From London, With Love

di Lo_1506
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Another World ***
Capitolo 2: *** I Wish ***
Capitolo 3: *** Same Mistakes ***
Capitolo 4: *** More Than This ***
Capitolo 5: *** I Want ***
Capitolo 6: *** Stand Up ***
Capitolo 7: *** Taken ***
Capitolo 8: *** Should Kiss You ***
Capitolo 9: *** Everything About You ***
Capitolo 10: *** Stole My Heart ***
Capitolo 11: *** Na Na Na ***
Capitolo 12: *** Up All Night ***
Capitolo 13: *** Save You Tonight ***
Capitolo 14: *** Gotta Be You ***
Capitolo 15: *** Moments ***
Capitolo 16: *** One Thing ***
Capitolo 17: *** Tell Me A Lie ***



Capitolo 1
*** Another World ***


1) ANOTHER WORLD
-Muoviti!-
Un tonfo e mi ritrovai in terra, accanto al letto. Come al solito un pessimo risveglio. Erano le 7 e 20, ero in ritardo, dovevo andare a scuola. La solita snervante abitudine monotona. Mi misi velocemente i miei jeans stretti, le mie nike e la prima felpa trovata nell'armadio; corsi in bagno mi pettinai i capelli castano chiaro che alla luce del sole mattutino sembravano biondi, maledicendoli per la loro lunghezza e forma indefinita. Mi misi un sottile filo di matita nera e mascara che si intonava bene con i miei occhi anch'essi castano chiaro. Arrivai in cucina correndo, strappai un bacio a mia mamma mentre con una mano rubavo una fetta biscottata con la marmellata. Presi la cartella e mi incamminai verso scuola. Ci volevano circa 10 min, così presi il mio i pod e mi misi ad ascoltare la musica. Mi rilassava, mi faceva entrare in un altro mondo, un mondo tutto mio dove io decidevo come andavano le cose. Diciamo un mondo perfetto.
Quei minuti passarono velocemente ed entrai in classe: alle prime due ore avevo inglese. Io amavo inglese, forse grazie ai miei nonni materni, i quali vivevano a Londra e che fin da piccola mi avevano insegnato le parole chiave di quella lingua. (Furono loro a consigliare il mio nome, Chelsea, a mia madre).
Miss Smith era l'unica professoressa con la quale avevo un ottimo rapporto, l'unica con cui avevo 9 in pagella e l'unica che ancora, in 3 anni di scuola, non mi aveva mai buttata fuori di classe. Era la sola "amica" che avevo lì dentro; addirittura lei mi chiamava la mia "inglesina"dato che molto spesso parlavo più in inglese che in italiano. l'inglese posso considerarlo come mia seconda lingua.
Come al solito, dopo l'ora di inglese, maledicevo la scuola, i professori, gli alunni. infatti se non ci fosse stata quella materia non ci sarei mai andata, non mi trovavo affatto bene, nessuno mi voleva come amica forse per il mio comportamento o forse per la mia nascosta timidezza. Le due ore seguenti infatti le passai interamente fuori dalla classe. Fortunatamente la quarta ora finì e tornai a casa.
All'uscio mi aspettava mia madre la quale, con un'espressione mista di rabbia, delusione e preoccupazione, mi osservava. Non ci feci caso e mi avviai verso la cucina.
"Mi ha chiamato il preside" mi disse subito. " E' preoccupato.. siamo tutti preoccupati per il tuo andamento scolastico, Chelsea".
Mi sedetti a tavola e addentai un pezzo di pane con un'aria forse troppo strafottente e superiore, che infastidì mia madre. "Non sto scherzando Key.. se continui così ti bocciano. E non posso permetterti di bocciare" aggiunse. "TE non puoi permettertelo, io posso eccome, non mi fa nè caldo nè freddo". Ovviamente si arrabbiò e ne seguì una discussione infinita, dopo di che me ne andai in giardino. Dalla finestra riuscivo ad intravedere mia madre che urlava al telefono sicuramente con la nonna.
Odiavo discutere, soprattutto con mia madre. Mi faceva sempre sentire in colpa, in un modo o nell'altro, anche se forse non facevo mai niente per rimediare. Mentre ero assorta nei miei pensieri, lei mi si avvicinò "Key, io lo dico per il tuo bene..lo sai vero?" Mi disse. Io abbozzai un cenno con la testa e lei continuò "Ho parlato con la nonna.. lei mi ha detto che se vuoi, puoi andare a stare da loro. C'è un college lì piu' alla "tua portata", sono sicura che ti troverai bene". Continuammo a parlare e a valutare la situzione. In effetti avevo bisogno di cambiare aria e sapevo che un'occasione del genere non mi sarebbe capitata un'altra volta. Dopo averci pensato attentamente, accettai.
L'idea di lasciare per un anno questo inutile paesino mi eccitava ma allo stesso tempo mi terrorizzava. Provavo un po' di timore per questa "Londra" mai vista prima (se non per qualche weekend), provavo nostalgia al sol pensiero di lasciare la mia famiglia per così tanto tempo. Ma io per prima capivo che stavo sprecando la mia adolescenza in quanto vivevo in una realtà non mi apparteneva.
Passai la notte insonne, sommersa da incubi e/o aspettative straordinarie di questa mia ipotetica "futura-vita". Il mattino seguente, una domenica, iniziai a preparare le valige con tutto l'occorrente necessario per il viaggio. Non avevo piu' dubbi: Stavo finalmente per abbandonare quella odiosissima monotonia fiorentina.
Le settimane passarono velocemente e il fatidico giorno della mia partenza arrivò. Mia mamma mi accompagnò all'areoporto e velocemente mi misi in coda per fare il controllo dei documenti. "Mi raccomando, voglio tue notizie SEMPRE anche per qualsiasi stupidaggine.." mia madre iniziò il suo soliloquio infinito. Io annuii in continuazione e alla fine, improvvisamente iniziammo a piangere. Io amavo le sfide e le novità, ma lasciare la mamma era sempre doloroso, nonostante tutto.
In aereo avevo il posto vicino al finestrino e stetti tutto il viaggio a osservare fuori e a pensare al mio futuro. Dopo 2 ore circa di viaggio arrivai in questa bellissima città, chiamata Londra. All'areoporto c'erano i miei nonni Kate e George, i quali mi accolsero con rumorose risate ed enormi abbracci. Mi accompagnarono a casa, una delle classiche villette inglesi, nella quale vivevano insieme ai loro 3 cani che mi assalirono non appena arrivai.
Dopo aver sistemato le mie cose, decisi di andare a visitare il mio futuro "college", per controllare da subito se era come si vedeva nei film: ragazzi in divisa, gruppi scolastici, cheerleaders..ecc..
La scuola dall'esterno era bellissima: grande, imponente, pulita. Non c'erano le numerosissime scritte o "murales" che sporcavano tutta quella magnificenza, non c'erano nemmeno stupidi cartelloni pubblicitari strappati o scarabocchiati.
Ed ecco gli studenti. Tutti rigorosamente in divisa. Devo dire che la cosa che non mi piaceva molto, ma dato che era obbligatoria, mi sono dovuta adeguare anche io. Mentre ero immersa in questi pensieri mi accorsi di essere osservata. Evidentemente in molti si erano accorti che io ero "la ragazza nuova" per il semplice fatto che mi fermavo ad osservare tutto ed ero alquanto spaesata.
-Tu devi essere la ragazza italiana- Mi svegliò dal mio "sogno" una ragazza. -Si.- risposi io abbassando la testa dalla vergogna. Era alta, mora con gli occhi scuri e profondi. "Piacere, Madison" mi disse. Sembrava amichevole e, anche se io ero tendenzialmente chiusa e riservata, decisi di ricambiare il favore e presentarmi "Chelsea", aggiunsi.
"Non ti preoccupare, non sarai la ragazza nuova per sempre".. si riferiva a tutti gli sguardi indiscreti degli altri ragazzi che mi fissavano incuriositi. "Fanno sempre così all'inizio. Vieni, ti mostro il tuo armadietto".
Detto ciò ci avviammo verso una sfilza d armadietti infiniti ed uniformi ai quali c'erano appesi volantini con foto di studenti fra i quali anche le foto di Madison; si trattava probabilmente di ipotetici rappresentanti d'istituto. "Si, le ho vinte io quest'anno le elezioni.. so tutto di questa scuola, anche quale sia il tuo armadietto" Mi rispose sorridendo la nuova ragazza. Continuammo a parlare, mentre improvvisamente, ci scambiammo con un gruppo di ragazzi. Dovevano essere i piu' "ambiti o desiderati" del college in quanto tutti, maschi o femmine, li fissavano immobili.
Mentre Madison continuava a parlare, incrociai gli occhi verdi di uno di quei ragazzi. Era strano quello sguardo, quasi ammaliante. Per un secondo rimasi pietrificata dal suo sorriso, fino a che non tornai alla realtà, osservando che, accanto a quell'essere apparentemente perfetto, c'era una ragazza esteticamente perfetta; si trattava sicuramente di una "vipera", e lo capii dal modo in cui mi guardava. "Non pensarci nemmeno Chelsea. Harry Styles è fuori portata." Mi rimproverò la mia amica. "Io veramente.." accennai. "Sta con Abbie da due anni ormai..anche se il loro rapporto è un continuo tira-e-molla, lei disintegra chiunque provi solo ad avvicinarsi" continuò Madison. In effetti non volevo problemi in questa nuova scuola e, anche se l'idea di una ipotetica sfida poteva incuriosirmi, decisi di non pensarci e cambiai discorso.

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Capitolo 2
*** I Wish ***


Dopo poco suonò la campanella e Madison mi accompagnò alla prima lezione: chimica, o qualcosa del genere. Mi soffermai un attimo ad osservare i miei "compagni di corso".
-In prima fila ci sono Frederich e Paul, utilissimi per compiti ed interrogazioni in quanto sono sempre preparati al meglio su tutto. In fondo, accanto alla finestra ci sono le Bratz, o per lo meno così le chiamiamo noi.. Abbie, Barbara e Lauren. Le ragazze piu' gettonate della scuola e invidiate per la loro "innata bellezza"- Madison iniziò a ridere - ovviamente la mia frase era ironica, sono stupide galline inutili- detto ciò mi condusse verso la terza fila, accanto al muro. Notai che paralleli a noi, nella fila centrale, vi erano due dei bellissimi ragazzi incrociati poco tempo prima, nei corridoi.
Cercai di non pensare all'incontro precedente e domandai a Madison chi fossero tutti gli altri ragazzi. " Beh.. non lo so!" mi rispose secca. In quella classe ci saranno state 30 persone, ma la gente si soffermava a guardare i soliti 5 o 6. Gli altri erano enormi punti interrogativi, inutili granelli di sabbia nel deserto.
Quindi anche io sono sempre stata così? Anche io appartenevo all "ignoto"? Anche di me la gente rispondeva "Non lo so" quando le veniva chiesto chi fossi? Ma soprattutto.. la gente si domandava chi fossi io?
Mentre il professore spiegava fui assalita da uno dei miei soliti dubbi esistenziali e Maddy era troppo presa dal prendere appunti per accorgersene. Iniziai a guardare fuori dalla finestra annoiata. Nell'atto di chinarmi sul banco per stare piu' comoda, incorciai con lo sguardo la figura di quel ragazzo di prima; quel certo Harry Styles di cui tutti erano invaghiti. Era appoggiato allo schienale, aveva la testa leggermente china in avanti e fissava il vuoto davanti a se. Sembrava così profondamente assorto nei suoi pensieri che mi venne spontaneo domandarmi quali fossero. E nel mentre cercavo spiegazioni tra me e me mi resi conto di non poter distogliere lo sguardo da lui. C'era qualcosa di paurosamente magnetico in lui, anche se non riuscivo a spiegarmi cosa fosse.
A prima vista sembrava il classico bulletto che faceva lo spavaldo ma osservandolo lì, seduto e silenzioso, mi faceva intuire che fosse un ragazzo dolce e riflessivo. Da cosa lo stessi capendo? Non ne ho idea. Forse era colpa di queli suoi immensi e profondi occhi verdi nei quali stavo annegando. Un attimo. Annegando? Ero così presa da lui e incantata nel guardarlo che non mi ero assolutamente accorta che anche lui mi stava fissando. Mi scrutava o forse mi studiava con sguardo penetrante. Mi trafiggeva volontariamente con la coda dell'occhio; infatti non si era mosso di una virgola, aveva leggermente voltato la testa verso di me e girato le pupille nella mia direzione, senza battere ciglio. O CAZZO!
Scossi la testa come quando ci si sveglia di soprassalto da un sogno bellissimo o dal peggiore degli incubi, sobbalzai e subito ripresi posizione. Matita alla mano. Libro. Lezione. Appunti.
Dovevo dimostrare a Harry Styles che non ero rimasta anche io folgorata da lui.. anche se in realtà era proprio così! Mi stavo forse invaghendo anch'io del bulletto spavaldo del college? Stavo entrando a far parte di quel gregge di punti interrogativi che riempivano la stanza?
Eppure ero sicura che lui mi stesse studiando. Non era semplicemente incantato; mi osservava come io osservavo lui. Oh quanto avrei voluto riguardarlo una sola volta.. era come se fossi inesorabilmente attratta da lui..ma così attratta da esserne quasi dipendente. Dovevo riguardarlo per sopravvivere. Fatto sta che mi voltai nuovamente, di nascosto. Il suo sguardo era sempre fisso su di me; non aveva mosso nemmeno un muscolo.
Mi ripetevo dentro di me, all'infinito.
La campanella suonò e le "bratz" schizzarono fuori dalla classe. Era il mio momento, dovevo andare a parlargli. "Chelsea io vado alla lezione di spagnolo. Ti prendo un posto?" Mi disse Madison. Annuii senza farci caso e temporeggiai un po' per trovare il momento perfetto. Lui era lì che raccoglieva le sue cose mentre salutava il suo compagno di banco. Era il momento adatto! Feci un respirone e mi avvicinai.
-Ciao!- esclamai. Lui mi guardò quasi turbato, mi fece un mezzo sorriso e se ne andò.
ECCOCI. Avevo fatto una figuraccia, ovviamente; e tra un imprecazione e l'altra mi avviai verso il mio armadietto per fare il cambio dei libri.
Arrivai nel corridoio a testa bassa, intenta a schivare la mandria di studenti impazziti che correvano verso le varie aule. Subito notai Harry e la "Bratz" che amoreggiavano appoggiati al muro. Cercai di passare di lì il piu' velocemente possibile ma ovviamente la mia goffaggine prese il sopravvento e solo sentire il loro sguardo pungente su di me mi fece inciampare. Ovviamente ne seguirono milioni di risate ma cercai di non farci tanto caso. Aprii l'armadietto e ci infilai la testa dentro dalla vergogna.
Improvvisamente, dallo specchio vidi che Styles stava litigando con uno del suo gruppo così, dal nulla, quasi senza motivo. Non riuscivo a capire se stessero discutendo o scherzando visto che gli altri componenti del gruppo li guardavano senza intervenire o dire nulla. Quindi decisi di fregarmene e di frugare nel mio armadietto che si trovava a pochi passi da loro.
-La devi smettere hai capito? Non comandi tu!- sentii fra gli schiamazzi.
-Ma stai zitto! Mi fai schifo sei solo un bambino!- ribattè Styles.
Nonostante stessi insistendo con me stessa su NON GIRARMI e continuare a farmi gli affari miei, la mia odiosissima curiosità vinse; così mi voltai e proprio in quel momento vidi una mano che mi veniva incontro. Il ragazzo che stava litigando con Harry mi stava per tirare un pugno. I miei due anni di Kick Boxing servirono a qualcosa; infatti grazie ai miei riflessi riuscii a togliermi di lì anche se non scansai completamente il pugno che mi fece uscire il sangue dal labbro inferiore.
Ed ecco che la mia impulsività, come al solito, prese il controllo. Non feci storie, mi avvicinai a lui e gli resi il pugno tanto forte quanto lui me lo aveva dato.
Solo allora mi resi conto del guaio in cui mi ero appena cacciata. Tutti si fermarono a guardarmi compreso Harry, che era in terra ai miei piedi. In quel momento capii che il pugno non era per me, bensì per lo Styles che astutamente l'aveva schivato lanciandosi in terra. Si trattava di uno stupido e terribile equivoco.
Dopo pochi secondi tutti cominciarono a borbottare qualcosa, fissandomi attoniti. "ma chi è quella " "cosa ha fatto".
Non feci in tempo a scusarmi con il ragazzo che Abbie affermò "Ma quella è un uomo!" e ariecco le risate.
La mia l'avevo fatta; ero riuscita come sempre a rovinare tutto. Madison si avventò contro di me, mi prese per un braccio e mi trascinò nei bagni.
-MA SEI IMPAZZITA? COSA TI è PRESO?- mi rimproverò
Non risposi, in quel momento ero piu' attenta a mascherare lo squarci che invadeva il mio labbro inferiore. Mentre il monologo della mia nuova amica continuava logorroico, senza fine, fu annunciato qualcosa agli altoparlanti:
-Harry, Chelsea e Zayn sono pregati di andare in presidenza-
Me lo aspettavo. Daltronde avevo tirato un pugno ad un ragazzo, anche se non l'avevo fatto apposta. E poi lui mi aveva picchiato senza ragioni!
Non avevo paura anche perchè ero abituata ad andare in presidenza..e poi sapevo di non aver fatto nulla di male.
La cosa che realmente mi infastidiva era rivedere Styles e stargli a meno di un metro di distanza senza poterlo picchiare a sangue. In fondo era colpa sua se avevo reagito in quel modo e se dovevo pagarne ingiustamente le conseguenze.
-Io ti aspetto qui.. stai tranquilla, non hai fatto niente di male, Chelsea- cercò di consolarmi Maddy.
-Chiamami Key- risposi abbozzando un sorriso ed entrai.
Il ragazzo al quale avevo tirato il pugno era seduto sulla sinistra, davanti alla cattedra del preside, con del ghiaccio sul naso. Nel mezzo c'era una sedia vuota (la mia).
Ed ecco Harry Styles sulla destra che, immobile, mi trafiggeva nuovamente con i suoi immensi e severi occhi verdi.

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Capitolo 3
*** Same Mistakes ***


"eh no" pensai.. "stavolta non mi faccio indietro" e ricambiai minacciosa lo sguardo di sfida che mi lanciava Harry Styles. Non mollai la presa. Continuai a fissarlo finchè non mi sedetti ed il preside iniziò a parlare. Ed ecco che cominciò il monologo infinito pieno di enormi paroloni importanti che per me erano vuoti, senza senso.
"Lo sapete che questo è un college o pensate di trovarvi in un ring di Boxe?" ci urlava contro quell'ammasso di lardo. Era veramente rivoltante guardarlo. Il classico uomo borghese, benestante che possiede una villona in periferia, che ha la servitu' e che ogni giorno magari si mangiava anche una ventina di ciambelle. Basso, grasso, baffuto e pelato. E per di piu' strabico.
Abbassai lo sguardo per non sembrare maleducata; la mia espressione disgustata era anche fin troppo palese.
L'ascoltai veramente per poco tempo, anche perchè sono fatta così: do attenzioni solo a cose che mi riguardano o che mi interessano e, sinceramente, quel discorso era tutt'altro che interessante.
Così il preside cominciò a chiedere le varie versioni dei fatti ad ognuno di noi;
Iniziò Harry il quale, fulminandomi con lo sguardo, iniziò a raccontare una menzogna dietro l'altra. Evidentemente si erano messi d'accordo per incolpare me, scagionandosi con delle banali scuse.
"Ha fatto tutto lei. Perchè io le ho dato un due di picche in classe si è avventata prima contro di me e poi contro Zayn.. d'altra parte cosa possiamo aspettarci da un'italiana" aggiunse infine, sorretto Zayn che annuiva silenzioso. Sbarrai gli occhi e mi voltai lentamente verso di lui. Avrei voluto ucciderlo con le mie stesse mani, cavandogli quegli enormi occhi magnetici. Purtroppo l'assassinio era riconosciuto come un crimine punibile con l'ergastolo, ergo non potei fare altro che fissarlo, senza battere ciglia. Lui si accorse che io lo stavo guardando e per un attimo si girò verso di me. La sua espressione cambiò radicalmente quando incrociò i miei occhi. Finalmente ero riuscita a farmi valere. Questa volta era il mio sguardo quello pungente e aggressivo, mentre il suo era impaurito, spaesato e innoquo.
"Signorina, è tutto vero?" Mi domandò il preside. Distaccai lo sguardo da quella pecorella smarrita e, cercando di mantenere la calma, affermai "ovviamente no. Ci sono tutti i testimoni che vuole, e poi non avrei motivo di picchiare questi due.. anche se non le nego che dopo queste menzogne, è diventato il mio desiderio primario."
Il preside sgranò gli occhi "In effetti signor Styles non è la prima volta che la vedo insieme al signor Malik qui in presidenza a causa di una rissa" disse il preside rivolgendosi al buffone il quale, spiazzato, balbettò qualche indecifrabile parola e abbassò lo sguardo.
"Ovviamente non sapevo che il pugno non fosse per me. Quindi, dato che ero totalmente presa alla sprovvista, mi sono difesa.- dissi toccandomi il labbro che ancora mi pulzava dal dolore.
"lei, signorina, non doveva reagire, bensì doveva chiamare un professore!- mi sgridò l'uomo baffuto.
Questo era decisamente troppo. Come potevo IO aver torto? Ero appena stata picchiata da un ragazzo ed accusata di quello stesso atto! Un'ingiustizia dietro l'altra anche qui, nella MIA Londra. Non potevo crederci che quel viaggio fosse stato una perdita di tempo. Non riuscivo ad accettare il fatto che, anche lì, vi era una realtà dalla quale volevo evadere. Non poteva essere vero, non avrei permesso a nessuno di rovinarmi nuovamente la vita. Immersa nel mio soliloquio, mi alzai di scatto in piedi e puntai il mio sguardo severo e minaccioso nei confronti del preside.
"Si sbaglia" sussurrai. Zayn e Harry fecero un balzo indietro, sicuramente stupiti ma anche intimoriti dal mio gesto avventato.
Ok, lo ammetto.. forse avevo esagerato. Stavo parlando con il preside,l'uomo che a scuola ha piu' potere di tutti noi inutili studenti messi insieme. Purtroppo la mia impulsività aveva nuovamente preso il sopravvento: mi ero infuriata, mi sentivo offesa e cercavo solo un modo di difendermi.
"Si calmi immediatamente" Disse il preside senza muovere un muscolo. Misi da parte il mio odiosissimo orgoglio e mi sedetti.. d'altra parte non volevo stare al gioco dello Styles; "essere espulsa" era l'ultimo dei miei desideri in quel momento.
"Adesso io e i miei colleghi ci consulteremo e vi chiameremo appena avremo preso la decisione. Prego, aspettateci qui fuori" continuò il preside.
Così uscimmo tutti i tre con la testa china e la faccia completamente bianca pensando a cosa ci sarebbe potuto accadere. Ci sedemmo sul muretto davanti alla scuola.
Avrei voluto veramente riempirlo di botte. E fargli sentire il doppio del dolore che avevo appena provato io a causa delle sue menzogne infondate. Avrei voluto insultarlo e infamarlo e ridere della sua debolezza mentre lui, ferito, se ne correva a casa a piangere da Mummy & Daddy. Decisi però di stare zitta e mi voltai dalla parte opposta, dandogli le spalle.
"Paura, italiana?" mi chiese ironica una voce maschile. Ovviamente non mi girai, cercando di snobbarlo senza dare peso alle sue inutili parole. "Certo che ti credevo piu' fifona, questo devo ammetterlo" continuò la voce insistente. "Non sprecare il fiato, Styles. Non vorrei che ti si rovinasse quel bel vocino che ti ritrovi" risposi acida. Sentii una risatina strozzata provenire sicuramente dalla bocca di Zayn. Styles non ebbe il tempo di rispondere alla mia frecciatina in quanto si sentì aprire la porta della presidenza:
"Potete accomodarvi" ci disse il professore di chimica.
-Bene, siamo stati anche fin troppo buoni... abbiamo deciso che non vi sospenderemo; ma per due mesi, tutti i giorni dopo la scuola, dovrete rimanere 3 ore in più per pulire tutte.. e dico tutte.. le aule presenti in questa scuola. Compresi i bagni" disse fiero di sè il preside, pettinandosi i baffi. Lo Styles abbassò gli occhi, deluso che il suo amato preside avesse dato una punizione esemplare anche a lui. Non ci pensai due volte. Abbassai la mano destra in modo che nessuno, tranne lui, potesse vedermi ed alzai il dito medio, mantenendo il mio sorrisino ebete in volto, per non destare sospetti. Subito alzò la testa e la girò verso di me. Il suo sguardo deluso, arrabbiato e sconfitto fu la cosa piu' soddisfacente che mi fosse mai capitata quel giorno.
Avevo colpito e affondato il famosissimo, bellissimo, desideratissimo Harry Styles.

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Capitolo 4
*** More Than This ***


Tornai a casa con l'aria soddisfatta. Nonostante fossi già finita in presidenza il mio primo giorno di scuola, ero riuscita a farmi valere. Aprii il portone di casa e fui assalita dalle tre belve.
"Tesoro, ho preparato il thè! Vieni in cucina!" Mi urlò mia nonna dall'altra parte della casa. Non andavo matta per il thè, ma mi sarei dovuta abituare il prima possibile: vivere a Londra e non bere thè era tanto assurdo quanto mangiare un ghiacciolo Lì-per-lì e buttare via il bastoncino alla liquirizia. Detti un bacio a mia nonna, mi lavai le mani e mi sedetti a tavola. Subito iniziai ad immergere la bustina di thè nella tazza piena d'acqua bollente. Mi resi conto che la nonna voleva iniziare un discorso serio; lo capii dal modo in cui girava il cucchiaino nel suo bicchiere.
"Quanto è bella la gioventù.." iniziò "Da piccola amavo viaggiare. Desideravo sempre partire verso mete sconosciute. Anche solo l'idea di lasciare casa mi eccitava a tal punto da non riuscire a stare ferma nemmeno un secondo. E' così che decisi di andare a Firenze.. giusto per vedere quella città spettacolare, così per curiosità." continuò mia nonna fissando la finestra accanto a lei. "E' lì che incontrai l'amore della mia vita, tuo nonno George, anche lui in gita a Firenze con la scuola. Ahh l'amore.. che cosa meravigliosa! Pensa che all'inizio io lo odiavo. Si, era il piu' bello della città e purtroppo ne era consapevole; si atteggiava come se fosse l'ottava meraviglia al mondo e, forse, lo era. Feci tante pazzie per essere notata da lui.. ma è ovvio, a quell'età si fanno tante stupidaggini..l'importante è avere qualcuno con cui parlarne, evitando di nascondere le cose". Ovviamente aveva capito tutto: aveva ricevuto la telefonata da scuola e quello era il suo modo bizzarro per farmi capire che, nonostante tutto, lei era la mia complice. Nel bene o nel male lei ci sarebbe stata, ed io ne ero consapevole.. era la mia migliore amica e come tale non mi sgridava per i miei atti incoscenti.. bensì mi ascoltava, mi consigliava e mi riportava sulla strada giusta senza bisogno di grida o discussioni. Era l'unica persona che riusciva a comprendermi al 100% e se sono migliorata caratterialmente nel corso degli anni è stato soprattutto grazie a lei.
Così mi alzai e le diedi un grosso bacio sulla guancia. Finito il thè salii al piano di sopra, mi feci una doccia, mi asciugai e mi infilai il pigiama. Ero esausta e la testa mi faceva veramente male così decisi di buttarmi sul letto. In nemmeno dieci minuti mi addormentai saltando completamente la cena. Quella notte fu strana, piena di incubi o sogni vari che si alternavano l'un l'altro senza lasciarmi tregua. E la cosa veramente stremante era vedere la faccia di Harry Styles per tutta la notte. Era onnipresente perfino nel mio inconscio, si aggrappava ai miei pensieri e non li lasciava andare..oppure ero io che non volevo che mi lasciasse? Almeno in sogno potevo fare ciò che volevo, senza temere giudizi o "due di picche". Fatto sta che li lasciavo correre, sogni o incubi che essi fossero. Non li interrompevo ma, come se fossi uno spettatore a teatro, mi fermavo ad osservarli da dietro le quinte, nascosta ma vigile.
-Tesoro svegliati-
Aprii gli occhi e feci un sorrisino a mia nonna. La tanto tormentata notte era finita. E devo ammettere che amavo i risvegli dolci di nonna. Alzarsi sentendo la voce di una persona che ti ama e che ti chiama con tanta delicatezza, faceva partire bene la giornata. Erano le 6:50 così feci tutto con calma: mi lavai, mi vestii e mi misi un leggero strato di ombretto nero, appesantito da un rigo di matita che mi delineva gli occhi.
Scesi giù e vidi mia nonna e mio nonno che preparavano la colazione.
-Buongiorno tesoro, come mai così ben vestita e truccata?- Mi disse mio nonno guardandomi da sopra gli occhiali da vista.
-Buongiorno anche a te nonno! Macchè ho fatto un po' così a casaccio!- dissi sorridendo.
Forse però aveva ragione, avevo impiegato molto tempo per curare il mio aspetto fisico. Non ci feci molto caso, presi una fetta biscottata e andai a scuola.
Appena entrata nell'ingresso notai che le Bratz stavano appendendo dei cartelloni terribilmente appariscenti, pieni di brillantini o scritte fosforescienti. Rimasi un attimo disgustata e,non curante, mi avviai verso il mio armadietto il quale era pieno di bigliettini con su scritto "Bulla, violenta, italia sucks" e stupidaggini simili. ovviamente cestinai il tutto.
"Buongiorno ribelle! Come stai oggi?" Mi disse allegra Madison. Le sorrisi. "So già come è andata a finire ieri..ma almeno non sei stata sospesa dai.." ridacchiò "Ah, Hai visto?? oggi pomeriggio ci saranno i provini per le gare di canto..pensa che i primi tre andranno in automatico alle selezioni di x Factor!" mi rispose. Io la guardai confusa "ah ecco cos'erano tutti quegli addobbi enormi che stavano appendendo a giro"
"Si ed io, in quanto rappresentante di istituto, sarò uno dei giudici" aggiunse Maddy sempre piu' fastidiosamente allegra. " Ahhh ecco come mai oggi sei così euforica!" risposi "e chi sarebbero gli altri giudici?"
"Miss Flowers, ovvero la professoressa di musica..e Harry Styles, Zayn Malik,Liam Payne, Niall Horan e Louis Tomlinson" il suono del nome "Harry Styles" fu come se mi perforasse il petto. "Perchè non partecipi anche te ai provini?" mi chiese Madison.
"Non se ne parla nemmeno. Non mi interessa e sono stonata!" Aggiunsi. Prendemmo dei libri e ci dirigemmo a lezione di musica. Miss Flowers l'avrei riconosciuta anche ad occhi chiusi. Portava un'enorme gonna lunga un gilet beige. Era una donna di mezz'età, capelli ricci corti e biondi e occhialoni che ingrandivano due piccoli occhi azzurri. Entrò in aula sorridendo
"Non vedo l'ora di sentire i vostri capolavori" affermò allegra. "facciamo sentire alla nuova arrivata come siamo artistici qui a Londra". Io continuavo a non capire a cosa si stesse riferendo. Tempo tre secondi e Maddy si alza e si diresse verso il pianoforte. "Comincio io" affermò.
Iniziò a suonare quell'imponente strumento a coda in un modo spettacolare, arrangiando Skyscraper di Demi Lovato in una maniera a me sconosciuta fino a quel momento. Il risultato? una vera e propria poesia.. le mancava solo una voce. Finì la canzone negli applausi dei compagni e nello sbalordimento generale, si alzò e tornò a posto.
"Maddy..non sapevo tu suonassi così! Complimenti!" le dissi estasiata! Lei abbassò la testa arrossendo e sfoggiando una bellissima risata compiaciuta.
"Ottimo lavoro Madison. Veramente ottimo. Spero che tu aiuterai a comporre le basi per le canzoni delle selezioni di oggi pomeriggio.. " aggiunse la prof "adesso è il turno dei giovincelli.. forza, cantate". detto ciò, i 5 ragazzi piu' belli della scuola (fra cui il mio nemico) si alzarono e si misero vicino alla prof con i microfoni ed Iniziarono a cantare 'Total eclipse of the heart'. Erano veramente bravi.. le loro voci si mischiavano armoniosamente, formando una melodia compatta e splendida la quale mi stava stregando. Harry Styles mi fissava con il solito sguardo di complicità e aggressione. Mi faceva male ma da un lato mi colmava lo stesso vuoto che mi affliggeva. La lezione finì ed io e la mia amica uscimmo di classe.
"Ehm.. Madison?" Si sentì una voce maschile dietro di noi. Era Zayn che, timido, voleva attaccare bottone alla mia amica. Lei rimase pietrificata per un attimo, a fissarlo. "C-complimenti, sei una forza al pianoforte" le disse, accarezzandosi la nuca dall'imbarazzo e si allontanò. Maddy rimase immobile; non ebbe tempo di mettere a fuoco la situazione in quanto si venne interrotti dall'altoparlante. " Ecco gli iscritti alle selezioni per il talent show, i quali dovranno dirigersi immediatamente nell'auditorim.." disse il preside. La lista era lunghissima ma la mia calma apparente fu interrotta dal suono del mio nome "Chelsea Capitani".
Guardai la mia amica la quale era immobile e sbalordita come me. Poi mi voltai verso il gruppetto dello Styles: lui mi fissava con il suo sorrisetto beffardo ed ironico.
Era colpa sua, e questo l'avevo capito. Ciò che ancora non sapevamo era che, quello, voleva dire guerra.

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Capitolo 5
*** I Want ***


Madison mi guardò attonita :- Ma allora ti sei iscritta?!?- Io non riuscivo a parlare. Ero così delusa, arrabbiata e sorpresa che non sapevo proprio cosa dire. "No! Fossi matta! Ma so di chi è la colpa " e diedi un'occhiataccia al bulletto che mi stava fissando con uno sguardo di sfida. "Vabbè dai.. alla fine non è niente di male, Maddy" aggiunsi "non mi presento alle audizioni, e festa finita" affermai "è solo il gesto che mi da terribilmente fastidio".
Tutti gli alunni si affrettarono a raggiungere l'auditorium, anche la mia amica. Io ero troppo furiosa per poter seguire la massa così, accecata dall'orgoglio, mi avvicinai allo Styles, il quale mi dava le spalle mentre parlava con dei suoi amici.
Gli diedi due colpi con l'indice sulla spalla; ovviamente lui non si girò. Continuava a parlare, mi snobbava, lo sbruffone. Così ripetei il gesto, con piu' forza. Lui fece un balzo sorpreso. Si voltò, mi vide e ridacchiando si voltò dall'altra parte. Nel frattempo i suoi amici se n'erano andati ed eravamo rimasti solo io, lui e gli armadietti. Io non ci vidi piu' dalla rabbia.
Avevo imparato ad assorbire colpi senza reagire, in ogni senso. Agivo da 'superiore', non m'importava di nessuno se non di me stessa. Ma questo era veramente troppo: era l'ora di far capire ad Harry Styles chi fossi veramente e, per fare ciò, dovetti ringraziare gli anni passati a sudare e a sgobbare a Kick Boxing. Lo afferrai per un gomito e lo scaraventai con le spalle all'armadietto. Gli bloccai le braccia e mi misi in punta di piedi, affinchè fosse mio prigioniero e non si potesse liberare. Lo avevo vicinissimo e per un istante rimasi incantata dalla situazione. I suoi occhi impauriti mi suscitavano tenerezza e per 1 secondo non riuscivo a pensare ad altro se non al mio insistente desiderio di baciarlo.
Dopo questo breve momento di esitazione ritornai in me e premetti con i polpastrelli sui suoi bicipiti. "Ti diverti Harry Styles? Eh? Ti diverti?" gli dissi. Lui non mi rispose ma continuava a fissarmi attonito e quasi invaghito. "Beh io no. E non sei così forte, Styles. Io ti distruggo! Vuoi la guerra? Non ti conviene.." Detto ciò scesi dalle punte, indietreggiai di qualche passo e mi diressi verso i bagni. Stavo scoppiando a piangere senza un motivo. Sarà stata l'adrenalina, il mio cuore che batteva a mille.. non ne ho idea. Fatto sta che non volli voltarmi mai, nemmeno per un secondo. Stavo aumentando il passo quando all'improvviso sentii uno strattone. Era lo Styles che mi aveva afferrato il braccio e non aveva intenzione di lasciarlo. Io mi girai improvvisamente pronta ad urlargli contro qualche insulto gratuito, ma non ne ebbi il tempo. Mi strinse terribilmente le spalle e mi si avvicinò sempre di piu'. I suoi occhi non smettevano di fissarmi severi, puliti, immobili. Non batteva le ciglia e mi fissava con il suo solito sguardo magnetico.
Continuò ad avvicinarsi.
Un attimo.
Un sospiro.
Un bacio.
Premette le sue labbra morbide contro le mie, chiudendo gli occhi per godersi l'attimo; per una frazione di secondo, assecondai quel gesto impulsivo pregando Dio che non terminasse mai. Ma lui subito si allontanò, sgretolando tempestivamente quell'istante di follia. Riniziò a guardarmi, aprì leggermente le labbra e con il suo mezzo sorrisetto beffardo affermò:
"E guerra sia", allontanandosi da me.
Rimasi lì immobile per qualche secondo. Dovevo fare mentre locale sull'accaduto. Odiavo Harry Styles o lo desideravo ardentemente? O magari tutti e due? Non riuscivo a capirlo. Non volevo accettare una sconfitta. Quel suo gesto era solo una sfida; voleva provocarmi, infastidirmi, ammaliarmi. E in tutti e tre i casi ci era riuscito troppo bene.
Dovevo dimenticarmi di quell'accenno di bacio ed alzare la guardia perchè lui sarebbe tornato all'attacco con atteggiamenti ancora piu' aggressivi e pungenti.
Eppure non riuscivo neanche per un secondo a smettere di pensare a lui. Stavo perdendo il controllo di me stessa; quel controllo che, come uno scudo, mi ha protetto fin da quando ero piccola. Ragione e sentimento si stavano mischiando armoniosamente, infrangendo quella barriera, chiamata logica, che da anni li teneva separati, divisi, lontani.
E nella mia mente risuonavano martellanti ed inesorabili due sole parole:
Harry
Styles.

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Capitolo 6
*** Stand Up ***


La stessa notte fu terribile: non riuscii a chiudere occhio, mi rigiravo in continuazione ponderando su quello che era successo il giorno precedente. Per mia fortuna, il giorno seguente non sarei dovuta andare a scuola, in quanto il sabato la gente normale DORMIVA. Fortunatamente lì a Londra l'avevano capito. Per mia sfortuna invece la sveglia suonò lo stesso alle 08.00 e io balzai in piedi nonappena riuscii ad addormentarmi. Nervosa e con un mal di testa epico mi alzai. Mi diressi verso il bagno e mi misi a fare la doccia. I miei nonni erano usciti a fare la spesa quindi potei accendere la radio a tutto volume, quasi come se volessi soffocare le mille voci che assillavano la mia mente. Ma nulla. Le voci erano onnipresenti e mi martellavano fisse ed imperterrite. Così iniziai a cantare, ma piu' che un canto erano grida disperate intente a scacciare i miei pensieri. Non funzionò nemmeno quello. Mi misi l'accappatoio e spalancai la finestra (la quale prima era socchiusa) per far circolare l'aria. Improvvisamente fui quasi congelata. Non era il vento, era peggio. Alzai lo sguardo verso l'abitazione davanti alla finestra del bagno. Le finestre erano coperte da tende ma io riuscivo a percepire o ad intravedere qualcuno. Mi sentivo fissata, osservata. Rimasi un attimo a sperare di riuscire ad intravedere chi fosse, poi ritornai alla realtà, chiusi la finestra e andai in camera a vestirmi. Mi misi una tuta leggera ed andai a fare jogging. Era una fresca e nuvolosa mattina autunnale così presi i tre cani dei miei nonni, e mi avviai verso il parco. Trovai subito la strada in quanto le indicazioni erano ben chiare. Slegai i cani in quanto, essendo tutti e tre di taglia grande, avrebbero rischiato di trascinarmi via, se li avessi tenuti legati. Iniziai a correre con le mie "body-guard" (come le chiamava mio nonno) a fianco. Era proprio vero, il jogging riusciva sempre a rilassarmi. Sentire il vento freddo addosso, vedere il paesaggio londinese che variava accanto a me, mi distraeva dal resto. Dopo un quarto d'ora mi fermai per far bere i cani ad una fontanella.
Mi soffermai un attimo ad osservare il parco per riprendere fiato. Era una piccola oasi di pace, nel cuore di Londra. Alla gente doveva piacere veramente in quanto molti avevano assecondato la mia idea di correre o andare in bicicletta. I bambini giocavano, i cani si rincorrevano e Madison si scambiava tenere effusioni sdraiata su un telo con un ragazzo che somigliava moltissimo a Zayn. UN ATTIMO. Mad e Zayn? No, mi stavo sicuramente sbagliando. Come era possibile che la mia amica si trovasse lì alle 10 e mezzo di mattina con il migliore amico del mio acerrimo nemico? Era sicuramente la fatica o il sudore che mi stava facendo avere delle allucinazioni. Mi accostai ad un albero per vederli meglio senza essere scoperta. ERANO PROPRIO LORO.
"Lo sai che è maleducazione spiare le persone? o in italia non le insegnano queste cose" mi sentii dire dietro di me. Rimasi un attimo immobile, viola dalla vergogna per aver fatto una figuraccia simile. Mi girai pronta a giustificarmi e chi mi ritrovai davanti? Harry Styles. Fui assalita nuovamente da quella sensazione di gelo e possessione che avevo provato la mattina stessa.
"E poi si, è normale farsi prima la doccia e poi andare a correre. Si vede che sei italiana" continuò lui. In effetti è strano ma io dopo un incubo o quando sono assorta in troppi pensieri ho bisogno di fare la doccia anche solo per sciacquarmi e per mandar via quelle brutte esperienza. Un attimo di pausa. Come faceva a sapere che io avevo fatto la doccia prima di andare a correre?
"Ma tu come.." provai a chiederglielo
"Ahaha sei te che non sai contro chi ti sei messa. Ed evidentemente non conosci nè me, nè questa città" rispose lui senza darmi il tempo di parlare.
Era lui la figura strana che avevo intravisto dietro le tende. E ciò significava due cose: 1) che lui abitava esattamente dietro casa dei miei nonni. 2) che dovevo aggiornarmi ed informarmi su Londra, le abitudini londinesi ma soprattutto su Harry Styles.
"Fottiti, Styles" gli risposi. Lui mostrò come al solito la sua perfetta e splendida risata e riprese a fare jogging. Rimasi un attimo incantata nel guardarlo allontanarsi da me. Correva veloce, con l'espressione severa e fissa davanti a se. I riccioli gli si muovevano con armonia contornandogli il viso umido e glaciale.
"Keyy! Uooo! Terra chiama Chelsea! KEYYYY ci sei!" Fui svegliata dal mio stato di ipnosi dalle urla della mia amica. Merda, mi avevano visto!
"Ooooh finalmente! Che ti eri incantata a guardare Harry Styles? Ahah non ti starai mica innamorando vero?" mi rimproverò.
Doppiamente MERDA. Non solo mi avevano beccato entrambi appostata dietro ad un albero. Ma si erano anche accorti che stavo fissando il mio nemico.
"Ti vuoi unire a noi?" continuò. Io ero completamente spaesata, dovevo fuggire da quella scomoda situazione senza dare troppo nell'occhio. "N-no, tranquilli continuate p-pure.. non vi disturbo" cercai delle scuse banali indietreggiando. La mia stupida goffaggine mi fece inciampare. "Hey Chelsea vuoi una mano?" Mi urlò Zayn. "No, no no no..continuate pure, io non esisto ora devo..ehm..devo andare! si, si ora scappo buona pomiciat.. PASSEGGIATA, PASSEGGIATA! BUONA PASSEGGIATA" ero palesemente nel panico, ripresi i cani e me ne andai. Tornai a casa e mi tuffai in doccia. Ero veramente esausta ma dovevo iniziare le mie ricerche. Mi affacciai alla finestra del bagno di nascosto, ma non percepii nessuna sensazione strana. Poi osservai meglio la finestra della mattina stessa. Intravidi un ragazzo, sicuramente lo Styles, che cantava suonando la chitarra. Era una visione celestiale e potevo sentire anche la sua voce. Era veramente bravo, ma io non potevo rimanere lì immobile ad ammirarlo. Dovevo sciogliere quell'incantesimo che mi teneva legata a lui. Dovevo trovare delle scuse per odiarlo in quanto a lui non interessavo minimamente. Lui voleva solo distruggermi. E per poterlo anticipare dovevo imparare a conoscerlo. Dovevo indagare sul suo passato, presente e futuro.
Ero convinta e determinata.
In poco tempo sarei riuscita ad annientare il famosissimo, bellissimo Harry Styles.

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Capitolo 7
*** Taken ***


"Tesoro scendi! c'è mamma al telefono!" Mi svegliò mia nonna dalla mia ipnosi.
"Si, ti dico che sta benissimo! Secondo me si è anche innamorata" continuò lei abbassando il tono della voce. Iniziai a correre per le scale urlando "non è vero" e presi il telefono. Risentire la voce calda ed accogliente di mia madre fu un'emozione fortissima. Nonostante ci fossero infiniti problemi e discussioni fra di noi, lei era la mia mamma ed io la amavo con tutta me stessa.
Iniziò a chiedermi come andavano le cose, com'era la scuola, gli amici, Londra, i nonni..ecc.. dopo una ventina di minuti interruppi il suo discorso logorroico aggiungendo "Mi manchi". Non so come mai quelle due parole fossero scappate tempestivamente dalle mie labbra, non le avevo pensate prima. Avevo solo bisogno di dirle, ed, evidentemente, lei aveva solo bisogno di ascoltarle. "anche a me Key, non sai quanto.. torna pure quando vuoi io sono qui e ti aspetto.. ti voglio bene bambina mia" aggiunse mia madre.
iniziammo a piangere come bambine e dopo qualche frase dolce, ci salutammo. Entrambe sapevamo che io non sarei tornata presto in Italia. Londra era la mia città ideale, finalmente riuscivo a respirare e a trovarmi i miei spazi. Vivevo in un'oasi di pace in mezzo a questo mare di uniformità e tutto quello che desideravo era lì, ne ero sicura. Dovevo solamente riuscire a trovarlo.
Tornai di corsa su, con tanta furia come se avessi la consapevolezza di essere sul punto di perdere qualcosa. Mi affacciai alla finestra del bagno frettolosa e confusa e guardai subito il punto di prima. Lui non c'era. La finestra era rimasta aperta ma lui non era lì. O almeno io non lo vedevo. L'unica cosa che riuscii ad intravedere era un'ombra al piano superiore di quella villetta, anche se la mia postazione non mi permetteva di vedere altro.
"La soffitta!" esclamai e, sempre di corsa, salii in soffitta. Era un luogo buio ed umido ma la cosa che mi sorprese terribilmente fu la pulizia e l'ordine che regnavano lì. Non c'erano stupide ragnatele o lanicci di polvere sparsi ovunque. Ok magari non era il posto piu' accogliente sulla terra, ma era pulito ed ordinato. Mi precipitai davanti all'enorme oblò sul lato opposto della stanza. Da lì avevo una visuale di gran lunga migliore rispetto a quella che avevo in bagno: inoltre riuscivo a vedere ogni angolo della camera del presunto Styles. "Presunto" in quanto io non avevo avuto la conferma che lui vivesse lì; nonostante lui me lo avesse fatto capire, io non ero convinta al 100% che quella fosse casa sua. Ma poi ecco che i miei pensieri loquaci si interruppero nel vederlo affacciato all'oblò della stanza 'misteriosa'. Non ho idea di cosa stesse guardando ma il suo sguardo glaciale era fisso su di un punto e la sua espressione solita da "essere superiore" era cambiata radicalmente. Il suo sguardo era triste, malinconico o nostalgico; sembrava che stesse cercando qualcosa, forse un porto al quale ancorarsi per non perdersi.. o magari anche lui era alla ricerca della sua oasi di pace.
Istintivamente appoggiai la mano sul vetro e con l'indice percorsi il suo profilo immaginario. Quello che provavo in quel momento non era odio o folle attrazione. Era pena. Provavo pietà per quell'anima smarrita sotterrata sotto spessi strati d'orgoglio, apparenza, immagine.
Ed ecco che lui alzò lo sguardo verso di me. Quell'attimo fu splendido: percepivo le nostre anime che si rincorrevano felici, sentivo la sintonia, la complicità e l'unione. Abbozzò un sorriso che io prontamente ricambiai. Poi, improvvisamente, come se si fosse appena svegliato da uno stato comatoso, si alzò. Il suo sguardo era nuovamente cambiato, tramutandosi in severo, glaciale e competitivo. Continuava a fissarmi con quegli occhi che da tristi erano diventati cattivi ed ipnotici. Si allontanò dalla sua finestra e la chiuse rumorosamente, sempre tenendo gli occhi fermi puntati su di me. Fece un passo indietro e chiuse le tende. E, da un momento all'altro, di lui mi restava solo un ricordo sbiadito.
Scesi al piano terra, malinconica e delusa. Dovevo far luce su tutta questa faccenda che per troppo tempo era come se fosse avvolta da tenerbre. Mi misi la giacca, lasciai un biglietto ai miei nonni che nel frattempo erano usciti a fare una passeggiata ed uscii di casa. Non avevo idea di quale fosse la mia meta, non avevo obiettivi nè piani strategici.
Mi trovai davanti a casa dello Styles: sembrava deserta dall'esterno. Mi avvicinai al campanello con il tentativo di leggere cosa ci fosse scritto sopra. Non riuscivo a leggere.
"Adesso sei arrivata addirittura a pedinarmi" Sentii. Era lui, affacciato alla porta. Stranamente non sobbalzai: era come se il mio inconscio volesse che lui si affacciasse. Abbozzai un sorriso. "Forza, non essere timida. Sono solo in casa, i miei staranno fuori per altre due ore. Entra!" mi ordinò.
In quel momento fui bombardata da un milione di emozioni diverse: rabbia, confusione, desiderio, imbarazzo, curiosità. Sentivo la mia anima scindersi in due:
Da una parte sapevo benissimo che si trattava di una trappola. Stava cercando di attirare la sua preda nel modo piu' finto ed innocuo possibile. Ed io ingenuamente stavo entrando nella sua tana: il luogo piu' pericoloso nel quale potessi trovarmi per di piu' sola con il mio cacciatore.
Dall'altra parte la mia anima era inesorabilmente attratta da lui. Stava affogando nel desiderio e nella curiosità di entrare in casa sua e di poterlo osservare da vicino, senza intrusi od interruzioni varie.
Vinse ovviamente la curiosità ed io mi incamminai verso Harry Styles senza mai distogliere lo sguardo dai suoi profondi occhi verdi. Sull'uscio non esitai: Feci un passo in avanti con tutta la determinazione che avevo in corpo. Una volta entrata, rimasi un attimo immobile ad osservare la magnificenza di quella villetta poi, improvvisamente, mi ricordai di essere in territorio nemico e che, in quel momento, stavo dando le spalle al mio predatore. Mi voltai quasi di scatto all'udire il portone chiudersi, mantenendo un atteggiamento impassibile. E lui era lì immobile, appoggiato alla porta che mi guardava con quello sguardo ipnotico e di sfida che mi faceva sempre impazzire.
Ero in balia del mio cacciatore che sembrava quasi affamato. Mi trovavo nella sua tana senza possibili vie di fuga.. Ed il peggio era che il mio desiderio di lui aumentava implacabile e spietato.
In un momento mi resi conto che non avevo paura: ero inspiegabilmente ed inevitabilmente attratta da lui.

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Capitolo 8
*** Should Kiss You ***


Lui rimase fermo immobile per qualche secondo a fissarmi. Lì capii che per rimanere il meno possibile in quella situazione imbarazzante avrei dovuto inventarmi qualcosa:
"Così è qui che abita il celeberrimo Harry Styles" dissi stuzzicandolo. Abbozzò un sorrisetto ironico, si diede una piccola spinta in avanti e si avvicinò a me. Si fermò a pochi centimetri dal mio viso e, sempre tenendo lo sguardo fisso su di me, sussurrò "Ti piace?". Eccoci. Stavo per cadere nuovamente in uno stato d'ipnosi acuta, venivo ripetutamente trafitta dal suo sguardo magnetico e per qualche strano motivo non riuscivo a muovere un solo muscolo. "Seguimi, ti mostro la mia umile dimora" continuò lui. Io ubbidii come una schiava e lo seguii. Volevo stargli vicino, capire cosa pensasse, cosa sognasse, cosa volesse da me. Dovevo scoprire i suoi segreti, comprenderli ed averli solo per il gusto e il piacere di mettere a nudo la sua anima e di schernirlo completamente. Facemmo un breve giro al piano di sotto e salimmo le scale. Passammo davanti alla stanza nella quale lo vidi suonare la mattina stessa: per mia sorpresa non vi si soffermò neanche. Da uno spiraglio lasciato dalla porta socchiusa riuscii ad intravedere un divanetto, una chitarra e tanti fogli sparsi ovunque. Doveva essere il suo studio, il cuore della sua casa e della sua essenza. Evidentemente lui si rese conto che mi stavo incuriosendo circa quella stanza: si fermò e mi prese per mano "Non sei ancora pronta per quella" aggiunse. Riprese a camminare continuando a reggermi affinchè io non potessi fare altro se non seguire ogni sua singola mossa.
Salimmo nuovamente le scale. Mi stava conducendo verso la stanza misteriosa nella quale lo avevo visto solo e malinconico. Aprì la porta. "Questa è la mia camera da letto: la stanza che preferisco in assoluto". Non potei far altro che cogliere l'apparente doppio senso che celavano le sue parole; cos'aveva intenzione di fare? Perchè mi aveva portato proprio nel posto piu' caro ed intimo che una persona ha? Sicuramente faceva parte dei suoi piani. Non potevo dimenticare che lui era il mio Cacciatore e che io ero solo una preda; se mi aveva portato lì era solo un modo per rendermi ancora piu' innocua e per potermi colpire meglio. Rimasi ferma ad osservarlo mentre spostava le tende ed apriva la finestra: "la riconosci quella?" disse indicando casa mia. Lui mi spiava, riusciva a vedere ogni mia singola mossa da quell'angolazione.. era decisamente avvantaggiato. Mi resi conto di non avere vie di scampo e che dovevo inventarmi qualcosa per non restare inerme troppo a lungo.
Si affacciò alla finestra; era il momento adatto per curiosare, senza dare nell'occhio, fra la sua roba. A prima vista non c'era niente di strano: foto di amici, poster, quadri.. fino a che non fui colpita da un vecchio libro che sbucava da sotto il letto. Mi abbassai cercando di fare meno confusione possibile e lo afferrai. L'unica cosa che vi era scritta sulla copertina era "SONGS": si trattava per caso delle canzoni scritte dallo Styles? Se così fosse, avevo in mano il suo vero cuore. Aprii lentamente la prima pagina e vidi che il primo brano si intitolava 'Holmes Chapel'; non riuscivo a capire -"Holmes Chapel?" sussurrai fra me e me.
"Cosa stai...dove l'hai trovato quello?" mi rimproverò Harry. Il suo sguardo da predatore era cambiato, lo vedevo diventare piccolo, disarmato, attaccabile. Avevo in mano la sua anima, il suo punto debole.
Mi si scaraventò contro con una ferocia quasi inenarrabile: come un leone quando gli si tocca il cucciolo o l'onore. Mi mise spalle al muro e mi afferrò il polso:
"Lascialo lì" mi ordinò.
Il suo fiato affannato sul mio viso e i suoi occhi pieni di terrore mi fecero capire che quello non era un semplice libro; io non dovevo lasciarlo ma la sua presenza così dominante su di me mi spaventava. Lasciai lentamente il libro che cadde a terra rumorosamente. Subito allentò la presa dai miei polsi, ma il suo sguardo cattivo non mutò: rimase impassibile su di me nonostante io avessi lasciato che il suo cuore cadesse a terra, com'egli mi aveva chiesto. Iniziò a fare sospiri piu' profondi, stringendo leggermente le labbra. Sembrava che si stesse trattenendo dal fare qualcosa, ed io avevo nuovamente paura. "H-Harry..M-mi dispiace" cercai di dirgli per scagionarmi in qualche modo "n-non pensavo che fosse così importante per.." Non mi fece finire, come al solito.
Mi afferrò di peso e mi scaraventò sul letto. Sempre con uno sguardo cattivo ed arrabbiato fisso su di me, si avvicinò. Io ero paralizzata, non riuscivo nè a muovermi nè a dire una parola. Cosa voleva da me? Quali erano le sue intenzioni?
Si fece spazio e montò sul letto, sopra di me; mi dominava, mi osservava.. ma soprattutto mi desiderava. Capii che quella sua violenza era data dalla voglia di avermi, la quale era contrastata ma allo stesso tempo ingigantita dalle circostanze: lui non poteva soddisfare quel desiderio in quanto era fidanzato ed io ero la sua nemica, forse l'unica nella scuola che riusciva a tenergli testa.
I suoi occhi magnetici mi fissavano e le sue labbra dapprima fermamente serrate si schiusero appena. Iniziò a respirare con la bocca spostando tutto il peso del suo busto sul braccio sinistro che, saldamente ero poggiato accanto al mio volto.
Iniziai a tremare quando sentii la sua mano destra, fredda, che lentamente mi accarezzava il fianco da sotto la maglietta. Dovevo scappare ma il desiderio era assillante e mi distruggeva dentro. La sua mano percorreva il mio fianco, quasi bruciandomi la pelle al suo tocco. Non riuscivo a reagire, ero completamente stregata, eccitata, invaghita: e lui lo era piu' di me.
"Harry? Posso entrare?". Una voce femminile interruppe quell'attimo splendido bussando alla porta. Chi poteva essere? Chi osava interrompere la magia di quell'attimo? Harry Styles alzò gli occhi quasi scocciato. Poi sobbalzò all'indietro; io prontamente mi alzai e mi sistemai al meglio. Si diede un'occhiata allo specchio spostandosi il ciuffo ed aprì la porta.
"Oh, finalmente.. ho lasciato qui il mio Ipod, devo pr.. Oh, c-ciao.. pensavo tu fossi con Abbie, scusate n-non volevo disturbarvi!" Disse la ragazza. Era alta e mora, sicuramente sua parente in quanto si somigliavano. Io ed Harry arrossimmo, eravamo nel panico ed entrambi non sapevamo cosa dire. "N-no, macchè disturbi.. stavamo discutendo sulle audizioni che ci sono a scuola.. ho bisogno di qualche suggerimento" esordii io con una balla colossale. Non so se ci credette, ma sorridendo venne da me e si presentò, tendendomi la mano
"Ah, comunque piacere! io sono la sorella di quest'animale, mi chiamo Gemma" le sorrisi e ricambiai il favore "Piacere mio, Chelsea". Lei ci guardò ed esclamò "Sei la ragazza italiana! Abiti qui di fronte giusto?! Bene, allora rimani a cena! Venite!" e con tanta euforia si diresse al piano di sotto. Lo Styles mi fissò immobile.
Si stava per caso addolcendo? Stavo davvero riuscendo a renderlo vulnerabile? Ma soprattutto.. volevo farlo diventare inerme per sconfiggerlo o per averlo?
Avevo paura di essermi invaghita del mio predatore, e la cosa non mi dispiaceva affatto. Peccato che l'unica parola che riuscivo a ripetermi in continuazione fosse:
-DIMENTICA.

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Capitolo 9
*** Everything About You ***


Scendemmo al piano inferiore, capeggiati da Gemma. Non riuscivo a smettere, nemmeno per un secondo, di pensare a quello che era successo prima: quelle scene si rincorrevano impetuose nella mia mente, lasciandomi senza fiato.
Nel frattempo erano arrivati i loro genitori: bellissimi come i figli, tra l'altro.
“Finalmente conosciamo Chelsea! I tuoi nonni ci hanno parlato tantissimo di te” esordì la madre. Io arrossii leggermente e sorrisi.
“Forza, andate in salotto.. quando è pronto vi chiamo!” Ripetè la donna. Ci accomodammo sul divano, alla televisione, ed io mandai un messaggio alla nonna dicendole che non sarei tornata a casa per cena: nonostante avesse 72 anni, era molto tecnologica (quasi piu' di me) e sicuramente stava al passo con i tempi. Gemma iniziò a farmi una caterva di domande sull'Italia, sulla mia famiglia, su di me; Harry invece stava zitto e, impassibile come al solito, guardava lo schermo. Era strano: all'apparenza sembrava quasi preso da un programma televisivo ma, se lo si osservava con piu' attenzione si capiva che i suoi pensieri erano altrove. Mi capitava spesso di lanciargli delle occhiatine per capire a cosa stesse pensando, ma niente: i suoi occhi erano fermi in un punto e le sue palpebre non si muovevano. L'unica cosa che riuscivo a percepire era la piccola smorfia che faceva con le labbra, come se le stesse mordendo all'interno.
Dopo una quindicina di minuti andammo a tavola. I loro genitori mi rivolsero le stesse identiche domande che mi aveva fatto Gemma prima ed io, educatamente, risposi una seconda volta.
Purtroppo i miei discorsi non avevano molto spessore in quanto la mia mente era completamente rivolta ad Harry Styles che, cupo, non mi aveva ancora rivolto parola.
“E voi come vi siete conosciuti?” Azzardò la sorella. Istintivamente volsi lo sguardo ad Harry il quale, seduto esattamente di fronte a me, si bloccò per un secondo. Senza alzare lo sguardo strinse il pugno attorno alla forchetta e ricominciò a mangiare.
“A scuola” risposi io, forse troppo fredda. La risposta ovviamente non era esauriente per Gemma; per mia sfortuna lei voleva sapere tutto per filo e per segno ed esigeva ogni piccolo particolare.
“Come a scuola?! Suvvia raccontatemi qualcosa! Harry non fare l'antipatico e parla anche te. Non hai spiccicato parola fin dall'inizio!” sgridò suo fratello.
Lui finalmente alzò gli occhi: era turbato ma soprattutto infastidito. Stava sicuramente viaggiando fra pensieri che gli davano il tormento e sua sorella lo aveva disturbato.
“Gemma ce la fai a stare zitta? Mi infastidisci” le rispose seccato. Lei fece finta di nulla anche se si vedeva benissimo che quella risposta fredda e dura l'aveva colpita nell'orgoglio. L'atmosfera stava iniziando a farsi tesa; ne seguì un silenzio imbarazzante per quasi tutta la cena.
Una volta finito di mangiare, i loro genitori si alzarono e andarono a rigovernare. Intuii che Gemma avesse qualcosa in mente e che, l'uscita di scena dei suoi genitori, favoriva i suoi piani.
“Certo Harry non ti capisco.. sai, Chelsea, è da un po' di giorni che mio fratello è strano..” mi sussurrò in modo plateale, affinchè anche lui potesse cogliere involontariamente le sue parole.
“Vedi lui fa tanto il bullo con gli amici o con le ragazze ma in realtà è un tenerone” continuò lei. Lo Styles stava iniziando ad innervosirsi anche se non voleva darlo a vedere.
“Smettila” la rimproverò. Lei non aspettava altro; stava ottenendo la vendetta per la rispostaccia precedente.
“Si, lui fa il forte, il duro.. peccato che sia tutt'altro! E le sue canzoni ne sono la prova! Tutta la malinconia e la tristezza verso Holmes Chapel, il nostro mezzo-paesino inutile e fastidioso dal quale fortunatamente ci siamo allontanati per venire a vivere qui a Londra...” Stava facendo riferimento al libriccino dove Harry aveva scritto quelle canzoni e, finalmente, capivo cosa fosse quel nome che avevo intravisto all'inizio della prima pagina. Lui alzò lo sguardo verso la sorella
“Gemma mi stai dando noia, stai zitta” la ammonì nuovamente. Io mi sentivo messa in mezzo a due fuochi e capivo che lui era arrivato al limite della sopportazione.
“Forse ha ragione, cioè..non mi interessa davvero!” dissi in modo carino e gentile alla ragazza. Lei iniziò a ridere
“Ahah non ho mai letto quel libro che stai scrivendo perchè lo impedisci a tutti. Ma ho scorto, verso la fine, un sacco di canzoni per una ragazza. Vedi Chelsea, il romanticone è innamorato di una ragazza e le sta scrivendo un sacco di canzoni. Tu vedessi come si impegna notte e giorno appollaiato alla finestra, mentre fissa il vuoto. Spero solo non sia Abbie perchè quella gallinella proprio non la tollero” aggiunse. Aveva ottenuto quello che voleva in quanto lui si era totalmente alterato. Si alzò improvvisamente, sbatacchio la sedia a terra e salì al piano di sopra. Lei, soddisfatta si appollaiò sul divano, facendomi un cenno che implicava che io la seguissi.
“Vorrei andare a parlarci” le dissi, timorosa. Lei annuì, non curante delle mie parole, ed iniziò a guardare un programma televisivo. Allora mi alzai e mi diressi al piano superiore. Nella mia mente rimbombavano le parole di Gemma: era veramente innamorato Harry Styles? Era preso così tanto d a una ragazza da scrivere giorno e notte canzoni su di lei in un libro segreto? Non credevo fosse invaghito di Abbie in quanto era palese che la loro relazione era solo fisicità, apparenza o meglio comodità, senza sentimento.
Mi affacciai in camera sua. Lui era semi sdraiato sul divanetto davanti alla finestra e fissava fuori. Percepivo il suo dolore dato dal tradimento, sottoforma di frecciatine, della sorella. Mi sentì arrivare ma non si mosse di un solo millimetro: evidentemente mi stava aspettando e sapeva che io sarei andata lì. Mi sedetti accanto a lui e iniziai ad osservarlo. La camera era semi buia, illuminata solo dal bagliore della luna che dominava fiera il cielo londinese, stranamente senza nuvole. Era triste lo Styles, c'era qualcosa che lo tormentava, che lo logorava dall'interno.. qualcosa di cui voleva parlarmi ma che, contemporaneamente, non avrebbe mai dovuto fare.
Mi sentii in dovere di dire qualcosa per placare la sua rabbia interiore, anche se quel silenzio, quella stanza e quell'atmosfera così pacata, facevano risultare una melodia quasi sorda e romantica che avrei voluto udire per sempre. Il volto del mio nemico-amico era illuminato dalla luna e i suoi occhi brillavano, commossi, glaciali, immobili. Distaccai lo sguardo dalla perfezione del suo viso ed iniziai a guardare fuori dalla finestra anche io.
“Tranquillo, i fratelli dicono sempre cose mirate a ferire i sentimenti di parenti, ma non le pensano davvero” cercai di rassicurarlo “ti vuole un gran bene, Harry.. di questo puoi esserne sicuro” continuai. Abbozzò il suo solito mezzo sorriso, quello che mi faceva impazzire tutte le volte.
“da qui si vede benissimo camera tua.. e anche la soffitta dove ti sei appostata oggi” mi disse. Ecco, avevo finalmente la prova che lui mi stesse spiando quella mattina. Non aggiunsi niente, rimasi lì a fissare il panorama notturno.
“Perchè sei venuta su da me?” mi domandò sempre guardando un punto fisso davanti a sé. Mi voltai verso di lui:
“Volevo sapere come stavi, mi sembravi turbato prima!” aggiunsi, confusa. Finalmente mi guardò: i suoi occhi verdi erano diventati dolci e mi fissavano con sincerità, fiducia.
“Ti importa seriamente sapere come sto?” mi chiese, senza distogliere lo sguardo dai miei occhi. Mi ripetei la domanda una seconda volta, dentro di me. Mi importava davvero sapere come stava il mio acerrimo nemico? Ero forse io quella che si stava addolcendo o, per meglio dire, arrendendo? Non dissi nulla in quanto il mio fottuto orgoglio non mi permise di dire un banalissimo “SI” e di ammettere che LUI era il mio punto debole. Avrei voluto abbracciarlo e piangere insieme a lui. Volevo liberarlo da ciò che tanto lo tormentava e comprendere tutte le sue paure. Sempre sorridendo, come se sentisse in qualche modo tutti i miei pensieri, mi sussurrò:
“Beh, anch'io”. Harry Styles si stava commuovendo o era solo una tattica? Non riuscivo a capire cosa stesse facendo.
“Aspetta un attimo” disse alzandosi e dirigendosi fuori dalla stanza. Mi lasciò sola nel bel mezzo del mio soliloquio interiore. Non dovevo dimenticarmi che lui era il mio cacciatore: mi aveva disarmato e aspettava solo il momento piu' opportuno per attaccarmi. Mentre mi costruivo questi castelli in aria, dall'agitazione tirai un calcio a qualcosa che si trovava sul pavimento. Lo raccolsi, sperando di non aver rotto niente: ed ecco che mi ritrovai nuovamente fra le mani il libro misterioso con su scritto “SONGS”. Avrei dovuto rimetterlo a posto, far finta di niente ed aspettare che il mio predatore rientrasse in camera. Avrei dovuto soffocare la mia curiosità di scoprire i segreti che martoriavano l'anima del mio nemico. Avrei dovuto fare tante cose, ma la voglia di leggere il cuore di Harry Styles era superiore a tutto il resto. Esatto, “Avrei dovuto”..
Aprii il libro verso la fine: parlava metaforicamente di una ragazza bella come la luna, intrigante ma proibita. Quelle parole erano bellissime e coinvolgenti; continuai a sfogliarlo nel tentativo di scoprire chi fosse quella ragazza misteriosa finchè un rumore assordante mi fece balzare sul divano.
Era lo Styles che aveva lasciato cadere un scatolone pesante pieno di foto e fogli vari. Cupo piu' del solito, mi fissava con gli occhi sbarrati dalla rabbia. Avevo paura , mi sentii terribilmente in colpa per aver tradito la sua fiducia. E il terrore in me aumentò copiosamente al suono delle sue disperate e tradite parole: “Non dovevi farlo”.

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Capitolo 10
*** Stole My Heart ***


Cosa avevo combinato? Era possibile che fossi riuscita a rovinare tutto? Ero sempre stata una calamita per guai, danni o casini vari ed era una mia dote nascosta quella di distruggere sogni, aspettative, storie prima ancora che queste venissero a crearsi.
Lasciai nuovamente cadere il libro e, paralizzata dalla paura non riuscii a dire una parola se non
"Harry.. m-mi dispiace". le mie mani sudavano e tremavano contemporaneamente, i miei occhi sbarrati stavano cominciando ad inumidirsi e, nel petto, si stava formando una voragine vertiginosa. Harry Styles era lì, immobile, davanti a me che mi fissava con uno sguardo terrificante, spaesato, tradito. Percepivo la sua lotta interiore, il rincorrersi e lo sgretolarsi dei suoi sentimenti. In due minuti ero riuscita ad infrangere tutta la fiducia che una persona aveva posto in me. Non riuscivo a vederlo così, stava morendo dentro ed io non potevo permettermi di perderlo.
"Harry, davvero.. sono mortificata!" ripetei. La sua espressione di ghiaccio, ferma e cupa su di me diventava man mano letale, e piu' lui stava zitto e piu' il suo silenzio mi logorava l'anima, bruciando dalle radici tutta la mia essenza.
In quella situazione indefinita non c'eravamo piu' ne io nè lui. La mia persona era sovrastata da un sentimento di colpa immenso e da un rimorso tale da farmi rimpiangere di essere andata da lui quella sera; e, al posto di Harry Styles vi era un'ombra grigia e tenebrosa, tradita nell'orgoglio e ferita laddove non era permesso a nessuno di entrare. Ed ecco che, mentre ero assorta nel mio dolore, lasciai cadere involontaria ed inesorabile la prima lacrima.
Feci un passo in avanti ed allungai la mano destra affinchè lui capisse che volevo rimediare al danno provocato. Lui strinse i pugni.
"Vattene subito da casa mia" mi rimproverò, severo. Era la prima volta che lo vedevo così ed era la prima volta che lo temevo seriamente. Io non mi mossi; le lacrime avevano ormai inondato il mio viso e il trucco scorreva lento sulle mie guance, ma non mi interessava.
Lo Styles fece un passo in avanti impetuosamente e mi afferrò per i polsi con una ferocia tale da provocarmi un dolore immane. Con la mano restante raccolse il libro.
"Volevi leggere questo? EH? Volevi sapere quali erano i miei segreti, come tutti gli altri?" Mi rivolse un sacco di accuse infondate e, mentre mi vomitava contro un fiume nero di parole, scoppiò a piangere.
"Io mi stavo quasi per fidare di te. L'unica persona della quale mi stavo fidando cosa fa? Mi tradisce ancor prima di conoscermi! Volevi spiattellare a tutta la scuola le mie debolezze? Beh chi se ne frega, VAH e fallo. Ormai sei niente per me".
Quelle parole peggio di una lama mi trafiggevano il cuore da parte a parte e ferme percorrevano i contorni della mia anima, cercando di separarla definitivamente dal mio corpo.
"Harry.. non volevo.. te lo giuro!" cercai disperatamente un appiglio in quella tempesta crudele. Mi lasciò i polsi doloranti ed iniziò a strappare le ultime pagine del libro:
"Volevi sapere di chi mi ero invaghito completamente? Volevi dirlo al mondo intero, farmi passare da inutile pezzo di merda per rovinarmi la vita? E' questo che volevi? COMPLIMENTI, italiana, ci stai riuscendo" continuò lui, in preda alla rabbia. Io non riuscivo a muovermi, non capivo come una situazione bellissima potesse essersi mutata con tanta facilita in un mare di lacrime perfide e taglienti. Ripetevo "Basta, ti prego" fra un singhiozzo e l'altro mentre lui mi rivoltava contro accuse ed insulti da me meritati per averlo abbandonato. Era fermamente convinto che io avessi sbirciato nel suo libro per poter usare quei segreti contro di lui: beh inizialmente lo avrei fatto, ma in quel momento volevo solo comprendere cosa affliggesse la sua anima. Avrei voltuo spiegargli tutto ciò, mentre lui tremava dalla collera, ma il mio orgoglio, le lacrime, la paura mi avevano reso muta ed inerme.
Mi alzai improvvisamente ed iniziai a correre. Scesi al piano di sotto salutando velocemente e corsi in strada. Il pianto mi bruciava gola e occhi, avrei voluto non essere mai venuta a Londra e desideravo ardentemente scomparire per sempre.
Entrai in casa piangendo e mi diressi senza dire una parola in camera mia. Mi tuffai sul letto, cercando di soffocare tutti quegli innumerevoli pensieri nel cuscino il quale riusciva solo ad inumidirsi. Lo afferrai e lo scaraventai contro l'armadio: nel tragitto urtò delle cornici, che caddero a terra infrangendosi, come il mio cuore, in mille pezzi. La mia stanza era buia, illuminata solo dalla luna, il quale bagliore, indicava le foto che avevo appena buttato in terra. Mi avvicinai a ciò che ne restava: presi una di quelle foto, tagliandomi le mani con i vetri rotti che la ricoprivano, ma non mi interessava. La luce della luna illuminava i lividi che mi circondavano i polsi, segno indelebile del mio tradimento nei confronti del mio nemico-amico; nel frattempo, il sangue iniziava a fuoriuscire dalle ferite che mi stavo provocando frugando fra l'ammasso di vetri. Nelle foto c'ero io da piccola: io con mia madre, io con mio padre, con i miei nonni. C'ero sempre io con intorno tutte le persone che mi volevano veramente bene. Avrei per caso tradito anche loro? Sarei stata così meschina da infrangere tutte le promesse che ci eravamo fatti? Iniziai a strappare tutte le foto che avevo. Non avrei voluto rivedere piu' la mia faccia felice in quanto non me lo sarei meritata. Alzai gli occhi verso la casa dello Styles, esattamente di fronte a casa mia; le finestre erano chiuse e ovviamente lui non era lì.
L'avevo fatta grossa solo a causa del mio odiosissimo egoismo. E chissà quante altre anime avrei spezzato a causa del mio orgoglio. La mia essenza si stava scindendo in due: percepivo la parte buona di me che stava pagando tutta la negatività della parte crudele la quale, meschina, rideva compiaciuta. Non potevo permettere a me stessa di tradire altre persone che si fidavano ciecamente di me.
Afferrai un pezzo di vetro e lo strinsi con tutta la violenza che avevo in corpo, come se volessi purificarmi anche il sangue. Mi alzai e mi diressi verso lo specchio. La ferita nella mia mano destra era profonda e nera, come il vuoto che incombeva dentro di me.
La mia immagine riflessa era terribile: il mio volto era un intruglio misto fra rimmel e lacrime, i miei vestiti erano strappati ed insanguinati. I capelli si erano tramutati in una chioma di paglia che mi copriva il volto e le mie mani livide e impregnate di sangue erano immobili. Mi spostai i capelli dal viso, riempendo anch'essi di quel liquido rosso, per vedere meglio la faccia della vigliacca, della traditrice.
Ed ecco i miei occhi grandi e gonfi, ricoperti di matita sbavata..e la mia bocca semi aperta aveva il rossetto sbiadito, come la mia coscienza. Come se fossi presa da un attimo di pazzia, iniziai a ridere di gusto: ridevo di me, delle due parti che formavano la mia anima. Ridevo per la collera, per l'ansia per la paura. Ma soprattutto mi beffeggiavo della mia debolezza.
Alzai la mano destra e la osservai. Ripercorsi mentalmente i lividi che la circondavano e lasciai cadere il pezzo di vetro in terra. Con l'altra mano accarezzai tremando la ferita che vi si era formata all'interno. Il dolore lancinante ormai era diventato pressochè inesistente e mi stavano mancando le forze.
Alzai nuovamente lo sguardo allo specchio: iniziai a piangere e a urlare dalla rabbia e, con tutta la potenza restante, scagliai un pugno contro di esso, il quale si frantumò e cadde a terra, insieme a me, per lo sforzo.
Da quel momento la visione si appannò improvvisamente. Le pareti iniziarono a muoversi e a sdoppiarsi e l'unica cosa che riuscivo a sentire, mentre ero sdraiata in quel lago di sangue, lacrime e vetri, era la voce terrorizzata di mia nonna che gridava aiuto al telefono.
Non c'era piu' la collera o la paura: l'atmosfera era diventata calma e pacata. Non capivo dove mi trovassi; riuscivo solo a percepire uno strano senso di pace.
Ed il rimorso che tanto incombeva dentro di me, si era tramutato in un profondo e silenzioso vuoto.

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Capitolo 11
*** Na Na Na ***



Quello che accadde dopo il mio presunto svenimento fu un enorme punto interrogativo: mi svegliai così, di punto in bianco, in un letto in ospedale. La testa mi pulsava terribilmente, avevo la gola secca e completamente disidratata e tenevo gli occhi aperti a fatica. Riuscii a malapena a schiuderli, quanto bastava per vedere il volto di mia nonna lì, a due passi.
"Tesoro, come ti senti?" La sua calma apparente era chiaramente forzata. Nonostante facessero di tutto per non sembrarlo, mia madre e lei erano identiche: ansiose fino al midollo, ossessive/possessive e soprattutto ipocondriache.. veramente l'ideale, pensandomi in quelle condizioni.
Cercai di alzare lo sguardo verso di lei ma la luce bianca ed accecante della stanza non me lo permise piu' di tanto; provai così a tirarmi su per vedere in che condizioni fossi.
"Oh no, no.. stai tranquilla a letto, vado ad avvertire l'infermiera che ti sei svegliata" continuò la nonna. L'unica cosa che riuscissi a vedere in quelle condizioni era la terribile camicia da notte che indossavo: tutta bianca e informe, la classica casacca che mettono addosso ai ricoverati.. da ospedale insomma. Avevo  inoltre una fastidiosissima mascherina per l'ossigeno, qualche flebo e le braccia e le gambe piene di fasciature.
La mia curiosità era assillante, volevo vedere cosa nascondevano quelle enormi ed ingombranti garze ma, sfortunatamente, le forze non erano sufficienti. Subito accadde ciò che temevo con tutta me stessa: iniziò a pizzicarmi terribilmente il naso. Tentai, invana, di muovere le braccia una seconda volta, provai a muovere la testa affinchè il naso si strusciasse con la mascherina per l'ossigeno.. iniziai perfino a fare smorfie ridicole nel tentativo di placare quel prurito, ma niente. Ed ecco che arrivò l'infermiera, la quale, vedendomi in quelle condizioni, in una manovra vergognosa si avvicinò e mi grattò il naso, mentre a mia dignità andava scemandosi pian piano. Con un sorrisetto soddisfatto e fastidioso, si mise a controllare lo schermo accanto alla mia testa:
"Perfetto tesoro, stai recuperando le forze." Le forze? Ma com'era possibile che non riuscissi a muovermi nemmeno di un centimetro? Che mi era successo esattamente? E a dirla tutta non potevo nemmeno parlare: al posto di parole dalla mia bocca uscivano solo sussurri senza senso.
"tranquilla, ora arriverà il tuo medico curante e la fisioterapista. Ti spiegheranno tutto loro" e così dicendo l'infermierà se ne lavò le mani e mi lasciò, con mia nonna, in balia della mia curiosità. Non feci in tempo a guardarla che subito entrarono due persone distinte, mai viste prima.
"Chelsea, io sono Noah il tuo medico curante. E lei è Rebecca, la fisioterapista che ti accompagnerà in questo percorso di riabilitazione." aggiunse l'uomo. Era discreto, alto, moro con gli occhi scuri, mentre la donna era essattamente l'opposto: bassa, grassoccia, con i capelli corti e biondi.
Il mio sguardo confuso e menefreghista evidentemente gli fece capire che non mi interessava sapere chi fossero queste due figure ridicole nè tantomeno volevo farmi "riabilitare" senza prima aver saputo cosa mi stava succedendo. I due si guardarono ed entrambi volsero il loro sguardo verso mia nonna, la quale fece un piccolo cenno di consenso con la testa.
"Vedi, Chelsea... l'altra sera hai perso molto sangue" Iniziò il dottore, con tutta la calma e la cortesia necessaria in quelle situazioni.
"L'altra sera?" Riuscii a sussurrare. Perchè mi stava parlando di una sera remota? Tutta quella confusione mi pareva fosse accaduta il giorno prima, o mi stavo sbagliando? Quanto avevo dormito?
"Si cara. Quando sei caduta dalle scale della soffitta, sicuramente per un calo di zuccheri, hai battuto una bella botta" continuò mia nonna accarezzandomi la mano, per tenermi il piu' tranquilla possibile. Ah. Si, quindi io ero caduta involontariamente a causa di un calo di zuccheri.
"Abbiamo tolto tutti i vetri e cercato di rimediare alle infezioni.. ma per fare ciò abbiamo dovuto tenerti sotto anestesia per un bel po'. Ora solo le 14.20 di lunedì pomeriggio". In poche parole mi avevano sedato come si fa con gli animali per non farmi patire, per un giorno e mezzo. Comunque fosse, non riuscivo a capire se mia nonna avesse inteso che quelle ferite erano in qualche modo volontarie e che, la scusa della caduta dalle scale non reggeva neanche un po'.
"Probabilmente ancora non sentirai dolore, dato che dovrebbe essere in circolo la morfina. In fondo, hai subito delle operazioni abbastanza complesse.." continuò il dottore "quindi probabilmente sentirai fastidio quando l'effetto della morfina finirà". Perfetto. L'uomo discreto stava cercando di dirmi, con parole fastidiosamente dolci e misurate, che dovevo prepararmi psicologicamente a dover sopportare un dolore atroce. La discussione continuò per poco, fra le domande assillanti di mia nonna, la pazienza snervante del dottore e la mia totale assenza.
Dopo poco iniziai la riabilitazione con Rebecca, la quale era sempre sorridente e mi faceva ridere. Era carina, nonostante a prima vista potesse sembrare una vipera odiosa, era molto dolce e spiritosa.
La fisioterapia durò per un paio d'ore; quando l'anestesia finì del tutto, riuscii nuovamente a parlare in un modo decente e a muovere braccia e gambe.
"Ovviamente ancora sei troppo debole per tornare a casa. Io ritorno qui domattina e, se riusciremo a lavorare come oggi, domani l'altro sarai pronta per tornare perfino a scuola." mi riferì Rebecca, e sempre sorridendo se ne andò.
Quella sera venne anche il nonno a trovarmi; giocammo a briscola, scopa, scala 40, poker.. con le carte non c'era storia: il nonno era un genio. Riusciva sempre ad anticiparmi, a capire quale sarbbe stata la mia mossa seguente e indovinava perfino che carte avessi in mano.
Lentamente si fece sera ed io obbligai i miei nonni ad andarsene: tanto sapevo che non se ne sarebbero andati se non glielo avessi praticamente imposto io. Sarebbero tornati dopo cena ma almeno io avevo un po' di tempo libero per riflettere; sentivo proprio il bisogno di pensare a questi giorni, con mente lucida. Nel frattempo l'effetto della morfina era sicuramente finito in quanto il dolore iniziava a diventare veramente fastidioso.
Mi trovavo già sulla sedia a rotelle, non volevo fare la coraggiosa e nemmeno per un secondo pensai ad alzarmi. Mi diressi alla finestra, per osservare il panorama: la notte londinese era lo sfondo che in assoluto preferivo. Tutte le stelle che sbucavano timide dalle nuvole, quella luna immensa che fiera primeggiava su tutto e tutti rendevano quel paesaggio indimenticambile e assolutamente fantastico. Mentre ero assorta nella meraviglia del luogo, scorsi la mia figura leggermente riflessa al vetro: ero spettinata ed avevo gli occhi gonfi e rossi. Il viso scarno e sofferente racchiudeva in sè il dolore fisico e mentale che dovevo obbligatoriamente sopportare. Incuriosita ed approfittando del momento di solitudine mi diressi verso il bagno e mi misi davanti allo specchio; nel volto non c'erano segni che mi ricordassero cosa mi fosse successo qualche sera prima, tranne un taglietto che mi attraversava il sopracciglio sinistro e un accenno di livido sotto l'occhio. Voltai leggermente la testa di profilo: nel collo avevo una garza bianca abbastanza ingombrante, ma non mi dava poi così tanta noia. Mi guardai poi le gambe:  un piede era completamente fasciato mentre l'altro aveva dei segni ovunque. Le ginocchia erano livide e piene di squarci tenuti insieme da dolorosi punti.
Mi venne quasi da ridere: ero riuscita a massacrarmi cadendo su una cornice. Era ridicola la situazione ma allo stesso tempo pungente. Infine mi guardai le braccia: erano completamente fasciate, lasciando al di fuori solo le dita. La mia curiosità si fece terribilmente assillante: iniziai a togliere le fasciature dapprima con calma, poi aumentando lentamente e, successivamente, con una ferocia aggressiva finchè non iniziai a scorgere le prime ferite: lunghi squarci rossi mi attraversavano gli avambracci, sempre uniti da una serie composta ed uniforme di punti. L'enorme e profondo taglio sulla mano destra era purpureo e pulzava in continuazione e, i polsi, erano circondati dai lividi viola che, inesorabilmente, riportavano la mia memoria ad una persona in particolare. Iniziai ad accarezzarli nella speranza di poter immaginare il suo volto, ma piu' premevo su di essi e piu' mi avvicinavo al suo ricordo. E piu' li guardavo e piu' il dolore lancinante del suo sguardo assassino mi logorava dall'interno: ed io, masochista, continuavo a fissarle per tenere in vita l'immagine che io mi ero creata di lui.
Mentre ad occhi chiusi assaporavo la sua memoria, sentii un rumore improvviso. Qualcuno si era appoggiato alla porta del bagno, la quale si era leggermente aperta, cigolando rumorosamente. Qualcuno aveva interrotto quel momento di riflessione, scoprendo tutte le mie ferite e cogliendomi il flagrante nel tentativo di togliermi tutte le fasciature.
Feci un respiro profondo e, timorosa, mi voltai.

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Capitolo 12
*** Up All Night ***


"E tu chi sei?" aggiunsi perplessa. Sapevo che quell'ombra dietro di me non sarebbe stata quella di Harry Styles anche se, in fondo, lo speravo con tutta me stessa.
"Oh c-ciao, scusa n-non volevo disturbarti" rispose l'intruso. Era un ragazzo molto carino, alto, biondo, con gli occhi chiari; mi dava l'idea di essere un po' timido ed anche impacciato, forse perchè in quel momento era nel panico piu' totale e sicuramente in imbarazzo.
"Mi chiamo Niall Horan, frequento la tua stessa scuola.. i miei genitori sono molto amici dei tuoi nonni e sono stati loro ad avvertirci.. mi faceva piacere conoscerti ma se disturbo me ne vado subito" riprese il ragazzo per giustificarsi.
Io continuavo a guardarlo un po' dubbiosa; cosa ci faceva lì? quello che mi aveva appena detto pareva una balla colossale in quanto sembrava che volesse salvarsi subito la pelle, bensì io non glielo avessi proprio chiesto.
"Come hai fatto ad entrare? Potrebbero entrare solo i parenti da una certa ora in poi..e forse nemmeno quelli" chiesi, nel tentativo di scoprire quale fosse veramente il suo scopo. Il biondino iniziò a ridacchiare: gli si illuminava il viso quando sorrideva ed era strano come lui mi ispirasse totale fiducia ed affidabilità.
"Ho le mie conoscenze!" continuò lui. Poi smise di ridere, fissò lo sguardo sulle mie braccia livide, doloranti e scoperte ed aggiunse:
" Ma quelle non dovrebbero essere fasciate? Rischi delle belle infezioni altrimenti".
Subito mi voltai verso le mie ferite: per un attimo mi ero quasi dimenticata di avere degli squarci lungo tutto il corpo ed avevo perso completamente la cognizione del tempo. A momenti sarebbero tornati i dottori o i miei nonni e se mi avessero visto le braccia nude, senza protezione, si sarebbero giustamente innervositi. Senza dire una parola provai a rimettere insieme le garze. Anche se ogni minimo movimento mi provocava un dolore disumano, non avrei certo chiesto aiuto a quello sconosciuto; la mia dignità e il mio orgoglio erano troppo grandi ed imponenti per chiedere della carità ad un ragazzo biondo.
"Vuoi una mano?" mi chiese educato. Non lo guardai nemmeno e scossi la testa. Di nascosto, per fargli vedere il meno possibile che ero in difficoltà, mi mordevo il labbro inferiore con ferocia, affinchè il dolore si spostasse lì e mi facesse dimenticare il resto del corpo. Il ragazzo sorrise nuovamente.
"Ci trovi qualcosa di divertente?" aggiunsi, scocciata. Lui si avvicinò e si inginocchiò per essere all'altezza della sedia a rotelle ed iniziò ad armeggiare con le mie fasce e garze, sempre con quel fastidiosissimo sorrisetto.
"Sono bravissimo con le garze, da piccolo volevo diventare un medico" terminò e, in due minuti, mi aveva risistemato la fasciatura perfettamente. Sbalordita lo guardai.
"Prego" affermò, senza che io gli avessi detto niente.
Perfetto. Questo sconosciuto sapeva anche leggermi nel pensiero. Mi spostai lentamente e mi trascinai con la carrozzina nella stanza, vicino alla finestra. Impulsivamente decisi di voler conoscere piu' a fondo questa specie di "angelo biondo e sorridente", e lui, come se mi avesse nuovamente letto nella mente, si sedette nella poltroncina di fronte a me, senza dire una parola.
"Io ti ho già visto da qualche parte.. come hai detto che ti chiami?" gli chiesi fingendo un'aria menefreghista.
"Niall Horan" rispose subito "te l'ho detto, siamo nella stessa scuola, io ti ho visto spesso girare per i corridoi e anche a lezione". Anche se non mi ero accorta prima di lui, il suo volto non mi era nuovo, ero sicura di averlo già visto da qualche parte.. ma non riuscivo a ricordare: lo associavo inconsciamente a delle figure oscure, delle quali non riuscivo ad immaginare l'identità.
Iniziammo a parlare del piu' e del meno e subito mi dovetti ricredere su di lui: era un ragazzo carino e gentile, non aveva scopi oscuri o nascosti, sembrava quasi che gli importasse davvero di come stessi. E, se all'inizio poteva sembrare un po' timido ed introverso, dopo una decina di minuti si era già aperto, raccontandomi della sua famiglia, del rapporto che aveva con i miei nonni e della sua passione per il canto.
"Ah tu canti?" gli chiesi interessata.
"Si.. per hobby piu' che altro. Mi sono segnato anche al provino a scuola.. e anche te a quanto ho visto!" mi rispose. Eccoci, evidentemente non sapeva che io ero stata cancellata dalla lista.
"No, no.. io non canto, non ne sono capace e non ho il giusto carattere. E' stato un errore quello dell'iscrizione, uno scherzo infame.. ma ho già provveduto alla mia cancellazione dai provini" aggiunsi seccata.
La piacevole chiacchierata durò per una decina di minuti, poi fummo interrotti dall'arrivo dei miei nonni.
"Niall, che piacere vederti!" disse carina la mia nonna "vieni, mangia con noi un pezzo di crostata, è deliziosa"
"No grazie mille signora ma adesso devo proprio scappare. Ero venuto solo a vedere come stava Chelsea" disse sempre mostrando il suo dolcissimo sorriso, agguantando il giubbotto e dirigendosi verso la porta.
"Torni domani Niall?" non era da me fare questo genere di richieste. Il mio orgoglio me lo aveva sempre proibito; eppure sentivo il bisogno di passare del tempo con lui. Era come se il mio inconscio mi stesse spingendo verso la sua direzione per trovare delle risposte a non so quali domande. La sua presenza era una calamita invisibile e il suo carisma mi faceva perfino dimenticare il dolore assillante che proveniva dalle mie ferite.
Lui sorrise: "Certo che torno.. dopo scuola, così ti porto anche gli appunti" e detto ciò, se ne andò.
Mentre ripensavo a quello strano ragazzo sbucato dal nulla, mi avvicinai alla finestra. La luna che prima governava il cielo londinese, ora era nascosta sotto spessi nuvoloni neri e qualche goccia di pioggia stava iniziando a cadere. Vidi Niall correre dal portone dell'ospedale verso un automobile che lo stava aspettando proprio lì davanti. Mi venne spontaneo ridacchiare della sua goffaggine in quanto non era capace di aprire lo sportello dell'auto, e il guidatore dovette scendere per aiutarlo.
Ed ecco che una fitta improvvisa mi colpì dall'interno. Non era una sensazione nuova, anzi: in quei giorni l'avevo sentita spesso, seguita da brividi di freddo.
Il guidatore della macchina era una figura strana: aveva il cappuccio eppure, in una frazione di secondo, riuscii ad incrociare il suo sguardo. Forse anche lui si era accorto di me, in quanto per un attimo si era fermato e guardava nella mia direzione. Improvvisamente, come se si fosse svegliato da un sogno, si voltò di scatto e rientrò in macchina, svanendo nell'ombra insieme al mio nuovo amico.
- Eppure quella figura non mi è nuova..- Ripensai a Niall, alla scuola e alla sensazione precedente.
Sobbalzai all'indietro e sgranai gli occhi. Ecco dove avevo visto Niall Horan: nel gruppo dello Styles. Era uno dei suoi migliori amici, come avevo fatto a non ricordarmelo prima! E quella sensazione di prima, nello scorgere quella strana figura che guidava la macchina, l'avevo provata solo quando gli occhi di Harry Styles si erano incrociati con i miei.
E se fosse stato veramente lui a guidare quella macchina? E se fosse stata veramente lui la persona che era venuta a riprendere il mio nuovo amico?
Perfetto: prevedevo un'altra lunghissima, dolorosissima nottata in bianco.

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Capitolo 13
*** Save You Tonight ***


La notte passò abbastanza velocemente: riuscii a dormire anche se ogni due ore mi svegliavo di soprassalto, in quanto ero continuamente assillata da incubi o preoccupazioni varie. Fui svegliata dall'urlo di Madison.

“MA TE SEI COMPLETAMENTE IMPAZZITA!”. Aprii gli occhi con difficoltà per scoprire il volto di colei che osava interrompere i miei sogni.

“Maddy.. buongiorno” sussurrai fra uno sbadiglio e una stiracchiata.

“BUONGIORNO? Io non posso lasciarti sola un minuto e tu manca poco ti ammazzi?” mi rimproverò. Eccoci, mi aspettava una ramanzina lunga una giornata intera.

“e poi io non sapevo niente fino a stamattina, è questo il problema.. il fatto che io abiti dall'altra parte della città mi esonera da news o tragedie varie” continuò la mia amica. Da una parte odiavo le sue lamentele, soprattutto perchè erano le 8 e mezzo di mattina, mentre dall'altra parte mi faceva piacere che lei si preoccupasse per me. Dopo 10 minuti smisi di ascoltarla in quanto era come se stesse rimproverando se stessa di non avermi tenuta d'occhio; sembrava che si sentisse in colpa per qualcosa che avevo fatto io e questo mi dispiaceva.

“.. e poi è assurdo, se non avessi costretto con la forza Zayn a parlare io a quest'ora sarei andata a scuola normalmente, pensandoti malata!”. Nel suo fiume di parole rimasi colpita solo dal nome di “Zayn”.

“Zayn? Come fa a saperlo lui?” le chiesi turbata. Lei si zittì improvvisamente ed iniziò ad arrampicarsi sugli specchi.

“non dovrei dirtelo Key, nemmeno io potevo saperlo! Gliel'ha detto Harry” confessò. Quindi Harry sapeva cosa mi fosse successo! E nonostante ne fosse perfettamente al corrente non si era minimamente interessato a me. Al suono del suo nome mi si strinse la gola; mi faceva male ricordarmi il suo volto ma mi feriva ancor di piu' sapere che a lui non interessava la mia salute. In fondo, se io ero in quelle condizioni e parevo una mummia era in parte anche colpa sua.

Ripensai a lui, a noi e ai momenti che, anche se brevi, avevano reso indimenticabile i miei primi giorni londinesi: ed ecco che un fiume di lacrime iniziò a scorrere, inesorabile. Mi voltai dall'altra parte affinchè Madison non mi vedesse: se c'era una cosa che detestavo con tutta me stessa, era la gente che provava compassione nei miei confronti. Madison evidentemente era brava a capire le persone in quanto, essendosi accorta della mia reazione, non disse una parola a riguardo: si alzò e si diresse verso la porta.

“Hey, il mio numero ce l'hai. Io vado a scuola, entro alla seconda ora. Torno domani, mi raccomando Key non fare cazzate” e con il suo atteggiamento amichevole se ne andò.

Volevo un gran bene a Maddy e me ne accorsi soprattutto in quell'occasione: era davvero una bella persona ed io le ero grata per tutto.

La mattinata trascorse fra lacrime, fisioterapia e tanto dolore. Le ferite mi pulsavano terribilmente ma almeno ero riuscita a farmi togliere quelle fastidiosissime flebo. Iniziai a rimuovere le braccia con sorprendente facilità e feci anche qualche passo in stile “miracolata”, piegando leggermente le gambe. Non vedevo l'ora di comunicare i miei miglioramenti al mio nuovo amico, il quale stava tardando ad arrivare. Nel frattempo ricevetti numerosissime telefonate e messaggi da parenti italiani, nuovi e vecchi amici che volevano sapere cosa mi fosse successo.

Dopo pranzo mi affacciai alla finestra per vedere se riuscivo a scorgere Niall che, impacciato, usciva da qualche macchina, anche se una parte di me ancora cercava disperatamente lo sguardo pungente di Harry Styles.

Cercavo con tutta me stessa di dimenticarlo, ma allo stesso tempo ero terribilmente legata a lui: lo desideravo, lo pensavo, lo cercavo. Ogni cosa mi ricordava il suo volto ed ogni singola mossa che facessi mi riportava con la mente a qualche giorno prima.

“Hey, ti sei incantata?”. Una voce mi svegliò dal mio sogno apparente.

“Niall!” esclamai felice. Era strano come la sua presenza mi mettesse serenità: era un ragazzo carismatico e, anche se non lo conoscessi poi così bene, riusciva a farmi sentire più “leggera” solo grazie al suo splendido sorriso.

“Pensavo ti fossi dimenticato di venire” bofonchiai. Lui sorrise ancora e tirò fuori dallo zaino dei quaderni.

“come potevo dimenticarmi di te! Ho una valanga di appunti da farti copiare! Ma qua dentro fa troppo caldo.. Vieni c'è il sole fuori, ti spingo io!”. Non riuscivo a capire cosa volesse fare finchè non iniziò a spingere la sedia a rotelle verso l'esterno.

“Ma che fai, non posso di certo uscire così!” lo rimproverai, indicando la mia camicia da notte informe ed incolore e le mie enormi pantofole a forma di coniglio. Lui iniziò a ridere, un po' per prendermi in giro e un po' per far si che io mi fidassi di lui; mi diede la sua giacca e ci avviammo verso il giardino esterno.

L'ospedale era circondato da un enorme giardino dove i ricoverati potevano passeggiare, leggere, rilassarsi; c'era il parcheggio da un lato e lo spazio per i più piccoli dall'altro, con scivoli ed altalene. I tavolini e le panchine per chi volesse scrivere o giocare a carte o scacchi si trovavano nel centro, sotto dei bellissimi loggiati in pietra coronati da imponenti piante rampicanti.

Ci dirigemmo proprio lì: mentre io ricopiavo gli appunti lui cominciò a parlare e a raccontarmi della giornata. La prima cosa che mi risultò strana era come lui parlasse di tutti tranne di Harry: mi raccontava di quello che avevano fatto a chimica, matematica, letteratura e di come lui si fosse addormentato sul banco.. descriveva per filo e per segno la partita di rugby fatta ad educazione fisica.. mi parlava di tutto\tutti tranne del mio nemico.

“Ma.. a scuola hanno chiesto di me?” iniziai a girare intorno alla fatidica domanda che volevo porgli.

“Certo, praticamente tutti! Sei la ragazza nuova che è riuscita maggiormente a far parlare di sé!” mi riferì Niall, ridendo.

Finsi una risata il piu' spontanea possibile e continuai con l'interrogatorio.

“Ma tu l'hai detto a qualcuno?”

Lui alzò il sopracciglio sinistro, mantenendo sempre il suo sorrisetto semi-ironico.

“No.. cioè si, fra una chiacchiera e l'altra è possibile che abbia detto qualcosa”. Sembrava leggermente agitato, come se mi stesse nascondendo la verità. Lasciai completamente da parte gli appunti e costrinsi il mio amico a parlare:

“Beh.. Harry chiede tantissimo di te, anche se non vuole darlo a vedere.. manda perfino sua sorella a domandarmi delle informazioni! Ma mi è stato tassativamente proibito di parlarne con te” mi rispose. Allora Harry Styles si interessava alla mia salute, nonostante il suo orgoglio glielo impedisse; non male, era un passo avanti anche se non riuscivo a capire come mai non fosse mai venuto a trovarmi. Nel frattempo la fitta al petto si era ripresentata puntuale come un orologio svizzero al suono del suo nome. Non dissi una parola, non volevo sentirmi dire quanto lui fosse arrabbiato con me o altre stupide scuse per le quali lui non sarebbe mai venuto a trovarmi. Volevo solo stare con il mio carismatico amico e cercare di dimenticarmi del resto del mondo.

Continuammo a chiacchierare del piu' e del meno finchè lui non dovette tornare a casa. Mi accompagnò alla camera e se ne andò dandomi un bacio in fronte e promettendomi che sarebbe tornato il giorno dopo, con una nuova barcata di compiti e chiacchiere solo per me.

Quando se ne andò, la tentazione di affacciarmi alla finestra per riuscire a scorgere la figura di Harry Styles fu terribile. Il desiderio di vederlo nuovamente mi bruciava nelle vene e a stento riuscivo a trattenermi. Feci un respiro profondo: veramente volevo che il mio nemico continuasse a tormentarmi l'esistenza anche senza far niente? Volevo continuare a logorarmi l'anima solo per uno sguardo? Non credevo ne valesse la pena. E così dicendo, decisi di chiudere le persiane e di fare una partita a carte con mia nonna mentre, a fatica, cercavo di cenare.

La notte mi sentii male: avevo caldo, sudavo, e mi mancava l'aria in continuazione. Non sapevo che ore fossero ma sentii il bisogno di alzarmi e andare a prendere una boccata d'aria in terrazza. Era buio e l'unica cosa che riuscissi a vedere era la strada che stavo per percorrere, perfettamente illuminata dal chiarore della luna che curiosa, faceva capolino dalle nuvole nere. Mi misi a sedere sulla sedia a rotelle senza difficoltà: evidentemente ero diventata proprio brava ed ,ormai, quel movimento mi risultava quasi automatico. Così uscii: il vento freddo mi sfiorava appena ed era come se avessi una sottospecie di barriera intorno che impedisse a qualsiasi cosa di toccarmi. L'aria, la pioggia.. non avevo nessuna sensazione, e non riuscivo a provare niente se non una strana angoscia.

Mi avvicinai al muretto e lentamente mi alzai in piedi. Non ero sorpresa di riuscire a reggermi miracolosamente in piedi, senza l'aiuto della fisioterapista.. forse perchè avevo una gran fiducia in me stessa anche se non lo davo a vedere, ed ero sicura che sarei riuscita a rialzarmi in piedi con le mie sole forze.

Improvvisamente sentii una presenza dietro di me: un mattone nello stomaco iniziò a strozzare parole e lacrime ed io non riuscivo nemmeno a girarmi. A dire il vero non provavo nessuna emozione precisa, ma avevo solo il bisogno di sentirmi libera, lasciandomi in balia del vento notturno. Continuai a fissare il panorama davanti a me, appoggiando saldamente le mani sul muretto: percepivo l'avvicinarsi ed il respiro profondo della figura alle mie spalle ma non volevo né riuscivo a voltarmi. Non mi interessava sapere chi fosse quella persona che mi osservava da dietro, forse perchè in fondo sapevo benissimo di chi si trattasse.

L'ombra silenziosa avvicinò il suo corpo al mio, facendolo combaciare perfettamente; il suo profumo era intenso e mi aveva circondato e drogato allo stesso tempo, facendomi chiudere gli occhi in automatico, al contatto. L'ombra poteva leggere la mia anima: sapeva quello che stavo provando e poteva interpretare al meglio ogni mia sensazione.

Con delicatezza iniziò a passare le dita fredde sui miei avambracci nudi: partì dalle spalle, scivolò dolcemente sulle mie ferite, soffermandosi sui lividi che ancora mi dolevano, fino ad arrivare alle mie mani. Poggiò le sue sopra le mie e le intrecciò in modo che anche io potessi percepire la sua essenza. Istintivamente indietreggiai la testa, poggiandola sulla sua spalla a stretto contatto con il suo viso e, sempre tenendo gli occhi chiusi, spontaneamente sorrisi. Stavo cercando la mia libertà lì, in quel momento, lasciandomi andare nelle braccia di un apparente sconosciuto ed essendo guidata solo dal suo profumo indimenticabile.

Nel profondo era come se conoscessi già l'identità misteriosa di quest'ombra ma non volevo ammetterlo, per paura di perdere quell'attimo precario e di non trovarlo mai piu'.

Rimasi così in silenzio, in balia del vento e dell'ombra, finchè improvvisamente non decisi di aprire gli occhi.

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Capitolo 14
*** Gotta Be You ***


Mi svegliai di soprassalto, spalancando gli occhi e facendo dei respiri profondi come se fossi stata un'ora in apnea. Con mia grandissima sorpresa, ero a sedere nel mio letto di ospedale. Subito mi voltai di scatto per vedere che ore fossero: esattamente le 7 e mezzo.
Ciò voleva dire una cosa soltanto: quella splendida realtà nella quale mi trovavo poco tempo prima era solo frutto di uno dei miei incubi; in sintesi stavo sognando un immagine talmente realistica e veritiera che mi pareva di vederla seriamente. Fui subito assalita da uno stato di rabbia disumana e, se non ci fosse stata mia nonna pronta a calmarmi, avrei sicuramente iniziato ad urlare fino a rimanere senza voce.
Non rivolsi parola a nessuno: né a mia nonna, che pazientemente mi portò anche la colazione a letto, né a Maddy, che puntuale come un orologio svizzero passava a trovarmi tutte le mattine, né alla fisioterapista, né ai medici. Arrivai a pranzo senza dire nemmeno una minuscola ed insignificante parola.
Verso le 14 i miei nonni se ne andarono a casa per il loro riposino pomeridiano ed io, finalmente, rimasi sola. Non volevo comportarmi male con nessuno: in fondo era come se dessi la colpa a loro per non far parte del mio sogno.. o perchè il mio sogno non fosse reale. Mi comportavo da bambina infantile ma la delusione era tale da non permettermi di cambiare opinione sull'inutile realtà nella quale ero costretta a vivere.
Mentre ero assorta nelle mie lamentele infondate, mi cadde l'occhio su un oggetto che brillava vicino alla porta.
Potevo finalmente camminare. Anche se ero ben lontana dal tornare a correre una maratona, almeno mi reggevo in piedi e riuscivo a piegarmi sulle ginocchia; così mi diressi verso la porta, facendo passi brevi e lenti per non aggravare la mia situazione a dir poco precaria. Mi chinai e raccolsi l'oggetto.
Era un braccialetto informe, sicuramente non d'argento. Era banale e semplice, probabilmente di un uomo in quanto era privo di brillantini o colori sgargianti. Decisi di indossarlo e, in attesa di scoprire chi fosse il proprietario, mi misi a sedere sulla poltroncina.
Dopo nemmeno cinque minuti arrivò Niall, con il suo più bel sorriso e con una valanga di compiti da ricopiare.
“Ciao bellezza.. come va?” mi domandò il mio amico. Il suo atteggiamento così ingenuo e docile mi fece dimenticare tutta la rabbia che stavo soffocando dietro al mio silenzio.
“Insomma, potrebbe andare meglio” risposi. Lui iniziò a ridere. Evidentemente aveva sentito mia nonna la quale gli aveva detto che non spiccicavo parola dalla mattina stessa per motivi a tutti sconosciuti; e lui era ovviamente felice che io gli concedessi l'onore di sentirmi parlare.
“Ma che è questa tristezza? Domani torni a casa! Poi fuori c'è il sole e tu sei in tuta...meglio della solita camicia da notte ridicola! Forza usciamo!” mi rimproverò l'amico. Mi stavo dimenticando che il giorno seguente sarei finalmente tornata a casa: avrei lasciato quella nauseante ed insopportabile gabbia e sarei ritornata alla mia adorata quotidianità londinese.
Niall mi prese sotto braccio e mi accompagnò all'esterno, nel nostro solito posto: mentre io copiavo pazientemente gli appunti, lui iniziò a raccontarmi della giornata e dei provini che erano stati rimandati al lunedì seguente a causa di disorganizzazione o cose simili. Poi improvvisamente si bloccò.
“c-che ci fai te con quello?” mi domandò confuso, indicando il braccialetto che avevo trovato qualche ora prima.
“Questo? Ah non ne ho idea, era in terra. L'ho trovato accanto alla porta della mia camera d'ospedale stamani..” gli dissi guardando quasi con disgusto l'oggetto che tenevo al polso. Lui alzò un sopracciglio: evidentemente c'era qualcosa che lo turbava circa quel braccialetto ed io sapevo che mi sarei dovuta informare meglio. Sfortunatamente non feci a tempo a dire nemmeno una parola in quanto lui si alzò in piedi e prese il cellulare.
“Oh cavolo, me ne stavo dimenticando! Devo fare una chiamata Key, torno subito” e così dicendo se ne andò una decina di metri piu' in là, affinchè io non potessi origliare la sua conversazione. Ancora confusa ma con il mio solito atteggiamento da menefreghista, mi tolsi l'oggetto argenteo dal polso e lo avvicinai al viso per osservarlo piu' attentamente.
“che troiaio di gioiello” sussurrai. Lo rigirai per vedere se riuscivo a scorgere qualche dettaglio rilevante, e notai che, all'interno, c'erano incise due lettere: GH.
Ovviamente questo non voleva dire niente, per lo meno per me. Involontariamente annusai il braccialetto; emanava un profumo forte, intenso. Mi era terribilmente familiare in quanto mi aveva avvolto completamente nonostante vi fosse rimasto sopra solo qualche rimasuglio.
Mentre mi sforzavo di ricordare, Niall tornò da me.
“Hey che fai? Ti sei incantata?” mi disse. Scossi un attimo la testa ed aggiunsi
“Cercavo di capire di chi fosse quest'oggetto. Ha un profumo familiare ma le lettere incise al suo interno non mi dicono nulla.. non è che potresti aiutarmi?”
Lui scosse la testa.
“Sarà di qualche infermiere. Sicuramente non è tuo, non te l'ho mai visto al polso in questi giorni, ladruncola!”. In poche parole mi stava accusando di aver rubato un oggetto simile ad un infermiere: ovviamente scherzava, ed infatti cominciammo entrambi a ridere e a prenderci in giro come fanno dei veri amici.
Era bello avere un amico come Niall; lui non era mai invadente e sapeva usare le parole giuste al momento giusto, dosando alla perfezioni dosi sia di leggerezza che di serietà. Il suo sorriso poi era talmente carismatico che bastava che lo guardassi che subito i problemi venivano cancellati, anche se momentaneamente, dalla mia testa.
“Non so come tu faccia ad essere così amico dello Styles, Niall.. sei veramente un bravo ragazzo” gli confessai. Lui stranamente non mi guardò negli occhi, bensì si limitò ad alzare lo sguardo e ad accennare un sorrisetto malizioso.
Come al solito, la giornata passò velocemente solo grazie a lui. Stavo iniziando ad affezionarmi seriamente a quel ragazzo e la cosa non mi dispiaceva affatto: lui e Madison stavano facendo tanto per me ed io dovevo sdebitarmi, in qualche modo.
Niall mi dette il bacio in fronte di sempre, promettendomi che il giorno seguente sarebbe tornato per riaccompagnarmi a casa. Lo strinsi nell'abbraccio piu' forte che riuscissi a fare (nonostante le mie forze ancora scarseggiassero) e lo ringraziai infinite volte per la sua presenza.
Rimasi così con i miei nonni a cenare.
“Oggi è venuta a trovarci Gemma Styles, tesoro.. si scusa per non essere potuta venire a trovarti e ti porta i suoi auguri di pronta guarigione” mi disse mia nonna mentre io provavo ad addormentarmi. Ero terribilmente stanca ma mi sentivo sola, così decisi di andare a letto prima dell'orario di chiusura delle visite, affinchè potessi percepire la voce docile di mia nonna anche mentre ero nel “dormiveglia”.
Sorrisi all'udire il suo nome. Mi faceva piacere che almeno uno dei due fratelli Styles si fosse preoccupato per me.. e Gemma mi stava simpatica, a differenza di Harry.
Dopo un po' smisi di ascoltare le parole di mia nonna: probabilmente era tornata a casa non so da quanto tempo ed io mi ritrovavo sola in quel letto immenso.
Non feci in tempo a voltarmi dall'altra parte che subito percepii la presenza di un'altra persona nella stanza.
Eccoci, stavo ripeteno lo stesso identico sogno, e quella era l'ombra della sera precedente, ne ero certa. Il suo profumo inondava la stanza e mi cullava sicura nella sua direzione. Avevo gli occhi saldamente chiusi, però intuivo ogni suo movimento: lo capivo, lo sentivo, lo anticipavo.
La figura mi toccò il polso nel quale era presente quel braccialetto che avevo trovato il giorno prima e lo percorse lungo tutto il suo bordo. Evidentemente o non dovevo tenerlo, oppure a lui dava fastidio che lo custodissi così, senza motivo.
Successivamente mi passò poi una mano fra i capelli: nonostante fossi terribilmente tentata, non riuscivo ad aprire gli occhi, forse volontariamente, in quanto sapevo che, nel farlo, avrei interrotto quello splendido sogno, come era successo la sera prima.
L'ombra avvicinò il suo volto al mio; percepivo il suo respiro affannoso su di me e il suo odore mi era penetrato nelle vene. Desideravo ardentemente aprire gli occhi per scoprire quella misteriosa persona ma allo stesso tempo non volevo rovinare quel sogno.. volevo e dovevo continuare a viverlo e, per fare ciò, era obbligatorio che tenessi gli occhi chiusi.
Eppure il profumo era così intenso.. lo ricollegai prontamente all'odore che avevo sentito sul braccialetto, il giorno prima: era esattamente lo stesso.
Quindi la misteriosa figura che abitava i miei incubi era anche la proprietaria dell'oggetto argenteo del quale mi ero appropriata. Mentre mi rigiravo fra questi pensieri, la persona mi sussurrò una parola.
“Ciao”.
Subito fui colpita da una fitta al petto: il profumo, il suo respiro profondo su di me, la sua voce.. era tutto così veritiero, anche se ero sicura di trovarmi in un sogno.
Ripensai alla frase che mi disse mia nonna prima di addormentarmi e la ricollegai alle iniziali trovate all'interno del braccialetto. 'Gemma' stava ad indicare sicuramente la lettera G.. e ciò significava solo una cosa: ogni indizio mi riportava solamente ad Harry Styles.
L'adrenalina era troppa e anche solo sognare il suo volto mi fece impazzire; così, al suono del suo nome, sfortunatamente aprii gli occhi.
Rimasi due secondi con gli occhi sbarrati quando mi accorsi che quell'ombra che tanto assillava i miei sogni si trovava realmente davanti a me, anche se non riuscivo a vederla bene a causa del buio.
Il respiro poi mi si strozzò ed il cuore iniziò a battere all'impazzata: un po' per la paura di essermi ritrovata improvvisamente una persona a due millimetri dal mio viso, nel cuore della notte.. ma soprattutto perchè quella persona non era più il frutto di un mio incubo.
Era vera.
Era reale.
Era inesorabilmente Harry Styles.

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Capitolo 15
*** Moments ***



Rimasi immobile con gli occhi sbarrati e il battito cardiaco accelerato. Non riuscivo a parlare, non potevo pensare né tantomeno muovermi.
La situazione era talmente surreale che non riuscivo a capacitarmi. Il volto marmoreo di Harry Styles era lì, davanti a me che, impassibile come al solito, mi puntava senza dire una parola.
'Cazzo, dì qualcosa' ripetevo all'infinito dentro di me, come se un mio pensiero potesse smuovere quell'imbarazzante silenzio.
“Volevo riprendermi il braccialetto, ma vedo che te ne sei appropriata” mi sussurrò abbozzando un sorriso.
Dio quanto era bello vederlo nuovamente ridere! Per un istante eliminai dalla mente tutto quello che era successo: avrei cancellato le ferite provocate, avrei dimenticato il dolore che lui mi aveva inflitto, calpestando così il mio dannatissimo orgoglio, pur di vedere per sempre il suo sorrisetto malizioso.
Sempre spaesata, cercai di giustificarmi, fissando imbarazzata l'oggetto che custodivo tanto avidamente.
“I-io veramente..”
“Tranquilla, sta meglio a te” aggiunse, facendomi capire che le mie parole erano totalmente superflue e che tutto ciò che lui desiderava era il mio silenzio. Si allontanò da me e si sedette verso la fine del letto, dandomi la possibilità di alzarmi e sedermi in maniera educata e civile. Diedi una breve occhiata alla camicia da notte: anche se ero riuscita a sostituire quella dell'ospedale con la mia, era sempre ridicola.
Harry Styles si comportava come se fosse a casa sua: improvvisamente si sdraiò per orizzontale, mantenendo le gambe piegate al di fuori e incrociando le braccia dietro la testa. Fissava un punto fisso sul muro e con una mano si stuzzicava i riccioli.
Io invece continuavo a guardarlo. Non riuscivo a capire cosa volesse da me né tantomeno cosa ci facesse lì, nel cuore della notte. Anche se lui prediligeva palesemente il silenzio, decisi di far luce in quella situazione: lo ammiravo, ma una parte di me era sempre vigile e pronta ad incassare un ennesimo colpo.
“Cosa ci fai qui?” chiesi confusa, con un filo di voce. Lui non si mosse di un millimetro e continuò a rigirarsi i capelli senza curarsi minimamente della mia domanda e calpestando la mia curiosità come se io non esistessi.
“Hey, parlo con te! Come hai fatto ad entrare?” domandai nuovamente, alzando un po' la voce.
A questo punto lui spostò lo sguardo nella mia direzione ed aggiunse, con la sua odiosissima aria da strafottente:
“Che te ne frega”. Ed ecco che, il solito Harry Styles, non aveva perso la sua antipatia; si credeva superiore e cercava di sottomettermi, lasciandomi in balia della mia curiosità.
Era troppo. Dovevo riuscire a reagire in qualche modo e metterlo a tacere. Impulsivamente mi alzai e mi voltai di lato, coprendomi con le lenzuola e sbuffando:
“Sai che ti dico? Fai quello che ti pare. Non me ne frega niente”.
Ovviamente non era vero.
Ero totalmente dipendente da lui, come se fosse la mia ecstasy, ma non volevo dargliela vinta per l'ennesima volta. Dovevo dimostrargli che avevo imparato ad incassare i suoi colpi e che lui non era
piu' una minaccia per me.
Le mie parole ebbero l'effetto desiderato: avevo trafitto, anche se in superficie, l'orgoglio del mio nemico.
Rimasi in quella posizione per qualche secondo, tendendo gli orecchi per cogliere ogni suo movimento. Non sentendo niente aprii gli occhi, delusa che il mio piano non fosse andato in porto.
“Ahah, non dici sul serio!” esclamò soddisfatto il mio nemico, il quale si era quasi materializzato di fronte a me, rituffandosi poi, nuovamente sul letto.
Eppure mi reputavo abbastanza brava nel “fingere”.
Per anni avevo interpretato svariati ruoli: quello dell'amica premurosa, della brava scolara, della figlia responsabile, della fidanzata fedele o dell'amante trasgressiva. Ed ero talmente realistica che tutti i miei antagonisti mi credevano; ingenui cadevano nelle mie trappole e convivevano con le mie maschere, ignari di tutto.
Solo in quel momento mi sentii nuda: la figura davanti a me, mi aveva privato delle mie diverse facce, dei miei scudi. Poteva leggere la mia anima e capirne l'essenza; e questo non mi piaceva affatto.
“Invece di ringraziarmi per essere venuto a trovarti, mi hai accusato facendomi un interrogatorio” sbuffò lo Styles. Sembrava serio anche se non riuscivo a capire il senso di quella frase. Mi misi nuovamente a sedere ed esclamai, turbata:
“Ma che stai dicendo, per cosa dovrei ringraziarti? Per avermi cacciato da casa tua? Per avermi illuso come una stupida? O per non essere mai venuto a trovarmi?”.
Lui si tirò su, posizionandosi su un fianco, sempre con lo sguardo fisso su di me.
“Veramente io sono qui..” si limitò a dirmi.
Cosa voleva dire quella sua affermazione? Probabilmente era solo una trappola; una delle sue classiche frecciatine da sfida.
“Ma per piacere. Qual'è il tuo secondo fine?” aggiunsi, fingendo di aver intuito il suo giochetto. Lui si mise a ridere e, quasi arreso, si sdraiò nuovamente.
“Vedi Chelsea, noi non possiamo stare insieme.. nemmeno come dei banalissimi amici” affermò, fissando il soffitto come se stesse cercando lo spunto da un gobbo immaginario appeso alla parete. Quelle sue prime parole mi turbarono; furono come una freccia che, sicura, aveva come unico scopo quello di trafiggermi il cuore.
“Sarebbe inutile resisterci.. come sarebbe inutile abbandonarsi ai nostri desideri” continuò spavaldo. Dove voleva arrivare? Stava cercando le parole piu' carine per disilludermi all'istante? Fatto sta che non ebbi la forza di rispondere. Avrei voluto dirgliele di tutti i colori ma le parole mi si strozzavano in gola, soffocate da un fiume di lacrime che, a stento, riuscivo a trattenere.
“Stare insieme danneggia sia me che te. La nostra dipendenza è dannosa.” aggiunse nuovamente. Fra una frase e l'altra lasciava passare qualche secondo, sicuramente per schiarirsi le idee e cercare le parole giuste da pronunciare.
“Dipendenza?” riuscii a sussurrare timidamente. Fu allora che lui si alzò. Iniziò ad avvicinarsi a me, e ad ogni centimetro del letto che percorreva mi toglieva un po' di fiato, finchè non rimasi in uno stato ipnotico comunemente chiamato 'apnea'.
“Io ti piaccio, Key.. ma questa non è una cosa strana. La cosa veramente bizzarra è che tu piaci a me” affermò coraggioso, fermandosi a meno di un passo da me.
Istintivamente indietreggiai con la schiena, sbarrando gli occhi. Da una parte me l'ero sempre immaginata anche se lui faceva di tutto per smentirmi e, sentire lui che si denudava della sua maschera mi provocava una strana sensazione.
Annuii come un'imbecille, essendo completamente a corto di parole. Così continuò lui:
“Ma non va bene. Guarda cosa stiamo combinando! Finiremo per ammazzarci..” iniziò ad esitare:
“Non dobbiamo frequentarci mai più Key. Da domani saremo perfetti sconosciuti. E preparati perchè sarò spietato” mi ammonì.
Il cuore mi batteva talmente forte che temevo che lui potesse sentirne il rumore. Martellava dentro di me l'ultima frase da lui pronunciata; dovevo veramente iniziare ad avere paura di lui. Eppure l'unica cosa della quale ero certa, era che non volevo perderlo. Sarei stata male in sua compagnia ma avrei sofferto terribilmente la sua assenza.
“No, Harry.. n-non credo di farcela a starti lontana” riuscii finalmente a confessarmi.
Lui sorrise. Erano le esatte parole che voleva sentirsi dire in quella situazione ed io mi accorsi che era arrivato il momento di abbandonare la razionalità per dedicarmi al volere del cuore.
Gli afferrai una mano, infrangendo la diga che teneva a freno le mie lacrime:
“Non posso pensare di averti perso ancor prima di averti trovato” aggiunsi.
Il suo sorriso si tramutò in un'espressione cupa, misteriosa. Digrignò i denti e si avvicinò ancor di piu' al mio viso, per sussurrare:
“Key, non dovremo più considerarci. Da domani saremo due sconosciuti” ripetette sempre fissando i miei occhi. Poi continuò:
“Tutto questo succederà da domani. Adesso, però, l'unica cosa che voglio è che tu sia mia”.

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Capitolo 16
*** One Thing ***


Non dovevo ascoltarlo. Non avrei dovuto nemmeno farlo entrare. Avrei dovuto solo rendergli il braccialetto (prova schiacciante della sua presenza in quella stanza anche le notti precedenti) e lasciarlo andar via.

Esatto, “avrei dovuto”..

In certe situazioni non riuscivo a mantenere il controllo di me stessa e delle mie emozioni; o forse nemmeno ci provavo. Lasciavo che fossero loro a comandare, permettevo loro di correre libere, calpestando la ragione e fingendo che essa non appartenesse proprio a me.

Odiavo fare cose delle quali ero certa che mi sarei pentita successivamente. Ma in tutta la mia vita l'unica cosa che avevo capito era che preferivo i rimorsi ai rimpianti. Conoscevo benissimo la netta differenza fra queste due parole grammaticalmente simili: in quella situazione volevo avere il rimorso di aver lasciato le redini del mio corpo al cuore, piuttosto che rimpiangere successivamente di non averlo fatto, e logorarmi l'anima chiedendomi “come sarebbe stato”.

Non dissi una parola.

Lo afferrai per il colletto della maglia e lo attirai a me. Mi sdraiai di modo che lui potesse sovrastarmi con delicatezza. Restammo un attimo a fissarci nella penombra; il suo respiro era diventato leggermente più pesante ed i suoi occhi eccitati e glaciali erano immobili e guardavano i miei con desiderio.

Avevo avuto altre esperienze con ragazzi della mia età o più grandi, ma quella era diversa. TUTTO era diverso! Harry, io, le circostanze.. il fatto che fossimo in una stanza di ospedale e che avrebbero potuto beccarci in flagrante da un momento all'altro.. erano tutti elementi che nutrivano ed ingigantivano la nostra eccitazione.

Lui si avvicinò a me; sempre più vicino finchè con le labbra non sfiorò le mie. Percepii il fremito che ebbe al contatto, infatti si bloccò e per un attimo sembrava che stesse esitando. Poi improvvisamente ripartì, alternando baci romantici a morsetti aggressivi, dando come risultato un mix di piacere e leggero dolore che mi faceva impazzire.

Smisi così di pensare e chiusi gli occhi.

Iniziai a percorrere con le mani il corpo sconosciuto che mi sovrastava. Accarezzavo la sua schiena, i suoi muscoli, la forma della sua maglietta e adoravo il modo in cui lui nascondeva il piacere stringendo i pugni sul cuscino dove io poggiavo la testa. Questo atto gli faceva flettere i muscoli delle braccia tese, possenti che circondavano il mio volto e che mi facevano sentire protetta.

Passai le mani al di sotto della sua maglia e iniziai a tastare i suoi addominali e pettorali per poi ripassare ai dorsali e alla schiena, graffiandolo quasi con le unghie.

Gli spostai la t-shirt verso il collo, facendogli capire che la mia intenzione era quella di togliergliela e che io non ero di certo spaventata.

Si mise in ginocchio per avere più spazio per levarsi quell'indumento inutile. La scaraventò via e si riabbassò verso di me, accarezzando prima le mie gambe, poi i fianchi, spostando la mia camicia da notte sempre più in alto.

In quel momento capii che anche l'indumento che avevo addosso io era assolutamente superficiale: così lui mi aiutò a toglierlo.

Ero totalmente in balia del mio cacciatore che mi desiderava e che mi dominava dall'alto. Decisi di passare al contrattacco e gli sganciai prima la cintura e, successivamente, i pantaloni. Lasciai che fosse lui a sfilarseli da solo, in quanto l'immagine mi attraeva tantissimo.

Eravamo seminudi, entrambi con lo stesso indumento addosso che segnava un limite che entrambi volevamo (ma non dovevamo) superare.

Si tuffò nuovamente su di me, accarezzando la mia pelle nuda e baciandomi in un modo quasi affettuoso. Poi mi sfilò anche l'ultima cosa che indossavo, sgretolando la mia privacy, lasciandomi inerme e senza scudi. Non lo feci attaccare, mi limitai a difendermi, privandolo dell'unica barriera che gli era rimasta addosso.

La mia brama doveva piacergli veramente tanto; ed io adoravo la sua.

Mi guardò con uno sguardo passionale, e fra un sospiro e l'altro mi domandò:

“Sei sicura di volere questo?”

Non risposi. A dire il vero non badai più di tanto alla sua domanda. Lo spinsi all'indietro, facendolo sdraiare sulla schiena e lo sovrastai, come se volessi fargli notare chi era il vero dominatore e che sì, ero sicura al 100% di quello che volevo.

Iniziammo così una danza con i nostri corpi a stretto contatto. Ondeggiavamo in sincronia, saldamente uniti. Il sudore, i muscoli contratti, il suo fiato che lentamente diventava sempre più affannoso su di me.. rendevano quell'atmosfera unica e non tardammo a raggiungere il piacere.

Per tutto quel tempo dimenticammo le incomprensioni e i litigi; non c'erano più barriere né distanze. L'unica cosa che realmente importasse era che, finalmente, eravamo una cosa sola ed entrambi ci aggrappavamo l'un l'altro affinchè, quel momento, non potesse fuggire via.

Era tutto reale, non si trattava di un sogno. Eravamo io e lui, per la prima ed ultima volta “NOI”; mantenevamo in vita una realtà assurda, splendida ma precaria con la voglia assidua di appartenerci all'infinito mischiata alla consapevolezza che sarebbe terminato tutto troppo presto.

Non sapevo quante ore fossero passate, né tanto meno quale fosse l'orario.. sinceramente non m'interessava.

Avevamo terminato la danza e, stanchi ma soddisfatti, eravamo abbracciati l'uno a l'altro, sotto le coperte. Nessuno dei due disse una parola; entrambi volevamo goderci il silenzio e la melodia proveniente dai nostri sospiri appagati.

Mi rimisi la camicia da notte e lo osservai mentre, cupo e rilassato si rivestiva. I nostri sguardi erano legati ed entrambi pensavamo alla stessa cosa: dal giorno seguente sarebbe tutto finito. Mi si strozzò il pianto in gola quando, severa, mi pronunciavo tra me e me quelle parole.

Evidentemente lui intuì il mio stato d'animo e la mia lotta interiore e, una volta vestito, si riavvicinò a me. Stavolta si mise sopra le coperte, mi abbracciò e mi sussurrò

“E' ancora notte.. e tu sei bellissima”.

Sorridendo mi addormentai fra le sue braccia sognando e rivivendo per tutto il resto della nottata, quei momenti magnifici che, forse per la prima volta, mi avevano fatto sentire veramente viva.

Sarei rimasta in quella posizione per sempre; non avrei voluto abbandonare quel momento nemmeno per tutto l'oro del mondo. Stringevo a me Harry Styles come potevano fare le bambine con le loro bambole del cuore.

Esatto, stavano così le cose: lui era la mia bambola preferita. A parte il fatto che la perfezione del suo volto pareva veramente di porcellana.. ma poi, vedendolo come un giocattolo, mi sarei abituata più facilmente all'idea di doverlo “gettare”. O per lo meno così credevo.

Sfortunatamente giunse la mattina ed il sole, puntuale, fece capolino fra le nuvole scure che dominavano cielo londinese. Harry dormiva sempre, accanto a me; subito presi il cellulare e, d'impulso, gli scattai una fotografia, per preservare il suo volto tranquillo e riposato e renderlo immortale nei miei ricordi.

Successivamente volsi lo sguardo verso l'orologio. Erano le 8:00: a breve mi avrebbero rispedito a casa e sarebbero arrivati tutti, dottori, parenti ma soprattutto Niall. Non sapevo perchè ma non volevo che lui mi vedesse insieme al suo amico, nello stesso letto e con chiari segni di stanchezza impressi nel volto.

Iniziai a strattonare lo Styles affinchè si svegliasse e scappasse il prima possibile da lì. Gli feci notare l'ora e lui iniziò ad allarmarsi. Non fece in tempo ad allacciarsi le scarpe che improvvisamente si sentì una voce cupa in sottofondo che, severa, domandava:

“Che ci fai te qui?”

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Capitolo 17
*** Tell Me A Lie ***


La vita è fatta di momenti che si inseguono all'infinito, senza condizionarsi minimamente. C'è il momento di felicità piu' totale, caratterizzato da sorrisi, frasi dolci, soddisfazione. Poi c'è quello triste, pieno di lacrime e rimpianti. Non credevo che i momenti si potessero mescolare, bensì ero stupita dal modo in cui essi si susseguivano senza ostacoli né interferenze.

Quella situazione in cui mi trovavo io era assurda; un secondo prima ero la persona piu' felice del mondo ed ero convinta che niente avrebbe mai potuto interrompere quel mio stato di euforia.

Ed ecco che, come al solito, le mie convinzioni erano infrante: da un momento all'altro ero diventata cupa, terrorizzata e senza fiato.

Fra tutta la gente che sarebbe potuta entrare in camera, era apparsa per l'appunto L'UNICA persona che speravo con tutta me stessa di non incrociare: Niall Horan.

Rimanemmo qualche istante in silenzio, quasi pietrificati dall'imbarazzo. Harry era seduto sul letto, in procinto di infilarsi la scarpa sinistra (senza ancora quella destra). Io ero seduta sotto le coperte, capelli sicuramente arruffati e volto stanco.

E poi c'era Niall, sull'uscio.

Il suo volto confuso e deluso allo stesso tempo era immobile e il suo sguardo non si staccava nemmeno un secondo dal mio: cercava spiegazioni, frasi che sgretolassero le sue convinzioni e che smentissero la situazione. Esigeva parole che io non potevo pronunciare.

Dopo quell'istante silenzioso, Harry si rianimò improvvisamente, continuando ad allacciarsi la scarpa come se niente fosse successo. Il mio sguardo terrorizzato si era spostato, titubante, sul mio nemico che si stava rivestendo, fingendo disinteresse.

Iniziò a cercare l'altra scarpa a giro, prima sotto il letto, poi dietro i comodini. Gli scappò un accenno di risata quando scoprì che era finita sul davanzale della finestra.

“Sto parlando con te, Harry. Che ci fai qui?” chiese severo Niall. Sembrava arrabbiato, deluso, turbato.

“Dai, Niall che ci farò qui? Non rompere” rispose l'altro, beffeggiandolo.

Ma che stava facendo? Era possibile che stesse prendendo in giro il suo amico in quel modo?

“Vieni fuori un secondo” aggiunse Niall, voltandosi ed uscendo dalla stanza con i nervi a fior di pelle.

Harry mi guardò. Quello sguardo racchiudeva in sé infinite emozioni che, sintetizzate, volevano dire “addio”. Non aggiunse una parola, mi sorrise ed uscì dalla mia stanza, come dalla mia vita, in punta di piedi, senza fare il benchè minimo rumore.

Ovviamente non avrei mai potuto lasciarli andare da soli, senza sapere cosa avessero in mente. Temevo il peggio, per questo li seguii.

Si fermarono nell'angolo più lontano del giardino dell'ospedale, ed io mi appostai dietro un albero per osservarli senza essere scoperta.

“Mi spieghi che cazzo ti prende?” urlò Niall, infuriato. Non l'avevo mai visto in quelle condizioni. Era sempre stato così dolce e carismatico.. e vederlo arrabbiato, con le vene pulsanti e lo sguardo cattivo mi sorprendeva, ma più di tutto mi spaventava. Harry si era seduto, non curante delle parole offensive del suo amico.

“Prima mi usi come spia perchè tu non vuoi essere visto.. e poi che fai? La vai a trovare tutte le notti senza dirmi niente. E quando ti dico che mi sto innamorando di lei, fai irruzione in camera sua e te la porti a letto? Qual'è il tuo fottutissimo gioco, Styles?!” aggiunse.

Rimasi pietrificata. Era tutta tutta una strategia? Niall, Harry.. stavano giocando con me? Io ero una pedina del loro astutissimo piano? E poi.. Niall si stava innamorando di me? Questo complicava le cose e faceva sì che io avessi un peso dentro: un pugno di metallo al posto del cuore. Io avevo scherzato con lui.. mi ero confidata giudicandolo uno dei miei migliori amici e non curandomi di ciò che lui provava per me. Ero così attenta a lamentarmi e a spiegargli il mio dolore da non curarmi del suo! Il mio egoismo smisurato mi dava la nausea e non potei fare altro che iniziare a piangere, accecata dal rimorso.

Harry rideva.

“Niall non fare il bambino. E' solo una donna..” aggiunse infame.

Il mio amico biondo si alzò di scatto, scaraventandosi contro di lui e afferrandolo per il colletto della maglia.

“Sarà anche solo una donna ma ci sei dentro più te di me. Mi dicevi che non te ne fregava niente eppure tutte le notti la osservavi mentre dormiva, a mia insaputa. Entrambi la amiamo, solo che io ho ammesso tutto mentre te, come al solito, giochi sporco.. come un verme”.

Le parole di Niall erano taglienti come lama e stavano cercando di pungere l'orgoglio solido di Harry , il quale si alzò di scatto, spingendo lontano il suo amico.

“Non mi mettere le mani addosso e non provarti mai più a chiamarmi così. Non sai un cazzo di me, devi starmi alla larga” rispose a tono il mio nemico.

Non potevo permettere che le due colonne portanti della mia vita si distruggessero in quel modo per colpa mia.

Avanzai sicura mentre loro, non curanti della mia presenza, si strattonavano, lanciandosi offese o spintoni. Provai a separarli, cercando invano di entrare in mezzo alla lite e urlando loro di fermarsi. A causa della sua fragilità fisica, Niall venne scaraventato a terra. Vidi tutto l'odio e la rabbia che trapelava dagli occhi di Harry Styles, segno di un dolore dato non tanto dalle parole del suo amico, bensì dalla situazione. Mentre stava per sferrare un pugno verso Niall, mi tuffai nel mezzo: non volevo fare “l'eroe”. Desideravo semplicemente evitare che la rabbia dei due finisse per ferirli: non so cosa mi fosse preso ma, istintivamente mi venne l'impulso di proteggere Niall.

Chiusi gli occhi e mi coprii il volto con le braccia per provare in qualche modo ad attutire il colpo.

Silenzio.

Non sentii nessun pugno né dolore. Riaprii gli occhi, timorosa ed allontanai le braccia dal volto. Il pugno di Harry era a pochi centimetri dal mio viso: ciò significava che lui era riuscito a controllarsi e a fermarsi prima che potesse farmi del male. Anche se da quella mattina noi dovevamo essere due perfetti sconosciuti o peggio rivali, lui si era fermato per non farmi del male.

Gli toccai il pugno timidamente, facendoglielo abbassare.

“Basta.. vi prego” sussurrai.

Lo Styles si scosse e se ne andò via, correndo. Mi voltai allora verso Niall, il quale aveva gli occhi lucidi ed ancora il fiatone per quello che era successo pochi istanti prima.

“Niall.. m-mi dispiace” aggiunsi.

Lui provò ad accennare un sorriso, ma dal suo sguardo capivo che il suo animo era afflitto e tormentato dai suoi sentimenti. I suoi occhi si velarono nuovamente e, prima che iniziasse a piangere aggiunse:
“scusa Key..” allontanandosi anch'egli di fretta.

Ed io rimasi nuovamente sola.

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