anche Temari non aveva propriamente un caratterino facile… eppure, a vederli adesso, sembravano due persone perfettamente normali, non reduci da una sanguinosa guerra, non ninja assassini di alto livello.

Naruto, e lei lo sapeva bene, aveva sempre tifato per quei due; citando le sue testuali parole, insieme erano una bomba. Sakura lo aveva sempre preso in giro, definendo questa sua idea un’idiozia, poiché sapeva che Naruto non capiva nulla di sentimenti; ma, a guardarli ora pensò a quanto era stata lei l’idiota… Si erano evidentemente lasciati appresso (o meglio, l’alcool aveva fatto sì che si lasciassero appresso) i loro difetti e il loro orgoglio, e poiché evidentemente nessuno dei due conosceva molto bene le mezze misure, alle quattro del mattino stavano naturalmente ballando e cantando in un parco semibuio e molto promiscuo, in mezzo a una folta flora di cespugli, mentre si scambiavano ardenti baci e si stringevano l’un l’altra. Temari sembrava presissima da quel gioco; si allontanava di qualche passo, faceva qualche piroetta a mezz’aria (volteggiando tranquillamente come se fosse la cosa più normale del mondo), per poi ritornare fra le braccia di Shikamaru, fare le fusa come una gatta e ricominciare il tutto. Lui la lasciava semplicemente fare, ridendo, accogliendola ogni volta nel suo petto per poi concederle qualche bacio passionale.

Sembravano la coppia perfetta; Sakura provò una fitta d’invidia… Lei stimava tantissimo Temari: avrebbe voluto una qualche sua qualità fra la sua forza, il suo cipiglio e la sua prontezza in battaglia, ma non ne aveva nessuna; e Shikamaru, be’, fino a due settimane prima era stato il capitano della quarta divisione… Avrebbe voluto eguagliare anche solo uno dei due per forza o intelligenza o volontà o carattere, ma evidentemente erano davvero così tanto lontani da lei che non era possibile… E mentre erano oramai fuori dalla sua vista (poiché avevano imboccato una stradina più nascosta) ma ancora si abbracciavano e si baciavano e si cercavano con lo sguardo, lei pensò per un lungo, folle minuto che avrebbe davvero voluto provare la loro stessa felicità, e che non era non pensando a nulla che l’avrebbe raggiunta.

«Sono incredibile quei due, eh?» bisbigliò Naruto, accanto al suo orecchio, sorridendo ancora. «Dannato Shikamaru, gliel’avevo detto…!»

Era palesemente felice per l’amico, glielo si leggeva in faccia: lui e Shikamaru erano divenuti molto amici, con la scomparsa di Sasuke.

Sakura si morse un labbro.

Era davvero tanto irraggiungibile la felicità che Temari le aveva appena platealmente spiattellato in faccia…?

Forse no.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

«Quindi, ecco, come vi ho detto… è durato pochi secondi. Li ho solo visti, mentre parlavano, e sono andati via» finì brevemente la ragazza, per qualche motivo nervosa, mentre ancora beveva il suo tè.

Ma era palese che i due non l’ascoltavano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note

 

* rinomato tè verde giapponese

 

 

 

 

 

 

Pardon per il NaruSaku, ma qualcuno doveva pur incontrarli nel bosco 8D

E NON C’è OOC, A TUTTO C’è UNA SPIEGAZIONE. Spero.

 

Qualunque riferimento a cespugli è puramente voluto.

 

 

 

 

 

 

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