HD negativo

di gattapelosa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Come arrivò lei ***
Capitolo 3: *** Come lei mi ricattò ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

                                                        HD NEGATIVO



PROLOGO


Allora, nella pura consapevolezza che io di mio avevo giù un colorito cadaverico, c’è da dire che quel giorno sembravo proprio un morto. E mi sentivo da schifo.

Il mio specchio rifletteva il volto di uno che si è appena vomitato l’anima, nonostante fino a quel punto ancora non c’ero arrivato, anche perché erano due giorni che non mangiavo assolutamente niente.

Avrei voluto restarmene in camera e dormire tre giorni di fila. Al diavolo le lezioni. L’avrei anche fatto, se quello non fosse stato un pomeriggio memorabile.

— Draco, che ci fai davanti allo specchio? Indossa la divisa che fra poco inizia la partita!

Blaise era già bello che pronto: avremmo fatto neri i Corvonero. Ne andava della nostra reputazione, non potevo mancare. Che avrebbero detto poi? Draco Malfoy se la fa sotto davanti a una casa rivale? Mai. 

Mio padre mi avrebbe spellato vivo. 

— Arrivo.

— Ehi Draco, certo che hai proprio una brutta cera...sicuro che non mi sverrai sulla scopa?— io scrollai le spalle. Certo, il rischio era palpabile. Dio, come avrei voluto restarmene a letto!
— In tal caso, prendimi al volo. 

Blaise sorrise e, con una scrollata di spalle, tirò fuori dal mio mastodontico armadio quel che rimaneva della mia divisa.

Io presi a cambiarmi con lentezza, oggi muscolo teso equivaleva a dolori allucinanti. La testa cominciava a girarmi vorticosamente... pregai che Madama Chips fosse presente alla partita.

Quando finalmente fui pronto Blaise mi accompagnò agli spogliatoi, dove i miei compagni avevano appena finito di vestirsi. Erano carichi, necessitavano solo del discorso motivante. 

Io però avevo un blocco allo stomaco che rasentava la nausea. Blaise mi lanciò un’occhiata preoccupata e salì sullo sgabello. Si elevò al grado di capitano. 

— Oggi parlerò io per Draco perché il nostro capitano non sta bene.— iniziò— Lui però è qui lo stesso per combattere contro quei Corvonero con una volontà che spero abbiate anche voi nell’anima: dobbiamo vincere! Fatelo per Malfoy, che ora come ora faticherà a volare, fermate il cercatore avversario con ogni mezzo, rendete il lavoro più facile al nostro capitano, ci siamo intesi?— la mia squadra esultò in un “sì” generale— fatelo per i Serpeverde, che quest’anno si aspettano quella maledetta coppa della case, fatelo per le vostre ragazze, o i vostri ragazzi, che vi guarderanno dagli spalti, fatelo per tutti quelli che saranno là fuori ad acclamarvi, ma soprattutto fatelo per chi non tiferà per voi. Dimostrate quello che noi già sappiamo: che siamo i migliori. Perché noi-siamo-i-MIGLIORI!— e questo lo disse in un grido che sollevò gli animi selvaggi dei miei pericolosi giocatori. Lo acclamarono, gridarono, montarono sulle loro scope e si fiondarono nel campo.

— Come sono andato?— mi chiese.

— Non c’è male.— risposi, pur non ammettendo che era stato decisamente meglio rispetto a ciò che avrei potuto fare io nella migliore delle condizioni. 

Entrambi cavalcammo le nostre Nimbus là fino al campo, seppure mi sentissi incredibilmente malfermo. E quando mi ritrovai con metri e metri di aria tra me e la terraferma, sentii la testa girare prepotentemente.

— Ehi capitano, tutto bene?— Blaise mi svolazzava accanto.

— Mi gira la testa.— risposi, ma in quel momento sentimmo il fischio di inizio partita e il boccino d’oro mi svolazzò a un palmo dal naso. 

Blaise s’allontanò lasciandomi solo e pericolante sul mio mezzo all’avanguardia. Avevo una paura folle di precipitare. Cercavo di muovermi velocemente, ma ogni svolta equivaleva a una nuova fitta di dolore. Intanto il cronista parlava di me e delle mie orribili condizioni: lo sentivo, percepivo il clamore dagli spalti, ma lentamente la mia vista si fece più ovattata e i sensi venivano a meno. Il paesaggio s’annebbiò, qualcosa nel mio stomaco ribollì e scalciò per liberarsi in una poltiglia che, poco prima di precipitare, constati fosse sangue. 

 

Al mio risveglio stavo ancora agonizzando sul lettino dell’infermeria. 

Mi sentivo da schifo, tra nausea e muscoli indolenziti. Mi girava la testa, sentivo freddo e preannunciavo un pericoloso mal di gola in agguato.

Accanto a me c’era Madama Chips che sistemava le medicine su per una mensola bianca, per il resto l’infermeria era pressoché vuota, fatta eccezione per le voci ovattate al di là del portone.

Potevo percepire distintamente il tono pesante di mio padre, unito al vecchio e sicuro parlare di Albus Silente.

Stavano discutendo di me, anche se ancora non riuscivo a mettere ben a fuoco il discorso, ero certo d’aver sentito pronunciare il mio nome. Avrei voluto che alzassero la voce, così da poter sapere che cosa stava accadendo al mio corpo. Di mio non riuscivo ancora a muovermi, ben consapevole che un solo passo sbagliato e il precario equilibrio in cui aleggiava il mio metabolismo sarebbe crollato e avrei preso a gridare. 

Finalmente sentii la porta aprirsi e mio padre entrare nell’infermeria.

— Come sta?— chiese Silente, rivolto alla Chips.

— Non bene, secondo me dovremmo trasferirlo al San Mungo. 

— L’hai già detto— bofonchiò stizzito mio padre. Era evidente che tutta quella situazione non gli andava a genio, il che significava una sola cosa per me: guai.

— E voi non mi ascoltate. Il suo cuore batte in modo irregolare, ha un po’ di febbre, rimette sangue ogni due minuti, ha attacchi asmatici e non si sveglia. Non ho assolutamente idea di cosa li sia successo, meglio consultare medimaghi più esperti. 

Udii nuovamente mio padre sbuffare infastidito. Già il fatto che lui fosse stato richiamato urgentemente dal suo preziosissimo lavoro a causa mia era un motivo di noia che mi sarebbe costato caro. In più ci si metteva la pesante consapevolezza che presto avrebbe dovuto accompagnarmi al San Mungo perché ero un problema — badate bene, non perché “avevo” un problema, bensì perché lo “ero” di mio— e beh, presto mi sarei sorbito una gran bella lavata di capo. 

Se solo avessi potuto parlare! Avrei potuto dire che andava tutto bene e lasciar correre. Però non andava assolutamente bene un piffero, mi sentivo tanto da schifo che avrei preferito tornare incosciente!

— Non ci sono proprio altre possibilità?
— Mi dispiace Signor Malfoy, adesso con l’aiuto di un elfo domestico smaterializzeremo suo figlio al San Mungo, poi potrà parlarne a uno dei medimaghi lì presenti. 

Mio padre grugnì ancora una volta, poi sentii una piccola mano prendermi per il braccio e la famigliare sensazione della smaterializzazione trascinarmi via. 

Quel viaggio mi aveva destabilizzato ancora di più, tanto che una volta giunto nel reparto del San Mungo vomitai sul linoleum sangue puro. 

Accorsero attorno a me decine di uomini in camice bianco, mi trascinarono su per una barella e con foga mi spintonarono via. Ero solo: mio padre, la Signora Chips, ancora stazionavano alla reception, e io che venivo trascinato precipitosamente, abbandonato da chiunque mi volesse bene.  

Mi adagiarono su un lettino e presero ad esaminarmi, mi attaccarono una flebo al braccio, mi somministrarono una pozione e, lentamente, precipitai nei meandri di un sogno nero e buio. 

 

— Draco Lucius Malfoy, apri quegli occhi e vedi di non richiuderli fino a notte fonda, chiaro!?— fu così che mi svegliai, con la soave voce di una madre incazzata a rimbombarmi nei timpani. 

Narcissa Black in Malfoy era autoritaria. Nonostante facesse di tutto per nasconderlo, sapevo che perfino Lucius ne era intimorito. Io, poi, ero terrorizzato.

— Ciao mamma— sussurrai. Cercai di muovermi, ma lei mi pose un braccio sul petto.

— E sta fermo, che sei debole!

— Cosa è successo?— lei fece una faccia infastidita. Era così strano vedere l’algida regina del Manor in una camera bianca del San Mungo, così fuori luogo...come lo ero io. Non potevo credere di essere in condizioni tanto gravi da necessitare un simile trattamento.

— Se proprio vuoi saperlo, ti sei sentito male durante la partita di Quidditch e sei precipitato dalla tua scopa. Fortuna che Zabini ti ha preso al volo! Sei rimasto incosciente quattro giorni, tre dei quali al San Mungo. 

— E il verdetto dei medimaghi?— notai una leggera nota di tristezza aleggiare tra gli splendidi occhi di Narcissa.

— Non stai bene— sussurrò, in un tono tanto lieve da poter apparire quasi - e dico quasi!-preoccupato.

Del resto, era mia madre, nonostante tutto sapevo fosse preoccupata per le sorti del figlio, il che mi dava un certo piacere. 

— Hai un problema al cuore tanto che...necessiti di un’operazione. Prima ci sono da fare una serie di interventi, dovrai prendere pozioni, non lo so di preciso.

— Un intervento?— e tutta la paura di prima mi piombò addosso prepotente. Dio, un’operazione! Anche nel mondo dei maghi il rischio era grande, e il cuore, poi, era un punto delicato. 

— Non farti prendere dal panico, le cose si sistemeranno. 

I miei occhi stavano già diventando lucidi, ma al pensiero che presto ci avrebbero raggiunto dei medimaghi, l’idea di mettermi a frignare come un bambino mi fece un certo raccapriccio, soprattutto nella convinzione che poi mio padre si sarebbe leggermente incazzato. 

— Q...quando?

— Non lo so...in effetti abbiamo un problema. Vedi, a quanto pare il tuo sangue è un po’ particolare. Un gruppo sanguigno puramente magico, HD negativo, ed è quasi impossibile trovare qualcuno compatibile. 

— Quindi non ci...ci....non ci sono speranze?— ora sì che stavo per mettermi a piangere. Per Merlino, da lì a poco sarei morto! 

— Ho detto quasi impossibile! In realtà i medimaghi hanno detto che non necessiti di un trapianto completo, solo è necessario posizionare una sorta di apparecchio sul tuo cuore. Non chiedermi cosa sia, per carità, io non ci capisco niente di queste cose!
Subito mi chiesi allora quale fosse il problema. Insomma, tranne il dover sottostare a una pericolosissima operazione, s’intende.

— Il punto è che necessiti anche di qualche trasfusione, prima dell’intervento. Hai perso molto sangue, e più vai avanti più diventi debole, ovviamente non sappiamo cosa fare...— quindi il mio bellissimo e purissimo sangue era così puro da non poter essere contaminato da null’altro? Nonostante tutto, un po’ di fierezza ci stava anche dietro. 

Nonostante il suo ruolo di algida purosangue, Narcissa mi stette vicino. Tutto il giorno, non mi abbandonò un secondo. 

Me ne stavo disteso su quel letto d’ospedale, nella grandissima stanza a me assegnatami, con le mani di mia madre sulle braccia, quasi a volermi fare una carezza. Cercò di tranquillizzarmi, e quando alla fine piansi disperato lei non mi sgridò per la mancanza di sangue freddo, mi stette accanto senza dire niente. Il che era molto più di quel che potessi desiderare.

Quando arrivò mio padre fu un altro paio di maniche.

Si lamentò, stette in silenzi tesi e alla fine fece dietro-front per lasciare solo il San Mungo. 

Quando anche Narcissa se ne andò, non prima dell’ora di cena, e io rimasi solo... il buio tornò ad opprimere la camera del San Mungo. 



Bacheca dell'autrice

Allora....perdonate la possibile abbondanza di errori grammaticali: non l'ho ricontrollato...ops. Giuro che se trovo correggo. 
Spero che recensiate, come fiction mi piaceva tanto... comunque essendo questo un prologo è ovviamento più corto rispetto agli altri capitoli...e non è nemmeno entrata in scena Hermione! Mi rifaccio col prossimo...se qualcuno mi lascerà una recensione. 

 

 

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Capitolo 2
*** Come arrivò lei ***



 

                                                         Come arrivò lei




Il San Mungo era un posto d’incredibile biancore. Sì, biancore, perché non c’era un solo angolo ombrato nell’intero edificio. E tutto quel bianco cominciava a darmi alla testa. 

Una passata di vernice, ecco cosa ci voleva. Tanta, tanta vernice verde. O rossa. O perfino rosa. Bianca no.  

Il bianco sapeva di innocenza, e per una casa di possibili morti dare idea di innocenza sembrava solo una grandissima presa per il culo. Qualcuno glielo doveva dire, a quelli là.

E poi tutto quel bianco mi faceva saltare in aria il cervello: aveva un ché di luminoso da far quasi immaginare a un paziente costretto a letto di star per crepare all’interno di una lampadina. 

Erano tredici giorni che me ne stavo nella mia lampadina privata, tredici giorni passati a guardare il soffitto, leggere giornali - Cavillo compreso!- e ingoiare cioccorane. Mi stava salendo la nausea.

Un mio colpo di tosse e avevo attorno decine di infermiere, come fossi agonizzante. Io stavo alla grande!

C’è stato un momento in cui credetti di aver vagamente esagerato. Stavo così bene! Come potevano dire che avevo un problema al cuore, io? Avrei potuto scalare il Monte Everest senza scopa. Tipo babbani. 

In più avevo una camera singola. Il ché era solo che un bene. Io ero nato per le camere singole, il rischio di mischiarsi con gente indegna era tanto pesante da obbligare decisamente il mio sangue puro a cercarsi un luogo consono. 

Solo che avrei voluto poter parlare con qualcuno che non portasse un camice bianco, di tanto in tanto. 

Certo, qualcuno di quei dottori era di piacevole compagnia — mi riferisco soprattutto a esemplari femmine con due belle gambe e una quarta di reggiseno— e a volte mi trattenevo a parlare con loro. Molte di queste erano comunque tremendamente professionali, soprattutto se tenute a vista da qualche collega maschio. O se con una bella fede al dito. 

E poi ammetto che era difficile fare colpo in pigiama, disteso su un letto e per la metà del tempo con due belle flebo attaccate al dito. Due flebo evidentemente inutili.

Intanto però, se di giorno facevo il cascamorto con le infermiere, di notte piangevo la terribile sfiga che mi perseguitava. Malato e impossibilitato a guarire.

Era possibile che nessuno avesse un gruppo sanguigno simile al mio? La mia purezza era davvero così perfetta? Nonostante tutto sapevo che quelle trasfusioni erano necessarie, e il non poter far nulla per salvaguardare la mia vita era straziante. 

C’era davvero qualcuno che si mobilitava per ritrovare un altro esemplare umano che portasse il mio stesso fardello? E poi, esisteva mai un qualcuno di simile? C’era speranza che io guarissi, o dovevo già rinunciare a morire nella lampadina bianca? 

Mia madre aveva detto che si erano tutti mobilitati. Stavano cercando un HD Negativo in tutto il mondo, ma ancora non si era ottenuto niente. E io avevo paura.

Ero così unico al mondo che per me non c’era speranza. Con la mia morte avrei privato l’universo di un’esemplare raro e ineguagliabile, come potevano permettere che accadesse una cosa simile? 

Scossi la testa. Erano degli incapaci, tutti quanti! 

— Signor Malfoy, i medici hanno convenuto che un po’ d’aria fresca potrebbe farle bene— e così fece Alison piombano nella mia stanza senza bussare. Alison era la più frivola delle infermiere, tra le giovani lavoratrici in erba. 

Ed era bella. Questo sì. 

Non fosse stata così maledettamente bella avrei strepitato come un’ossesso per la sua mancanza di buone maniere. Per Merlino, da quando è che si era persa l’usanza di annunciarsi prima di precipitare in stanze altrui? 

Però quella ragazza aveva tutto: ciocche bionde e mosse — i capelli lisci non mi avevano mai interessato quanto quelli un po’ più vivi—, due tette da paura, gambe slanciate ed eccessivamente provocanti, labbra carnose e attraenti. 

— Quindi finalmente mi lasciate uscire?— Alison annuì, iniziando a liberare le braccia da quei tubi biancastri. 

Alison mi porse un semplice paio di jeans e una camicetta ripugnante, ma che evidentemente era di suo gusto. Io odiavo le camicie. Preferivo quelle semplici ed eleganti magliette unicolore. Di marca, s’intende: opera dei migliori stilisti.

Del resto, non avevo di che lamentarmi, finché a vestirmi fosse stata lei.

E mi infilò la maglia con gesti abbastanza provocanti da farmi credere che forse esisteva un modo migliore per passare la giornata, che in quel giardino all’aria aperta.

Insomma, qualcos’altro della vita terrena mi mancava oltre che sole e alberi, perché l’essere così malato impedisce qualsiasi tipo di attività...impegnativa. O piacevole.

— Vuoi che ti accompagni a fare un giro?— domandò ancora Alison. Io scossi la testa: nella mia libertà non avrei voluto essere ancora seguito da qualcuno con il camice bianco. 

Così la lasciai nella mia stanza e a passo svelto percorsi le rampe di scale al San Mungo. Piano l’atmosfera mutò. Il mio sollievo dovuto alla possibilità di cambiare aria divenne angoscia nel momento in cui scontrai il mio sguardo con gli occhi dei pazienti.  

Quello era un covo di malati, non potevo credere che ero messo come certi agonizzanti nei corridoi. Non potevo credere che anche io fossi giunto nell’ospedale vomitando sangue.

Vedevo bambini in lacrime, vecchi cadaverici, uomini sanguinanti, persone pallide e stanche e tristi e morenti. Malati. 

Con raccapriccio constatai che presto avrei avuto un altro attacco, che sarei tornato a soffrire come durante la partita, che avrei dovuto essere imbottito di pozioni e che qualcuno avrebbe cercato di tenermi in vita perché possedevo un sangue troppo perfetto per poter realmente sperare di guarire.

E allora capii che io, così bello, in forze, euforico, sicuro di me, ero messo molto peggio di qualsiasi malato strisciante di quel corridoio. Loro avrebbero dovuto guarire. Io non avrei dovuto morire.

Nonostante tutto erano due concetti mortalmente differenti. 

Così, a capo chino per non dover ancora osservare quella sciagura, abbandonai il grande edificio bianco per passeggiare nel giardino. 

A conti fatti come giardino non era poi così male...forse un po’ assolato, ma sobrio e senza traccia di sostante impure tipo roba babbana. Certo, non era lontanamente paragonabile all’immenso parco del Manor e alle rose di Narcissa, ma certo non era completamente da snobbare. 

Mi piaceva il sentiero che passava poco distante dal lago. Mi piaceva il mini campo da Quidditch, mi piacevano perfino i tavoli e le panche, decisamente più ordinati e con uno stile abbastanza invidiabile.

Così, una volta allontanatomi a sufficienza dal grande portone del San Mungo, m’accomodai su un tavolo praticamente nascosto da due grandi Pioppi. 

Con una mano sulla fronte a reggermi il capo, la schiena incurvata sul tavolo come fossero banchi di scuola, l’aria fresca che mi soffiava sul volto, rendeva quel momento tanto rilassante da rischiare quasi di farmi addormentare.

Non troppo distante da me una coppia di sposini mangiava un po’ di quel disgustoso cibo ospedaliero, io potevo osservare loro, loro non sapevano che io fossi lì.

Mi persi nell’ascoltare discorsi futili e privi, se non lievemente, di riferimenti a malattie o disgrazie varie. 

Era un momento di quiete, uno di quelli che mi sognavo la notte. Se non facevo gli incubi. 

E, come ogni momento di quiete, venne precipitosamente rovinato.

Non mi accorsi di lei finché non mi fu alle spalle. Nel percepire l’oscura presenza, voltai il capo con uno scatto repentino.

Portava i capelli, tipici di quell’oscenità inimmaginabilmente ripugnante, raccolti in una treccia disordinata, ed essendo questi un ammasso informe di fili annodati straripavano da tutte le parti. E i suoi occhi erano piatti. Brutti. Castani. 

Non aveva forme, non aveva niente: era Hermione Granger. 

Sembrava un’incubo perseguitante! L’unica cosa buona nell’essere malato e ricoverato al San Mungo era non dovere affrontare l’orrore di osservare il suo miserabile volto ogni santo giorno.

— Che vuoi?— feci con sgarbo, rigirandomi.

— Sedermi al mio posto.— rispose lei, sedendomi di fronte, con le spalle al sole e lasciando scivolare tre libri di spessore micidiale sul tavolo.

— Chi ti dice che sia tuo?

— Il fatto che siedo qui da quasi una settimana, ogni giorno per ore e ore. Ma prego, se vuoi restare fa pure. Tanto lo so che adesso te ne andrai, imprecando contro il mio sangue sporco.— oh, ma io non ne avevo intenzione.

Sarebbe stata lei a lasciarmi, esasperata. 

— Esatto: sangue sporco. E sono sicuro che i tuoi germi mi stanno contagiando anche a questa distanza. 

— Che peccato— fece sarcastica, prendendo a leggere il più logoro dei tre mattoni. Mi ignorava.

Merlino, che rabbia!

— Era un invito a liberare il parco della tua miserabile presenza.— lei scrollò le spalle, senza darsi la minima pena di guardarmi negli occhi. Mi ignorava!

— Mi hai sentito? Vattene.— questa volta non fece assolutamente niente. Neanche a darmi un segno di vita.

— Mezzosangue, leva i battenti.

Niente.

— Eclissati.

Niente.

— Porta il tuo cespuglio da qualche altra parte.

Niente.

— Sei peggio di una zecca.

Niente.

— Di una piattola.

Niente.

— Puzzi, puzzi come tutti i mezzosangue.

Niente.

— Fai schifo.

Niente. 

— Fai così schifo che mi viene voglia di vomitare.

Niente.

— Il mio vomito è più pulito di te.

Niente.

— E della tua famiglia di babbani.

Niente.

— E della famiglia del rosso.

Niente.

— Cazzo, vattene! Vattene da qui!— e questo lo dissi gridando, spingendo tutti i libri giù dal tavolo. Questi sfracellarono al suolo, rovinandosi, ma la mezzosangue con un colpo di bacchetta li fece impilare sul tavolo. A quel punto mi incazzai sul serio.

Lei osava ignorare me! Me! L’avrei ammazzata. Merlino, era da ammazzare. Si meritava un bel fulmine in testa, sicuramente in tomba avrebbe avuto i capelli sistemati in maniera migliore che con quel groviglio informe. 

Un fulmine, sì, o un veleno. Uno di quelli che fanno perire atroci sofferenze.

Meglio, un rogo. Un tempo i babbani bruciavano le streghe, no? Oh no, ecco: tagliata pezzo per pezzo. Un orecchio, una gamba, il naso...

Io però avrei accettato pure qualche misero Avada Kedavra. Certo, l’idea di vederla soffrire allettava, ma almeno era alla mia portata. Azkaban? Era niente. Meglio dissenatori che Hermione Granger. 

Rovesciai per la seconda volta la pila di libri.

— Vattene! Ma mi senti, ho detto di andartene, via, via!
— Ti ho sentito. E come vedi ti ho ignorato. E ora taci, che ci guardano — con la coda dell’occhio constatai che, effettivamente, l’intero parco si era volto ad osservarci. Anche gli sposini di poco prima.

Rosso di vergogna mi girai e tagliai la corda in una ritirata strategica.

Che imbarazzo! Che scena miserabile! Che avranno pensato di me?

Un bambino viziato, sicuramente. Per loro sarò stato un bambino viziato nel corpo sedicenne di un giovane affascinante.

Tornai mogio mogio nell’ospedale, cercando di coprirmi la vista nella speranza di non dover incappare in sguardi moribondi.

Merlino, che imbarazzo, che imbarazzo!
Una volta rintanatomi nella mia lampadina, sbattei con forza la porta e mi nascosi sotto il cuscino.

Non avrei più voluto uscire.

Certo, sapevo che sarebbe passata, ma pensare che non solo la mezzosangue era riuscita ad umiliarmi davanti a tutti, ma si era pure aggiudicata il tavolino, mi metteva addosso una furia ceca. 

Restai disteso così, nel cercar di sbollire la rabbia, per almeno una ventina di minuti. Allo scoccare delle quattro sentii la porta spalancarsi e udii il delicato profumo di mia madre farsi sempre più vicino.

— Che ci fai con la testa sotto il cuscino?— la sentii chiedere.

— Attendo che tutto finisca presto.— risposi io.

Lei prese una sedia e si accomodò — gambe incrociate e collo allungato— a pochi centimetri dal materasso.

— A quanto pare, Draco, potrebbe finire presto. 

Merlino, era così grave? Stavo davvero per morire? Sentii un nodo allo stomaco e le prime lacrime, dettate dallo spavento, colare sulla federa.

I medici avevano dato un responso negativo a Narcissa? Quanto mancava, un anno, un mese, un giorno? 

— Hanno trovato una persona con gruppo sanguigno HD Negativo.— la sentii però proseguire e tutto il mio corpo divenne pietra.

Qualcuno col mio stesso, purissimo sangue? Qualcuno c’era? Potevo aver salva la vita? Potevo non morire?

Mi sollevai di colpo, con gli occhi ancora lucidi dall’emozione, un espressione di pura speranza stampata in volto e il cuore a mille.

Poi però incrociai lo sguardo cupo di Narcissa e il mondo mi si aprì sotto i piedi.

— Cosa?

— E’ così, è stato un colpo di fortuna. Questa persona è ricoverata all’interno di questo stesso ospedale. Altrimenti non l’avrebbero mai scoperta.

— Ma è perfetto!— dissi io, esaltato.

— Non lo è. Sinceramente, non so se tuo padre possa permetterlo.— adesso quegli stessi occhi divennero dal cupo al preoccupato, triste. Avvilito.

E io non capivo proprio: come poteva Lucius impedire che io sopravvivessi? Cosa poteva fermare un padre dal salvare suo figlio?
— Chi è questa persona?

Mia madre chinò il capo. Con un sospiro, pronunciò il suo nome.


 

Bacheca dell'autrice


Beh, ecco qui il primo vero capitolo di "HD Negativo". Fatemi sapere cosa ne pensate. Ah, scusate per i probabili errori di ortografia! Se trovo correggo, se trovate correggetemi. 
Grazie mille per tutte le recensioni, e grazie a chi ha messo la mia storia tra le seguite e le ricordate — nessun "preferite", ma c'è tempo— e per chi si è preso la briga di leggerla. Anche senza commentare. 

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Capitolo 3
*** Come lei mi ricattò ***


 

 

                                                                         COME LEI MI RICATTO'



Quando mia madre ha pronunciato il suo nome, credetti in uno scherzo. 

Insomma, con tutte le persone al mondo, come poteva capitare che proprio lei possedesse un gruppo sanguigno simile al mio?

C’erano alcuni punti che proprio stonavano.

In primo luogo, non potevo essere seguito da una così dannatamente fetida nuvola nera. Non solo malato incurabile, ma con per unica possibilità di salvezza....lei! Mi sentivo un po’ come l’incarnazione di tutte le sfortune umane: per migliaia di anni nessuno avrebbe più avuto modo di affrontare la sfiga, si era sprecata tutta per rendere impossibile la mia esistenza. 

In più c’era anche il problema “purezza”. Sì, perché nella mia ceca convinzione che possedessi un sangue più puro del resto dell’umanità, venire a sapere che condividevo lo stesso gruppo sanguigno di una mezzosangue...ma su questo punto non mi soffermarmi. Non ci pensai, semplicemente, perché avevo uno - anzi, due- problemi più urgenti. 

Il primo era mio padre. Lucius Malfoy non avrebbe mai concesso che il sangue sporco di una mezzosangue infettasse il mio corpo. Avrebbe preferito vedermi morto. Quindi in realtà, seppure una soluzione esistesse, io non avevo modo di usufruirne!

Il secondo problema era la mia personale consapevolezza. Io avrei mai accettato di vivere per sempre con in corpo sangue impuro? Avrei davvero potuto sopportare l’umiliazione? Ci sarei riuscito?

Mi faceva schifo anche solo pensarci. Avere il suo sangue nelle mie vene! Merlino, imploro salvezza!

Mia madre mi aveva guardato con due occhi che, non la conoscessi, sembrava stessero per piangere. Narcissa Malfoy non ha mai pianto e, sinceramente, sapevo che se mai fosse accaduto non sarebbe stato per me. 

Io volevo bene a mia madre, davvero, e non sopportavo di vederla ridotta in stato tanto pietoso...a causa mia. Io stavo sfasciando la mia famiglia. Stavo facendo del male alla casata dei Malfoy. Rendevo triste mia madre.

Comunque sarebbe andata a finire, per me sarebbe stata una sconfitta. Se avessi accettato il sangue di Hermione Granger, avrei screditato l’onore dei Malfoy e soprattutto avrei infettato i miei eredi, così da rendere nullo l’abissale lavoro di svariate generazioni per mantenere il sangue puro. 

Se invece avessi rifiutato sarei morto. Morto. Sepolto in una tomba. Con una madre a piangere sul sepolcro. 

Volevo vivere. Era un desiderio bruciante in petto. Era quanto di più potessi agognare, il mio diritto a esistere! 

Così mi distesi ancora una volta sul mio lettino ospedaliero e guardai il soffitto. Per tante, tante ore. 

 

Fui svegliato da qualcuno. Qualcuno di biondo. Di biondo e bello. Di biondo, bello, e fastidioso.

Alison. 

Mi scuoteva selvaggiamente, con la grazia di un bue zoppo, mi dava fastidio. Avrei voluto farla smettere.

Cercai di esprimere il tutto grugnendo e rigirandomi tra le lenzuola, ma quella non demordeva. Era sempre lì a scuotermi e a chiamarmi. Tante volte. Troppe.

Alla fine aprii di poco gli occhi e la pregai di smetterla. Le dissi che mi stava rompendo i coglioni. 

— Devi svegliarti— mi rispose invece lei.— il Dottor Smith arriverà a momenti. Ti deve parlare di una cosa molto urgente. 

Il Dottor Smith non avevo mai avuto modo di vederlo. Faceva il Dio del San Mungo: più in alto rispetto a noi comuni mortali eppure onnipresente. Era il mio medico e non mi aveva ancora visitato.

Per tanto rimasi seriamente colpito dalla prospettiva che a breve Sua Maestà Dottor Smith avrebbe incontrato il suo più importante paziente. Me.

— Che cosa mi vorrebbe dire, il Dottore?— prima che però Alison avesse modo di rispondere, la porta si aprì, lasciando spazio a quello che, in tutta franchezza, potei definire “l’uomo più bello del reparto”, dopo me stesso. 

Non mi sprecherò in descrizioni accurate stile “ragazza alla prima cotta”, ma prendetemi in parola. Più che altro ci feci caso nel momento in cui Alison gli sospirò dietro.

Il Dottor Smith mi si avvicinò, prese la prima sedia che li finì a tiro, e vi ci sedette sopra.

— Buon giorno.— salutò— tu devi essere Draco Malfoy, vero? Io sono Justin Smith, per te Dottor Smith. Finalmente ci incontriamo, eh?— io non risposi. Avevo quello sguardo da “son più importante di te”, tanto per specificare chi detenesse il ruolo di maggior successo. 

— Bene, come ti senti oggi?— chiese ancora. Io scrollai le spalle. Lo guardavo esasperato.

— Sei uno di poche parole. Alison non me l’ha detto. Di fama si dice che tu sia un ragazzo molto più aperto, sia pure in senso non tanto positivo.

— E, di grazia, cosa avrei di negativo, io?— chiesi, seccato. Quello mi stava dando ai nervi.

— Ah, quindi sai anche parlare! Ma tu guarda! Bene, ora che posso confidare nella tua attenzione, sappi che ho da darti una grandiosa notizia.— e lo disse con un sorriso.— Una nostra paziente, quella che potrebbe ritardi la vita, verrà a stare nella tua stanza, da una parte per permettere di rendere più agevoli le possibili trasfusioni, dall’altra perché il lettino a cui era obbligata è stato ceduto a una bambina affetta di....ehi, ma mi stai ascoltando?— avevo gli occhi fissi sul soffitto. Nel senso, due occhi completamente spalancati immobili tra le crepature del soffitto.

— Ehi, nel caso tu non l’abbia capito, Hermione Granger verrà a stare nella tua stanza! 

E allora il soffitto avrebbe anche potuto cascare.

 

 

Ci tengo a specificare che io, da quel momento, mi sono incazzato di brutto. Gliele ho gridate in faccia di tutti i colori, a quel bastardo. 

Perché significava davvero mettere il dito nel fuoco, costringermi a sopportare Hermione Granger anche nella lampadina. Come se non fosse abbastanza condividere l’ospedale!

E poi le possibilità di attuare delle trasfusioni erano minime: Narcissa mi aveva riferito l’opinione contrastante di mio padre. Presto avrei avuto modo di parlarci io stesso, e per allora dovevo avere le idee chiare: volevo o non volevo accettare il suo sangue? Decisione molto difficile da prendere se accanto al mio lettino ci fosse sempre stata lei. Avremmo litigato tutto il tempo. Sarebbe stato un inferno.

Quando arrivò, circa due ore dopo, ero ancora incazzato. 

Due medimaghi si portavano dietro un lettino bianco, lei li seguiva a pochi passi. Indossava un pigiama imbarazzantissimo: tutto rosa con le paperelle. Ero pronto per sfotterla da lì all’eternità.

La Granger mi rivolse uno sguardo sdegnato, sollevando di poco il mento e andando a sedersi sul nuovo ingombrante lettino. 

Si trattenne a parlare con gli infermieri. Erano due, una femmina e un maschio, e sembravano essersela presa proprio in simpatia. Le rivolgevano sorrisi affettuosi e le portavano dietro i bagagli. Due sacche. 

La cosa che mi colpì - e che mi dava nuovi elementi per sfotterla- era proprio il fatto che una delle due sacche contenesse libri. Solo e unicamente libri. Il solito topo da biblioteca.

Non ebbi molto modo di parlare con lei per i primi quaranta minuti. Ginger e Klaus, i due infermieri, le stavano addosso come sanguisughe. Poi arrivò Alison che stette addosso a me. 

Mi compativa, lei. “Quanto mi dispiace che tu debba passare questi giorni con una mezzosangue”. “Che coraggioso che sei ad accettare tutto”. “Ti meriteresti un premio per tanta pazienza”.

L’unico premio che potrei aver desiderato da lei — neanche tanto, comunque— era impraticabile fintanto che Ginger o Klaus fossero rimasti tra i piedi. O la Granger. 

Cazzo!

Si stava rivelando una palla al piede su tutti i fronti. 

Fintanto che loro parlarono di autori babbani, io e Alison chiacchierammo amorevolmente di sciocchezze. Lei chiacchierò amorevolmente. Io stetti zitto. 

Furono i quaranta minuti più lunghi della mia vita. Quando finalmente credetti che lo strazio fosse finito — ovvero quando Ginger e Klaus congedarono la mezzosangue— tornò Sua Maestà Re Smith. Con quella sua aria da elegante spaccone. 

Mi fece un sorriso, poi si avvicinò alla Granger e la salutò per nome. Disse proprio “Buongiorno Hermione, come sta andando?” E lei “tutto bene Dottor Smith, Ginger e Klaus sono stati magnifici.” E lui “Ti prego, chiamami Justin”. Che rabbia. 

Quando qualcuno mi sta sulle palle c’è poco da fare. 

E quei due mi stavano sulle palle, ecco.

Mi schiarii la voce con un lieve ed elegante colpo di tosse. Molto incazzato.— Ci sono anche io qui, sapete? E che sei venuto a fare nella mia stanza?— chiesi.

— Sono venuto ad assicurarmi che Hermione stesse bene, ovviamente. Oh, e ad avvertirvi che entro un paio di settimane sarebbe il caso di iniziare le trasfusioni...sempre che voi due siate d’accordo, s’intende. 

Vidi la Granger distendersi sul suo lettino. 

Non prestava attenzione. 

— Tu sei d’accordo?— chiesi alla ragazza. Lei scrollò le spalle. Poi non disse niente. 

Il Dottor Smith —o, come la mezzosangue preferiva, Justin— si voltò e, con un lieve saluto, affermò che quelli erano affari privati e che ce la saremmo dovuta vedere da soli. 

Niente di più giusto.

Intanto però lei dormiva. O fingeva di dormire. 

Si rifiutava di rispondere ai miei richiami, era stressante.

— Oh, sentimi bene tu. Se non vuoi darmi il tuo sangue io sono d’accordissimo con te, al massimo mi risparmi la difficoltà di scegliere. Quindi, se tutto è deciso, possiamo anche...

— Io non ho deciso un bel niente. 

— Halleluja! La mezzosangue ha parlato. 

Lei sbuffò. Per un po’ ripiombò un caparbio silenzio, ma la Granger si tirò su a sedere contro la testiera. 

— Io non ho niente in contrario a fare queste trasfusioni. Cosa vuoi che cambi a me? Te piuttosto, sei disposto a macchiare il tuo nobilissimo e purissimo sangue?— era una nota di sarcasmo, quella? No, perché per me la situazione era seria. 

Certo che non ero disposto! Ma avrei accettato di morire per questo? Avevo troppa paura. 

— Quel che scelgo io è affar mio. Alla fine quel che conta è che tu abbia dato il consenso. 

— Io non ho dato alcun consenso.

— Ma sei hai appena detto che...

— Lo so che cosa ho detto. Ho detto che per me non importava darti il mio sangue, ed è la verità...solo che non posso farlo, se tu non mi dai qualcosa in cambio. 

Questo mi lasciò sconvolto. Perché m’aspettavo di tutto, ma non un ricatto. 

Mi aspettavo le strilla. 

Mi aspettavo isteria.

Mi aspettavo un freddo cenno di diniego. 

Mi aspettavo un caloroso sì.

Non un ricatto, troppo, troppo da...

— Serpeverde! Saresti dovuta essere un sepreverde! Da quando voi buoni e onesti Grifondoro ricattate qualcuno?— le gridai contro. Lei si tappò le orecchie, come se avesse l’emicrania. 

— Non gridare così.— rispose— fa male. E comunque ho bisogno di una cosa da te, ed è molto importante. Per questo ho accettato...

— E sentiamo, di cosa avresti bisogno?
— Non ti sei chiesto cosa ci faccio io qui? Mi sono sentita male. Ho un grave problema che sembra stia intaccando alcuni dei miei organi interni...attualmente i miei reni sono andati distrutti. Presto toccherà anche a tutti gli altri.— a ben pensarci non avevo affatto riflettuto sul reale motivo per cui lei fosse qui. 

Non ne avevo avuto il tempo, né l’interesse. Non mi sconvolgeva la consapevolezza che lei stesse male, anzi, mi faceva piacere. Non nel modo in cui m’aspettavo, però. Non provavo gusto nel saperla in fin di vita, ma era un sollievo constatare che non ero il solo a soffrire. 

— E sentiamo, cosa vorresti tu da me?

— Esattamente questo. Un rene. 

 

Bacheca dell'autrice

Sono tornata! In ritardo. Scusate. 
E' possibile ci siamo degli errori...spero di no!
Mi dispiace che sia un po' corto, ma mi sembrava una fine appropriata. Il resto al prossimo capitolo. Ora ci terrei a chiedere scusa anche per le mie scarse competenze in medicina: non so un cavolo. Non so come funzionino queste cose, quindi in realtà io ci provo...cioé, Draco può donare un rene, no? Devono essere compatibili, anche se magari il gruppo sanguigno non c'entra... uff. Mi dispiace. 

 

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