Kristel e l'esercito della Luce.

di Kim NaNa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Il gioiello misterioso. ***
Capitolo 3: *** La leggenda di Luce e Ombra. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


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Per il blend ringrazio la cara Kiamony.

Kristel e l’esercito della Luce.
 
Prologo.

Shirenia.
Salva Shirenia, Kristel.
L’uomo dall’occhio vitreo verrà a cercarti, ma tu fuggi col prescelto. Né angelo, né demone, un essere spurio che farà di te la sua protetta per condurti a Shirenia e porti innanzi al simulacro dei bagliori.
La grande Ombra si spanderà sul pianeta dei quattro Soli e una coltre di silenzio incomberà sulle torri di vetro.
Ombra e desolazione regneranno sovrani dopo un’estenuante battaglia… Due compagnie si riuniranno e nemiche saranno.
Due potenti eserciti verranno schierati e il più fulgido vedrà soccombere l’altro.
La luce del Sole e l’ombra del Silenzio smarriranno i sentieri e scateneranno conflitti senza eguali.
I nemici nascondono parole soffocate. Ascolta senza remore e offri te stessa, ma nella tua mano destra impugna sempre la spada lambita dalle fiamme del Sole, perché il tradimento non ti colga mai impreparata.
Per Shirenia, Kristel.
Combatti per Shirenia, dove luce e speranza fine non avranno se animi coraggiosi lotteranno.”

Sollevò appena le palpebre Kristel, mentre i tratti di un volto etereo scomparivano lentamente tra soffusi bagliori dorati.
Lunghi capelli bruni, occhi verdi come l’edera, pelle diafana come la luna.
Spalancò del tutto le iridi ambrate e vivaci, portando una mano sulla bocca per soffocare uno sbadiglio.
“Accidenti, che strano sogno…”
Sprofondò il viso sul cuscino per qualche minuto prima di afferrare la piccola radio sveglia posta sul comodino.
“Santo cielo, com’è tardi!”
Saltò giù dal letto in un balzo, precipitandosi sotto la doccia.
Jeans scoloriti , camicia bianca, scarpe da tennis e, senza neanche asciugare i biondi capelli, afferrò la grande borsa di cuoio lasciando l’appartamento.

Il bus era stracolmo. La gente le cadeva addosso ad ogni frenata del maldestro autista, mentre l’afa del mese di luglio rendeva l’aria irrespirabile.
Cingolava quel mezzo un po’ trasandato e il brusio dei passeggeri musicò un’inconsapevole melodia nella testa di Kristel.
Si guardò attorno e sorrise.
Ognuna delle persone che aveva preso quel bus era diversa.
Pelli diversi, volti diversi, occhi diversi, profumi diversi, lingue diverse.
Nulla somigliava a nulla.
Erano belle quelle persone, ma forse nessuno di loro sapeva davvero quanta bellezza fosse racchiusa in quella diversità lampante.
Man mano che l’autista procedeva nelle sue fermate, il bus diventava sempre meno affollato e Kristel riuscì a sedersi su una poltrona rossa, stinta e consunta.
Ondeggiava lenta con i sobbalzi del vecchio bus, che non evitava neanche una buca e, poggiando la borsa sulle sue ginocchia, posò lo sguardo sul fondo del mezzo.
Rannicchiato in un angolo, con la testa poggiata al finestrino ed una mano tesa a sostegno della guancia, vide un ragazzo che sonnecchiava, incurante del trambusto che lo circondava.
“Indossa una giacca di pelle nera con questo caldo!?” si ritrovò a pensare.
Lo guardò ancora e si chiese se fosse solito prendere quell’autolinea per fare i suoi spostamenti.
Avrebbe voluto rivederlo, per scrutarlo con maggiore attenzione, per scoprire quanto belle fossero le sue diversità.
Un altro scossone dell’autista fece sobbalzare tutti i passeggeri, svegliando il dormiente misterioso e solo allora Kristel poté osservarlo meglio.
Capelli neri ebano, occhi blu zaffiro, pelle ambrata e sguardo ostile.
Un grande anello color del sole spiccava sull’indice della mano destra, ma non riuscì a scorgervi l’intarsio dai riflessi luminosi che lo rendeva così vistoso.
Senza mai volgere gli occhi su nessuno, prenotò la sua fermata e scese dal bus nel comune anonimato, sotto una scia di un intenso profumo speziato.
Ne fu quasi dispiaciuta Kristel, quando lo vide sparire dietro un vicolo assolato e, bofonchiando, guardò l’orologio da polso.
10.40
“Eloise mi ucciderà!” si disse, stringendo la borsa tra le mani.
Pochi minuti dopo, scese alla sua fermata salutando il vecchio autista, Sam, come soleva fare e, messa la borsa sulle spalle, cominciò a correre cercando di legare i capelli in uno chignon.

Il fiato corto, le gote arrossate e i capelli in disordine, Kristel arrivò all’ingresso del Royal Museum dove l’aspettava un’ormai furente Eloise.
La ragazza dalla chioma fulva e riccia, stringeva al petto una spessa cartella marrone e gli occhi nocciola lasciavano presagire la ramanzina che avrebbe udito l’amica di lì a poco.
“Kristel! Ti sembra l’ora di arrivare? Il capo è furioso e vuole vederti prima dell’allestimento della mostra. Ma che cavolo hai fatto ieri sera, per fare così tardi? Ho dovuto mentirgli dicendo un mare di baggianate che neanche ricordo più. Spero per te che tu abbia ultimato il lavoro che ti aveva dato… altrimenti questa volta sarai fuori dallo staff.”
Kristel prese fiato e porse la grande borsa di cuoio all’amica imbronciata.
“Ecco cosa ho fatto tutta la notte… Mi… mi sono addormentata solo verso l’alba e ho anche fatto uno strano sogno. Aspetta… di cosa parlava? Uhm… Sha… Shi… Ah, ecco! Shirenia!”
“Shi… che?” chiese Eloise, entrando nella hall del museo.
“Shirenia.”
“Smettila di blaterare e corri nell’ufficio del capo o sarai ufficialmente senza lavoro.” Aggiunse la rossa, strizzando l’occhio prima di sparire in un piccolo ufficio.
“Sissignore!” rise Kristel, cercando di sistemare il suo aspetto.
Si passò una ciocca ribelle dietro l’orecchio, ma, prima che potesse raggiungere l’ufficio del direttore della mostra, inciampò nei lacci disfatti delle sue scarpe, cadendo rovinosamente sul parquet.
“Ahi iai iai…” mormorò, massaggiandosi le caviglie.
Una mano calda e sconosciuta si posò appena sulla sua spalla, attirando il suo sguardo.
Sull’indice era infilato un anello d’oro con una tonda lamina d’argento dov’erano incastonate quattro zaffiri gialli ed un asimmetrico diamante.
“Il ragazzo del bus!” pensò.
“Tutto bene?” domandò una voce vellutata e profonda.
Incurante del dolore, Kristel sollevò gli occhi sullo sconosciuto accorso in suo aiuto e fu allora che li vide.
Gli occhi blu più scuri dell’oceano fissavano le sue iridi ambrate, celando una inspiegabile apprensione.
Sapeva di mare, sapeva di cielo.
Sapeva di tempesta, come quella che aveva appena scatenato nel cuore di Kristel.

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Capitolo 2
*** Il gioiello misterioso. ***


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Per il blend ringrazio la cara Kiamony.


Il gioiello misterioso.
 
Tu-tum… Tu-tum… Tu-tum…
Batteva il cuore di Kristel. Lo sentiva distintamente, come se le parlasse, come se volesse urlargli qualcosa.
Si alzò in fretta, ma, non appena poggiò la caviglia dolente, sussultò soffocando un grido di dolore.
“Hey biondina, tutto bene? Sembra che la tua caviglia sia slogata. Vuoi che ti porti da un medico?” disse il ragazzo dagli occhi blu.
Svegliandosi da quello stato ipnotico nel quale era caduta, alzò gli occhi sul misterioso aiutante e incontrò i suoi occhi di ghiaccio.
“Biondina a chi? E comunque chi ti ha chiesto di aiutarmi?!”
Gli occhi color ambra s’incendiarono d’ira e imbarazzo.
Non avrebbe mai pensato Kristel che un ragazzo tanto affascinante potesse essere tanto insolente.
“Non ti scaldare… “ il ragazzo si allontanò guardando di sbieco la caviglia della bionda.
“E’ gonfia. Dovresti almeno metterci del ghiaccio.”
Kristel raccolse la sua borsa e sostenne lo sguardo altezzoso e divertito di quello strano ragazzo.
“Spostati, mi ostacoli il passaggio.”
Un’ultima occhiata furente prima di sparire dietro una porta laccata di bianco.
 
Le note della melodia di Bach, Aria sulla quarta corda, riempivano la stanza neoclassica del direttore Victor Layrs.
Una grande vetrata mostrava un superbo paesaggio, mentre un profumo di mughetto aleggiava nell’aria.
“Signor Layrs, le ho portato la ricerca che mi aveva richiesto.”
L’uomo, seduto alla sua scrivania, alzò gli occhi neri e profondi scrutando la sua dipendente.
“Bene. Scoperto qualcosa d’interessante?”
Afferrò la spessa cartella azzurra che Kristel gli porse concentrandosi sulla lettura.
“Aveva ragione lei. Quel gioiello è un pezzo unico, non esiste un gemello. La particolarità di questo prezioso è l’indefinita provenienza. Nessuno è stato in grado di catalogarlo in un determinato periodo storico, in quanto non corrisponde a nessuna corrente artistica. Uno studio approfondito ha dimostrato che le quattro pietre di oro differente, giallo, rosso, bianco e nero, corrispondono a quattro pianeti, ma c’è chi afferma che potrebbero tutte raffigurare il Sole stesso. Nessun riferimento storico è associato a questo gioiello, ma intorno ad esso ruota una bizzarra leggenda…”
Il direttore Layrs smise di leggere il fascicolo e  tolse gli occhiali da lettura, tenendoli in una mano.
“Bingo!”
Kristel non capì e lo guardò smarrita.
“Come prego?”
“La leggenda signora Brampton… la leggenda. Voglio presentarle qualcuno per ringraziarla dell’ottimo lavoro svolto. Il Pendant light verrà esposto nella prossima mostra che sarà curata dal giovanissimo professor Jaide Marrison.”
 
Jaide Marrison si rivelò essere un giovane trentaduenne laureato in architettura con un master in arte antica e contemporanea, proprietario della nuova Art and Story corporation, una grande struttura dove primeggiavano eclatanti opere d’arti e particolareggiati dettagli di storie e culture.
Portava lunghi capelli biondi accuratamente legati dietro la nuca, occhi così chiari da sembrare quasi bianchi e una piccola cicatrice tra l’orecchio sinistro e il collo.
Alto, prorompente e con un’espressione accattivante, sorrise all’ingresso di Kristel al fianco del direttore.
“Victor, vecchio mio. Che piacere rivederti!”
Strinse calorosamente la mano del direttore, posando gli occhi sulla ragazza.
“Non sono poi tanto più vecchio di te, ragazzino. Grazie per essere venuto e per aver scelto il nostro museo per l’esposizione del Pendant light. Ti presento Kristel Brampton, fidata e competente collaboratrice.”
Kristel abbozzò un sorriso, porgendo la mano destra che l’uomo strinse con non curanza, ma soffermandosi a guardarla negli occhi.
“Lieto di fare la sua conoscenza Kristel… Posso darle del tu, vero? Non credo di essere molto più grande di te…”
Sorrise amabilmente imporporando le gote della ragazza che mormorò un confuso: “Sì, sì, certo.”
Victor rise accomodandosi su una poltrona di pelle bianca, indicando ai due ragazzi di imitarlo.
“Jaide, vedo che continui ad avere lo stesso effetto sulle donne…”
Il ragazzo spostò una poltrona, permettendo a Kristel di accomodarsi e con sguardo eloquente aggiunse:
“Non su tutte le donne, purtroppo…”
L’imbarazzo era ormai palese sul volto di Kristel che tossì per cambiare l’oggetto della conversazione.
“Direttore… “ cominciò.
“Perché mi ha portata qui?”
Tra i due uomini ci fu dapprima uno scambio di sguardi, poi si sorrisero a vicenda.
“Da domani dovrai lavorare al fianco di Jaide Marrison, Kristel. La mostra avrà luogo nel nostro museo fra sole due settimane e dovrà essere tutto perfetto per quel giorno. Giacché entrambi avete studiato il caso della leggenda che ruota intorno a quello sconosciuto gioiello, ho deciso di farvi lavorare fianco a fianco per proporre ai visitatori una mostra che combacierà cultura, mistero e magia.”
La rabbia si fece spazio nel cuore di Kristel. Ancora una volta, il dispotico direttore, aveva preso delle decisioni così importanti senza neanche consultarla.
Raccolse un po’ di coraggio e cercò di spiegarle che non poteva lasciare tutto il lavoro della mostra egizia nelle mani della sua amica Eloise.
“Niente scuse. Così è deciso. Non lamentarti, avrai la possibilità di vedere l’orecchino maledetto, prima di noi comuni mortali.”
Orecchino maledetto?” chiese, sorpresa.
“Sì, è così che lo ha soprannominato il caro Jaide.”
Kristel guardò il ragazzo che se ne stava con le gambe accavallate e le mani poggiate in grembo e notò un inquietante luce nei suoi occhi.
“Perché maledetto?” si permise di chiedere, fronteggiando il suo sguardo.
Jaide si alzò in piedi raggiungendola e, senza mai togliere gli occhi dai suoi disse:
“Perché è da tutta la vita che lo maledico.”
 
Alla luce del tramonto Kristel percorreva gli assolati vicoli della città respirando l’aria afosa di quel pomeriggio di luglio.
“Victor Layrs sei il solito dittatore senza cuore.” Disse, passeggiando.
“Sapeva bene quanto tenessi alla preparazione della mostra egizia con Eloise eppure non ha esitato a spedirmi al fianco di quell’energumeno! Grrr… che rabbia! Dovrò chiamare Eloise…”
Mise una mano nella borsa, ma, ancor prima di trovare il suo apparecchio telefonico, lo sentì suonare.
“Pronto? Ciao Eloise… stavo per chiamarti, ho bisogno di parlare con te. Il direttore ne ha fatta un’altra delle sue… Come? Sai già tutto? Quel vecchiaccio ti ha già chiamata? Per tutti i Numi, ma chi si crede di essere? Ok, ok, mi calmo. Che hai detto? Stasera in spiaggia? No, no, non contate su di me. Sono stanchissima e ho una gran voglia di andarmene a dormire. Dai su, Eloise, non fare così… Accidenti a te! E va bene, vado a casa a cambiarmi. Ci vediamo in spiaggia.”
Un lungo sospirò venne fuori dalle labbra di Kristel mentre riponeva il cellulare nella borsa.
“Addio sonno rigeneratore…”
Riprese a camminare con passo svelto quando un’ombra alle sue spalle attirò la sua attenzione.
Si fermò voltandosi lentamente.
Dietro di lei non c’era nessuno. Poco distanti due uomini anziani chiacchieravano seduti all’ombra di un sempre verde, mentre una giovane madre passeggiava con i suoi due bambini.
“Kristel, lavorare per tutta la notte ti fa davvero male alla salute!” pensò, sistemando la borsa sulla spalla e procedendo verso casa.
 
La bianca luna si specchiava nelle calme acque del mare e una leggera brezza le scombinava i morbidi ricci dorati che le danzavano sulla schiena.
Kristel affondò i piedi nella sabbia ancora tiepida e, guidata dalla luce di un falò, si diresse verso il gruppo di amici che l’attendeva da più di un’ora.
“Signori… l’illustrissima dottoressa Brampton è qui con noi finalmente.”
“Scusate il ritardo ragazzi, ma mi sono attardata sotto la doccia.” Disse Kristel salutando prima Eloise con un abbraccio.
“Certo, certo. Non dovremmo conoscere il tuo essere ritardataria incallita però…”
Risero tutti, salutando la loro amica e proponendo una nuotata sotto i raggi di luna.
Spruzzi d’acqua salata, urla di gioia, risate contagiose, in tutto questo chiasso Kristel riuscì addirittura a rilassarsi, dimenticando la fatica di quel giorno così interminabile.
Dopo la cena attorno al falò e le canzoni accompagnate dal melodico suono di una chitarra, si addormentò profondamente sul bagnasciuga, coperta da un morbido plaid che le aveva poggiato Eloise sulle spalle.
 
“Bene e male, bianco e nero, luce ed ombra.
Coloro che diversi saranno il sangue in comune avranno e per trovare Shirenia duelleranno.
Segui il tuo cuore Kristel, segui la luce. Afferra l’amuleto e scopri l’antico potere.
Tutti lo cercano, brameranno contro di te e tenteranno di scoprire le porte del mondo rilucente.
Degli uomini compariranno e al tuo cuore mireranno, chi di veleno, chi di sentimento, a Shirenia porteranno patimento.
Io ti prego, mia prescelta, brandisci la spada della Luce e combatti nel nome di Shirenia… di Shirenia…”
 
Madida di sudore e ansante, Kristel spalancò gli occhi mettendosi seduta.
Accanto a lei, Eloise dormiva profondamente come il resto dei suoi amici.
Il fuoco, ormai debole, resisteva ancora e, lento. ondeggiava sotto un cielo coperto di stelle.
Si alzò piano, stando attenta a non fare alcun rumore e decise di fare un bagno per liberarsi di quella strana sensazione che sentiva cucita addosso.
“Ancora quella voce… Ancora quello strano nome…” bisbigliò.
L’acqua era gelida e oscura. La luna piccola e silenziosa rischiarava appena quelle mute acque, mentre il suono del silenzio deliziava quel momento.
S’immerse completamente Kristel, osservando il fondale nero e impenetrabile.
Mentre scendeva più in basso, urtò qualcosa con la testa, avvertendo un acuto dolore che la fece trasalire.
Cercò di riemergere dalle acque e di chiedere aiuto, ma la voce le morì in gola.
Avvertì qualcosa di caldo colarle sulla guancia, mentre la vista le si faceva sempre più bassa.
Poi fu tutto nero e il dolore scomparve.
 
“Kristel, Kristel! Svegliati Kristel!”
Sentì pronunciare il suo nome.
Qualcuno la chiamava, qualcuno che aveva già udito parlare, qualcuno che pareva trovarsi troppo lontano da lei per liberarla da quel grosso macigno che doveva pesarle sulla testa.
“Forza Kristel, apri gli occhi. È tutto finito.”
Cercò faticosamente di aprire gli occhi e la figura di qualcuno si materializzò dinanzi a lei.
Quegli occhi così profondi e blu, quella voce così vellutata non le erano affatto sconosciuti.
Il tocco leggero di una mano si posò sul suo capo, mentre parole positive la confortavano.
“È solo una ferita superficiale, sta’ tranquilla. Ma l’impatto ti ha fatto perdere i sensi… domani un atroce mal di testa ti farà compagnia per tutto il giorno, credo.”
Cercò di alzarsi, ma ebbe subito un capogiro che la costrinse a stendersi nuovamente.
“Sei sempre così impulsiva e diffidente biondina?”
Biondina.
Quel nomignolo pronunciato con quel tono le portò alla memoria lo scontro avuto quella mattina con il ragazzo del bus.
“Tu…” mormorò.
Lui sorrise e a Kristel parve di vedere il cielo andare in mille frantumi.
“Sheyne. Mi chiamo Sheyne, biondina.”

NdA: il primo capitolo di questa mia storia fantasy è online; sono consapevole di non aver dato quasi alcuna delucidazione, ma sto procedendo per gradi in modo da delineare al meglio la trama e gli stessi personaggi.
Se volete lasciarmi un vostro parere mi fareste cosa gradita. :P


  Kim Na Na 



 

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Capitolo 3
*** La leggenda di Luce e Ombra. ***


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Per il blend ringrazio la cara Kiamony.


La leggenda di Luce e Ombra.
  

Tra le onde del mare si muove la tua libertà. La luna rischiara i suoi biondi capelli, ma il nero improvviso colpirà i suoi occhi.
Va’ da lei, Sheyne. Proteggi colei che ignora la verità, difendi la fanciulla che le Ombre cercano… Né l’uno né l’altro tu sei, ma al suo fianco qualcuno diverrai.
Va’ da lei.
Sulla spiaggia.
Tra le onde…”
 
Due occhi color cobalto si spalancarono nel bagliore di una luce soffusa.
Sheyne Davis, madido di sudore, si mise seduto sul letto, respirando affannosamente.
“Maledetta donna… Non voglio. Io non voglio farlo…”
Si passò una mano tra i folti capelli neri e qualcosa di freddo accarezzò la sua nuca.
L’anello del Sole.
Fissò il suo indice con insistenza: le quattro pietre gialle rilucevano di fulgidi bagliori sposando la bianca luce emanata dal diamante incastonato in mezzo.
“Né l’uno, né l’altro sono io… Maledizione! Odio Shirenia, odio Jamila… odio anche l’essere spurio che sono!”
Scese dal letto con furia, infilò la sua giacca di pelle e andò a cercare lei.
Era al mare ed era in pericolo.
Lo sapeva, lo sentiva.
 
La testa le doleva prepotentemente mentre ripetuti capogiri le impedivano di alzarsi e liberarsi da quella situazione insolita.
“Ma tu… che ci fai qui a quest’ora della notte?” chiese Kristel con un filo di voce tenendo gli occhi chiusi.
Lui rise piano e avvicinò la sua bocca all’orecchio di lei:
“Non trovavo nulla di divertente da fare e vagavo al buio nella notte fino a quando una biondina sprovveduta non ha tentato di suicidarsi al chiaro di luna. Gesto molto romantico il tuo…”
Lei percepì il suo sarcasmo e si costrinse ad aprire gli occhi.
Era bello.
I capelli bagnati appiccicati sulla fronte, piccole gocce d’acqua salata colavano sul suo viso candido e luminoso, mentre gli occhi blu come l’oceano parevano brillare di luce propria.
“Io… Io avevo solo fatto un brutto sogno…”
Con tutta la forza che aveva in corpo, Kristel riuscì a mettersi seduta massaggiandosi delicatamente il capo.
Sheyne la guardò in silenzio e la vide tremare.
Afferrò la giacca di pelle che aveva buttato sulla sabbia prima di tuffarsi e la poggiò intorno alle spalle di lei.
“Sei proprio una femminuccia…”
Kristel gli rivolse uno sguardo truce, ma non poté reggerlo a lungo: Sheyne sorrideva, un sorriso strano, un sorriso ambiguo, a metà tra il sacro e il profano.
Sheyne. Pensò Kristel. Angelo o diavolo che tu sia, hai un sorriso che merita di essere osservato in silenzio.
“Ehy biondina? Ti senti bene?”
Lei annuì col capo stringendosi la giacca tra le mani.
“Allora io vado… Torna dai tuoi amici e cerca di non dormire. Credo che quella roccia, in fondo al mare, si stia ancora lamentando per il dolore…” rise.
Kristel le lanciò una scarpa che cadde, senza sortire alcun effetto, ai piedi del ragazzo.
“E ricordati di andare da un medico… Ci vediamo biondina.”
Le strizzò l’occhio e si incamminò nel sentiero che portava tra i boschi.
“Sheyne… che tipo strano…”
Istintivamente guardò il tessuto che stringeva fra le mani: la sua giacca!
Trasalì e cercò di chiamarlo, ma il ragazzo che le aveva appena salvato la vita sembrava essere stato inghiottito dal nero della notte.
“Accidenti a me! E adesso? Spero di ritrovarlo in bus quel folle o non saprò come restituirgli la sua giacca.”
Si alzò lentamente provando una vertigine.
La testa le doleva e raggiunse la tenda di Eloise con estrema fatica.
Con gli occhi assonnati, Eloise farfugliò qualcosa.
“Come mai sei sveglia?”
“Non riuscivo a dormire e ho fatto un bagno… ma ho battuto contro uno scoglio…”
Gli occhi verdi dell’amica brillarono nella notte, ritrovandosi d’un tratto desta.
“Hai battuto contro uno scoglio? Santo cielo! Dove? Che ti sei fatta? Ti senti bene? Chiamo Nathan, lui è un medico…”
“Eloise… sta’calma. Va tutto bene, ho solo un forte mal di testa. Con Nathan ci parlo domattina, ora lasciamoli dormire tranquilli…”
Eloise continuò a fissarla con occhi apprensivi.
“E quella giacca?” chiese rivolgendosi all’indumento che Kristel aveva sulle spalle.
Un’occhiata furtiva alla stoffa che stringeva tra le mani e un sospiro impercettibile sfuggito alle sue labbra.
“Ah, questa. È del tizio che mi ha tirata fuori dall’acqua…”
“Come? Sei stata soccorsa? E hai il coraggio di chiedermi di stare tranquilla? Basta, vado a svegliare Nathan…”
Si spogliò del lenzuolo che la copriva precipitandosi fuori dalla tenda, ma Kristel la trattenne per un polso.
Gli occhi ambrati della ragazza parvero improvvisamente coperti da un velo di tristezza, da uno strano ed inconsueto alone di mistero.
“Ti prego, Eloise. Resta con me. Il ragazzo che mi ha aiutata mi ha consigliato di non dormire… potremmo lavorare un po’ insieme e, tra un paio d’ore, quando gli altri saranno svegli andrò con Nathan in ospedale. Te lo prometto.”
Strinse di più la presa fissandola.
Eloise sospirò a lungo.
“Benedetta ragazza. Quando smetterai di voler fare l’eroina?”
Le lanciò uno sguardo contrariato, prima di rientrare nella tenda e di sedersi sul suo sacco a pelo.
“E va bene… Allora? Dove sono tutti i tuoi studi sul misterioso Pendant Light?
Kristel sorrise.
L’aveva sempre saputo di avere l’amica migliore del mondo.
 
Mattino rovente tra le pareti dell’ospedale pubblico dove l’aveva condotta Nathan.
Ecografia, tac, prelievi del sangue… operazioni troppo lunghe per una ragazza che aveva un appuntamento con il suo nuovo collega alle 11.30.
“Dove devo firmare?”
Teneva la penna stretta tra le mani, guardando nervosamente i fogli che le aveva consegnato l’infermiera.
“Signorina Brampton, io le consiglierei di passare la notte in ospedale…”
“Dottor Harris, suo figlio Nathan mi ha già visitato questa mattina e anche i controlli fatti fino a poco fa mostrano dei parametri nella norma. Mi creda, con un analgesico passerà anche questo mal di testa. La ringrazio, ma adesso devo proprio andare. Ciao Nath! E grazie per avermi portata qui, ti chiamo se qualcosa non dovesse andare…”
Afferrò giacca e borsa e salì sul primo tram che vide passare.
Si sedette in fondo al mezzo, accanto a lei una signora anziana controllava sistematicamente la lista della spesa che aveva tra le mani guardando tra i sacchi colmi di prodotti.
Si massaggiò una tempia, il mal di testa non le aveva dato tregua. Aprì la borsa e ne estrasse uno specchietto.
Cavoli, Kristel! Che aspetto orribile hai questa mattina. Vuoi davvero presentarti in questo stato davanti al tuo nuovo temporaneo capo? Pensò scuotendo il capo.
Guardò oltre le vetrate per decidere a quale fermata scendere e raggiungere velocemente casa sua per cambiarmi, ma i suoi occhi furono attratti da una sagoma a lei familiare.
“Sheyne!” urlò.
Cominciò a battere i palmi delle mani sul vetro, gridando ripetutamente quel nome che l’aveva tormentata per tutta la notte.
“Sheyne! Sheyne… Autista, per favore… alla prima fermata!”
Lo stridore dei freni del tram le fece raggiungere frettolosamente l’uscita, senza mai distogliere gli occhi dalla figura che si allontanava nella strada assolata.
Scese dal tram correndo più che poté, la testa le girava vorticosamente, ma doveva fermare quel ragazzo per restituirgli la sua giacca.
Era quasi riuscita a raggiungerlo, pochi metri li separavano.
Kristel avvertì il suo profumo speziato e pronunciò il suo nome quasi in un soffio.
“Sheyne!”
Lo vide fermarsi, guardarsi attorno e poi voltarsi.
La guardò con quegli occhi troppo blu che le ricordarono le profondità del mare della notte precedente.
Lei sorrise, lui restò impassibile.
“Che vuoi?” chiese.
Dopo la folle corse, il cuore di Kristel batteva all’impazzata.
“È questo il modo di salutare la gente?” disse, poggiando le mani sulle sue ginocchia.
“Tieni. Sono venuta solo per restituirti questa.” Gli porse la giacca di pelle che teneva in mano, continuando a respirare affannosamente.
Sheyne la guardava scettico. Si incamminò verso di lei piano, valutando la distanza che intercorreva tra i loro corpi, quando le fu dinanzi si fermò.
Afferrò la giacca senza dire una parola e l’appoggiò su di un braccio.
“Grazie.” Disse lei.
“Ti sei scomodata per niente… avresti anche potuto tenerla. Col caldo che c’è, credi che avrei indossato la mia giacca di pelle oggi?” il suo tono era pungente e ironico come sempre.
“Ma io…”
Tutto intorno a Kristel cominciò a girare freneticamente.
Si mantenne la testa con entrambe le mani perdendo l’equilibrio e finendo, inavvertitamente, ai piedi di Sheyne che cercò subito di rianimarla.
“Hey Kristel! Kristel?!” le picchiettò le guance con una mano, prima di bagnarle il viso con l’acqua che aveva trovato nella borsa di lei.
Infastidita dal getto freddo, Kristel aprì gli occhi proteggendosi il viso dal sole con le mani.
“Ma cosa è… successo?” disse.
“Biondina… non credevo di farti tutto questo effetto! Sei svenuta ai miei piedi!” la informò, sorridendo.
Kristel lo allontanò con uno spintone e si alzò pulendosi i pantaloni.
“Spiritoso…”
“Sei stata da un medico, vero?”
“Certo, Signorino SoTuttoIo e comunque non sono affari tuoi. Adesso che ti ho restituito la giacca posso anche andare. Ci si vede in giro bello.
Raccolse la sua borsa e girò i tacchi.
L’orologio segnava le 11.05, solo venticinque minuti per passare da casa a cambiarsi e raggiungere l’ufficio di Jaide Marrison.
Giunta sul ciglio della strada, qualcuno le tolse la borsa dalla spalla porgendole un casco integrale.
Un anello con quattro pietre brillò sotto i raggi del sole.
Sheyne la guardava con un mezzo sorriso dipinto sulle labbra.
“Andiamo, ti accompagno io. La mia moto è proprio qui davanti, ovunque tu sia diretta, sarai lì in un batter d’occhio.”
“Spero di arrivarci tutta intera…” disse Kristel infilandosi il casco.
Sheyne scoppiò a ridere e lei avvertì una strana sensazione nel cuore. Era bello sentirlo ridere, così come era bello lui.
“Abbracciami forte, se non vuoi cadere.”
Queste le sue parole prima di mettere in moto e partire a tutto gas.
Era caldo il corpo di Sheyne.
Era rassicurante, ma qualcosa dentro di lui tremava.
O forse sono le mie mani quelle che stanno tremando?Pensò Kristel.
 
Una doccia veloce, un vestito formale e un fermaglio tra i capelli, alle 11.30, Kristel era nell’ufficio di Jaide Marrison a immettere dati nel suo notebook.
Concentrata nella disposizione delle slide, non udì il tonfo di una porta che si chiudeva e un cauto rumore di passi.
“Quanta dedizione per questa mostra…”
Una voce possente la fece sobbalzare. Staccò le mani dal pc e voltò la testa da un lato.
Jaide era alle sue spalle, in un completo blu scuro con camicia bianca senza cravatta. I primi due bottoni lasciati aperti lasciavano intravedere un petto muscoloso e abbronzato, le gambe lunghe e atletiche, i capelli, privi di elastico, erano impeccabilmente lisci e pettinati e incorniciavano i suoi occhi cerulei e le sue labbra turgide e scarlatte.
Si sentì arrossire Kristel e abbassò gli occhi visibilmente imbarazzata.
Jaide la fissò, abbozzando un incomprensibile sorriso.
“Bene signorina… cominciamo quando vuole!”
Un cenno del capo della ragazza prima di immergersi a capo fitto nell’organizzazione della mostra.
Pranzarono in ufficio, un take away veloce portò loro riso al curry e pollo in salsa agrodolce, per poi tornare a disporre la scaletta dei manufatti.
“Signor Marrison… posso farle una domanda?”
La luce del tramonto filtrava dalle finestre, rischiarando i biondi e ricci capelli di Kristel.
Lui alzò lo sguardo dai tanti fogli sparsi sulla scrivania, tolse gli occhiali che aveva utilizzato mettendo una stecca tra le labbra e la guardò.
“Prego… faccia pure.”
In un gesto di disagio, la ragazza si lisciò il bordo di una manica e, avvicinandosi al tavolo, chiese:
“La leggenda che ruota intorno al Pendant Light… lei la conosce bene, vero? Ecco, io vorrei che me la raccontasse…”
Jaide si alzò dirigendosi verso la grande vetrata e si infilò le mani in tasca.
“Perché vuole conoscerla? In giro ci sono tante versione…”
“Vede, sin da quando il fascicolo di quel prezioso è capitato sulla mia scrivania ho sempre desiderato conoscere con esattezza la storia che lo rende così affascinante e intriso di mistero…”
Lo sentì sogghignare.
“La verità è che lei è una sognatrice signorina Brampton.”
Si girò a guardarla con quegli occhi chiari come l’acqua facendola arrossire vistosamente.
Jaide fece alcuni passi, raggiunse un divanetto di pelle bordeaux e accavallò le gambe.
“Bene. Se proprio insiste, gliela racconterò. Si accomodi pure… la storia è un po’ lunga.”
Si guardò attorno Kristel e preferì sedersi sulla poltrona girevole della sua scrivania per evitare che quell’uomo udisse il suo cuore palpitare.
Gli occhi di Jaide incontrarono quelli ambrati di lei, un gioco di sguardi di pochi secondi che lasciò Kristel con il fiato sospeso.
Poi la magia ebbe inizio e la leggenda cominciò a venir fuori dalla bocca disegnata di quell’elegante, quanto impassibile, ragazzo.
“Si racconta che sull’antico Olimpo, il dio del Sole, Apollo, amasse congiungersi con diverse donne e che prediligesse la bellezza delle soavi ninfe. In una notte di pioggia, egli raggiunse le sponde del fiume Eridano (*) e lì, udì cantare la ninfa Astride, una delle Eliadi, figlie di Elio, il dio spodestato da Apollo stesso, e dell’oceanina Climene.
La corteggiò per tutta la notte e, poco prima di portare il sole appena dietro il monte Olimpo, si congiunse a lei.
L’amò come forse non aveva fatto con nessun’altra ninfa e giacque, per riposare le membra, sul cuscino di capelli corvini di Astride. Da quella un’unione venne alla luce una creatura alla quale fu dato il nome Jamila (*’), ma Zeus andò su tutte le furie e decise di scaraventare giù dall’Olimpo la nascitura.
Si dice che il dio Apollo, colto da uno spasmodico amore verso quella piccola bambina, in una notte senza luna, trasportò la figlia sul suo carro e la condusse in una terra che riluceva di fulgidi bagliori. La depose su un giaciglio che aveva intrecciato per lei sua madre e, stretto in una morsa di sensi di colpa, la strinse a sé per un’ultima volta. La rabbia ardeva nei suoi occhi color ambra e con il suo arciere scagliò un dardo nel bel mezzo del sole, trafiggendolo.
Che tu sia maledetto, padre mio! Disse (*’’)
Il sole zampillò di luce e, lì dove la saetta aveva colpito, vennero fuori quattro cerchi arroventati che bruciarono la saetta sotto gli occhi attoniti di Apollo.
L’astro sul carro riprese il suo solito splendore, mentre le quattro palle di fuoco si posizionarono nel bel mezzo di quella terra straniera, illuminando dapprima la stoffa setosa che avvolgeva la figlia del dio e, in seguito, lo spazio circostante.
Sorpreso e meravigliato, Apollo battezzò quella terra col nome di Shirenia e fece di Jamila la regina di quel luogo sacro, conferendo ad ella poteri che mai avrebbe creduto di poter concedere e lasciandole in dono l’anello ch’egli chiamò del sole.
Sii tu, o mia diletta, l’erede di questa terra fatta di luce, in te risiedano i doni della profezia, della luce e della medicina. Di te io faccio la dea dell’arte divinatoria, della perseveranza e della speranza. Possa la tua chioma esser splendente come i raggi del sole e dar vita ad un regno che non vedrà mai tramonto.
Salito sul suo carro, scomparve tra gli orizzonti illuminati di fuoco tornando ad essere il dio Apollo di sempre.
Jamila crebbe sola e nel silenzio, in quella terra fatta di sola luce, senza mai conoscere il buio e la notte.
Se ne stava ne suoi giacigli, intrecciando spighe di grano e profumati fiori e rimirando l’anello che sentiva essere l’unico ricordo di coloro che l’avevano generata, ma un dì, presa da una solitudine opprimente, pianse copiose lacrime che caddero su un letto di foglie verdeggianti.
Da quelle lacrime si sprigionò una luce accecante e in un istante il suo regno si spense.
Ella conobbe il buio e se ne rallegrò, ma il suo cuore triste non gioì a lungo. La luce dei quattro Soli cominciò, pian piano, a risplendere ma Jamila udì qualcosa dietro di sé.
Due fanciulli le sorridevano. Uno dai capelli color del sole e l’altro dei riflessi della notte.
Corse a stringere quegli esseri simili a lei mai visti prima e diede loro i nomi di Luce e Ombra.
Visse con loro allevandoli come figli, ma ben presto i due conobbero la rivalità e si confinarono in diverse zone della terra di Shirenia.
Gli scontri tra Luce e Ombra furono ripetuti e cruenti e fu così che la madre Jamila, ch’essi amavano più di ogni altra cosa, avvelenò i loro calici d’ambrosia uccidendoli.
Prima di morire Luce e Ombra si giurarono odio eterno, ma dinanzi alle urla supplichevoli della madre che implorava loro clemenza e tregua piansero di vergogna.
La divina Jamila racchiuse quelle lacrime sincere in una perla che impreziosiva un monile che le pendeva su un orecchio: un orecchino d’oro con una grande perla nera con intorno quattro cerchi dorati.
Lo chiamò Pendant Light e fece di esso la sua arma più potente.
Colui che verrà al mondo nell’occasione del Solstizio d’inverno, nel millennio in cui dei e divinità saranno stati relegati in un angolo quasi dimenticato delle coscienze del genere umano, riceverà da me un suggello sulle proprie carni e quel segno sarà l’emblema della mia appartenenza. L’eletto discendente che indosserà lo stemma regale della mia famiglia regnerà su Shirenia e la condurrà a vita nuova. Immortali come le mie membra esso diverrà e in lui scorreranno potenti doni che faranno di esso un sovrano regno di rispetto e devozione.
I miei figli ritorneranno con la riscoperta del mio gioiello e si riaprirà l’antico duello.
Per Shirenia l’eletto lotterà e tra i Luce e Ombra si batterà, per portare il mio regno al suo primordiale splendore.”
Jaide si fermò e guardò Kristel.
Lo sguardo assorto, la mente persa nelle parole appena udite.
“Shirenia…” bisbigliò.
“Bella storia, non crede?” chiese il biondo.
Kristel non rispose, continuò ad osservarlo prima di domandare:
“E di Jamila che ne fu?”
Jaide si passò una mano tra i lunghi capelli e sorrise.
“Non se ne sa nulla… ma ora che l’orecchino maledetto è nelle mie mani dovrebbe venire a farmi visita, non credi?”
Una luce divertita negli occhi, un tetro alone intorno al suo corpo, uno sconcertante sarcasmo nella sua voce.
“Shirenia...Shirenia…” ripeté Kristel sotto l’occhio vigile di Jaide.
Poi un flash-back.
Balzò in piedi portando una mano sul petto.
“Shirenia!” disse, guardando l’uomo di fronte a sé.
E alla memoria le venne il sogno di qualche giorno prima e di quella voce suadente che le ripeteva:
Per Shirenia, Kristel. Per Shirenia.
 
 
Note: (*)Eridano era il nome di un fiume di Atene, nel Ceramico.
(*’) Jamila è un nome di mia invenzione, così come lo è la storia che lega Apollo alla ninfa Astride.
(*’’) Padre mio: Apollo è figlio illegittimo di Zeus e di Leto.


NdA: la storia prende forma. Che ne pensate? Questa volta credo di essermi allungata un po' troppo, ma mi auguro di non avervi annoiato. Se avete delle annotazioni da fare, fate pure, sono qui anche per imparare e migliorarmi. ^^
A presto.


Kim Na Na

 

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