La città vecchia

di CricetoBilly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Barbara ***
Capitolo 2: *** Barbara (Via del Campo) - Parte seconda ***



Capitolo 1
*** Barbara ***


barbara

Barbara


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Via del Campo, una stradina stretta e tortuosa nel cuore di Genova, appartiene a quella rete di vicoli dove mai e poi mai puoi incontrare la Gente.


Con Gente mi riferisco agli altolocati, agli aristocratici, e a tutti coloro che storcono il naso e voltano la vista quando uno straccione pulcioso qualunque gli passa accanto.

Loro ignorano e vanno oltre, guidano le loro autovetture e la mattina, appena svegli, fanno colazione sfogliando un quotidiano con gli amici.

A loro il pane non manca mai, hanno domestiche in divisa che svolgono ogni sorta di servizio, mentre le loro mogli, bellissime dame ricoperte d’oro e di vestiti all’ultima moda, li accompagnano per le strade, nei teatri e nei più suntuosi ristoranti con quel sorriso meraviglioso e perenne stampato sul volto.

E perché mai dovrebbero confondersi con noi, la Gentaglia?

Quelli che tirano avanti giorno per giorno, che mangiano pane duro e raccolgono le molliche sotto il tavolo, quelli che dormono il più stretti possibile, non per affetto, né per amore, ma per il freddo che ogni notte entra nelle ossa e fa tremare i cuori.

Ogni figlio che arriva porta nuove braccia per lavorare, e se la povertà cresce oltre, diviene anch’esso una maledizione.

E questa è la Gentaglia, vestita di stracci e miseria, che si sente a suo agio solo dove il sole non batte, dove l’aria è spessa e carica d’odori.

Ed io ne faccio parte, con i miei sedici anni e gli occhi già troppo stanchi, di una vita ricca di dolore, perdita e povertà.

Provengo da una famiglia umile e quel poco che resta di essa siamo mia madre e me.

Viviamo alla giornata, tirando avanti con poco di quello che riesco a racimolare, il resto serve per le medicine. Mia madre si ammalò poco dopo la morte di mio padre, ha bisogno di cure e di affetto, eppure nemmeno quelli riescono a bloccare o arrestare l’avanzare della malattia.

Così a dodici anni ho dovuto porre fine all’età dei giochi, dove è permesso  perfino sognare.

Ho abbandonato Nancy, la mia bambola di pezza e ho smesso di andare a scuola.

Sulle mie spalle da bambina, da allora, grava la responsabilità della mia famiglia.

Prima della morte di mio padre non ho mai conosciuto cosa realmente fosse la miseria, non abbiamo mai navigato nell’oro  -certo- eppure lui spezzandosi la vecchia schiena da muratore ci ha sempre garantito un tetto sopra la testa, il pane in tavola e nelle giornate di festa un po’ di manzo di seconda scelta con un po’ di vino annacquato. Mi sono sempre vestita degli stracci usati di mia sorella, ogni buco ed ogni macchia sono segni indelebili degli anni trascorsi. A dieci anni ricevetti da Emilia, mia sorella più grande, una camicetta blu. Qualche giorno dopo si sposò e da allora la vidi sempre più raramente, quando ci veniva a trovare, fra un turno e l’altro in lavanderia. Mi raccontò con un certo rossore sulle guance che quella stessa camicetta blu fu testimone del suo primo bacio, dato al figlio della lavandaia che dopo pochi anni chiese la sua mano a nostro padre.

Ricordo la mia invidia, lei felice e innamorata aveva coronato il suo sogno d’amore, e sposandosi con l’uomo che amava si era conquistata la libertà, lasciandosi dietro quella casa piccola e ammuffita.

Quanto mi sbagliavo.

Ma come biasimarmi, ero solo una bimba ignara del mondo fuori quelle quattro mura che mi avevano visto nascere e crescere.

Cosa ne sapevo degli stenti e delle fatiche necessari a tirare avanti una famiglia?Dei debiti, del lavoro, della miseria?

Neanche per Emilia è una vita facile, passa le ore fra il lavoro e le cure domestiche, passava a trovarci ogni fine mese per contribuire, con quel poco che riusciva a mettere da parte per se stessa, alle cure mediche per la mamma. Ma si tratta ormai di qualche anno fa.

Iniziò pian piano a stancarsi della situazione, insistette per rinchiudere nostra madre in un centro anziani statale credendo che ciò avrebbe reso migliori le vite di tutte e tre.

Ma io non volevo, ho sempre saputo che dietro quella facciata da donna vissuta, appassita, stanca e apatica, c’era ancora quella dolce e meravigliosa creatura che mi aveva sempre donato tutto l’amore di cui era capace.

Sapevo anche cosa si dice di quei centri, dove gli anziani vivono affollati e abbandonati, dove vengono fatti morire di fame, umiliati e derisi. Conosco persone rinchiuse la dentro e morte dopo pochi mesi.

Forse ciò che sento dire di questi luoghi sono sciocche dicerie, forse quelle persone erano ormai senza speranza, eppure ho considero il dubbio e ho tenuto mia madre stretta.

Con quale cuore avrei potuto abbandonarla?

Emilia e suo marito, Piero, minacciarono di non aiutarci più e dopo qualche tempo ci abbandonarono a noi stesse. Ma come biasimarli?

Fra il bambino che stava per nascere e i debiti per mettere su casa erano con l’acqua al collo, e di conseguenza io e mia madre eravamo l’ultimo dei loro pensieri.

Avevo solo quattordici anni e più nessun appoggio esterno al nostro piccolo dramma familiare.

Ho dovuto rimboccarmi le maniche, ma nessun lavoretto poteva permettermi di sostenere me e mia madre, né potevo affaccendarmi tutto il giorno lasciandola sola.

Così ho seppellito la bambina casta, pura e piena di sogni in un angolino remoto del mio essere, e ho fatto l’unica cosa che mi avrebbe consentito di tirare avanti nella mia situazione.

Non ho scelto chi diventare, ma ho dovuto esserlo per colpa di un destino ingiusto e crudele.

Avrei iniziato a vergognarmi di me stessa, ad abbassare gli occhi di fronte a qualsiasi altro pezzente incontrato per strada e disonorato il mio nome.

E cosa peggiore, non avrei mai conosciuto il vero amore, chi avrebbe perso più del tempo dovuto con una donnaccia? Non avrei, forse, mai conosciuto quel nobile sentimento puro e sincero di cui mia sorella mi aveva tanto parlato.

Dovetti così vendere il mio corpo, divenire poco più di un oggetto.

Ma cos’altro potevo fare?

 

 

 

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Capitolo 2
*** Barbara (Via del Campo) - Parte seconda ***


CricetoBilly
Scusate l'esposizione del testo, il fatto è che ho appena iniziato a fare pratica con Nvu e non riesco a dare una forma adeguata al capitolo -.-".
Non si tratta di una poesia, bensì di una storia che ho inventato intorno ai personaggi di De Andrè.
Ovviamente, come avete potuto notare già dal primo capitolo, ho dovuto seguire la traccia delle canzoni, quindi sono consapevole che il mio scritto possa apparire come una rielaborazione di esse.
In realtà ho cercato di descrivere questi personaggi immedesimandomi in loro, e descrivendo, cioè, quello che ho immaginato in proposito.
Penso che dedicherò pochi capitoli ad ogni personaggio, anche se non so ancora se intrecciare le loro vite, facendo rispuntare di tanto in tanto quanlche personaggio precedente!
Vi auguro buona lettura, grazie per dedicarci un po' del vostro tempo!



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Pregai mia sorella per prendersi nostra madre in casa, con la promessa di portarle ogni fine del mese abbastanza soldi per il vitto e le cure mediche.

Così, per la prima volta nella mia vita, rimasi sola.

Ricordo che quella sera, entrando in casa, non accesi neppure la luce.

Mi buttai sul letto e cercai sotto il cuscino la mia piccola Nancy, iniziai ad accarezzarle i lunghi capelli di lana e a donarle dolci carezze sul visino di pezza. Non so perché, ma nulla riusciva a tranquillizzarmi più di quei semplici gesti. Nancy era parte della mia infanzia, lei c’era da sempre, ed era la mia unica grande amica.

Quella sera mi addormentai con la mia piccola fra le braccia e la paura per la piega che la mia vita aveva inaspettatamente preso. Cosa mi aspettava?Cosa avrei dovuto fare?Non ne sapevo un granché.

La mia era un’età dove nelle ore libere della giornata si concede alla mente di fantasticare sui pettegolezzi, i vestiti nuovi, o al massimo qualche bacio rubato a qualche passante.

Il destino che l’indomani mi avrebbe atteso fuori la porta non prevedeva nulla di tutto ciò, ma un mondo ignoto, sconosciuto in ogni suo angolo e vicolo.

Mi svegliai di buon ora, mi concessi un bel bagno caldo e scelsi con cura i vestiti.

Indossai il miglior capo che possedevo e mi truccai, per la prima volta, come soleva fare mia madre prima che la Morte portò via mio padre.

Iniziai a frequentare le “cattive compagnie” della zona, a scherzare con gli sguardi divertiti dei vecchi ubriaconi e scoprii in me un talento innato: quello di poter sedurre con un solo sguardo, un solo sorriso o qualche  bella parola chiunque.

Alleata fondamentale la mia bellezza, l’unica cosa di valore che possedevo.

Un viso a forma di cuore, due enormi occhi verdi e la pelle diafana e liscia non restavano mai indifferenti ai bei passanti, attratti dalle forme morbide e attraenti del mio fisico di giovane donna.

Ricordo ancora il mio primo cliente, Lui pagò più di chiunque altro, e lo fece liberamente, perché aveva letto la paura e l’incertezza dei miei occhi, e aveva intuito la purezza del mio animo.

Non fu  insensibile, ma con lui capii come funzionava davvero il mondo.

Lui per primo, e tanti altri dopo, mi adorarono indiscutibilmente, ma dopo aver ottenuto con i soldi quello che volevano, fuggivano soddisfatti. Alcuni tornarono, altri non li vidi più.

La mia prima volta, su cui non avevo mai fantasticato più di tanto, avvenne in modo alquanto scontato;

Sul vecchio letto dei miei, fra quelle lenzuola consumate dal tempo, Lui, il primo cliente, mi prese dolcemente.

Era sicuramente vicino alla quarantina, quella fede dorata al dito mi disse tutto di lui.

Una storia, la sua, tanto comune fra gli uomini della città vecchia, quanto facile da indovinare: sposato, un lavoro stressante, una moglie inacidita dall’età che gli struggeva i nervi con lamenti e richieste, figli forse e sicuramente qualche debito.

Era venuto al calar delle tenebre e prendendomi per mano cercò un dolce rifugio dalle amarezze della vita. Ed io lo accolsi, calandomi nel ruolo di angelo guaritore.

Sarebbe rimasto quel tanto che bastava e poi se ne sarebbe andato, lasciando che il sole cancellasse i suoi peccati e pregando Dio di capirlo.

 Non sapevo cosa fare, e cosa più importante non potevo permettermi il lusso di deluderlo.

Il lavoro, questo, non lo concedeva.

Così costrinsi il mio corpo a seguire il ritmo del mio compagno, a intrecciare le braccia intorno al suo torace e ad accarezzarlo amorevolmente. Non fu doloroso, ne mi sentii avvilita come avevo immaginato, era tutto perfetto. Era diverso da ciò che mi aspettavo, tutto consisteva in una dolce danza al ritmo dei nostri cuori finalmente non più soli.

Lo amai perdutamente, deliziandolo delle più dolci e accurate carezze, regalandogli scie di baci in tutto il corpo.

E lui apprezzò di gran lunga, tornando ogni qual volta poteva permetterselo.

E, come lui, tanti altri tornavano a tenermi compagnia, ed io regalavo loro un angolo di paradiso, donando ad ognuno le stesse amorevoli attenzioni.

Avevo il dono di curare i loro animi perduti, e non m’importava dei nasi storti o delle orecchie a sventola, quelli erano solo futili dettagli.

Guardavo ognuno di loro negli occhi e leggevo in essi le paure e i dolori di una vita, e guarivo con la passione e l’amore i loro cuori amareggiati.

Divenni bocca di Rosa, così mi chiamavano.

Nessuno osò mai darmi della prostituta, della donnaccia, no.

Io curavo le loro anime, riscaldando anche se per poco, i loro e il mio stesso cuore.

Così, notte dopo notte, fra le loro braccia imparai l’arte del fare l’amore, ritrovando, in quella città scura e fino a poco tempo prima a me ignota, il paradiso.

E fu questa mia passione che mi portò ben presto a considerare né come professione, né come passatempo quello che facevo, ma come puro e travolgente sentimento.

Da allora aspetto ogni singola notte sulla soglia del portone, fino a quando qualche anima bisognosa si ferma e mi prende per mano. Non m’importa chi sia, è un malato da curare, come chiunque altro, così lo guardo con un sorriso e lo accompagno su per le scale nel mio appartamento.

Lo amo, amo tutti.

O forse non ho mai amato nessuno, ma in fondo..Che differenza fa?

L’amore viene puntualmente di notte, bussa con ardore alla mia porta ed io lo accolgo per un po’ di denaro, poi allo stesso modo se ne va, silenzioso e splendido come sempre.

Inutile dire che in poco tempo mi sono fatta un nome e un bel gruzzoletto.

Sono sulla bocca di tutti, gli uomini mi adorano, le donne mi disprezzano.

E che posso farci?Le capisco, e un po’ perfino mi dispiace per quello che Loro son diventate.

Conducono la vita che sognavo da bambina, ma che ringrazio Dio di non aver intrapreso.

Dopotutto cosa potrei desiderare più della mia amata libertà?Niente preoccupazioni, niente fatica in fabbrica, nessun marito a decidere per me né bambini da accudire e sfamare giorno dopo giorno.

Se per i maschi sono una Graziosa, per le femmine sono solo una schifosa e spudorata mangiatrice di uomini.

Eppure non le ho mai biasimate, loro non possono comprendere.

Non perdono tempo a farlo, preferiscono giudicare e disprezzare, perché odiare è perfino più semplice che amare.

Emilia non mi ha accettato più in casa sua, i soldi per nostra madre li lascio dentro una busta nella cassetta della posta. Quelli, a differenza mia, non li rifiuta mai.

Secondo la mia famiglia mi sono prestata all’antico e ripugnante mestiere,

ho infangato il buon nome di mio padre, ma anche loro non hanno mai capito la realtà dei fatti.

Non sono diventata un oggetto come temevo, anzi..La sorte mi ha portato ad essere quello per cui sono nata, una Dea che asseconda le voglie di ogni uomo, curandone il cuore afflitto e la mente carica di ingombranti quanto futili pensieri.

Dono e ricevo amore, non c’è nulla di sporco e ignobile in quello che faccio.

E inoltre ciò mi permette di vivere in una certa agiatezza, a poco a poco infatti ho reso deliziose queste quattro mura, come vedi mio caro Amico, profumo di rose e la pulizia domina ovunque.

Non vivo più fra la polvere e la muffa, vesto gli stessi abiti sontuosi delle nobili dame e or anche io sono cliente fissa del grande panificio in piazza.

Nel giro di pochi anni sono diventata la Signora della città vecchia, nessuna viene pagata quanto me, nessuna riesce in quello di cui solo io sono capace.

E’ il mio mondo, la mia necessità primaria.

Capire, aiutare e perfino guarire la mente di chi si affida a me.

Per nulla al mondo abbandonerei queste vesti, semplicemente perché mi appagano in modo così profondo e reale da farmi sentire me stessa.

I clienti sono diventati sempre più eleganti e raffinati, mi coprono di regali, e parlano con me senza vergogna confidandomi i crucci di una vita. Casa mia è l’emblema della serenità, dove lasciare fuori per qualche ora le preoccupazioni e i cattivi pensieri.

E’ per questo che non voglio liberarmi della vita che ho scelto, caro Fabrizio.

Questa è la mia storia, capisci dunque perché non posso maritare Michele?

So perché sei venuto, tu sei diverso da chiunque altro, tu sei un Poeta.

Non giudichi, piuttosto osservi, ma resti in silenzio.

Adesso sai perché rifiuto in tutti i modi il tuo caro amico, perché non oso rivolgergli nemmeno uno sguardo.

Se lo facessi, cederei. Lui è così nobile d’animo, dovresti sapere quanta bontà vedo nei suoi occhi, forse perfino paragonabile alla sua bellezza.

E’ stata una dannazione averlo incontrato, una tentazione a cui difficilmente mi sottraggo.

L’amore che m’illudevo d’aver conosciuto in tutti questi anni risiede in lui, ma non posso accettarlo.

Cosa ne sarebbe della mia libertà?Spiacente, ma preferisco pettinare ogni sera i capelli di Nancy e continuare a giocare con gli occhi ed il cuore di chi forse mi odia, ma presto o tardi mi perdona sempre.

Quindi caro Fabrizio non dire nulla, perché niente potrebbe farmi cambiare idea >>.

 

Spegne la sua sigaretta nel posacenere e continua a scrutarmi, poi abbassa lo sguardo e inizia a parlare con la sua voce dolce e profonda.

<< Mia cara Barbara, io vedo diamanti dove gli altri scorgono il letame, e tu non fai eccezione >>.

Si alza stirandosi il cappotto con le mani macchiate d’inchiostro e si accende un’altra sigaretta.

<< Sei speciale, Barbara, e ti ringrazio >>Continua con un mezzo sorriso << Oggi la tua storia è stata spunto per la mia creatività, perché mi hai colpito come pochi finora >>.

Rimango seduta a sorseggiare la mia tazza di the, mentre una lacrima silenziosa mi solca una guancia, nessuno mi ha mai capito quanto questo strano, forsepazzo ragazzo appena conosciuto.

Mi asciuga il viso con una dolce carezza, mi regala un altro sorriso e se ne va.

 

Pochi giorni dopo trovai una busta di carta pregiata nella cassetta della posta, sapevo già chi era il mittente ma non potevo sapere cosa v’era scritto, nero su bianco, indelebile.

Mi sdraiai sul letto, accesi una sigaretta e distesi il foglio per leggerne il contenuto.

Ad ogni frase una boccata di fumo ed una lacrima.

E mentre lentamente scorrevo quella meravigliosa poesia ne imprigionavo le parole in fondo al mio cuore.

Parole che mai dimenticai.

 

Image and video hosting by TinyPic Via Del Campo (Fabrizio De andrè)

Via del Campo c'è una graziosa
gli occhi grandi color di foglia
tutta notte sta sulla soglia
vende a tutti la stessa rosa.

Via del Campo c'è una bambina
con le labbra color rugiada
gli occhi grigi come la strada
nascon fiori dove cammina.

Via del Campo c'è una puttana
gli occhi grandi color di foglia
se di amarla ti vien la voglia
basta prenderla per la mano

e ti sembra di andar lontano
lei ti guarda con un sorriso
non credevi che il paradiso
fosse solo lì al primo piano.

Via del Campo ci va un illuso
a pregarla di maritare
a vederla salir le scale
fino a quando il balcone ha chiuso.

Ama e ridi se amor risponde
piangi forte se non ti sente
dai diamanti non nasce niente
dal letame nascono i fior
dai diamanti non nasce niente
dal letame nascono i fior.


 

 

 

 

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