One day, maybe we'll meet again.

di EmmeSmile
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** This is me... ***
Capitolo 2: *** If you want to be loved, love. ***
Capitolo 3: *** Il peggio deve ancora venire ***



Capitolo 1
*** This is me... ***


This is me...


Quello era il mio primo giorno a Londra. O meglio, era il mio primo giorno da libera cittadina. Può sembrare strano ma non ero mai uscita da quelle quattro pareti bianche dell'orfanotrofio. Prima però dovrei presentarmi. Sono alta, magra, con i capelli castani, lisci e lunghi più o meno fino al seno. Gli occhi,bhe,ne avevo due ma il colore non l'ho mai capito. Potevano essere nocciola, marroni o verdi, a volte non capivo neanche se ce l'avessero un colore. I miei genitori non li ho mai conosciuti, non so i loro nomi ne ho loro foto, so solo che erano italiani. Ah, l'Italia. Ho vissuto lì la maggior parte della mia infanzia, in un piccolo paesino della Campania, Castellammare, con due vecchi coniugi che io ho sempre chiamato "nonni". Loro mi hanno sempre voluto tanto bene e io ne volevo altrettanto a loro.
 
Flashback
11 anni prima
 
Correvo, correvo in mezzo a quel prato verde e sconfinato, dove il leggero vento che soffiava faceva muovere dolcemente le margherite e i rami degli alberi. Adoravo andare in quel campo a correre e sentire il vento tagliarmi la faccia e i capelli volare liberi.
< Milena! Milena, piccola mia, torna qui! Non correre così in fretta!! >
Mi divertivo ad ascoltare i miei "nonni" gridare dall'alto della collinetta, vederli affannarsi per venirmi a prendere mentre sfrecciavo (?) lungo la discesa. Ogni volta rallentavo, finivo la discesa zompettando come Cappuccetto Rosso e prendevo i due fiori più belli, per portarli a loro.
< Guarda che bei fiori Maria! >
< Sono belli come la bambina che li ha raccolti > e così dicendo mi scompigliavano sempre i capelli. Sembravo una bambina con i suoi due nonni, lui alto e robusto, con i capelli ormai completamente bianchi e gli occhi marroni circondati da tante rughe che se uno avesse perso tempo a contarle avrebbe scoperto la sue età, e lei, una signora anziana, minuta, con i capelli corti e grigi, che però non indurivano i suoi lineamenti, anzi, la rendevano ancora più nonnina. E la bambina la centro, che li teneva per mano, ero io. Avevo sei anni,portavo un vestitino leggero con disegnati dei fiori, delle scarpette da ginnastica ed un sorriso che nessuno mi avrebbe mai tolto. O così pensavo.
                                    Fine flashback
 
Mi stavo incamminando a piedi verso la scuola, testa china, sguardo interessato ai lacci delle scarpe e camminata da deportato di Auschwitz. C'era una sola differenza tra uno di loro e me: l'abbigliamento. Sì, perchè io portavo una gonnellina scozzese con le balze corta, che con il vento lasciava ben poco all'immaginazione,una camicetta bianca a maniche corte che portavo dentro alla gonna, un giubbino nero di pelle, calzettoni grigi fino a metà polpaccio, stivaletti neri rigorosamente slacciati, cappellino grigio e borsetta, dove non c'era traccia dei libri. Di sicuro, vedendomi per strada, nessuno avrebbe pensato che sarei andata a scuola vestita in quel modo e , di certo, non era quello che volevo far credere io. Un brontolio mi fece perdere il filo dei pensieri e mi accorsi che era la mia pancia. Il mio era uno degli orfanotrofi di Londra più chic, se così si può definire un orfanotrofio, ma di sicuro non era tra i suoi obiettivi quello di farci andare in giro con la pancia piena.  Mi fermai da Starbucks e mi presi un cappuccino. Andai alla cassa per pagare e vidi un ragazzo dai capelli ricci, occhi verde smeraldo e le fossette agli angoli della bocca. Preso! pensai subito. Non feci nemmeno in tempo a fare il mio sguardo malizioso e a scostarmi i capelli in modo provocatorio, che il riccio attaccò bottone:
< Tu non lo sai ma in questo bar regaliamo sempre una cioccolata calda alle ragazze più carine, e visto che tu piaci particolarmente al sottoscritto, hai vinto anche una cena romantica con me! > appena terminò la frase mostrò le sue fossette e aspettò una mia risposta. io aspettai un po' prima di rispondere, non sapevo se fare la finta cretina e morirgli dietro o rispondergli a tono. Scelsi la terza opzione, la mia, come ho sempre fatto.
< Se continui così fallirai ben presto >. Lui però non abbandonò e continuò.
< io comunque sono Harry. Non devi decidere subito per la cena, se vuoi ti do il mio numero > speranzoso.
< E cosa ci dovrei fare con il tuo numero? Giocarmelo al lotto? >
Lasciai gli spicci sul tavolino e me ne andai. Tanto tornerà, pensai. Più li tratti male, più ti cercano.
 
Harry's pov.
Ero stato assunto da poco al bar di mio zio, dopo l'ennesimo licenziamento solo lui aveva accettato di assumermi. Era un lavoro così noioso che non mi stupii del fatto che non avesse trovato ancora nessuno. L'unico aspetto positivo era che potevo provarci con tutte le ragazze,sperando che qualcuna accettasse. Poi entrò lei, faccia da ragazzina viziata e un bel fisico che di certo non nascondeva. Peccato fosse una stronzetta. Uno non può nemmeno essere gentile con una ragazza ed offrire una cena, sperando in una ricompensa, che ti trattano a pesci in faccia. Non ho nemmeno fatto in tempo a replicare che stava già uscendo con il suo cappuccino in mano. però, devo ammettere, che ha un bel culo, davvero un bel culo.
                                   -------
 
La proprietaria dell'orfanotrofio si era più e più volte raccomandata di arrivare puntuali, mostrarsi disponibili, sorridere e, soprattutto, non fare brutte figure. Ero già in ritardo, non sorrido mai controvoglia e voglia di sorridere non ne ho proprio, io non faccio brutte figure, solo non mi faccio mettere i piedi in testa da nessuno e non ho peli sulla lingua. In quanto a mostrarsi disponibili io sono bravissima, ma forse lei lo intende in modo diverso.
 
 
 
 
____________________
Questa è la mia prima FF...nella mia mente la storia è davvero bella, ma non so quanto possa esserlo anche da scritta -.-
Comunque commentate o recensite, voglio sapere quello che ne pensate prima di pubblicare il prossimo capitolo che ho già scritto...
-EmmeSmile :) 

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Capitolo 2
*** If you want to be loved, love. ***


Chapter 2

If you want to be loved, love.
 
La preside quella mattina mi aveva fatto visitare tutta la scuola, stanza per stanza, e mi aveva messa al corrente delle lezioni che avrei dovuto seguire nei prossimi giorni.
Il resto delle ore lo avevo passato ciondolando da una stanza all’altra, guardando facce di sconosciuti e mangiando alla mensa ( la parte peggiore).
Tutti i ragazzi erano i classici figli di papà a cui tutto è concesso, e le ragazze erano delle troiette che gli andavano dietro, senza nasconderlo minimamente.
Già li odiavo tutti.
Erano tutti presenti tranne uno, un certo Zayn Malik, che a parere delle oche era il più figo della scuola.
Mah, mai fidarsi.
Avevo avuto l’onore di conoscere le cheerleaders esibirsi nelle loro gonnelline e con i loro pon-pon davanti a tutto l’Istituto.
Piacevano a tutti, soprattutto ai giocatori di football.
Il rientro in quell’edificio, che non chiamerò mai casa, non fu migliore.
Gli altri ragazzi erano tutti nelle loro stanze a meditare o a studiare, o a fare qualsiasi altra cosa migliore di quello che avrei potuto fare io.
Gettai svogliatamente la mia borsa per terra e mi buttai a peso morto sul letto.
La mia stanza la dividevo con altre sei ragazze-che intimità!- di cui non conoscevo il nome, non ero il massimo in socializzazione.
Sembrava un ospedale e non potevamo neanche decorare il nostro spazio perché l’Arpia ci aveva espressamente detto :  < L’ordine prima di  tutto >.
Portai le mie stanche membra nel bagno e mi guardai allo specchio.
Facevo impressione: avevo le occhiaie e un colorito giallastro, da zombie in un film dell’orrore.
Mi tolsi tutti i vestiti e mi feci una doccia bollente, sperando che almeno l’acqua calda mi avrebbe distratta.
Non fu così.
Ero da sola, gli altri erano scesi per la cena da un po’ di tempo ormai, ma nessuno si preoccupava più se io non scendevo.
All’inizio pensavano che io fossi anoressica o avessi qualche problema con il cibo, ma mi ignorarono dopo poco, in realtà amavo troppo la buona cucina per mangiare quella sbobba.
Mi asciugai velocemente i capelli con l’asciugamano, anche se le punte rimasero bagnate, mi vestii e mi truccai.
Presi i tronchetti in mano e mi calai dalla finestra come Spiderman, stavo violando le regole per andarmi ad ubriacare in discoteca.
Sfortunatamente reggo molto bene l’alcool, quindi, nonostante i tre bicchieri di Vodka, ero ancora completamente lucida.
Spostai il mio sguardo dal bicchiere vuoto alla figura che mi si era appena seduta accanto.
Era un ragazzo riccio, anzi, il riccio.
Avrei riconosciuto quegli occhi verdi ovunque.
Mi stava sorridendo da cinque minuti abbondanti , così ricambiai.
Non so cosa provocò in lui questo, so solo che dopo poco mi ritrovai a casa sua, nella sua stanza, che mi baciava tutt’altro che dolcemente mentre mi toglieva i vestiti.
Non so perché l’avevo fatto, ma ultimamente, questa era l’unica cosa che mi faceva sentire viva.
L’unico modo per non sentirmi sola al mondo era andare a letto con qualche ragazzo, sperando, almeno in quel momento, di essere importante per qualcuno.
Erano ormai anni che mi sentivo così, sola e persa, e non riuscivo a trovare una soluzione.
Avevo bisogno di amare e di essere amata, ma non ne ero più capace.

Flashback -7 anni prima-

I miei nonni, o genitori, erano morti ormai da tre anni e i Servizi Sociali non mi avevano fatto assistere ai loro funerali.
< Le avrebbe fatto troppo male >, questo era quello che ero riuscita ad origliare mentre mi caricavano come un pacco su un treno verso Milano.
Secondo loro mi avrebbe fatto troppo male vedere il funerale delle uniche due persone che mi hanno amata, no, non era quello a far male, era il fatto che io non c’ero quando questo successe, che io non ero stata con loro fino all’ultimo quando loro c’erano sempre stati per me.
Quella sarebbe stata la mia ultima occasione per salutarli e ringraziarli, invece stavo andando a Milano, la città più caotica e frenetica che io abbia mai visto- ok non avevo visto nessuna città, però fa lo stesso-, la gente non ti guardava mai in faccia, erano tutti troppo impegnati per fermarsi e chiederti come stavi.
No, non era quella una città per me.
L’orfanotrofio era anche peggio, tutti i bambini erano freddi, distaccati e disillusi, come se sapessero che sarebbero dovuti restare lì a vita, che nessuno sarebbe mai venuto per loro.
Ma nessuno veniva mai per me, avevo visto un sacco di bambini uscire da qui con la loro nuova famiglia, genitori che li trattavano come se non ci fosse nulla di più speciale al mondo di loro, e nessuno sa quanto avrei pagato per sentirmi almeno una volta così.
La verità è che nessuno vuole una bambina di 10 anni che ha già subito due lutti, avevano tutti paura che non mi sarei sentita a mio agio, erano tutti preoccupati di non riuscire a farmi superare il dolore, io ero la sola ad aver paura di restare lì per sempre.
Nessuno mi voleva.
                                                                              Fine Flashback
 
Erano le otto di mattina ed io mi stavo allacciando i pantaloni, mentre riflettevo che a quest’ora tutti nell’orfanotrofio avrebbero capito che ero scappata, anche se la cosa non sarebbe dispiaciuta a nessuno.
Non ero pentita di quello che avevo fatto, non lo ero mai, ero stata insieme ad un ragazzo di cui non mi importava niente, e sicuramente neanche a lui importava niente di me, ma almeno sapevo che durante la notte io occupavo i suoi pensieri e tutto ciò che faceva lo stava facendo per me.
Lo so che era un pensiero da malata di mente, depressa, maniaca e pervertita, ma ero convinta che così nessuno avrebbe sofferto.
Spostai il mio sguardo su di lui, era bello anche quando dormiva.
Teneva un braccio dietro alla testa dai ricci spettinati e la coperta gli copriva metà del petto, era perfetto.
Ma che mi saltava in mente? Non potevo veramente pensare quelle cose di lui, non avrei mai accettato che lui mi potesse davvero piacere.
Stavo per infilarmi la maglietta, che di maglia aveva ben poco per quanto era scollata, quando mi sentii cingere i fianchi dalle sue braccia.
< Di solito sono io a lasciare le ragazze nel letto >.
< Sarebbe stato difficile questa volta, dato che questa è casa tua > risposi gelida. Non volevo che pensasse che provavo qualcosa per lui, o forse non volevo essere io a pensarlo.
< Non capisco perché sei così stronza adesso, mi sembrava che ieri notte ti piacesse abbastanza > disse, guardando maliziosamente verso il letto sfatto.
< Sei stato uno dei tanti e non mi capisci perché non mi conosci >.
Mi diressi vero le scale – ma come diavolo facevo a ricordami dov’erano?- , aprii la porta e mi incamminai verso la mia prigione.
Era la seconda volta che nel giro di pochi giorni lasciavo quel ragazzo senza il tempo di replicare.
Se ne sarebbe fatto una ragione.
 
 
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ANGOLO DELL'AUTRICE

Nonostante nessuno abbia lasciato una recensione nel primo capitolo, ho pubblicato anche il secondo.
Vedete di muovere il culo e recensire questa storia....se vi fa schifo siete libere di dirlo.
Comunque....BUONA PASQUA A TUTTE VOI DIRECTIONERS :)
EmmeSmile :)
 
 
 

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Capitolo 3
*** Il peggio deve ancora venire ***


Chapter 3

Il peggio deve ancora venire.
 

Quel giorno non darei andata a scuola perché la direttrice mi aveva detto che voleva vedermi per “parlare”.
Ragazze, se qualcuno vi dice che vi deve parlare tremate, perché significa che l’avete fatta grossa.
Il suo ufficio è immenso, con due grandi vetrate che illuminano tutta la stanza e un’imponente libreria di legno scuro stracolma di libri, che dubito abbia letto, che occupa tutta una parete.
La sua figura autoritaria troneggiava nella stanza.
Portava un tailleur scuro, i suoi capelli biondi erano raccolti in uno chignon tiratissimo e i suoi occhi glaciali mi stavano squadrando.
Io ero talmente assonnata che non mi ero neanche cambiata i vestiti, per cui mi presentai da lei con quelli della sera prima, scelta non proprio azzeccatissima da parte mia, e mi misi a sedere sulla poltrona di pelle senza il suo permesso, cosa che la irritò notevolmente.
Ma che siamo nel ‘600 che devo chiedere il permesso per sedermi?
< Signorina Milena – ero l’unica che veniva chiamata per nome dato che non si sapeva chi fossero i miei genitori- è stata da poco accolta in questo orfanotrofio e…
< Arrivi al punto >, odiavo sentirmi raccontare la mia storia da quell’arpia, se mi voleva cacciare che me lo dicesse subito.
< Il punto è che ieri sera, oltre a non essersi presentata a cena, è uscita dopo il coprifuoco per andare…ma dov’è andata vestita in questo modo? >
< Lo vuole davvero sapere? > replicai con una faccia da cazzo che levati.
< Sì, lo voglio davvero sapere >.
Presi un bel respiro per rendere tutto un po’ più teatrale e risposi: < A scopare >, mantenendo un’espressione seria.
Si incazzò talmente tanto che gli occhi le stavano per uscire dalle orbite e le vene le si stavano gonfiando, sarebbe esplosa di lì a poco.
< Non tollero un linguaggio del genere nel mio ufficio – sembrava un drago sul punto di sputare fuoco con quelle sue narici allargate- sono stata chiara? >
< Limpida direi. Che faccio esco? >
< Ora se ne va in camera sua e non esce da lì per tutto il giorno >.
< E questa lei la chiama punizione?
- ripetei sarcastica- comunque, se è quello che vuole, agli ordini signor capitano! > e terminai alzandomi in piedi e facendo il saluto militare.
Ma fottiti.
Salii velocemente nella mia camera, quando vidi la figura di un ragazzo affacciata alla finestra.
E questo chi è?
Mi misi a sedere sul mio letto con la stessa grazia con cui di solito si getta un sacco di patate per terra.
Tenevo gli occhi chiusi. Bruciavano quando erano aperti. La porta sbattè. Sarà stato il vento, pensai, ma non c’era corrente.
Spalancai gli occhi e mi persi in quelli di lui, limpidi e azzurri da poterci affogare.
Lui si tirò su e incominciò a camminare con nonchalance per la stanza. Il silenzio che si era creato era fastidioso, così iniziai a parlare.
< Chi sei? >
Lui non rispondeva, sembrava non avesse sentito, così riprovai.
< Chi sei? > sta volta con un tono di voce più alto.
< Non ha importanza il mio nome, piccola >
Piccola? Quell’essere aveva osato chiamarmi piccola? Presi un bel respiro, come se dovessi mettere la testa sott’acqua e restarci per mezz’ora.
< E allora cos’ha importanza? >
< Quello che potremmo essere >
e sorrise.
Forse quando diceva così le ragazze gli saltavano addosso, ma a me era solo venuta voglia di spaccargli quel bel musino contro lo stipite della porta.
< Io una possibile assassina e tu un possibile cadavere > sorrisi anch’io, ma fintamente (?).
< Davvero non sai chi sono, piccola? >
Ancora? Ancora piccola? Ora sclero.
< Senti biondino, piccola ci chiamerai una delle troiette con cui vai a letto, stai attento a come mi rivolgi la parola sennò ti ritrovi a mangiare con la cannuccia >.
Cambiò espressione, diventò serio.  Forse il mio discorso ispirato aveva fatto effetto.
< Tu devi stare attenta a come mi rivolgi la parola –fece una pausa teatrale. Ma non lo sa che sono io la regina delle pause teatrali?- perché io sono il figlio della direttrice >.
Con quel sorrisetto soddisfatto stampato sulla faccia mi stava davvero facendo diventare una persona violenta.
Toc toc.
L’arpia barra madre del ragazzo per cui sarei stata arrestata per omicidio barra gran figo, era appena entrata nella mia camera, che non era mai stata tanto affollata.
< Vedo che hai conosciuto mio figlio –il suo sguardo era passato da “profondo disgusto” quando aveva guardato me, ad “assoluta estasi” quando si era rivolta verso il pargolo- potete venire nel mio ufficio >.
Che gran botta di culo! Due volte nello stesso giorno nell’ufficio della direttrice e per di più in compagnia del suo braccio destro.
< E’ già la seconda volta oggi, mi darete un premio? >
Arpia fece finta di niente, mentre l’altro mi si avvicinò e mi sussurrò all’orecchio : < Mi sono accorto solo ora di non essermi ancora presentato. Sono Niall, Niall Horan > e mi tese la mano, che io ignorai.
< E tranne la presentazione, non ha i nulla in comune con James Bond >.
Avete presente quando vi trovate in una situazione assurda e pensate che non potrebbe andare peggio? Era esattamente quello che pensavo anch’io, che dopo una mattinata passata nell’ufficio della direttrice e la conoscenza del figlio, per me, almeno per oggi, sarebbe finita. Invece no. Si vede che qualcuno, fatemi solo scoprire chi, ha pensato che per me non fosse abbastanza. Come potrebbe andare peggio? Semplice. Scoprendo che quel dente devitalizzato mi doveva seguire nei compiti, che tutto erano tranne che sufficienti, e questo significava doverlo sopportare ogni sacrosanto pomeriggio mentre mi scervellavo per capire quella materia assurda che è la matematica o mentre cercavo di farmi entrare nella zucca quelle maledettissime date di storia.
Che Dio mi assista.

 


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ANGOLO DELL'AUTRICE

Sto aspettando come una bambino il giorno di Pasqua il suo ovetto queste benedette recensioni.
Penso che non continuerò questa FF dato che non ha alcun successo.
A voi provare a farmi cambiare idea

 
 
 
 
 

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