The Tenant

di lithi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Books, Scarves And Ties ***
Capitolo 2: *** A Guitar And A Cup Of Tea ***



Capitolo 1
*** Books, Scarves And Ties ***


Books, Scarves and Ties







“Kurt, ti prego.”
Il giovane si girò verso il suo ragazzo, gli occhi arrossati e le gote in fiamme.
“Non possiamo parlarne un attimo?”
Kurt non rispose. Si limitò a ficcare con ancora più foga gli abiti dentro la valigia.
Questo solo avrebbe fatto capire a chiunque che c’era qualcosa che non andava. Che forse quello non era il modo migliore di risolvere la questione. Perché se c’era una cosa che Kurt Hummel amava e venerava, erano i vestiti. Tutti. Piegava e stirava anche mutande e calzini da quanto gli piaceva vederli belli impilati e in ordine. Ma in quel momento, l’unica cosa che si poteva intravedere all’interno della valigia era una massa informe.
Per non parlare dei suoi capelli.
Si sarebbe potuto scrivere un libro sulla cura che Kurt aveva per i suoi capelli.
Sin dai tempi delle elementari, il ragazzo li aveva considerati uno dei suoi beni più preziosi (il fatto che suo padre fosse calvo, forse aveva amplificato l’attaccamento al suo cuoio capelluto) pettinandoli e acconciandoli con chili di lacca biologica. Li lavava a giorni alterni, perché si sa che lavarli tutti i giorni non era salutare, e una volta alla settimana si faceva un bell’impacco all’olio di Argan per renderli più luminosi.
Tutto questo mentre si dedicava all’infinità di creme da applicare su viso e corpo mentre la sua pelle candida era ancora umida.
Il risultato di tutti questi trattamenti era un ragazzo impeccabile, alto ma non troppo, con lucenti occhi azzurri, sopracciglia come disegnate dolcemente sopra le palpebre, labbra rosse e piene, pelle bianca lievemente rosata e lucenti capelli castani, sempre vestito come se dovesse attendere a una sfilata del compianto Alexander McQueen.
Un quadro ben diverso da quello che il ragazzo era in quel momento.
Gli occhi rossi, i capelli arruffati, la pelle del viso coperta di chiazze rosse per il troppo piangere. Per non parlare della camicia che gli usciva dai pantaloni e dalla cravatta snodata messa attorno al collo a mo’ di sciarpa.
Quindi no. Kurt Hummel non era di buon umore.
E se c’era una cosa da non fare quando Kurt Hummel non era di buon umore, era urlargli contro.
Ma evidentemente il suo ragazzo non l’aveva ancora capito malgrado i sei anni passati insieme e i quattro di convivenza.
“Kurt! Smettila di fare il bambino viziato per Dio! Mi sono dimenticato di andare a comprare il pane, mica ho ammazzato qualcuno!”
Kurt chiuse di botto la valigia dopo aver finalmente vinto la battaglia contro i suoi vestiti, prima di minacciare con un dito il ragazzo di fronte a sé.
“Sei così preso da te stesso da non capire neanche perché io mi sia incazzato! Non è il pane, razza di deficiente!” Kurt si diresse verso l’ingresso dell’appartamento, valigia alla mano. “In tutti questi anni mi sono detto ma che sarà mai, infondo tutti possono scordarsi, andrà meglio la prossima volta. Ma adesso basta! Adesso mi sono stancato!” Il giovane riuscì finalmente ad infilarsi le maniche del lungo cappotto nero prima di afferrare una sciarpa e arrotolarla sopra alla cravatta. “Il pane è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso! Pensa a tutte le volte in cui ti ho chiesto una mano in casa. Quando ci siamo trasferiti, a malapena sei rimasto sveglio per portare su i mobili! Sono stato io che li ho sistemati!”
“Ma tu fai l’arredatore! Sai meglio di me come mettere le cose dentro casa!”
Kurt si infilò i guanti di pelle nera prima di girarsi incredulo verso l’altro ragazzo e lanciargli le chiavi di casa addosso.
“Ehi!”
“Io faccio l’arred- Io volevo fare le cose con te, razza di cretino!” Il giovane si passò le mani tra i capelli cercando di controllare il suo respiro. “Quante volte mi hai aiutato a preparare la cena? Quante volte hai lavato i piatti? Quante volte hai pulito la casa? E se io ti chiedo di andare a prendere il pane perché io non ne ho il tempo dato che devo finire di vedere degli appartamenti per dei clienti, tu cosa fai? Ti scordi? Cosa cazzo sono io per te? Una colf? Una governante? Un tizio che ti sistema la casa e che ti scopi quando ne hai voglia?”
Il moro si lasciò scappare un grido frustrato.
“È successo solo una volta! Possibile che io non sia autorizzato a sbagliare? Ah già, per il perfetto Kurt Hummel gli sbagli non esistono!”
“Una sola volta? Cazzo, mi sembra di aver vissuto in questa relazione da solo! Quante volte ti sei scordato di fare la lavatrice? Di portare fuori il cane? Quante volte mi hai portato la colazione a letto da quando viviamo insieme? O regalato un mazzo di fiori? Mi hai regalato i biglietti per gli Yenkees per il mio compleanno! Gli Yenkees!”
“Preferivi i Red Sox?”
Kurt lo guardò allibito per mezzo secondo prima di girarsi verso la porta e aprirla di scatto.
“Addio Aiden!”
 
Kurt Hummel e Aiden Brith si erano conosciuti durante il primo anno alla NYU, quasi sette anni prima. L’uno aveva scelto un corso di design e arredamento mentre l’altro studiava per diventare avvocato, quindi c’è da chiedersi come avessero fatto ad incontrarsi. Bè, come si suol dire, galeotto fu il libro e chi lo scrisse. O meglio, spinse. Perché si, come nelle migliori commedie romantiche si conobbero in biblioteca a causa del crollo di un voluminoso tomo di legge sopra la testa di Aiden, troppo intento a guardare quel meraviglioso ragazzo castano seduto poco avanti a lui per rendersi conto che alle sue spalle un’altra matricola aveva perso l’equilibrio, rovesciando a terra (e sulla sua testa) tutta la fila E della sezione L di Diritto Costituzionale.
Vi risparmio il seguito. Vi basti sapere che Kurt si avvicinò a lui preoccupato, Aiden si imbarazzò per la pessima figura e finirono la giornata davanti ad una cena improvvisata nel Pronto Soccorso più vicino.
A quella prima cena ne seguirono innumerevoli altre, fino a quando finalmente Aiden trovò in sé il coraggio di avvicinare il suo viso a quello dell’altro, per stampare il primo di una lunga serie di baci sulle labbra di Kurt.
Non erano speciali. Si amavano, quello si, ma non c’era niente nella loro relazione che fosse al di sopra della media. E per un po’ di tempo andò bene così ad entrambi.
Perché tutti e due venivano da un piccolo paese bigotto e non gli sembrava vero di poter camminare tranquillamente mano nella mano, baciarsi in mezzo alla strada, poter dire “il mio ragazzo sta parcheggiando, arriva subito”, senza dover subire occhiate e insulti neanche particolarmente velati.
E poi c’era il sesso. Entrambi erano vergini quando si erano conosciuti, ed erano stati più che contenti di fare questo passo insieme. Di sentirsi connessi ad un’altra persona in quel modo.
Erano felici in fin dei conti, ma forse solo perché non conoscevano niente di meglio.
E lo furono davvero fin quando la quotidianità non prese il sopravvento sulle loro vite.
Le cene fuori diventarono sempre più sporadiche, soprattutto dopo il trasferimento nell’appartamento che decisero di condividere. I baci lievi e dolci finirono dimenticati in favore del bisogno di sentirsi preda dell’adrenalina che accompagna il sesso. I piccoli gesti che l’avevano fatta da padroni durante i primi anni della loro storia, semplicemente scomparvero.
Quando poi Kurt iniziò a lavorare, le cose peggiorarono ancora.
Il ragazzo stava tutto il giorno fuori, sbattuto da un appartamento all’altro, mentre Aiden si chiudeva nello studio in cui l’avevano assunto subito dopo la laurea, perso tra i documenti legali che gli piazzavano sotto il naso.
Fu più o meno in quel periodo che iniziarono a litigare.
Kurt si lamentava per lo scarso coinvolgimento che Aiden aveva nella loro vita di coppia. Aiden si lamentava perché non sapeva cosa fare per far smettere Kurt di lamentarsi.
Ci provarono. Ci provarono davvero.
Ma qualche volta provare non basta.
 
“No Rachel. Non voglio venire a casa tua. E si, sono convinto di quello che sto facendo.” Kurt si sporse all’indietro per esaminare la lista dei voli in partenza per Columbus, una mano vicino all’orecchio a sorreggere il cellulare.
- Sei sicuro? Io e ‘Cedes non abbiamo problemi a tenerti qui con noi. Sarebbe come ai vecchi tempi. Potremmo fare un pigiama party proprio come al liceo mentre tu ti calmi. -
“Io. Non. Ho. Assolutamente. Bisogno. Di. Calmarmi.” Ripeté lui stizzito afferrando il trolley e avviandosi verso il Gate 5.
- Oh si. Lo sento. Sei la tranquillità fatta persona. -
“Rachel! Dico sul serio. È finita. Non voglio vederlo. E non ho nessuna intenzione di trascorrere il mese di ferie che mi spetta in giro per New York. Preferisco di gran lunga andare a casa e passare un po’ di tempo con mio padre.”
- Dimmi che ho sentito male e che non hai detto che Lima è meglio di New York, per favore. -
Kurt dribblò velocemente due bambini che si rincorrevano sul pavimento lucido, lanciandogli uno sguardo assassino.
“Bè, in questo momento, per me, assolutamente si!”
- Kurt, questo è assurdo! È come dire che io dovrei tornare insieme a Jessie perché siamo la coppia perfetta! -
Il ragazzo intravide finalmente la fila per l’imbarco e tirò un sospiro di sollievo.
“Se ben ricordo la prima cosa che hai fatto non appena sei arrivata a New York è stata atterrare tra le sue braccia.”
- Si, e dovresti anche ricordarti di quello che mi dicesti tu. Se non ricordo male le parole furono una cosa come “No. Assolutamente no. Inequivocabilmente no.” O mi sbaglio? -
“No, non sbagli.” Kurt posizionò il cellulare tra il collo e la spalla per porgere all’hostess di fronte a lui il suo biglietto. “Ma non vedo come avrebbe potuto esserlo. Andiamo, quel tizio ti ha mentito, ha fatto colazione sopra alla tua testa – letteralmente – e poi è scomparso nel nulla per ripresentarsi dopo un anno e cercare di conquistarti di nuovo dandoti assoli su assoli.”
- Assoli meritatissimi Kurt! La mia voce è spettacolare, e lo sai! Così come sai che ho bisogno degli applausi per vivere! -
“Calmati Campanellino, nessuno dice il contrario. Il punto è che ti ha trattato malissimo e che non ha davvero apprezzato il tuo talento. Mai. Sennò non avrebbe barato per farti vincere.” Il ragazzo cominciò a percorrere il corridoio che lo avrebbe riportato in Ohio a passo di marcia. “E comunque non riesco a capire cosa c’entri tutto questo con me e il mio ritorno a casa!”
- Trattare male…non apprezzare il tuo talento…già, non capisco nemmeno io. Come ho mai potuto paragonare Jessie St. James all’Ohio! -
“Rachel! È sarcasmo quello che sento?! Sono fiero di te!”
- Non tirare troppo la corda Hummel! -
Il ragazzo montò a bordo dello shuttle che lo avrebbe portato ai piedi dell’aereo.
“Senti Rachel. Apprezzo che tu sia preoccupata per me, ma andrà tutto bene. Tra me ed Aiden non funzionava più. Dio solo sa se è mai funzionata davvero. Un po’ di tempo a casa con mio padre e Carole mi aiuterà a schiarirmi le idee.”
Un sospiro rassegnato lo raggiunse dall’altro capo del telefono.
- D’accordo. Ma se succede qualcosa - qualsiasi cosa Kurt! -, voglio che mi chiami immediatamente. -
“Lo farò tesoro. Grazie.”
- Fai buon volo. Ci sentiamo quando arrivi a casa. Anzi, chiama Mercedes. Sarà abbastanza arrabbiata quando la informerò della telefonata che si è persa quando tornerà su dal negozio. -
Il ragazzo si lasciò sfuggire una risata lieve pensando alla reazione della loro terza metà.
“Ok. Ciao Rachel.”
- Ciao Kurt. -
Kurt appoggiò la schiena al sedile non appena ebbe concluso la conversazione, e decise di chiudere direttamente il cellulare.
Aveva già chiamato a casa e, quando nessuno aveva risposto, in officina e John gli aveva detto che suo padre e sua madre erano andati a fare una gita al lago e sarebbero rientrati solo in serata. Poco male. Poteva prendersi il suo tempo e magari farsi un bagno caldo in attesa del loro ritorno.
Si, pensò mentre l’aereo decollava, non vedeva l’ora di rivedere la sua stanza.
 
La casa era esattamente come se la ricordava. La facciata bianca, il giardino curato ma non esageratamente, gli attrezzi da lavoro appoggiati alla porta del garage.
Appoggiato al trolley al suo fianco, mentre sistemava il portafoglio nella tasca del cappotto nero dopo aver pagato il taxi, Kurt notò una macchina che non riconosceva nel vialetto. Che Finn si fosse messo a collezionare auto d’epoca?
Si mosse verso la porta tirando fuori la sua copia delle chiavi dalla tasca. Era passato troppo tempo dall’ultima volta che aveva varcato quella soglia, e si ripromise di non far più passare così tanti mesi senza rivedere suo padre.
Rimase per un attimo lì, perso nell’odore di casa. Finn doveva aver bruciato qualcosa da poco, perché l’odore pungente del fumo non se n’era andato completamente.
Dopo qualche minuto passato a darsi mentalmente il bentornato a casa, entrò nella soglia e appese le chiavi al gancio vicino alla porta prima di dirigersi verso la cucina. Si, quello era sicuramente un pollo bruciato. Eppure gliel’aveva detto mille volte di non provare a cucinare qualcosa senza supervisione. Qualche volta suo fratello era un pericolo anche per se stesso.
Dopo aver buttato quello che rimaneva del povero volatile, si versò un goccio d’acqua e si sedette sul bancone della cucina guardandosi intorno.
Magari, mentre sarebbe stato lì, avrebbe potuto dare una sistematina alla casa. In fin dei conti era da un sacco che non vedeva suo padre, e comprare qualche mobile nuovo sarebbe stato un buon modo per chiedergli scusa per non aver trovato il tempo per lui.
Kurt emise un sospiro rassegnato. Il tempo.
Mai avrebbe pensato di non avere tempo per suo padre, l’uomo che amava di più al mondo.
Ma se quella doveva essere una rinascita, allora avrebbe fatto in modo che fosse una rinascita in tutti i sensi. Non solo per lui come giovane uomo single. Ma anche come figlio.
Sciacquò velocemente il bicchiere che aveva usato e prese una mela dal cestino della frutta prima di dirigersi su per le scale, verso la porta della sua stanza. Avrebbe dovuto rendersi conto che c’era qualcosa che non andava in quel momento, quando sentì un dolce strimpellio provenire dall’interno della camera. Ma si disse che molto probabilmente era la stanchezza a giocargli un brutto scherzo e girò la maniglia della porta.
Fu allora che qualcosa di totalmente inaspettato apparve davanti ai suoi occhi.
Perché lì, in camera sua, appoggiato alla spalliera del suo letto, un ragazzo dai folti capelli neri e due grandi occhi d’oro alzò lo sguardo di scatto verso di lui.

 


Salve mondo!!! XD
Ebbene si, per questa volta il mio sproloquio ve lo beccate alla fine...non so perchè, non me lo chiedete, ma mi andava così oggi...
Allora, cos'è questa cosa vi chiederete voi...bella domanda! In realtà non so neanche io come mi sia uscita, ma spero che sia quantomeno accettabile.
Penso che la storia sia facilmente intuibile. Tutti noi sappiamo chi è il ragazzo-con-la-chitarra-dai-capelli-neri-e-gli-occhi-dorati, e quindi si, se gli avvisi alla storia non sono bastati, questa sarà una Klaine. XD
È la prima volta che ne scrivo una e sinceramente sono un po' in ansia, perchè tutto vorrei tranne che rovinare la purezza che questi due incarnano. Perdonatemi se potete...ç_ç
Dato che sinceramente non so cos'altro dire, mi limito ad abbracciarvi forte e a ringraziarvi per essere passati di qua...
Lasciatemi pure un commentino se volete...

I love you all

Giulia 

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Capitolo 2
*** A Guitar And A Cup Of Tea ***


Ma saaaaaaaaaalve! XD
Eccomi qui con il secondo capitolo...
Per prima cosa, vi chiedo scusa per il ritardo ma ho avuto quello che si dice un problemino tecnico. Il mio pc ha deciso che non voleva più vivere e è morto per qualche minuto prima che riuscissimo a resuscitarlo. Fondamentalmente c'è stato un problema di tensione alla batteria, ma purtroppo ha scelto il momento in cui stavo scrivendo il secondo capitolo, che se n'è andato dato che non l'avevo salvato. Appena ho riavuto indietro il computer mi sono messa giù d'impegno e ho riscritto tutto il capitolo dal principio. Quindi scusate se in alcuni punti sono stata magari mediocre, ma l'ho fatto davvero di corsa.
E' che non mi andava di non pubblicare nemmeno questa settimana...
Un grazie particolare a tutte le persone che hanno messo la storia tra le seguite o tra le preferite (*-*) e alle tre dolcissime persone che hanno commentato lo scorso capitolo.
Fatevi sentire anche questa volta, mi raccomando...il vostro parere mi aiuta a migliorare...XD
Un bacione e alla prossima,

Giulia

 



2 – A Guitar and a cup of tea






La mela che Kurt aveva in mano scivolò a terra con un tonfo sordo mentre il ragazzo osservava a bocca aperta un perfetto estraneo spaparanzato sul suo letto. Con le scarpe ai piedi. Scarpe. Sul letto. Il suo letto.
“E tu chi diavolo sei? Che ci fai in camera mia?”
Kurt rimase lì a boccheggiare. Perché no, non era stato lui a fare la domanda, ma il misterioso possessore di due occhi gialli e lucenti che adesso brandiva la chitarra a mo’ di mazza da baseball verso di lui.
“Scusami?!” Camera sua? Ma stava scherzando? “Dovrei essere io a chiederti cosa diavolo fai tu qui. In camera mia. E metti giù quelle dannate scarpe dal mio letto!”
Il ragazzo misterioso strinse un poco la presa sulla chitarra.
“Vivo qui da cinque mesi ormai. Se fosse stata camera tua me ne sarei accorto, direi.”
“Vivi qui da c-. Tu sei pazzo.”
“Disse l’uomo con la faccia spiritata alla mia porta…”
“Che fai, prendi per il culo? E metti giù quella chitarra!”
“Certo, così mi puoi anche venire addosso, no?!”
Kurt si strinse la base del naso tra le dita con un respiro profondo. Ma perché tutte a lui?
“Senti, piccolo hobbit della Contea. Oggi è stata una giornata stressante e tu non fai che peggiorarla!”
“Mi insulti pure?”
“Credo di avere il diritto di insultare un perfetto estraneo che se ne sta in piedi sul mio letto…e che cazzo! Togliti almeno le scarpe!”
“Non ci penso nemmeno. Non riesco a correre velocemente senza, e se tu mi aggredisci è l’unico modo che ho per scappare.”
“Ti rendi conto che se io fossi davvero un serial killer, mi avresti appena detto cosa fare e cosa non fare per farti a pezzi?!”
“Oppure potrei averti detto una cavolata e vedere se tu ci sei cascato!”
Kurt lo fulminò con lo sguardo.
“Non ho nessuna voglia di stare a sentire i tuoi giochetti mentali. Esci immediatamente fuori da questa casa prima che chiami la polizia!”
“Io non me ne vado da nessuna parte! Sei tu che sei entrato in casa mia senza permesso e…a proposito, come sei entrato?”
“Con le chiavi?!”
“Chiavi?! Si certo, come no. Come se io fossi così scemo da credere che tu- aspetta un attimo.” Il ragazzo sgranò gli occhi come se si fosse trovato di fronte ad un fantasma. Lentamente abbassò la chitarra che ancora teneva alta sopra la testa per studiare il viso dell’altro.
Kurt, dal canto suo, lo osservava con gli occhi sgranati come se fosse un pazzo. Chi diavolo era quello? Perché lo stava fissando in quel modo? E dove diavolo erano i suoi sai quando gli servivano?
Dopo quasi cinque minuti passati nel più totale silenzio a fissarsi, il giovane non ce la fece più e sbottò infastidito.
“Hai finito?”
Il moro sembrò pensarci un attimo prima di aprire la bocca.
“Kurt…Kurt Hummel?”
Kurt sgranò gli occhi. Come faceva a sapere il suo nome?
“Ci conosciamo?”
L’altro ragazzo abbandonò finalmente la chitarra sopra alla trapunta blu notte prima di crollare sul letto scosso da una serie di risatine isteriche.
“Porca puttana Kurt. Mi hai fatto prendere un colpo! Credevo seriamente che tu fossi un serial killer o qualcosa del genere.” Kurt continuava a fissarlo come se fosse appena uscito da un manicomio. E la cosa era altamente probabile per quanto ne sapeva lui. Quello non stava bene. “E scusami se non ti avevo riconosciuto, ma sei cresciuto parecchio e non mi sembravi la stessa persona che c’è in praticamente tutti i ritratti di casa.” Il ragazzo continuava a ridere tenendosi la pancia come se qualcuno avesse detto la cosa più divertente del mondo.
“Ma si può sapere chi cazzo sei?”
Il moro alzò la testa rivelando gli occhi pieni di lacrime dal troppo ridere. Si alzò in piedi, operazione resa complicata dagli spasmi che ancora lo prendevano di tanto in tanto e gli porse la mano.
“Mi chiamo Blaine. Blaine Anderson. E sono l’inquilino di casa Hudmel.”
 
Blaine Anderson. Cosa posso raccontarvi di lui…
Bè, tanto per cominciare Blaine Anderson proveniva da un’ottima famiglia. Una delle più ricche e facoltose dell’Ohio. Si era diplomato alla Dalton Academy, una delle scuole private più care di tutto lo Stato, con il massimo dei voti. Aveva conseguito poi una laurea in Educazione Musicale e Letteratura Inglese all’Università del Michigan.
Avrete notato la battuta non tanto velata di Kurt sulla sua somiglianza con un hobbit. Era alto? No. Ma era la prova vivente che “altezza mezza bellezza” era solo un modo di dire. Perché si, era bello. Molto bello.
Aveva i capelli ricci e scuri come l’ebano, illuminati dalle pietre dorate che erano i suoi occhi, posti appena sopra la curva piena e rosata delle labbra. La pelle olivastra li faceva risplendere ancora di più, facendoli sembrare due soli al tramonto. Per dirla in breve, tralasciando altre sviolinate che ci farebbero solo perdere tempo, era un gran figo.
Insomma, era bello, ricco, talentuoso. Vi chiederete cosa ci facesse allora in una casa che non portava il suo nome.
C’era un piccolo dettaglio in lui che sembrava cozzare con tutto quello che vi ho appena raccontato. Perché vedete, Blaine Anderson era gay. Gay come il 4 di Luglio.
E la sua famiglia non aveva mai visto di buon occhio la cosa, terrorizzata che il mondo potesse vedere una crepa nella perfezione che ostentava quotidianamente.
All’inizio avevano semplicemente ignorato quello che Frank Anderson chiamava “il piccolo problema di Blaine”, certi che con il passare del tempo il figlio minore sarebbe rinsavito, si sarebbe trovato una buona moglie e avrebbe procreato allegramente con lei fino a quando i muscoli della schiena avrebbero potuto lavorare sulle spinte giuste.
Le loro certezze cominciarono a vacillare dopo che Blaine portò a casa il suo primo ragazzo, Mason.
Poi cominciarono a riempirsi di crepe quando arrivò Paul.
E infine rovinarono paurosamente quando fu il turno di Jeremia.
Ora non state lì a pensare che il giovane Blaine se ne andasse in giro a fare strage di cuori volutamente. Non poteva farci niente se trovava sempre qualcuno disposto a “trascorrere il resto della vita con lui”. E non vi passasse neanche per l’anticamera del cervello che lui non soffrisse nel vedere le sue storie finire e cadere una a una come foglie autunnali disperse dal vento. Perché Blaine era per prima cosa un romantico. E come tale viveva le sue storie con una passione e una dedizione che avrebbero fatto invidia a Jack Dawson. Il tizio di Titanic per capirci.
Ma stiamo divagando.
Dopo Jeremia le cose erano diventate complicate.
Suo padre a malapena gli rivolgeva la parola. Sua madre lo guardava con una sorta di risentimento dietro gli occhi chiari. E sua sorella non gli permetteva neanche di toccarla.
L’unico che sembrava avere ancora un po’ di sale in zucca era suo fratello maggiore, Cooper, che non sembrava avere problemi con le sue preferenze sessuali. Sfortunatamente, Cooper viveva in Inghilterra, quindi la cosa non incideva granché sulla quotidianità di Blaine.
Insomma, Jeremia e Blaine decisero di andare a vivere insieme.
In fin dei conti all’epoca Blaine aveva 23 anni mentre Jeremia ne aveva 26, e stavano insieme da più di un anno. Sarebbe sembrata una cosa abbastanza naturale.
Il problema si pose quando Blaine lo annunciò alla famiglia riunita per il Ringraziamento.
Basti solo dire che un’ora dopo stava già sfacendo gli scatoloni a casa del fidanzato, con un occhio nero come saluto e augurio da parte di suo padre.
E qui potrebbe concludersi la storia di Blaine Anderson.
Potrebbe.
Perché evidentemente le cose con Jeremia non erano andate tanto bene come aveva immaginato se adesso lui si ritrovava a casa Hudmel.
E infatti, dopo due anni di convivenza, le loro strade si erano divise.
Fortuna volle che in quei due anni Blaine avesse iniziato a lavorare al McKinley High School di Lima, e che lì avesse conosciuto Finn Hudson.
Il bietolone era l’assistente della Coach Beiste, l’allenatrice della squadra di football, e aiutava Will Schuester, il professore di storia, con il Glee Club. Blaine, dal canto suo, aveva trovato lavoro come professore di letteratura. Inutile dire che, dopo il primo giorno, si era unito alle fila del professor Schue. E quindi aveva conosciuto Finn.
Quindi sembrò naturale che il gigante buono lo accogliesse in casa, quando lui e Jeremia decisero di prendere strade diverse.
In fin dei conti, non è questo quello che i migliori amici fanno?
 
“Casa Hudmel?”
Dopo aver passato mezz’ora buona a convincerlo che non era un ladro entrato di soppiatto in casa per rubare la sua collezione di tiare (“Guarda, questo è il contratto.” “Sei un falsario?” “Ma no che non sono un falsario!”), Blaine era finalmente riuscito a convincere Kurt della sua buona fede. E questo li aveva portati a sedersi l’uno di fronte all’altro in cucina, una tazza fumante di tè in mano e le scuse per gli insulti precedenti ancora sulle labbra. Fu in quel momento che il castano fece quella domanda.
Blaine si passò una mano tra i riccioli scuri mentre ridacchiava, scoprendo una fila di denti bianchi e lucenti.
“Si, io e Finn la chiamiamo così. Burt ogni tanto ci scherza su e dice che dovremmo chiamarla casa Hudmelson.”
Al nome del padre, Kurt si tese come una corda di violino. Il fatto che lui non sapesse niente di questo inquilino lo aveva ferito, e non poco. Certo, adesso i rapporti con suo padre si erano fatti più radi, ma avere una nuova persona dentro casa era un passo importante e il ragazzo non poté fare a meno di sentirsi escluso dalla propria famiglia.
Quante altre cose il padre gli aveva taciuto? Non era necessario che volasse fino a New York per dirgli che un ragazzo occupava la sua stanza. Glielo avrebbe potuto dire con una telefonata.
Kurt spalancò gli occhi e si rese conto finalmente del perché non sapesse niente della situazione.
Ogni volta che lui e Burt si sentivano al telefono, la conversazione non durava più di una manciata di minuti. Minuti che passavano veloci mentre lui correva da una parte all’altra della Grande Mela, troppo impegnato per parlare con l’uomo che lo aveva allevato.
Kurt nascose il viso tra le mani ancora calde per via del tè.
Sarebbe rimasto in quella posizione per ore se non avesse sentito una mano callosa stringere dolcemente la presa sul suo polso e obbligarlo a scoprirsi.
“Kurt, tuo padre non è arrabbiato con te.” Il castano spalancò gli occhi davanti all’affermazione di quel quasi-sconosciuto. “Lo sa che il lavoro ti prende tanto tempo, e non te ne fa una colpa.” Blaine si mise a sedere sulla sedia di fianco a lui. “Lo sai cosa dice ogni volta che chiude il telefono?!” Kurt scosse impercettibilmente la testa, spaventato dal dolore pungente che lo stava assalendo dalla gola e dagli occhi. “Dice “Bè, il mio ragazzo lavora sodo. Proprio come il suo vecchio.” Tuo padre è fiero di te, Kurt.”
Kurt non seppe perché lo fece.
Forse per il fatto che quella era stata una giornata davvero lunga.
Forse perché aveva appena realizzato che aveva lasciato gran parte del suo guardaroba a New York.
Forse perché Blaine era riuscito a leggere all’interno della sua anima in un attimo.
Fatto sta che le lacrime presero a scorrere sulle sue guance prima che lui potesse fermarle.
E l’attimo dopo stava respirando per la prima volta l’odore di muschio bianco e sandalo di cui era intrisa la pelle di Blaine.
 
Finn Hudson parcheggiò l’auto sul vialetto di casa, proprio dietro a quella di Blaine, e tirò un sospiro di sollievo.
Casa dolce casa.
Qualche volta si domandava come avesse fatto durante il liceo a conciliare il football con il Glee Club. Senza contare tutti i casini che la sua vita amorosa gli aveva causato. La gravidanza di Quinn, la storia con Rachel, la sua prima volta con Santana, la storia con Rachel, il tradimento di Rachel, la storia con Quinn, la storia con Rachel, la lite con Rachel quando non l’aveva seguita a New York. Doveva ammettere che la sua vita al liceo era stata piuttosto avventurosa da quando aveva deciso di unirsi al Glee Club al secondo anno.
Ora, dall’alto dei suoi 25 anni (e del suo metro e 97), Finn poteva dire di essere abbastanza soddisfatto della sua vita: aveva un lavoro che amava, una famiglia che era sempre presente e un migliore amico che non gli avrebbe mai fregato la ragazza. Neanche gli allenamenti improvvisi in vista della finale di campionato riuscivano a buttarlo giù più di tanto.
Mentre prendeva il borsone dal bagagliaio dell’auto e avanzava verso l’entrata della casa, pensò a Puck e alla sua attività di pulizia delle piscine. L’amico l’aveva chiamato due giorni prima per raccontargli di quanto stesse andando tutto alla grande, e doveva ammettere che era davvero fiero di lui. Il senso di colpa per non averlo seguito in quell’avventura se n’era finalmente andato dopo che Puck gli aveva raccontato del suo nuovo socio in affari, e adesso si sentiva libero di essere contento per lui senza nessun rimpianto.
Chiuse la porta di casa e fece per appoggiare le chiavi al gancio quando si accorse che era già occupato da un mazzo che gli risultava vagamente familiare.
“Blaine?!”
“In cucina Finn.”
Il gigante buono lasciò il borsone di fronte all’ingresso prima di seguire la voce di Blaine.
“Amico, sai per caso di chi siano le chiavi appese vicino alla porta? Per caso Burt ha fatto un nuovo maz-”.
Finn si bloccò sul posto. Perché a salutarlo non erano stati gli occhi gialli del suo migliore amico, ma quelli cristallini di suo fratello.
“Kurt…”
 
In quel momento Kurt non sapeva un sacco di cose.
Non sapeva per quanto tempo era rimasto appoggiato alla spalla di Blaine.
Non sapeva per quale motivo era crollato all’improvviso di fronte a quel ragazzo che aveva appena conosciuto.
Non sapeva come la sua famiglia avrebbe reagito alla sua visita.
Non sapeva neanche dove avrebbe dormito quella notte, vista l’impraticabilità della camera degli ospiti e il fatto che la sua fosse già occupata.
Ma sapeva che era piacevole starsene lì, cullato da un profumo sconosciuto e rassicurante insieme e da delle dita che gli accarezzavano dolcemente la schiena, disegnando piccoli cerchi immaginari sopra la maglietta.
Si riscosse solo quando la voce di Finn all’ingresso lo fece sobbalzare sulla sedia.
Si asciugò velocemente gli occhi mentre Blaine rispondeva a suo fratello e si alzò in piedi per andargli incontro, non fidandosi del suono della sua voce.
Fu in quel momento che alzò gli occhi, incontrando quelli increduli del bietolone di casa.
“Ciao Finn.”
“Oh mio Dio!” Finn si lanciò contro di lui, abbracciandolo così stretto quasi da soffocarlo, e procurandogli una mezza risata. “Non ci posso credere! Kurt! Quando sei arrivato? Perché non hai chiamato? Ti sarei venuto a prendere.”
Kurt aspettò di avere di nuovo aria nei polmoni prima di arrischiarsi a dire qualcosa.
“Sono arrivato nemmeno mezz’ora fa. Volevo solo passare un po’ di tempo con voi. Mi siete mancati da impazzire ultimamente…”
Finn gli poggiò una mano sulla spalla.
“Ci sei mancato anche tu.” Rispose sorridendo. “E quanto ti fermi?”
Le labbra di Kurt si aprirono in un sorriso malinconico.
“Un mese più o meno. Se per voi va bene. Ho pensato di prendermi le ferie che mi spettavano adesso, piuttosto che durante l’estate. Febbraio è un mese morto per quanto riguarda l’arredamento.”
“Ma certo che va bene!” Finn era davvero contento di avere di nuovo a casa il fratello. Gli era mancato incredibilmente sentirsi rimproverare ogni volta che si strafogava di schifezze davanti a una partita di football in tv. “E Aiden? Lui non viene?”
Un’ombra di tristezza velò per un attimo gli occhi del castano.
“No. Lui non viene.”
Finn si bloccò un decimo di secondo prima di guardarlo sorridendo. Era incredibile quanto fosse diventato intuitivo lavorando a stretto contatto con degli adolescenti cinque giorni alla settimana. “Bè, meglio così. Non mi era mai piaciuto quel tipo.” Sollevò gli occhi verso il ripiano della cucina, dove Blaine stava mettendo via le tazze ormai vuote, cercando di dare un po’ di privacy ai due fratelli. “Ehi Blaine. Verso che ora torna Burt?”
Il moro ci pensò un attimo prima di rispondere.
“Mi pare abbiano detto verso le sette. Giusto in tempo per la cena.”
“Bene. Perché qui abbiamo un cuoco eccezionale che sono certo abbia già in mente qualcosa di salutare e genuino da farci mangiare.” Disse indicando Kurt che stava già alzando gli occhi al cielo.
“Dovevo immaginarmelo che ti mancava il fatto che io cucinassi. L’ho sempre detto io: un uomo bisogna prenderlo per lo stomaco.” Sospirò prima di aprire le ante del frigorifero e controllare quello che c’era all’interno. “Va bene allora. Ma voi due signori mi aiutate, perché non ho assolutamente intenzione di fare tutto da solo.” Aprì il cassetto degli strofinacci e cominciò a cercare.
I due ragazzi si misero in fila come se fossero ad un addestramento militare, prendendo al volo i grembiuli che Kurt gli stava lanciando.
“Perfetto. Finn: lava l’insalata. Blaine: prepara la macedonia.” Kurt si tirò su le maniche della maglia in modo da non stropicciare la camicia. “Io penso alla carne.”

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