How could it be any other way?

di Najla
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. Perché non bisognerebbe essere Auror ***
Capitolo 2: *** Settimo anno ***
Capitolo 3: *** Conta fino a dieci e poi taci ***
Capitolo 4: *** Come ci siamo arrivati ***
Capitolo 5: *** Un'allegra famiglia felice ***
Capitolo 6: *** Trasforma quest'acqua, in Whiskey! Parte 1 ***
Capitolo 7: *** Trasforma quest'acqua, in Whiskey! Parte 2 ***
Capitolo 8: *** Un semplice groviglio di fili ***
Capitolo 9: *** Di Serpeverdi mancati e biblioteche affollate ***
Capitolo 10: *** Challenge: uccidere è un reato Parte 1 ***
Capitolo 11: *** Challenge: uccidere è un reato Parte 2 ***
Capitolo 12: *** Quando il mondo comincia a cadere ***
Capitolo 13: *** Lacrime di pioggia ***
Capitolo 14: *** Qui va sempre tutto bene ***
Capitolo 15: *** Di distrazioni e gufi inquietanti ***
Capitolo 16: *** Quando la pazzia dilaga ***
Capitolo 17: *** C'era una volta, qualche errore fa.. ***
Capitolo 18: *** Al ritmo di una danza ***
Capitolo 19: *** Falsi sorrisi e piani di omicidio ***
Capitolo 20: *** Falsi sorrisi e piani di omicidio. Parte 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo. Perché non bisognerebbe essere Auror ***


Prologo
Perchè non bisognerebbe essere Auror



5 Ottobre XX

Prigione magica di Azkaban, ore 01.27.
«Ti prego, Teddy, ricordami un piccolo dettaglio: perché cavolo abbiamo deciso di diventare Auror al posto di fare la bella vita e lavorare in uno dei tanti inutili uffici del Ministero?» sbuffò tra la noia e lo schifo un giovane uomo sui ventiquattro anni tenendo saldamente la bacchetta stretta tra le mani, a un ventina di centimetri dal viso per riuscire a vedere almeno a un palmo del suo naso in quel buio pesto e impenetrabile.
Dietro di lui, un coetaneo dalla figura più alta e gracile, ridacchiò sornione illuminando con la punta della bacchetta quella che aveva tutta l’aria di essere una cella vuota da anni e ispezionandola con una rapida ma vigile occhiata.
«Ma per il nostro spiccato e radicato senso di giustizia, ovviamente» rispose dopo alcuni secondi Teddy con ancora il sorriso sulle labbra, l’amico si bloccò e con fare teatrale si voltò nella sua direzione con un’espressione tragica e afflitta,«E perché diavolo nessuno c’ha detto che era una motivazione davvero stupida?».
Teddy sospirò condividendo per alcuni secondi la drammaticità del momento poi scoppiò di nuovo a ridere mentre i due riprendevano la loro ennesima ronda, «Sai, Edward, penso che dovremmo chiedere spiegazioni a qualcuno».
«Eh, penso anch’io…» borbottò il biondo controllando distrattamente l’ennesimo cubicolo deserto.
Quando gli avevano annunciato che sarebbero stati entrambi mandati ad Azkaban per iniziare le prime fasi del loro tirocinio, dopo aver superato una serie di lunghissimi ed estenuati esami di ogni tipo ed essere quasi ammattiti nel mentre; i due amici, Ted Lupin e Edward Harker, avevano accolto la notizia con il massimo dell’entusiasmo: finalmente un po’ d’azione!
Invece si erano trovati a dover fare una noiosissima e ininterrotta ronda per otto ore al giorno, sette giorni alla settimana, lungo i corridoi più bui della prigione, circondati dall’onnipresente odore di carne in putrefazione e dalle grida agonizzanti e deliranti dei prigionieri usciti totalmente di senno.
Quella sera il loro responsabile aveva deciso di mandarli nella zona più interna della prigione, dove venivano tenuti gli ultimi sostenitori di Voldemort ancora in vita e che avevano avuto abbastanza fegato da non rinnegarlo nemmeno dopo la sua eclatante sconfitta. Non era un’ala particolarmente pericolosa, visto che teneva per lo più maghi decrepiti dalle facce minacciose e una cinquantina di celle deserte ma il ricordo di chi vi aveva soggiornato tempo addietro metteva ancora i brividi alle guardie più anziane che la evitavano come la peste.
Ed ecco spiegato il vero motivo per cui quel giro nell’ultimo girone dell’inferno era toccato proprio ai due novellini.
Avevano quasi finito di ispezionare anche gli ultimi cubicoli quando Edward alzò la bacchetta verso una delle poche celle occupate, quella dell’ormai cinquantenne Barthy Crouch Junior, e vide nell’oscurità il profilo di una bacchetta puntata verso di loro con la punta lignea illuminata da un leggero bagliore verdastro: l’inizio di un incantesimo.
«Oh merda!» gracchiò afferrando l’amico per una manica e spedendolo sul pavimento di una delle celle vuote prima di seguirlo finendogli praticamente sopra mentre la sua schiena veniva sfiorata da un assassino lampo verde, che andò a sua volta a cozzare contro il muro in fondo al corridoio, estinguendosi.
«Eddy! Ma che cavolo…» esclamò Teddy scrollandoselo di dosso prima di essere zittito da un’occhiata seria e tesa dell’altro, che si limitò ad indicare con la testa l’entrata della cella.
I due scattarono in piedi all’unisono con le bacchette pronte e con un cenno d’intesa uscirono nel corridoio buio pronti a combattere.
«Stupeficium!» esclamò Edward puntando la bacchetta verso la figura che ancora si scorgeva tra le ombre vicino alla cella di Crouch, ma questa fu più agile e mentre lanciava un sortilegio scudo aveva sulla punta della lingua una maledizione che Ted evitò prontamente cercando a sua volta di schiantare l’intruso.
«Chiama qualcuno!» esclamò Edward mentre lanciava l’ennesimo incantesimo di protezione per evitare quelli che erano diventati una serie di attacchi senza sosta a cui non riuscivano a reagire: chiunque fosse quell’ombra venuta fuori dal nulla doveva avere un’esperienza da duellante davvero notevole.
Teddy, senza farselo ripetere due volte, evocò il suo Patronus, «Avvisa Jenkins e digli di mandare qualcuno: intruso nella zona nera» e il lupo argento si lanciò in una corsa sfrenata illuminando con la sua luce fiocca il corridoio.
E in quel momento di distrazione, Edward, che nonostante la bravura non riusciva a tenere testa a quell’avversario che sembrava lanciare più incantesimi di quanti non riuscisse a pensarne, non riuscì a formulare uno scudo e fu colpito in pieno da un sectumsempra, dritto al torace, finendo a terra ansimante.
«Edward!» esclamò spaventato Teddy chinandosi sull’amico per vedere in che stato fosse e in quel momento la figura scura sembrò perdere totalmente interesse per loro due e tornò a fissare il corpo rannicchiato di Crouch che, oltre le sbarre luride, aveva osservato la scena tremando.
«Ti prego…» cercò di implorare il prigioniero ma la sua preghiera si spense quando la figura mormorò con voce cupa, «Avada Kedavra» e il suo corpo si accasciò esanime a terra.
Teddy si alzò di scatto pronto ad affrontare con tutta la rabbia che aveva in corpo quell’intruso che si era dimostrato più temibile del previsto: non ricordava nessuno che fosse mai riuscito a mettere fuori uso Edward in così poco tempo.
«Stupeficium!» urlò, ma il suo incantesimo finì a cozzare contro una protezione invisibile e dovette abbassarsi per evitarne il rimbalzo, lasciando all’avversario il tempo di bombardare l’unica parete di quella zona che dava sul mare  e lanciarsi nel vuoto mormorando con un ghigno sinistro nella voce: «Questa è la nostra vendetta: Purosangue».
Teddy gli corse dietro con l’intenzione di colpirlo in volo, gli avevano insegnato che c’era solo un punto intorno alla prigione dove era possibile smaterializzarsi, ed era quello sprazzo d’aria che stava a un metro dall’acqua. Ma una volta affacciatosi oltre la crepa non vide niente, se non il buio cupo di una notte d’ottobre: l’intruso era sparito nel nulla lasciandosi alle spalle, come avrebbero scoperto di lì a poco, i cadaveri degli ultimi Mangiamorte rinchiusi ad Azkaban.

Ospedale magico San Mungo, ore 01.59
Se c’era una cosa che Nihila Kaur odiava era il bianco accecante e intonso che caratterizzava gli ospedali in genere, solitamente accompagnato da quel pungente odore di anestetico e disinfettante mescolato a una quantità indecente di detergenti per pulire vetri e pavimenti. Era certa che tutto quel miscuglio di sostanze con una lieve percentuale cancerogena, alla lunga potesse addirittura risultare tossico ed era incredibile che una simile minaccia si trovasse proprio in un ospedale.
Per ironia della sorte, la Nihila Kaur che odiava tutto ciò lavorava proprio in un ospedale ed era una delle nuove guaritrici all’ospedale magico di Londra.
Come a voler rispettare strenuamente il noto stereotipo secondo cui i tirocinanti nuovi di scuola debbano sgobbare dieci volte più delle persone normali, perdendo ore di sonno e spesso la piena sanità mentale, quel giorno il suo capo, una strega acida ma che purtroppo era dannatamente brava nel suo lavoro, le aveva gentilmente ordinato di fare anche il turno di notte, dopo ben otto ore che aveva passato a sgobbare nel Pronto Soccorso tra casi di fatture tagliuzzanti esagerate, arti rotti, gente spezzata durante smaterializzazioni non pienamente autorizzate e un bambino che c’aveva rimesso tutto l’apparato dentale giocando con un bolide più grintoso del previsto.
Però, quando era ormai pronta ad ingoiare altre estenuati ore di Pronto Soccorso, la porta principale si spalancò di colpo e la piccola saletta intonsa dell’astanteria venne letteralmente messa in subbuglio da quattro maghi dall’espressione truce.
Era già pronta a far valere la sua autorità di neo- medico quando uno di questi, un uomo giovane che faticò a riconoscere subito, a causa dell’improbabile colore blu cobalto dei capelli, la prese per un braccio guardandola implorante, «Ci serve un medico immediatamente, siamo Auror di Azkaban: uno di noi è stato ferito».
Al suono di quella voce familiare e tremendamente ansiosa, Nihila strabuzzò gli occhi per la sorpresa, ricollegando finalmente il viso magro e un po’ spigoloso che aveva davanti al nome del suo ex- compagno di scuola: Teddy Lupin.
«Ted? Cosa diavolo è successo?» chiese avvicinandosi agli altri Auror per vedere lo stato del ferito e facendo contemporaneamente cenno ad una delle infermiere di avvicinarsi con una barella.
«Nihila? Oddio, scusa, non ti avevo riconosciuta…» biascicò stupito, ma la ragazza aveva già smesso di ascoltarlo, chinandosi sul corpo inerme che reggeva tra le braccia il mago più massiccio della combriccola e trattenendo a stento un’esclamazione di orrore e sorpresa: avrebbe riconosciuto quella testa bionda e spettinata ovunque.
«Edward?» chiese rivolta al giovane Lupin che annuì cupo. La guaritrice scosse la testa riprendendo il controllo ed estrasse la bacchetta dalla tasca interna del camice bianco: «Trudy!» esclamò spazientita mentre l’infermiera si avvicinava titubante facendo volare davanti a se la barella per avvicinarla il più possibile al ferito, «Levicorpus!» e il corpo di Edward venne gentilmente tolto alle mani del mago che lo reggeva e adagiato delicatamente sul lettino, «Prima di aiutare la guarigione con la magia, devo disinfettare e controllare i danni ai tessuti. È stato usato un incantesimo di magia Oscura, e da quel che vedo il mago che l’ha scagliato doveva essere particolarmente arrabbiato» commentò ad alta voce dirigendo la barella lungo il corridoio illuminato a giorno da centinaia di candele, prima di trovare finalmente una stanza vuota e infilarsi dentro insieme al ferito, «Voi, aspettate di là» ordinò rivolta ai quattro maghi, poi si rivolse all’infermiera che l’aveva seguita spaventata, anche lei nuova a quel lavoro, «Trovami la signorina Tunner e dille che la sua apprendista vuole un consulto: è urgente».
La giovane infermiera annuì agitata prima di ripercorrere il corridoio correndo e portandosi dietro tre dei quattro Auror: Teddy Lupin le lanciò un ultimo sguardo implorante, «Salvalo».
Lei gli sorrise rassicurante poi si richiuse la porta alle spalle: era l’ora di mettersi al lavoro.

«Teddy- Ted Lupin» disse una voce gentile richiamandolo alla realtà, si voltò di soprassalto saltando letteralmente sulla sedia in plastica dov’era seduto, provocando le leggere risate della ragazza che aveva davanti, «Da quanto tempo non ci si vede?» continuò sedendosi al suo fianco.
Nonostante gli avessero comunicato alcuni minuti prima che Edward era fuori pericolo e che se la sarebbe cavata con qualche cicatrice e una buona dose di riposo, non era ancora riuscito a rilassarsi del tutto e l’avrebbe potuto affermare chiunque lo avesse visto fissare maniacalmente le piastrelle del pavimento: come aveva fatto lei rimanendo appoggiata alcuni minuti al muro alla sua destra, ad osservarlo in silenzio
Lui la squadrò per una manciata di secondi, prima che un leggero sorrisetto gli si dipingesse sulle labbra fine: erano passati cinque anni e ormai non riusciva più a riconoscere in quel viso maturo e gentile la ragazza che aveva accompagnato lui ed Edward nei loro sette anni ad Hogwarts, non riusciva più a vederci la piccola Grifondoro che aveva riso delle sue disgrazie e l’aveva consolato quando cretini come Michell St John lo avevano insultato a causa di quel padre di cui andava tanto orgoglioso.
Ora, davanti a lui, aveva una donna slanciata ed elegante, con i lunghi capelli neri raccolti in una coda alta e gli occhi ancora più scuri che lo scrutavano con una gentilezza fastidiosamente estranea.
No, dello scricciolo di Hogwarts non c’era più niente.
«Troppo, direi» sospirò sconfitto dal filo malinconico dei suoi pensieri, «Sei diventata una Guaritrice, alla fine…».
«E tu ed Edward Auror: non ero così sicura che ce l’aveste fatta» ridacchiò spensierata stiracchiandosi, «Vi immaginavo ad un angolo di Diagon Alley a vendere oggetti magici di contrabbando».
«Alla faccia della stima nei nostri confronti, Nihila» borbottò senza riuscire a non sorridere ancora. Lei scosse la testa sorridendogli orgogliosa, «Ero certa che ce l’avreste fatta, Teddy».
«Lo avresti saputo prima se non avessi tagliato i ponti, cinque anni fa» borbottò il ragazzo incapace di trattenersi e lei d’improvviso si oscurò alzandosi in piedi, «Ted…» stava per dire quando dal fondo del corridoio sentì dei passi di semicorsa, accompagnanti dal tono tutt’altro che amichevole di un uomo sulla quarantina inoltrata che avanzava deciso e nero di rabbia discutendo animatamente con il suo vicino, «E’ una cosa inconcepibile! Come diavolo è potuto succedere?! Azkaban dovrebbe essere impenetrabile eppure qualcuno ha avuto tutto il tempo di entrare e fare una strage sotto gli occhi di una ventina di maghi più che qualificati! Come me lo spiegate questo?! Come diamine è potuto accadere?! Esigo un rapporto entro un’ora sulla mia scrivania e voglio qualcuno che sappia darmi una spiegazione decente per tutto il casino che è successo!! Mi hai capito, Philips? Non accetterò nessun tipo di scusa!» sbraitò l’uomo a quello che gli camminava affianco, sempre più terrorizzato.
«Certo, signor Potter, vado immediatamente» squittì balbettando prima di invertire la marcia e tornare da dove erano venuti.
«Gli farai venire un infarto prima o poi, Harry» ghignò un secondo uomo, alto e affusolato, con dei fiammeggianti capelli rossi rivolto a quello che doveva essere il signor Potter, che a sua volta sbuffò con un mezzo sorriso rassegnato, «Credo che quel poveretto si meriti un aumento di stipendio» commentò a mezza voce passandosi una mano sulla fronte.
«Mi scusi, signore, ma questo resta un ospedale, la pregherei di abbassare la voce: è tardi e molti pazienti dormono» disse Nihila professionalmente intercettando lo sguardo verde dell’uomo che ormai le era arrivato davanti.
Aveva i capelli scuri e sul naso portava un paio di occhiali tondi, dalla montatura nera, teneva un leggero filo di barba sulle guancie e nonostante fosse evidentemente una persona con un certo potere, si limitò a guardare Nihila con un mezzo sorriso colpevole e umile, «Ha ragione dottoressa, ci dispiace».
«Zio Harry? Cosa ci fai qui?» chiese Teddy alzandosi a sua volta. L’uomo lo guardò per una frazione di secondo prima di scompigliargli affettuosamente i capelli, ora del loro solito castano chiaro.
«Teddy, per fortuna stai bene» mormorò sorridendo sollevato il signor Potter, «Comunque sono qui per quello che è successo stanotte…come capo degli Auror devo assolutamente fare luce sulla faccenda e speravo che tu ed Edward poteste aiutarmi.
«A proposito: Edward come sta?» chiese un po’ preoccupato rivolto verso Nihila.
«Se la caverà signor Potter, qualche giorno qui in ospedale e sarà come nuovo» sorrise cordiale la ragazza e l’uomo sembrò tirare un sospiro di sollievo prima di rivolgersi nuovamente a Teddy, «Ted, io e te dobbiamo scambiare due parole su quello che è successo…».
Lupin annuì serio pronto a rispondere a tutte le domande del capo degli Auror e del rosso, quando Nihila decise che era ora di prendere congedo, «Scusatemi, ma devo tornare al mio lavoro: vi informerò della situazione del signor Harker appena si sarà svegliato.
«Con permesso: signori, Teddy» e con un lieve cenno del capo si voltò prendendo la strada per il Pronto Soccorso, dove era certa avrebbe trovato un eccitato branco di infermiere pronte a chiederle cosa diamine fosse successo.
Harry guardò vagamente incuriosito la figura della donna allontanarsi prima di rivolgere uno sguardo indagatore verso il suo figlioccio, «Teddy, la conosci?».
«Quella è Nihila Kaur, zio, l’amica mia e di Edward ad Hogwarts» rispose con un sospiro passandosi una mano tra i capelli, pronto allo sguardo sbigottito del padrino e alle numerose domande che ne sarebbero inevitabilmente seguite.
«La piccola Nihila? Ma sei sicuro?» chiese esterrefatto continuando a guardare la donna che svoltava l’angolo in fondo al corridoio e spariva dalla loro vista.
«Eh, già…» sospirò sconsolato finendo per crollare nuovamente sulla sedia.
«Siete stati due idioti» commentò Harry scuotendo la testa con disapprovazione.
«Eh, già…» ripeté Teddy con una nota di depressione in più nella voce: due enormi idioti.



Nota ell'autrice che deve ancora capire, esattamente, come possa aver deciso di pubblicare:
Allora, innanzitutto grazie per essere arrivati fino alla fine del prologo, e se non avete capito quasi niente di quello che è successo, tranquilli, non è colpa vostra, è una cosa, teoricamente, voluta! Diciamo che questo è il primo tassello del puzzle e se vi ha incuriosito un pochino sono disposta a mettere anche gli altri :)
Ora come mi sia venuto in mente di cimentarmi con la nuova generazione è un mistero ancora irrisolto, ma se il prologo vi è piaciuto in una qualche maniera, o se volete consigliarmi di darmi all'ippica, fate pure, una recensione piccolina piccolina e io sono felice, anche perchè è la prima storia che pubblico in questa sezione e un parere sarebbe assai gradito!!

Grazie mille,
Najla

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Capitolo 2
*** Settimo anno ***


Primo Capitolo
Settimo anno


5 Ottobre XX

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, dormitorio femminile Grifondoro, ore 07.00
La sveglia suonò con un il solito trillo irritante, facendo alzare pigramente la testa alla sua proprietaria che sembrava tutt’altro che felice di udire il suo felice trillare. Estrasse, infatti la bacchetta da sotto i due cuscini su cui aveva affondato il volto e la puntò con sicurezza verso quel piccolo e innocente quadrante azzurro che la sorella, anni prima, le aveva regalato con tanto affetto.
«Reducto» biascicò assonnata e la sveglia finì in un grumo di polvere sul suo comodino, dove ormai una pila di libri in bilico minacciava di schiantarsi contro il pavimento.
«Jade, devi smetterla di polverizzare quel povero aggeggio, se ti da tanto fastidio, ti svegliamo noi, così smetti di programmarla» la rimbeccò una voce rassegnata alle sue spalle e con la coda dell’occhio vide la sua piccola sveglia tornare all’aspetto originale.
«Non posso, Eva, l’ha incantata quel mostro di mia sorella» borbottò la ragazza mettendosi finalmente a sedere guardandosi attorno con un enorme sbadiglio che non si curò minimamente di coprire, prima di posare uno sguardo di totale disapprovazione su una delle sue coinquiline: quella che camminava in giro per la stanza già vestita di tutto punto.
«Eva, te l’hanno mai detto che dormire la mattina ti aiuta a riappacificarti con lo spirito e tutto il resto? Che non è dannoso per la tua salute?» borbottò alzandosi e cominciando a rovistare nel suo baule alla disperata ricerca della divisa pulita.
«Certo che lo so, Jade. Mi sono svegliata presto per ripassare il programma di Pozioni e quello di Incantesimi, ieri non ce l’avevo fatta» spiegò pazientemente cominciando a prendere i libri da mettere nella borsa.
«Tu hai seri problemi…» sospirò la ragazza scuotendo la testa e cominciando a infilarsi la divisa ritrovata ai piedi del comodino: prima le calze nere, poi la gonna a pieghe , la camicia bianca, rigorosamente fuori dalla gonna e sopra il gilet grigio chiaro con lo stemma della scuola e le finiture con gli inseparabili colori rosso e oro.
«Ci sono i MAGO quest’anno, cara, e io non voglio arrivare impreparata: sfortunatamente non ho un centesimo del tuo cervello e devo studiare come si deve, costantemente» rispose Eva con un mezzo sorriso mentre da un terzo cumulo di coperte emergeva un’ultima ragazza con la pelle olivastra e i lunghi capelli neri.
«Ma che cavolo succede?» chiese in uno sbadiglio, vedendo tutto quel movimento.
«E anche l’ultima è sveglia!» esclamò allegra Eva, «Buongiorno Roxanne».
«Voi due…ma sono solo le sette!» sbraitò la mora esasperata prima di fissarle truci e ricadere nuovamente sul materasso, «Vi odio».
Eva e Jade si guardarono e scoppiarono a ridere, incapaci di fermarsi e pensando all’unisono che tutto quello, l’anno successivo gli sarebbe terribilmente mancato.
Infatti, per Evangeline Laurie, Jade Fyfield e Roxanne Weasley, quello sarebbe stato l’ultimo anno ad Hogwarts e nessuna delle tre riusciva ancora a capacitarsene.
Si erano conosciute la prima notte passata in quella stessa stanza insieme e, a parte saltuari battibecchi erano sempre andate d’accordo, creando tra di loro un piccolo microequilibrio che nessuno ancora era riuscito a distruggere.
E il merito, con ogni probabilità, era da darsi ai loro caratteri diametralmente opposti.
Evangeline Laurie, soprannominata Eva nel giro di una settimana dall’inizio della scuola, era piccola e gracile, con i lunghissimi capelli castano chiaro che le arrivavano fino al giro vita e che non aveva mai osato accorciare da quando frequentava la scuola, un viso piccolo e grazioso, ricoperto da lentiggini, e due grandi occhi azzurro cielo. Era la più grande stacanovista che la casa di Grifondoro, e probabilmente tutta la scuola, avesse mai visto e non vi era una materia in cui non prendesse il massimo dei voti, con una tale umiltà da impedire persino agli altri di esserne invidiosi. Poteva vantarsi di essere particolarmente equilibrata e diplomatica, tanto che molti si chiedevano perché, con un carattere così buono e malleabile, non fosse finita tra i Tassorosso. La risposta la conoscevano davvero in pochi, probabilmente solo i suoi coetanei, che in una gelida mattina di dicembre l’avevano vista affatturare quasi a morte un ragazzo che l’aveva quasi vista nuda: dimostrando finalmente al mondo che anche lei aveva un poca di grinta.
Jade Fyfield, invece, era l’esatto opposto, era slanciata e flessuosa, con un seno da far invidia, al contrario dell’amica, un corto caschetto riccio, biondo miele, un viso apparentemente dolce e due bizzarri occhi che si divertivano a cambiare colore passando dal verde all’azzurro e poi ancora al giallo o al grigio con la rapidità di un trasformista. Fin da subito, chiunque, aveva potuto notare che, in quanto a voglia di fare, stava messa peggio di James Sirius Potter durante l’ora della pennichella, collezionando una sfilza di Troll in materie che considerava particolarmente inutili, come Storia della Magia o Astronomia. Salvo poi rimediare con voti che andavano ben oltre l’Eccezionale, lasciando basiti insegnanti, studenti e chiunque si aggirasse per il castello. Quando gli amici le avevano chiesto come avesse fatto a migliorare in quel modo, aveva semplicemente risposto che le serviva un voto alto per alzare la media, e con questa scusa la scala dei suoi voti assomigliava più ad una pista di montagne russe che a una pagella, conclusasi con il massimo dei voti in tutte le materie durante gli esami di fine anno. Non era una persona molto paziente e nemmeno particolarmente diplomatica, e forse per questo motivo i ragazzi l’avevano presa subito di buon’occhio, trovando in lei un’alleata preziosa nelle loro strambe avventure: alla fine del secondo anno venne etichettata come il quarto membro del gruppo di terroristi scolastici composto da James Potter, Elijah Faraday e Ian Clow. Al contrario della compagna, inoltre, aveva quello spirito di sfacciata intraprendenza che le aveva consentito di diventare una cacciatrice di prima categoria prima della fine del primo anno.
L’ultima, Roxanne Weasley, aveva quello che alle altre due mancava: un cervello decisamente machiavellico, una leggera predisposizione per la violenza fisica, che Jade possedeva in pari solo verbalmente, e la tendenza al dispotismo verso chiunque le stesse tra i piedi.
Era alta e snella, con la pelle leggermente olivastra e i lunghi capelli neri che le arrivavano fino a metà schiena, il viso era a forma di cuore, leggermente appuntito e aveva un paio di tenebrosi ed intriganti occhi, tanto scuri da non vederne la pupilla. Non andava particolarmente bene a scuola, ma non le interessava neanche più di tanto data la sua intenzione di diventare una cacciatrice professionista, come lo era stata la madre. Non aveva alcun tipo di problema a socializzare con chiunque, anche con le piante, se necessario, ed era probabilmente l’unica persona dell’intero clan Weasley a potersi vantare di essere in buoni rapporti con tutti i cugini, compresa quella spocchiosa irritane di Molly che molti, suo fratello compreso, avrebbero chiuso in uno stanzino per poi gettare la chiave e dimenticarsene.
In effetti, il perché della loro storica e duratura amicizia era ancora un mistero non del tutto risolto.
Roxanne era ancora intenta a litigare con le coperte quando, a sorpresa, la porta della camera si spalancò, facendo entrare tre teste decisamente troppo sveglie per essere solo le sette di mattina.
«Rox, mi serve la tua copia di Incantesimi Avanzati parte 3, devo dimostrare a Scorpius che è un idiota» annunciò la ragazza in testa al gruppo, «Scusate, ma dov’è Jade?».
Dalla porta del bagno uscì la testa della bionda, che le salutava con un mano mentre nell’altra reggeva lo spazzolino da denti, fu un secondo, poi sparì nuovamente in uno sciabordare di acqua corrente.
«Scusatela, giuro che ce l’abbiamo messa tutta per tenerla ferma e farle aspettare colazione, ma non c’è stato verso» si scusò con un mezzo sorriso una seconda ragazza, più alta della prima.
Evangeline sorrise comprensiva andando a rovistare nella sua ordinata pila di testi scolastici, prima di voltarsi con un volume dalla copertina blu indaco e le scritte dorate, «Capisco a cosa ti riferisci, Faith, deve essere una caratteristica dei geni Weasley. Comunque, Rosie, puoi prendere il mio libro, tempo che Roxanne trovi il suo potrebbe arrivare una nuova glaciazione».
«Poi qualcuno mi spiega perché ce l’avete tutti con me stamattina?!» sbraitò la mora presa in questione uscendo finalmente dal letto massaggiandosi il collo.
«Nessuno ce l’ha con te Roxie» ridacchiò l’ultima ragazza della combriccola, prendendo Rosie a braccetto e pilotandola verso la porta, «Bene, grazie per il libro, ora Rose è contenta e umilierà di nuovo Malfoy, direi che ci vediamo a colazione ragazze e scusate il disturbo».
«Tranquilla Vì, ci vediamo giù» rispose Jade mettendo di nuovo la testa fuori dal bagno e Vì ricambiò con un occhiolino prima di richiudersi la porta alle spalle.
Non era raro subire un’incursione di quel genere, per le ragazze del settimo anno Grifondoro, soprattutto da quando Rose Weasley si era appropriata del guardaroba della cugina, con cui condivideva la corporatura, e aveva cominciato ad idolatrare la dedizione allo studio di Evangeline. E dato che Rosie era quanto di più simile ad un terremoto, non conosceva altra maniera di far loro visita, se non un attacco a sorpresa.
La cosa divertente era che nelle sue uscite si trascinava anche le altre due compagne del sesto anno, tali Die Vanille Hillyard e Faith McBride.
Rose Weasley, detta amorevolmente Rosie, era di media statura, con una folta chioma di capelli rossi e ricci che le scendevano come una cascata sulle spalle. Aveva un viso grazioso, con due grandi occhi nocciola, come quelli della madre, e un nasino piccolo e all’insù. Era intelligente, acuta e abbastanza sicura di se da risultare, a volte, presuntuosa, in particolar modo con il suo nemico storico, Scorpius Malfoy, con cui, per ironia della sorte si ritrovava a passare la maggior parte del tempo, visto che frequentavano gli stessi corsi e le stesse compagnie. Nonostante questo, chi la conosceva davvero, poteva sapere che in realtà Rose molto insicura e profondamente buona, forse troppo a detta di Albus Severus Potter, che la conosceva meglio di chiunque altro.
Die Vanille, invece, era più tranquilla, anzi se forse la sua pacatezza era dovuta alla filosofia di vita che ci teneva a difendere anche con i denti: tu non infastidisci me, io non mi interesso minimante a te. Sì, forse sarebbe stato più corretto dire che la bella Vanille, con i suoi lunghissimi e drittissimi capelli tanto chiari da sembrare bianchi e i suoi occhi neri come la pece, era il più grande esempio di menefreghismo in tutta Hogwarts. L’esatto opposto della timida Faith McBride, con i suoi corti capelli mogano e gli occhi nocciola posati su di un viso tanto dolce e delicato da sembrare quello di un cherubino e che si riempiva di lacrime per ogni cosa, felice o triste che fosse. Anche su di lei, come su Evangeline, c’era il grande mistero di come fosse riuscita ad essere mandata nella Casa dei coraggiosi Grifondoro anche se Rose e Vanille assicuravano da sempre che fosse finita nel posto giusto.
«Mi chiedo se non sia il caso di mettere un incanto su quella cavolo di porta» borbottò Roxanne raccogliendo i capelli in una coda alta, poi continuò a fissare assorta la porta, persa in chissà quali pensieri, scosse la testa e sospirò rassegnata mentre l’immagine di Rose Weasley che lanciava un Bombarda alla loro porta si aggiungeva ad altri mille modi che quel mostriciattolo poteva escogitare per entrare, «No, non servirebbe a niente».

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, dormitorio maschile Grifondoro, ore 7.20.
«Al mio tre, va bene, Ian?» un sussurro cospiratore arrivò di sfuggita alle orecchie indolenzite e assonnate di un James Sirius Potter che dormiva a pancia in giù, con mani e piedi fuori dal materasso, in un groviglio indefinito di coperte. Una piccola parte del suo cervello lo stava avvisando della minaccia che incombeva su di lui, perché sentire un mormorio sadico di prima mattina non è mai un buon segno, ma come sempre, quando si trattava di James Sirius Potter ebbe la meglio quella consistente parte della sua materia grigia che di prima mattina risultava reattiva come un’ameba, così si limitò a schiacciare ancor di più la faccia nel cuscino, ignaro di tutto.
Alla sua destra due ragazzi, ancora in pigiama ma decisamente svegli, tenevano le bacchette alzate ghignando complici mentre gli altri due camerati che occupavano la stanza, se ne stavano seduti sui rispettivi letti intenti a trattenere le risate.
Uno.
Due.
Tre.
Con uno scatto del polso in sincrono il letto di James finì sottosopra e il poveretto spiaccicato a terra con un urlo strozzato decisamente poco mascolino.
«Buongiorno Jamie!» esclamò allegramente uno dei due responsabili della sua sveglia, mentre gli altri tre scoppiavano a ridere incontrollati, «Dormito bene?» aggiunse con una punta di sadismo mentre il giovane Potter si alzava da terra massaggiandosi le ossa doloranti, prima di spettinarsi ancor di più i capelli con una mano e portare i suoi occhi assassini su di lui.
«Elijah Faraday, scappa finché puoi..» mormorò con il fumo che ormai gli usciva dalle orecchie e le mani che gli prudevano dalla voglia di tirare un pugno a quella testa di Troll che aveva avuto la brillante idea di svegliarlo in quella maniera indecente, «Perché appena ti prendo ti uccido!» e senza aspettare un secondo si lanciò al suo inseguimento, ignorando bellamente i tre che continuavano a ridersela.
«Frank! Fermalo tu!» implorò Elijah rifugiandosi nel letto di uno dei ragazzi alla ricerca di protezione ma quello, con un ghigno lo calciò gentilmente a terra.
«Arrangiati Eli» rispose mentre James si avventava finalmente sulla sua preda e cominciava a torturarla lasciandole pizzicotti ovunque gli capitasse.
«Jam..James!» sbraitò Elijah cercando di bloccargli le mani, «Perché non te la prendi anche con Ian?!».
«Perché sono convinto che l’idea sia stata tua, disgraziato!» ribatté James ancora furente e per nulla intenzionato a lasciarlo andare.
«Ma non è giusto!!».
A chiunque, nel dormitorio maschile, sarebbe piaciuto dire che quel casino di prima mattina era solo un fatto sporadico, che capitava solo nelle occasioni speciali: la realtà era che la vicinanza delle parole James Potter, Elijah Faraday e putiferio erano una sorta di legge fisica, le prime due comportavano in maniera inequivocabile la terza.
In compenso qualche buon’anima, di cui tutti volevano conoscere il nome, aveva inventato la variabile Ian Clow, che trasformava il suddetto putiferio in caos controllato e i due satelliti Frank Paciock e Lysander Scamander, grazie ai quali il caos controllato evitava di degenerare.
In fin dei conti, quell’annata di ragazzi Grifondoro era decisamente ben assortita e nonostante ne avessero combinate di tutte i colori tutti quanti nella torre si erano rassegnati con un sorriso al loro essere un maremoto umano.
La mente criminale del gruppo, se così si poteva, in maniera riduttiva, definire, era il già citato James Sirius Potter, rubacuori di professione che aveva fatto del catturare e ammaliare fanciulle indifese una vera e propria arte, con i suoi capelli scuri perennemente spettinati e i suoi occhi scuri che avrebbero fatto ammattire anche la McGranitt se solo, beh, non fosse stata la McGranitt. Se a questo si sommavano un fisico da atleta e il titolo di cercatore che manteneva da sei anni e quello di Capitano ricevuto solo l’anno prima, con un pizzico di infrazioni al regolamento scolastico che non fanno mai male alla reputazione di un vero idolo, poco importava che i suoi amici lo superassero in altezza, lui sarebbe sempre apparso la preda più ambita della fauna femminile di Hogwarts e se ne compiaceva in ogni momento della sua vita.
Perché sì, James era tutto quello che poteva essere il ragazzo ideale: altruista, gentile, impavido, divertente e tutto il resto, ma l’amore per se stesso non glielo toglieva nessuno e sapeva essere di un egocentrismo surreale.
Veniva poi il secondo fattore di disastri, Elijah Faraday, capelli mogano, occhi a detta di molte, troppo verdi per essere veri e quel sorrisetto malizioso sulle labbra ogni volta che passava un membro femminile del corpo studentesco. Lui, al contrario di James, aveva fatto dell’illudere fanciulle indifese un vero e proprio stile di vita, tanto che la sua relazione più lunga con una donna era quella che intratteneva, volente o nolente, con sua madre, che purtroppo se l’era fatto e doveva pure tenerselo.
In sostanza Elijah Faraday era un metro e novanta circa di stronzaggine allo stato puro.
Ma non quella stronzaggine che ti fa desiderare di spaccargli la faccia con un pugno, no, troppo facile, stiamo parlando di quella stronzaggine che ti fa desiderare di essere presa e usata solo per provare l’ebbrezza e quei due istanti di paradiso.
Fortunatamente a salvare l’onore della famiglia Faraday c’era la sua nemesi personale, Mordecai Faraday, il gemello normale, Serpeverde, quello che tutti adoravano tranne, ovviamente, fratello, che potendo avrebbe riscritto la storia per nascere figlio unico, e che era anche il primo e lampante motivo per cui Elijah Faraday nutriva un odio profondo e radicato per le Serpi, tutte quante indistintamente.
Ringraziando il cielo era stato inventato anche quel bravo ragazzo di Ian Clow che teneva tranquilli, con i suoi riccioli castani, la pelle dorata e gli occhi neri, quei due terremoti scolastici che altrimenti avrebbero distrutto il castello.
Nonostante questo, nessuno si spiegava come mai uno come lui, davvero un bravo ragazzo, con una fedina penale che sarebbe potuta tranquillamente rimanere intonsa, fosse andato a complicarsi la vita con la loro compagnia, alcuni ipotizzavano un colpo di sole, altri un colpo di sonno, altri in un colpo in testa, altri un colpo e basta.
Rimanevano Frank Paciock, con i suoi quasi due metri di altezza e un aspetto pressoché identico a quello del padre, nonché stimato professore di Erbologia, Neville Paciock. Era un ragazzo mite e tranquillo, se non veniva esageratamente stuzzicato e nessuno osava più infastidire Frank Paciock dal quarto anno, quando spedito un ragazzo in infermeria per una settimana. E infine Lysander Scamander, con la testa perennemente tra le nuvole, un altro troppo dolce per essere finito a Grifondoro,i capelli tanto chiari da sembrare bianchi e gli occhi blu grandi e un pochino ingenui, forse.
Decisamente un gruppo ben assortito, il settimo anno Grifondoro.

Sala Grande, ore 7.45.
La Sala Grande era un caos, quella mattina, come tutte le mattine e del resto non sarebbe potuto essere altrimenti con tutti quei ragazzi costretti a vivere sotto lo stesso tetto e a fare colazione alla stessa tavola: in compenso lo sguardo vigile del corpo docenti impediva delle e vere battaglie con il cibo.
«La prima partita è contro Corvonero?!» sbraitò Roxanne addentando una fetta di pane in maniera decisamente poco elegante, Evangeline la guardò esasperata prima di guardare Frank, che cercò di consolarla, e James, seduto davanti alla cugina, scoppiò a ridere di gusto, mentre Elijah si divertiva a rubare il cibo dal piatto di una Jade decisamente ancora troppo addormentata che non se ne accorgeva nemmeno, il tutto sotto lo sguardo di perenne rimprovero di Ian e quello confuso di Lysander, che ancora non capiva che gusto ci fosse a prelevare il cibo dal piatto degli altri quando se ne era praticamente circondati.
«Me l’ha detto prima la Hastings» rispose James soddisfatto, prima di guardare verso il soffitto, assaporando già la prossima vittoria sul campo da Quidditch,mentre la sua rinomata competitività riaffiorava pian piano dopo un’estate in cui era rimasta assopita, lontano dal campo da gioco.
«Io giuro che se quella testa di Troll di Lorcan mi viene vicino come l’anno scorso lo butto giù dalla scopa!» continuò imperterrita Roxanne aggiungendo una serie di improperi poco comprensibili nella confusione generale.
«Ma di cosa ti preoccupi, Weasley? Paura di perdere la nostra scommessa anche quest’anno?» insinuò Elijah, perché stuzzicare la Weasley mora era il suo passatempo preferito da sempre.
Jade alzò la testa dal piatto, improvvisamente attenta: scommessa?
«Tranquillo, Eli, non vincerai neanche questa volta» lo spense la ragazza con un sorrisetto compiaciuto e Jade sbuffò bevendo il suo succo di zucca in un sorso.
Era tradizione, da un po’ di anni ormai, da quando erano entrati in squadra loro tre, Jade, Rox ed Eli, che i cacciattori di Grifondoro, all’inizio della stagione, scommettessero su chi avrebbe fatto più centri tempo la fine dell’anno e l’anno prima aveva vinto la bionda. Non che la posta fosse alta, un solo galeone, ma per i tre era una questione di orgoglio e l’orgoglio di Roxanne ed Elijah avrebbe occupato tutto il castello standoci stretto.
«Comunque» tornò alla carica Rox puntando la forchetta contro il cugino, «L’anno scorso quel maiale coi capelli di Lorcan mi ha toccato il culo: se ci riprova sai già che lo affattuo, a costo di rimetterci la stagione. Ricordalo, Capitano».
«Mi sono giunti i tuoi toni soavi che chiamavano dolcemente il mio nome, Weasley» si intromise una voce dannatamente familiare e fastidiosa, «Stavi forse parlando di me?».
Lorcan Scamander, Corvonero, in tutta la sua maledetta altezza e in tutto il suo maledetto ego, stava in piedi alle spalle di James, con i capelli biondi alti sulla testa e gli occhi grigi, al contrario di quelli del gemello, affilati come due lame, senza la minima traccia di ingenuità.
E Roxanne lo odiava, solo Merlino e Morgana potevano sapere davvero quanto lei lo odiasse con ogni fibra del suo essere.
«Vai al diavolo, Lorcan» masticò la ragazza voltandosi da un’altra parte, nel vano tentativo di ignorarlo ed Elijah non riuscì a trattenere l’ennesimo ghigno, se c’era una cosa che preferiva alla Weasley mora che gli inveiva contro, era la Weasley mora che inveiva contro Lorcan Scamander.
«Con piacere, tesoro» le sorrise a mezza bocca lui prima di voltarsi verso il fratello, «Senti, Lys, mamma ha chiesto se hai preso tu i suoi occhiali gialli, quelli che usa quando va alla ricerca di non mi ricordo nemmeno che cosa. Li hai visti? Se si rimandaglieli, grazie. Sembra che casa nostra sia infestata da quei cosi e lei vuole capire dove hanno fatto il nido..».
«Va bene, Lo» rispose pacato l’altro, «Non mi pare ma guarderò».
«Lorcan, noi andiamo a Incantesimi: vieni con noi?» un’altra voce, più chiara e delicata, affiancò la figura del biondo, e una ragazza con i capelli ricci, corti e mori, non molto alta ma molto bella, gli sfiorò appena il braccio per attirare la sua attenzione, mentre il ragazzo che era arrivato con lei salutava con un cenno il tavolo dei Grifondoro.
«Ciao Row!» esclamò Jade alzandosi, «Mord, per fortuna sei venuto tu, dobbiamo parlare della ronda di questa sera».
Erano Rowena Dale, Corvonero, e Mordecai Faraday, gemello di Elijah, in tutto identico al fratello che lo salutò con una specie di grugnito.
«Bello essere Caposcuola, eh, ragazzi»ridacchiò James guardando le facce di Mordecai e Jade, per niente entusiaste.
«Uno spasso, Potter» rispose sarcastico il Faraday mentre Jade salutava gli altri e si dirigeva con lui fuori dalla sala.
«Mi raccomando, Roxanne, non smetterla di pensare a me, ma non ti preoccupare: alla terza ora saremo ancora insieme» e anche Lorcan se ne andò trascinato a forza da Rowena.
«Io lo ammazzo, io giuro su Merlino che lo ammazzo» sibilò Rox sfogando la sua rabbia su un tozzo di pane ormai ridotto in briciole, sotto lo sguardo vigile e leggermente ma giustamente spaventato di Eva: la Weasley arrabbiata era pericolosa, lo sapevano tutti.
Intanto Lorcan, nei corridoi del castello con Rowena, se la rideva soddisfatto.
«Non ti stufi mai di rovinare la vita a quella ragazza?» chiese Rowena con una nota di rimprovero, il ragazzo sorrise diabolico ma non rispose e Lorcan Scamander che sorrideva in quella maniera era pericoloso, terribilmente pericoloso, lo sapevano tutti.

Note:
Salve a tutti, masochisticamente ho postato anche il primo capitolo di questa storiella, lavoro a cui, per altro, tengo in maniera particolare -.-""
Comunque, sperando che qualcuno l'abbia letta, spero vi abbia convinti un po' di più del prologo..e vale sempre lo stesso discorso: vi prego, vi scongiuro, vi supplico, lasciatemelo un commentino, per favore!! Anche negativo, se è quello che pensate, basta che mi diciate qualcosa: qualsiasi cosa va bene, accetto ogni genere di critica..
Grazie mille per l'attenzione,
Najla

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Capitolo 3
*** Conta fino a dieci e poi taci ***


Secondo Capitolo
Conta fino a dieci e poi taci

5 Ottobre XX
Scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, Aula di Difesa contro le Arti Oscure, ore 08.10
Cinnamon Hastings era quella che chiunque, a livello universale, avrebbe definito, non a torto, una donna con le palle.
E lei ne andava dannatamente fiera.
Abbastanza alta, tutta muscoli ma con un cervello fenomenale e testarda come un mulo, era stata una valida Grifondoro ai tempi della scuola e, nonostante le voci di corridoio le attribuissero con convinzione un passato come cacciatrice di mostri o assassina al saldo di potenti maghi dell’Est, una volta finiti gli studi aveva intrapreso la carriera di Auror perché, come si diceva in giro, Cinnamon Hastings aveva imparato a disarmare un mago ancor prima di camminare, ed era, a onor del vero, una delle più grandi duellanti in circolazione.
Aveva quindi ricevuto l’addestramento della polizia magica e avrebbe anche scalato velocemente la scala gerarchica se non ci fosse stata la guerra. Tutta quella devastazione l’aveva portata a dover riconsiderare le sue priorità e, mentre il mondo magico faticosamente si ricostruiva pezzo dopo pezzo, lei aveva dovuto fare lo stesso con la sua vita, e alla fine aveva deciso di andare nel luogo che in quel momento aveva più bisogno dell’aiuto che poteva dare: la scuola dove era cresciuta.
Aveva dato una mano nella ricostruzione, aveva fatto domanda per la cattedra di Difesa contro le Arti Oscure, convinta che nessuna maledizione di sorta avrebbe potuto impedirle di occupare quel posto, suo ormai da ventiquattro anni, e infine aveva deciso che lei, in quell’aula e tra quelle mura ci sarebbe pure morta.
Ed era universalmente risaputo che se Cinnamon Hastings decideva qualcosa, niente e nessuno potevano smuoverla.
Certo, all’inizio era stato difficile rapportarsi con ragazzi che la magia Oscura l’avevano provata sulla loro pelle e se la ricordavano meglio di chiunque altro, o che erano riusciti a contrastarla talmente bene da credere di non aver più niente da imparare. Era stato duro gestire i sorrisi strafottenti degli alunni più grandi che avevano imparato da soli come difendersi e ne erano orgogliosi, oppure i pianti isterici che scoppiavano regolarmente durante le lezioni in cui si ritrovava a dover spiegare le maledizioni senza perdono, mentre negli occhi dei suoi studenti, e anche nei suoi, era inutile negarlo, riaffioravano il dolore delle perdite: le cicatrici riprendevano a pulsare e le immagini di cadaveri sospesi chissà dove si sovrapponevano a centinaia di lampi verdi e assassini, scorrendo come un macabro film nella mente di ognuno.
Era stato orribile, ma alla fine, con il passare inesorabile degli anni, anche lo spettro della guerra era andato scemando, i ragazzi avevano riportato alla sua materia il giusto entusiasmo e lei e i suoi occhi da falco si erano guadagnati il rispetto e l’ammirazione degli studenti.
Quella mattina, la prima ora, avrebbe avuto la lezione con il settimo anno, le Case Grifondoro e Tassorosso, e sentì uno strano nervosismo correrle lungo la spina dorsale al pensiero di dover sopportare per un concentrato di sessanta minuti quella che ormai considerava la sua nemesi personale: Elijah Faraday.
Perché Cinnamon Hastings era anche la direttrice della casa rosso-oro e quel ragazzo gliene aveva combinate così tante nel corso della sua carriera scolastica, che non avrebbe saputo se stillarle in ordine cronologico o alfabetico e se non fosse stato tanto bravo a Quidditch, se lei non fosse stata dannatamente orgogliosa di quella coppa nel suo ufficio e se il gusto della vittoria in bocca non le avesse sempre dato alla testa, probabilmente l’avrebbe spedito personalmente fuori dalla finestra con un poderoso calcio nel didietro, per dirlo alla babbana.
Sentì un mormorio indistinto e parecchio consistente farsi largo nel silenzio della sua aula, ed era certa che in testa al gruppo di studenti ci fosse proprio lui, pronto alla sua solita sparata mattutina.
«Ma buongiorno, prof! » esclamò ridendo, come al solito quel ragazzo il rispetto non sapeva neanche dove andarlo a cercare, «Dormito bene?».
La professoressa Hastings alzò lo sguardo dalla pila di pergamene più o meno consunte sparpagliate sulla sua scrivania e lo fulminò con un’occhiata tanto truce che avrebbe potuto rispedirlo al creatore in un millesimo di secondo e che, giustamente, gli fece almeno perdere qualche tono di colore.
«Non è giornata, signor Faraday, siediti e se ti sento aprire di nuovo la bocca per darle aria ti ritrovi a pulire la gufiera con il custode, fino a fine anno, sono stata chiara?» la voce mortalmente gelida della donna bastò a terrorizzare tutti i sedici studenti entrati in classe che cominciarono in perfetto silenzio a sistemarsi, perché era noto che, un avvertimento dato ad uno, valeva per tutti.
Jade si mise vicina a Roxanne, ma non prima di aver lanciato un’occhiata incuriosita e perplessa a James che, vicino ad un Elijah ancora sotto shock per quell’accoglienza, scosse la testa facendo spallucce: qualcosa doveva per forza essere successo.
Perché per quanto Elijah fosse un’irrispettosa testa calda, mai la Hastings gli aveva risposto con quel tono, e le possibilità erano due: o Elijah aveva scatenato una nuova guerra magica, oppure doveva essere qualcosa di molto ma molto grave nella vita della donna.
«Che cavolo hai combinato?» bisbigliò James all’indirizzo del compagno di banco che, stupito anche lui, fece spallucce pur di non aprire bocca e andare contro l’ordine della professoressa.
«Signor Potter » e James sentì il suo cuore perdere un battito quando si rese conto che la donna lo stava guardando sempre più inviperita, «Mi pareva di essere stata abbastanza chiara, vuoi così tanto andare a spendere le tue notti dell’ultimo anno con il signor Hall tra i rapaci?».
James non rispose, sapeva che non ce n’era alcun bisogno, si limitò ad abbassare la testa in silenzio, ma mentre lo faceva l’occhio gli scivolò sulla cattedra dove una lettera ancora aperta, appoggiata con malagrazia sopra un libro grosso quanto uno dei mattoni del castello, spiccava per il suo bianco cangiante: fu un secondo ma gli bastò per riconoscere la dicitura del Ministero della Magia, a casa sua di lettere come quelle ne circolavano a iosa.
Cosa poteva volere il Ministero dalla professoressa Hastings?
Ma ad un tratto non gli parve poi un così grande mistero l’umore della donna che aveva appena ordinato a tutti di aprire i manuali a pagina 49: Dieci modi per immobilizzare efficacemente senza uccidere.


Scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, Aula di Incantesimi, ore 08.55
Katherine Penelope Wetmore sbuffò sonoramente per l’ennesima volta, ravvivando con un gesto quasi automatico la lunghissima chioma tinta cioccolato che le ricadeva ordinata e accuratamente stirata sulle spalle. Ormai da tre quarti d’ora abbondanti, ovvero da quando si era seduta nell’ultimo banco in fondo a destra all’inizio della lezione, stava osservando sempre più accigliata il banco dove sedevano la Dale e Mordecai: quei due insieme avevano il bizzarro e fastidioso potere di rovinarle la giornata come pochi. Non era mai stata una strega con certe fissazioni sul sangue pure, anzi, figurarsi che suo fratello l’aveva persino sposata una mezzosangue, e c’andava pure d’accordo, e non importava neanche che si trattasse proprio di Mord e della Dale, la conosceva appena, non ricordava nemmeno di averci mai parlato.
Il vero problema era che fosse una Corvonero.
Una irritante Corvonero.
E non una Serpeverde.
Perché Kath mostrava un orgoglio patriottico inspiegabile quando si trattava della sua Casa e proprio non le andava giù che ciò che era di Serpeverde, e Mord era un vero gioiello verde-argento, finisse a qualcuno che non era di quella Casa, a una Corvonero poi, che poteva avere tutti i cervelli che voleva e invece doveva andare proprio a romper le uova nel paniere a tutte le altre donne di Serpeverde.
Se poi si trattava proprio di Rowena Dale la cosa le era ancor meno congeniale.
Perché Kath non c’aveva mai parlato con lei, ma ne sapeva la vita a memoria tanto le aveva parlato alle spalle in quei sette anni, insomma era uno dei pettegolezzi più ghiotti di tutto il castello e tra le solite quattro mura ci si annoia facilmente, così in poco tempo la ragazza dei Faraday era diventata il suo passatempo preferito.
La realtà era che non era mai riuscita a digerire del tutto che nessuno dei due gemelli l’avesse mai minimamente presa in considerazione, lei che aveva una fama in campo sentimentale davvero notevole, mentre quella ragazzina insipida della Dale era riuscita ad accalappiarle entrambe, le due perle di Hogwarts: Elijah e Mordecai Faraday.
Ma la sua non era invidia, decisamente non lo era, se lo ripeteva ogni giorno: era semplicemente odio.
Ebbene sì, Katherine Wetmore odiava Rowena Dale con ogni fibra del suo essere.
«Kath, fissala ancora un po’ e le farai un buco in testa» commentò vagamente annoiata la sua vicina di banco, Charity Lodge, Serpeverde come lei, passandosi una mano tra i lunghi capelli biondi, in tutta risposta Katherine liberò l’ennesimo sbuffo contrariato, incrociando le braccia al petto.
«Non riesco proprio a capire..è così anonima » sibilò scocciata guadagnandosi l’ennesima occhiataccia da parte di Vitious e della sua assistente: un’altra su cui spettegolare era un piacere.
Hope Harris e la sua relazione tira e molla con il professore di trasfigurazione le avevano riempito tutto il quarto e quinto anno.
«Magari è brava a letto » ipotizzò Charity esaminandosi le unghie sottolineando il suo totale disinteresse verso la lezione, quel giorno disgraziatamente teorica: quello smalto rosso sangue era stato un vero e proprio affare e non faceva altro che aumentare quell’aria da femme fatale in cui adorava crogiolarsi.
«Quella svampita? Dubito..» rispose la mora con un sorrisetto malizioso che Char non faticò ad interpretare condividendolo appieno: se i due Faraday avessero voluto solo una con cui andare a letto sarebbe stato più facile andare da una di loro due che in questo erano maestre e avevano fatto della botta e via uno stile di vita. «Poi guardala bene, è pure bruttina » aggiunse Kath con una smorfia di disprezzo e alla bionda sfuggi una risata.
«Vogliamo parlare poi di come si veste?» rispose Charity ravvivandosi di nuovo i capelli: erano la sua vera ossessione, sempre in ordine, sempre perfetti, sempre brillanti, sempre bellissimi.
«Sempre meglio della Potter » ridacchiò Kath al solo pensiero e la bionda rabbrividì.
«Niente è come la Potter » concordò con disgusto al pensiero della piccola Lily Potter e della sua maglia a fiori uscita con ogni probabilità dal’armadio alla naftalina di sua nonna.
«E la Laurie? Sembra una suora » commentò Kath.
«E la Weasley-mora? Secondo te una gonna quelle gambe l’hanno mai vista?» sibilò Chairty nascondendo dietro al dorso della mano l’ennesima risata, condivisa da una Katherine che finalmente aveva trovato il senso di quella noiosissima lezione e certa che si il discorso fosse proseguito sui discutibilissimi gusti del clan Weasley in fatto di vestiario ne avrebbe tratto almeno un senso di appagamento personale.
Sui Weasley avrebbe sparlato per ore, erano tantissimi e il materiale non mancava mai, a cominciare da Roxanne, ovvero la Weasley-mora, con i suoi costanti jeans e le costanti felpe del fratello, decisamente troppo grandi per lei, le uniche cose decenti che aveva nell’armadio sembrava rubargliele la Weasley-rossa, ovvero la cugina, Rose. C’erano poi le altre due sorelle Weasley, Molly, alias la Weasley-ficcanaso, e Lucy, la Weasley-strana, che tutto sommato attirava meno l’attenzione di tutti gli altri.
Col senno di poi le uniche due Weasley di cui Katherine e Charity non avevano mai sparlato erano le Weasley-francesi perché diciamocelo, lì il miracolo evidentemente l’aveva fatto la famiglia della mamma.
«Siete due galline » mormorò a mezza bocca il ragazzo seduto alla destra di Charity, senza degnarle nemmeno di uno sguardo, continuando a scrivere veloce sul foglio di pergamena pieno di un’infinita serie di appunti illeggibili.
Katherine fece una smorfia stizzita, mentre la bionda riprendeva a guardarsi le unghie con un sorrisetto compiaciuto.
«Puoi sempre fare a meno di ascoltarci, Nott » rispose acida.
«E tu invece, dovresti imparare a contare fino a dieci prima di parlare, pensare a cosa stai per dire, se è o meno intelligente, ma siccome dubito che dalle tue labbra possa uscire qualcosa anche di vagamente interessante poi dovresti tacere » sputò con quel veleno che riservava solo a Katherine e che non rispose, troppo presa a controllarsi per non ucciderlo.
«Ma ammettilo, Josh, senza di noi non ti divertiresti: Pensa avere Molly Weasley al posto nostro? » cercò di alleggerire Charity con una mezza risata.
Joshua Nott incurvò appena un angolo delle labbra, prima di tornare ad ignorare completamente i commenti poco amichevoli delle due compagne di Casa: in effetti se avesse avuto al loro posto Molly Weasley si sarebbe gettato a braccia aperte dalla torre di astronomia.
Insomma, Kath e Char erano due oche patentate ma almeno ogni tanto riuscivano ad essere anche divertenti, Molly Weasey riusciva a malapena a tollerarla durante l’ora di Antiche Rune, figurarsi per sette anni consecutivi: la sua vocina acuta e irritante non l’avrebbe di certo sopportata.
Senza rendersene conto lanciò uno sguardo verso il banco dove stava Mord e si lasciò sfuggire un respiro quando gli vide in viso un’espressione tranquilla, la stessa che stava perenne sul volto della Dale, completamente ignara di quello che le due Serpi per eccellenza avevano confabulato fino a quel momento. Ogni tanto gli dispiaceva per quei due, in fondo era convinto che quello che succedeva nel triangolo Faraday-Dale fosse solo un affare degli interessati, e nessuno nella scuola avrebbe dovuto avere il coraggio di dire nulla: quel posto era pieno di problemi sentimentali e non, chiunque ne era finito coinvolto almeno una volta. E lui e Damian, il ragazzo di colore che gli dormiva a fianco, con la testa appoggiata sulle braccia incrociate, li sapevano tutti, o almeno ne sapevano abbastanza da poterci riempire un libro e una volta c’avevano pure pensato.
Non per scelta ovviamente, Josh ci teneva a sottolinearlo quanto tra ragazzi toccavano l’argomento, anzi, lui perpetrava la politica del quieto vivere, ma perché quando il tuo migliore amico è Damian Zabini e la ragazza con cui quest’ultimo intrattiene una relazione molto aperta è Charity Lodge, praticamente sorella nel’anima di Katherine Wetmore: tu sai praticamente qualsiasi cosa.
Sospirò ancora, l’unica cosa che lo consolava sul fronte ragazza dei Faraday, era la convinzione che Mord non fosse così ingenuo e all'oscuro come voleva far credere: quel ragazzo era solo furbo e sicuramente lo era anche la Dale, ed entrambi sapevano che finché le dicerie fossero uscite dalla bocca della Wetmore, nessuno c’avrebbe davvero creduto.
In fondo Kath ne combinava e ne diceva davvero tante.

Scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, Sala Grande, ore 12.40
La Sala Grande era un vero caos all’ora di pranzo, gente che urlava, che parlava, che si alzava e che studiava disperatamente per il primo test dell’anno, magari fissato a tradimento il giorno prima. Eppure in tutto quel marasma si respirava un’aria familiare e allegra, indipendentemente dal colore che ognuno degli studenti portava sulla propria divisa, d'altronde Hogwarts era sempre stata sinonimo di casa e la McGranitt, seduta al centro della tavola degli insegnanti con la perenne crocchia a chiuderle i capelli, su cui spiccavano prepotenti fasce argento a ricordarle da quanto tempo vivesse in quella scuola, era soddisfatta che tutti ancora la considerassero tale.
Era come se lo spirito di Silente, che aveva reso quel luogo una vera casa per tutti loro, aleggiasse ancora silenziosamente tra gli studenti e gli insegnanti.
La cosa divertente dell’ora di pranzo, come della cena, aveva imparato ad apprezzarla quando, da preside, non aveva più avuto il problema di doversi preoccupare di sgridare chissà quale Grifondoro: quando erano tutti riuniti nella stessa stanza capitava di vedere le cose più assurde.
La prima volta che aveva visto una Grifondoro sedersi al tavolo dei Serpeverde c’era quasi rimasta secca, per non parlare poi di quando James Potter, troppo simile al nonno per i suoi gusti, era arrivato ad indire una gara per chi volesse avere l’onore di servirgli il cibo sul piatto e uno stuolo di ragazzine erano accorse entusiaste, prima che Jade Fyfield, la coscienza di James Potter, Elijah Faraday e Ian Clow, che tanto facevano dannare la professoressa Hastings, gli tirasse un pugno in testa e gli togliesse la voce con un colpo di bacchetta: incapace di decretare la vincitrice di quell’assurda gare, il ragazzo fu costretto a mandare via le numerose pretendenti.
E ne avrebbe avute infinite di storielle da raccontare.
«Minerva, dopo hai tempo per un breve incontro?» le chiese ad un certo punto la donna con i corti capelli castani che le sedeva affianco, intenta a scrutare i Grifondoro per intercettare una qualsiasi violazione al regolamento.
La preside sorrise cordialmente, sistemandosi sul naso gli occhiali, sempre gli stessi.
«Certo, Cinnamon, ci sono stati dei problemi?» chiese più pro forma che per altro: aveva letto il giornale quella mattina, lo sapeva benissimo qual’era il problema.
«Mi è arrivata una lettera dal Ministero: mi hanno convocata per un consulto la prossima settimana in tarda mattinata » spiegò la donna con noncuranza e la McGranitt annuì in silenzio, seguendo un filo di pensieri che non avrebbero portato a nessuna piacevole conclusione.
Intanto, al tavolo che la professoressa Hastings si ostinava a guardare con tutta la sua rinomata austerità, Elijah si sorbiva l’ennesimo terzo grado della mattinata: come se fosse lui a deciderlo, l’umore della sua professoressa di Difesa contro le Arti Oscure.
«Ma sei proprio sicuro di non aver combinato niente?» riprovò Jade, seduta davanti a lui e ad un James che si ingozzava neanche fosse un maiale all’ingrasso, come al solito.
«Jay, se avessi fatto qualcosa di così riprovevole credo lo saprei! » protestò Eli ma dopo un’occhiata scettica da parte di Ian fu costretto a correggersi, «Magari no, ma qualcosa mi ricorderei di sicuro! ».
«Non è nemmeno detto che sia proprio colpa sua » tentò Rox, «Potrebbe avere problemi in famiglia o essere in menopausa o che altro ».
«Mi stai difendendo, Weasley?» commentò Elijah rimanendo a bocca aperta, palesemente sconvolto: quella ragazza era il bersaglio principale dei suoi scherzi, era normale che fra loro non scorresse buon sangue.
«E’ la mia buona azione quotidiana, non farci l’abitudine, Faraday » sorrise ironica Roxie addentando un pezzo di carne, Eva sospirò rassegnata guardandola: un po’ di femminilità non le avrebbe di certo fatto male.
«Comunque non credo che sia colpa di Eli » se ne uscì James dopo aver finito di mangiare almeno tre porzioni di ogni pietanza e aver mandato giù tutto con un lungo sorso di succo di zucca.
«Sai cosa è successo?» chiese Ian curioso, era dalla seconda ora che James sembrava avere la testa da un’altra parte, tanto che per poco non aveva rischiato di far esplodere il calderone durante le due ore di pozioni con Corvonero prima di pranzo, sicuramente sapeva qualcosa.
«Ho visto una lettera sulla sua scrivania, credo sia per quello » rispose pensieroso ed Eli scoppiò a ridere come se avesse appena detto un’assurdità.
«Povera Cinna, scaricata dal suo fidanzato con una lettera, neanche io sarei così crudele » scosse la testa con disappunto.
«Hai ragione, Eli » annuì Ian sarcastico, «Tu ti dimentichi di loro e basta ».
«Ha parlato quello con l’unica relazione stabile..non capisco come fai: la monogamia è così noiosa » sbuffò il ragazzo inclinando un poco la testa verso destra, quasi con quel gesto potesse riuscire a vedere le cose da una prospettiva diversa, ma niente: per lui le relazioni serie erano solo una perdita di tempo.
«Parliamone quando ritroverai un cuore, Eli » rispose Ian ma prima che il Faraday potesse ribattere con una nuova perla di saggezza James si decise a continuare.
«Nella lettera c’era la dicitura del Ministero della Magia, la riconoscerei ovunque » disse suscitando la curiosità generale: perché la Hastings avrebbe dovuto ricevere una lettera da parte del Ministero?
«Può essere tutto o niente » sopirò ad un certo punto Evangeline e Roxanne fu costretta a dirsi d’accordo, mentre Jade sfoderava uno dei suoi diabolici sorrisi che tanto piacevano a James ed Eli e presagivano guai.
«Basterebbe vedere cosa c’era in quella lettera..» buttò lì come se niente fosse, «Sicuramente la tiene nel suo ufficio o in Aula ».
Gli occhi dei terroristi scolastici si accesero al completo e ad Evangeline sfuggì l’ennesimo sospiro mentre constata di nuovo ciò che aveva capito già da tempo.
Jade in quel gruppo non era altro che la scintilla che accendeva la miccia, composta da James ed Ian, che una volta consumata faceva esplodere la bomba, Elijah.
Quei quattro insieme avrebbero potuto distruggere e ricostruire il mondo all’infinito.

Scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, da qualche parte nel Parco, ore 18.00
C’era un posto, lungo la riva del Lago, dove il prato lasciava piano il posto alla roccia, in un gioco di verde e grigio cenere, era poco più in alto dell’erba ma non crescevano ancora gli alberi delle montagne poco distanti a bloccare la visuale.
Lì si poteva ammirare il più bel tramonto di tutta la Scozia, migliore persino di quello che una volta aveva visto dalla torre di Astronomia.
Non sapeva cos’era di preciso a renderlo così speciale, non ne aveva idea, forse l’acqua scura del lago che sembrava risucchiare il sole, forse l’aria fredda che le faceva venire la pelle d’oca  che soffiava appena accennata solo in quel posto, forse perché lo conoscevano davvero in pochi e nessuno andava per vederci proprio il tramonto.
La verità era che Jade Fyfield, spariva al tramonto ogni volta che voleva ritrovare la forza per andare avanti, quando era troppo difficile sorridere come sempre e ridere le riusciva un’impresa impossibile.
Quello era il suo modo per ricaricare le batterie.
E il vero, masochistico, modo per cui aveva scelto quel posto tra tutti quelli che garantivano completa solitudine era che lì, su quel piccolo pezzo di verde tra il grigio, erano cominciati i suoi tormenti: quelli che ogni tanto le rendevano difficile respirare e trattenere le lacrime.
Chiuse gli occhi mentre il sole scompariva, immaginando un altro tramonto, un'altra stagione e un’altra presenza vicina alla sua, ricordando quello che si era costretta con la forza a lasciar andare.
Poi anche l’ultimo raggio venne inghiottito dall’acqua scura e profonda e una lacrima le sfuggì dalla coda dell’occhio, mentre il ricordo di un paio di labbra sulle sue svaniva velocemente con l’avanzare della sera.
Sorrise amaramente, se avesse trovato quell’idiota che aveva detto che sognare non costa nulla, l’avrebbe preso e gli avrebbe tagliato la lingua, perché lei sognava, lo faceva sempre, era l’unica cosa che poteva fare, e nonostante ogni volta ci soffrisse come un cane, era diventata una specie di droga, non riusciva a smettere.
A sognare c’avrebbe rimesso la sanità mentale.
Riaprì gli occhi, verdi in quel momento, e si rialzò per tornare al castello: nessuno doveva sapere.
E infondo, a volte, era meglio semplicemente tacere.

Scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, Sala Grande, 19.13
Jade arrivò più tardi degli altri a cena, quella sera, sedendosi come al solito tra Ian ed Eva che gentilmente le avevano tenuto un posto, non sembrava che le fosse successo niente di ché e quando disse che semplicemente si era attardata sotto la doccia nel bagno dei Prefetti, semplicemente James e Eli la presero in giro perché era la solita femmina.
«Jay, ti sei persa una scena!» esclamò Jamie guardando Rox già tinta peperone tra rabbia e imbarazzo.
«Questa qui » continuò Eli indicando la Weasley, «Stava cadendo dalle scale e indovina chi è venuto a salvarla? Lorcan! E’ stata una scena esilarante ».
«Esilarante un mazzo di cavoli! » sbraitò Roxanne mentre Ian, Eli e Jam si tenevano la pancia dalle risate, incuranti dei pugni e dei calci con cui cercava di colpirli Roxanne per farli stare zitti, «Sono sicura che mi ha fatto cadere lui, di proposito ».
«Sicuro » commentò Eli sarcastico beccandosi l’ennesimo pugno da una mora sempre più indispettita.
«Diglielo tu Jay! » disse ad un certo punto Raxie, che aveva tutta l’aria di essere regredita all’età di sei anni, quando diceva una cosa e nessuno le credeva e doveva sempre cercare qualcuno che la difendesse.
Jade si lasciò sfuggire una risata che fece imbufalire ancor più la ragazza già paonazza.
Sembrava tutto normale, eppure Evangeline si rese conto che qualcosa non andava, che c’era qualcosa di diverso nella bionda, che il suo sorriso era un poco più stanco, che le sue spalle erano un poco più cadenti e che i suoi occhi erano un poco più spenti.
Guardò Ian e lui abbassò il capo in quella che poteva sembrare una muta ammissione di colpa, durò una frazione di secondo, ma ad Eva bastò per capire.
Non disse nulla e fece finta di niente come gli altri: a volte era meglio tacere.


Note di un'autrice che si sente tremendamente in colpa:
Salve a tutti :) allora, comincio con lo scusarmi per il ritardo, soprattutto dopo le belle recenzioni che mi avete lasciato, mi dispiace davvero un sacco, ma la scuola incombe e devo ringraziare il ponte del primo maggio se sono riuscita a finire questo capitolo: sul serio, potrei organizzare un'ecatombe dei miei professori se non la smettono di programmare compiti in classe -.-"
Comunque, mi sento in dovere di scusarmi anche per questo capitolo, che non è un granché, ma ormai mi sono arresa al fatto che a me i secondi capitoli proprio non vengono, non c'è feeling, niente da fare!! Ma con i prossimi dovrebbe andare decisamente meglio :)
Detto questo ringrazio di cuore chi ha recensito, mi raccomando non smettete di farlo ;) , chi ha inserito la storia tra le seguite e chi tra le preferite: insieme al numero delle recensioni sono di grande sostegno morale :) Grazie anche a chi legge e basta, se volete farmi sapere cosa ne pensate sono sempre qui :)
Bene, credo di aver finito, ora non mi resta che aspettare in un angolino i pomodori che mi tirerete una volta arrivati fino a qui: tranquilli, fate pure che non mi sposto!!
Al prossimo capitolo,
Najla


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Capitolo 4
*** Come ci siamo arrivati ***


bb
Terzo Capitolo
Come ci siamo arrivati
(Payphone)

I’m at a payphone trying to call home

All of my change I spent on you
Where are the times gone
baby, It’s all wrong
where are the plans we made for two?

10 Ottobre XX
Londra, un caffè qualsiasi, ore 09.00
Una leggerissima pioggia aveva deciso di baciare la capitale inglese quella mattina, come d’altro canto, aveva fatto tutta la settimana, costringendo i suoi abitanti ad uscire di casa con un ombrello sottobraccio, tra imprecazioni di vario tipo causate da un schizzo di polvere a acqua caduto sui pantaloni nuovi di un impiegato in ritardo, oppure da un piede finito proprio in quell’unica pozzanghera di tutta la via.
Eppure Nihila, seduta ad un tavolo di uno di quei vecchi bar dove il caffè si macina ancora nel retrobottega e invade prepotentemente i pensieri dei clienti con il suo aroma, capace di lasciare in bocca quel retrogusto amaro ma gradevole, non poteva proprio fare a meno di amarla, quella città e la sua pioggia.
Londra era il posto che più volte l’aveva accolta senza fare troppe domande: la prima volta, a undici anni, quando i suoi genitori l’avevano accompagnata alla stazione di King’s Cross, poi quando, ormai all’ultimo anno di scuola, aveva avuto il permesso di andarci da sola e infine quando era tornata per lavorare al San Mungo, con l’intenzione di non ripartire più.
Finalmente libera.
Il campanello posto sulla porta della caffetteria trillò allegro, attirando finalmente l’attenzione di Nihila, intenta, ormai da venti minuti abbondanti, a fissarsi le mani.
Aveva fatto il suo ingresso un ragazzo alto, con i capelli biondi umidi di pioggia, che sembravano non aver mai visto una spazzola da quanto erano disordinati, ed un braccio fasciato, tenuto al collo. Si guardava intorno con circospezione e in viso l’espressione poco convinta di chi non ha ancora capito per quale arcano e misterioso motivo si trova dove si trova.
Gli occhi neri della giovane dottoressa incrociarono per un secondo quelli verdi del nuovo arrivato, ma furono subito costretti a tornare bassi, sul tavolo, scottati dal gelo e dall’insofferenza che aveva letto in quelli del’altro.
Lo sentì avvicinarsi, lo sentì spostare la sedia davanti a lei, sedersi sopra ad essa con poca grazia e infine borbottare qualcosa di incomprensibile ma sicuramente poco gentile.
«Grazie per essere venuto, Edward » si costrinse a dire Nihila prendendo un lungo e profondo respiro. Alla fine le ferite del ragazzo erano meno gravi di quello che sembravano all’inizio ed era stato dimesso pochi giorni dopo esser stato ricoverato, così aveva deciso di sistemare le cose una volta per tutte e parlarci a quattrocchi, ma ad un tratto quell’incontro non le parve più una così grande idea, o almeno non la migliore che le potesse venire.
«Sono qui solo perché me l’ha chiesto Teddy » rispose secco il giovane Harker, senza guardarla, «Cosa vuoi, Nihila?».
La ragazza trasse l’ennesimo profondo respiro cominciando a torturarsi nervosamente le dita, intrecciandole tra di loro nella remota speranza di compiere un incantesimo involontario che aggiustasse tutto quanto. Sentiva la determinazione con cui aveva deciso di affrontare Edward quella mattina, scemare irrimediabilmente verso il baratro e si ritrovò a pensare, preda di un attacco di sarcasmo, che quella situazione era tremendamente ridicola.
Aveva affrontato faccia a faccia suo padre e la sua famiglia, in India, e ora non riusciva a fare altrettanto con il fidanzatino dei tempi della scuola, in Inghilterra?
Si ritrovò a sorridere amaramente tra sé e sé: se Leigh l’avesse vista in quello stato le avrebbe fatto una ramanzina infinita, ne era certa.
«Solo parlare, Edward, voglio solo parlare » trovò il coraggio di proferire con un tremito nella voce, perché sapeva che lui, adesso, si sarebbe infuriato davvero tanto.
E infatti Nihila lo vide stringere i pugni fino a far sbiancare le nocche, per poi nascondere l’unico che poteva muovere liberamente sotto al tavolo, «Mi sembra un po’ tardi per parlare, non credi, Nihila?» schioccò la lingua in modo volutamente minaccioso e la ragazza ebbe la malsana sensazione che stesse cercando di incenerirla con lo sguardo: preferì non controllare.
«Edward.. » provò a dire allora, ma lui la ignorò imperterrito nella sua furente e, Nihila si trovava costretta ad ammetterlo, giustificata invettiva.
«Perché non so come funzioni da te, ma a casa mia cinque anni sono un lasso di tempo discretamente lungo, non credi? » sputò con sarcasmo, «E venire a chiedermi dopo tutto questo tempo, dopo tutto quello che hai combinato, di parlare.. Cosa speravi di ottenere, eh?! Tanti saluti e amici come prima?! Dopo avermi lasciato solo come un cane.. Mi piacerebbe sapere con che coraggio puoi ripiombare nella mia vita e chiedermi se possiamo parlare?! Illuminami, perché onestamente non lo so! » quasi ringhiò Edward, incurante del barista che lo guardava sottecchi, indeciso se intervenire o meno a fermare la discussione.
«Edward, ti prego..» cercò di fermarlo ancora, con tono pacato, lo stesso che avrebbe usato con una bestia feroce pronta ad attaccare per uccidere, e ora, in effetti, non riusciva a vedere troppe differenze tra il ragazzo che aveva di fronte e un mostro del genere.
«Tu non hai la minima idea di quello che ho passato, Nihila! Ti ho aspettata alla stazione per ore, ci sono tornato anche i giorni successivi e di te nemmeno l’ombra! E nessuno sapeva dirmi dove tu fossi finita! » urlò rosso di rabbia al solo ricordo del tempo passato da solo su quella maledetta panchina con la speranza di vederla arrivare, di cominciare quel futuro che per anni avevano programmato; e NIhila glielo aveva promesso: l’aveva guardato negli occhi e glielo aveva giurato, che sarebbe tornata.
Edward trasse un profondo respiro, sperando di sbollire parte della rabbia, in fondo erano passati così tanti anni che non aveva nemmeno senso arrabbiarsi tanto, e rimase a guardarla in silenzio, notando come si fosse improvvisamente fatta più piccola su quella sedia, con la testa bassa incassata tra le spalle e le mani, ancora intrecciate, che tremavano appena sopra la tavolo. Non riuscì a non pentirsi, almeno un po’, di averla aggredita in quella maniera, nonostante avesse passato gli ultimi cinque anni ad aspettare quel momento ed essersi ripetuto quel discorso per centinaia di volte, certo che dopo averlo pronunciato si sarebbe sicuramente sentito meglio.
Ma non era così, si sentiva un verme. Un verme pienamente nel giusto, perché Nihila si meritava ogni parola, ma comunque un verme.

Yeah, I, I know it’s hard to remember
The people we used to be
It’s even harder to picture
That you’re not here next to me

«Perché non ce lo hai detto?» chiese con una voce calma, stanco come mai in vita sua: stanco di stare lì, stanco di quel rancore che non riusciva a cancellare, stanco di guardarla lì seduta, quasi più bella di quando l’aveva vista l’ultima volta, sulle porte della stazione di King’s Cross, di pensare a come sarebbero state le loro vite se le avessero passate insieme.
Non poteva sapere che Nihila stava facendo, tra sé e sé, la stessa malinconica riflessione e la faceva da cinque anni, ogni mattina, ancora prima di mettere i piedi giù dal letto.
«Non avreste capito e nemmeno potuto fare qualcosa » rispose con un filo di voce, senza aver trovato, ancora il coraggio di guardarlo in faccia.
Paura o vergogna, Nihila?
Edward annuì in silenzio, senza scomporsi, sapeva che avrebbe dato una risposta del genere, ma non gli sarebbe bastata, non questa volta.
«Perché non l’hai detto a me?».
Nihila si sentì ghiacciare il sangue nelle vene e rimase pietrificata sulla sedia prima di fare l’unico gesto, il più spontaneo, che le venne in mente per rispondere: alzò lo sguardo su di lui e lo guardò negli occhi, come si era ripromessa di fare quella mattina. Era una Grifondoro, maledizione, non poteva affrontare una situazione del genere a testa bassa e, soprattutto, Edward si meritava di ricevere quella risposta in quel modo: come non aveva fatto cinque anni prima.
Forse avrebbe dovuto ascoltare Leigh, la sua coscienza, anche quella volta.
«Avevo paura, Edward » confessò, e sentiva gli occhi pizzicare, un groppo in gola che la soffocava, ma si impose di non piangere, «Eri praticamente il mio fidanzato, avevamo progettato una vita insieme, come potevo dirti che i miei genitori mi avevano organizzato un matrimonio con un altro uomo, in India? Ho pensato che sarebbe stato meglio per tutti se tu lo avessi saputo il più tardi possibile..» tentennò un attimo, «Volevo dirtelo, alla stazione, ma non ne ho avuto il coraggio e mi dispiace così tanto..».
«Una lettera, Nihila » ribatté sbattendo un pugno sul tavolo, «Hai preferito dirmi che ti stavi per sposare in una lettera!».
«Che altro potevo fare?!» rispose lei sporgendosi in avanti, come a dimostrargli che non aveva paura, non più: non aveva nemmeno senso averne, a questo punto.
«Che ne so!» esclamò Edward, «Perché non c’hai detto che eri tornata a Londra, per esempio?!».
«C’ho provato! Ma Victoire mi ha detto che vi eravate rifatti una vita! Che tu avevi una fidanzata! Con che coraggio sarei mai potuta tornare nella tua vita?!» rispose piccata, «Non l’avrei nemmeno mai fatto se non fossi arrivato moribondo al pronto soccorso e Teddy non mi avesse vista!» se non fosse stato all’apice di un nuovo attacco di furia, al biondo sarebbe venuto persino da ridere vedendo Nihila paonazza davanti a lui, come non succedeva dalle loro litigate a Hogwarts.
Ma d’un tratto ebbe comunque la strana sensazione che, da allora, fosse passato poco meno di un secondo.
«Giusto! Scarichiamo la colpa su di me!» ribatté sporgendosi sempre più verso di lei, rosso a metà tra l’indignazione e la collera, «Scusa se sono andato avanti con la mia vita!».
«Ma chi ha detto niente!» sbraitò lei, ormai i loro volti erano a una decina di centimetri di distanza, nemmeno volessero cominciare a mordersi a vicenda, «Che poi, scusa, ma non è che tu abbia proprio fatto l’eroe del momento quella volta, quando vi ho spedito quella lettera tu e Teddy mi avete risposto va bene, arrangiati! Quindi sì, magari, un pochino, è anche colpa tua!».
Edward si morse a sangue un labbro sperando di ritrovare la calma, almeno quel minimo che gli impedisse di strangolarla lì e subito: passavano gli anni ma quella ragazza restava comunque impossibile.
«Bene! Allora sarà colpa mia!» il biondo stava praticamente fumando di rabbia, e il barista, che fio a quel momento aveva pensato di intervenire, decise saggiamente di lasciarli a loro stessi: di litigi tra fidanzati ne vedeva tutti i giorni.
«E se proprio vuoi saperlo, non ce l’ho più la fidanzata!» aggiunse Edward senza nemmeno pensarci, salutando anche l’ultimo ostacolo che gli impediva di dire tutto quello che gli passava per la testa.
Nihila inarcò appena un sopracciglio fino, assottigliando lo sguardo ancor di più, «Beh, mi dispiace» rispose e chiunque si sarebbe accorto di quanto fosse falsa la sua voce.
«Ed è tutta colpa tua!» continuò l’altro imperterrito, la mora spalancò gli occhi esterrefatta.
«E perché mai, di grazia, dovrebbe essere colpa mia se tu non sai tenerti una fidanzata?» chiese scettica e lui si bloccò un secondo, rendendosi conto solo i quel momento di cosa, davvero, avesse detto.
«Lo so io, perché» rispose in un sibilo e lei sbuffò irritata avvicinandosi ancor di più, ormai i loro nasi si sarebbero potuti sfiorare, ma non se ne accorsero nemmeno, troppo impegnati a cercare di fulminarsi a vicenda con lo sguardo.
«Se sono la causa di tutte le disgrazie della tua vita, mi spieghi perché sei qui?» commentò allora Nihila, «E non dire che è perché te l’ha chiesto Teddy, perché non ci credo».
Edward annaspò, per alcuni secondi, alla ricerca di una risposta che non aveva, e se ne rendeva spaventosamente conto solo in quel momento.
«Perché io, al contrario di qualcuno che conosco, sono una persona civile ed educata » rispose con un sorrisetto strafottente, «E ritenevo giusto ringraziarti per avermi salvato la vita, contenta?».
Nihila lo guardò poco convinta, prima di allontanarsi, incrociare le braccia al petto, senza distogliere lo sguardo nemmeno per un secondo.
«Prego, allora» rispose con lo stesso tono di Edward, sicuro e leggermente arrogante.
Rimasero a guardarsi in cagnesco per la mezz’ora successiva, prima che Nihila si alzasse con il pretesto di dover andare a lavorare, ma entrambi, senza ammetterlo esplicitamente, sentivano che qualcosa, dopo essersi urlati contro, si era finalmente mosso, per curare quella sensazione di irrisolto che li tormentava da anni.
Non sapevano ancora dire come sarebbe finita e, a dire il vero, non erano nemmeno sicuri di volerlo sapere.

You said it’s too late to make it
But is it too late to try?
And in our time that you wasted
All of our bridges burned down

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, aula di Babbanologia, ore 10.10
Roxanne si accosciò distrutta sul primo banco che le capitò a tiro, distrutta nonostante fosse solo la terza ora di lezione e le prime due le avesse passate a vaporizzare le piante della serra, insieme al professor Paciock, cosa che generalmente la rilassava e le calmava i nervi. Tirò fuori dalla borsa il libro più grosso che aveva e decise di usarlo come cuscino, lasciando che i capelli le scivolassero sul viso, oscurando anche la poca luce che entrava dai finestroni di quell’aula pressoché deserta. Era l’unica Grifondoro a seguire quel corso, a parte Lysander, che quel giorno si trovava in infermeria dopo aver litigato con il cane a tre teste di Hagrid, durante Cura della Creature Magiche; non aveva ben capito la dinamica del tutto, se il cucciolo avesse voluto punirlo con una zampata per aver cannato una nota con il flauto o che altro, anche se Hagrid sosteneva che si fosse trattato di una dimostrazione d’affetto: di fatto il biondino se ne stava a letto con la testa avvolta in un centinaio di bende.
Niente di grave, ovviamente.
Si sistemò ancora meglio contro la copertina del libro, chiudendo gli occhi, sperando con tutto il cuore che la professoressa Bennett con si rendesse conto del suo pisolino, in fondo lei non sapeva nemmeno perché quella lezione fosse finita nel suo piano di studi, forse per far piacere a nonno Arthur o forse, molto più probabilmente, aveva sbagliato a mettere una crocetta su qualche modulo. Non che non trovasse curiosi i babbani, anzi, avesse potuto passare una giornata a guardarli nascosta da qualche parte l’avrebbe fatto: erano così buffi, così singolari nel loro modo di sopravvivere senza magia e un po’ la affascinavano, ma tutto questo perdeva importanza di fronte al fatto che non sapevano volare su di una scopa.
Perché, come diceva suo fratello, Roxie era nata con la testa tra le nuvole, e librarsi in aria le era necessario come respirare, per questo amava tanto il Quidditch, non era solo una questione di competizione, di adrenalina, di concentrazione, era qualcosa di più.
Era la sensazione di libertà che provava volando a darle letteralmente alla testa, era una droga.
Stava quasi per prendere sonno quando, ripensando al come fosse finita lì, con la testa appoggiata sulla copertina rigida di quel mattone, e al perché non stesse parlando con Lys come faceva ogni volta, si rese conto di avere un posto vuoto accanto a sé e questo poteva significare solo un’unica orrenda e orribile cosa.
«Buongiorno, dolcezza » ridacchiò una voce divertita e lo sentì sedersi al suo fianco, appoggiare la sacca con i libri sopra il banco, e subito Rox desiderò sparire: non era proprio in giornata per sopportare Lorcan Scamander per un’ora intera, poi.
«Eclissati » bofonchiò senza nemmeno scomodarsi di guardarlo.
«Ma come siamo suscettibili, oggi » rispose lui falsamente dispiaciuto.
«Dissolviti ».
«Dormito male?» la ignorò tatticamente Lorcan guardandola con un sorrisetto divertito, e anche se Roxanne non lo vedeva direttamente, poteva immaginarglielo dipinto il faccia.
«Sotterrati » fu la secca risposta della mora e il sorriso sulle labbra del Corvonero si allargò a dismisura.
«Potresti farlo tu » mormorò con una punta di malizia, «Morirei felice ».
Roxanne alzò di scatto la testa, portando indietro un ciuffo di capelli che le impediva di vederlo bene, per trucidarlo con lo sguardo, pensando a quanto fosse un peccato non poter fare di più: convinta che liberare il mondo dalla presenza di quell’impiastro sarebbe stato un atto a dir poco lodevole.
«Non tentarmi » scandì lentamente come se fosse stata la più terribile delle minacce e Lorcan la guardò con quel suo dannato sorrisetto, pronto a ribattere, quando entrò la professoressa, intimando a tutti di prendere il proprio libro perché quel giorno, annunciò tutta eccitata, avrebbe spiegato a tutti loro come funzionava una bicicletta.
Roxanne ringraziò Merlino per aver impedito a Lorcan di aprire bocca e tirò fuori una pergamena per prendere appunti, decisa ad ignorare quella cosa che le sedeva a fianco, come faceva da una vita.

You turned your back on Tomorrow
Cause you forgot yesterday

Non sapeva esattamente quando avesse cominciato ad odiare quel ragazzo con ogni fibra del suo essere, perché lo odiava davvero, l’avrebbe strangolato ogni volta che apriva bocca e la tentazione di picchiarlo era veramente troppo forte, ma non ne sapeva con certezza il motivo. Sapeva solo che da che andavano a scuola, non era mai riuscita a tollerare la presenza di Lorcan Scamander, e il fatto che lui ci marciasse sopra ogni giorno, stuzzicandola in tutte le maniere conosciute, non aveva mai aiutato.
Ricordava con chiarezza che c’era stato un periodo, da bambini, in cui erano andati d’accordo, loro due, e sapeva di non averlo sognato, perché sua madre più volte le aveva mostrato una foto in cui apparivano lei e Lorcan, intenti a giocare con una scopa giocattolo e sembravano divertirsi davvero. Ce n’erano altre poi, in cui c’erano anche Lys e Jamie, a volte Mols, che le ricordavano le estati passate a casa Potter quando i suoi erano via per lavoro, e in tutte lei e Lorcan sembravano andare d’amore e d’accordo.
In realtà non c’era mai stato un vero motivo per odiare Lorcan: lui non gliene aveva mai dati. Era un bel ragazzo, niente da dire, simpatico, estroverso, sicuro di sé, un po’ arrogante ed esaltato, ma non era poi così diverso da Jamie, e con il cugino Roxie aveva un bellissimo rapporto, e in fin dei conti la prendeva in giro allo stesso modo di Elijah, eppure, Eli, non aveva mai desiderato strangolarlo, almeno non così spesso come le succedeva con il biondino, di questo ne era sicura.
Avrebbe potuto tranquillamente trattarlo come trattava tutti, scherzare con lui come faceva con tutti, ma una parte di lei, non sapeva dove o perché, le diceva di tenerlo alla larga il più possibile, le ordinava ad ogni incontro di detestarlo un po’ di più: e lei lo faceva, quasi senza rendersene conto.
Quando la campanella suonò, infilò in fretta e furia piuma e pergamena dentro alla borsa e corse fuori dall’aula, sperando di seminare la piattola che sapeva l’avrebbe seguita.

I gave you my love to borrow
But you just gave it away

«Ma come siamo veloci, Weasley » e infatti se lo ritrovò a lato, nonostante stesse praticamente tenendo un’andatura da maratona.
«Mi spieghi perché non puoi lasciarmi in pace?» sbottò Roxanne fermandosi di colpo per guardarlo, tra la collera e l’esasperazione, «Mi talloni da sette anni, perché?».
In effetti non glielo aveva mai chiesto, forse perché non aveva mai pensato che ci fosse un vero motivo dietro all’atteggiamento di Lorcan, o forse perché alla fine le bastava potergli urlare contro almeno una volta al giorno, si sentiva sempre meglio dopo averlo fatto, poco importava il motivo, l’importante era farlo. Ma quel giorno era davvero stanca, aveva dormito male, sua madre le aveva mandato una lettera in cui diceva che le avrebbe impedito di partecipare alle selezioni per entrare nei Ballycastle Bats se non migliorava la sua media scolastica almeno per l’ultimo anno: o alzava i voti o sua madre la inchiodava a terra, questi erano i patti.
Così, quando Lorcan le rispose, facendo spallucce: «Perché sei il mio passatempo preferito, dolcezza, mi sembra ovvio », si sentì in pieno diritto di essere cattiva.
«Senti, fammi un favore, trovatene un altro perché io non ti sopporto più » rispose gelida, «Sul serio, sono stanca di te e di tutto questo, sei noioso, una vera palla al piede: lasciami in pace una volta per tutte».
E se ne andò senza nemmeno guardarlo, passandosi nervosamente una mano tra i capelli, sentiva di aver fatto qualcosa di sbagliato, ma non riusciva a capire cosa: ignorò il tutto precipitandosi nei sotterranei per l’ora di Pozioni.
Non poté vedere, quindi, la figura di Lorcan ingobbirsi improvvisamente, come se qualcuno gli avesse piantato un pugnale all’altezza del petto, mentre lo sguardo vagava perso sul marmo del pavimento e sembrava, ferito?
Fu solo un attimo, prima che il ragazzo rialzasse la testa e sparisse tra il marasma di studenti che aveva preso ad affollare il corridoio, come se niente fosse.

You can’t expect me to be fine
I don’t expect you to care
I know I said it before
But all of our bridges burned down


Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, aula di Pozioni, ore 12.30
Jade trattenne a stento l’ennesima imprecazione, raccogliendo da terra l’ennesimo pezzo di un calderone esploso solo pochi secondi prima, tuttavia una specie di mugugno insofferente riuscì a sfuggirle dalle labbra e Ian, intento a fare altrettanto dall’altra parte della stanza, si fermò a guardarla per un secondo.
Quella non era decisamente una bella giornata, se lo sentiva nelle ossa che non ne sarebbero usciti incolumi: nessuno dei due.
Orami i loro rapporti erano diventati così tesi che faticavano persino a salutarsi la mattina, anzi, ormai erano capaci di sembrare normali solo quando si trovavano insieme agli altri, non riuscivano più nemmeno a fingere che andasse tutto bene.
E la scuola era cominciata solo da due settimane: come avrebbero fatto a passare insieme un anno?
Ian se lo chiedeva spesso, soprattutto quando si ritrovava ad osservarla di nascosto come in quel momento, quando ripensava al loro patto e all’estate appena trascorsa e si mordeva la lingua ogni volta per non parlare.
Sapeva cosa avevano deciso, ma sapeva che non sarebbero riusciti a mantenerlo, nessuno dei due ce l’avrebbe fatta: non se dovevano vivere così a stretto contatto tutto il giorno. Evidentemente si erano sopravalutati e il fatto che si ritrovassero a saltare il pranzo per pulire un’aula che avevano accidentalmente distrutto dopo aver fatto esplodere un calderone mentre ci lavoravano insieme ne era la prova inconfutabile.
Sospirò pesantemente, appoggiandosi ad uno dei banchi, con la scopa tra le mani e si mise a guardarla, certo che lei lo stesse semplicemente ignorando, come sempre.
«Jade » la chiamò piano, quasi per paura che, questa volta, lo ascoltasse davvero, «Dobbiamo parlare » e non c’erano parole che la ragazza odiasse di più.
«Di cosa? Io non trovo niente di cui dovremmo parlare » rispose caustica, senza degnarlo di troppa attenzione, concentrandosi, forse troppo, nella pulizia del tavolo da lavoro: il professore aveva tolto ad entrambi la bacchetta, costringendoli a fare il lavoro a mano e ora si stava distruggendo le unghie a son di grattare la schifezza giallognola che era schizzata ovunque quando il calderone era esploso. Doverlo fare insieme ad Ian non migliorava di certo la situazione.
«Non possiamo andare avanti così » continuò lui, «E’ il dieci di ottobre, come credi potremmo fare a convivere un intero anno?».
La bionda si fermò per un secondo, respirando a fondo, prima di voltarsi, con ancora lo straccio in mano: era stanca, tremendamente stanca, e non era un buon giorno per intraprendere quella conversazione con Ian, non era abbastanza lucida.
«E cosa dovremmo fare, Ian?» mormorò atona, come se la cosa non la riguardasse, «Più di fare finta che non sia successo niente non posso fare, scusa se mi riesce poco bene, mi impegnerò di più, va bene?».
«Non dire idiozie » rispose lui scuotendo la testa e tanto bastò a innervosirla più del dovuto.
Era stanca, aveva sonno, la sua vita in quel momento faceva abbastanza schifo senza che Ian si mettesse a polemizzare sul modo in cui stavano gestendo la cosa, che poi era anche inutile continuare a chiamarla cosa: si erano baciati.

I’ve wasted my nights
You turned out the lights
Now I’m paralyzed

Si erano baciati l’ultimo giorno di scuola dell’anno prima.
Si erano frequentati per tutta l’estate senza che nessuno sapesse niente.
E sì, disgraziatamente e per qualche insana ragione, Jade si era innamorata di uno dei suoi migliori amici.
Amico che aveva già una fidanzata, tale Gwen Shelley.
Amico che, quando era stato il momento di decidere tra la sua migliore amica e la sua ragazza, aveva scelto la ragazza.
Non è che non mi piaci, Jay, mi piaci, anche troppo, davvero, ma Gwen..non posso farle questo, capisci? Non me la sento di farla soffrire in questa maniera..
Soffrire un paio di pippe.
Così quando avevano deciso di farla finita, prima dell’inizio della scuola, avevano deciso che gli altri non avrebbero dovuto sospettare niente, soprattutto James ed Elijah: erano un bel gruppo loro quattro, non avrebbero lasciato che quella svista, così avevano deciso di definirla, distruggesse quello che avevano creato in sei anni.
Solo che era stato più difficile del previsto far finta di niente, soprattutto per Jade, che quella ragazzina insipida di Gwen se la trovava attaccata con una piovra a Ian tutti i giorni.
«Non dire idiozie » ripeté lei sarcastica, «Che cavolo dovrei fare, eh, Ian? Trattarti come sempre? Mi dispiace, non ce la faccio! Ci provo, ma non ce la faccio! Pensavi sarebbe tornato tutto come prima? Beh, non è tutto come prima! E non lo sarà mai! Cosa credi che possa fare, io, eh? Non sono stata io a decidere tutto questo! Non sono stata io a decidere di farla finita! Non sono stata io ad avere un ripensamento!».
«Non potevo fare altrimenti!» cercò di difendersi Ian e a Jade sfuggì una cupa risata.
«Tu non puoi mai fare altrimenti, vero Ian?» commentò acida, «Io invece devo sempre spaccarmi in quattro per te, vero? Io devo far finta che vada tutto bene, io devo stare zitta, io non posso parlarne nemmeno con Eva perché potrebbe comprometterti con Gwen, giusto? Sai cosa ti dico, Ian? Vai al diavolo!» e lanciò lo straccio per terra prendendo la strada per uscire da lì: aveva bisogno d’aria, non riusciva a respirare, non con il fiato di Ian sul collo.
Era praticamente fuori quando sentì la mano del ragazzo afferrarle il polso, costringendola a voltarsi, per un secondo i loro occhi si incrociarono e gli occhi di Ian sfiorarono appena le labbra della ragazza: quanto avrebbe voluto sistemare tutto, dimenticare Gwen, dimenticare quel gran casino e baciarla e basta, come aveva fatto per tutta l’estate.
«Che altro vuoi, Ian?» sussurrò lei distogliendo lo sguardo, «L’unica cosa che non sei ancora riuscito a portarmi via sono Eli e Jamie, vuoi anche loro? O vuoi dirmi che ti dispiace ma non puoi fare altrimenti?».
Ian la guardò impotente, non sapeva cosa dire, non sapeva cosa fare. Voleva aggiustare le cose, lo voleva con tutto se stesso, ma non sapeva come fare, e sentiva che più il tempo passava più lei si allontanava e voleva solo fermarla.
Ma non sapeva come.
«Ian!» esclamò una vocina sorpresa mentre sulla soglia della porta appariva la figura minuta di una ragazzina con due lunghi codini caffelatte e un viso ingenuo, da bambola, gli occhi grandi e castani li guardavano incuriositi, «Ian, cosa ci fai qui? Ti aspettavo di sopra..».
Jade la guardò un attimo prima di sorridere amaramente, liberando il polso dalla presa ormai debole di Ian, anche lui sorpreso dall’arrivo della ragazza.
«Come non detto, vero Ian?» mormorò al suo indirizzo prima di rivolgersi alla nuova arrivata, «Scusa se te l’ho trattenuto, Gwen » disse con il più falso dei sorrisi, «Ora è tutto tuo » e sparì nel corridoio.
Girato l’angolo cominciò a correre: voleva solo scappare da lì, era così sbagliato?

Still stuck in that time
when we called it love
But even the sun sets in paradise

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Corvonero, ore 17.26
«Insomma, Em, te l’avrò detto centinaia di volte che con i Serpeverde è meglio non averci a che fare e dove ti trovo? A parlare con loro » commentò Molly Weasley, capelli castani dai riflessi rossicci e occhi chiari, critici e altezzosi quasi quanto il suo naso all’insù, rimproverando la ragazza che le sedeva affianco, carina, con gli occhi scuri, i capelli castani che le scendevano morbidi ai lati del viso, e l’espressione colpevole di una persona colta sul fatto.
«Mi dispiace Mols » rispose continuando a riempire il foglio di pergamena di una calligrafia fitta e un poco disordinata.
«Ma che mi dispiace » borbottò Lorcan, seduto a un posto da loro, «Mandala a quel paese, Em ».
Molly diventò improvvisamente paonazza, e gonfiò le guancie indignata, fortunatamente intervenne un ragazzo con i capelli neri, seduto alla destra di Lorcan, davanti a Molly, a salvare la situazione.
«Molly, stava scherzando, sai com’è fatto Lorcan, lascialo perdere » disse con un tono pacificatore e un mezzo sorriso rassicurante, «Lo, fatti gli affari tuoi ».
Il biondo sbuffò sonoramente e stufo dell’ennesima ramanzina che avrebbe ricevuto sicuramente dal suo migliore amico se fosse rimasto lì con il rischio di offendere quella rompipluffe della Weasley, si alzò prendendo la strada per i dormitori.
Non riusciva a capire come Oliver ed Emma, quell’angelo di Emma Nieri, riuscissero a sopportare Molly, lui personalmente, la trovava la presenza più irritante sulla faccia della terra e quel giorno, pessimo per altro, non se la sentiva di affrontare la seconda Weasley in ventiquattro ore.
Gli era bastata la prima.
«Ehi, Lo, tutto bene?» la voce di Rowena lo riscosse dal filo masochistico dei suoi pensieri e solo in quel momento si accorse che la ragazza doveva aver provato ad attirare la sua attenzione più di una volta, perché lo teneva per un braccio e lo guardava vagamente preoccupata.
«No, Row, ma grazie per il pensiero » sbottò inacidito e fece per andarsene, ma lei fu più veloce e lo trascinò dentro la stanza delle ragazze, chiudendola a chiave.
«E’ un rapimento?» cercò di scherzare lui, ma fu un tentativo davvero patetico.
Con Rowena era sempre tutto inutile, sapeva cavarti le parole di bocca semplicemente guardandoti e capiva più lei di te che tu di te stesso, guardarla negli occhi era come guardarsi allo specchio: uno specchio dannatamente limpido. All’inizio quella ragazza lo aveva messo davvero in soggezione, ma con il tempo, aveva cominciato ad apprezzare davvero quella sua capacità di leggere l’anima di chiunque, era comoda, soprattutto per uno come lui che evitava di guardarsi allo specchio per non doversi porre domande su sé stesso: l’autoanalisi non era decisamente il suo forte.
Forse per questo loro due erano diventati così amici.
«Cosa è successo?» una domanda semplice, diretta, innocua, che Lorcan avrebbe potuto schivare con estrema facilità se non l’avessero accompagnata quegli occhi neri capaci di sondargli l’anima.
Lorcan si lasciò cadere su uno dei letti e le raccontò di quello che era successo con Roxanne, lei rimase in silenzio ad ascoltarlo, come sempre.
«Dovevi aspettartelo, Lo » disse dopo poco, «Te l’ho detto che stavi giocando con il fuoco..».
Lui la guardò in tralice, di certo quella non era la chiacchierata consolante che si aspettava, ma sapeva che Rowena non faceva sconti a nessuno, diceva chiaramente quello che pensava, in qualunque situazione ed anche per questo gli stava simpatica, non gli avrebbe mai indorato la pillola e non smetteva mai di ringraziarla per questo.
Non aveva senso farsi cullare dall’ottimismo, almeno per lui.
«Senti chi parla » rispose allora, «La ragazza dei Faraday. Ti deciderai mai?».
Rowena sospirò e si stese sul letto affianco a quello di Lorcan, guardando il soffitto pensierosa: era una domanda che si era fatta anche lei più volte, ma non aveva ancora trovato una risposta decente.
Forse, si era convinta a pensare, perché non voleva trovarla.
Era strano quello che c’era tra lei e i gemelli Faraday, non sapeva dire quando era iniziato, e nemmeno come, ci si era solo trovata in mezzo, e ormai andava avanti da un anno almeno.
Non era niente di tangibile, non era come Katherine Wetmore o Charity Lodge, non andava a letto con tutti e due, nell’indecisione; era piuttosto un gioco di sguardi, di attimi rubati qua e là, nei corridoi, fuori da scuola: era tutto molto platonico.
Perché anche se passava la maggior parte del tempo con Mordecai non poteva dire di aver davvero preso una decisione, per lei il Serpeverde sarebbe sempre rimasto un caro amico, un confidente, ma non sapeva se voleva che quel ragazzo diventasse qualcosa di più: era dolce, affidabile, intelligente, sagace e altre caratteristiche che mentalmente apprezzava.
Dall’altra parte c’era Elijah, quello dal carattere indomabile, imprevedibile, pronto ad esplodere da un momento all’altro, e lei sentiva di aver bisogno anche di quello nella sua vita, di qualcosa in grado di sconvolgerla.
E il fatto che fossero praticamente identici non aiutava neanche un po’.
«La vita è un gran casino, Lo » rispose allora chiudendo gli occhi e lo sentì ridere.
«Su questo nessuno aveva dubbi, Row».

If happy ever after did exist
I would still be holding you like this
All those fairytales are full of shit
One more fucking love song, I’ll be sick
Now I’m at a payphone




Note riviste dell'autrice:
Ciao a tutti (di nuovo)!! Sicché quando ho pubblicato il capitolo non ero nel pieno delle mie facoltà mentali, ho corretto un paio di errori e sto modificanto le note perché sì, forse una spiegazione in più per questa cosa che ho scritto ci vuole :)
Allora, avviso che è un esperimento, nel senso che non ho mai cercato di accostare una canzone ad un testo quindi boh, non so come sia venuto, spero davvero che me lo diciate voi :) Per il resto non ho molti commenti da fare per quanto riguarda la storia in sé, ovviamente se avete qualcosa da chiedere fate pure :)
Un'ultima cosa, visto che mi sono impegnata tanto per questo capitolo, sul serio, non ho mai rivisto così tante volte qualcosa che ho scritto -.-"", e credo di averci lasciato sopra un pezzettino di cuore, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, positivo o negativo che sia, potete davvero dirmi qualsiasi cosa: se vi piacciono i personaggi, se vorreste qualcosa di più, se trovate che sia tutto molto noioso, se volete dirmi di lasciar perdere, sul serio, QUALSIASI cosa, basta che mi diciate qualcosa, vi supplico T.T..
Per ultimo ma non per importanza ringrazio di cuore chi segue la storia e chi l'ha inserita tra le preferite, chi l'ha recensita (vi voglio tanto bene @.@) e chi l'ha solo letta :)
Nella speranza che mi facciate sapere al più presto che ne pensate,
bacibaci
Najla

ps: la canzone è ovviamente Payphone dei Maroon 5 :) che non riesco a togliermi dalla testa e che praticamente ha guidato la stesura di buona parte del capitolo :) il testo è quello preso direttamente dal video, specifico perché dopo è stato modificato cambiando alcune parole che potevano risultare volgari, almeno credo..

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Capitolo 5
*** Un'allegra famiglia felice ***


Quarto capitolo
Un’allegra famiglia felice

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, ovunque, in qualunque momento.
Mirtilla non si era mai divertita così tanto a stare dentro a quel castello, come da quando avevano fatto la loro comparsa i numerosi ed eterogenei eredi dell’enorme clan Weasley. La prima era stata Victoire Weasley, uno scricciolo con i capelli biondi quando aveva varcato per la prima volta l’enorme portone, una sorta di Venere dagli occhi blu quando se n’era andata, con una scia di ragazzi bavosi alle sue spalle, mentre l’unico che amava davvero era troppo impegnato a fare gli occhi dolci al suo amore platonico, perché lei ne era convinta, a prescindere da quello che era successo dopo, tra Theodore Lupin e Leigh Dale, non sarebbe mai successo niente.
Le aveva fatto una tale pena la bella Vicky che quando l’aveva sentita dire che finalmente lei e Ted si erano messi finalmente insieme, aveva cominciato a ballare allegramente, guadagnandosi le occhiate perplesse del Frate Grasso e della Dama Grigia. Ma intanto era arrivata la sorellina di Victoire, Dominique Weasley, un’altra affascinante bionda con delle gambe chilometriche, e mentre cominciava a maledire il mondo per essere nata brutta e con gli occhiali, Mirtilla, l’aveva vista prendere in mano una scopa e volare come una professionista, senza la paura che da una vita assillava Vicky: quella di spezzarsi un’unghia. L’aveva vista cadere nel fango e ridere con quella testa di capelli afro di un rosso shock, che era suo cugino Fred Weasley, e di nascosto aveva riso come una matta, ricordando tutti i disastri che avevano combinato i gemelli testa-rossa al povero Gazza.
Tutto sommato, però, quei tre erano stati piuttosto tranquilli: il bello era arrivato con gli altri.
Guardare le vite dei Weasley-Potter e affini era stato meglio che seguire una di quelle telenovelas argentine oppure quel programma babbano infinito, Beautiful, ma con tutto il divertimento del reale.
Quanto adorava quella scuola.

11 Ottobre XX
Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, portico del castello, ore 11.13
Elijah e James se ne stavano seduti su uno degli scansi delle finestre che davano sul portico, l’uno masticando una mela infilata nella borsa a colazione, l’altro guardando malizioso ogni bella gonna che gli passava davanti, tanto che ormai il rumore dei risolini delle ragazzine di tutta la scuola era diventato un sottofondo trascurabile.
E mentre il giovane Potter pensava a quanto bello fosse avere delle ore buche all’interno del suo orario scolastico, Eli guardava pensieroso il cielo cupo che prometteva l’ennesima pioggia, sopra di loro.
«Quei due hanno qualcosa che non va » commentò assorto ad un tratto e James lo guardò perplesso, inarcando un sopracciglio, distogliendo lo sguardo da una Corvonero del quinto anno che stava andando ad Erbologia.
«Quali due?» chiese incuriosito tornando ad osservare la sua nuova preda con i capelli scuri e un fondoschiena da favola, l’avrebbe cercata a pranzo e poi chissà: sentiva la mancanza di una ragazza che lo tenesse occupato un po’, niente di serio, ovviamente.
«Parlo di Ian e Jay » rispose il ragazzo scendendo con un balzo dal davanzale, «Deve essere successo qualcosa ».
«Perché? Sai qualcosa che non so ma che dovrei sapere?» partì alla carica Jamie puntandogli contro un dito accusatore, e se c’era un’altra cosa che il Potter odiava era che qualcuno gli nascondesse qualcosa, qualsiasi cosa: faceva parte delle sue manie da primadonna.
«Rallenta i neuroni, Jam, il tuo cervello potrebbe non reggere » lo troncò Elijah con un ghigno, «Dico solo che mi sono sembrati strani, non hai notato niente?».
All’inizio nemmeno lui ci aveva fatto troppo caso, ma dopo quello che era successo quasi una settimana prima, quando erano casualmente entrati nell’ufficio della Hastings alle tre di notte per la loro piccola ricerca sulla causa del persistente malumore della donna, senza però trovare niente di soddisfacente; Eli si era convinto che qualcosa doveva per forza essere successo. Perché quei due non si erano né parlati né guardati per tutta la durata della loro spedizione, e il Faraday aveva avuto la bizzarra sensazione che non riuscissero nemmeno a tollerare troppo bene l’uno la presenza dell’altro.
«Secondo me vedi cose dove non ci sono, Eli, sono sempre i soliti Ian e Jay, lui con la sua fissa del bravo ragazzo e lei con i suoi mille impegni: a me sono sembrati i soliti di sempre » fece spallucce il moro continuando a seguire con la coda dell’occhio quella ragazza che spariva definitivamente nella serra per la lezione con Neville, perché nonostante gli anni, a lui faceva ancora un certo ché chiamarlo professor Paciock, insomma, con quell’uomo ci giocava da quando aveva memoria: non poteva proprio considerarlo un’autorità.
«Tanto non ci combinerai niente, James, smettila di illudere quella povera ragazza » mormorò Eli quasi come se nulla fosse, e sentendo il sospiro pesante del suo migliore amico si voltò stupito: gliel’aveva buttata lì come una frecciatina da nulla, di certo non si aspettava una reazione seria.
«Forse hai ragione, Eli » mormorò depresso appoggiando la schiena contro la finestra, incrociando le gambe sopra al davanzale, «Ma insomma, sono James Sirius Potter io! Ho una reputazione da difendere!» si accese subito dopo, «Dall’inizio dell’anno non ho ancora combinato niente! Cosa penserà la gente di me? Che sono in crisi mistica?» aspettò alcuni secondi, preso da chissà quali meditazioni tutt’altro che profonde, poi si ripiegò nuovamente su sé stesso reggendosi una guancia con una mano, «Ma chi voglio prendere in giro? Eli: ormai dell’uomo che ero non è rimasto più nulla! Che ne sarà di me?» sospirò affranto con la tipica espressione da eroe tragico che metteva su nei momenti di massima disperazione della sua vita e che aveva solo il poter di renderlo tremendamente comico.
Elijah prese ad osservarlo con un sopracciglio inarcato e in volto il più profondo scetticismo, incrociò le braccia al petto e inclinò appena la testa verso sinistra, «Hai finito?» chiese caustico e James lo guardò abbattuto.
«Sì..» rispose mogio e il Faraday quasi si sentì  in colpa, sotto gli occhi da cerbiatto ferito di James, occhi che avrebbero sciolto anche la Hastings.
«Oh senti » sbottò allora, «Non è colpa mia se ti sei innamorato della ragazza di tuo fratello! Quindi non venire a lamentarti con me perché non sei più capace di fare il cascamorto con il resto del mondo! Io te l’avevo detto di stare attento, ma te fai sempre come ti pare!».
«Vì non è la ragazza di mio fratello » ci tenne a sottolineare James, come se quel particolare non dovesse essere assolutamente trascurato, cosa che ad Eli sfuggiva ogni volta che toccavano l’argomento.
Il Faraday sbuffò di nuovo: possibile che ogni volta che finivano a parlare di Vanille Hillyard gli sembrava di ascoltare un disco rotto? Era tutta l’estate che James lo assillava con lettere, messaggi, incontri per appostarsi in giro per Londra per spiare quella povera ragazza eppure, quando Elijah gli aveva chiesto perché non fosse andato direttamente da lei, come faceva con tutte le ragazze, lui aveva risposto che non poteva perché sapeva che suo fratello le faceva il filo da cinque anni, e per quanto James fosse bastardo dentro, quando si trattava di Albus, non poteva moralmente rubare la ragazza al fratellino. Nonostante ciò ogni volta che Eli gli faceva notare che doveva togliersela dalla testa perché era la ragazza di Al, lui ci teneva a ricordargli che invece non lo era.
Insomma, tutta la situazione cominciava ad essere ridicola!
Maledetto James e la sua morale con il disturbo dissociativo dell’identità!
«James » lo richiamò serio, «Devi togliertela dalla testa, subito, prima di innamorarti sul serio, mi hai capito?».
Ma bastò un’occhiata trasognata di James per fargli disgraziatamente capire che era troppo tardi, che lui era già cotto e stracotto, come gli era successo solo un’altra volta nella vita, agli albori della sua carriera di dongiovanni, con una ragazza più grande di lui, un’amica di Victoire, Irene Randall. Elijah ancora se la ricordava, e si ricordava pure tutto il tempo che gli c’era voluto per farlo uscire dalla depressione in cui era caduto quando lei lo aveva brutalmente scaricato.
Dopo quella volta lui e James, il primo per paura di finire come il secondo, e il secondo per paura di riprendersi un’altra botta sui denti, si erano ripromessi di non innamorarsi mai di nessuna donna, e la cosa aveva funzionato magnificamente finché Vanille non era entrata come riserva nella squadra di Quidditch e James, beh, si era comportato da James ed era finito come una pera cotta.
«Merlino! James! E’ la ragazza di tuo fratello!» esclamò stupefatto, neanche Jam poteva essere così subdolo.
«Senti chi parla!» rispose allora il Potter sulla difensiva, «Cosa mi dici di Rowena?».
«E adesso che cosa centra Rowena?».
«Eli, ci sarà un motivo se Kath la chiama la ragazza dei Faraday, non credi?» gli fece notare James come se gli fosse sfuggito l’ennesimo lampante particolare.
«E’ diverso, Rowena non è niente per me e non è la ragazza di mio fratello » puntualizzò il ragazzo e a Jam sfuggi una risatina di scherno.
«Raccontala a qualcun altro Eli, non a me » disse con un sorrisetto malizioso, «E neanche Vì è la ragazza di mio fratello ».
Elijah fu costretto ad arrendersi di fronte alla testardaggine di James e con un sospiro a mani alte, dichiarò la sua totale resa, «Fai un po’ come ti pare, amico, ma poi, se tuo fratello ti spedisce al San Mungo, non venire a lamentarti con me ».
«Tanto non succederà niente, non posso fare una cosa del genere ad Al » ragionò ad alta voce il moro tamburellandosi una guancia con le dita, «Anche se in fin dei conti è di Al che stiamo parlando, quindi potrei, e poi Vanille tecnicamente non è la sua ragazza..no non posso..  Ehi! Eli! Dove stai andando!».
Mentre James si perdeva, di nuovo, nei suoi sproloqui, per legge sempre privi di una conclusione definitiva, Elijah, ormai al limite della pazienza, aveva preso la sacca con i libri e aveva deciso di tornare dentro al castello, brontolando epiteti poco simpatici nei confronti del suo migliore amico e poi, come aveva potuto paragonare il casino con Rowena alla sua cotta per Vanille? No, erano due storie completamente diverse..

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Grande, ore 12.30
Lucy Weasley era una ragazza schiva ed introversa con cui era estremamente difficile entrare in contatto e ancora più difficile stringere amicizia, tanto che, nonostante fosse al suo quinto anno, l’unica persona con cui la si vedeva parlare, da due anni a questa parte, oltre ai suoi parenti, era Judith Swift, sua compagna di Casa e di camera. Una ragazzina un po’ particolare con i capelli scuri e le punte tinte di rosso: decisamente uno stile inusuale per l’austera Hogwarts, e che sicuramente non la metteva in buona luce agli occhi della sorella di Lucy, Molly, che non perdeva occasione per criticarla.
Come tutti i giorni era seduta al capo del tavolo più vicino alla porta e mangiava in silenzio, con Judith seduta alla sua sinistra e Louis, il cugino da cui non si separava mai, seduto di fronte a lei.
Erano il giorno e la notte, loro due, eppure riuscivano a capirsi con una semplice occhiata e Lucy avrebbe fatto volentieri a cambio con Molly, pur di averlo vicino anche a casa, quando suo padre e sua sorella la rimproveravano per i voti, per i vestiti, per l’atteggiamento, persino per come camminava: non trascinare i piedi, Lucy!
Louis era allegro e solare, con quei capelli biondi un poco più lunghi che gli ricadevano morbidi sulle spalle, con gli occhi azzurri di zia Fleur e il suo sorriso contagioso, l’unico capace di colpire anche una come Lucy che, viceversa, con i suoi capelli castani, costantemente raccolti in una treccia, il naso spruzzato di lentiggini e gli occhi chiari della madre, perennemente velati da una sorta di rabbia repressa che li incupiva terribilmente, sembrava quasi spaventare chiunque le passasse a fianco.
Era la Grifondoro più strana che la scuola avesse mai visto e forse il cappello parlante l’aveva infilata lì perché non aveva saputo dove metterla: non era subdola come una Serpeverde, non era intelligente come una Corvonero, non era affabile come una Tassorosso, ma non sembrava nemmeno coraggiosa come una Grifondoro.
Era solo la Weasley-strana.
Ma c’era un vantaggio nel’essere sommariamente ignorata da tutti, ed era quello di poter osservare chiunque liberamente, senza paura di essere scoperti, e Lucy, negli anni, era diventata una vera maestra in questo, soprattutto per quanto riguardava la sua famiglia, e forse, questo era il motivo per cui lei e Louis andavano così d’accordo, quello di un buon spirito di osservazione era l’unico dono che li accumunava.
«Sai Lucy, mi piacerebbe proprio avere una famiglia grande come la tua » se ne uscì Judith osservando distrattamente Albus e Rose che ridevano per chissà che cosa con il Malfoy e una ragazza bionda, Die Vanille, «Voglio dire, io sono figlia unica, come minimo mi piacerebbe avere un fratello, anche se fosse come tua sorella mi andrebbe bene ».
A Lucy sfuggì una risata sarcastica e Louis scosse la testa sorridendo comprensivo dell’affermazione innocente della ragazza.
«Non sai cos’hai detto, Judith » commentò la Weasley bevendo un po’ d’acqua mentre il cugino annuiva convinto.
«Mi piacerebbe proprio sapere che idea ti sei fatto della nostra famiglia per dire una cosa del genere » aggiunse il ragazzo sorridendo ad una Judith perplessa.
«Beh, sembrate molto uniti, voglio dire, ci saranno i soliti litigi che ci sono tra tutti i parenti, ma deve essere bello avere tanti cugini con cui passare il tempo » rispose con sicurezza: insomma, lei se l’era sempre immaginata così l’enorme famiglia Potter – Weasley, tutti a ridere a Natale e Capodanno, con quel cameratismo tipico delle famiglie in cui tutti si conoscono da una vita e, anche se non l’avrebbe mai ammesso, era proprio per la curiosità di scoprire come doveva essere avere tanti parenti, che si era avvicinata inizialmente a Lucy e Louis.
«Non siamo uno stereotipo sociale, Judith » commentò Lucy con una punta di amarezza, «La realtà è che siamo tutto meno che una famiglia felice che si riunisce a Natale intorno all’albero a bere latte e biscotti ».
«Lucy vuole dire che abbiamo anche noi i nostri problemi familiari, non siamo l’allegra famigliola perfetta » disse Louis nella speranza di mitigare quel cinismo, proprio della cugina, che in risposta sbuffò contrariata.
«Questo è un eufemismo, Lou » ci tenne a precisare e lui la fulminò con un’occhiataccia.
«Non mi pare il caso, Lucy ».
«Ti prego non cominciare anche tu » commentò acida squadrandolo, «Non mi pare il caso, non sta bene, non bisogna dire certe cose.. » gli fece il verso prima di rivolgersi a Judith, «Fidati di me, una volta o l’altra finirà male.. ».
La Swift inarcò appena un sopracciglio, chiedendosi a cosa si riferisse esattamente l’amica ma decise di non indagare ulteriormente, conscia di aver toccato un tasto particolarmente sensibile e che forse avrebbe fatto meglio a lasciar stare.

«Ma l’hai vista la faccia della Harris quando Scorp ha fatto esplodere il vaso di melma? Le è finita tutta tra i capelli! Pensavo si sarebbe messa a urlare come il suo solito!» rise Vanille, rievocando una scena avvenuta l’ora prima, Albus Potter e Rose Weasley, seduti di fronte a lei e Scorpius Malfoy, alla sua destra, scoppiarono nuovamente a ridere, era la terza volta consecutiva da quando si erano seduti a pranzo e Rosie ormai aveva persino le lacrime agli occhi.
«E’ stata una scena epica, si è messo a ridere persino quel vecchietto di Vitious!» aggiunse Al tenendosi la pancia dalle risa, «Scorp, sul serio, hai tutta la mia stima ».
«Raccontalo alle mie due settimane di punizione che ho tutta la tua stima » commentò con un profondo sospiro e uno sguardo teatralmente affranto, che di fronte alle espressioni scettiche degli altri tre, durò davvero poco e in meno di un secondo scoppiò nuovamente a ridere, «Però ne è valsa la pena per vedere i capelli della Harris coperti di verde!».
«Povera Hope..» biascicò Rose asciugandosi le lacrime agli occhi e Scorpius la guardò esterrefatto.
«Povera Hope, Weasley? Quella donna è da tre anni che cerca di bocciarmi in Incantesimi, e tu hai anche il coraggio di dire povera Hope? Ammettendo anche che io abbia fatto esplodere quel vaso di proposito, direi che se l’è pienamente meritato!» rispose il biondo annuendo convinto delle proprie affermazioni, mentre Albus e Vanille si lanciavano uno sguardo alla: si salvi chi può.
«Probabilmente se tu non fossi un mago con l’ego di un Ungaro Spinato, e non fossi così strafottente da risponderle ogni volta che ti fa una critica, sempre meritata, per altro, lei non ce l’avrebbe così tanto con te, non credi?» commentò la rossa scostandosi un ricciolo dalla fronte, guardando il ragazzo con quell’aria di sfida che riservava solo a lui e a nessun altro: occhi ridotti a due fessure, mento alto e le orecchie leggermente scarlatte per una rabbia che stava solo nascendo, ma che sarebbe presto scoppiata con un enorme botto e il Malfoy spiaccicato su qualche superficie non ancora identificata.
«La Harris ce l’ha con me a prescindere! E poi non è vero che mi merito tutte le sue critiche! Com’è che mi prendo parole ad ogni lezione e ho i tuoi stessi voti, so-tutto-io? Forse perché non faccio tutti gli errori di cui mi accusa lei!» sbottò il biondino assottigliando a sua volta lo sguardo fino a ridurre gli occhi a due fessure scure e rabbiose.
«Tu non hai i miei stessi voti!» si accese Rose sbarrando gli occhi indignata, «Ho sempre preso più di te in Incantesimi!».
Albus lanciò al suo migliore amico un’occhiata da: non andare oltre o è la volta buona che devo organizzarti il funerale, ma quello lo ignorò volutamente continuando imperterrito lungo quella strada suicida.
Perché Al li conosceva tutti e due come le sue tasche e sarebbe finita male, se lo sentiva nelle ossa.
«Ne sei così sicura, Weasley?» la provocò lui e Rose parve pensarci un attimo prima di annuire decisa, certa di aver vinto anche il loro ennesimo scontro.
«Vedo che passi molto tempo a controllare la mia media scolastica, Rose » ghignò soddisfatto per averla fatta cadere nella sua trappola con tutta quella facilità.
In un secondo sul volto della rossa apparve un’espressione schifata e nauseata, nenache dovesse spalare della cacca di Troll.
La fattura orcovolante che spedì Malfoy contro il muro fu pressoché inevitabile.
Albus sospirò rassegnato guardando l’amico che si massaggiava il fondoschiena mentre dal tavolo degli insegnanti si alzava proprio la professoressa Harris, per venire a controllare cosa fosse successo, dato che la Hastings, quel giorno, era assente. E non ci fu modo di spiegarle che Rose aveva reagito male ad un commento del ragazzo, perché la rossa aveva cancellato l’incantesimo dalla sua bacchetta e perché, per la Harris, la colpa sarebbe stata sempre e solo di Scorpius, che, tanto per cambiare, si era appena beccato altre due settimane di punizione.
Nero di rabbia e con un’aura omicida attorno, il Malfoy si rimise a tavola, proprio mentre Rose si alzava, radiosa come non mai, e usciva dalla Sala Grande, lasciando Al a leggere negli occhi del suo amico tutto quello che, di terribile, voleva propinare alla cugina, e senza sbagliare troppo poteva vederlo farle ingoiare ciascuno dei denti che componevano il sorrisetto compiaciuto con cui era uscita di scena.
Non c’era niente da fare, quei due si odiavano a morte, e se Albus era fermamente convinto che fosse a causa della rispettiva storia genetica, insomma, con i geni Weasley e Malfoy non si scherza, ed era persino scontato che quei due avrebbero cercato di ammazzarsi a vicenda finché avessero avuto vita, come era stato per nonno Arthur e Lucius, per zio Ron e il signor Malfoy: era matematico; Vanille, invece, portava avanti la bizzarra convinzione che quella tra i due fosse solo rabbia sessuale repressa e quando aveva espresso la sua opinione ad Al lui l’aveva guardata talmente disgustato che era certa che avrebbe dato di stomaco davanti a lei.
Per fortuna non era successo.
«Mi spieghi perché devi sempre portarla al limite?» commentò Vì, rimproverando velatamente il biondino ancora fumante di rabbia: un mese di punizione, ma ci rendiamo conto?!
«Perché è insopportabile! Mi viene naturale!» rispose passandosi una mano tra i capelli: chi l’avrebbe spiegato a sua madre che si era beccato due settimane di punizione per aver tirato una frecciatina alla Weasley? Con suo padre non avrebbe avuto problemi, anzi, gli avrebbe fatto persino i complimenti, ma sua madre, fissata con il quieto vivere eccetera, sarebbe stata un altro paio di maniche..
Albus lo guardò arrovellarsi e scosse la testa: ogni tanto ci pensava, a come erano diventati amici loro quattro e gli veniva quasi da ridere, perché loro erano le quattro persone che mai e poi sarebbero dovute andare d’accordo.
In realtà tutto era nato da Al e Scorp.
Ad avvicinarli era stato il fatto di sentirsi tremendamente fuori posto.
Insomma, Albus aveva James Potter come fratello e il Salvatore del Mondo Magico, Harry Potter, come padre, e tanto bastava a giustificare la sua bassa autostima, se a questo si sommava il fatto che, al suo primo anno, decisamente non si sentiva un coraggioso Grifondoro, risultavano perfettamente giustificabili le gambe molli con cui era entrato in Sala Comune la prima sera, sorretto da una Rose sollevata all’inverosimile per non aver deluso suo padre ed essere finita nella culla dei coraggiosi di cuore. Per Scorpius, invece, era stato un vero trauma dover vestire lo scarlatto e oro, e, ad onor del vero, era stato un shock per tutta la scuola: tanto che quando il cappello parlante aveva annunciato tutto pimpante Grifondoro, alcune mascelle si erano ritrovate a rotolare sul pavimento, tra cui quella di un giovanissimo James Potter che era scattato in piedi accusando il secolare cappello di aver ricevuto una mazzetta. La paura più grande del Malfoy era stata, però, doverlo dire a suo padre, che, a parte far esplodere una dozzina di alberi in giardino e aver minacciato di denunciare il cappello per diffamazione, l’aveva presa abbastanza bene, anche se per lui, l’argomento “mio figlio è un Grifondoro”, era ancora un tasto sensibile.
Era stato quasi meccanico che quei due stringessero amicizia, a quel punto, convinti che fosse più semplice affrontare insieme quell’inferno di scuola, piuttosto che separati.
Così, tra le urla di James che cercava di riportare il fratellino sulla retta via e parallelamente portava avanti la sua campagna di terrorismo nei confronti di Scorpius, tra le crisi di nervi che prendevano il signor Malfoy ogni volta che sentiva i nomi Malfoy-Potter-amici-Grifondoro nella stessa frase, e che lo costringevano da un po’ di anni a ricorrere ad una massiccia dose di ansiolitici, tra le risate del signor Potter che aveva allegramente preso il tutto come una vendetta del karma, al loro duo si era presto unita Rose che, incapace di staccarsi dal cugino, aveva gentilmente imposto la sua presenza, accettando perfino l’esistenza di quello “stoccafisso con i capelli”, come lo definiva lei, di un Malfoy: nonostante tutti i principi etici e morali con cui suo padre l’aveva crescita le intimassero di fare esattamente il contrario.
Alla fine, dopo un trasferimento da Durmstrang, durante il loro secondo anno, era arrivata anche Die Vanille, figlia di un ambasciatore che era tornato a lavorare a Londra e che aveva spostato tutta la famiglia in Inghilterra.
Albus se n’era innamorato al primo sguardo, ma aveva sempre avuto paura di ammetterlo: perché rovinare una bella amicizia per una cotta? Sarebbe stato stupido..
Così si ritrovò a sorridere distrattamente quando Scorpius annunciò con tono lugubre che andava a cercare una pergamena per scrivere una lettera a sua madre, o in alternativa, un modo rapido e indolore per morire.

Ministero della Magia, Ufficio Auror, ore 14.32
La professoressa Hastings si accese una sigaretta guardando di sottecchi la figura del Salvatore del Mondo Magico che andava su e giù per l’enorme ufficio peggio di un indemoniato, sostanzialmente incapace di stare fermo.
«Qui dentro non si potrebbe fumare, Cinnamon » sospirò lasciandosi cadere infine sulla sua sedia in pelle, decisamente troppo grande e importante per la faccia della persona che si trovava davanti, visto che il grande Harry Potter in quel momento sembrava appena uscito dalla centrifuga, con i capelli spettinati, gli occhiali storti e un’espressione stravolta.
La donna lo guardò scettica sfilando la sigaretta dalle labbra, come a volergli chiedere se, sul serio, dovesse spegnerla e lui scosse la testa sospirando ancora: «Fa un po’ come ti pare..».
Passarono un paio di minuti in silenzio, a studiarsi, finché Cinnamon non decise che la situazione stava diventando ridicola.
«Vuoi spiegarmi perché mi hai chiamata qui?» chiese innocentemente e Harry storse le labbra in una smorfia sarcastica.
«Lo sai benissimo perché ti ho chiamata qui, Cinnamon, sei un Auror. Quando sul giornale leggi “non c’è di cui preoccuparsi”, sai quanto me che lo leggi perché l’ha voluto il Ministero: di certo non perché è la verità » rispose più acido di quanto volesse e se ne pentì subito. Era stanco, praticamente distrutto, non vedeva casa da quasi una settimana, da quando, non sapeva chi, aveva avuto la brillante idea di fare una strage ad Azkaban, uccidendo tutti i Mangiamorte incarcerati. Il tutto senza lasciare una traccia che fosse una: neanche si trattasse di Merlino in persona!
E in sei giorni di ricerche non era riuscito a trovare niente di niente: gli rimaneva solo chiedere aiuto a chi aveva una rete di informatori più grande della sua, e quella persona era Cinnamon Hastings.
«Credi si tratti di una vendetta personale o di un gruppo organizzato?» chiese la donna tranquilla, continuando a inspirare lunghe boccate di fumo.
«Onestamente non lo so » ammise lui sistemandosi gli occhiali, «Ad una prima occhiata potrebbe essere il gesto di un folle, magari un mago alla ricerca di vendetta per la sua famiglia e a quel punto si potrebbe indagare sull’intera comunità magica inglese e irlandese: tutti avevano almeno un motivo per voler morti quegli assassini. Ma un nostro agente ha riferito che prima di sparire nel nulla, l’assassino ha detto: questa è la nostra vendetta, purosangue.. O era una figura grammaticale, o deve avere degli alleati da qualche parte ».
«Pensavo avessimo fermato tutti gli invasati che volevano travestirsi da vendicatori e farsi giustizia da soli » commentò Cinnamon annoiata e lui annuì.
«A quanto pare ce ne sono sfuggiti un paio..».
«Sei conscio della gravità della situazione, vero?» continuò la donna guardandolo dritto negli occhi e Harry annuì, era il suo lavoro, certo che lo sapeva. Nella migliore delle ipotesi avrebbero scoperto chi erano i responsabili e li avrebbero arrestati, nella peggiore, e lui era un campione di pessimismo, poteva anche iniziare una vera e propria persecuzione contro gli ex-affiliati di Voldemort ancora in circolazione, sotto falso nome o magari assolti al tempo del maxiprocesso tenutosi alla fine della guerra: gli bastava pensare a Draco Malfoy e alla sua famiglia per averne un esempio.
«Chiederai in giro, Cinnamon?» chiese allora Harry e la donna annuì spegnendo la sigaretta.
«Ti farò sapere il prima possibile e prega che non sia niente di grave, perché altrimenti ti ritroverai un bel problema  tra le mani ».
«Lo so, grazie » rispose Harry Potter sprofondando ancora un po’ nella poltrona: stava male solo a pensarci.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Grifondoro, ore 17.54
«Allora me la dai una mano con quell’incantesimo, Jamie?» chiese di nuovo una ragazzina con dei fluenti capelli rossi, lunghi fino alla vita e gli occhi di una delicata sfumatura castana- dorata, perfettamente in tono con il viso tempestato da una fitta rete di lentiggini. Indossava una gonna nera, a palloncino, e un paio di calze di un fucsia persino accecante che, evidentemente, doveva richiamare le righe del maglioncino che aveva addosso, ma che avevano il bizzarro effetto di farla assomigliare allo stregatto in persona.
«Che incantesimo?» sbadigliò James, facendo finta di studiare sulla sua copia di Trasfiguarzione 7, doveva scrivere tre pergamene per Dobrev e, a dire il vero, aveva scoperto di avere un libro di testo solo cinque minuti prima e perché Ian glielo aveva lanciato in testa: in definitiva non sapeva neanche da che parte cominciare.
Magari avrebbe chiesto una mano a Eva o Jade..
«Vedi che non mi ascolti mai quando parlo?» sbuffò lei incrociando le braccia al petto, con broncio da gattino arruffato che metteva su quando suo fratello la ignorava.
«Sai, sorellina, anch’io ho da fare » rispose indicando la sua pergamena bianca, orribilmente bianca, «Perché non chiedi all’altro tuo fratello?».
Lily Potter aspettò un secondo prima di abbassare lo sguardo sul pavimento e bisbigliare qualcosa che arrivò a James come un gliel’ho già chiesto e mi ha detto di arrangiarmi.
Al moro scivolò una mezza risata, Albus avrebbe sbriciolato il mondo per quello scricciolo, lo sapeva, chissà che cosa aveva fatto la piccola per farlo arrabbiare.
Stava quasi per chiederglielo quando dai dormitori femminili giunse un urlo raccapricciante, come il ringhio assassino di una bestia assetata di sangue, pronta a fare una strage.
Lily prima guardò James, che scosse la testa, e poi Albus, seduto poco distante, che fece spallucce: se loro due non sapevano cosa potesse essere successo, allora..
«ELIJAH FARADAY IO TI UCCIDO!» si sentì ululare dal piano di sopra mentre James poteva sentire una porta sbattere e probabilmente andare in pezzi, e i passi di un mago che cercava di salvarsi la vita giù per le scale: Eli saltò gli ultimi tre gradini che portavano ai dormitori e si lanciò in direzione di James, seduto a terra.
«Ti prego Jamie, salvami tu!» esclamò con il fiatone lanciandosi con tuffo ad angelo dietro al divano su cui James aveva appoggiato la schiena. I due Potter strizzarono gli occhi al suono delle ossa del ragazzo che si schiantavano contro il pavimento di pietra e James tappò preventivamente le orecchie alla sorellina, quando Elijah si diede ad una sequela di imprecazioni molto colorite che minacciavano di tirare giù maghi, streghe e tutto il magico paradiso.
In quello, dalle scale apparve anche la figura assatanata di Roxanne Weasley, circondata da un’aura rossa come il sangue che probabilmente sarebbe sgorgato di lì a poco, con indosso il pigiama e i capelli di un tenero rosa confetto.
James e Lily si scambiarono un lungo sguardo perplesso poi scoppiarono a ridere.
«James Sirius Potter » chiamò lugubre Rox avanzando lentamente verso di lui, «Dimmi dov’è!».
«Qui dietro » rispose allegramente il divano alle sue spalle e subito dalla stoffa rossa sbucò la faccia terrorizzata di Eli, pallida come se stesse davvero guardando in faccia la morte.
«Brutto traditore..» riuscì a bisbigliare il ragazzo prima che la Weasley gli saltasse letteralmente al collo con l’intento di strangolarlo, facendo rovinare entrambi a terra in una lotta di braccia e gambe, in cui Roxanne picchiava ed Eli subiva in silenzio.
«Brutta testa di Gargoyle con le piattole e le verruche! Come diavolo ti sei permesso di manomettere la doccia!» sbraitò Roxie, «Porca Morgana! Adesso ho i capelli rosa! ROSA!» e la ragazza, rendendosene nuovamente conto, ricominciò a strangolarlo.
James si girò  un secondo e vide tutta la Sala Comune che rideva: Jade ed Eva che non riuscivano a stare in piedi, Lysander, seduto davanti a lui, praticamente steso sul pavimento, come Ian e Frank, Vanille che si teneva alla spalla di Albus e Rose che probabilmente meditava di intervenire o meno, nella sua indole da prefetta, adocchiò sulle labbra di Lucy e Louis un mezzo sorriso.
Sorrise ancora, guardando Elijah che lo implorava di staccargli quella beva di dosso:adorava la sua famiglia.





Note dell'autrice:
Buongiorno a tutti :) oddio, non posso credere che per una volta non sto aggiornando all'una di notte! Evidentemente sto migliorando :)
Comincio con il chiedere scusa se sono così lenta ad aggiornare, avevo in programma di farlo già due settimane fa, visto che il capitolo è pronto da un'eternità, ma non ne ho avuto il tempo... ok, non è vero, è estate e io sostanzialemente non faccio un bigolo dalla mattina alla sera.. In realtà, dopo lo scorso capitolo, ho meditato di lasciar perdere, e quindi avevo deciso di non postare più niente, poi però mi sono detta che era un peccato, visto che la storia è praticamente scritta e decisa almeno fino al capitolo quindici, così ho deciso di riprovare e sono tornata con un capitolo interamente dedicato ai Weasley-Potter, dove si capisce un po' come mi piace immaginarli  :)
Ringrazio, come sempre, chi ha letto questa storia e chi l'ha inserita tra le seguite e le preferite, mi rende davvero felice veder crescere quei numeretti :)
Sperando di non avervi annoiati troppo, mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate dei personaggi, sia quelli nuovi che i soliti, cosa ne pensate della storia, se i capitoli sono troppo lunghi, se sono noiosi, ecc...quindi LASCIATEMI UNA RECENSIONEEEEE!! Vi supplico :'(
Ora vi saluto, al prossimo capitolo (sperando che ci sia)
Bacibaci

Najla


ps: stavo meditando di lasciare uno spazio, in certi capitoli, per un angolino sui retroscena della storia, in particolare per quanto riguarda l'ideazione dei nuovi personaggi e della storia in sè...cosa ne dite?? Potrebbe essere carino o lascio perdere?? Fatemi sapere!!

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Capitolo 6
*** Trasforma quest'acqua, in Whiskey! Parte 1 ***



So che nello scorso capitolo avevo detto che avrei pubblicato fino al capitolo quindici, data la mancanza di recensioni, però, ho deciso che se anche questo capitolo non riceverà un minimo di feedback, lascerò la storia come incompleta. So che forse è prematuro e quant'altro, ma non vedo troppe alternative.
Comunque il capitolo è diviso in due parti, quindi sicuramente verrà pubblicata la seconda, se presto o tardi non so dirlo.

Najla





Quinto Capitolo

Trasforma quest’acqua, in Whiskey!
Parte 1



12 Ottobre XX
Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Dormitorio femminile Grifondoro, ore 19.45
Era tradizione, da un po’ di anni a quella parte, che una volta formate ufficialmente le quattro squadre di Quidditch che si sarebbero contese la Coppa, una delle Case, a turno, organizzasse una festa per celebrare l’inizio del campionato.
In realtà era solo un buon modo per studiare la concorrenza: in una scuola dove le notizie giravano più veloci di una Windspirit mandata al massimo, tenere segrete le formazioni era impossibile, tanto valeva sondare direttamente il campo.
La festa d’Inizio, generalmente la prima festa dell’anno scolastico, non era qualcosa a cui chiunque potesse partecipare, gli inviti erano pochi e trovare qualcuno capace di farti entrare praticamente impossibile; l’unico modo sicuro per esserci era entrare in una delle quattro squadre, i cui membri venivano invitati di diritto.
Quell’anno, la festa, sarebbe stata a carico dei Corvonero, e come tutti gli anni, prevedeva alcool e tutto ciò che generalmente tra quelle mura non era concesso, e Lorcan Scamander, il capo di tutto il teatrino, aveva promesso una serata indimenticabile.
«Eva, mi passi le scarpe, per favore?» chiese Jade, stesa a pancia in giù sulla trapunta scarlatta, con il viso mezzo affondato nel cuscino di piume e la faccia di una persona che non ha davvero voglia di andare ad una stupida festa.
«Guarda che se stai così il vestito si rovina..» le fece gentilmente notare Eva abbandonando ai piedi del letto della ragazza un paio di alti tacchi in vernice nera, prima di sparire in bagno per la terza volta consecutiva, probabilmente a sistemarsi, di nuovo, i capelli.
«Ripetimi perché tu mi abbandoni a questo stupido evento sociale?» brontolò Jade all’indirizzo di una Roxanne seduta con la schiena premuta contro la testiera e una piuma in bilico dietro l’orecchio sinistro.
«Primo, perché odio a prescindere le feste» cominciò l’altra corrugando la fronte di fronte ad una riga evidentemente incomprensibile del libro che aveva davanti, «Secondo, perché per colpa di quella testa di Troll di Faraday ho ancora dei capelli che sembrano usciti da un distributore di zucchero filato.. Terzo, perché la festa è organizzata da un idiota, biondo ed esaltato che risponde al nome di Lorcan Scamander: non penso ti serva sapere altro».
Jade inarcò appena un sopracciglio, indecisa se rispondere a tono oppure lasciar stare perché Rox non sembrava dell’umore, e dopo aver deciso per la seconda, si auto costrinse a sedersi e cominciò a lavorare per mettersi su quei dannati trampoli, che le aveva prestato la sorella.
Roxanne alzò un secondo gli occhi dal libro di Babbanologia che aveva sulle gambe e lanciò un’occhiata sottecchi all’amica, trovandosi a concordare pienamente con quanto diceva tutta la fauna maschile di Hogwarts: Jade Fyfield era davvero una bella ragazza e non si stupiva che più di metà scuola le facesse segretamente il filo.
Quella sera, poi, aveva indosso un vestito verde bottiglia, di raso, senza spalline, aderente alla figura ma ripreso su un fianco con una lavorazione di perline e non sapeva quale altra diavoleria: avrebbe potuto conquistare persino il bellissimo professor Dobrev se si fosse messa d’impegno.
Ma la cosa che preoccupava Roxanne non era il fatto che quella sera i ragazzi avrebbero potuto sbranarla, quanto la luce strana, cupa, che le aveva intravisto negli occhi chiari mentre allacciava la cinghietta delle decolté, e che non era la prima volta che notava dall’inizio dell’anno.
Stava quasi per chiederle se non fosse successo qualcosa ,quando Eva uscì dal bagno per andare ad aprire alla porta dove aspettavano, sistemate di tutto punto, Rose e Vì: la prima con una smorfia indofferente e l’altra con un sorriso gigantesco.
«Siete pronte?» chiese impaziente Vanillle lanciando un’occhiata a Jade che si stava alzando dal materasso, cercando di trovare un precario equilibrio, il minimo per camminare.
«Andiamo» annunciò la bionda con un sorriso che non avrebbe ingannato nessuno, prendendo la borsetta nera da sopra il comodino mentre le altre tre scendevano in sala comune.
«Buona serata, Rox!» la saltò chiudendosi la porta alle spalle e la ragazza si ritrovò da sola a fronteggiare il complesso funzionamento di una dinamo, maledicendo tutte le cose a lei conosciute.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Grifondoro, ore 19.52
Quando Vanille mise piede in Sala Comune, con una Rose tutt’altro che entusiasta al suo seguito, si ritrovò indecisa se mettersi a ridere come un’idiota oppure mettersi a piangere, direttamente.
Perché solo quelle due cose potevi fare di fronte ad Albus e James Potter che si fissavano in cagnesco da una parte all’altra della Sala, cercando sostanzialmente di uccidersi a colpi di sinapsi, sotto lo sguardo candidamente seccato di Elijah Farday e Ian Clow.
Ed era certa al centoeunopercento, che la colpa fosse tutta di quella stupida domenica mattina..

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Grande, ore 07.30
«James.. » cominciò Elijah con il tono di una persona che sta per perdere definitivamente la pazienza, che è a tanto così dall’esplodere peggio dei botti di capodanno, «Ricordami perché stiamo facendo colazione alla sette e mezza del mattino: alle sette e mazza di domenica mattina ».
James ebbe almeno la decenza di alzare lo sguardo dal piatto stracolmo di schifezze di ogni genere che aveva davanti, e guardarlo perplesso, come se quella fosse una domanda davvero stupida.
«Il Quidditch » rispose tranquillo trangugiando una fetta di torta al cioccolato.
«Il Quidditch?».
«Sì, Eli, il Quidditch ».
Elijah si guardò intorno e, appurato che insieme a loro ci fossero solo quei poveri disgraziati che facevano parte della loro squadra, e che quindi lo conoscevano, o volevano provare ad entrarci, e che quindi erano coraggiosi Grifondoro perché il resto della scuola, giustamente, era ancora a letto, decise di sfogare le sue mancate ore di meritato riposo su quell’idiota del suo capitano.
«E perché cavolo non ti ho schiantato stamattina quando mi hai svegliato a quest’orario indecente di domenica per un allenamento di Quidditch?!» sbraitò sbattendo un pugno sul tavolo e per fortuna James fu così veloce da alzare i loro calici dal tavolo altrimenti sarebbero finiti ricoperti di latte e succo di zucca.
«Io sono il tuo vice! Dovrei impedirti di fare certe cazzate!» continuò incrociando le braccia al petto, «Perché invece continuo ad assecondarti?!».
James mise su il più amabile dei sorrisi, con tanto di occhi da triglia lessa, «Perché non resisti al mio fascino, Eli, lo sanno tutti » sospirò, come se la cosa gli pesasse e non poco, «Ma tranquillo, non ci riesce nessuno: quindi puoi continuare ad adularmi senza preoccupartene ».
«Mi spieghi come diavolo hai fatto ad uscire così?» chiese il Faraday sinceramente sconvolto, «Voglio dire, i tuoi genitori sono persone normali, i tuoi fratelli pure, i tuoi parenti anche.. Per quale assurda legge magica tu sei diventato così cretino? Sei caduto dal fasciatoio quando eri piccolo?».
«Cosa vuoi che ti dica » rispose fieramente l’altro, «Non è colpa mia se solo io ho preso tutta la classe, la bellezza e l’intelligenza presenti in famiglia: vuoi farmene forse una colpa, mio caro amico?».
«Non ho nemmeno la forza di risponderti, sul serio » concluse Elijah scuotendo la testa, e proprio mentre stava per dedicarsi alla sua colazione, dopo aver messo da parte la sua battaglia persa contro quel caso clinico che era il suo migliore amico, James scattò in piedi guardandolo sconcertato.
«Eli? Muoviti! Abbiamo un allenamento che ci aspetta!» gli ricordò canzonatorio il Potter strappandogli di mano una fetta di pane grondante di cioccolato, «E dovresti smetterla di mangiare queste cose ipercaloriche, sai quanto male fanno ad uno sportivo come te?» dopodiché fece sparire anche l’ultima traccia della colazione dell’amico, semplicemente ingoiandola, e se ne andò ridendo.
«JAMES!».

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Campo da Quidditch, ore 08.00
«Questa è una presa per il culo » chiarì James Sirius Potter in piedi davanti ai nuovi candidati di quell’anno, Elijah, alla sua destra, non cercava neanche di mascherare troppo le risate, e Jade, alla sua sinistra, faceva altrettanto.
Gran belli amici..
Nonostante fossero quasi a metà ottobre, nel campo non soffiava un filo d’aria e il cielo era stranamente limpido, splendente di un pallidissimo sole che si nascondeva appena dietro le alte torri degli spalti. In altre occasioni James avrebbe ringraziato tutti i pochi santi che conosceva per un tempo del genere, soprattutto per quel primo allenamento della stagione, insomma: niente sole accecante, niente pioggia scrosciante, niente vento capace di buttarti giù dalla scopa con la forza di un ariete da sfondamento.
Il tempo ideale per qualsiasi persona volesse volare in tranquillità.
Eppure, in quel momento, quella mattina ad un orario indecente, perché sì, doveva ammetterlo, era indecente, ma ad onor del vero era stata tutta colpa di Lorcan che aveva prenotato il campo per tutto il pomeriggio, si diede dello stupido per non aver interpretato quel tempo meraviglioso come il più catastrofico degli auspici.
«Suvvia, cugino » sentì ridere Roxanne alle sue spalle, «Prendila con filosofia: almeno non c’è Lily ».
James sospirò indolente tornando a guardare i ragazzi davanti a lui, soffermandosi con particolare enfasi su quell’idiota con cui condivideva il cognome, non che tra loro due ci fossero altri legami se non quello di parentela, sia chiaro, e sull’unica persona che mai avrebbe dovuto avere l’ardire di presentarsi al suo cospetto: il Malfoy.
Perché per James Potter quel biondo platinato non aveva mai avuto un nome, e dal suo secondo anno, quando l’aveva visto per la prima volta alla stazione di King’s Cross, memore di tutte le storie di suo zio Ron e dell’odio che gli aveva trasmesso per quel particolare cognome, aveva sapientemente deciso che avrebbe cercato di rendergli la vita un inferno: era una questione di principio.
I problemi erano sorti quando Malfoy era diventato Grifondoro, nella sua profonda indignazione, e quando, poi, era diventato amico di Albus, nel suo profondo disgusto: insomma, non era uno stinco di santo, ma non poteva proprio distruggere la vita al migliore amico di suo fratello e ad un suo compagno di casa, andava contro ogni suo principio morale, se mai ne avesse davvero avuto qualcuno.
Quindi, non potendo distruggerlo e tormentarlo come avrebbe voluto, in quei sei anni, si era limitato a dimostrare platealmente il suo astio semplicemente facendo finta che non esistesse, ignorandolo completamente: gli era sembrata la cosa più logica.
A questo punto si può capire la sua totale indignazione nel trovarselo davanti alle selezioni per la squadra dei Grifondoro: la sua squadra.
«Ha ragione Roxanne » cercò di rassicurarlo Jade riprendendo un minimo di contegno, «Poi non è nemmeno detto che sceglieremo proprio loro due ».
Elijah diede una gomitata al loro portiere, un colosso del quinto anno, troppo grande per la sua età, di nome Adam McKenzie: «Scommettiamo che alla fine prendiamo loro due? Un galeone!».
In risposta gli arrivò il manico di una scopa in testa, quello della bellissima e curatissima scopa di Roxanne Weasley, con ancora i capelli di un delizioso rosa, «Chiudi quella bocca, Faraday» borbottò con gli occhi ridotti a due fessure, in un vano tentativo di difendere la psiche già provata di James che non li badava nemmeno, intento com’era ad escogitare un modo per fare in modo che suo fratello e l’innominato, non potessero più montare su di una scopa.

La prova era semplice, almeno questo pensò Albus mentre prendeva quota al fianco di Scorpius: insomma, provare a disarcionare Elijah Faraday e Jade Fyfield non doveva essere così difficile, no?
Lui e Scorp si erano allenati praticamente tutta l’estate, perfettamente consapevoli del fatto che solo con la perfezione James li avrebbe accettati, volente o nolente, in squadra: perché Albus era giustamente convinto che suo fratello fosse un idiota con l’acume di un ameba, ma sapeva benissimo che nel Quidditch, e solo in quello, sapeva essere obiettivo ed era questo a renderlo un ottimo capitano.
In definitiva, se avessero superato tutti gli altri sarebbero entrati in squadra, che a James Potter piacesse o meno, e Albus smaniava per indossare quella divisa scarlatta: avrebbe venduto un rene pur di averla nel suo baule.
In tutto questo suo stupendo e fattibilissimo progetto, però, non aveva calcolato un piccolo particolare: i due cacciatore che doveva far cadere dalla scopa per guadagnarsi quel maledetto posto.
In verità, aveva sperato fino all’ultimo di trovarsi davanti Roxanne, non per un bisogno sadico di martellarla di bolidi, sia chiaro, ma perché, giocandoci insieme ogni estate, ogni vacanza di sorta, sapeva a menadito il suo schema di gioco, sapeva benissimo quali fossero i suoi punti deboli; non sarebbe stata comunque una passeggiata, perché se sua cugina puntava a squadre nazionali un motivo c’era, e Rox era brava, ma lui la vedeva anche tremendamente prevedibile.
Purtroppo, avrebbe dovuto immaginarlo, suo fratello aveva deciso di mettergli contro gli altri due cacciatori della squadra: un modo gentile per mettergli i bastoni tra le ruote, anche se la scusa ufficiale era che, se avesse giocato Roxanne, ci sarebbe stato un conflitto di interessi perché erano parenti.
Parenti un cesto di castagne! Lo sapevano entrambi che Roxie non gli avrebbe mai riservato un trattamento di favore!
Così, sospeso a mezz’aria, con Elijah e Jade che si passavano la pluffa volteggiando tranquilli, Scorp dall’altro lato del campo con la mazza in mano e suo fratello che con un sorriso sadico reggeva un fischietto tra le labbra, Albus strinse la presa sulla mazza, pronto a combattere la sua guerra.
Al fischio i bolidi schizzarono in aria.
Abbiamo appena detto che ad Al quella prova era parsa, sommariamente facile, mentre saliva tutto pieno di speranze: dopo quel fatidico fischio, cambiò drasticamente idea.
Perché un motivo, se la Fyfield ed Elijah erano in squadra, c’era.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Spogliatoio maschile, ore 11.26
Elijah guardò parecchio seccato l’orologio appeso alla parete dello spogliatoio: ridendo e scherzando era già passata un’ora.
«James..» tentò per l’ennesima volta guardando un filino preoccupato l’amico che intento a creare e ad incenerire una sedia per la milionesima volta, in un bizzarro e stranamente silenzioso modo per sfogare la sua, solitamente chiassosa, rabbia, non si era nemmeno tolto la divisa.
«James, mi senti?» erano rimasti solo loro a cercare di farlo ragionare, lui, Ian e Jade, intrufolatasi lì dentro dopo essersi cambiata, con ancora i capelli umidi dalla doccia, mentre Roxanne aveva detto di non volersi immischiare ed era andata direttamente al castello.
«Jam..sarebbe anche passata un’ora..tra un po’ dobbiamo andare a mangiare..» tentò l’unica ragazza con il tono accondiscendente e comprensivo che usava per le grandi crisi delle loro vite.
Ma James non diede segno di averli sentiti, troppo preso ad incenerire quella povera sedia sperando con tutta l'anima che si trsformanesse nella testa di suo fratello, e perché no, magari anche in quella di quel biondo insipido che portava il nome di Malfoy.
Al solo ricordare le loro facce gli prudevano violentemente le mani.
Alla fine non aveva potuto impedire a nessuno dei due di entrare in squadra, non era uno stupido, e nonostante non fossero stati capaci di disarcionare ne Jay ne tantomeno Eli, erano risultati, obiettivamente, i migliori battitori presenti alle selezioni, avevano coordinazione, potenza, precisione: avevano la stoffa per quel ruolo e a lui due battitori così per vincere la Coppa servivano.
Quello che non gli serviva era avere suo fratello tra i piedi anche nella sua squadra.
Perché non bastava che Albus fosse il figlio perfetto, quello sempre attento ad aiutare mamma, quello con gli occhi di papà, quello con i voti migliori a scuola, quello che dava una mano a Lily nei compiti, quello che era diventato prefetto, quello intelligente, quello sensibile, quello posato, quello fottutamente meraviglioso.
No, non bastava.
Doveva anche venire a rubargli la squadra, il Quidditch, le due cose che, sostanzialmente, costituivano l’unica cosa in cui lui, James, fosse più bravo del fratello.
Lui era capitano da tre anni, non Albus.
Lui era il cercatore migliore che Hogwarts avesse da venticinque anni, non Albus.
Lui, non Al.
E il fatto che adesso anche lui fosse entrato a sgomitare nel suo universo per guadagnare l’ennesimo titolo che lo avrebbe avvicinato ancor di più alla perfezione, lo mandava letteralmente in bestia!
La cosa triste era che nessuno lo avrebbe capito: non i suoi genitori che di sicuro lo avevano appoggiato nell’entrare in squadra, non Lily o i suoi parenti che gli avrebbero dato dell’egocentrica primadonna, nemmeno i suoi amici, ne era sicuro.
«James..mi pare che tu ne stia facendo una tragedia..» commentò Elijah, «Pensala così: ci aiuteranno a vincere la Coppa anche quest’anno».
Ecco, non avrebbero capito nemmeno loro.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Serpeverde, ore 19.52
Joshua Nott, come già detto, non era una persona troppo incline ad interessarsi degli altri, tutto ciò che sapeva era un riflesso incondizionato di quello che sapeva Damian Zabini: in realtà, Nott, era una specie di lupo silenzioso e solitario, e questo, se possibile, era uno dei motivi per cui stava tanto simpatico a Mordecai Fraday, quanto antipatico a Katherine Wetmore.
«Wetmore, la prossima volta, la gonna, lasciala a casa e vai via direttamente nuda, tanto è uguale » commentò caustico guardando il vestito che aveva indosso la compagna di casa, appoggiata al divano di velluto verde.
Un tubino nero tremendamente corto.
«Nott, prendere le tue considerazioni personali e ficcartele su per dove non batte il sole, mai?» rispose l’altra inclinando appena la testa verso destra, con un sorrisetto talmente acido da risultare persino corrosivo.
L’unica persona di tutto l’universo che Joshua Nott non poteva proprio ignorare era la Wetmore, così dannatamente irritante da doverle per forza lanciare una frecciatina almeno una volta al giorno. Lo istigava con quel suo fare altezzoso, volutamente e scontatamente provocante, con quella lingua biforcuta che non era capace di tenere ferma un secondo, tanto che freddarla ogni tanto gli provacava un sadico piacere.
«Dimmi, Wetmore, preferisci rimanere a letto, stasera?» rispose notando una luce assassina illuminarle gli occhi, appena le fu chiaro dove voleva andare a parare, «Perché ti ricordo che senza di me, dai Corvonero, non entri».
La faccia di Katherine si accese di un rosso indignato e si fece talmente paonazza che Joshua cominciò a chiedersi come gli occhi facessero a restare al loro posto: sembravano dover schizzare fuori da un momento all’altro.
Merlino e Morgana, quanto avrebbe voluto scoppiarle a ridere in faccia.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Corvonero, ore 20.00
Lorcan se ne stava seduto su una delle poltrone, magicamente moltiplicate e ammassate lungo le pareti della sala, godendosi il suo personale capolavoro: ideato, progettato e in parte realizzato da lui.
Il soffitto era stato stregato come quello della Sala Grande, merito di una Molly Weasley piuttosto restia a collaborare, e ora era ricoperto da una cupola stellata che da sola sarebbe bastata ad illuminare la stanza, il bar, tutta opera sua, era stato sistemato in un angolo, ed erano già d’accordo sul fatto che c’avrebbero lavorato lui ed Oliver a turno, inutile elencare la meravigliosa scorta di alcolici, magici e babbani, che aveva avuto in maniera piuttosto illecita, per concludere con quella che lui definiva una chicca, i cubi con incantesimo di levitazione: più ti muovevi e più si alzavano, fino ad un’altezza di sicurezza, ovvio. Non voleva mica avere gente con qualche gamba rotta, come era successo alla festa d’Inizio organizzata dai Tassorosso l’anno prima: la schiuma era stata un’idea meravigliosa, fino a quando una cacciatrice di Tassorosso non era scivolata, investendo la cercatrice di Serpeverde e suo fratello Lysander.
La conclusione era stata, una gamba rotta per la Tassorosso, un braccio crepato per la Serpeverde e una spalla dislocata per suo fratello.
In compenso a caduta a effetto domino era stata così esilarante che non aveva smesso di ridere un secondo, nemmeno portando Lys in infermeria.
«Manca solo la bava, Lorcan » gli fece notare una Rowena appena apparsa dalle scale del dormitorio, con le braccia incrociate sotto il seno e un mezzo sorriso a curvarle gentilmente le labbra.
«Ma come siamo in ghingheri questa sera » sorrise, pronto a rispondere alla frecciatina, «Per quale dei due ti sei data tanta pena?».
Rowena lo fulminò con un’occhiataccia prima di avvicinarsi e sedergli accanto con un leggero sbuffo e gli occhi socchiusi.
«Mi lascio il beneficio del dubbio, Lo » rispose curvando le labbra in un discreto sorriso, «Ancora per un po’».
Lorcan la guardò inarcando un sopracciglio parecchio scettico, ma non ebbe il tempo di rispondere che Oliver li raggiunse con un balzo, dietro di lui gli altri Corvonero del settimo e del sesto anno, a cui era permesso partecipare di diritto, e i pochi membri della squadra che non rientravano nel primo gruppo.
«Allora, Lo, quando si comincia?» chiese Oliver sistemandosi gli occhiali squadrati sul naso, con un sorriso decisamente euforico.
In quel momento sentirono un coro di voci, urlare da fuori: «Occhio di coniglio! Rumore di fischi! Trasforma quest’acqua, in Whiskey!».
Gli occhi di Lorcan Scamander si accesero di una luce che non prometteva niente di buono, un cocktail di malizia e pazzia davvero pericoloso.
«Adesso ».

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Capitolo 7
*** Trasforma quest'acqua, in Whiskey! Parte 2 ***


Le citazioni a lato, sono tutte prese da canzoni che mi immagino come sottofondo nella storia nel momento in cui si verificano i fatti della storia..
E’ un ragionamento un po’ contorto ma spero sia chiaro..
Ah..piccola precisazione, la maggior parte dei personaggi è sotto effetto di alcool o sostanze stupefacenti, quindi se fanno cose che non stanno da nessuna parte..beh, è normale..
Buona lettura..


Quinto Capitolo
Trasforma quest’acqua, in Whisky!
Parte 2

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Corvonero, ore: non interessa a nessuno, in questo momento.

Make me come alive
Come on turn me on
Touch me, save my life
Come on and turn me on
I’m too young to die
Come on and turn me on
Turn me on
Turn me on
(Turn me on- David Guetta ft. Nicki Minaj )

Non sapeva da quanto tempo stava ballando.
Non sapeva di chi erano le mani che sensuali le stringevano leggermente i fianchi, cercando di arrivare sotto la gonna del vestito verde che indossava.
Non sapeva nemmeno cosa stesse facendo esattamente il suo corpo.
Sentiva solo la testa leggera, estranea a tutto e a tutti.
Sentiva solo il cubo sotto ai piedi e il vuoto allo stomaco che le ricordava i voli sul campo da Quidditch: una meravigliosa sensazione di vertigini mista ad adrenalina.
Sentiva solo di voler rimanere così per sempre.
Completamente fuori controllo.
In un qualsiasi altro istante della sua vita non si sarebbe mai sognata di fare una cosa del genere: lasciarsi toccare in quel modo da uno sconosciuto, di fronte a tutti i suoi amici, a tre metri dal pavimento.
Lasciarsi andare in quella maniera non era decisamente nelle sue corde, anzi, lei viveva da sempre in simbiosi con il proprio cervello, era una di quelle persone a cui veniva naturale dire: tu pensi troppo.
Ma non quella sera.
E l’aveva deciso in una frazione di secondo, in un’occhiata.
Era entrata con Elijah e Ian, convinta che sarebbe rimasta tutta la sera a bere seduta al bancone con Lorcan e la depressione di James per la faccenda di Albus, e invece, quando aveva visto la piccola Gwen Shelley venirle incontro sorridente, salutandoli, prima di appropriarsi in maniera tutt’altro che casta e pudica della lingua di Ian, aveva deciso che non sarebbe rimasta in disparte, quella sera.
Che senso aveva rimanere platonicamente fedele ad uno che l’aveva, in fin dei conti, solamente usata?
Ed era stato un sguardo, quello di Ian, mentre ancora si lasciava baciare da quella ragazzina, a convincerla che sì, quella sera, avrebbe spento il cervello e si sarebbe fatta del male.
Sapeva di piacere ai ragazzi, non era un mistero, Rox ed Eva glielo ripetevano spesso ma lei non c’aveva mai dato troppo peso: quella sera aveva deciso che ne avrebbe approfittato.
E quando un Tassorosso le era venuto vicino chiedendole di ballare, lei aveva lanciato uno sguardo a Ian, l’ultimo, e con un sorriso malizioso che non le apparteneva si era allontanata dal bancone e l’aveva seguito: il resto era un caos indistinto di luci e suoni, ma non aveva importanza.
Mentre metteva le braccia al collo di quel tipo, niente aveva importanza.
Mentre si muoveva sensuale come mai in vita sua, niente aveva importanza.
Mentre Ian svaniva nel baratro della sua memoria insieme alla rabbia, alla delusione e alla lingua di Gwen Shelley: niente aveva importanza.
Che vedesse bene cosa si era perso.
Per quella sera voleva solo sentirsi dannatamente viva.

Oh yeah they tell me I’m a Bad boy
All the Ladies look at me and act coy
I just like to put my hands up in the air
I want that girl dancing over there.
(Little Bad Girl- David Guetta ft. Taio Cruz & Ludacris )


Elijah non sapeva esattamente cosa pensare, era solamente certo che quella festa d’Inizio, la migliore mai realizzata, a suo parere, se la sarebbero ricordati tutti i presenti fino alla fine delle loro brevi vite: doveva ricordarsi di fare i complimenti a Lorcan.
«Sai cosa prende alla Fyfield?» era finito con i gomiti appoggiati sul bancone del bar, davanti al mitico alcolico babbano denominato vodka, dopo aver goduto della compagnia di una Corvonero di cui non conosceva nemmeno il nome, e quello che gli aveva parlato non era altro che un esaltato Lorcan Scamader con una faccia stranamente sobria.
Eli alzò lo sguardo vagamente annoiato verso quella che a tutti gli effetti era la sua migliore amica, vedendola sopra quei cubi volanti, illuminata a tratti dalle luci incantate, mentre portava le braccia intorno al collo di Kyle Sanders, un Tassorosso dell’ultimo anno, anche se era quasi certo che lei non avesse la più pallida idea di chi lui fosse.
Jade aveva un problema e avrebbe fatto una cavolata, ne era certo.
Ogni volta che la ragazza aveva un problema faceva una cavolata.
Era matematico, ormai.
«Non ne ho la più pallida idea » rispose sinceramente voltandosi verso la pista, mentre Lorcan faceva il giro del bancone e gli si sedeva a fianco.
«Non l’ho mai vista così » ragionò ad alta voce lo Scamander, «A sapere che stasera si sarebbe lasciata andare ne avrei approfittato io al posto di Sanders ».
Elijah tornò a guardarla per una manciata di secondi prima di annuire.
«Per come è presa stasera, credo non si lascerebbe pregare nemmeno troppo » constatò il Faraday con una smorfia indecifrabile, «Ti basta farla scendere da lì ».
«Vendermi così la tua amica è vergognoso, Faraday » osservò Lorcan con un ghigno ed Elijah si limitò a scuotere la testa.
Lorcan non aveva mai avuto granché rapporti con i Grifondoro, certo, li conosceva tutti, e sarebbe stato difficile il contrario visto che uno di questi era suo fratello, un altro James Potter, con cui era praticamente cresciuto, un altro Frank Paciock, che conosceva da sempre, e un’altra Roxanne Weasley, la sua amata nemesi. Gli altri erano nomi con cui scambiare quattro chiacchiere ogni tanto, giusto per passare il tempo, ma in sette anni, comunque, un’idea su di loro se l’era fatta.
A dire il vero, l’unico che non era riuscito del tutto ad inquadrare era proprio Elijah Faraday, con quel suo fare perennemente insofferente e a tratti menefreghista: non era mai riuscito a capire cosa nascondesse sotto la sua maschera.
E Lorcan, di maschere, era un esperto, sia a tenerle che a farle crollare.
Non per doppiogiochismo, sia ben chiaro, solo, il ragazzo, era fermamente convinto che spesso fosse più facile fingere che essere davvero sé stessi: a suo parere si evitavano un sacco di rogne.
Il Corvonero seguì lo sguardo del coetaneo, finché non incontrò la figura non troppo alta ma affusolata di Rowena Dale, intenta a ballare e a ridere, in quel tubino blu scuro che la faceva sembrare ancora più bella di quanto non fosse normalmente, con Mordecai Faraday: cercatore di Serpeverde.
Lorcan si ritrovò a pensare che doveva essere davvero strano per Elijah guardare una figura identica in tutto e per tutto alla sua, ma che non era la sua, stringere la ragazza che avrebbe voluto stringere lui: come fare un salto nello specchio dei desideri.
Ringraziò che Lys fosse troppo preso dagli animali di Hagrid per pensare alle ragazze.
«Sai Faraday » cominciò allora con il suo tono di falso disinteresse, «Se vuoi che scelga te, devi impegnarti di più: perché io non simpatizzo per tuo fratello, ma lei è a tanto così dallo scegliere lui. Fossi in te farei la mia mossa ».
Elijah sorrise amaramente, curvando appena la linea dritta delle labbra: se persino quel damerino da due soldi di Lorcan Scamander si metteva a dargli consigli, allora era proprio messo male.
«Scamander » ghignò alzandosi e Lorcan lo seguì con uno sguardo vagamente curioso, «Chi ha detto che ho bisogno di Rowena? Posso aver chiunque io desideri ».
Ed erano bugie, enormi ed atroci bugie, lo sapeva Eli e lo sapeva anche Lorcan, ma per il primo era confortante dirle ad alta voce e l’altro decise che, anche se non erano in grandi rapporti, poteva lasciargli quella piccola soddisfazione, quella sera.
«Come vuoi Faraday » fece spallucce il biondino tornando rapido dietro al bancone mentre Elijah svuotava in un sorso l’ennesimo bicchiere.
«Bella festa, Scamander ».

Oye mami i like your mocha
come get a little closer and
bite me en la boca.

Oye papi if you like it mocha
come get a little closer
and bite me en la boca.
(Rabiosa- Shakira ft. Pitbull )

«Sono spariti tutti » sbuffò Katherine Wetmore lasciandosi cadere con poca grazia su una delle poltroncine blu persiano raccolte in un angolo più intimo della stanza, accavallando le gambe in modo tale che quella poca parte di mondo che non aveva ancora avuto l’onore di vederle le mutande le vedesse per bene. O almeno questa era la convinzione del povero Joshua Nott, che aveva avuto la disgraziata idea di sedersi proprio in quel’angolo dieci minuti prima della ragazza, e che ora se la ritrovava a lato, di nuovo.
Spesso Joshua si ritrovava a pensare che il fato dovesse per forza avere un sadico senso dell’umorismo, anche se probabilmente si trattava solo di un’indole profondamente bastarda. Insomma, lui e la Wetmore si odiavano: si sarebbero accoltellati con una delle forbici della serra di Erbologia, avrebbero fatto esplodere il calderone dell’altro durante Pozioni solo per il piacere di vederlo sfigurato da qualche scheggia assassina, Johua avrebbe persino Trasfigurato la compagna in un sasso da gettare nel Lago Nero se solo ne avesse avuta l’occasione, era escluso che Katherine facesse lo stesso perché in Trasfigurazione faceva proprio pena.
Eppure, nonostante questo odio viscerale finivano sempre insieme: nella stessa Casa, nello stesso gruppo di amici, in coppia a Pozioni, nello stesso angolo di poltrone blu alla festa d’Inizio.
Sì, il fato era o bastardo, o cercava di ucciderli.
«Non sono spariti, Wetmore » rispose lui senza particolari inflessioni, «Ti stanno lontani perché non ti sopportano ».
«Non è vero che non mi sopportano!» esclamò come una bambina indispettita, mancava solo che si mettesse a battere i pugni sulle poltroncine. Joshua la guardò stupito: niente battuta caustica? Niente commento acido?
La osservò un attimo in più.
«Wetmore: quanto hai bevuto?» la domanda gli era venuta spontanea e quando lei lo aveva guardato cominciando a ridere come  una stupida, singhiozzando di tanto in tanto, non aveva davvero avuto bisogno di risposta.
Almeno ha la sbronza allegra, pensò il Serpeverde scuotendo la testa.
«Meglio che vada a cercare Charity e le dica di portarti in dormitorio il prima possibile » commentò Joshua provando ad alzarsi in piedi: sperava solo che la ragazza non fosse con il suo migliore amico imboscata dietro le tende a fare Merlino solo sapeva cosa, perché lui, di fare da balia alla Wetmore non ne aveva voglia.
Prima ancora che potesse finire di formulare questo pensiero, tutt’altro che piacevole, peraltro, si ritrovò il sedere di Katherine sulle gambe.
E lì le domande immediate furono due: quando diavolo si è mossa?! E, perché diavolo mi si è seduta sopra?!
«Dove vai?» gli chiese la ragazza appoggiandogli le mani sopra la camicia, inclinando appena la testa verso destra, come per vederlo da un’angolazione diversa.
Josh rimase a guardarla per un po’ di tempo, mentre lei gli studiava ogni centimetro di faccia disponibile.
Quella era decisamente una situazione bizzarra.
Assurda.
Paranormale.
Joshua sentiva il fiato caldo, l’aroma dolciastro dell’alcool, soffiargli sul collo, le mani incredibilmente calde dell’altra sul petto e sentiva i suoi propositi di levarsela immediatamente di dosso svanire in una nuvola di fumo, insieme a un sacco di altre belle cose, come la coerenza.
Perché lui continuava ad odiare Katherine Wetmore, gli dava fastidio averla così vicino, davvero, ma non riusciva nemmeno a negare a sé stesso che quella ragazza, in quel momento, lo stesse facendo andare su di giri mica da ridere. Insomma! Era pur sempre un ragazzo di diciassette anni che sulle gambe aveva una compagna di Casa decisamente appetibile, ubriaca fino al midollo..
Doveva. Mantenere. La. Calma.
«Katherine » cominciò prima di rendersi conto che l’aveva davvero chiamata per nome: ma che cavolo stava succedendo?! Appena tornato in sé sarebbe andato dallo Scamander a denunciarlo per avergli drogato il drink: perché, passi che nemmeno lui era del tutto sobrio, ma non era nemmeno in palla come la Wetmore!
«Wetmore » ricominciò allora più serio che mai, «Scendi immediatamente da qui che ti porto in dormitorio ».
«No no » fece lei con lo stesso tono da bambina, leggermente pigolante, «Mi piace questa festa ».
«Sei ubriaca » gli fece notare lui sperando di farla rinsavire un poco.
«Hai davvero dei begli occhi, Joshua, sono di un verde davvero scuro » rispose lei ignorandolo, se volutamente o meno, nessuno l’avrebbe capito, «Ho sempre pensato che fossero semplicemente neri, e invece sono verdi..».
«Scendi che ti porto in dormitorio » niente, stava raggiungendo il limite massimo di sopportazione.
«Invece credo che ti bacerò: hai proprio dei begli occhi, Joshua » fu la risposta semplice, diretta, sconcertante, addirittura innocente di una Katherine decisamente fuori fase, e il povero Nott non riuscì a fare niente per impedire quanto successe in seguito.
Perché cercò di respingerla quando le sue labbra si schiacciarono sulle sue, ci mise persino impegno, ma quando una parte sadica del suo cervello registrò che le labbra di Katherine erano morbide e per qualche strano motivo sapevano di cioccolato, il suo cervello semplicemente si spense, con un’ultima, crudele, nota.
E adesso sono cavoli amari, Josh.

You want to know how to make me smile
Take control, own me just for the night
But if I share my secret
You gonna have to keep it
Nobody else can see this.
(Moves like Jagger- Maroon 5 ft. Christina Aguilera )

Oliver guardò la testa rossa della piccola Weasley schiantata contro il bancone del bar e sospirò, in un muto segno di comprensione, della serie: non so esattamente cosa tu abbia ma ti capisco.
Rose se ne stava con la fronte contro il legno del bancone da ormai un quarto d’ora abbondante: incurante della musica, delle luci, di tutto, meno che della bottiglia di Whiskey Incendiario che aveva chiesto ad Oliver di lascarle sul bancone.
Se solo suo padre l’avesse vista!
Se solo sua madre l’avesse vista!
Ringraziò Merlino che suo fratello non avesse trovato un modo per imbucarsi alla festa, come invece aveva fatto Lily nel totale disappunto di Albus e James che non si parlavano mai, nemmeno per sbaglio, ma si erano mostrati un fronte unito contro la sorellina quando l’avevano vista varcare la porta con un vestito rosso tutto svolazzante.
Ovviamente lei li aveva beatamente ignorati.
Lily restava pur sempre Lily.
Ora, per spiegare in breve il motivo per cui lei, l’ultima persona sulla faccia dell’universo che ci si sarebbe aspettati di vedere attaccata ad una bottiglia, si trovava invece abbandonata sul bancone del bar di un festa proprio come sopra, sarebbero bastate due parole.
Scorpius Malfoy.
Nome e cognome.
L’incarnazione delle bibliche Sodoma e Gomorra.
La sua disfatta di Caporetto.
E su questa linea la ragazza avrebbe continuato per ore: in sei anni la fantasia si era sbizzarrita.
In realtà non era successo niente di che, o almeno, nulla di così grave da spiegare la sua voglia di alcolismo. Scorpius aveva semplicemente sparato l’ennesima frecciatina velenosa verso di lei e lei c’era rimasta più male del previsto.
Perché sì, lei era una Weasley e sì, lui era un Malfoy e sì, non andavano d’amore e d’accordo come due normali amici del XXI secolo, ma non si odiavano, non si volevano quel viscerale male che provavano, per esempio, la Wetmore e Nott.
Litigavano, si stuzzicavano, spesso volava qualcosa di più pesante ma si risolveva tutto con un colpo di bacchetta: o Scorpius fuori dalla finestra o Rose priva di corde vocali.
Niente di così atroce.
Eppure quella volta, a Rose, il colpo aveva fracassato le costole, non tanto da farla piangere, ma da abbandonare i dispiaceri nell’alcool decisamente sì.
La cosa triste era che più ci pensava più si rendeva conto che se l’era presa per niente, perché Scorpius che le dice che finirà suora di clausura perché è talmente frigida da non riuscire nemmeno a ballare ad una festa, era davvero una cosa trascurabile.
E più l’alcool andava giù, più la sua mente si apriva, e più questo succedeva, più si rendeva conto che non erano state le parole di Scorpius in sé ad offenderla, quanto il fatto che il ragazzo pensasse davvero una cosa del genere di lei.
Sapeva di non essere una ragazza bellissima, sapeva anche di essere un pezzo di legno quando si trattava di ballare e sapeva di essere troppo rigida con chiunque: lo sapeva, maledizione! Ma il fatto che il biondo Malfoy l’avesse detto così apertamente, con così tanta convinzione, l’aveva lasciata sanguinante..e l’aveva spinta all’alcolismo giovanile.
Rose scosse prepotentemente la testa: sei ridicola, Rosie, datti una svegliata, per carità!
«Weasley, ci diamo alla bottiglia?».
Maledetto fato bastardo, lasciami morire in pace.
«No Malfoy: leggevo gli ingredienti sull’etichetta » fu la sua caustica risposta: decisamente poco credibile dal momento che si stava versando l’ennesimo bicchiere di Whiskey.
«Ah davvero?» chiese fintamente sorpreso il ragazzo poggiando un gomito sul bancone, giusto per guardarla meglio, «Sei sicura di voler cominciare uno scambio di battute con me, nello stato in cui ti ritrovi? Sai, sarebbe una vittoria troppo facile e per te una sconfitta eclatante: dubito ti riprenderesti mai ».
Rose cercò di fulminarlo con lo sguardo, riducendo gli occhi a due fessure così affilate che Oliver, muto spettatore, poteva vedere la testa di Malfoy vacillare.
«Scorpius » e pronunciare il suo nome fu una faticaccia: che cavolo! Non potevano chiamarlo Joe?! «Prendi il tuo fondoschiena e portalo lontano da me prima che ti mandi al creatore facendoti volare fuori esattamente da quella finestra ».
«Wow, Rosie » continuò lui mostrando, di nuovo, di essere totalmente privo dell’istinto di autoconservazione, «Riesci addirittura ad articolare una frase così lunga? Evidentemente non hai bevuto abbastanza..».
La rossa sbuffò sonoramente guardando Oliver.
«Cromwell, non ho bevuto abbastanza, secondo te?» gli chiese indicandolo con la bottiglia quasi vuota che il ragazzo si affrettò a riafferrare per nasconderla dietro il bancone.
«Credimi, hai bevuto troppo, Rose » rispose Oliver sistemando dei bicchieri e la ragazza si voltò soddisfatta verso il biondo Malfoy e i suoi occhi scuri.
Da chi cavolo li avesse mai presi era un vero mistero.
Però avevano un che di intrigante..
Oh. Porca. Morgana.
«Sei un disastro, Weasley » borbottò Malfoy passandole un pollice sulla guancia, in maniera tanto delicata da sembrare quasi una carezza, o almeno il cervello bacato e assuefatto di Rose la registrò come tale, «Ti è colato un po’ il trucco ».
«E da quando ti interessi del mio trucco Malfoy?» chiese senza riuscire a trattenersi prima di mordersi a sangue l’interno guancia: possibile che non riuscisse mai a stare zitta?!
«Hai visto Jade sul cubo?» la ignorò lui togliendole la mano dalla guancia per indicarle con un cenno della testa la loro Caposcuola avvinghiata a un Tassorosso ignoto.
Rose pensò che quella ragazza, il giorno dopo, avrebbe avuto più di una bella gatta da pelare.
«Dovresti prendere spunto da lei » continuò Scorpius senza guardarla e Rose inarcò un sopracciglio perplessa.
«Dovrei farmi trascinare su uno di quei cosi volanti e dare spettacolo? No grazie..» rispose scuotendo la testa.
«No, Rosie, dovresti scioglierti un poco » e lo disse guardandola negli occhi, con un sorriso gentile, quasi dolce, «Stasera eri perfetta, se non ti fossi sdraiata qui ti avrei persino invitata a ballare ».
E Rose rimase imbambolata lì, con la faccia dello stesso colore dei capelli e gli occhi spalancati dalla sorpresa, fissi in quelli di Scorpius Hyperion Malfoy.

Took my life from negative to positive
And I just want y’all know that
And tonight, let’s enjoy life

Com’è che aveva detto Eli prima di farlo uscire dal loro dormitorio?
Ah sì, ora James ricordava..
So che ce l’hai con tuo fratello, ma ti prego, stasera, non fare cazzate.
Il Potter guardò il bicchiere di whiskey che teneva tra le mani e gli venne persino da ridere: lui? Fare cazzate? Ma quando mai..
E poi perché mai avrebbe dovuto fare cazzate: non c’era nessuno motivo logico per comportarsi in modo disdicevole ad una festa in cui suo fratello stava ballando con quella che, in quel momento, tra i fumi del’alcool e di qualcosa che un Serpeverde gli aveva spacciato come un’innocua canna ma che secondo lui non era proprio una canna..
Comunque, stavamo dicendo, perché mai lui avrebbe dovuto fare qualcosa di sconsiderato di fronte alla donna della sua vita che ballava con il suo fratellino perfetto e meraviglioso e scintillante che gli aveva appena fregato il primato di figlio-di-Harry-Potter-bravo-a-Quidditch?
Questa volta rise davvero tra sé e sé: stava cedendo al sarcasmo come faceva sempre Elijah e più ci pensava più gli veniva da ridere, e più gli veniva da ridere più si sentiva pazzo, e più si sentiva pazzo più la sua mente pericolosamente si svuotava..
Insomma,dai, non c’erano davvero motivazioni plausibili perché lui andasse lì, prendesse suo fratello e gli tirasse un pugno, così, di punto in bianco, davanti a decine di studenti che si stavano divertendo..
No, non c’era un motivo..
E fu proprio perché non c’era un motivo che ingoiò in un sorso il contenuto di quel bicchierino che teneva tra le mani, si alzò in piedi, e andò dritto da suo fratello.

Give me everything tonight

«Ma quello non è il tuo amico?» chiese Mordecai vagamente incuriosito all’indirizzo del fratello, con cui si era scontrato solo pochi minuti prima insieme a Rowena mentre si avvicinavano al bar.
Elijah alzò un sopracciglio perplesso prima di rivolgere lo sguardo verso un James Potter che si dirigeva spedito verso il centro della pista dove, intravide una coda di cavallo biondo paglierino.
«Maledizione, James!» sputò come se si trattasse di un insulto prima di lanciarsi nella piccola folla di studenti intenti a ballare, per fermare il suo migliore amico dal combinare un disastro di cui si sarebbe sicuramente pentito.
Rowena guardò un istante Mordecai, con un lieve accenno di preoccupazione e lui in risposta scosse la testa:«L’ho sempre detto io che Potter non ragiona..».

Give me everything tonight

«Ehi, Ian!» squittì Gwen Shelley staccandosi un secondo dal suo collo solo per indicare il centro della pista.
«Cosa c’è?» chiese lui distrattamente, troppo attento a lanciare occhiate assassine a quell’idiota di un Tassorosso che stava toccando la sua Jade.
Perché sì, lui aveva scelto Gwen per pietà, ma non gli andava giù vedere la compagna di casa tra le braccia di un altro, non ancora almeno, e sospettava non gli sarebbe mai andato troppo a genio.
«Ci sono Albus Potter e la Hillyard che ballano insieme!».
«Buon per loro..» tagliò corto lui: cosa poteva interessargliene di quello che combinava Albus Potter?
«Ma quello non è il tuo amico, James?» continuò Gwen con quel suo fare leggermente pigolante e ad Ian bastò un secondo di lucidità per capire cosa sarebbe successo di lì ad una manciata di secondi, e quando vide con la coda dell’occhio, Elijah staccarsi velocemente da Rowena e Mordecai per andare a passo di marcia verso il loro amico comune, capì anche che non avrebbe fatto in tempo.
«Maledizione..» sibilò staccandosi da Gwen pronto ad intervenire.

Give me everything tonight

Non le servì molto per tornare al presente, in realtà.
Le bastò sentire le urla sotto i suoi piedi.
Le bastò capire che non avevano nulla a che fare con la musica.
Le bastò la voce di Elijah che urlava a James di fermarsi.

Give me everything tonight

E il pugno che colpì la mascella di Albus Severus Potter, riuscì a zittire persino la musica.



(Give me everything tonight- Pitbull ft. Ne-Yo, Afrojack & Nayer )




Note dell’Autrice:
Cosa sarà successo dopo il pugno ad Albus? Questa Jade fuori di testa sarà riuscita a scendere dal cubo volante? Katherine, si ricorderà questa festa, la mattina seguente??
Tutto nella prossima puntata!!

Bene, mi sono appena resa conto di aver reso Hogwarts un covo di alcolizzati, ahahah..
Beh, direi che capita…u.u..
Comunque, io di grandi chiarimenti non ne vedo, da dover fare, ma se non avete capito qualcosa, avete voglia di dirmi quali personaggi vi piacciono e quali meno, avete consigli, critiche o mele marce da tirare, sono qui disponibile 24 ore 24 per qualsiasi cosa :)

Per quanto riguarda la decisione del se continuare o meno questa storia, a onor del vero sono ancora in dubbio perché ormai mi sono affezionata a tutti i personaggi e lasciarli così, con una storia a metà mi dispiacerebbe parecchio, ma credo dipenderà tutto dalle recensioni di questo capitolo: insomma SE LA STORIA VI PIACE FATEMELO SAPERE PERCHE’ IO, DISGRAZIATAMENTE, NON LEGGO NEL PENSIERO!
Detto questo ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo, probabilmente unico motivo per cui c’è stato un seguito, e chi ha la storia tra le preferite e le seguite.
Arrivederci (speriamo) a presto,

Najla

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Capitolo 8
*** Un semplice groviglio di fili ***


Sesto Capitolo
Un semplice groviglio di fili


But just because it burns
Doesn’t mean you’re gonna die
You’ve gotta get up and try try try
Gotta get up and try try try
You gotta get up and try try try
(Try- P!nk )



18 Ottobre XX
Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, dormitorio femminile Grifondoro, ore 16.25
Roxanne lanciò la sacca con i libri in un punto imprecisato della stanza con una violenza tale che qualsiasi fosse il pezzo di mobilio vittima dello scontro con i suoi testi scolastici lo sentì scricchiolare in segno di protesta, prima che il suono poco rassicurante della porcellana che schianta a terra e si riduce ad un cumulo di cocci le facesse appena strizzare gli occhi.
Con ogni probabilità aveva colpito il comodino di Evangeline e quella caduta a terra era la tazza di camomilla che la ragazza si era fatta portare dagli elfi domestici la sera prima.
Poco importava, comunque: un colpo di bacchetta e sarebbe tornata come nuova.
In quel momento le sue priorità erano decisamente altre, come il bisogno impellente di prendere a pugni qualcuno o qualcosa, per esempio.
Qualsiasi cosa.
Si guardò intorno nervosa, le mani che prudevano terribilmente, cercando di convincersi che no, distruggere il suo materasso o l’intero baldacchino a colpi di reducto non era un grande idea, anche se dannatamente invitante, come non lo era quella di lanciare tutti i libri che popolavano quella camera, solo per sentirne il tonfo secco e rassicurante una volta caduti sul pavimento: Eva e Jade l’avrebbero uccisa.
Quelle due avevano una passione morbosa per quegli inutili pacchi di carta.
Combattuta sul da farsi, decise che intanto poteva cominciare a togliersi quella maledetta divisa, a cominciare dal cravattino rosso e oro che minacciava di strangolarla, lanciandola con un gesto stizzito verso la porta del bagno. In pochi secondi la seguirono anche il maglioncino, la camicia già stropicciata e i pantaloni, perché sì, Roxanne Weasley era l’unica ragazza che osasse indossare i pantaloni della divisa maschile: non che sua madre o la McGranitt fossero d’accordo, ma visto che ogni volta che avevano provato a farle indossare una gonna lei l’aveva abilmente trasfigurata in un paio di jeans e alla fine le due donne avevano rinunciato e avevano deciso che se proprio non poteva indossare la divisa femminile almeno avrebbe indossato quella maschile.
Alla fine Roxanne era rimasta in biancheria intima e calzini, al centro della stanza, incurante della porta ancora aperta alle sue spalle, e proprio in mutande le era venuto il colpo di genio che le avrebbe permesso di salvare libri e mobilio.
Con un colpo di bacchetta appellò il cuscino di Jade e lo trasfigurò in un pungiball con un aspetto involontariamente ed orrendamente simile a quello di Lorcan Scamander che, anche se quella volta centrava poco con la sua voglia di polverizzare il mondo, di sicuro costituiva un incentivo per convincerla a prendersela con quel coso.
Il primo pugno partì come un riflesso incondizionato.
Era una persona molto fisica, Roxie, lo era sempre stata, fin da bambina, o almeno così dicevano i suoi genitori, come se per lei le parole non fossero mai sufficienti ad esprimere quello che provava, che si trattasse di rabbia o gioia o frustrazione o qualsiasi altra cosa.
Per lei un grazie diventava un abbraccio tritaossa, una dimostrazione di affetto la sua tendenza morbosa ad attaccarsi a qualcuno come una sanguisuga, letteralmente: le parole ti voglio bene non le aveva mai pronunciate seriamente in vita sua, quasi non sapeva che suono avessero con la sua voce.
La rabbia, invece, o in generale tutte le emozioni negative, si manifestavano con la necessità di distruggere qualcosa. Non era facile ad urla isteriche e assassine, piuttosto provava estremamente rilassante lanciare centinaia di piatti contro il pavimento: sua madre non ne era mai stata entusiasta ma alla fine si era rassegnata a nascondere il servizio buono e usare piatti rigorosamente di plastica.
Il secondo colpo fu una ginocchiata piazzata strategicamente tra le gambe del Lorcan-pupazzo, Roxanne ghignò appena ricordando quando quella stessa mazzata se l’era beccata il Lorcan reale per aver provato a baciarla, al loro quarto anno.
Merlino quanto era.. liberatorio!
Sentiva i nervi fremere e rilassarsi, sciogliersi ad ogni pugno, calcio, testata, sberla o qualsiasi altra cosa le venisse in mente di lanciare contro quel dannato pupazzo e più lo colpiva, più la sua mente si svuotava, e più si svuotava più si sentiva leggera.
Era stata una settimana orrenda, peggiore delle precedenti, e se possibile la più schifosa che avesse mai passato tra quelle quattro vecchie mura, e prendere a punti il cuscino trasfigurato di Jade era solo un modo come un altro per punire la sua vita, colpevole di essere maledettamente incasinata.
Guardò un istante, il fiato corto per lo sforzo, il viso gonfiato di Lorcan e gli assestò un pugno, all’altezza della mascella, tanto forte che il sacco slittò di una ventina di centimetri sul pavimento: lui e la sua maledetta festa!

Inizio Flashback

13 Ottobre XX
Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, dormitorio femminile Grifondoro, ore 01.56
Evangeline entrò in camera scura in volto, con le scarpe in una mano e la borsetta di strass nell’altra, i capelli leggermente spettinati e il trucco appena sbavato, come se si fosse strofinata a lungo gli occhi o avesse versato qualche lacrima. Roxanne scattò in piedi, pronta ad interrogarla per capire cosa, esattamente, fosse andato tragicamente storto quella sera, ma non fu necessario quando sentì delle voci concitate fuori dalla stanza, la porta era rimasta aperta.
«James! Santo Godric! » sentì la voce di Jade, tesa e agitata che veniva dalla Sala Comune. «Metti via quella bacchetta o ti schianto » il tono tetro ed esasperato di Elijah era inconfondibile e Roxie lanciò un’occhiata stranita ad Eva prima di vederla scuotere la tasta sconsolata e precipitarsi giù per le scale di pietre, incurante di essere scalza e in pigiama.
E tutto si era aspettata di vedere, meno che la scena che le si presentò davanti.
Sotto le luci tenui di una Sala Comune risvegliata bruscamente nel cuore della notte stavano suo cugino James, rosso di rabbia, con i capelli del tutto fuori controllo e gli occhi che se avessero potuto avrebbero colpito per uccidere, che impugnava la bacchetta puntata dritta alla testa di suo fratello Albus, che invece se ne stava con le spalle curve in avanti e la testa bassa, come intento a studiare le venature delle assi di legno, senza nemmeno inscenare un tentativo di difesa. Alle sue spalle Scorpius Malfoy era teso come una corda di violino e teneva la propria bacchetta, pronto ad intervenire, da bravo amico, anche se con mano leggermente tremante.
Roxanne lo capiva: mettersi contro un James Potter incavolato nero non era facile, ci voleva del fegato.
Dall’altra parte c’erano: Jade, intenta a tenere il braccio con cui James reggeva la bacchetta, nel vano tentativo di farlo desistere, Elijah e Ian, che si guardavano indecisi se intervenire o meno. Poco distante dal buco del ritratto, invece, Lysander se ne stava in piedi oscillando uno sguardo parecchio seccato, sì, proprio seccato, per quanto incredibile fosse, tra i due fratelli, la camicia azzurrina che indossava era appena schizzata di sangue.
Che Roxanne sapesse, di quelli che erano andati alla festa d’Inizio, mancavano Frank, probabilmente già in camera, Rose e Vanille, e anche la piccola Lily..
Si riscosse un attimo, concentrandosi meglio su Lys.
Sangue?  Sangue?! Cosa diavolo era successo quella sera?!
«Ti rendi conto di quello che hai fatto?!» urlò James impedendole categoricamente di chiedere informazione ai presenti e ignorando le minacce degli amici. Albus non aveva risposto, in una muta ammissione di colpa a cui Roxanne non poteva credere: da quando Albus combinava qualcosa per cui James, lo stesso James che aveva scontato tutte le punizioni conosciute per le sue malefatte, potesse prendersi la briga di rimproverarlo?
O il mondo si stava capovolgendo o Al ne aveva combinata una tremenda.
«Non dargli tutta la colpa, Potter » si intromise Malfoy con un coraggio invidiabile, «Sei stato tu a cominciare ».
Jade si voltò di scatto per fulminarlo con lo sguardo, intimandogli silenziosamente di starsene zitto o in alternativa di mangiarsi la lingua, ma Malfoy la ignorò bellamente, senza staccaro lo sguardo da un James che pareva sempre più una belva pronta ad azzannargli il collo.
«Malfoy, fatti i cazzi tuoi! Sono affari di famiglia! » ruggì con un tono di voce talmente freddo che Roxanne fu scossa da un brivido.
Già James lo tollerava poco in condizioni normali, figurarsi dover discutere con Malfoy quando era incavolata nero e probabilmente con un tasso alcolico non indifferente nel sangue: quel biondino era un vero incosciente.
«Dovresti prenderti le tue responsabilità, Potter » rispose Scorpius per le rime, andandogli in contro di un passo, come a volerlo ulteriormente sfidare, «Perché lo sanno tutti qui dentro che se Lily è in infermeria è solo colpa tua! Solo che io non sono uno dei tuoi tirapiedi e ho il coraggio di dirtelo in faccia! ».
Per una frazione di secondo Roxanne lo vide morto, davvero, davvero, morto.
Jade era sempre più sconvolta, non sapeva se prendersela con Malfoy o con James ed Ian ed Elijah sembravano indecisi sul da farsi: schiantare di persona il biondino oppure lasciar fare a Jam?
In tutto quello, Albus non aveva ancora mosso un muscolo.
Le parole di James schioccarono come una frusta nell’allibito silenzio generale e Roxanne, in piedi sull’ultimo gradino della scala, sentì i fili che li legavano, che legavano tutti loro, tendersi in maniera impossibile: perché non era difficile immaginare dove James sarebbe andato a colpire per finire la sua vittima, e non c’era modo di impedirlo.
«Senti tu » sibilò con un fremito, «Chi cazzo ti credi di essere, schifoso Mangiamorte.. »
Un pugno avrebbe fatto meno male.
Una cristalliera infranta sul pavimento avrebbe fatto meno rumore.
Un paio di cesoie avrebbero solo tagliato quei fili invisibili che li legavano.
Non li avrebbero bruciati.

Fine Flashback

Roxanne colpì di nuovo il sacco con un pugno secco all’altezza dello stomaco.
Amava i suoi amici: avrebbe dato la vita per ciascuno di loro.
Nessuno escluso.
Ma in quel preciso istante, mezza nuda, dentro alla stanza di un castello secolare, intenta a sfogarsi contro il pupazzo di quell’idiota che la tormentava da quattro anni, li avrebbe volentieri presi tutti a mazzate sui denti.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, corridoio del terzo piano, ore 16.30
Ian Clow non ricordava quando, esattamente, qualcuno lo avesse preposto ad ufficiale pacificatore di litigi catastrofici, e se anche era successo, lui sicuramente non era stato presente per obiettare. Perché vada l’essere disponibili e servizievoli fino al midollo, vada l’avere tre amici con un orgoglio grande quanto la Gran Bretagna, vada persino il cercare di mediare le tensioni tra i tre sopracitati: ma girare per un castello di non si sa bene quante stanze alla disperata ricerca di uno di loro che da una settimana si rifiutava categoricamente di rimanere nello stesso posto per più di dieci secondi e si volatilizzava meglio di un boccino in mezzo alla tormenta, questo no, non era disposto a farlo.
Insomma! Lui aveva una vita, una ragazza a cui andare dietro ed un programma di Storia della Magia da studiare che prendeva polvere sul comodino: non poteva certo perdere il tempo a perlustrare i corridoi come un idiota qualsiasi!
Si ritrovò a sbuffare contrariato quando si rese tristemente conto che era esattamente quello che stava facendo.
Un altro grugnito gli uscì dalle labbra quando realizzò che anche potendo essere altrove, si sarebbe comunque ritrovato a fare quello che stava facendo, perché, Merlino, quei tre erano i suoi migliori amici, non si parlavano da una settimana ed erano troppo testardi per poterci pensare da soli, a sistemare le cose, e lui così non li poteva vedere: tre zombie in decomposizione avrebbero avuto un aspetto migliore, ne era certo.
Tutta colpa di James Potter e della sua incapacità di non farsi prendere dall’impeto.
Era impulsivo, Jamie, troppo.
E quella volta, per dirlo alla babbana, l’aveva, decisamente, fatta fuori dal vaso.
Certo era che nemmeno gli altri due erano stati da meno, Jade ed Eli, quando si mettevano, picchiavano duro quanto James, se non di più, e quella volta non avevano fatto sconti.
Diciamo che, se Ian avesse dovuto assegnare le colpe, avrebbe dato un buon quaranta a James e un bel trenta agli altri due.
In sintesi, erano stati tre idioti.
Un rumore insolito lo strappò alle sue elucubrazioni su quale dei suoi amici avrebbe dovuto decapitare per primo, una volta che tutto quel casino fosse finito, e fu costretto a bloccarsi parecchio perplesso al centro del corridoio quando si rese conto che il suono proveniva da una delle secolari armature di Hogwarts, riportate ai propri posti dopo la guerra, e che dietro a questa, appiattita contro il muro in un vano tentativo di mimetizzazione stava, niente popò di meno che Jade Virginia Fyfield.
Un’insegna luminosa si accese tra i neuroni di Ian lampeggiando ad intermittenza un bel: beccata!!
«E tu cosa ci fai dietro ad un’armatura?» chiese incrociando le braccia al petto in una chiara espressione di curiosità e disappunto.
La ragazza lo guardò un filino depressa prima di sgusciare via dal suo nascondiglio, lanciare uno sguardo all’altro capo del corridoio, dove qualcuno di non meglio identificato stava arrivando, e spingerlo con poco delicatezza dentro la prima aula disponibile, barricandoli dentro con un colpo di bacchetta.
«Fa che non mi abbia vista, fa che non mi abbia vista, fa che non mi abbia..» cominciò a ripetere Jade con le mani giunte davanti al viso e gli occhi chiusi, quasi stesse cercando di ottenere il favore di chissà quale divinità.
Ian continuava placido a guardarla confuso.
«Da chi stai scappando?» decise di informarsi allora il ragazzo.
«Perché ti interessa?» fu la risposta attenta dell’altra che aveva deciso di scrutarlo aprendo un solo occhio, quel giorno, azzurro.
Assoldato che tra loro due le cose non erano ancora rose e fiori, anche se la politica del facciamo finta di niente stava procedendo discretamente, che lui era stato uno stronzo e che gli serviva averla tranquilla per poterci fare un discorso serio, Ian decise di affrontare la cosa con grande calma e diplomazia.
«Ehm..c’hai appena barricati dentro alla vecchia aula di Trasfigurazione..o un Troll ci voleva uccidere e non me ne sono accorto, oppure tu stai scappando da qualcuno ».
Jade fu costretta a capitolare con un sospiro esausto.
«Kyle Sanders ».
Oh. Il Tassorosso, pensò Ian con una vena di amarezza e nausea che non seppe definire.
«E tu scappi da Kyle Sanders, sul serio?» il tutto aveva un che di tragicomico, se non ci fossero stati i suoi buoni propositi, sarebbe scoppiato a ridere.
«Ian, taci ».
«No, seriamente » continuò senza riuscire a trattenere un sorriso, «Digli che il Whiskey Incendiario gioca brutti scherzi e falla finita! ».
«Ma non posso! » protestò sconsolata, «E’ un Tassorosso! Approfittarsi di loro è come accoltellare un cucciolo di foca! Non si dovrebbe fare! ».
«Jay..l’hai già fatto..».
«No..» provò a difendersi, «Finché non glielo dico è come se non l’avessi fatto..».
«Lo eviti come il vaiolo di drago da una settimana, se non è tonto se n’è accorto » le fece notare Ian ma in risposta gli arrivò un’occhiataccia che era tutto un programma.
«Ian: mi pedina dal giorno della festa. Ti rendi conto che ci sono tredici strade alternative per arrivare al nostro dormitorio? Tredici. E io le ho scoperte in sei giorni..e vengo in questa scuola da sette anni! ».
Ian fu costretto a darle ragione.
«Va bene..certo che anche tu, però..uno un po’ più sveglio la prossima volta..» commentò senza pensarci e per un secondo gli parve di tornare indietro nel tempo, a un anno prima, quando, tra loro due, ancora non c’era niente, e parlare tranquillamente come stavano facendo in quel momento era la routine.
Godric, quanto gli mancava parlarle.
«Cosa vuoi che ti dica? Evidentemente non ho buoni gusti in fatto di uomini » e Ian si accorse con stupore che non era una frecciatina lanciata con cattiveria, era semplice autoironia, ma per qualche oscura ragione gli pizzicò lo stesso il petto.
«Comunque, si può sapere perché è una settimana che provi ad intercettarmi?» continuò con il mezzo sorriso di chi la sa lunga ma non vuole scoprirsi subito.
«James » ok, magari così era troppo diretto.
«Ian..» infatti Jade sembrava disposta a tutto meno che a sentir parlare di James Sirius Potter che, Ian ne era sicuro, in quel momento si stava auto flagellando da qualche parte, come sempre quando faceva una cazzata.
«Ascoltami, cinque minuti del tuo tempo: finché Sanders non lascia il corridoio » appena la vide annuire, anche se controvoglia, ripartì, «So che Jam è stato un idiota e si è comportato al pari dello sterco di ippogrifo, lo so io, lo sai tu, lo sa Eli e credimi, Jamie lo sa più di tutti noi messi assieme: è una settimana che si rifiuta persino di mangiare, non dorme, continua a ripetersi come un mantra che è un deficiente.. Detto questo, nemmeno voi due siete stati due stinchi di santo. Sul serio, ragazzi, lui l’ha fatto sull’onda del momento, e tutti sappiamo che non pensa quando è su di giri, ma voi due..e no » si affrettò ad aggiungere vedendola accigliarsi, «Non lo sto giustificando ».

Inizio Flashback

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Grifondoro, ore 01.58
L’ultima parola pronunciata dalle labbra screpolate di James rimbombò nelle orecchie di Ian per una manciata di secondi, il tempo necessario perché tutti si rendessero conto di cosa, davvero, avesse detto.
Mangiamorte.
Jade spostò lo sguardo da Malfoy al suo amico, allibita, lasciando che la mano che teneva sul suo braccio per impedirgli di fare idiozie, scivolasse priva di nerbo lungo il suo fianco, amareggiata.
«James..» boccheggiò come se qualcuno le avesse appena tirato uno schiaffo, uno di quelli che bruciano le guancie perché sanno di delusione e forse un po’ di vergogna.
«Che vuoi?!» ringhiò l’altro guardandola appena.
Certo, tutti se n’erano resi conto: tutti tranne James.
Mangiamorte.
La bacchetta di Elijah si abbassò lentamente, come se il braccio fosse oppresso da un peso troppo grande da sopportare e Ian non faticò a capirlo e a rendersi conto che probabilmente avrebbe fatto la stessa identica cosa: perché continuare a coprire le spalle ad un amico che insultava la tua famiglia?
Jade, invece, si riprese velocemente dallo shock, come era solita fare, riacquistando quel sangue freddo che sapeva renderla spietata e fece un passo indietro, puntando gli occhi verdi, tinti del più torbido disgusto, in quelli di un James ancora furente.
«Cosa voglio?!» la ragazza stava velocemente cedendo alla rabbia, e Ian lo sapeva per esperienza personale che Jade Fyfield arrabbiata non era una bella visione e che sempre, il destinatario della sua ira, finiva devastato almeno moralmente: sempre.
«Ma ti rendi conto di quello che hai detto?! Cos’è James?! Devo dedurre che consideri anche me ed Elijah due schifosi Mangiamorte, eh?» non era un urlo, Jay non urlava mai, piuttosto sibilava, come un serpente, certo, ma con l’intensità si un grifone, «E non ti azzardare mai più ad insultare la mia famiglia, sono stata chiara? O almeno abbi la decenza di non farlo davanti a me ».
James si limitò a guardala, stringendo le labbra per impedirsi di urlare, con gli occhi praticamente fuori dalle orbite per la rabbia e Ian poteva vedere a lettere cubitali le parole ALTO TRADIMENTO formarsi nella sua testolina, segno inconfondibile che, ancora una volta, James non aveva capito di aver fatto una cazzata.
Perché sì, nella mente bacata del figlio di Harry Potter, se uno dei suoi amici osava schierarsi dalla parte di Scorpius Malfoy durante un litigio Potter-Malfoy, doveva essere marchiato ad eternum come traditore: indipendentemente dal fatto che fosse stato James stesso ad esagerare.
Per fortuna gli ad eternum di Jamie non duravano oltre le dodici ore e per fortuna uno dei tre a turno si prendeva la briga di spiegargli che forse una parte di colpa era anche sua.
Sì, James Sirius Potter aveva una definizione tutta propria di amicizia, e di per sé non prevedeva una cosa chiamata correzione fraterna.
Eppure, quella volta, Ian ne era certo, non sarebbero bastati i silenzi accusatori di Jamie o il fargli una comprensiva ramanzina, perché quella veramente rossa di rabbia e indignazione, lì dentro, era Jade.
E gli “ad eternum” di Jade duravano davvero un lasso di tempo indeterminato.
Preso da queste tristi considerazioni, Ian non si rese conto che la ragazza, la postura rigida di chi vorrebbe spaccare la testa a qualcuno ma cerca di convincersi che sarebbe sbagliato farlo, si era allontanata ed era arrivata ai piedi delle scale per i dormitori dove stava una Roxanne scalza e allibita che non sapeva chi guardare per capirci qualcosa.
Quando la vide fermarsi e girarsi verso James con una punta di veleno negli occhi, Ian si rese conto che quello sarebbe stato il colpo di grazia.
«E comunque, James » cominciò annoiata, come se la cosa non la riguardasse, «Hai diciassette anni, non ne hai tre, deciditi a crescere: prendere a pugni tuo fratello o mio cugino non accrescerà mai la tua autostima ».
Poi sparì salendo le scale, superando una Roxanne sconvolta e lasciandosi alle spalle il corpo metaforicamente sanguinante di James Potter.

Fine Flashback

«Non doveva farlo e basta » rispose lei incrociando le braccia al petto, senza smettere di guardarlo in faccia e Ian lo sapeva che stava cercando di convincersi che quel peso sullo stomaco non era senso di colpa ma indigestione: li conosceva i suoi polli e Jade non era capace di far male a qualcuno senza pentirsene due secondi dopo.
Ma era orgogliosa e quella volta aveva pure un po’ di ragione: non avrebbe ceduto con difficoltà.
«Credimi Ian, voglio a James un bene dell’anima, è uno dei miei migliori amici e so che non voleva dire quello che ha detto, ma..» scosse i riccioli un paio di volte, «Mangiamorte, Ian? Ti rendi conto? Non gli ha detto che è un idiota o qualche altra scemenza: ha usato la parola Mangiamorte.. e non posso fare a meno di pensare che possa dire la stessa cosa a me un giorno. Che differenza c’è tra me e Scorpius, eh? E’ mio cugino e suo padre è mio zio.. e suo nonno è mio nonno ed è lo stesso che ha un marchio sul braccio..».
«James non ti direbbe mai una cosa del genere..» le fece notare il ragazzo sedendosi al suo fianco e lei annuì rilassando le spalle e appoggiando la testa contro la porta: odiava dover essere arrabbiata con qualcuno.
«Non ho comunque intenzione di perdonarlo prima di un foglio in cui certifica che è un deficiente e un discorso di scuse sentito e trappa lacrime » concluse con un sospiro ed Ian si disse pienamente soddisfatto.
«Adesso mi manca solo Elijah » ragionò il moro con una punta di depressione e Jade scoppiò a ridere.
«Vogliamo la stessa cosa, Ian: un’ammissione di colpa da parte di Jamie ».
«Non so se l’orgoglio di James reggerà a due botte del genere..potrebbe preferire il suicidio ad ammettere che ha sbagliato » ironizzò e lei fece spallucce.
«E’ stato bello conoscerlo, allora ».
«Ti prego no.. le ragazze di questa scuola potrebbero dichiarare lutto nazionale per una prematura dipartita di James Potter: sarebbe un disastro ».
«Resterebbero sempre Eli, Mord, Lorcan..anche Lys non è malvagio..per non parlare di Damian Zabini o Joshua Nott: tutto sommato James non sarebbe una grande perdita » parve pensarci seriamente per un po’ di secondi, «Anche Charlie Bones è appetibile.. certo, è impegnato, e Periwinkle ucciderebbe chiunque ci provasse con lui..».
«Periwinkle Gray uccidere qualcuno? » Ian si figurò il prefetto Tassorosso con il viso tondo e gentile e i capelli castani lunghi fino alla vita con un coltello grondante sangue in mano e scosse la testa: la Gray non avrebbe fatto male nemmeno ad un ragno gigante pronto a mangiarla.
«Guarda che per essere Tassorosso è parecchio combattiva! » si difese Jade, «Dico, ma l’hai mai vista quando batte un bolide? Se si impegna fa paura..».
Finirono a parlare delle code più assurde, di Lorcan che continuava ad assillare Roxanne, di Evangeline e del suo assurdo desiderio di avere al proprio matrimonio un coro di rospi giganti che cantassero la marcia nuziale e di quanto fosse bravo Frank a sopportarla quando se usciva con trovate tanto assurde e pretendeva di trovare qualcuno che le condividesse.
Parlando e ridendo, così semplicemente da non rendersene conto, come erano soliti fare quando erano solo amici e non c’erano stupidi esperimenti sentimentali di mezzo, finirono troppo vicini: tanto da toccarsi, tanto che una mano di Ian finì sulla gamba della ragazza, con l’intento di darle un pizzicotto, tanto che una mano di Jade finì tra i suoi capelli con l’intento di tirarglieli.
Non fecero nessuna delle due cose.
Si limitarono a guardarsi negli occhi e solo in quel momento Ian si rese conto che no, la politica del facciamo finta di niente, non funzionava proprio ed era anche colpa sua perché, volendolo ammettere, stava meglio lì, a scherzare innocentemente con la sua migliore amica, che non con la sua fidanzata.
«Non dovresti essere qui, Ian » mormorò lei con una strana luce negli occhi: forse nostalgia.
«Qualcuno li deve sistemare i vostri casini, no?» rispose con un filo di voce, senza riuscire a smettere di guardarla negli occhi, pateticamente vicino a fare un’idiozia.
«Non te ne sei ricordato..» sembrava sinceramente stupita e Ian non riusciva a capire perché: cosa poteva aver dimenticato?
«Di cosa?».
«Oggi è il 18 Ottobre, Ian » ma vedendo che ancora nulla si accendeva nel cervello dell’amico, Jay si impose di continuare, «Tu e Gwen, oggi, state insieme da un anno: è il vostro anniversario..».
Ian spalancò gli occhi realizzando solo in quel momento cosa avesse catastroficamente dimenticato: Gwen, la sua fidanzata, Gwen.
«..e tu te ne sei completamente dimenticato ».
Jade fece scivolare via la mano dai suoi capelli e si alzò in piedi, spolverando con scatti secchi e nervosi la gonna della divisa.
«Quando ti ho chiesto di scegliere tra me e lei mi hai risposto che non te la sentivi di farle del male..» non aveva il coraggio di guardarla negli occhi mentre gli si parava davanti come lo specchio che aveva cercato per oltre un mese di ignorare, «Io invece ho voluto credere che avessi scelto lei perché, in fondo, sentivi di amarla più di quanto amassi me: mi sono rifiutata di pensare che avessi scelto lei per un motivo tanto pietoso e vigliacco.
«Ora non ne sono più sicura » mise una mano sulla maniglia della porta e la tirò verso il basso, «Sbaglio o non volevi farle del male? Cosa credi di star facendo in questo preciso istante? Ragiona su questo, Ian » e uscì da quella vecchia aula impolverata lasciando Ian seduto a terra con una nuova scritta a lampeggiare tra i suoi neuroni e no, non era per niente gentile.

Ministero della Magia, Ufficio Auror, ore 21.30
Harry si stiracchiò sulla poltrona che ormai occupava da, gettò uno sguardo all’orologio poggiato sopra la scrivania e mezzo coperto dalle scartoffie, ben otto ore consecutive e si lasciò andare ad un liberatorio sbadiglio, incurante del fatto che la sua squadra era tutta ammassata davanti a lui e forse, avrebbe potuto considerarlo un gesto poco rispettoso.
In sua difesa c’era da dire che nemmeno Ron, seduto sul divanetto vicino alla porta, con la testa china nell’ennesimo fascicolo sulle autopsie fatte sui detenuti di Azkaban, aveva avuto qualche remora di mostrare ai presenti il contenuto della sua bocca ogni cinque minuti, e che anche Susan, la posata e senza-mai-un-capello-fuori-posto Susan Bones, era ceduta ad una serie di smorfie assonnate degne del primato e quindi lui, Harry, capo di cotanta eleganza, si sentiva in pieno diritto di imitare i suoi sottoposti.
La squadra Auror, diretta personalmente dal Capo dell’intero ufficio, Harry James Potter, era composta, in tutto, da sei persone, lui compreso, e non era la prima volta, in quel periodo che se le ritrovava chiuse nel proprio ufficio a dormire le une sulle altre.
Infatti, oltre a Ron, che come già detto si era impossessato del divanetto e probabilmente stava leggendo la stessa riga per la sesta volta senza rendersene conto da quanto era stanco, e Susan, seduta a gambe incrociate su di una delle due poltroncine, con i capelli stranamente spettinati e due occhiaie da far paura, le altre superfici disponibili erano occupate da Theodore Nott, che nonostante tutto rimaneva il più composto dei presenti, salvo per la cravatta, tolta quattro ore prima e finita chissà dove, e che occupava la poltroncina rimanente, ed Ernie Mcmillan e la moglie, Natalie McDonald, il primo disteso sul pavimento, e la seconda che aveva preso sonno da tre quarti d’ora abbondanti e che nessuno aveva avuto cuore di svegliare, distesa al suo fianco.
Harry realizzò con orrore che quello non sembrava un ufficio di un’alta carica del Ministero quanto un campo di sfollati e decise di rimediare con effetto immediato alla situazione.
«Ragazzi, per stasera basta..» disse battendo le mani per attirare l’attenzione di tutti, esclusa Natalie che continuava a dormire, «E domani non vi voglio vedere in ufficio: sono sei giorni che stiamo qua a roderci il cervello e non siamo venuti a capo di niente.. Dubito che un giorno di pausa possa cambiare molto..».
«Come vuoi, Harry » rispose Susan alzandosi e prendendo a massaggiarsi il collo dolorante.
«Se cambi idea basta che chiami, capo!» sorrise Ernie intento a portare fuori dalla porta la moglie che si muoveva come un automa e mormorava frasi sconnesse riguardo un letto e un cuscino.
Theodore se ne uscì facendogli un semplice cenno del capo mentre Ron lo lasciò borbottando frasi del tipo: non fare tardi che altrimenti mia sorella se ne trova un altro che le tenga compagnia.
Harry trattenne un sorriso: sì, Ginny lo avrebbe preso a calci seriamente se avesse continuata a fare quegli orari assurdi a lavoro e no, non lo voleva proprio: sua moglie furente e isterica era l’ultimo problema che voleva gestire in quel momento.
Rimasto solo nell’Ufficio, sistemò con un colpo di bacchetta tutte i fascicoli e i blocchi ricoperti di appunti dentro un enorme armadio e lo sigillò per sicurezza: non lo faceva mai, si fidava dei membri del suo staff, ma dopo le ultime cose che aveva scoperto era meglio essere prudenti.
Ed era ormai pronto ad andarsene quando qualcuno aprì la porta del suo ufficio con un macabro cigolio e i suoi riflessi da Auror fecero il resto: il suono di una bacchetta che volava per l’ufficio e crepitava a terra gli disse che doveva ringraziarli ancora prima di vedere la figura vestita di nero farsi strada dal buio del corridoio alla luce soffusa del suo ufficio.
«Buongiorno anche a te, Potter » sibilò una voce gelida e molto irritata.
«Problemi al piano degli Indicibili, Malfoy?» chiese Harry appellando la bacchetta di Malfoy per porgergliela.
Draco Malfoy, il profilo rigido e vagamente spettrale nella luce della candele si fece strada nell’ufficio, altero e un poco arrogante come sempre, afferrando con le dita lunghe e magre la bacchetta per riporla nella tasca interna del mantello, con un gesto rapido ma elegante: come diamine facesse ad essere così dannatamente aristocratico anche nel maneggiare una semplice bacchetta, per Harry, sarebbe sempre rimasto un mistero.
«No, Potter » sibilò acido, «Io i miei casini li so gestire. Sei tu, qui, quello che ha un problema con i propri sottoposti: di sicurezza, per la precisione ».
E vedendo che Harry non capiva, provando una vaga pena per il suo inetto sistema nervoso, tirò fuori dalla tasca una busta rossa e prese a sventolargliela davanti al naso come se davvero avesse avuta a che fare con un minorato mentale.
Harry la guardò ipnotizzato per un paio di secondi prima di rendersi conto che quella era davvero una busta rossa.
Una busta rossa simile a quella che era arrivata a casa di Theodore Nott quella mattina.
Una busta rossa che non sarebbe mai potuta arrivare a casa Malfoy senza essere passata per le mani dei suoi agenti, perché il Manor era uno dei luoghi più controllati della Gran Bretagna in quel momento..
Una busta rossa che non doveva stare tra le mani di Draco Molfoy.
«Merda..» si lasciò sfuggire mordendosi una guancia e vide l’altro annuire concorde.
«Ovviamente la tua scelta di termini è rozza, volgare e perfettamente discutibile, ma sì, Potter..merda ».




Note dell'autrice:
Tadaaaaaaaaaaaan! Eccomi di nuovo qui con un capitolo che non so definire, ma se non altro, qui, comincia a succedere qualcosa di costruttivo il che mi rende fiera di me :)
Allora:
Punto primo!

Ho deciso che continuerò questa storia, principalmente perché sono testarda e un filino masochista e sono convinta che prima o poi riuscirò a farvela piecere, e magari, perché no, recensire :)
Punto secondo!
Ringrazi di tutto cuore quell'anima pia e buona e misericordiosa che ha recensito lo scorso capitolo: per lei la lettura nella mente non servirà..per gli altri mi attrezzerò ;)
Punto terzo!
Per quanto riguarda il capitolo, ci sono un po' di cose che sembrano sputate lì ma in realtà hanno un loro preciso perché che verrà spiegato più avanti, tipo Jade e Scorpius cugini..potrebbe sembrare bizzarro, ma ho deciso che Daphne e Asteria hanno dei fratelli (mi serviva ai fini della trama a lungo lungo termine): le dinamiche familiari dei Greengrass verranno fuori tra un po'..ma casomai ci fosse qualcuno a cui interessano, non ti preoccupare, caro il mio qualcuno, verrà rivelato tutto a suo tempo!
Per tutti quelli che parteggiano per il povero James che in questo capitolo fa decisamente una pessima figura...tranquillizzo anche voi, verrà riscattato a tempo debito..
E per chi si sia chiesto, come mai Lily è finita in infermeria dopo la festa...beh, lo saprete tra una settimana :)
Punto quarto!!!
Ho deciso di provare a darmi una certa regolarità con la pubblicazione, nella speranza di favorire eventuali persone che vorrebbero seguirla ma pensano: tanto questa posta un capitolo ogni morte del papa, lasciamo perdere!
Non so se sarò capace di promettere un capitolo ogni settimana ma intendo provarci :)  (vi prego di apprezzare il gesto...u.u..)
Quindi, anche se oggi è sabato, ci risentiamo domenica prossima con il capitolo numero 7  :)
Mi raccomando: RECENSITE ANCHE SE SI TRATTA DI CRITICHE, E' TUTTO BEN ACCETTO, COMPRESI POMODORI E OGNI GENERE DI ORTAGGIO DA LANCIO :)
Finite queste note chilometriche,
Tanti bacini a tutti,

Najla

ps: vi prego lasciatemi almeno una recensione!
pss: se poi sono due va bene comunque :)




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Capitolo 9
*** Di Serpeverdi mancati e biblioteche affollate ***


Settimo Capitolo
Di Serpeverdi mancati e biblioteche affollate

Camminando, tra la folla, alle partite di calcio e in guerra, i profili si fanno vaghi; le cose reali divengono irreali e una nebbia si distende sul cervello. Tensione ed eccitamento, stanchezza, movimento, tutto si perde in un gran sogno grigio, così che, quando è finito, è difficile ricordare come fu quando si sono uccisi degli uomini o si è dato l'ordine di ucciderli. Quindi gli altri che non c'erano vi dicono com'è andata e voi rispondete vagamente:
«Già, dev'essere proprio stato così »
(John Steinbeck )


18 Ottobre XX
Ministero della Maga, Ufficio Auror, ore 22.21

«Versamene un altro po’..» mormorò Draco con aria pensierosa, sfiorando con la punta delle dita il bordo del bicchiere che aveva davanti e che era appena stato svuotato con una rapidità impressionante, per altro.
Harry, seduto al lato opposto della scrivania, lanciò uno sguardo a quel benedetto orologio che si ostinava a tenere davanti agli occhi come un masochistico avvertimento e con un sospiro riempì prima il bicchiere dell’altro uomo e poi il suo: Ginny lo avrebbe ucciso, tanto valeva chiudere la sua vita con un bicchiere di buon whiskey.
Malfoy afferrò con delicatezza il bicchiere e trangugiò il liquido ambrato in un unico lungo sorso, lo poggiò con un leggero tintinnio sul tavolo e poi si portò sue dita a tamburellare ritmicamente sulle labbra tese in una linea sottile, come gli occhi chiari, persi in chissà quali pensieri e meditazioni.
Harry, invece, preferì gustarsi l’alcool con un paio di sorsi in più, lasciando che scivolasse sulla lingua lentamente, come se la lentezza di un movimento tanto basilare come deglutire, potesse, in qualche misterioso modo, calmare anche l’ansia che gli attorcigliava lo stomaco ormai da una settimana.
Dalla mattina in cui, per la precisione, era andato ad Hogwarts per tirare le orecchie ai suoi due figli e parlare con la professoressa di Difesa Contro le Arti Oscure.
Quella sera, quando si era visto Malfoy con una busta rossa in mano, aveva sentito qualcosa di davvero spiacevole, un misto di consapevolezza, delusione e rabbia, scorrergli nelle vene insieme al sangue e non aveva trovato soluzione migliore che invitare Draco Malfoy a sedersi con lui, alla sua scrivania, e tirare fuori la bottiglia che teneva nascosta per i momenti di disperazione.
Poteva tamponarci anche qualcos’altro, oltre alla disperazione, con quella bottiglia, no?
«Allora, fammi capire bene, giusto perché non ci siano fraintendimenti » cominciò il biondo guardando un punto non meglio identificato alle sue spalle ed Harry cominciò a prevedere che presto delle urla isteriche gli avrebbero sfondato i timpani, «Tu mi stai dicendo che un gruppo di fanatici non meglio identificati, e con il tuo stesso malato e non richiesto senso di giustizia, che rispondono agli ordini di un certo idiota, ancor meno identificato dei succitati invasati, e che si fa chiamare Tyr, hanno deciso di punto in bianco di purificare il mondo magico in maniera radicale sterminando, sostanzialmente, tutte le famiglie, i maghi e le streghe che nella loro vita hanno appoggiato il regime dell’Oscuro Signore o che hanno aiutato e difeso qualcuno che l’ha fatto..» fece una pausa di un paio di secondi, «Ho capito bene, giusto?».
Harry trasse un profondo respiro e si impose di ricordarsi di non perdere la calma quando Malfoy si fosse messo a sbraitare.
«Sì, a grandi linee è così » annuì l’auror, dimenticano volutamente di ricordargli che era il suo senso di giustizia a fargli occupare così bene la sedia su cui stava, «Solo che i fanatici, almeno da quello che dice Cinnamon, si fanno chiamare Illuminati..».
«Non ha importanza come si fanno chiamare!» esclamò sbattendo un pugno sul piano di legno che li separava spalancando improvvisamente gli occhi, non era solo arrabbiato, constatò Harry, era furioso e la cosa triste, era che non riusciva nemmeno a dargli torto.
«Voglio, anzi, esigo sapere come cazzo ha fatto quella lettera a finire sul tavolo di casa mia stamattina!» continuò praticamente ringhiando, «E pretendo anche che tu scopra come, per Salazar! Come questi idioti abbiano fatto ad entrare in possesso di una foto di mia madre! Che nel caso non l’avessi notato, non mette il naso in un luogo pubblico da quando mio padre è morto, due anni fa! ».
«Malfoy, è quello che sto cercando di fare da una settimana » rispose pacato Harry, per niente sconvolto da una scenata del genere, «Io e la mia squadra abbiamo setacciato tutta Londra alla ricerca di un appiglio che ci permettesse anche solo di trovare uno di questi illuminati, ma è come se non esistessero! Nessuno sembra saperne niente: Cinnamon ha saputo qualcosa da un suo vecchio amico a Nocturne Alley e ha dovuto pagarlo fior di galeoni per ottenere solo il nome dell’organizzazione..» scosse la testa sconsolato, «Di chiunque si tratti ha sicuramente il favore di molti membri della comunità magica e abbastanza soldi da comprare il silenzio di quelli che potrebbero avere dei rimorsi di coscienza ».
«Vuoi dirmi che hai intenzione di aspettare che riescano davvero ad uccidere qualcuno, prima di fare qualcosa?!» Harry lo vide trattenere un’imprecazione tra i denti prima di continuare, «Sono entrati ad Azkaban, Potter, il luogo magico più sicuro almeno della Gran Bretagna: quanto credi ci impiegheranno a venire al Manor, uccidere i tuoi auror e cruciare mia madre?».
«Stiamo facendo il possibile..» provò a dire il moro ma l’altro non voleva sentir ragioni ed Harry riuscì anche a capirlo: aveva già pagato per quello che era successo durante la guerra, mesi di carcere, anni per riscattare in parte il nome dei Malfoy a cui teneva più della vita, ed ora qualcuno se ne usciva pronto a far fuori lui e la sua famiglia, compreso il figlio che non centrava assolutamente nulla, solo per un ideale malato. E dopo quello che era successo ad Azkaban, la minaccia non poteva essere considerata con leggerezza: era reale.
«Il possibile?!» Harry pensò che stesse per schiantarlo da quanto era fuori di sé, «Non ne sapevo niente fino a un’ora fa! Com’è che non ho visto schiere di voi maledetti auror a cercare di capire cosa diavolo sta succedendo?!».
«Maledizione, Malfoy!» esclamò zittendolo, «Come credi che abbiano fatto ad arrivare ad Azkaban, eh? Nessuno sa che c’è un modo per entrarvi tranne gli auror che ci lavorano o c’hanno lavorato! » vide gli occhi di Draco assottigliarsi: finalmente cominciava a capire, «Le lettere che arrivano a casa tua vengono esaminate e controllate una ad una dal mio ufficio, ok? Una ad una. Esattamente come succede per la posta dei Greengrass, degli Zabini, dei Parkinson, dei Nott e di tutte le altre famiglie purosangue che potrebbero essere colpite! Eppure, stamattina, in ogni casa c’era quella maledetta busta rossa! Persino dai Lodge.. I Lodge, Malfoy, ti rendi conto?!».
«Saranno dieci, in tutto, le persone che sanno che la moglie di Ezra Lodge è la figlia di Dolohov..» biascicò Draco cominciando finalmente a capire la portata di quanto stava succedendo, cosa che, disgraziatamente, ad Harry era stata chiara fin da quella mattina e che, disgraziatamente, aveva capito già da quel primo attacco ad Azkaban.
Questa è la nostra vendetta: Purosangue.
L’aveva capito già allora che non si sarebbero limitati ad uccidere quei pochi prigionieri ormai vicini a morire.
«Ora capisci perché non ci sono squadre di auror che se ne vanno in giro a parlare di illuminati?» sospirò massaggiandosi le tempie: maledetto Malfoy e le sue urla, «Perché non so di chi mi posso fidare, Draco: non so di chi posso fidarmi nel mio ufficio e in tutto il ministero. Ma possa assicurarti che la mia squadra sta facendo l’impossibile per risolvere il prima possibile questo casino..».
L’altro trasse un profondo respiro e si rilassò un attimo sulla poltroncina scura prima di guardarlo negli occhi, in un misto di stanchezza ed esasperazione che Harry poteva immaginare speculare nei suoi occhi. Perché sapevano entrambi che se le cose si fossero evolute ancora, lo scontro sarebbe stato inevitabile.
«Flegias Greengrass mi ha contattato stamattina » mormorò Draco, con il tono atono che usava di solito per parlare con lui in maniera civile, «Mi ha detto che gli era arrivata la stessa lettera.. Non se ne staranno buoni e silenziosi, Harry: si difenderanno e scoppierà una guerra ».
«Farò il possibile » ribadì Harry mentre l’altro si alzava e si metteva i mantello scuro sulle spalle.
«Credo di essere costretto a fidarmi di te » sospirò il biondo andando verso la porta, «Arrivederci, Potter ».
«E tu pensi che io ti lasci andare così? » Malfoy lo guardò vagamente perplesso mentre il Salvatore del Mondo Magico si alzava e andava verso l’appendiabiti per prenderne il mantello d’ordinanza e il borsello dove teneva quello invisibile di suo padre.
«Non ho bisogno della scorta, Potter. Ricordo dove abito » rispose gelido mentre l’altro apriva lanciava gli ultimi incantesimi per sigillare tutti gli armadietti e gli schedari presenti nella stanza.
«Nel caso non l’avessi notato » ribatté a tono Harry, «In quella busta c’era una tua foto con una bella X rossa sopra: non ti lascerò girare da solo di notte con il rischio che ti attacchino solo per preservare il tuo orgoglio ».
«Sei ancora così.. Grifondoro, Potter » commentò Draco con una punta di vivo e sentito disgusto che Harry ignorò.
«Non lo faccio per salvarti la vita, Molfoy. Ma se ti attaccano ho qualche possibilità di prendere uno di quei bastardi e risolvere un minimo questo casino » rispose aprendo la porta dell’ufficio.
«Questo è molto Serpeverde, invece..» notò Draco con una punta di sorpresa mentre Harry spariva nel corridoio.
«Datti una mossa, Malfoy! Non ho tutta la notte! ».

22 Ottobre XX
Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Biblioteca, ore 16.53
«Ho davvero un brutto presentimento » mormorò Lorcan reggendosi il mento con la punta degli indici giunti, «Ho davvero un brutto, brutto, brutto presentimento ».
Rowena, seduta di fronte a lui, si prese tutta la libertà di ignorarlo continuando a sfogliare il tomo di Trasfigurazione alto cinque dita che aveva davanti: lo conosceva abbastanza da sapere che continuava a ripetere quella frase da dieci minuti solo per sentirsi chiedere che cosa mai fosse successo da sconvolgerlo a tal punto, e lei non voleva dargli quel genere di soddisfazione.
«Un brutto presentimento » continuò imperterrito e Mordecai, seduto alla sinistra di Rowena, stanco di quel monologo che gli impediva di scrivere il tema per Dobrev a cui stava lavorando da un’ora abbondante, meditò l’idea di lanciargli un incantesimo silenziante.
In realtà, a sapere che in biblioteca a studiare, con Rowena, sarebbe arrivato anche Lorcan Scamander, se ne sarebbe andato in sala comune. Non che il Corvonero gli stesse antipatico o che altro, ma sembrava incapace di stare zitto un secondo e lui, in biblioteca, c’andava per il silenzio.
Anche per la compagnia di Rowena, ma soprattutto per il silenzio.
«Proprio brutto » no, Mordecai non ce la fece.
«Hai scoperto che tuo fratello ha una cotta per Lily Potter, bene »  commentò alzando lo sguardo dalla pergamena per rendere più chiaro il fatto che se l’altro non si fosse deciso a star zitto lo avrebbe trasfigurato in un chicco di riso, «Ora puoi tacere dieci minuti? Io starei anche studiando ».
Rowena alzò lo sguardo dalle righe tanto fitte e tanto incomprensibili, da sembrare aramico, del libro solo per non perdere la faccia sbigottita di Lorcan che guardava Mordecai in un misto di sorpresa e terrore, con la bocca spalancata e gli occhi sbarrati di uno che si è ritrovato steso a terra senza capire cosa l’abbia fatto cadere.
Ed era davvero difficile vedere un’espressione del genere sul volto di Lorcan.
«Tu come..?» boccheggiò sconvolto prima che il suo cervello ricominciasse a funzionare con abbastanza efficienza da permettergli di articolare una frase di senso compiuto, «Era così evidente?».
«Beh..» rispose Rowena, come sempre senza sconti, «Non capisco perché dovrebbe essere una brutta cosa, però: infondo Lily è una brava ragazza ».
«No.. tu non capisci!» esclamò Lorcan, mentre Mordecai, capita l’antifona, aveva deciso che, il suo tema, non l’avrebbe finito in biblioteca, e aveva preso a sfogliare pigramente uno dei libri aperti sul tavolo, giusto per fare qualcosa che gli permettesse di far vedere quanto poco tenesse a quella conversazione.
«E’ stato un colpo! Ho sempre pensato che Lys fosse innamorato degli animali di Hagrid o in alternativa che fosse gay!» Rowena diede una gomitata a Mord per impedirgli di scoppiare a ridere in faccia al povero Scamander, che probabilmente non era mai stato tanto shockato in vita sua, «Insomma, viviamo insieme, ok? E non l‘ho mai sentito parlare di una ragazza! Mai! E io provavo anche a dirgli di uscire, a chiedergli se aveva qualcuna di cui non sapevo nulla..ma lui niente! Che cosa dovevo pensare?!».
Rowena sospirò appoggiando la schiena contro lo schienale della sedia in legno massiccio su cui stava da un’oretta buona e si maledisse per aver permesso a Lorcan di seguirla in biblioteca: lei doveva studiare, aveva poco tempo per le sue fisime.
«Dovresti essere doppiamente felice: gli piace una ragazza ed è la graziosa Lily Potter. Smettila di consumare i tuoi neuroni su questo discorso e vai avanti » rispose Mordecai cercando di non mostrare quanto fosse seccato o Rowena si sarebbe arrabbiata con lui per essere stato scortese con i suoi amici.
«Voi non potete capire » ribadì Lorcan imperterrito, «Lils è la figlioccia di mia madre..è sempre stata come una sorellina per noi! Non capisco proprio come Lys possa vedere in lei qualcosa di..».
«Hai ragione, Lo » si inserì Row guardandolo come se si fosse lasciato sfuggire qualcosa di lampante, «Roxanne invece non era la figlia degli amici dei tuoi genitori, quella con cui sei cresciuto e che consideravi come una sorella, no, decisamente no..».
E stava anche per ribattere Lorcan, colpito in effetti sul vivo, quando da uno scaffale sbucò la figura affusolata e caotica di Oliver Cromwell, con la cravatta blu avvolta intorno i capelli ricci come una fascia, la camicia fuori dai pantaloni e un pacco di pergamene sottobraccio.
«E la signorina Wilson ti ha fatto entrare in biblioteca conciato così?» venne spontaneo chiedere a Lorcan mostrando un sorriso complice al suo migliore amico che rispose ridendo e mostrando i pollici alti, evidentemente fiero di sé, prima di sparire di nuovo dietro lo scaffale e urlare: «Ragazze! Sono qui! Li ho trovati! », incurante del fatto che quella restava pur sempre una biblioteca e il silenzio era d’obbligo.
Mordecai, nel frattempo, aveva guardato Rowena senza nascondere un filo di incredulità, «La prossima volta che qualcuno mi dice che voi Corvonero siete delle persone con la testa sulle spalle, ligie alle regole e al dovere, potrò correggerlo».
«Mi dispiace..troverò un modo per farci scappare, te lo prometto » rispose lei in un sussurro cospiratore a cui l’altro sorrise prima che le figure di Emma Nieri e Molly Weasley, le altre due Corvonero del settimo anno, sbucassero al seguito di un Oliver che, senza troppe cerimonie prese posto vicino a Lorcan, trascinando la sedia sui lastroni di pietra del pavimento con un rumore decisamente molesto.
«Vi abbiamo cercato in tutta la scuola, poi siamo andati in Sala Comune e Alex c’ha detto che vi aveva visti entrare in biblioteca » si affrettò a spiegare Oliver per giustificare la loro presenza e Rowena di ritrovò a maledire mentalmente il povero Alexander Ollivander per aver portato quei tre da loro, affondando anche la loro ultima possibilità di studio.
«Io ho detto loro che forse volevate studiare da soli..» cercò di dire Emma prendendo posto vicino a Rowena, nella vana speranza di mitigare lo sguardo seccato della compagna di casa, che non le era passato inosservato: non era un mistero che Rowena andasse bene a scuola e volesse farlo, imponendosi un certo numero di ore di studio al giorno e tutti avevano capito, che con loro tre lì, nessuno avrebbe combinato niente.
«Tranquilla, Nieri » si affrettò a risponderle Mordecai con una punta di sarcasmo, «Non stavamo poi facendo un granché..vero Lorcan?».
Il ragazzo preso in considerazione, non lo badò nemmeno, troppo intento a spiegare ad Oliver come mai nemmeno quella domenica si sarebbero giocate partite di Quidditch.
«Ho detto a Vitious che non saremmo stati pronti per domenica perché McGregor è ancora in infermeria con la dissenteria e non avrebbe potuto giocare » stava spiegando con un sorrisetto vittorioso sulle labbra, «Così lui ha informato gli altri professori per vedere se qualche squadra avrebbe potuto sostituire Corvonero per la partita, ma Eastwood ha detto che i Serpeverde non poteva essere pronti in così poco tempo e lo stesso ha risposto la Hopkins per quanto riguarda i Tassorosso. Così giocheremo dopo Halloween: Grifondoro- Corvonero aprirà la stagione e, quest’anno, gli faremo rimpiangere di essere capaci di stare su delle scope ».
«Dubito fortemente che riuscirete a segnare più di trenta punti contro i Grifondoro di quest’anno » obiettò Mordecai, improvvisamente interessato e Rowena scosse la testa in un muto segno di resa: gli uomini diventavano tutti uguali quando si parlava di una pluffa e sette scope, «La squadra di Potter è la migliore dopo quella di Lupin di nove anni fa: hanno tre cacciatori abituati a lavorare insieme e capaci di adattarsi a qualsiasi tipo di gioco, un cercatore che è un Potter e tanto basta, un portiere che è un armadio e occupa da solo lo spazio di due anelli, e due battitori che, lo sappiamo tutti, se non fossero bravi, non sarebbero in squadra ».
«Ma da quel che so » sorrise malizioso Lorcan, «Il caro capitano si è attirato le ire di metà squadra: dubito che saranno così uniti in campo, e se sono divisi, vincere sarà un gioco da ragazzi ».

Inizio Flashback

12 Ottobre XX
Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Corvonero, ore 23.46
James non si rese nemmeno conto che il resto della scuola presente a quella stupida festa lo stava guardando sconvolta e aveva stretto un piccolo cerchio intorno a lui ed Albus che, sorpreso si massaggiava la guancia destra, dove il fratello lo aveva colpito con una tale violenza da farlo finire per terra.
«Ma si può sapere che cazzo ti prende?!» esclamò il mezzano dei Potter rialzandosi in piedi, pronto a restituire quanto ricevuto con gli interessi.
«A me cosa prende?» rispose l’altro prima di cedere ad una macabra risata, «Chissà com’è che i problemi sono sempre miei e tu non centri mai un cazzo! Merlino, Albus, perché non ti hanno ancora fatto santo?».
«Va a quel paese, James. Se hai problemi impara anche a risolverteli » e Albus fece per andarsene: non avrebbe ingaggiato una rissa con suo fratello sbronzo, per quanto gli prudessero le mani e avesse voglia di fargli un occhio nero.
Si sentì afferrare per la camicia e fu costretto a voltarsi, solo per vedere suo fratello caricare un altro gancio e piantarglielo nello stomaco, «Cos’è? Non sai nemmeno come si tira un pugno, fratellino? ».
E Albus, che non era impulsivo come il fratello ma poco ci mancava, gli colpì la faccia con l’intenzione di rompergli qualcosa.
Dopo una manciata di minuti di calci e pugni privi di senso, con la folla che li incitava a continuare mentre Scorpius ed Elijah cercavano di fermarli con scarsi risultati i due passarono alle bacchette.
«Non lo farai, Albus » sibilò James, abbastanza lucido da sapere che se avessero cominciato a duellare non sarebbe finita per niente bene.
«Oh sì, invece » un lampo rosso guizzò verso James infrangendosi sullo scudo evocato da quest’ultimo appena un secondo prima.
Il tempo di due colpi, di scaldare le braccia e prepararsi a fare sul serio che la voce cristallina e autoritaria della piccola Lily sovrastò il marasma creato dagli studenti, mentre una figura magra e minuta, vestita di rosso si faceva avanti a bacchetta sguainata verso i due fratelli.
«Volete darvi una calmata?!» esclamò con il viso dello stesso colore dei capelli, «Quanti anni credete di avere?!».
«Stanne fuori, Lily » le rispose Albus senza degnarsi neppure di guardarla, «E’ una questione tra me e James ».
«Esatto: stanne fuori » ribadì l’altro parando l’ennesimo colpo.
«Smettetela, dannazione!» e semplicemente, Lily si buttò tra i due contendenti.
Nessuno avrebbe potuto prevedere che Albus avesse un incantesimo sulla punta della lingua e che non sarebbe riuscito a fermarsi in tempo.
Nessuno avrebbe potuto prevedere che l’incantesimo avrebbe colpito la piccola di casa Potter che non aveva avuto nemmeno il tempo di evocare un blando scudo.
Nessuno avrebbe potuto prevedere che Lily sarebbe stata sbalzata di un paio di metri e che sarebbe caduta di faccia, rompendosi il naso.
Nessuno avrebbe potuto prevederlo, ma nell’esatto istante in cui la ragazza cominciò a lamentarsi per il dolore, la piccola bolla di sapone in cui Albus e James si erano trovati fino a quel momento esplose.
James si rese conto che Elijah lo stava scrollando con violenza e gli stava urlando in faccia che era un deficiente e qualche altro numero indecente di improperi, che Ian e Jade lo guardavano in un misto di amara comprensione e che Lorcan era corso a vedere cosa fosse successo e probabilmente voleva persino ucciderlo, perché, di quel casino, sarebbe stato ritenuto responsabile anche lui.
Albus, si accorse che l’incantesimo che aveva fatto del male a Lily era partito dalla sua bacchetta e quasi gli venne da vomitare: le persone attorno a lui non avevano ancora, ne faccia ne nome.
Intanto, nel caos generale, Lysander era corso a vedere come stesse Lily, che con i capelli tutti arruffati e le mani ricoperte di sangue premute sul viso, dove due occhi castani piangevano traditi, sembrava un piccolo batuffolo rosso.
«Ehi, Lily? » la chiamò piano prendendogli i polsi tre le mani, con quella innocente gentilezza che gli era propria, «Fammi vedere..».

Fine Flashback

Appurato che il naso era rotto e che Lysander non si fidava di lasciarglielo sistemare da qualcuno dei presenti, l’aveva presa in braccio e l’aveva portata in infermeria.
Lì Lorcan si era accorto che suo fratello non era ne gay ne asessuale.
Poi era arrivato Vitious, aveva mandato i Potter dalla preside e aveva assegnato al capitano dei Corvonero una punizione di due settimane.
Ecco perché nella squadra di Potter non correva buon sangue, in quel momento.
«Secondo me, per il giorno della partita, saranno tornati i soliti Grifondoro » sospirò Oliver e Mordecai annuì, pienamente d’accordo.
«Ho sentito la parola partita? » si intromise la voce gioviale di Damian Zabini, spuntato da un posto non meglio definito, con appresso le costanti Charity Lodge e il suo rossetto rosso sangue, e Katherine Wetmore, che non tardò a lanciare un’occhiataccia a Rowena che la ignorò con naturalezza: chiudevano lo stormo Joshua Nott e Xavier Knight, un Serpeverde del settimo anno, silenzioso e riservato che non parlava quasi con nessuno all’infuori dei suoi compagni di Casa.
Mordecai alzò gli occhi al cielo in una muta e disperata preghiera: perché a me, Merlino, perché a me?
«Zabini » salutò Lorcan con un mezzo sorriso, «Stavamo parlando dello stato dei Grifoni in questo momento: io scommetto sulla mia vittoria mentre il tuo cercatore non è d’accordo» disse accennando con la testa a Mordecai.
«Potter ha la squadra migliore, quest’anno, ormai l’hanno capito tutti » rispose Damian sedendosi vicino a Mordecai, «Come puoi sperare di batterlo?».
«Vuoi dire che nemmeno voi di Serpeverde credete di avere una possibilità? Ha dell’incredibile » si inserì Oliver mentre il resto delle serpi prendeva posto intorno a quel tavolo che ormai, notò tristemente Rowena, era diventato un circo.
«Siamo realisti, Cromwell » rispose Nott dall’altro capo del tavolo, ignorando gli sguardi assassini che gli lanciava Kath sotto gli occhi esasperati della bionda Charity, «Se Potter rimette insieme tutti i pezzi della sua squadra non c’è storia: vinceranno la coppa nemmeno il tempo che gli serve per prendere un boccino » poi, con estrema nonchalance si voltò a guardare Katherine, un sorrisetto saputo a curvargli le labbra:«Wetmore, se mi guardi ancora un po’ rischi di sciuparmi ».
«Fottiti Nott» ringhiò la ragazza e Oliver, seduto di fronte a lei, avrebbe giurato di aver visto un paio di zanne decorarle la cavità orale, «Io e te avevamo un patto e tu non l’hai rispettato ».
Damian lanciò uno sguardo al suo migliore amico, non faticando ad indovinare quanto si stesse divertendo in quel momento e trattenne una risata solo perché Charity, seduta vicino a lui, gli pianto un tallone sul piede con una violenza che nessuno si sarebbe aspettato da una come lei.
«Wetmore, sono a Serpeverde per un motivo » le fece notare Joshua, «Se avessi voluto onorare ogni parola che mi fosse uscita dalla bocca avrei chiesto il trasferimento a Tassorosso, non credi?».
«Dimmi cosa cazzo è successo a quella festa!» sbraitò Katherine a tanto così dall’azzannargli il collo, tanto che Oliver spostò la sedia di un paio di centimetri indietro, per precauzione.
«Non è successo niente, Kath, stai tranquilla » cercò di rassicurarla Charity passandole una mano sul braccio per calmarla ma l’altra la guardò ancora fumante di rabbia.
«Cosa vuoi saperne tu che stavi scopando chissà dove con quello lì!» borbottò accennando a Damian che, in maniera molto matura, le fece una linguaccia.
«Primo: mi chiamo Damian e non quello lì. Secondo: con Charity ci faccio quello che voglio, quando voglio » rispose il ragazzo per nulla turbato suscitando le risate soffocate di tutta la tavola meno che quelle di Molly Weasley, talmente schifata di essere così vicina a dei Serpeverde che non aveva nemmeno la forza di dimostrare il suo eterno e costante disappunto.
«Ha ragione Charity, Wetmore..non è successo niente..» buttò lì Nott con indifferenza e non appena la vide trarre un sospiro di sollievo si affrettò ad aggiungere, «..forse ».
«JOSHUA NOTT! IO GIURO CHE TI AMMAZZO!» sbraitò peggio di una iena e finalmente, dopo le molte preghiere di un Mordecai e di una Rowena che erano gli unici lì dentro ad essere andati in biblioteca per studiare e non per fare salotto, la nerboruta signorina Wilson apparve in tutta la sua massa e barba di fronte al tavolo, zittendo anche il minimo cigolio.
«FUORI IMMEDIATAMENTE DA QUESTA BIBLIOTECA!».
E Lorcan ebbe appena i tempo di notare quanto, effettivamente, la voce della signorina Wilson assomigliasse a quella orrifica di una banshee, prima di essere costretto, dallo spirito di sopravvivenza, a scappare lontano da lì.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, appena fuori dall’ufficio della professoressa C. Hastings, ore 17.29
James, uscendo a capo chino dall’ufficio dalla sua Capocasa, tutto si sarebbe aspettato, meno che di trovarsi davanti la cugina Lucy.
Un po’ perché spesso si dimenticava persino della sua esistenza.
Un po’ perché, alla fine, sua cugina, in giro, non si vedeva mai.
«Lucy? Cosa ci fai qui?» chiese senza provare a nascondere lo stupore e la ragazza si prese il tempo di squadrarlo dalla testa ai piedi prima di rispondere.
«Devo parlare con la professoressa riguardo un approfondimento che volevo fare..tu? Come mai sei qui?» e a James parve persino strano sentir uscire dalla bocca della parente una frase così lunga e priva di sarcasmo.
«Scusa ma non mi va di parlarne..» mormorò sorpassandola prima di girarsi e sorriderle, come per ringraziarla di quella gentilezza che aveva avuto, per la prima volta in più di un decennio, nei suoi confronti, «Ci si vede in giro, Lucy!».
Non fece nemmeno in tempo a fare cinque passi che si sentì di nuovo chiamare.
«James » e sì, quando vide che sua cugina, quella Lucy cinica e gelida, sorridergli con un angolo delle labbra, controllò che la terra sotto i suoi piedi fosse ancora dove stava due secondi prima: magari il mondo aveva deciso di finire senza avvisarlo, «Alla fine si risolve sempre tutto. Non dovresti fare qualcosa di drastico solo perché il tuo orgoglio ti impedisce di chiedere scusa: potresti pentirtene ».
E con questa perla di saggezza, Lucy Weasley, sparì nell’ufficio della professoressa di Difesa Contro le Arti Oscure lasciandosi alle spalle un James Potter basito e intento ad interrogarsi su quanto, effettivamente, al quinto anno si potesse sapere di lettura del pensiero.




Note delll'Autrice:
Allora, per prima cosa, mi concedo un applauso per essere riuscita a pubblicare entro la data che mi ero prestabilità perchè sì, nonostante l'ra è ancora domenica!!!! Viva meeee :)
Poi, che dire, è un capitolo semplice che non dovrebbe richiedere troppe spiegazioni ma se non capite chiedete, mi fa sempre tanto piacere rispondere ai miei lettori :) Per rispondere però mi servono recensioni quindi....RECENSITE!!

Note molto importanti delle note!
Per quanto riguarda un minimo di chiarezza sui nomi che appaiono nei vari capitoli e che magari non sono così immediati, giusto perché qualcuno mi ha fatto notare che chi legge non conosce la storia come me, sostanzialmente ho eliminato tutti i vecchi professori di Hogwarts meno la McGranitt, diventata preside, Vitious, che però è prossimo alla pensione ma resta il Capocasa di Corvonero, e Ruf che beh..è un fantasma quindi sta bene dove sta.
Allora abbiamo, per ora: Hope Harris, assistente di Vitious, prenderà il suo posto se mai quest'ultimo andrà in pensione, William Dobrev, Trasfigurazione, Josephine Hopkins, Astronomia, Capocasa di Tassorosso, Cinnamon Hastings, Difesa Contro le Arti Oscure, Capocasa di Grifondoro, Febos Eastwood, Pozioni, Capocasa di Serpeverde, e Neville Paciock che come sappiamo ha la cattedra di Erbologia, non l'ho voluto mettere Capocasa perché presumo faccia la spola casa-scuola visto che ha una moglie e quindi non poteva essere onnipresente come, secondo me, un serio caposcuola dovrebbe essere.
Ah sì, in questo capitolo c'era anche la signorina Georgina Wilson, mastodontica bibliotecaria che ringrazio per l'apparizzione :)


Credo di aver finito :)
Baci a tutti e Buonanotte

Najla






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Capitolo 10
*** Challenge: uccidere è un reato Parte 1 ***


Ottavo Capitolo
Challenge: uccidere è un reato
Parte 1

9
8
7
6
5
4
3
2
1
..
FUN
(Funhouse- P!nk )


31 Ottobre XX
Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Grande, ore 20.21
Evangeline lanciò uno sguardo di muto rimprovero a Roxanne che, seduta alla sua sinistra, stentava a stare seduta sulla panca e lanciava occhiate impazienti al tavolo degli insegnanti, in particolare alla Preside che se ne stava tranquilla al centro della tavolata, parlando animatamente con la professoressa Hastings e il professor Vitious.
La mora la ignorò bellamente, prima di bere l’ennesimo piccolo sorso di succo di zucca e sistemarsi i capelli in un’alta coda di cavallo, in un gesto così lento e preciso che aveva il sapore della calma statica prima di una battaglia.
Eva sospirò alzando lo sguardo azzurro sui suoi amici, trattenendo appena una smorfia rassegnata.
Non capiva come diavolo facessero ad essere così agitati e frementi per quello stupido gioco quando le cose tra di loro non si erano ancora risolte, quando Ian e James sedevano ad un capo della tavolata ed Elijah e Jade dalla parte opposta.
Erano passate più di due settimane e ancora non si parlavano, nonostante l’intercessione di tutti loro per sistemare la faccenda: c’aveva provato persino Lysander a farli ragionare, e lui non si intrometteva mai nei casini altrui per principio.
La ragazza si passò una mano tra i capelli lunghi e chiuse gli occhi per una manciata di secondi: possibile che dovessero essere tutti così dannatamente testardi a quella tavola? Va bene essere Grifondoro. Va bene essere orgogliosi. Ma lì stavano tutti e quattro sfiorando il ridicolo!
Era arrivata a dubitare che persino i bambini sarebbero stati tanto infantili.
«Se la risolveranno da soli, Eva: smettila di preoccuparti » la voce pacata di Frank la riscosse dai suoi pensieri e la costrinse a tornare alla realtà: la realtà caotica e concitata della cena di Halloween, dove si faticava a sentire le parole del proprio vicino.
«Non mi piace tutta questa tensione, Frank » sospirò con un’aria stanca e sfibrata che usava di rado, «Lo sai come sono fatta ».
Il ragazzo si lasciò sfuggire una mezza risata prima di addentare l’ennesimo pezzo di sacher, gustandosela neanche si trattasse di ambrosia, ed Eva si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo realizzando che, conoscendo la passione sconsiderata che Frank nutriva nei confronti del cioccolato, quel pezzo di dolce non doveva poi sembrargli troppo diverso dal vero nettare degli dei.
«Non voglio che ti rovinino la serata, tutto qui » ribatté dopo un po’ lui, pulendosi la bocca imbrattata di glassa al cioccolato, «E poi dovrebbero arrivarci da soli, a chiarirsi ».
«Ammetti, piuttosto, che vuoi che quei quattro facciano pace per vincere la gara » insinuò Eva guardandolo saputa e Frank prese in seria considerazione l’idea di negare tutto e preservare la sua facciata di bravo ragazzo che in realtà cerca solo il bene dei suoi compagni di Casa, ma in un nanosecondo realizzò che provare ad intortare la sua fidanzata sarebbe stato uno spreco di tempo e di voce.
«E’ da sette anni che aspetto questa serata, va bene? Non mi va di perdere contro le altre Case solo perché James Potter è troppo orgoglioso per chiedere scusa ai propri amici!» esclamò seccato e Roxanne arrivò a dargli man forte.
«Io voglio Corvonero » dichiarò quasi ringhiando, «Così posso fare il culo a strisce a Lorcan».
«Ci stai mettendo un po’ troppa enfasi, Roxie » le fece notare Evangeline, per nulla contagiata dallo spirito competitivo che animava i suoi amici da che li conosceva: senza bisogno di conferme, era abbastanza sicura che Roxanne, Elijah, James e anche Frank, avrebbero volentieri staccato a morsi la testa di qualcuno pur di vincere, «Alla fine è solo una gara..» si morse la lingua rendendosi conto dell’errore madornale che aveva appena fatto, cercando di non essere uccisa dalle occhiatacce che le stavano lanciando allibiti i suoi vicini e Lysander, seduto di fronte a lei.
«Una gara? Solo una gara?!» sbraitò incredula la mora, «E’ il Challenge, Eva. Non una gara qualsiasi: il Challenge. Per le mutande di Merlino! E’ l’unico motivo per arrivare fino al settimo anno in questa scuola! ».
Eva sospirò, mordendosi di nuovo la lingua per evitare di correggerla e farle notare che arrivare al settimo anno ad Hogwarts aveva ben poco a che fare con una gara tra Case, e molto, invece, con la sua istruzione e le sue prospettive lavorative.
Restò in silenzio solo perché la compagna aveva troppi oggetti potenzialmente omicidi da lanciarle e lei voleva arrivare incolume alla mattina successiva.
Tocca tutto ad uno studente del settimo anno, ma lasciagli il Challenge, per la lode di Merlino!
Il Challenge era una gara che si teneva la notte di Halloween e si concludeva con il pranzo del giorno di Ognissanti ed era una competizione a cui potevano partecipare solo ed esclusivamente gli studenti dell’ultimo anno. Era stato proposto una ventina di anni prima, come palliativo agli scontri tra gli studenti di Case rivali, della serie: picchiatevi e lanciatevi fatture finché vi pare per una notte ma durante il resto dell’anno statevene tranquilli; e aveva riscosso un tale successo da entrare a far parte delle tradizioni della scuola stessa, come lo Smistamento, il Campionato scolastico di Quidditch e il coro diretto dal professor Vitious, che non ne voleva proprio sapere di andarsene in pensione.
La Sfida si teneva su un terreno di gioco immenso che comprendeva tutto il castello, dai sotterranei alla torre di astronomia ed ogni angolo di Hogwarts veniva stregato o popolato di assurde creature con l’unico scopo di costringere gli studenti ad una sorta di lotta per la sopravvivenza con in palio, oltre al gusto di aver sconfitto e umiliato le altre Case, l’ammontare di ben sessanta punti a riempire la propria clessidra.
Il tutto si sarebbe svolto, anche per quell’anno, all’incirca così: finito il cenone di Halloween i prefetti avrebbero accompagnato tutti gli studenti nei propri dormitori che sarebbero stati sigillati fino al mezzogiorno successivo per evitare spiacevoli incidenti come bambini del primo anno assaliti da mollicci nascosti nelle armature o cose del genere, poi i ragazzi del settimo anno sarebbero stati chiamati ad avvicinarsi al tavolo dei professori, la McGranitt avrebbe chiamato da parte un componente di ogni Casa, in genere si trattava dei capitani delle squadre di Quidditch, perché, in linea di massima venivano già ritenuti capaci di dirigere un gruppo di persone, e, senza che gli altri tre sapessero nulla, avrebbe assegnato a ciascuno una Casa rivale e una base che avrebbe fatto da punto di riferimento per la propria squadra. Quando le squadre si dividevano aveva inizio la prima parte della sfida: rapire un membro della squadra avversaria assegnata e portarlo alla propria base. A questo punto, sembrava piuttosto chiaro quale fosse l’obbiettivo della seconda parte di una competizione del genere: la prima Casa che avrebbe salvato il proprio compagno riportandolo alla propria base avrebbe vinto e.. onore e gloria a volontà!
Evangeline proprio non capiva l’attrattiva di una competizione del genere.
Viceversa, Roxanne, non riusciva a concepire il non eccitarsi per un fenomeno di tale portata: si trattava di guerra, di battaglia, di competizione, dell’adrenalina che ti scorre nelle vene ad ogni angolo perché puoi trovare chiunque e nessuno pronto ad attaccarti, si trattava  di dimostrare di essere capaci di cavarsela: di essere pronti ad affrontare qualsiasi cosa.
Ed era proprio questo il bello del Challenge: l’imprevedibilità di ogni secondo.
«Si comincia » annunciò Lysander con gli occhi puntati verso la McGranitt ed Evangeline ebbe appena il tempo di vedere un sorriso diabolico sfiorare le labbra di Roxanne prima che la voce forte e autoritaria della Preside sovrastasse il concitato cicaleccio della Sala Grande.
«Sono costernata nel dover annunciare che i festeggiamenti si fermeranno qui, per questa sera » cominciò suscitando le proteste dei più piccoli, «Tra poco si darà inizio alla ventunesima Sfida tra Case che vedrà, come ogni anno, protagonisti gli studenti dell’ultimo anno; invito quindi i Prefetti rimasti esclusi dalla competizione a scortare gli altri studenti presso i dormitori: tra mezz’ora passeranno gli insegnanti a chiudere gli accessi ai dormitori e chiunque verrà trovato a gironzolare nei corridoi sarà immediatamente espulso, e spero di essere stata abbastanza chiara su questo punto » lanciò uno sguardo di fuoco a tutta la Sala, giusto per sottolineare il concetto prima di continuare, «Gli studenti del settimo anno sono pregati, invece, di avvicinarsi al tavolo degli insegnanti per le direttive che riguardano lo svolgimento di questa speciale notte ».
In una decina di minuti la Sala Grande si svuotò, in una fiumana di studenti ancora festanti e con dolciumi nascosti in ogni tasca: certi auguravano buona fortuna ai compagni, altri mugugnavano indispettiti, rimpiangendo di non poter partecipare all’evento, come tutti gli anni.
Roxanne si alzò dalla panca, lanciando occhiate incandescenti a tutti i ragazzi che non fossero seduti al suo stesso tavolo e in particolare alla testa di un Lorcan Scamander che le dava le spalle e non poteva vedere quanto impegno ci stesse mettendo la ragazza per fargliela saltare.
Evangeline sospirò sconsolata seguendola nella sua marcia verso il tavolo degli insegnanti, neanche stesse davvero andando a combattere al fronte.
Frank seguì la fidanzata con l’ennesimo dolce al cioccolato tra i denti e Lysander finì di bere il suo succo di zucca prima di accodarsi, senza troppa fretta.
Jade, Elijah ed Ian avevano un che di lugubre, mentre si muovevano privi di quella frenesia che li avrebbe colti se solo non fossero stati ancora in piena fase: se tu non parli a me io non parlo a te, tra di loro.
James, invece, non sembrava lugubre, proprio per niente, constatò con una punta di sarcasmo Eva, sembrava piuttosto un povero ragazzo malconcio e malaticcio che sta per essere decapitato o lapidato di fronte a un centinaio di persone e si trascina verso il luogo dell’esecuzione per inerzia.
Per la prima volta da che lo conosceva, James Potter le face pena.
«Bene ragazzi » intonò la McGranitt con aria solenne mentre i Direttori della quattro Case si disponevano ai suoi lati, dritti e impettiti, e gli studenti le si paravano davanti in una sorta di scomposto semicerchio, «Sono sicura che non sia necessario, da parte mia, fare raccomandazioni sul come si deve tenere lo svolgimento del Challenge: siete studenti dell’ultimo anno e faccio affidamento sulla vostra ottemperanza alle regole e sulla vostra capacità di giudizio, consci del fatto che, se mai uno di voi dovesse trasgredire anche ad una sola delle regole imposte, questo signore, o questa signorina, verrà immediatamente rispedito a casa senza alcuna remora » e Frank deglutì rumorosamente: come diavolo facesse quella donna a incutere una tale stizza semplicemente con un’occhiata era uno dei grandi misteri del mondo magico e dubitava che qualcuno sarebbe mai riuscito a venirne a capo.
«Ora, giusto per essere certi che vi scolpiate in testa ciò che non potete assolutamente fare » continuò per lei la Hastings e Frank convenne che, anche se in maniera meno.. destabilizzante, anche la professoressa di Difesa Contro le Arti Oscure incuteva un certo terrore, «Durante lo svolgimento della Sfida è severamente proibito: usare maledizioni senza perdono, incantesimi oscuri di ogni sorta, l’uso di armi di ogni genere, schiantesimi o incantesimi di memoria atti a cancellare o modificare i ricordi dei vostri avversari: è inutile che vi dica quali rischi comportino gli incantesimi appena citati e quali siano le irreparabili conseguenze. A questo, ovviamente, si aggiunge ogni forma di combattimento babbano che preveda il colpire, il lanciare o il tramortire qualcuno ».
«Come sempre il terreno di gioco è l’intero perimetro del castello, esclusa la biblioteca » si aggiunse la voce sottile della Hopkins, una donna bassa e con un paio di occhiali spessi quanto due fondi di bottiglia in equilibrio sulla punta del naso, i capelli rossicci lunghi fino alle spalle e l’aspetto di una cinquantenne nonostante, Roxanne e gli altri ne erano rimasti sconvolti, avesse solo trentadue anni: «Se mai doveste provare ad avvicinarvi, la signorina Wilson è stata autorizzata a pietrificarvi. Lo stesso vale per le zone dell’infermeria dove la signorina Talleyrand è pronta ad accogliere solo ed esclusivamente gli studenti che dovessero infortunarsi durante lo svolgimento della prova ».
«Detto questo » concluse Vitious scambiando un cenno d’intesa con la McGranitt, «Invito i ragazzi che si prenderanno l’onere e l’onore di guidare le proprie Case in questa Sfida a seguire la Preside nella stanza qui a sinistra per l’assegnazione delle Case rivali. Prego quindi i signori: Zabini Damian, Scamander Lorcan, Bones Charles e Faraday Elijah di avvicinarsi ».
Roxanne, finita per caso vicina a Jade, alzò lo sguardo dal pavimento parecchio stupita e perplessa e guardò con tanto d’occhi l’amica alla ricerca di una spiegazione: checché ne sapesse lei il loro capitano era ancora James, nonostante tutto.
«Forse per quello che è successo alla Festa d’Inizio » ipotizzò Jade in un sussurro, altrettanto stupita mentre Elijah seguiva la McGranitt con passo incerto, spiazzato più di tutti loro dalla situazione.
Ian, intanto, si permise di lanciare un’occhiata a James, appoggiato con le mani alla tavolata di Grifondoro, con le spalle incassate e gli occhi intenti ad esaminare le crepe del pavimento, e non poté trattenersi dal pensare che quello che aveva davanti era proprio un idiota.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Aula di Incantesimi, ore 21.13
«Ma si può sapere cosa diavolo ti passa per quella testa di cazzo che ti ritrovi?!» Elijah aveva afferrato James per il colletto della camicia appena erano entrati nella loro base e l’aveva spinto con poca delicatezza contro il muro suscitando lo stupore generale.
Jade si avvicinò e strinse una mano introno ai polsi di Eli per convincerlo a mollare la presa, «Mi vuoi spiegare che ti prende?».
«Chiedilo a questo deficiente cosa mi prende!» sbraitò l’altro mollando James per allontanarsi di un metro, onde evitare di prenderlo a pugni.
Frank ed Eva si scambiarono un’occhiata saputa prima di tornare a guardare gli altri: finalmente le cose si sarebbero risolte, forse a suon di cazzotti e sangue, ma si sarebbero risolte.
«Di cosa sta parlando, James?» chiese Jade guardandolo appena: già le sembrava strano avere di nuovo quel nome sulla lingua dopo due settimane di silenzio, figurarsi mantenere un minimo di arrabbiatura di fronte alla sua faccia da cucciolo bistrattato e sanguinante. Ormai non era più infuriata o che altro, le arrabbiature le costavano un eccessivo dispendio di energia, il tutto si era trasformato in una logorante questione di principio: finché Jamie non avesse chiesto scusa, lei non avrebbe ceduto.
Il ragazzo si prese il privilegio di non rispondere e Jade non ebbe altra scelta che chiedere informazioni ad un Elijah letteralmente fumante.
«Sai perché Vitious ha chiamato me e non lui, stasera?» esclamò tornando pericolosamente vicino a James, «Perché il signorino qui presente ha rinunciato al ruolo di capitano dei Grifondoro sul campo da Quidditch, giusto James?!».
«Brutta testa di Troll con le piattole e il cervello di uno schioppodo! » Roxanne spinse di lato Elijah per guardare negli occhi quell’idiota che si trovava come parente, «Che cosa hai fatto tu?!».
«Non avevo alternative, Roxanne!» si difese James e Ian fu lieto che finalmente si fosse deciso a reagire, «Non so se te ne sei resa conto, ma una squadra che non ha fiducia nel proprio capitano, non può vincere! Sarò anche un egocentrico infantile egoista ma voglio quanto te che Grifondoro tenga la coppa anche quest’anno! E’ la squadra per cui ho lavorato anni e se darle una chance di dimostrare quanto vale vuol dire rinunciare alla sua guida, ben venga!».
Roxanne si morse un labbro indecisa sul da farsi: se stenderlo con un pugno per quanto fosse stato stupido, oppure accettare quella confessione a cuore aperto e picchiarlo ugualmente mentre Elijah, alle sue spalle alzava le mani in segno di resa, guardando Jade con il non troppo sottinteso: occupatene tu.
La ragazza trasse un profondo respiro e si posizionò davanti al giovane Potter, le braccia incrociate al petto e un cipiglio che prometteva un’epica ramanzina, di quelle subdole, che ti costringono a riflettere.
«Sentimi bene, James Potter » cominciò tranquilla, incurante delle occhiate risentite che gli stava lanciando l’imputato: lui aveva fatto tutto per loro, aveva anche deciso di rinunciare alla squadra, e ora gli urlavano contro?! «Nessuno qui ti ha mai chiesto di smettere di essere il nostro capitano e dubito fortemente che anche Albus o Scorpius lo vogliano, per quanto tu possa pensare il contrario » la ragazza trasse l’ennesimo profondissimo respiro prima di continuare, «Quello che volevamo era che tu uccidessi il tuo orgoglio cinque minuti e ci chiedessi scusa, James, solo una parola, cinque lettere: scusa ».
Ian sorrise sornione: ormai era fatta.
James parve pensarci per una manciata di secondi, ancora indeciso se abbassarsi a scusarsi davvero oppure votarsi nuovamente al mutismo, e glielo si vedeva dipinto in faccia che il dissidio interiore era piuttosto aspro, tanto che Eva alzò gli occhi al cielo chiedendosi fino a che livelli potesse arrivare l’orgoglio umano.
Per fortuna, dopo poco, lo sentì emettere un gemito sofferente e ringraziò Merlino per aver dato a quel ragazzo un briciolo, anche se insignificante, di umiltà.
«Scusa » mormorò come se ogni lettera gli costasse una fatica inimmaginabile e un dolore altrettanto atroce, « Mi dispiace per quello che è successo e non pensavo davvero ciò che ho detto: non lo penserei mai e non voglio che voi pensiate che io lo pensi perché non lo penso.. ».
«James, ti prego fermati » lo bloccò Elijah coprendosi gli occhi in maniera teatralmente disgustata, «Non posso vederti così: riprendi il tuo orgoglio dalle ortiche e rimettitelo addosso che così fai senso!».
Ian e Roxanne scoppiarono a ridere e Frank si concesse un liberatorio alleluja!
Jade si limitò a sorridere dolcemente prima di circondare il collo di James con un braccio e guardare gli altri Grifondoro.
«Sbaglio o abbiamo un Challenge da vincere?» poi si rivolse direttamente all’amico che le stava a fianco, «Facci strada, capitano ».

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Aula di Pozioni, ore 23.45
Molly Weasley non era stupida, era tante cose negative, ma non era stupida e se era a Corvonero un motivo c’era:  aveva un cervello pronto, acuto e anche se era dannatamente puntigliosa, e lo riconosceva, sapeva valutare con estrema calma ogni situazione. Non amava i colpi di testa e conoscendo Rowena ed Emma, che da questo punto di vista le somigliavano, con il tempo si era convinta che la prudenza fosse una caratteristica peculiare della sua Casa.
Guardò Lorcan e Oliver, pallidi come due spettri che ricambiavano quell’occhiata assassina che gli stava lanciando, implorandola di trovare una soluzione, e si sistemò gli occhiali di corno sul naso: di fronte a quei due idioti sentiva le sue certezze crollare inesorabilmente in un baratro.
Ormai non c’era niente da fare, la cavolata l’avevano fatta e non c’era modo di rimediare: il fischio che dava inizio alla seconda fase del Challenge si era sentito in tutto il castello nell’esatto istante in cui Lorcan le aveva fatto vedere chi avevano, genialmente, pensato di prendere in ostaggio e lei si era trovata di fronte al fatto avvenuto.
Quando non avevano visto l’entusiasmo negli occhi dei compagni, Lo e Oliver avevano cominciato a capire la portata catastrofica del loro gesto.
Vada prendere un ostaggio.
Vada prendere un amico del capitano dei Serpeverde.
Ma stordire e legare Joshua Nott ad una sedia dell’aula di Pozioni non andava proprio.
«Siete due idioti » constatò in una chiara e limpida sottolineatura dell’ovvio.
«Lo sappiamo, Mols, ci dispiace » mormorò Oliver sconsolato cercando di mitigare l’amica perché, come già detto, solo due persone avevano un qualche ascendente sulla donna d’acciaio meglio nota come Molly Weasley: Oliver, che la stava per l’appunto supplicando, ed Emma, che però non se la sentiva proprio di difendere quei due.
Insomma, avevano scatenato Damian Zabini e l’ira funesta dei Serpeverde contro di loro, gettando giù per un dirupo ogni possibilità di vincere quella Sfida: ora che avevano Nott i loro avversari si sarebbero impegnati almeno il doppio per riprenderselo.
«No, non lo sapete!» lo spense lei puntando le mani sui fianchi, «Ma si può sapere che diavolo avete in quella testa? Folletti della Cornovaglia?! Come diavolo vi è venuto in mente di rapire Joshua Nott?!».
«Credo sia inutile discuterne troppo, ora » si intromise Rowena che, seduta su uno dei tavoli guardava il loro ostaggio in attesa che si svegliasse, «Pensiamo piuttosto a come trovare Alex: se vogliamo avere qualche speranza dobbiamo essere veloci, ed esclusi i Serpeverde, che per regolamento non possono averlo preso, ci restano Grifondoro e Tassorosso. Se sono questi ultimi abbiamo ancora qualche possibilità: non ci sono grandi duellanti del nostro anno in questa Casa, esclusi Bones, Sanders e la Grey ».
«Esatto » si aggrappò immediatamente Lorcan, alla disperata ricerca di un appiglio per fare in modo di non essere ucciso dalla squadra che avrebbe dovuto guidare, «Pensiamo a questo! E poi Zabini è una persona ragionevole.. non la prenderà di certo sul personale, no?».
E Molly stava per ribattere quando la risata cupa ma sinceramente divertita di Nott fece gelare il sangue nelle vene a Cromwell e Scamander: aveva un che di demoniaco, quella risata.
«Voi siete due idioti » ghignò Joshua mentre la Weasley annuiva pienamente d’accordo, «Dam la prenderà molto sul personale.. se aveste preso la Lodge avreste fatto meno danni » trasse un teatrale sospiro rassegnato, «E poi voi Corvonero sareste quelli intelligenti.. ».
Rowena sospirò con noncuranza.
Molly li trucidò con lo sguardo nemmeno avesse il magico potere di decapitarli, mostrando che la competitività era tratto caratteristico di ogni Weasley degno di tale nome.
Emma scosse la testa desolata.
Gli altri due Corvonero, il capitano e il suo vice se lo sentivano senza bisogno di guardarli, volevano la loro pelle per il pranzo del giorno dopo.
Oliver e Lorcan si scambiarono un’occhiata terrorizzata: ora sì che erano nello sterco di ippogrifo fino a sopra la testa, ora sì.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Aula di Trasfigurazione, ore 23.45
Ian non aveva la più pallida idea del perché la testa gli pulsasse in quella maniera e nemmeno riusciva a capire come mai non riuscisse a muovere le mani e le braccia. O meglio, un vago e orrendo sentore ce l’aveva, ma era piuttosto insofferente all’idea di aprire gli occhi e concretizzarlo.
Ricordava qualcosa che lo colpiva alla schiena e ricordava di aver mugugnato un’imprecazione prima di sentire la pietra del corridoio del secondo piano sotto la faccia.
Non riusciva a credere, però, che tra tutte le persone che potevano beccare avessero scelto proprio lui!
Sperava almeno che non l’avessero preso i..
«Damian, datti una calmata: ce lo riprendiamo Josh ».
..Serpeverde.
Ian ebbe la bizzarra sensazione che la colpa di tutto fosse da  imputare al karma: fai la cavolata di lasciarti scappare una ragazza meravigliosa che per quanto tu sia un emerito coglione ti vuole lo stesso, e io ti faccio rapire dai Serpeverde la sera del Challenge! Così resterai più di tre ore ad annoiarti seduto su una sedia scomodissima con i polsi legati, in compagnia di due Serpi e poi dovrai fare anche la parte della donzella in difficoltà che ha bisogno di essere salvata! E visto che sei stato così bravo da innamorarti della tua migliore amica ma hai deciso di scegliere un’altra, vedrai che, se mi riesce, mando Jade a salvarti! Vedrai! Vedrai se non ne sono capace!
Nell’attimo di quella discussione, avvenuta tra le due metà del suo cervello, in cui una delle due faceva una vocina perfida e cospiratrice, Ian realizzò che il suo karma era proprio un bastardo, non aveva nulla da rimproverargli, perché aveva una ragione sfacciata, ma restava un bastardo.
«Scommetto che sono stati i Tassorosso! » sbraitò la voce di Damian Zabini, «I Corvonero non possono essere tanto stupidi da prendere Josh ».
«Sei così sicuro che Lorcan Scamander non sarebbe capace di un tiro del genere?» Ian non faticò a  distinguere la voce di Mordecai: stesso timbro di quella di Elijah ma decisamente più pacata e meno votata alle imprecazioni.
«Comunque sia, di chiunque si tratti: me la pagheranno » rispose il capitano con un tono che non prometteva bene e l’ostaggio finalmente si decise ad aprire gli occhi.
«Accidenti, Clow, ce ne hai messo di tempo per risorgere » commentò caustica al Wetmore e Ian si prese la libertà di fulminarla con un’occhiataccia, sfoggiando senza remore il suo scarso spirito di sopravvivenza tipicamente Grifondoro.
«Ti prego, non dirmi che a guardia della base resterai tu, perché giuro che mi suicido a suon di testate contro il pavimento » rispose il ragazzo con altrettanta acidità.
«Tranquillo, ciccio: io gioco in attacco » sorrise maliziosa Katherine prima di puntargli contro la bacchetta e togliergli definitivamente la voce, con somma indignazione del suo bersaglio.
«Farah, Gregory: rimanete a tenerlo d’occhio » ordinò allora Damian impugnando la bacchetta, con una tale enfasi che quasi sembrava si trattasse della falce della mietitrice e non di un magico bastoncino, «Char e gli altri con me: andiamo a riprenderci Josh ».






Note dell'autrice:
Salve a tutti e tanti auguri di Buon Natale a chiunque passi di qui, anche se sono un po' in ritardo!!
E parlando di ritardo...credo di essere in ritardo di cinque giorni con la pubblicazione e non sapete quanto mi senta in colpa per questo! Giuro che non è dipeso dalla mia volontà! Il fatto è che sono rimasta una settimana senza pc perché il mio ha deciso di spirare (pace all'anima sua!) e quindi ho dovuto aspettare Natale per poter usare quello nuovo...solo che c'ho impiegato tre giorni per capire come funzionava e installare tutti i programmi e poi, finalmente, riscrivere questo capitolo..
Chiedo umilmente venia ma spero mi scusiate: in fondo è Natale e siamo tutti più buoni, no? :)
Ora passiamo alle note sul capitolo, perché per questo, ci vogliono.
Come avete notato è diviso in due parti, anche se originariamente dovevano essere due capitoli distinti e calibrati in maniera leggermente diversa, per motivi di ordine mentale ho deciso di far un solo capitolo e dividerlo, per quanto riguarda la seconda parte..non so esattamente quando arriverà, sicuramente entro il 4/01 perché per il 6 mi sono imposta la pubblicazione del capitolo che ha dato inizio a tutta la storia e non voglio sgarrare.
Poi, riguardo l'idea del Challenge, beh, partiamo con il dire che sono una scout e che mi sono sempre piaciuti un sacco gli eventi dove tanti gruppi si sfidano gli uni contro gli altri in prove di abilità, non so perché ma fanno emergere la mia vena competitiva e provo un po' quello che prova Roxanne di fronte alla Sfida (sì, quella parte è leggermente autobiografica..u.u..) e quindi l'idea è stata quella di portare il mio Challenge, che di per se è una manifestazione di questo genere, ad Hogwarts, immaginandolo come una guerra in miniatura e credo che questo paragone renda un po' il mio intento...
Mamma saura che spiegazione lunghissima, spero c'abbiate capito qualcosa, se non dovesse essere così chiedete pure magari lasciando anche una recensione :) :)
Detto questo, ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo, chi segue la storia, chi l'ha inserita tra le preferite e anche chi è semplicemente arrivato fino a qui :)
Ora vi lascio e spero di ritrovarvi al prossimo capitolo!
Tanti baci e ancora tanti auguri,

Najla


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Capitolo 11
*** Challenge: uccidere è un reato Parte 2 ***


Ottavo Capitolo
Challenge: uccidere è un reato
Parte 2


There's an old voice in my head
that's holding me back
Well tell her that I miss our little talks.

Soon it will be over and buried with our past
We used to play outside when we were young
and full of life and full of love.

Some days I don’t know if I am wrong or right.
Your mind is playing tricks on you, my dear.

'Cause though the truth may vary
This ship will carry our bodies safe to shore

01 Novembre XX
Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Corridoio del terzo piano, ore 01.34
Il clangore delle armi che cozzavano contro il pavimento di marmo si era fatto assordante, ridondante e tremendamente fastidioso. Si insinuava tra i pensieri interrompendone il filo come una taglierina affilata, calibrata per cadere ad intervalli di secondi: se fosse rimasta lì ancora un po’ di sarebbe messa ad urlare e avrebbe avuto una crisi isterica.
Già faticava a seguire quello che le diceva la sua testa nel più completo silenzio, figurarsi farlo in mezzo a quel caos.
Scivolò lungo la parete fino a raggomitolarsi per terra, la bacchetta stretta in una mano, pronta a qualsiasi evenienza e la testa appoggiata sulle ginocchia, gli occhi chiusi per cercare di portare un po’ di pace nella sua testa: se fosse riuscita ad escludere quel rumore di ferraglia assassina forse sarebbe riuscita ad arrivare dall’altra parte del corridoio con la testa ancora attaccata al collo.
Cominciò a battere i piedi a terra, frustrata: si sentiva una bambina.
Aveva diciassette anni, era maggiorenne e si era sempre vantata di reggere straordinariamente bene la pressione.
Ed ora, con la testa tra le ginocchia per escludere il mondo che la circondava si sentiva una bambina, e sotto la spinta di questa sensazione orrenda, aveva faticato davvero tanto per diventare chi era, tutto stava cominciando a sbriciolarsi lentamente sotto i suoi piedi: stava cedendo ad un’insicurezza che non le era propria.
O almeno che non credeva esserlo.
Non riusciva nemmeno a capire davvero cosa le fosse preso. Lei era una Grifondoro, erano davvero poche le cose capaci di spaventarla e tra queste era sicura non rientrasse un corridoio pieno di armature incantate pronte a tagliarle la testa: non che avesse mai pensato che si sarebbe mai, davvero, trovata ad affrontare della lamiera killer, ma era sicura che non l’avrebbe mai portata ad un tale sconforto.
Forse era colpa del sonno.
Forse era colpa della solitudine, si erano divisi al secondo piano davanti a dei mostri che non aveva mai visto e che odoravano di letame: Frank aveva detto che li avrebbe tenuti distanti lui mentre lei, Jade, Elijah e Jamie andavano avanti a cercare Ian.
In quell’istante si rese conto che non aveva ancora visto Frankie e trattenne un’imprecazione: e se l’avessero trovato i Tassorosso? Se l’avessero costretto a dirgli dove si trovava la Grey? Era certa che Bones avrebbe fatto di tutto per andare a riprendersi la fidanzata e non voleva nemmeno immaginare Eva e Lysander che combattevano costretti a difendere la loro base.
Si costrinse a trarre un profondo respiro per non cedere all’ansia: infondo era una notte sola e quella non era una guerra, anche se lo sembrava davvero, e quello era solo un gioco.
Certo, un gioco che lei non era disposta a perdere!
Ma allora, se ne era così sicura, perché non riusciva a sorpassare quel corridoio maledetto? Perché non era capace di rialzarsi in piedi e riprovare ancora e ancora come era abituata a fare? Gli altri contavano su di lei e lei aveva promesso che li avrebbe raggiunti il prima possibile.
E invece se ne stava lì seduta a rimuginare su quanto stupida e infantile fosse in quel momento, senza riuscire a reagire.
Il fatto era che le aveva provate davvero tutte per riuscire a fermare le armature, ma quelle sembravano immuni a qualsiasi tipo di incantesimo e aveva cominciato a convincersi che fossero frutto di una crisi premestruale della Harris: solo lei poteva aver concepito quell’affettatrice ambulante che era il corridoio del terzo piano.
Merlino, si sentiva sull’orlo di piangere sul serio: lo reggeva proprio da cani lo stress.

Lorcan girò l’angolo dopo aver ordinato a Oliver e Rowena di andare a controllare al primo piano per vedere se qualche stanza fosse stata scelta come base: magari l’aula di Storia della Magia. Oliver l’aveva guardato perplesso pronto a ribattere che non gli sembrava proprio la migliore delle idee, dividersi all’inizio della gara, quando tutto era ancora in forse e le informazioni per trovare Alex erano minime e ognuno di loro era indispensabile, ma il capitano aveva detto che li avrebbe raggiunti subito, voleva solo sapere a cosa era dovuto tutto il baccano che si sentiva per le scale.
I due ragazzi, allora, avevano annuito, anche se contrariati, ed erano tornati indietro.
Fino a quel momento, si rese conto, non aveva ancora incontrato nessuno delle altre Case e davvero non sapeva se considerarlo un buon o un cattivo segno: almeno non aveva incontrato Zabini pronto a fargli la pelle.
Per questo, vedendo qualcuno raggomitolato vicino al muro adiacente all’inizio del corridoio, quasi non gli venne un colpo e alzò automaticamente la bacchetta pronto a disarmare il suo avversario che, fortunatamente, sembrava non averlo notato.
Quando si rese conto che quel mucchietto raggomitolato a terra era Roxanne Weasley, la tensione abbandonò il braccio senza che lui potesse opporsi e la bacchetta quasi non gli scivolò di mano, trattenuta appena da una stretta che si era fatta flebile.
Cosa ci faceva lei seduta lì durante il Challenge?
Che stesse male?
Che l’avessero ferita?
No, anche in quel caso l’avrebbe vista imprecare e tirare pugni alle pareti senza che la sua vena combattiva si fosse smorzata minimamente.
Era un Grifone vero, Roxie, ed era questo ad averlo sempre attirato: lei sarebbe potuta essere quella sfida costante che gli avrebbe felicemente animato la vita.
Lorcan lo aveva sempre saputo che una donna qualunque, a lui, non sarebbe mai bastata, che avrebbe finito per trovarla noiosa in maniera insopportabile: lui e il suo cervello psicotico aveva bisogno di qualcosa che lo stuzzicasse continuamente, che non perdesse mai attrattiva. E la Weasley, con il tempo, era diventata proprio quello che lui stava cercando.
Che lei fosse quello di cui lui aveva bisogno era ormai appurato: a questo punto bastava convincere lei di tutta la faccenda, e quello sembrava essere un nodo un po’ più ostico da sciogliere.
«Weasley? Tutto bene? » chiese arrivatole ormai ad un metro di distanza.
La mora alzò di scatto la testa e gli puntò contro la bacchetta, pronta a far volar via qualsiasi avversario le si fosse presentato davanti, ma quando si rese conto che i capelli biondi sommati agli occhi grigi e alla faccia da ebete davano come risultato lui, Lorcan, abbassò l’arma senza, però, mollare la presa salda esattamente come prima.
«Non è decisamente il momento, Scamander » sibilò cercando di incenerirlo con lo sguardo e Lorcan si ritrovò a sorridere tra sé e sé, riconoscendo finalmente la sua nemesi.
Non era la tipica bella ragazza, Roxanne, o almeno non era quel genere di ragazza capace di attirare con disinvoltura l’attenzione dell’altro sesso, come facevano fieramente la Wetmore e la Lodge. Era una persona che doveva essere vista più volte per poter esser apprezzata davvero. Perché in una sola occhiata non si sarebbe mai potuta captare quella scintilla di assurda determinazione che restava sempre accesa sul fondo di quegli occhi scuri e profondi, e allo stesso modo sarebbe parsa infima la linea morbida delle labbra e quella fossetta che si formava sotto lo zigomo sinistro quando sorrideva.
Se non la si osservava attentamente, certe cose non si potevano proprio notare e Lorcan poteva vantarsi di conoscere ogni minimo dettaglio di Roxanne.
C’era poi il fatto che la Weasley era l’unica ragazza che conoscesse ad essere esattamente come sembrava: niente doppie facce di cui aver paura, niente grandi segreti da nascondere dietro ad un battito di ciglia, niente di niente.
Era rabbia, gioia, delusione o una semplice risata in maniera persino disarmante.
Era meravigliosamente limpida.
«Com’è che proprio tu te ne stai qui a rimuginare? » azzardò guardandola dall’alto in basso con le braccia incrociate al petto e una faccia decisamente perplessa, «Sono anni che dici di voler vincere il Challenge e invece ti metti a dormire su un pavimento? Hai diciassette anni Weasley, non ottanta: un po’ di resistenza! ».
La mora incrociò le gambe, totalmente decisa a non muoversi di lì almeno finché quell’idiota non se ne fosse andato: giusto per sottolineare che lei non si faceva condizionare da quello che usciva da quella bocca, «Ma non ti avevo detto di sparire? ».
«Tecnicamente no » rispose lui fingendosi pensieroso, «Mi hai detto che il tuo umore non è dei migliori, e starei comunque parafrasando ».
«Bene, allora chiarisco il concetto » rispose lei stizzita, «Evapora ».
«Per quanto il mio corpo sia composto per la maggior parte di liquidi, dubito fortemente di riuscire ad evaporare, Weasley » continuò Lorcan ben consapevole che presto la ragazza sarebbe esplosa: era così emotiva Roxanne.
«Scusa ma.. tu non ce l’hai un compagno da salvare? Una stanza da cercare? Una pluffa di meglio da fare che non sia stare qui a torturarmi?» ribatté la ragazza ormai vicina all’esasperazione o, in alternativa, al lanciargli una fattura, e non era detto che una delle due cose escludesse l’altra.
«Certo » annuì l’altro spostandosi di qualche passo per vedere a cosa fosse dovuto il baccano che proveniva dal corridoio, «Passavo di qui proprio per questo.. quelle armature le ha incantate la Harris, vero?».
«L’ho ipotizzato anch’io » sospirò lei, «Ma se stai cercando il tuo prigioniero: mi spieghi perché non mi hai chiesto se ne so qualcosa? Sai che l’obbiettivo del Challenge è trovarlo, il compagno che ti hanno rubato, sì? Lo sai vero? ».
Lorcan le lanciò un’occhiata indagatrice: tempo cinque secondi e stava di nuovo osservando con occhio critico l’interno del corridoio e Rox vedeva chiaramente, nella sua testa, le rotelle girare ad una velocità impressionante.
«Non l’hai preso tu » dichiarò dopo pochi attimi, senza nemmeno guardarla, «E quindi non l’hanno preso i Grifondoro.. meglio per me, presumo ».
«Come fai a dire che non ho io il Corvonero? » Roxie pareva piuttosto sorpresa da una deduzione così veloce e sì, così giusta.
«Se tu avessi Alex, a quest’ora mi avresti almeno stordito per paura di poter tradire i tuoi amici e rivelarmi qualcosa, invece mi pari piuttosto tranquilla, crisi di nervi a parte, si intende » snocciolò velocemente agitando piano la bacchetta per constatare che un incantesimo paralizzante, su quei cosi in movimento, non funzionava: sembrava decisamente un sadico incantesimo alla Harris.
«Io non ho una crisi di nervi!» protestò la Weasley spalancando gli occhi per l’indignazione, «Non so come passare dall’altra parte del corridoio, è diverso ».
«Non può essere così difficile » rispose il ragazzo sicuro provando con un altro incantesimo mormorato a fior di labbra: ancora niente.
Al quinto tentativo Roxanne decise di alzarsi, dimenticando i suoi buoni propositi di fare la muffa su quel pavimento fino a che il tipo non si fosse tolto dalle scatole, e gli si avvicinò tornando a guardare il suo incubo dell’ultima mezz’ora.
«Ho provato qualsiasi cosa » confessò lanciando un bombarda tanto potente che avrebbe volentieri abbattuto un muro e che invece si dissolse in una scintilla giallognola contro la corazza di un’armatura bassa e tozza, «Ad una ho dato persino fuoco: non ho nemmeno annerito il metallo ».
«Ma è passato qualcuno per di qua, giusto? Presumo che James e gli altri fossero con te..» buttò lì Lorcan, «Come hanno fatto a passare in questo inferno senza rimetterci un arto?».
«Eravamo in quattro e con una fattura orcovolante, volendo, si riesce ad allontanarle per sei secondi: loro tre andavano avanti a io continuavo a colpire quelle dietro, ma da sola non posso arrivare dall’altra parte ».
«Passare da un’altra parte? Ci sono un sacco di modi per.. ».
«Ma non esiste! » scosse la testa lei guardandolo come se fosse pazzo, «Non mi farò mettere i piedi in testa da un branco di ferraglia!».
«E allora dobbiamo trovare un modo per fermare queste cose assassine ».
«Non serve che tu stia qui, puoi tranquillamente seguire i tuoi amici al primo piano » e Lorcan la guardò stupito: quindi in realtà lo aveva sentito benissimo! Perché accidenti aveva aspettato che andasse lì a parlarle?
«No no.. ormai è diventata una questione di principio! Queste armature stanno ferendo il mio orgoglio di mago » rispose provando a bloccare uno di quei cosi con l’acqua.
«In realtà, se riuscissimo anche solo a rallentarle, una persona normale avrebbe il tempo di bloccarle e riuscirebbe a passare » aggiunse sovrappensiero e Roxanne, come folgorata si sbatte un cinquina sulla fronte, con tanta irruenza da rendere udibilissimo lo schiocco del palmo contro la testa.
«Sei masochista, Weasley? » azzardò Lorcan con un ghigno e la ragazza lo guardò un attimo male prima di sorridere entusiasta, dando vita a quella fossetta, proprio lì, a sinistra…
«Rallentarle! Basta rallentarle! » esclamò come se stesse svelando la verità rivelata, ma Lorcan ancora non capiva, «Cosa ferma il ferro? Cosa crea l’attrito in un meccanismo? La ruggine! E’ così stupido che non c’avevo pensato!».
«E sei così sicura che un’idea così stupida funzionerà perché..?» il ragazzo sembrava piuttosto scettico e non lo dava per niente a nascondere.
«Perché è un’idea idiota e perché se non dovesse essere così ho deciso che mi butterò lì in mezzo e la farò finita » concluse lei annuendo decisa e Lorcan cominciò a pensare ad un piano efficace per impedirle il suicidio: quando Roxanne Weasley diceva una cosa, poi la faceva, anche.
«Incrocia le dita Scamander » mormorò prima di puntare la bacchetta contro la prima statua, fare un grande cerchio con il polso e poi dare un leggero colpo in direzione di quell’armatura tozza contro cui non aveva potuto nulla prima.
Solo quando le braccia di quella cosa cominciarono a rallentare e le gambe corte cominciarono a inciampare su se stesse si permise di chiedersi come e perché, esattamente, Roxie conoscesse un incantesimo per far arrugginire il metallo, ed era certo che la spiegazione sarebbe stata anche piuttosto interessante.
«Chiedimi scusa » disse sicura Roxanne senza nascondere una nota di compiacimento  nella voce.
«Come prego?».
«Hai detto che la mia idea era idiota: chiedimi scusa ».
«Dai, non era un’idea tanto intelligente, ammettilo ».
«Non era solo intelligente, era persino geniale: ora chiedimi scusa ».
«Roxanne, non ti chiederò scusa per aver detto la verità ».
«Io ti do altri cinque secondi, poi, se non mi chiedi scusa, di addormento, ti lego e ti trascinò esattamente lì in mezzo » rispose tranquilla indicando il centro del corridoio dove i colpi delle armature infuriavano ancora, totalmente fuori controllo.
«Io non ti chiederò scusa ».
«Cinque..» cominciò con semplicità.
«E tu non stai facendo sul serio ».
«Quattro..» Lorcan cominciò a dubitare che stesse scherzando.
«Ti prego, Roxanne, non puoi davvero credere che io ti chieda scusa per una scemenza del genere!».
«Tre..» in fin dei conti quello che la Weasley diceva, poi, lo faceva, giusto?
«Oh insomma! Non ti ho nemmeno narcotizzata quando potevo! Dovrei essermi riconoscente!».
«Due..» e Lorcan lo sapeva quanto quella ragazza fosse veloce a lanciare incantesimi: non si sarebbe nemmeno accorto di cadere a terra come un salame, poco ma sicuro.
«E va bene! Non era un’idea idiota! Contenta?!» esclamò alla fine e la ragazza scoppiò a ridere: come conosceva bene i suoi polli.
Lorcan si voltò a guardala con un’espressione ironicamente sconfitta: quella fossetta era ancora lì.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Scale tra piano terra e primo piano, ore 03.00
Un lampo blu le bruciò una ciocca di capelli prima che Mordecai potesse trascinarla dietro ad una colonna: perché i Tassorosso fossero strenuamente convinti che Periwinkle Grey l’avessero presa loro era un mistero.
Riscossa dallo scontro che la sua schiena aveva avuto con la colonna quando il compagno di Casa l’aveva spinta lì dietro con poca grazia, prese con due dita i capelli che ancora fumavano e sapevano di un disgustoso aroma di pollo bruciato e impallidì: quell’incantesimo le aveva mangiato sei centimetri di chioma perfetta.
Maledetto Bones!
«Brutto deficiente! I miei capelli! » sbraitò, ormai fumante quanto la sua testa, decisa più che mai a lanciarsi su per le scale e cambiare i connotati a suon di bacchetta a quell’inutile essere che aveva osato attentare ai suoi capelli.
Fortunatamente Mordecai intuite le sue intenzioni, appena la vide uscire dal loro rifugio, la prese per la vita e la ritrascinò al sicuro, giusto un secondo prima che un incantesimo simile al precedente le mandasse davvero a fuoco tutta la testa.
«Katherine, calmati, ora » la riprese il ragazzo cercando di inchiodarla alla parete con la forza dei suoi occhi verdi, palesemente irritati: lei smise di brontolare solo perché sperava che il compagno se ne uscisse con un piano intelligente per permetterle di ottenere la sua vendetta.
Lo vide lanciare un’occhiata a Xavier Knight, acquattato dietro ad una delle due teste del corrimano di marmo che stava ai lati delle scale: per ora era in un punto cieco alla vista dei Tassi ma se le scale avessero deciso di girare, come era successo già un paio di volte dall’inizio di quello scontro, sarebbero stati davvero nei guai.
La Wetmore si ritrovò a pensare a quanto tutta quella maledetta situazione fosse surreale: loro, tre Serpi decisamente propense alla violenza, costrette dietro a dei blocchi di pietra da quattro Tassi che sembravano assatanati, tra cui un Charles Bones deciso ad avere il loro scalpo.
Quanto melodramma solo perché gli avevano rapito la fidanzata!
«Allora, l’unico modo di uscirne tutti e tre interi è quello di scappare » concluse Mordecai dopo una breve riflessione, «Loro hanno il vantaggio dell’altezza, e possono prendere la mira con tutta la tranquillità che vogliono, noi invece non possiamo nemmeno alzare la testa senza rischiare che ce la prendano in pieno ».
 «Tu sei pazzo » brontolò Katherine sporgendosi appena per lanciare uno scudo che potesse impedire a Xavier di essere colpito da non voleva nemmeno più sapere cosa.
«Quello lì mi ha bruciato i capelli: esigo vendetta, chiaro?» continuò risoluta senza paura di sostenere lo sguardo dell’altro.
A causa della lingualunga di Katherine, tra loro due non scorreva buon sangue da un po’ di tempo, e nessuno era stato entusiasta quanto Damian aveva annunciato che lui e Charity avrebbero cercato da una parte e loro tre sarebbero andati nella direzione opposta.
Ma erano una squadra e volevano vincere: tanto bastava a legarli a dovere.
«Non possiamo rischiare di starcene qui in eterno: dobbiamo cercare la base dei Corvonero e potrebbe davvero essere uno qualsiasi degli antri di questo castello, lo capisci, sì?» rispose infastidito dall’infantilismo della compagna.
Kath non ebbe il tempo di ribattere a tono che un gemito parecchio sofferente di Xavier li costrinse a guardare oltre il profilo della colonna, giusto in tempo per vedere le scale muoversi di nuovo e il corpo del loro compagno di Casa volare giù dalla prima rampa per atterrare con un tonfo poco rassicurante contro il pavimento: la ragazza strizzò gli occhi al suono di ossa rotte e da come si era spiaccicato poteva già fare una diagnosi.
Un braccio era andato.
«E adesso?» chiese Mordecai guardandola come a voler dire: contenta? Per colpa tua Xavier è fuori uso!
Katherine, stizzita da quel suo trattarla come una bambina di tre anni solo perché il suo passatempo preferito era spettegolare sull’amore della sua vita, gli fece una bella linguaccia.
Maledetto Challenge.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Corridoio del secondo piano, ore 04.23
«Porca Morgana che schifo » la faccia disgustata e allibita di James Potter era tutta un programma, di fronte ad un corridoio imbrattato di letame con un Frank  Paciock e un Oliver Cromwell ricoperti di sterco dalla testa ai piedi.
Chi diamine poteva essere tanto meschino da trasfigurare della cacca?!
«Fermi lì » intimò Jade tappandosi il naso con una mano quando i due accennarono ad avvicinarsi: puzzavano talmente tanto da far lacrimare gli occhi e Roxanne era prossima a dare di stomaco.
La ragazza dovette ricorrere a sei gratta e netta di quelli potenti e un incantesimo floreale per fargli assumere un odore vagamente accettabile prima di permettergli di avvicinarsi senza rischiare o di accecarli o di farli vomitare.
Che poi, le sarebbe piaciuto sapere a chi, esattamente, dei due, era venuta l’idea di bombardare un mostro fatto di letame!
«Tirando le somme di questo schifo » disse Elijah incapace di staccare gli occhi dallo stato pietoso in cui versavano le pareti del corridoio, le finestre e tutto il resto, certo che alla McGranitt sarebbe venuto un colpo di fronte a un tale disastro, «Ian l’hanno preso i Serpeverde, giusto?».
Frank annuì convinto e Rowena si affrettò a spiegare davanti alla faccia un pochino perplessa di Oliver e Roxanne che ancora non avevano capito.
«Allora, se noi abbiamo Nott e voi non avete Alex, secondo logica, vuol dire che ce l’hanno i Tassorosso. Ma se voi avete la Grey e noi non abbiamo Clow, significa che ce l’hanno i Serpeverde.. Il che vuol dire..».
«Ce l’hanno i Tassi! » la fermò Lorcan sbucando dalle scale tutto entusiasta prima di bloccarsi orripilato di fronte ai suoi amici, «Mio..bleah! Che diamine è successo qui?!».
«Facciamo che te lo spiego dopo, eh, Lo?» rispose Oliver mettendosi a pulire le lenti degli occhiali con l’orlo del maglione.
«Va bene ma.. perché odori di rancido? » volle comunque informarsi il biondo avvicinandolo e Cromwell sospirò afflitto mimando con le labbra un dopo che voleva porre fine a varie ed eventuali domande.
«Comunque, cari Grifondoro, ho trovato Bones mezz’ora fa e credo voglia appendervi per il collo da qualche parte » aggiunse lo Scamander lasciando perdere il caos che li circondava.
«Charlie non è una persona violenta » gli fece notare James incrociando le braccia al petto, con una sicurezza mostruosa e a Lorcan non servi nemmeno mezzo secondo per capire che le cose, tra i Grifoni, si erano sistemate e che sì, la prima partita della stagione di Quidditch che dovevano giocare quel week-end, l’avrebbe persa miseramente.
«Tu pensala come vuoi, ma io l’ho appena visto mandare a fuoco i capelli della Wetmore » rispose il Corvonero tranquillo e Roxanne scoppiò a ridere come un’ossessa seguita a ruota da un Elijah a cui lacrimavano persino gli occhi.
«Ma.. hanno preso fuoco, fuoco? » volle informarsi Jade lievemente preoccupata e Lorcan annuì unendosi alla contagiosa risata degli altri due.
«Mordecai ha spento subito le fiamme, ma credo che da oggi in poi vedremo una Katherine Wetmore con un bel taglio a caschetto ».
«Andrà fuori di testa.. » constatò Rowena per nulla turbata, in una semplice constatazione, pensando a quanto, una Wetmore arrabbiata, potesse provare a rovinarle la vita più di quanto già non facesse quella normale, con tutti i capelli stirati e perfettamente in ordine.
«Beh.. se non altro è un vantaggio per noi: con la Wetmore fuori uso, abbiamo un problema in meno, no?» commentò prontamente Elijah beccandosi un pugno sul braccio da Jade.
«Non si marcia sulle disgrazie altrui » lo rimproverò tra gli sbuffi di una Roxanne che le intimava di smettere di fare la perbenista.
«Ora ci manca solo trovare la base di Serpeverde » sospirò Frank e Roxanne scosse la testa.
«Tu con quell’odore osceno, con me, non vieni ».
«Roxie, non puoi lasciarmi da solo!» protestò Paciock ed Elijah si massaggiò le tempie pronto a sorbirsi la discussione che avrebbe portato, nonostante quanto ne potesse pensare la mora, quei due a lavorare insieme.
«E allora togliti questo.. Merlino! Non è nemmeno un odore è un insulto all’olfatto!».
Nel mentre che i Grifondoro cercavano di mettersi d’accordo sul da farsi i tre Corvonero cominciarono a dileguarsi silenziosamente, tirando ciascuno un sospiro di sollievo: almeno la sorte aveva voluto dargli una possibilità mettendoli contro i Tassorosso.
Forse, e solo forse, Molly non avrebbe avuto alcun motivo per ucciderli.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sotterranei, ore 06.16
Damian costrinse Charity ad appiattirsi contro il muro bloccandola con un braccio all’altezza delle spalle, intimandole di non fare nessun rumore.
Avevano capito che Joshua era stato preso dai Corvonero, con suo sommo stupore, quasi due ore prima, e tutto il resto del tempo l’avevano perso per cercare la base di quei maledetti sapientoni, con l’unico risultato di aver trovato le postazioni di tutte le altre squadre meno che di quella che serviva a loro: i Grifondoro nell’aula di Incantesimi e i Tassorosso nell’osservatorio di Astronomia.
Quando aveva capito che l’unico posto che non aveva ancora controllato era l’aula di Pozioni, si era sentito un idiota: in fin dei conti gli era sembrato ridicolo andare a cercare proprio lì, in uno dei luoghi più cari a Serpeverde, sottoterra.
Charity si guardò intorno attenta, con la bacchetta tenuta lungo il fianco sinistro, giusto per non rischiare di colpire Damian per sbaglio, in caso ci fosse stato il bisogno di difendersi.
Per quanto paresse strano, fino a quel momento, non erano ancora venuti alle armi con nessuno, nonostante Damian smaniasse ormai da ore per un po’ di sana e liberatoria lotta, cosa che, al contrario, la ragazza voleva in ogni modo evitare.
Erano due persone agli antipodi, Charity Lodge e Damian Zabini: due persone che in comune sembravano avere solo la divisa e lo stemma sul maglione, ben meritato per altro, visto che erano, e ormai nessuno osava metterlo in dubbio, due autentiche Serpi.
Eppure, nonostante non avessero punti in comune, né fisicamente: dove uno aveva la pelle scura l’altra ce l’aveva chiarissima, dove uno aveva i capelli neri, l’altra li aveva biondi e dove uno aveva gli occhi neri come il carbone, l’altra li aveva azzurro cielo; né tantomeno caratterialmente, perché tra la passione di Damian per l’attività fisica e quella di Charity per la manicure scorreva un abisso, quei due intrattenevano una sorte di relazione da diversi anni.
E si parla di sorta di relazione perché, sembrava brutto a dirsi, ma l’unica cosa in grado di tenerli vicini pareva essere lo scopare come conigli.
Che poi, in realtà, nemmeno loro due erano ancora riusciti a capire dove finisse il loro patto di essere scopamici e dove cominciasse qualcosa di più, perché dopo anni, qualcosa era anche cominciato solo che nessuno dei due voleva interrogarsi su cosa, esattamente, fosse.
Così, schiacciati contro il muro, con i nervi tesi al massimo e un incantesimo qualsiasi sulla punta della lingua, rimasero in silenzio per un paio di minuti, il tempo di sentire dei passi rimbombare, leggeri, tra le pareti e il soffitto di pietra.
Il primo lampo partì dalla bacchetta di Damian non appena un’ombra scuro girò l’angolo.
«Zabini, abbassa il tiro: sono io » la voce atona di Mordecai Faraday fece tirare a Charity un sospiro di sollievo e una mezza imprecazione al fidanzato che sotto sotto sperava davvero che fosse finalmente arrivato il momento di prendersela con qualcuno: magari uno di quei Corvi che gli aveva così stupidamente rubato Josh.
«Mord, dove sono Katherine e Xavier?» si informò immediatamente Charity non vedendo la faccia insofferente della sua migliore amica nei paraggi, e tantomeno quella del silenzioso Knight.
«Li ho portati in Infermeria » e prima che Damian potesse chiedere spiegazioni il ragazzo si affrettò a spiegare, «Abbiamo incontrato i Tassorosso sulle scale tra il piano terra e il primo piano e Bones era convinto che la Grey l’avessimo presa noi, così ha cominciato ad attaccarci senza riserve.. Xavier è caduto giù da una rampa di scale e si è fratturato il braccio destro in tre punti e Katherine.. » tentennò un paio di secondi, indeciso se scoppiare a ridere o meno, perché, si per sé, la scena era stata esilarante: optò per la solita espressione neutrale mentre diceva, «A Katherine hanno bruciato i capelli ».
Tempo di realizzare cosa avesse detto e Damian stava già crepando dal ridere lungo la parete mentre Charity sbiancava boccheggiando, incredula.
«Ma sta bene? » chiese con un filo di voce, tirando un calcio ben piazzato sugli stinchi al capitano di Serpeverde che non la smetteva di sganasciarsi.
«Sì sì.. ho spento subito il falò.. aveva solo le orecchie bruciacchiate ma la signorina Talleyrand ha detto che con una pomata di iperico si sarebbe sistemato tutto nel giro di un paio d’ore, disgraziatamene, però, non può farle ricrescere i capelli con la stessa velocità ».
«Quanto corti, i capelli? » azzardò la bionda pronta ad avere un mancamento e Mordecai storse le labbra meditabondo.
«Appena sotto le orecchie, mi pare.. ».
«Andrà fuori di testa..» sospirò Charity prima di voltarsi verso la porta dell’aula di Pozioni, a meno di cinque metri da loro, «Andiamo a prenderci Joshua e facciamola finita: Serpeverde non può farsi mettere sotto dalle altre Case in questa maniera ».

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Aula di Trasfigurazione, ore 07.30
Ian si ritrovò con la faccia schiacciata contro il pavimento per la seconda volta in meno di dodici ore e si rese conto che quella, decisamente, non era la sua giornata.
Come fosse finito di nuovo in una posizione del genere, scomodissima per altro, perché ancora legato ad una sedia che gli stava schiacciando le costole e privo delle corde vocali, non sarebbe stato troppo difficile indovinarlo.
Dopo ben.. no, non sapeva le ore precise ma era certo fossero abbastanza, visto che il sole baluginava già da un po’ nei finestroni alla sua destra quando la porta dell’aula era saltata in aria, scivolando giù dai cardini come se fossero stati ridotti a burro: finalmente i suoi amici erano venuti a recuperarlo con un assalto degno di un’armata.
Peccato solo che Farah Akkarai e Gregory Hough non fossero esattamente due zollette di zucchero e fossero stati ben pronti a far sputare sangue a chiunque avesse osato passare la soglia della loro base.
Non sapeva come se l’erano cavata le altre Serpi ma poteva dire con sicurezza che in difesa erano messi proprio bene.
Il primo affondo aveva fatto volare Roxanne fuori dalla porta in un battito di ciglia, nemmeno il tempo che sarebbe servito alla ragazza, di per sé velocissima, per difendersi ed evitare di finire gambe all’aria.
Il secondo, ad opera probabilmente di Elijah, non era riuscito a vedere bene, aveva costretto Hough ad indietreggiare di solo mezzo metro.
Non sapeva esattamente se il quinto o il sesto, ad opera, tra l’altro, dei suoi salvatori, l’aveva costretto a spostarsi e gli aveva fatto perdere l’equilibrio, costringendolo alla posa indecente in cui stava in quel momento, guardando una Roxanne, tanto simile al diavolo della Tasmania che quasi gli venne da ridere, avventarsi su quella Serpeverde che impassibile le teneva testa da dieci minuti buoni.
Ian sbuffò cercando di smuovere i nodi che gli legavano i polsi: se almeno quei tre idioti si fossero degnati di liberarlo forse avrebbe anche potuto dare una mano, forse.
Vedendo comunque che nessuno lo badava, decise di sfoggiare tutta la sua inventiva per cercare di prendere la bacchetta che teneva nella manica del maglione: si sarebbe liberato da solo.
«Maledizione James! Schiantalo! » sentì urlare Elijah mentre si lanciava dietro la cattedra di Eastwood con un balzo disperato, schivando una scia di origami pronti a mitragliarlo ma che, fortunatamente scoppiarono contro la superficie scura della lavagna in un puff.
«Non posso, Eli! Mi piacerebbe ma non posso! » rispose provando a colpirlo con una pastoia che fu abilmente deviata verso una Roxanne che la schivò di un soffio e grazie ad una botta di fortuna.
Ian, intanto, li sentiva sbraitare come indemoniati e no, non voleva credere che stessero davvero perdendo in tre contro i Serpeverde: non lo voleva nemmeno pensare!
Rischiando di slogarsi una spalla, comunque, era riuscito a far scivolare la bacchetta fino alle mani legate e a farla uscire dall’intoppo fornito dalla stoffa del maglione e stava cercando di tagliare le corde senza affettarsi i polsi.
«Rox! Abbassati! » disse Elijah sbucando in un lampo dal suo nascondiglio solo per provare a colpire la Akkarai, inutilmente, visto che quella ragazza metteva su scudi con una velocità indescrivibile e l’incantesimo non fece altro che andare a schiantarsi, di nuovo contro la lavagna, incrinandone la superficie.
Ian si fece i complimenti da solo quando fece addormentare la Serpeverde con un semplice colpo di bacchetta e uno sguardo di rimprovero ai tre idioti che, spaesati, stavano per essere narcotizzati con altrettanta facilità da Hough.
Per fortuna, Elijah reagì e lo disarmò prima che potesse colpire.
«Ce ne avete messo di tempo » borbottò Ian con la voce roca per il troppo silenzio a cui era stata costretta, spolverandosi i pantaloni.
«Abbiamo avuto qualche, ehm.. contrattempo » provò a giustificarsi James e Ian lo guardò interrogativo, oscillando lo sguardo tra i tre Grifondoro, che guardavano ovunque meno che nella sua direzione.
«Cosa intendi per contrattempo, Jam?».
«Mah.. niente di che.. un corridoio di armature impazzite.. » cominciò contando sulle dite tutte le disavventure che avevano dovuto affrontare per arrivare fino a lì, «Un mostro di letame impazzito.. Charlie Bones completamente impazzito.. ».
«Un trio di mollicci impazziti.. » aggiunse Roxanne diligentemente e James annuì sorridendo al ricordo del cavallo di Elijah che ballava la samba con un gonnellino all’hawaiana.
«In definitiva era tutto molto impazzito a questo Challenge » concluse Eli battendogli una mano sulla schiena con lo scopo di fargli sputare almeno un polmone,
«Ora, caro il nostro ostaggio, dobbiamo riportarti alla base! Pronto a fronteggiare una gigantesca mantide religiosa? » chiese James spensierato scavalcando la porta, ancora a terra.
«Perché una mantide religiosa? ».
«Perché dubito che quando i mollicci vedranno Roxanne riusciranno a trasformarsi in qualcos’altro » rispose James a mezza bocca per non farsi sentire dalla cugina ed Ian scosse la testa alzando gli occhi al cielo.
Se non altro il suo karma si era risparmiato il colpo basso di mandare quella ragazza a salvarlo..
«Tra l’altro.. Jade dov’è? ».
«Dovrebbe essere in giro con Frank.. non sapevamo se fossi qui o alla torre di Astronomia e ci siamo divisi » rispose tranquilla Roxanne mentre uscivano.
Direnzione: aula di Incantesimi.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Infermeria, ore 08.02
Jade trattenne un gemito mentre la dolce signorina Talleyrand procedeva ad estrarre ad uno ad uno le spine di quella pianta assassina che, molto probabilmente il professor Paciock, aveva fatto crescere sotto le scale che conducevano all’osservatorio e che le aveva stritolato il braccio con cui teneva la bacchetta quando ormai di era ritrovata al decimo scalino, costringendola ad avere altrettanti di quei cosi piantati nelle gambe per poter scendere.
L’infermiera le aveva detto che tutto sommato era stata anche fortunata ad arrivare lì così velocemente, perché quel genere di spine, nella fattispecie, avevano la caratteristica di aprirsi nella carne dopo un’ora e allora toglierle le avrebbe fatto ancora più male.
Come se quello che le stavano facendo in quel momento non fosse già abbastanza..
«Manca ancora molto? » chiese con un filo di voce mentre la sentiva armeggiare con la carne della spalla e le stava facendo davvero troppo male rispetto al resto del corpo: che quei maledetti cosi si fossero aperti?
No, non ci voleva pensare.
«Abbiamo quasi fatto, signorina » sorrise gentilmente la donna strappandole un altro singhiozzo soffocato e dolorante, «Ma non lo sapeva che per assopire l’Euphorbia aculea basta cantare? ».
«No.. o almeno » lanciò un’occhiataccia a Frank che sedeva davanti al suo letto con un’espressione veramente dispiaciuta a decorargli la faccia, «Qualcuno si è dimenticato di dirmelo ».
«Mi dispiace » mugugnò Frank appoggiando il viso sulle braccia incrociate sopra il fondo del letto: Evangeline gli avrebbe fatto una ramanzina chilometrica per aver permesso a Jade di farsi male.
«Non stia a cruciarsi, signor Paciock » sospirò la donna prendendo a spalmare un unguento fresco al profumo di mirtillo sui muscoli ancora tesi del braccio destro, così come aveva fatto sulle gambe prima di fasciarle e Jade si permise di chiudere gli occhi: la tortura era finita.
«Per quanto riguarda lei, signorina » disse la Telleyrand prendendo a scribacchiare qualcosa su un blocchetto che teneva in una delle due enormi tasche del grembiule bianco che indossava, «Sono spiacente di dirle che gambe e braccio vorrebbero rimanere in osservazione da me fino a stasera, purtroppo l’Euphorbia è una pianta che può mostrare i suoi effetti a lungo termine e questi variano da individuo ad individuo: non vorrei mai che entrasse in stato di shock o cominciasse a diventare blu tra i corridoi del castello ».
«Ma signorina! La premiazione del Challenge! » protestò tirandosi a sedere con uno scatto, incurante della spalla che le lanciava fitte piuttosto intense, «Non posso perdermela! ».
«Suppongo che il signor Paciock dovrà venire a raccontargliela » concluse la donna sistemandosi i capelli argento nella crocchia dove li teneva, «Mi dispiace, ma lei occuperà stabilmente quel letto almeno fino a stasera ».
Detto fatto la signorina Talleyrand si dileguò prima che potesse continuare a protestare e andò verso un letto in fondo a destra, dove una Tassorosso stava cercando di non cedere al pianto ma si limitava a fissare il soffitto con due occhi grandi quanto le sfere di divinazione.
Da quel poco che aveva capito un Corvonero le aveva fatto crescere i denti in maniera spropositata e poi, un suo compagno di Casa, aveva provato a farglieli tornare normali con l’unico risultato di farli definitivamente sparire, i denti.
Ed ora il processo di ricrescita doveva essere davvero doloroso.
Jade sospettava che non urlasse solo per una questione di dignità.
«Mi dispiace davvero tanto, Jay » biascicò di nuovo Frank, «Non mi ero reso conto che fosse Euphorbia ».
«Non importa, Frankie » sorrise appena, «Quanti possono dire di essere stati assaliti da una pianta per non aver cantato una stupidissima canzone? Sarà qualcosa di divertente da raccontare ai miei nipoti ».
«Mi farò perdonare, lo giuro » ridacchiò il ragazzo alzandosi, «Ora vado.. vedo se c’è ancora bisogno di una mano, va bene? ».
«Distruggete chiunque vi capiti a tiro, Frank!» lo salutò lei mentre spariva oltre i portoni si legno spessi almeno dieci centimetri.
Jade si guardò intorno un attimo: non aveva mai visto così tanta gente in infermeria in una volta sola.
Nemmeno quando c’era stata l’epidemia di Influenza intestinale al suo terzo anno.
E lei, giocando a Quidditch, in infermeria, c’era stata davvero parecchie volte.
Una volta, prendendo un bolide dritto in faccia, avevano dovuto ricostruirle le labbra e il naso: aveva anche una piccola cicatrice sopra il labbro, piccola piccola, a dimostrarlo.
Poi c’era stato il polso slogato.
La spalla dislocata.
Il femore crepato.
Insomma, i lettini dell’infermeria erano stati casa sua per più volte nel corso degli anni.
Eppure non aveva mai visto un tale caos.
Oltre a lei, c’erano anche: Xavier Knight, di Serpeverde, con un braccio rotto, la Tassorosso di prima che, se non sbagliava, doveva essere Diane Boot, Paul Jones, Corvonero, con la faccia ricoperta di bruciatore e senza sopracciglia, il Kyle Sanders che Jade evitava da due settimane ma che, per sua fortuna, dormiva profondamente, e infine Katherine Wetmore, che ancora non aveva avuto occasione di vedere in faccia perché nascosta dietro il rigido tessuto delle tendine della lettiga di fronte alla sua.
Xavier, che per essere un Serpeverde era stato piuttosto disponibile a spiegarle la situazione, le aveva raccontato che Bones le aveva incendiato i capelli e ora, la Wetmore, non voleva farsi vedere da nessuno.
Jade sospirò lasciando che la testa bionda affondasse nei cuscini: ridendo e scherzando, quel Challenge, si era dimostrato un’ecatombe e lei non poteva fare a meno di sentirsi tremendamente frustrata per essere finita lì, a fare il vegetale su un lettino.
E faceva il vegetale per colpa di un vegetale.
Scoppiò a ridere senza nemmeno rendersene conto: benedetto Challenge.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Infermeria, ore 20.09
Alla fine non avevano vinto, nonostante le spine, il letame e le lacrime, non avevano vinto ma avevano accusato il colpo con tutta la dignità di un Grifondoro e la sicurezza che quei sessanta punti li avrebbero recuperati con la Coppa del Quidditch e quella no, nessuno di loro, era disposto a lasciarsela sfuggire.
Persino James che, generalmente, non si esponeva mai troppo per scaramanzia, aveva detto che se avessero mantenuto il gioco che gli aveva visto in allenamento, non avrebbero avuto troppi problemi a vincere contro le altre Case.
In compenso prima era arrivata la Casa di Corvonero con un Lorcan Scamander che andava a prendere in lacrime la coppa del Challenge e una Molly Weasley che decideva di lasciarsi andare per la prima volta in tutta la sua vita.
Loro erano arrivati secondi per qualche minuto: tutta colpa della mantide religiosa di Roxanne, aveva detto Elijah contrariato, ma nessuno ne aveva fatto una colpa a nessuno.
Comunque, la McGranitt, aveva deciso di assegnar loro quaranta punti e tutti sapevano che avrebbero fatto comodo con la Harris che metteva Scorpius in punizione un giorno sì e l’altro pure, con Hugo Weasley che aveva il vizio di addormentarsi durante le lezioni di Divinazione e James e Eli che avrebbero sicuramente fatto saltare in aria qualcosa prima di Natale.
Il terzo posto era spettato a Tassorosso e le avevano riferito lo sguardo trasognato di Charlie Bones che per tutto il pranzo e la cena aveva tenuto stretta la fidanzata, nemmeno fosse davvero scampata a morte certa.
Sui Serpeverde ultimi in classifica non si era dilungato troppo nessuno, ma avevano detto che Zabini aveva fatto esplodere più di qualche bicchiere durante le premiazioni e se Jade lo conosceva abbastanza, dubitava che gli sarebbe passata tanto presto.
Finì di infilarsi le scarpe e ravvivò con una mano i capelli: finalmente, dopo aver passato anche la cena in quella stanza asettica, la Talleyrand le aveva dato il permesso di tornare al suo dormitorio e lei non vedeva l’ora di farlo.
La spalla le bruciava ancora un po’, ma almeno non le era venuta la febbre o chissà che altro: alla fine era davvero stata fortunata a liberarsi dei pungiglioni dell’Euphorbia senza nessun effetto collaterale.
Avrebbe comunque riscosso quel favore che Frank le aveva promesso perché quei cosi nella carne le avevano fatto un male cane.
Era pronta ad andarsene quando sulla soglia dell’infermeria vide un ragazzo, alto, capelli scuri: Ian.
«Come mai da queste parti? Pensavo fossi salito con gli altri in dormitorio » mormorò Jade avvicinandosi e il ragazzo le sorrise, tenendo le mani in tasca, il peso del corpo leggermente spostato in avanti, come se dovesse cominciare a dondolare sui talloni da un momento all’altro.
«Sono venuto a prenderti, no? Non si lasciano da soli i degenti » ghignò beccandosi un pizzicotto sul braccio.
«Non sono degente, sono stata assalita da una pianta, è diverso » volle sottolineare la ragazza e Ian si mise a ridacchiare, piano, per non attirare l’attenzione dell’infermiera che stava lavorando nel piccolo ufficio in fondo alla stanza.
«Sarà una cosa divertente da raccontare ai tuoi nipoti: cari, vi racconterà di quella volta che la nonna è stata assalita da un rampicante.. » la risata si fece appena più forte, «Sai cosa avresti dovuto cantare? I will survive: secondo me le piante avrebbero apprezzato almeno l’intenzione ».
«Di un po’.. sei venuto qui per fare lo stronzo o per accompagnarmi in dormitorio? » chiese lei puntando le mani sui fianchi snelli.
«In realtà sono venuto qui per dirti che mi dispiace » mormorò guardandola finalmente negli occhi e Jade capì che il momento degli scherzi era finito: la voce le morì in gola insieme a quel velo di pace con cui era riuscita ad avvolgersi.
«Mi dispiace di aver scelto Gwen quando potevo scegliere te.. Mi dispiace di aver avuto paura di scegliere te.. » no, Jade non ce la faceva a staccare gli occhi dai suoi, non era più capace già da un po’: «Ma mi manchi, Jay, mi manca la mia migliore amica, mi manca la persona con cui potevo parlare di tutto o niente per ore e non posso far finta di niente.. Credevo di esserne capace, credevo fosse la cosa migliore ma.. non ci riesco.. e mi manchi ».
Jade le sentì le lacrime che premevano per uscire, le sentiva sul serio, ma non le avrebbe fatte uscire: perché anche lui le mancava terribilmente, maledizione, era sempre Ian, non avrebbe potuto cancellarlo dalla sua vita neanche volendo.
Orami le era entrato sotto la pelle.
«Non tornerà tutto come prima, Ian » mormorò con tutta la forza di volontà che possedeva in quel momento, combattendo contro la forza di dirgli che non era cambiato niente, che sarebbe andato tutto bene: perché alla fine non era vero, e dicendolo avrebbe sofferto solo, di nuovo, lei.
«Ma possiamo provare a ricominciare » aggiunse dopo un silenzio che riuscì a farsi davvero sentire sulle spalle, sulle mani, sulla testa che non era mai stata tanto pesante, «Possiamo provare ad essere di nuovo semplici amici: alla fine non è successo niente di così eclatante, no? ».
E’ successo che mi sono innamorato di te, pensò Ian, ma si trattenne bene dal dirlo perché sapeva che la risposta non sarebbe piaciuta a nessuno dei due.
L’hai detto troppe volte perché io possa crederti.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Infermeria, ore 20.59
«Non ti pare di esagerare? » la voce ironica e per nulla comprensiva di Joshua Nott la costrinse a nascondersi ancora di più sotto le coperte.
Non stava male, le ustioni erano guarite alla perfezione, ma aveva implorano la signorina Taleyrand di lasciarla lì almeno fino al giorno successivo: doveva riuscire a scendere a patti con lo stato pietoso dei suoi capelli prima di affrontare qualcuno.
L’infermiera aveva acconsentito anche se con qualche parola poco gentile sui giovani e sull’importanza dell’aspetto esteriore.
E lei avrebbe voluto spiegarle che l’aspetto esteriore valeva parecchio nel suo mondo, ma si era trattenuta per non finire fuori da quel letto e da quelle tende.
E credeva davvero di essersi salvata, almeno per quel primo giorno di Novembre, dagli occhi di tutti.
Non aveva messo nell’equazione Joshua Nott che probabilmente era arrivato lì con l’intento tutt’altro che nobile di infierire.
Dannata Serpe..
«Dico sul serio Wetmore: sono solo capelli » continuò e Katherine lo sentì vicino, troppo vicino, mentre il frusciò delle tende copriva i pochi passi che doveva aver fatto per arrivare a lato del letto.
«Non sono solo capelli.. Sono i miei capelli » borbottò tenendo la testa nascosta tra i due cuscini: odiava troppo quel ragazzo per riuscire a starsene lì buona e ignorarlo.
«Che siano sulla tua testa o su quella di qualcun altro restano capelli » sentì il materasso abbassarsi appena e le coperte tendersi all’altezza delle gambe: quel disgraziato si era pure preso il permesso di sedersi sul suo letto.
«Perché sei qui? » stesso tono rantolante di prima e Nott pensò che sì, Katherine sarebbe stata una grande attrice melodrammatica, volendo.
«Mi ha mandato Charity: lei è troppo impegnata a tenere tranquillo Damian.. L’ultimo posto non gli è proprio andato giù.. » sospirò il ragazzo scuotendo la testa, rassegnato a tanta idiozia generale: tra Dam che voleva far esplodere i tavoli delle altre Case, la Wetmore che si rifiutava di alzarsi da quel letto per un taglio di capelli e Charity che aveva chiesto proprio a lui di andare a recuperarla in infermeria, proprio non sapeva chi salvare.
«Potevi tenerlo tu Damian tranquillo » protestò l’altra con la testa ben schiacciata tra le piume dei guanciali e Josh si permise una smorfia disgustata.
«Di un po’? Che rapporto credi abbia io con Damian? Certe cose le lascio volentieri alla Lodge » sentì la risata soffocata di Katherine emergere da sotto i cuscini.
«Adesso, per favore, tirati su che ti porto in dormitorio » aggiunse vagamente annoiato, «Non sopporto gli atti gratuiti di vittimismo ».
«Io non sto facendo la vittima! » e presa da uno scatto d’ira si dimenticò per due nanosecondi dello stato pietoso della sua testa e scatto a sedere, arrivando a venti centimetri dal brutto muso e dagli occhi verdi di Nott.
Chissà poi quando si era accorta che quegli occhi erano verdi..
«E se provi a ridere ti sgozzo » aggiunse rendendosi conto dell’errore madornale che aveva fatto e vedendo l’ombra di un sorriso curvare le labbra di Joshua, che in realtà era solo felice che avesse smesso di fare lo struzzo, nascondendosi tra le lenzuola.
«Pensavo molto peggio » constatò inclinando appena la testa verso destra: la Talleyrand aveva fatto proprio un bel lavoro nel regolarli e tutto sommato, così corti, non le stavano nemmeno troppo male.
Chissà che così non arrivi più ossigeno al cervello, pensò Josh ma preferì tacere: doveva portarla in dormitorio, non litigarci fino alla nausea.
«Non è questione di meglio o peggio! » pigolò lei sull’orlo delle lacrime, «E’ una catastrofe! Sono i miei capelli, capisci? Cosa faccio adesso con questo cespuglio, me lo spieghi?!».
«Adesso? Adesso ti alzi da questo letto e mi segui fino in dormitorio » rispose Nott tranquillo e lei sbuffò per niente convinta.
«Ok, mi alzo e torno in dormitorio.. E poi?».
E Joshua Nott fece l’ultima cosa che chiunque sul pianeta si sarebbe aspettato potesse fare in una situazione del genere, con una Katherine Wetmore disperata davanti a lui: le scompiglio semplicemente i capelli con una mano.
«E poi i capelli ricrescono, Kath ».

Hey!
Don't listen to a word I say
Hey!
The screams all sound the same.
Hey!

Though the truth may vary
this ship will carry our bodies safe to shore.
(Little talks- Of Monsters and men )






Note di un'autrice sull'orlo di una crisi di nervi:
Salve a tutti :) felice anno nuovo a tutti quelli che sono arrivati fino a qui e hanno letto questo capitolo che beh..è lunghissimo!
Sul serio! E' il più lungo che io abbia mai pubblicato finora! E' che proprio non riuscivo a fare a meno di niente e mi stavo divertendo così tanto a scriverlo e più scrivevo e più mi venivano in mente dettagliuzzi da aggiungere e beh... spero solo di non aver esagerato e che non vi abbia deluso, io di mio c'ho messo l'impegno :) :)
Piccole curiosità: la pianta di Euphorbia esiste davvero, non è magica, non si muove, non è velenosa e non è un rampicante, però ha le spine :) in particolar modo mi riferisco all'Euphorbia milii, nota anche come Spina di Cristo...u.u..
Lo stesso vale per l'iperico, è una pianta usata davvero per le scottature e anche come antidepressivo..u.u..
Per quanto riguarda il mostro di letame..un ringraziamento speciale va alla peste a cui faccio ripetizioni e che non ha fatto altro di parlarmi di cacca per tutto lo scorso pomeriggio: se avete qualcosa da ridire a tal proposito prendetevela con lui!
Bene, io direi pure che ho finito :) un ringraziamento speciale va a chi ha recensito, a chi ha messo la storia tra le preferite e a chi tra le seguite :) Vi Voglio Tanto Beneeeeeeeeeeeeeeee :)
Ovviamente ringrazio anche chi legge e basta :) Voglio bene anche a voi!!
Detto fatto, ci vediamo domenica, se lo studio non mi uccide prima ;D

Tanti baciotti,


Najla














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Capitolo 12
*** Quando il mondo comincia a cadere ***


Note dell'autrice che nonostante le avversitò, ce l'ha fatta!
Allora, le note sono all'inizio perché quando arriverete alla fine di questo capitolo vorrete tutti/e uccidermi e ve ne fregherete altamente delle note, credetemi..
Primo, ci tengo a precisare che se organizzate una spedizione di massa e mi uccidete..beh, la storia non va avanti e non saprete mai come va a finire..u.u...( pensate a questo prima di impugnare i forconi..)
Secondo, come avevo annunciato, questo è il capitolo che ha dato inizio a How could it be any other way?, cioè, non tutto il capitolo, la fine..ebbene sì, in un momento di disperazione mi è venuta in mente un'immagine così e puff! Ricamiamoci sopra un pochino, ed eccomi qua :)
Terzo, un doveroso ringraziamento va a chi ha inserito la storia tra le preferite, seguite e a chi legge, ma più di tutti a chi recensisce!! (Tra l'altro, mi è un po' dispiaciuto che lo scorso capitolo non abbia avuto più seguito, devo ammettere che un pochino ci tenevo ma non importa :) ringrazio quella cara anima che ha commentato!!!)
La morale è RECENSITEEEEEEEEEEE!! (anche perché, se non vi smuove questo capitolo, mi do all'ippica..u.u..)
Ora sono distrutta e ho un tema di storia da fare (pregate per me ;) )
Tanti bacini,

Najla




Nono Capitolo

Quando il mondo comincia a cadere

Step out the door and it feels like rain,
That’s the sound
That’s the sound,
on your window pane.
Take to the streets but you can’t ignore,
That’s the sound
That’s the sound,
you’re waiting for.
(All fall down- One Republic )


5 Novembre XX
Ministero della Magia, Sala Conferenze, ore 19.32
Harry odiava profondamente i giornalisti da quando aveva quattordici anni circa e, con il tempo, la sua opinione di quella classe sociale di sciacalli stipendiati non era troppo cambiata: continuava a ritenerli insopportabili, ma aveva imparato a distinguere quelli che davvero volevano fare il loro lavoro e quelli che, invece, si divertivano a vivere sulle disgrazie altrui.
Visto che sua moglie era proprio una giornalista, sarebbe parso come minimo incoerente fare di tutta l’erba un fascio e condannare l’intera razza dedita all’informazione altrui: qualcuno doveva riuscire a salvarlo, no?
«Harry? Tra poco cominciamo: sei pronto? » la voce calda e tranquilla di Hermione lo strappò a quel breve momento di riflessione, volto unicamente a impedirgli di prendere la porta e andarsene lasciando ad altri il compito di parlare di fronte a quella stanza piena di macchine fotografiche, penne prendiappunti e uomini e donne assettati di succose novità da storpiare in ogni maniera possibile.
«Se proprio è necessario.. Puoi dare inizio a questo circo » sospirò massaggiandosi le tempie pensando che, anche volendo, da lì, non poteva proprio andarsene: quella conferenza l’aveva indetta proprio lui a nome del Dipartimento Auror.
E lui era a capo di quel dannato posto.
Per l’ennesima volta nella sua vita si chiese perché, santo Merlino perché, non avesse deciso di andare a lavorare come netturbino, ventitré anni prima, anziché diventare un membro della polizia magica: si sarebbe sicuramente risparmiato un sacco di rogne.
E anche tutte le conferenze con quelle sanguisughe assetate, nemmeno farlo di proposito, quasi esclusivamente del suo sangue.
«Non è la prima volta che parli di fronte ai giornali, Harry » cercò di rassicurarlo lei stendendo distrattamente il tessuto della gonna nera che indossava, «Andrà tutto bene ».
«Serviva proprio chiamarne così tanti? Non bastava il Profeta? » rispose insofferente lanciando l’ennesima occhiataccia alla sala, «Voglio dire: c’è anche quella con i capelli verde acido di “Vita da Strega!” ».
«Il nostro Ufficio Stampa segue la politica della totale trasparenza, vuole che tutta la comunità magica si renda conto del problema e cominci a parlarne prima che sia troppo tardi: vogliono evitare il dannoso silenzio che c’è stato durante l’ultima guerra » spiegò, avvicinandosi a lui di qualche centimetro per evitare che gli sciacalli in prima fila riuscissero a leggere anche il labiale, «Si sono fatti prendere un po’ dal panico ».
«Un po’? » Harry si lasciò sfuggire una risatina sarcastica, «Herm, “Vita da Strega” è un giornale scandalistico: tutto quello che tirerà fuori da questa conferenza sarà una relazione tra me e chissà chi altro! Come fa, puntualmente, almeno una volta al mese! Chi era l’ultima? Ah sì, Cece, la mia segretaria.. ».
«Nemmeno “Vita da Strega” potrà ignorare un gruppo di terroristi che minaccia le famiglie più potenti del mondo magico inglese.. ».
«Certo, ne verrà fuori un articolo di dieci pagine in cui si racconteranno le storie strappalacrime delle dinastie che hanno quasi portato il mondo alla rovina e un mucchio di streghe impressionabili comincerà a definire i dodici cadaveri di Azkaban dei martiri.. » borbottò Harry incrociando le braccia al petto, «Questo li costringerà a reagire, Hermione, e non voglio un’altra strage, magari in una delle case nello Shire ».
«Magari la stai facendo più drammatica di quel che può sembrare, no? » provò lei ma prima che l’uomo potesse risponderle che, in tutti quegli anni, lui non aveva mai fatto un dramma di un bel niente e che, se quella volta aveva proprio una pessima sensazione e il suo istinto gli diceva che non sarebbe finito tutto nel giro della prossima settimana, un motivo, evidentemente, c’era, il Ministro le fece cenno di iniziare.
Harry si concesse una lunga boccata d’aria prima di indossare la sua neutrale maschera da conferenza stampa: sapere che l’amica sarebbe stata la mediatrice per quella cosa che avevano messo su, l’aveva subito rassicurato e averla vicina gli dava una sicurezza che non era certo di avere davanti ai microfoni.
Hermione Granger in Weasley era, senza troppi misteri, la donna più potente di tutto il Ministero della Magia e l’ultima persona che qualcuno avrebbe voluto sfidare pubblicamente.
Dopo la laurea in Magisprudenza era entrata al Ministero per lavorare come assistente di Cicerus McDawn, all’epoca giudice per il tribunale dei reati di massimo grado, quali assassinio, uso di maledizioni senza perdono e, in casi eccezionali, crimini ad opera di indicibili che, per motivi di segretezza, non potevano essere sottoposti al giudizio di una commissione ordinaria. Abituata ad entrare in contatto con informazioni strettamente riservate e potenzialmente pericolose, grazie alla sua tenacia e al suo acume, si era guadagnata in breve tempo la fiducia dell’uomo, un affasciante cinquantenne molto stimato nell’ambiente giuridico, che aveva deciso di portarla in alto, destinandola alla via della grandezza.
Così Hermione era riuscita a farsi un nome anche tra i vertici del potere ministeriale, attirando l’attenzione di Tiberius Ross, vice-ministro e capo del Wizengamot, che le aveva proposto di lasciare il posto a fianco a McDawn e brillare finalmente da sola.
La ragazza non aveva accettato, non subito almeno.
Il matrimonio, la nascita di Rose e quella di Hugo avevano posto un freno a quella carriera fulminante che l’aveva condotta così lontano in poco tempo, mentre i suoi amici si spaccavano la schiena nelle schiere Auror: Harry nella squadra dell’allora capo, Jebediah York, e Ron nel team che si occupava di combattere la lunga ed estenuante lotta contro il narcotraffico magico.
Quando Cicerus McDawn era stato assassinato dalla fidanzata di un assassino che aveva condannato a dodici ergastoli per aver ucciso una famiglia babbana in un revival dei tempi del regime di Voldemort, Hermione aveva deciso di accettare quella proposta fattale anni prima da Ross ed era entrata a far parte del Wizengamot.
Ora, all’età di trentanove anni, Hermione era il sottosegretario anziano del più potente organo giuridico magico e si occupava di proteggere legalmente tutta l’élite ministeriale.
Harry James Potter compreso.
In poche e semplici parole, quella donna aveva le mani in pasta ovunque.
«Signore e signori » cominciò Hermione zittendo in due parole il cicaleccio generale, «Come ben sapete, il Ministero ed il Dipartimento Auror hanno deciso di indire questa conferenza in seguito ai recenti fatti che hanno visto protagonisti, rispettivamente, la prigione di Azkaban e la tenuta invernale di Sybil Zabini, che è stata vittima di un attacco la scorsa notte. Fino ad ora la politica del Ministero è stata quella di tenere un rigoroso silenzio su entrambe le faccende, ma visti gli ultimi risvolti delle indagini è stato deciso di rendere noto all’opinione pubblica quanto sta succedendo. Il capo del Dipartimento Auror, il signor Potter, si è quindi reso disponibile per dare ai media i contorni di quanto sta coinvolgendo alcuni membri della nostra comunità e potrebbe, con lo scorrere del tempo, nuocere ad un numero sempre maggiore di individui.
«Passo ora la parola a chi di competenza e prego i signori di rivolgere le domande alla fine: la vostra curiosità sarà saziata a suo tempo » concluse la donna con un mezzo sorriso, uno di quelli con cui era capace, ormai da tempo, di ingraziarsi chiunque e mostrare, allo stesso tempo, che non era una donna con cui scherzare.
Era cambiata, Hermione, in quegli anni, ed Harry era giunto alla semplice conclusione che finalmente si era resa conto di quanto fosse più in gamba rispetto al resto del mondo.
Lanciò uno sguardo alla sua squadra, in piedi sul fondo della sala: Ron gli fece l’occhiolino, Susan mostrò i pollici in alto, Ernie si sforzava di non sorridere come un ebete, la tensione la teneva a bada con le risate, mentre Natalie bofonchiava qualcosa cercando di smuovere un cristallizzato Nott, e probabilmente stava criticando il vestito arancio mandarino di un mago in terza fila.
Inspirò di nuovo e cominciò a parlare: era una stupida conferenza, cosa poteva andare storto?

6 Novembre XX
Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Grande, ore 08.12
Jade si concesse di sbadigliare dentro alla tazza del the mentre nessuno la vedeva: se il suo capitano avesse anche solo sospettato che non era bella sveglia e pimpante, sarebbe andato fuori di testa.
E già sembrava sulla buona strada per una sincope, visto come sbraitava e gesticolava e sbatteva, con una cadenza di quaranta secondi, i pugni sul tavolo.
Alla fine, Elijah e James avevano spiegato alla Hastings che era stato tutto un orrendo malinteso, e la donna si era mostrata ben felice di restituire il titolo di capitano al suo legittimo ed isterico proprietario.
«Jamie! » lo richiamò ad un certo punto Roxanne esasperata, con somma gioia dei timpani dei presenti, prendendolo per le spalle, «Respira. Calmati. E’ solo una partita! ».
Il maggiore dei Potter sembrò sgonfiarsi come un palloncino davanti ai loro occhi, mentre un ciuffo castano gli cadeva, esausto pure lui, sulla fronte.
Jade sospirò inzuppando un biscotto al cioccolato all’arancia per poi gustarselo lentamente.
Era sempre così, prima di ogni partita: lui, il loro prode capitano, quello che aveva il compito di guidare i Grifoni attraverso le avversità, dava letteralmente di matto, tanto da costringerli, come era successo l’anno prima, a pietrificarlo solo per potersi concedere una colazione in santa pace.
Le urla, quando il principino era stato depietrificato, erano state quelle di una bestia assatanata, ma in compenso: Jade era riuscita a bersi il suo the nella tranquillità più assoluta, Elijah era riuscito a mangiarsi un pezzo di torta al cioccolato senza che qualcuno gli rubasse il cibo dalle mani e Roxanne non aveva preso a sberle il cugino.
«Esatto, Jam, è solo una partita » ribadì Elijah, quella mattina emblema della tranquillità, «E poi non perdiamo contro Corvonero da.. almeno sette anni ».
James lo guardò pronto a ribattere che era sbagliatissimo sottovalutare il proprio avversario in quella maniera, che Lorcan aveva una squadra invidiabile, quell’anno, e che loro dovevano davvero dare il massimo del loro massimo, ma si trattenne.
Si sentiva strano e non riusciva a capire cosa ci fosse in lui che non andava.
Già quella mattina, quando si era svegliato sotto le cuscinate di Ian, che ormai da un paio di anni svolgeva per lui l’ingrato compito di sveglia, e aveva guardato fuori dalla finestra, aveva sentito una morsa spiacevolissima stritolargli lo stomaco e aveva sperato che a colazione, la Hastings, gli dicesse che la partita sarebbe stata nuovamente rimandata.
Era un pensiero stupido, ma aveva la sensazione che quel giorno, non sarebbe proprio dovuto salire su di una scopa.
Guardando di nuovo fuori dai finestroni della Sala Grande, James sentì di nuovo qualcosa di fastidioso occupargli la pancia ma anche questa volta decise di ignorare il tutto: probabilmente era solo la tensione pre-partita.
«Siete sicuri che la McGranitt vi faccia giocare con questo tempo? » chiese Evangeline innocentemente, osservando preoccupata la pioggia che violenta sbatteva contro i vetri e incupiva il cielo stregato sopra le loro teste: quello era un vero temporale coi fiocchi.
Uno di quei fenomeni metereologici di cui aver paura.
«E’ solo un po’ di pioggia, Eva » la rassicurò Roxanne con un sorrisone, «Abbiamo giocato anche in condizioni peggiori.. cos’era? Quattro anni fa, la bufera di neve? ».
«No, tre » la corresse Jade sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, «E’ stata la volta in cui mi sono dislocata la spalla per colpa di quel Serpeverde.. ».
«E’ vero! » annuì Elijah, «Merlino quanto hai urlato, quella volta ».
«Tranquillo, prima o poi capiterà anche a te, non temere » rispose lei serafica e il ragazzo inarcò appena un sopracciglio.
«E’ una minaccia? Devo preoccuparmi? ».
«Ti lascio il beneficio del dubbio » concluse Jay prima di tornare a concentrarsi sul suo the, mentre un barbagianni rossiccio cadeva a capofitto nel piatto di Elijah, in uno svolazzio di penne.
«Ma Porco Godric! » esclamò scacciando l’animale per constatare, con una vena di amarezza, che quel dolce al cioccolato che si era lasciato appositamente per ultimo, con l’intenzione di gustarselo fino in fondo, era irrimediabilmente immangiabile e per metà sul piumaggio del pennuto.
«Oh, finalmente » sorrise Eva prendendo il giornale che era rimasto legato alle zampe dell’animale durante la caduta, «Grazie Pirgopolinice, puoi andare » e il gufo se ne andò tranquillo e placido, incurante del caos che si era lasciato alle spalle.
«Da quando tu hai un abbonamento al Profeta? » si informò Jade sporgendosi verso l’amica per vedere chi ci fosse in copertina quella mattina.
«Mio padre ha deciso che ormai ho l’età giusta per cominciare ad informarmi sul mondo che mi circonda e mi ha regalato l’abbonamento, solo che per qualche disguido con la Gazzetta l’hanno fatto partire da oggi invece che dai primi di settembre.. » spiegò tranquilla sparendo dietro le pagine del giornale.
«Ma tuo padre non è un babbano? » si informò Frank perplesso: aveva conosciuto i suoceri l’estate precedente ed era piuttosto sicuro che Terence Laurie non fosse un mago.
«Certo, ma gli piace tenersi informato sia dei fatti del mondo babbano che di quello magico, così ci siamo messi d’accordo: la Gazzetta spedisce i giornali a casa mia e papà manda Pol al castello con la mia copia ».
«Pol? » Roxanne sembrava sempre più sconcertata.
«Pirgopolinice, è il mio gufo.. papà insegna letteratura antica all’università e Pirgopolinice è il nome di un personaggio letterario.. » girò pagina piuttosto assorta, «E’ un nome greco che significa “conquistatore di torri e città”.. ».
«Oddio.. » sospirò la mora incredula, «E io che pensavo fosse strano il gatto di Jade.. ».
«Che cos’hai tu contro Sharazad? » domandò Jade piccata e Roxanne stava per rispondere, quando Eva stese il giornale in mezzo al tavolo.
«Jamie, tuo padre è sulla Gazzetta » annunciò indicando con un dito una foto gigante dove Harry Potter parlava animatamente seduto dietro ad un lungo tavolo insieme ad Hermione Weasley e al Ministro Shacklebolt.
«Perché lo zio Harry dovrebbe essere sul Profeta? » mormorò Roxie avvicinandosi e Frank si affrettò a leggere l’articolo che lo vedeva protagonista.

Harry Potter dice no ai fanatismi
In una conferenza stampa tenutasi ieri sera nella Sala Conferenze del Ministero della Magia, il capo del Dipartimento Auror, il tanto amato e acclamato Harry Potter, ha annunciato che una nuova minaccia sta incombendo sul mondo magico senza che nessuno se ne sia accorto: un nuovo gruppo terroristico che risponde al nome di Illuminati pare essersi prefissato il compito di purificare la comunità magica dagli ultimi strascichi del regime dell’ormai, fortunatamente defunto e cremato, Lord Voldemort.
Sembrano essere loro i responsabili della strage che ha avuto come protagonisti i Magiamorte rinchiusi nella prigione di Azkaban, dove hanno perso la vita i dodici maghi rinchiusi ed è stato ferito un giovane Auror, e della spedizione punitiva che ha costretto ad una notte insonne la ricca e conosciuta Sybil Zabini, già sotto la protezione preventiva di una squadra della polizia magica. Harry Potter ha chiarito che i possibili obbiettivi di questa nuova cellula di giustizieri sono già tutti sotto stretto controllo del suo Ufficio e che il Ministero è pronto a rispondere a qualsiasi tipo di attacco, ma ha comunque esortato tutti quanti ad una vigilanza costante e a contattare tranquillamente il suo dipartimento per comunicare informazioni sugli Illuminati o avvistamenti sospetti nelle zone di Londra e dintorni.
Quando poi al nostro eroe è stato chiesto se fosse d’accordo o meno con questo progetto di epurazione, Potter ha risposto: «Giustizia è stata fatta a suo tempo e non vedo il bisogno di sconvolgere di nuovo una comunità che si è rialzata con tanta fatica da una guerra che non l’ha solo piegata, l’ha proprio distrutta. Iniziare una nuova e inutile battaglia contro persone che sono riuscite finalmente a riscattarsi o che non centrano nulla con la strage di ventiquattro anni fa, non farebbe altro che farci tornare indietro nel tempo. Quindi no, non sono d’accordo con l’idea malata e bislacca che portano avanti questi Illuminati e no, non trovano oggi il mio appoggio come non lo troveranno mai: io una guerra l’ho combattuta, come molti altri qui dentro, e posso assicurare che è a questo che si giungerà se non si riuscirà a porre fine a questa idiozia ».
Sono quindi dure e ostili le parole con cui si chiude la conferenza al Ministero, ma ora ci chiediamo: chi sono questi Illuminati? Come reagiranno ad una simile provocazione?

Il Direttore
S. Finnegan
Foto
D. Canon

«Ci mancava solo un gruppo di idioti con manie di onnipotenza » sbuffò Jade alzandosi in piedi ed Eva annuì pensierosa.
«Speriamo non sia niente di grave » sospirò Frank.
James non disse niente mentre si alzava dalla panca dopo aver smangiucchiato appena una fetta di pane, ma sapeva che suo padre odiava stare sotto i riflettori e se davvero aveva indetto una conferenza stampa, la situazione doveva essere ben più grave di quel che sembrava agli occhi di tutti.

Ministero della Magia, Ufficio Auror, ore 09.13
L’ufficio di Harry era stato trasformato nella base operativa della squadra che si occupava degli Illuminati, un totale di dieci Auror che lui conosceva come le sue tasche e di cui si fidava ciecamente: non poteva permettersi alcun tipo di errore e per precauzione, sotto consiglio del viceministro Ross, li aveva sottoposti tutti quanti a veritaserum ed erano risultati tutti puliti.
Per quanto odiasse quella pratica, almeno ora poteva fare a meno di guardare male chiunque entrasse nel suo ufficio, aspettando che facesse un passo falso, e non rischiava più di diventare paranoico, oltre il suo grado di paranoia standard, si intende.
La sua scrivania era sparita, sostituita da un lungo tavolo centrale dove si snodava una cartina della Gran Bretagna e dell’Irlanda ricoperta da radi pallini rosso sangue e altri di un blu chiaro. Le pareti erano state tappezzate di lavagne, cartelloni e foto con tanto di un numero spropositato di linee nere e arancio a collegarle in maniera apparentemente priva di qualsiasi connessione logica.
Harry sospirò, non troppo apparentemente in realtà: a intuito sapeva che a tutto quello c’era un senso, ma faticava a trovarlo.
«E se seguissero uno schema? » propose Ernie guardando la parte di lavagna dedicata agli attacchi già avvenuti dove spiccavano le foto dei detenuti di Azkaban e della Zabini.
«Secondo me si stanno solo preparando » obiettò Susan ferma intorno al tavolo, «Azkaban doveva attirare la nostra attenzione, metterci in allerta: farci capire che possono essere una minaccia. Mentre Sybil Zabini doveva solo testare le nostre difese.. Infondo, pensandoci bene, per quanto quella donna sia sinistra, non è sicuramente più importante di Narcissa Malfoy, per esempio: avrebbe avuto più senso attaccare lei ».
«Non sono stupidi » sospirò Ron con le mani puntate sul Canale della Manica, «Chiunque può facilmente immaginare che le difese sul Malfoy Manor sono al massimo, in questo momento: non vogliono rischiare con missioni suicide ».
«Ma con la Zabini non è andata bene.. quindi: tenteranno ancora un test o colpiranno un bersaglio serio? » riprese la donna e Ron scosse la testa, non sapendo cosa rispondere: non avevano ancora idea di quale sarebbe stato il loro modus operandi e non potevano permettersi di escludere nulla.
«Dopo quello che hanno pubblicato i giornali stamattina? Secondo me vorranno sottolineare che sono decisi nella loro missione: punteranno a qualcosa di abbastanza grosso da far capire che non hanno paura di nessuno » rispose Natalie, «E mi dispiace sottolinearlo ma nel mirino ci stanno i Greengrass e i Malfoy: alla fine sono le uniche due famiglie che sono uscite pressoché intatte dalla guerra e questo le ha rese antipatiche ad un sacco di gente ».
«Forse.. ma anche Nott non è da escludere » buttò lì Ron prima di guardare l’uomo seduto in fondo alla stanza con un paio di fascicoli in mano, «Senza che tu te la prenda, amico, ma sei un Auror, che lavora nella squadra di Harry Potter e tuo padre è Ajax Nott, uno che Azkaban l’ha scampata per un soffio: sei un bersaglio succoso anche tu ».
«Nessun problema » fece spallucce Nott, «Ma casa mia è sotto incanto fidelius e nessuno sa dove sia, quindi, per ora, non è un problema: possiamo concentrarci sugli altri ».
La casa di Theodore Nott era praticamente inespugnabile, nessuno sapeva dove fosse e il suo proprietario si era tenuto ben lontano dal dirlo in giro con facilità: col senno di poi, tanta discrezione, si era persino rivelata utile.
«Eppure, secondo me » si intromise Harry, «Non attaccheranno né i Greengrass né i Malfoy.. mi sembrano due bersagli troppo scontati ».
Ron era sul punto di ribattere qualcosa quando una voce musicale e gentile si insinuò da un altoparlante posto in un angolo della stanza.
«Signor Potter, qui c’è un uomo che desidera vederla » era Cece, la sua segretaria: piccolina e tutta curve, con un cespuglio di capelli neri, «Dice che è stato lei a dargli appuntamento ma non ce l’ho segnato sull’agenda.. ».
Harry sospirò afferrando un fascicolo pieno di fogli e fogliettini vari, di tutti i colori.
«Sì, scusami Cece, adesso arrivo » rispose all’aria prima di avvicinarsi alla porta, pronto per uscire.
«Credi sia una buona idea, capo? » gli chiese Ernie guardandolo mettere mano alla maniglia.
«Peggio di ora non potremmo stare: mal che vada farò un buco nell’acqua » mormorò l’Auror chiudendosi la porta alle spalle, il tempo di sentire Susan che borbottava qualcosa e se la ritrovò di fianco dopo aver mosso due passi nel corridoio di marmo rosa del dipartimento.
«Susan, non mi serve la balia » protestò andando verso la scrivania di Cece, dove un uomo non molto alto, con i capelli biondicci e corti lo aspettava, tenendo stretto tra le mani il cappello, non sembrava nervoso, solo leggermente a disagio.
«Non sono la tua balia, non mi piace che tu faccia queste cose da solo: quattro occhi sono meglio di due e non hai il sesto senso di una donna » ribatté lei decisa e Harry si trovò a capitolare, come ogni volta che aveva a che fare con le donne della sua vita, anche con sua figlia non riusciva mai a spuntarla.
«Signor Potter » lo salutò Cece, «Il signore, qui, dice di essere un fotografo: io gli ho detto che in questa parte del Ministero i fotografi non possono entrare, ma lui.. ».
«E’ tutto a posto » le sorrise Harry tranquillo pima di porgere la mano al nuovo arrivato, «Dennis, sono felice che tu sia venuto ».
«Potevo rifiutare un invito del grande Harry Potter? » scherzò l’uomo stringendogli la mano ed Harry si lasciò contagiare dalla leggera risata.
«A parte tutto, ti devo un favore » rispose prima di accennare con la testa alla sua baby-sitter, «Lei è Susan Bones, fa parte della mia squadra ».
«Tranquillo, ci conosciamo: è un piacere vederla, signorina Bones ».
«Tutto mio, signor Canon » la donna sorrise appena, più per educazione che per altro, e Harry si convinse che doveva chiudere quella faccenda il prima possibile.
«Dennis, se vuoi seguirmi di qua, avrei del materiale da sottoporti » quando lo vide annuire tranquillo, lo condusse in una della stanze sulla destra, una di quelle che usavano per le deposizioni e aspettò che Susan chiudesse la porta e schermasse la stanza prima di sedersi e aprire il grosso plico che teneva sottobraccio.
Le foto presenti nelle buste rosse di metà bersagli si sparsero sul tavolo di vetro come tante tessere macchiate di rosso: alla luce fredda e spietata di quella stanzetta le croci rosse sembravano brillare ancora di più.
Canon ne prese un paio e se le rigirò tra le mani grandi e callose, osservandole con la fronte corrugata e l’occhio esperto di un fotografo professionista.
Ad Harry, l’idea, era venuta subito dopo la conferenza. Quando si era accorto che Seamus, venuto a registrare le sue dichiarazione per il Profeta, si era portato dietro quello che sapeva essere il miglior fotografo in circolazione, Dennis Canon, il fratello di Colin, aveva pensato che, forse, non sarebbe stato malvagio chiedere il parere di una persona che scattava foto per professione.
Non che non si fidasse della sua squadra scientifica, tutt’altro, quei ragazzi erano fantastici, ma lui voleva avere l’assoluta certezza che quelle foto non riuscissero proprio a dargli nessuna informazione utile prima di metterle sottochiave.
«Vorrei un tuo parere, Dennis » disse Harry sotto lo sguardo attento di Susan, «Qualsiasi cosa tu possa dirmi su quelle foto o sul fotografo ci sarà di grande aiuto ».
«E’ per la faccenda degli illuminati, vero? » chiese alzando la testa, la fronte ancora aggrottata, «Questo sono foto minatorie? ».
«In realtà.. » stava per dire Harry quando Susan si intromise, facendo un passo verso il tavolo.
«Sono informazioni riservate » rispose neutra, «Se fosse così gentile da dirci se quelle foto contengono informazioni utili, gliene saremo riconoscenti, altrimenti, ci scusi per averla  scomodata ».
Canon prese altre due foto e le mise controluce sospirando.
«Non posso dirvi molto.. probabilmente non potrei fare niente nemmeno analizzandole per giorni » commentò assottigliando lo sguardo sulla foto che ritraeva Narcissa Malfoy, «Posso dirvi che sono state scattate con un’istantanea e non hanno mai visto la camera oscura: qui, in basso, su ogni foto, sul fondo dell’immagine, c’è una linea nera »spiegò mostrando ai due una piccolissima e invisibile riga sullo scatto di Damian Zabini, «Succede solo con le istantanee, quelle un po’ vecchiotte.. però è comunque strano ».
«Cosa? » si informò Susan avvicinandosi.
«Le macchine vecchie tendono a non dare troppa fluidità all’immagine.. Cioè, i soggetti, nelle foto incantate, si muovo sempre perché sono frutto di una sovrapposizione di diversi scatti fatti in sequenza: una volta incantata la serie di foto si ottiene un movimento che sembra naturale. Ma il moto dei soggetti, oltre ad essere dato dall’abilità del fotografo nel lanciare questi incantesimi, è dato molto dalla macchina che usa » spiegò appoggiando gli scatti sul tavolo, «Con una macchina vecchia, le immagine tendono ad incepparsi, bloccarsi a volte, o muoversi solo in parte.. Chiunque abbia scattato queste conosce bene la macchina che usa e non ha permesso ai meccanismi di usurarsi: un lavoro invidiabile. Darei oro per un’istantanea che fa foto del genere ».
«Quindi abbiamo a che fare o con un fotografo o con un appassionato » concluse Harry felice di aver ricavato qualcosa da quell’incontro: era sempre come cercare un ago in un pagliaio, ma inspiegabilmente il pagliaio sembrava un po’ più piccolo.
«Direi di sì e a giudicare dalla grandezza delle foto direi che cercate una macchina sullo stile della Flashing 23.5, una macchina per istantanee degli anni sessanta, più tardi le istantanee le facevano più piccole di almeno un pollice ».
Harry guardò Susan, vittorioso.
Susan guardò Harry, ancora poco convinta.
Adesso non restava che cercare in tutte le case di Inghilterra, Scozia e dintorni una Flashing 23.5 e chiedere informazioni al suo proprietario.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Campo da Quidditch, ore 10.04
Roxanne schizzò di lato appena in tempo per evitare uno di quei maledetti bolidi che, per qualche astrusa ragione, sembravano avercela con la sua faccia.
Pioveva tanto violentemente che non riusciva quasi a tenere gli occhi aperti, era talmente fradicia che qualcuno avrebbe potuto scambiarla per una rossa pozzanghera volante ed era sicura di avere un principio di assideramento alle dita delle mani e dei piedi.
Che tempo di merda, si ritrovò a pensare per l’ennesima volta cercando di individuare qualcuno che portasse la sua stessa divisa in mezzo a quella nuvole di acqua gelida e piccola, some tanti aghi che le colpivano tutto il corpo.
Oltre a non riuscire a vedere niente di suo, per il diluvia che le stava cadendo in testa, per qualche strana ed inspiegabile congiunzione astrale ad un quarto d’ora dall’inizio della partita quella cosa bianca, che non sapeva se era un cumulonembo o solo nebbia assassina, aveva deciso di invadere il campo e d’un tratto non era più riuscita né a sentire niente né, tantomeno, a vedere qualcosa.
A voler essere onesti, non sapeva nemmeno dove fossero gli anelli in cui doveva lanciare una pluffa che, comunque, non sapeva se qualcuno aveva ancora in mano o se era semplicemente andata persa.
«Ehi Weasley! » urlò qualcuno affiancandola e Roxanne capì che si trattava di quell’impiastro ambulante di Lorcan solo perché distingueva i contorni di qualcosa di blu, «Hai visto gli altri? ».
«E me lo viene anche a chiedere? Cercateli, idiota! » rispose cercando di sovrastare il rumore della pioggia scrosciante: non sentiva nemmeno la cronaca della partita che era amplificata con un incantesimo, figurarsi se potevano parlarsi loro due, in mezzo alla tempesta.
«Scorbutica come al solito, eh? » rise il biondo, che ormai era talmente zuppo da essere quasi moro, o almeno così le pareva.
E Roxanne stava per disarcionarlo quando vide qualcuno virare verso l’alto e mancarla di una decina di centimetri, costringendola a reggersi sulla scopa già instabile per la pioggia e il vento.
Era una macchia rossa, appiattita sulla scopa: James.

Il maggiore dei Potter si chiese come, esattamente avrebbe dovuto fare per trovare un coso dorato e volante, grande quanto una noce, quando non riusciva nemmeno a vedere la sua mano a dieci centimetri dalla faccia.
L’aveva detto lui, che quella mattina non dovevano giocare!
Non sapendo nemmeno dove fossero gli avversari e i suoi compagni di squadra, aveva optato per la tattica ben poco ortodossa del: vaghiamo un po’ a caso e speriamo in una botta di fortuna.
Non ricordava da quanto fosse cominciata la partita, forse un’oretta, ma la sua tecnica non stava dando frutti e non sapeva davvero che pesci pigliare: aveva meditato per sino di andare dalla McGranitt e supplicarla di sospendere l’incontro.
Sarebbe bastato trovare l’angolo di spalti dove stavano i professori..
Alla fine aveva deciso di continuare ad andare a destra e a manca senza meta e aveva deciso di puntare verso l’alto: magari sarebbe riuscito ad uscire da quella maledetta nuvola.
Arrivato ad una certa altezza, non sapeva nemmeno quale, si fermò e provò a guardarsi intorno, cercando di rimanere immobile nel temporale: concentrarsi, doveva solo concentrarsi.
Sentì qualcosa colpirgli violentemente il petto prima che potesse rendersene conto.

Quando finalmente la nebbia si diradò, il tempo parve fermarsi.
Jade teneva la pluffa tra le mani: le scivolò dalle dita fredde e si infranse sulla sabbia del campo, dura di pioggia.
Elijah ed Albus si lanciarono in picchiata verso il basso.
Scorpius rimase pietrificato.
C’era una macchia rossa, per terra, a metà tra l’erba e la sabbia.
Era qualcosa di informe ma sembrava una persona.
Una persona messa in una posizione innaturale, come se qualcuno l’avesse lanciata per vedere in quale posa fosse rimasta una volta toccato terra.
Si vedeva qualcosa intorno al bel rosso fuoco della divisa di Grifondoro, brillante anche sotto la pioggia, ed era di un rosso leggermente più scuro.
L’ultima cosa che si sentì, prima che qualsiasi cosa, la pioggia, le urla sugli spalti e il megafono di Hugo Weasley fu l’urlo di Roxanne.
Un urlo agghiacciante, acuto, disperato, terrorizzato.
Perché quello steso lì per terra, immobile, morto, era proprio lui..
«James!».







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Capitolo 13
*** Lacrime di pioggia ***


Decimo Capitolo
Lacrime di pioggia


Is anybody out there?
Is anybody listening?
Does anybody really know
If it’s the end of the beginning?
A cry, a rush from one breath
Is all we’re waiting for
Sometimes the one we’re taking
Changes every one before


6 Novembre XX
Londra, Ospedale magico San Mungo, ore xx.xx
Era successo tutto troppo velocemente.
Dal momento in cui aveva toccato terra ogni secondo gli era scivolato addosso senza che se ne rendesse nemmeno conto ed ora, davvero, non sapeva spiegare come fosse arrivato lì, in un corridoio del San Mungo, a Londra, a fissare la fiammella della candela posta sulla parete di fronte a lui.
Lily non si era ancora staccata dal suo braccio da quando avevano lasciato Hogwarts, non lo aveva lasciato mentre si smaterializzavano con la McGranitt, non l’aveva fatto quando era arrivato papà dal Ministero, nemmeno quando mamma era arrivata dall’ufficio: in quel momento lo stava stringendo tanto da fargli male, sentiva persino le unghie premere sulla stoffa pesante della maglia e segnare la pelle.  
Non l’aveva spostata.
Sua sorella stava solo cercando qualcosa che le impedisse di cedere a quei singhiozzi che teneva bloccati a forza in gola, forse per non fare troppo rumore: gli stringeva il braccio, si mordeva a sangue l’interno delle guance e strizzava gli occhi, non sembrava avere il coraggio di riaprirli, forse per non vedere qualcosa di orribile, qualcosa che non era ancora capace di affrontare.
Suo padre se ne stava seduto rigido sulla sedia di fronte a lui, la mascella tesa, gli occhi intenti a memorizzare ogni venatura del pavimento intonso torturandosi inconsciamente le mani grandi e callose: le spalle erano curve in avanti e Albus li aveva percepiti i lievi tremiti che le scuotevano, quasi invisibili certo, ma presenti.
Gli erano parse scosse di terremoto.
Non aveva mai visto suo padre tremare, mai.
Sua madre sembrava incapace di stare ferma, troppo nervosa, camminava su e giù per il corridoio accompagnata dal ticchettio delle scarpe nere, quelle alte che portava solo quando doveva lavorare in ufficio: sua madre era una persona semplice, non amava mettersi in ghingheri. Si fermava a intervalli regolari per mordersi le pellicine delle dita, un lungo istante di insopportabile silenzio, e poi continuava a camminare, ed Al era convinto che se si fosse fermata del tutto avrebbe cominciato ad urlare, magari piangere.
Aveva paura che si fermasse.
Non aveva mai visto sua madre piangere.
Teddy era arrivato per ultimo e lo sentiva seduto al suo fianco, si teneva la testa tra le mani, le dita immerse nei capelli, quei capelli di un orrendo grigio topo che sapeva di disperazione e di inevitabile e che, forse, gli facevano più paura di sua madre immobile in mezzo a tutto quell’asettico bianco.
Forse non era successo tutto troppo velocemente, forse era il suo cervello che, semplicemente, aveva deciso di bloccare la mente ad un momento preciso e lasciarla lì a vagare, a riempirsi di niente.
Nonostante questo, Albus, davvero, non lo sapeva come c’era finito lì, in quel punto della sua vita, a pregare un Dio che non conosceva di tenere in piedi il suo mondo.
Non ne aveva proprio idea.
Ricordava solo..
..James sulla sabbia.
..James sotto la pioggia.
..James con uno squarcio nel petto.
..James con la divisa strappata dalle ossa uscite prepotentemente dalla carne.
..James con le gambe distrutte, talmente disarticolate da farlo sembrare una bambola rotta.
..James con il viso, il corpo, tutto, ricoperto di sangue.
..James che lo guardava ma non lo vedeva.
Al ricordo gli veniva ancora da vomitare.
..James che moriva.
Chiuse gli occhi, abbandonò la testa contro il muro e cercò di ricordarsi come si respirava in silenzio, senza correre il rischio di strozzarsi.
Dio, aiutami..


Sometimes we're holding angels
And we never even know
Don't know if we'll make it
But we know, we just can't let it show


Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, bagno dei Caposcuola, ore xx.xx
Jade Fyfield non era mai stata una persona capace di mostrare esattamente cosa le passasse per la testa, che fosse qualcosa di bello o il più inquitante degli incubi, non era mai stata abbastanza emotiva da sbilanciarsi e farlo sapere al mondo appena questo si fosse degnato di guardarla in faccia.
Per qualche strano motivo aveva sempre saputo che le sarebbe stato vitale mantenere una buona dose di equilibrio, nella sua vita.
Altrimenti si sarebbe sfasciata.
Sarebbe finita polvere in un battito di ciglia.
E niente riusciva a toglierle il respiro come l’idea di ridursi a cenere fredda.
Forse perché, alla fine, non sarebbe stato tanto difficile che accadesse..
Solo polvere..

Inizio Flashback

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Grifondoro, ore xx.xx
Camminava spedita lungo le scale che conducevano al ritratto della Signora Grassa: si sforzava di ignorare la nausea, si sforzava di ignorare la voglia di sedersi per terra e piangere, si sforzava di ignorare la voglia di urlare e di farsi sentire da tutto il castello.
Non poteva lasciarsi andare, non ancora.
Nonostante la bile che minacciava di bucargli lo stomaco e le lacrime che stavano combattendo una battaglia persa contro il suo autocontrollo e minacciavano di uscire.
L’unica cosa che le bastava fare era non chiudere gli occhi.
Non doveva farlo assolutamente.
O avrebbe rivisto tutto: James, il sangue, le ossa, il suo viso..
Dio, non se lo sarebbe mai tolto dalla mente.
«Aspidistra » mormorò senza azzardarsi a guardare la donna dipinta sulla tela.
Non aveva ancora guardato in faccia nessuno, non era sicura di riuscire a trattenere tutto guardando qualcuno negli occhi.
Gli occhi sono lo specchio dell’anima, e la sua, in quel momento, era lacerata, certo, ma non le aveva ancora permesso di cominciare a sanguinare.
«E’ vero quello che si dice? Il figlio di Harry Potter è morto? ».
Jade alzò lo sguardo stupita, alla fine, meditò, guardare negli occhi un quadro non le avrebbe fatto male. La Signora Grassa era pallida, sembrava sciupata, i colori leggermente sbiaditi, come se a ricoprirli ci fosse una patina di qualcosa di opaco, invisibile, triste: gli occhi spalancati e la bocca dischiusa, in attesa.
Se lei che era solo un quadro, qualcosa che esisteva solo per grazia del proprio creatore, qualcosa che un cuore pulsante, non ce l’aveva, reagiva così, cosa la stava aspettando oltre quella soglia?
«Non lo so, Signora, mi dispiace ma non so niente » biascicò tornando a fissare i lastroni di pietra sotto i suoi piedi, sentì il quadro spostarsi e passò oltre.
La nausea sempre più forte.
Diede una veloce occhiata alla Sala Comune, nonostante si aspettasse il contrario non c’era tanta gente, forse la maggior parte dei ragazzi era salita già nei dormitori e li capiva fin troppo bene, in quel momento l’unica cosa che lei avrebbe voluto fare era andarsene a letto, chiudere gli occhi e sperare che tutto si riducesse a un sogno: uno di quelli che ti lasciano l’angoscia sul fondo dello stomaco per diversi giorni, finché non realizzi che sono stati solo frutto di un cattivo pensiero.
Magari svegliarsi di nuovo quella domenica mattina e impedire a James di salire su quella dannata scopa, impedirgli di giocare in mezzo alla nebbia, impedirgli di cadere.
«Jade.. » la chiamò Lysander alzandosi dal divano, appena un sussurro, «Cosa..? ».
Cosa..?
Cosa succede?
Cosa è successo?
Cosa è successo a James?
Non lo lasciò finire, preferì lanciare un’occhiata alla testa pettinata di Frank, vicino a quella che doveva essere di Lorcan: non si chiese nemmeno cosa ci facesse un Corvonero nella torre di Grifondoro.
«Frank, la Hastings mi ha chiesto di controllare che tutti i ragazzi siano nei loro dormitori: puoi occuparti della parte maschile, per piacere? Io penso alle ragazze.. » chiese piano, per paura di fare troppo rumore, magari un rumore che avrebbe rotto l’equilibrio precario che riusciva ancora a mantenere.
Era Caposcuola, doveva finire quel piccolo e semplice compito e poi sarebbe potuta scoppiare, poi non avrebbe avuto nessun tipo di dovere e avrebbe potuto cominciare ad essere la Jade che aveva un gran bisogno di vomitare.
«Va bene, me ne occupo io » rispose Frank alzandosi e voltandosi verso di lei: Jade abbassò prontamente lo sguardo, niente occhi.
«Jade.. » la chiamò di nuovo Lysander avvicinandosi ma ancora una volta non lo lasciò parlare, e Dio, era così sbagliato ignorare Lys in quel modo, mostrarsi una vigliacca con quel ragazzo che era la creatura più semplice che conoscesse, ma qualsiasi fosse la domanda, non aveva la risposta.
Ad essere onesti, in quel momento, non le sembrava di avere niente, si sentiva svuotata degli organi, dei pensieri, della terra sotto i piedi e dell’aria nei polmoni: percepiva appena la divisa da Quidditch, che ancora indossava, sulle spalle, e non vedeva l’ora di togliersela.
Era rossa.
Rossa come quella di James.
Rossa come il sangue.
Dio, non ne aveva mai visto così tanto in vita sua.
«Roxanne dov’è? » chiese piuttosto facendo vagare lo sguardo tra le poche teste presenti: solo crani, capelli, spalle forse, niente occhi.
Mai gli occhi.
«Evangeline è con lei, credo l’abbia portata in camera vostra: ha avuto una crisi di panico » rispose lui e Jade sentiva che la stava guardando ma proprio non poteva alzare la testa e affrontare quegli occhi pieni di domande, di suppliche, di speranza.
Solo lei sapeva cosa, effettivamente fosse successo, come fosse ridotto James: lei e Mardecai, ma lui, in quel momento, chissà dov’era.
E lei non poteva rispondere a niente.
«Bene.. Eva è brava in queste cose » Eva è brava a non cedere a crisi di pianto, a dispetto di quello che pensano tutti, Eva sa resistere alle lacrime, pensò e tanto le bastò per darsi coraggio: non poteva scoppiare li davanti a tutti.
«Elijah? Pensavo che Ian lo avesse portato qui.. » chiese ancora per non dargli il tempo di chiederle qualcosa.
Dio, Lys, mi dispiace ma non posso risponderti.
«Sta distruggendo la nostra stanza.. » rispose con un filo di voce Lysander, e continuava a sentirli i suoi occhi blu e grandi perforarle il cranio, li sentiva e bruciavano, «Ian è con lui.. hanno chiuso la stanza da dentro e abbiamo preferito lasciar stare.. ».
Annuì e non disse altro: cosa avrebbe dovuto dire, poi? Meglio per loro? E’ un bene che non siano da soli? Ian riuscirà a far ragionare Eli?
Non sapeva se doveva vomitare, ma voleva farlo: sentire che quel buco nero che le stava demolendo l’addome non era solo frutto della sua mente, ma anche qualcosa di fisico, qualcosa di concreto.
«Jay.. ».
Non gli lasciò il tempo di continuare, ancora una volta, e fece per andare verso le scale che portavano ai dormitori: le bastava resistere ancora poco.
«Jade.. » a fermarla bastò una voce tremula, appartenente ad ragazza che si era alzata lentamente dal gruppo di poltrone sotto la finestra, tremando, e che associò subito a Rose Weasley.
Jade sentì un brivido salirle lungo la schiena, dalle piante dei piedi, ed esplodere in testa rovesciandole di nuovo lo stomaco.
«Tu sai cos’è successo? La Harris c’ha portati qui e c’ha detto di non uscire ma.. non ha detto.. niente.. e io.. ho visto Roxanne e.. » si fermò un secondo, la voce sempre più flebile, ridotto ad un sussurro impalpabile, «Jamie.. James è davvero.. ».
Non ebbe la forza per concludere.
E Jade si chiese se poteva trovare da qualche parte il coraggio di alzare lo sguardo da terra e guardarla, almeno una volta, una manciata di secondi: credeva di doverglielo, in fondo Rose era parte della famiglia di Jamie, no? Meritavano di sapere cosa stava succedendo..
Ma lei non poteva proprio.
«Non lo so, Rose » rispose allora, ma non riuscì a guardarla negli occhi: era certa che vi si potesse benissimo leggere la sentenza che aveva già preso forma nella sua testa, ma non voleva che lei, loro, la sapessero così, semplicemente guardandola, «Quando sono arrivata in infermeria se ne stava occupando Madama Talleyrand e poi Paciock ha attivato la passaporta e se ne sono andati.. la Hastings ha detto che qualcuno l’ha colpito mentre era in volo e il vero danno l’ha fatto la caduta.. ci avviseranno appena sapranno qualcosa ».
«Ma era.. com’era quando stava in infermeria? » insisté Hugo, il fratello di Rose, seduto sulla poltrona rossa alle sue spalle: era alto e con le spalle larghe, Hugo Weasley, i capelli di un rosso scuro, carico, e gli occhi azzurri.
Jade non ricordava d’averci mai parlato.
«Non lo so.. io non.. » si morse il labbro e scosse la testa, gli occhi puntati sul pavimento, non aveva l’ardire di chiuderli, «Respirava.. credo.. ».
«Cosa vuol dire credo? » continuò Hugo imperterrito.
«Vuol dire che appena la Hastings ci dirà qualcosa, sapremo cos’è successo » tagliò corto Lorcan: erano tutti sconvolti lì dentro, probabilmente anche allo stesso modo, e lo vedeva benissimo che la Fyfield stava facendo di tutto per non crollare davanti a tutti quanti e anche ammettendo che sapesse qualcosa, di sicuro non avrebbe parlato.
Non ci voleva un genio a capire che sarebbe stato meglio lasciarla in pace.
Jade non aspettò nemmeno che qualcuno ribattesse qualcosa, scappò su per le scale, trattenendo il fiato, con l’unico desiderio di voler sparire.

Fine Flashback

Alla fine si era nascosta nell’unico posto dove nessuno sarebbe potuto andare a cercarla, anche volendo. Era arrivata sotto la prima doccia, aveva aperto il getto d’acqua e ci aveva messo la testa sotto.
Ricordava di aver urlato, di averle sentite, le lacrime che finalmente sfondavano gli argini e le scaldavano le guance, in contrasto con quell’acqua fredda che la bagnava ancora, come poche ore prima.
Ed era stato così liberatorio esplodere.
Si rese conto di essere finita seduta sul piatto della doccia molto tempo dopo.
Si rese conto che le gambe avevano smesso di reggerla senza che lei se ne accorgesse.
Si rese conto che era finita vestita con la maglia che portava sotto la divisa e le calze invernali, quelle pesanti che usava durante le partite di inizio stagione, sotto il getto della doccia.
Se ne rese conto solo quando provò a raccogliere l’acqua che le scivolava addosso, in un continuo e depresso scrosciare che serviva solo a camuffare dei singhiozzi che non aveva la forza di sentire, anche se erano i suoi.
Provò a raccogliere l’acqua con le dita e si rese conto di non riuscirci.
Era una strega, era capace di cose che la gente normale sognava e non riusciva a raccogliere della fottutissima acqua!
Come non era riuscita a frenare la caduta di James, a impedire che smettesse di respirare e smettesse di vivere per pochi istanti sotto ai suoi occhi.
Perché lei era lì.
Era lì, mentre Elijah urlava sotto la pioggia e si macchiava le mani con il sangue del suo migliore amico.
Era lì mentre il cuore di Albus Potter perdeva un battito, e poi due, tre, di fronte al corpo di suo fratello.
Ed era lì, maledizione, c’era in infermeria, quando aveva sentito quello che non aveva avuto il coraggio di dire a nessun altro.
« Cinnamon, non respira, il ragazzo non respira »
« Fallo respirare, Lucinda »
Ma “fallo respirare” non assomigliava per niente a “respira” e Jade lo sapeva che gli incantesimi non sono eterni, che prima o poi finiscono, e, Dio, quello che aveva visto steso su un letto dell’infermeria, non era un ragazzo, era James.
James Potter.
Jamie che aveva sempre la testa fra le nuvole.
Jamie che non si svegliava la mattina.
Jamie il ragazzino che aveva deciso che lei sarebbe entrata nel suo gruppo senza chiederle se fosse d’accordo.
Jamie che per lei era come un fratello, più di Elijah e sicuramente più di Ian.
Jamie che era il suo migliore amico.
Lasciò che un singhiozzo, l’ennesimo, le bruciasse la gola e infiammasse le labbra per  poi rovinarle addosso insieme all’acqua gelida.
Jamie che adesso respirava con un incantesimo.
Come c’erano arrivati a quel punto?
Come era stato possibile?!
Lasciò che le mani provassero di nuovo ad afferrare il liquido trasparente che le scorreva sul viso, sul collo, tra i vestiti, dento l’anima e sentì il respiro mancarle: anche quello per un singhiozzo disperato, anche quello per continuare a piangere.
E se ne rese conto solo in quel momento, che era così facile sgretolarsi.
Troppo facile, diventare davvero cenere..

Londra, Ospedale magico San Mungo, ore xx.xx
Harry continuava a fissare il pavimento da quando era arrivato al San Mungo.
Era arrivato di corsa: si era smaterializzato e poi aveva corso.
Dio, la prima volta che aveva corso in un ospedale era stato perché Ginny era in travaglio e urlava come un’indemoniata e stava nascendo James..
Stava nascendo James..
Quando il patronus di Cinnamon era arrivato nel suo ufficio, quella domenica mattina, perché lui era in ufficio spendendo il suo tempo lavorando con Susan e Nott mentre sarebbe dovuto essere a scuola, a vedere la prima partita di Albus, a vedere James che sfrecciava cercando il boccino, come faceva tutti gli anni.. Quando la pantera di Cinnamon Hastings era sbucata dalla parete e aveva detto che James era al San Mungo, che Albus e Lily erano già lì, che Ginevra era stata avvisata, gli era mancata la terra sotto i piedi.
Poi aveva cominciato a correre.
E aveva continuato fino a quando non aveva visto Al e Lily, seduti su un paio di scomode poltroncine addossate alla parete, con i volti stravolti: la sua bambina non l’aveva nemmeno guardato, gli occhi verdi di Albus erano bastati a bloccargli il fiato in gola.
Aveva provato a chiedere cosa fosse successo, ma nessuno dei due sembrava avere voce per rispondere.
Non sappiamo come sia stato possibile, Harry, sai benissimo anche tu che Hogwarts è impenetrabile: le difese vengono controllate e rafforzate ogni anno.. Anche il campo è protetto.. Non so come sia stato.. Davvero non.. Qualcuno gli ha lanciato una maledizione, l’ha colpito in pieno petto.. deve aver perso i sensi e.. c’era una tale nebbia che nessuno riusciva a vedere a un palmo dal naso.. L’abbiamo portato qui subito ma.. Mi dispiace Harry.. Me ne assumo ogni responsabilità..
Non ricordava di aver mai visto la McGranitt piangere, eppure, quel giorno, l’aveva vista crollargli davanti, come una donna qualunque preda del senso di colpa e di quel senso di impotenza così simile al suo.
Perché oltre la porta alla sua destra stava suo figlio e lui, che era suo padre, lui, che aveva giurato di proteggerlo, lui, che l’aveva già visto grande nel momento in cui lo aveva preso in braccio la prima volta: lui non poteva fare niente per salvarlo, per aiutarlo.
Perché la realtà, orrenda, cruda ed ingiusta, era che, forse, non lo avrebbe mai visto grande, suo figlio, e non aveva mai avuto così tanta paura in vita sua.
Chiuse gli occhi, il grande Harry Potter, il Salvatore del Mondo Magico.
Perché in quel momento era solo un uomo qualunque.
E non poteva fare altro che pregare.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Dormitorio femminile Grifondoro, ore xx.xx
Di fronte al dolore e all’incertezza, di solito, le persone, fanno due cose.
O resistono e crollano in silenzio.
O cadono e basta.
Vanille ci pensava, guardando il soffitto della sua stanza, e cercava di capire in quale dei due gruppi collocarsi, ed era un modo come un altro per tenere occupata la mente, ignorare il fatto che non sapeva dove fosse Rose, e stranamente non le importava, ignorare il fatto che Scorpius probabilmente era con lei, e soprattutto ignorare che Albus non c’era perché era stato portato in ospedale per assistere alla morte di suo fratello.
Trasse un profondo respiro e chiuse gli occhi.
Non sapeva quante ore prima, James Potter era caduto dalla scopa durante la partita e tutta la scuola l’aveva visto ridotto a un mucchio di briciole sul terreno del campo da Quidditch.
Pensò cinicamente che, se fosse successo a qualcun altro, ad uno di quei ragazzi che hanno un volto ma non un nome, uno di quelli che nessuno conosce, forse sarebbe stato tutto diverso: forse se la sarebbero cavati con qualche espressione sinceramente addolorata e Rose avrebbe pianto a prescindere.
Ma non era caduto un ragazzo qualsiasi, non era caduto solo un corpo.
Era caduto James Potter.
Il ragazzo.
Quello che conosceva e conoscevano tutti, di vista, di fama, per averci scherzato insieme almeno una volta, per averci giocato contro, per averlo ammirato, adulato, sognato, invidiato, e forse per questo, l’intero castello sembrava sospeso, in attesa di notizie: buone o cattive, ma notizie.
E lei non sapeva come sentirsi: non sapeva quanto dolore avrebbe dovuto provare.
Die Vanille non aveva grandi rapporti con James Potter: ogni tanto parlavano, ogni tanto scherzavano, ogni tanto si divertivano, insieme.
Nonostante James sembrasse provarci, lei l’aveva sempre considerato un modo come un altro per prendersi un po’ in giro a vicenda, non l’aveva mai preso sul serio: perché lei, tra tutte le belle ragazze che c’erano a scuola?
Eppure..
«Un ballo con me, Vì, me lo concedi?».
«Va bene, James, ma non aspettarti che io cada ai tuoi piedi come una pera cotta ».
«Vedremo, Die Vanille.. So essere estremamente affascinante, sai?».
Era stata la Festa d’Inizio dell’anno prima, quando era entrata in squadra come riserva, e allora avevano solo riso, insieme.
Ed ora James stava morendo e lei non sapeva ancora se era stato tutto un gioco o no..
Se avrebbe preferito che fosse tutto uno stupido gioco o ammettere che forse, quella sera, aveva cominciato a cadere come una pera cotta senza accorgersene.
Si rese conto di star piangendo quando le lacrime le si infilarono tra i capelli.
Poi giunse, in silenzio, alla conclusione che chi era capace di resistere senza incrinarsi o spezzarsi dovesse avere qualcosa di invincibile incastrato tra il cuore e la testa.
E lei, di invincibile, non aveva proprio niente.


It's everything you wanted,
it's everything you don't
It's one door swinging open
and one door swinging closed



Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Grifondoro, ore xx.xx
Sembrava che tutto si fosse fermato, cristallizzato.
Era seduta davanti al camino con indosso una tuta vecchia ma comoda, e non riusciva a smettere di bruciarsi gli occhi tra le fiamme incandescenti che, seppur vicinissime non riuscivano a riscaldarla.
Ian ed Elijah erano seduti con lei sul tappeto, uno alla sua destra, uno alla sua sinistra.
Roxanne era raggomitolata su una poltrona, rigida come se avesse paura di muovere un muscolo: aveva smesso di urlare sì, ma nessuno l’aveva più sentita parlare.
Lorcan non se n’era andato, e sedeva per terra, la schiena appoggiata contro la poltrona su cui stava la ragazza, le era vicino nella maniera più discreta possibile, e giocava a scacchi con il gemello, Lys, che guardava i pezzi bianchi e neri con sguardo perso.
Frank se ne stava seduto sul divano e continuava ad accarezzare i capelli lunghi di Evangeline che, appallottolata tra le sue braccia, sembrava essersi addormentata, Vanille, stesa all’altro capo, guardava il soffitto con aria assorta.
Molly Weasley, Jade non lo sapeva quando era arrivata, stava compostamente sull’altro divano e leggeva, tenendo gli occhi fissi sulla stessa pagina da più di un’ora, vicino a lei Louis e Lucy sembravano analizzare lo stesso libro, mentre la ragazza teneva la testa sulle gambe del cugino e le gambe a penzoloni oltre il poggia gomiti scarlatto.
Rose guardava ancora fuori dalla finestra, mentre Hugo le dormiva sulla spalla e Scorpius le faceva compagnia, seduto di fronte a lei.
L’unico distante era Mordecai che, dopo averla portata alla Torre e averla rimessa un minimo in sesto, visto che tutti erano troppo presi dai propri pensieri per occuparsi di lei che non stava nemmeno in piedi dopo ore di doccia gelida, era rimasto lì e stava seduto al tavolo sfogliando pigramente un paio di grossi volumi, per occupare il tempo e non perdersi a fissare il vuoto come tutti loro.
Jade non ricordava di aver mai sentito così tanto silenzio in vita sua: non in quel posto almeno, non a quell’ora, non dopo una partita di Quidditch.
Era un silenzio teso, pieno di singhiozzi e sospiri, di parole lasciate a fior di labbra per paura di essere dette.
Era un silenzio pesante, che schiacciava fastidiosamente il petto e rendeva difficile respirare, non impossibile, solo più faticoso.
Era un silenzio che li lasciava tutti sull’orlo del baratro, a un soffio dalla caduta, a guardare il vuoto sotto di loro con lo stomaco improvvisamente ridotto ad un bicchierino da caffè, ma che comunque li teneva piantati con i piedi a terra.
Jade odiava il silenzio.

Londra, Ospedale magico San Mungo, ore xx.xx
Albus continuava a non rendersi conto del tempo che passava, dei secondi, dei minuti delle ore che erano sicuramente passate da quando era arrivato lì.
E di nuovo accadde tutto troppo in fretta.
Troppo velocemente perché potesse prenderne coscienza.
Il ticchettio dei tacchi di sua madre cessò senza riprendere.
Le mani di suo padre smisero di darsi a vicenda il tormento.
Le dita di sua sorella abbandonarono il suo braccio.
Voltò la testa verso sinistra, verso la porta della sala dove stavano tenendo James e sentì che finalmente il mondo aveva ricominciato a muoversi: se stesse per crollare definitivamente o rinsaldarsi un poco non era certo di volerlo sapere.
La fiammella tremula sopra la porta che ora tutti e cinque guardavano si era spenta.
Semplicemente spenta.
Soffiata via da un alito magico che poteva sapere solo di due cose.
Vita o morte.
Ed Al trattenne il respiro.


Some prayers find an answer
Some prayers never know
We're holding on and letting go
Yeah, letting go
(Holding on and letting go- Ross Copperman )








Note dell'autrice:
Salve a tutti, chiedo scusa per la settimana di ritardo, ma ho avuto dei problemi in famiglia e un sacco di altri casini che mi hanno tenuta forzatamente lontana dal pc, nemmeno qualcuno avesse deciso che questo capitolo non si doveva fare.. spero mi perdonerete..
Comunque..parliamo di questo capitolino, vi va?? Allora, parto con il dire una cosa che avrete capito tutti, si tratta di un mio blasfemo tentativo di introspezione psicologica... ora, io preferisco le scene comico, ironiche, d'azione, un po' movimentate e i dialoghi, ma dopo lo scorso capitolo in cui il dolce Jamie è finito a fare la parte della frittata, capirete anche voi che un minimo di riflessione e depressione profonda ci voleva, no?? Quindi mi dispiace di avervi propinato questa...cosa, ma non ho proprio potuto farne a meno.
Nonostante questo: fatemi sapere cosa ne pensate e RECENSITEEEEEEEEEEEEEE :) :)
Poi, giusto se qualcuno si stesse chiedendo chi sia Lucinda...beh, è la signorina Talleyrand, la mia guaritrice ad Hogwarts, così tanto per.. :)
Io non ho altro da aggiungere, se non che ringrazio le anime buone che hanno recensito lo scorso capitolo e a cui devo ancora rispondere (lo farò il prima possibile, promesso!!) e poi ci segue e preferisce questo mio tentativo si scrittura creativa :) :)
Detto questo, tanti bacioni a tutti,
Najla



PS: Giusto per farmi perdonare della settimana di ritardo e per risollevare qualche cuore dopo questo capitolo atroce... di norma tendo a non uccidere i miei personaggi, mi sembra di commettere un omicidio e poi mi affeziono alle mie creaturine e sono una fan delle Happy Ending quindi, non dico che non morirà nessuno prima della fine...ma chi ha orecchie per intendere..intenda ;)




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Capitolo 14
*** Qui va sempre tutto bene ***


Note prelettura..
Giusto perché poi non si dica che inserisco personaggi a caso di cui mi dimentico, ricordo ai miei lettori tre personaggi che ho introdotto nel prologo “Perché non bisognerebbe essere Auror” e poi nel terzo capitolo, “Come ci siamo arrivati”, e sono rispettivamente: Edward Harker, amico e coetaneo di Teddy Lupin, è l’Auror che viene ferito dal losco figuro che ha compiuto la strage di Azkaban nel prologo, Nihila Kaur, la medimaga che si è occupata di lui al San Mungo e che è una vecchia compagna di scuola sia di Edward che di Teddy (giusto per rispolverare antiche memorie: era la fidanzata di Edward ad Hogwarts, l’ha lasciato senza preavviso partendo per l’India a causa del matrimonio combinato che le avevano organizzato i suoi genitori, liberatasi dai legami familiari è tornata a Londra per riappacificarsi con Edward, salvo poi sapere da Victoire che in quel periodo frequentava un’altra ragazza, e rinunciare definitivamente a fare pace con i suoi due amici, che hanno deciso di disconoscerla quando se n’è andata), e infine Leigh Dale, che viene citata nei pensieri di Nihila ( ..se Leigh l’avesse vista in quello stato le avrebbe fatto una ramanzina infinita, ne era certa. Cit. Terzo Capitolo ) e anche in quelli di Mirtilla Malcontenta, nel Quarto Capitolo “Un’allegra famiglia felice”.
Tutto questo per anticiparvi che si scoprirà chi è Leigh (per chi non si fosse già costruito un filmino mentale, ma dubito ), che legami ha con i personaggi e perché Katherine Wetmore non insulta mai Rowena Dale di fronte a Damian Zabini…
Buona lettura e ci rivediamo alla fineeee!!



Undicesimo Capitolo
Qui va sempre tutto bene

Quando non vogliamo sapere una cosa – fingiamo di non saperla. – E se la finzione è più per noi stessi che per gli altri,
 creda pure, è proprio, proprio come se non si sapesse.

(Luigi Pirandello )


12 Novembre XX
Londra, Ospedale magico San Mungo, ore 12.13
Albus prese a massaggiarsi le palpebre, inspirando ed espirando lentamente, neanche stesse provando qualche innovativa e miracolosa tecnica di rilassamento che se proprio non doveva servire a fargli raggiungere la pace interiore almeno avrebbe potuto salvargli le sinapsi che non si erano bruciate nel vano tentativo di mantenere la calma e non esplodere come uno dei botti di Capodanno.
Non sapeva esattamente se era pronto a fare una strage, no, la sua pazienza era provata da anni e anni di convivenza con James Potter e aveva raggiunto limiti sconosciuti all’animo umano, ma era decisamente pronto a prendere a pugni qualcuno: magari quel qualcuno che si era divertito a dire che il concetto di niente è relativo. Perché, Porca Morgana, se ne stava pian piano rendendo conto: non c’era niente di relativo nel niente.
«Al, vai a dire all’infermiera che le carote non mi piacciono.. voglio le zucchine ».
Niente aveva un significato ben preciso, un irritante e ammorbante significato.
«Poi tira le tende: mi arriva il sole sugli occhi ».
Niente aveva un tono non troppo velatamente altezzoso e giusto un filino arrogante, giusto solo un po’.
«Quando vai dall’infermiera dille che a colazione preferisco qualcosa che abbia la cioccolata: dille che se lo segni da qualche parte ».
Niente si stava comportando come un bambino viziato da tre giorni ed Al sentiva il bisogno di togliergli la voce.
«Al, poi vai a cercare della pergamena: dobbiamo rispondere alle mie ammiratrici ».
Niente aveva ogni osso del corpo rotto ma l’ego integro e accecante come non mai.
«Ah…Al, grattami il naso ».
Niente era una catastrofe se collegato a James.
Albus trasse l’ennesimo, profondissimo, respiro, prima di riaprire gli occhi e far leva su tutta la sua buona volontà per non rispondere urlando al fratello, steso sul letto di fronte a lui.
Alla fine James non era morto, o meglio, i medimaghi gli aveva aggiustato tutti i muscoli intercostali e riattivato il cuore in modo che potesse respirare e continuare a funzionare come si deve, quindi, sostanzialmente, lo avevano quasi resuscitato, ma comunque era ancora vivo e vegeto.
Integro un po’ meno.
In realtà non c’era osso in James Potter che non fosse lussato, incrinato, crepato, spezzato o microfratturato, e questo era il vero problema.
Dopo le oltre sette ore di intervento a cui il ragazzo era stato sottoposto appena arrivato al San Mungo, i medici avevano convenuto che non fosse il caso di far subire al suo corpo già provato ulteriori cure magiche con il rischio che le rigettasse, inoltre, aveva perso talmente tanto sangue, che gli ci sarebbero voluti almeno tre o quattro giorni di rimpolpasangue per tornare in forze abbastanza da sostenere almeno una parte degli interventi necessari a ricostruire il suo scheletro.
Quindi, finché i maghi del San Mungo non lo avessero ritenuto pronto a sopportare un po’ dello stress post-operatorio, James sarebbe stato costretto a letto, ingessato dal collo in giù, incapacitato a fare anche i movimenti più stupidi, tipo, per l’appunto, grattarsi il naso.
Non poteva fare proprio niente, niente.
«Albus, me lo gratti o no il naso? ».
E se James non poteva fare niente, qualcuno doveva sorvegliarlo ogni secondo del giorno e assecondare tutte le sue richieste, no?
«Non te lo gratto il naso, James, fattela passare » rispose tranquillo Albus infilzando una carota e ficcandogliela in bocca con mala grazia, giusto per il gusto di farlo star zitto dieci secondi.
James roteò gli occhi e ingoiò a forza la rondella di vegetale prima di provare a incenerirlo con la forza del pensiero: perché, tanto, altro non avrebbe potuto fare.
«Lo sai che non mi piacciono le carote » sibilò con un che di oltraggiato che il fratello ignorò senza troppi problemi.
«Ma ti fanno bene » rispose il moro con semplicità, «E i medici hanno studiato di proposito una dieta per permetterti di alzarti da lì il prima possibile: il minimo che tu possa fare è stare zitto e mangiare ».
Per quanto, all’esterno, potesse sembrare il contrario, Albus era davvero grato al cielo che suo fratello non fosse più in pericolo di vita, non sapeva dire quanto aveva pregato i due giorni dopo l’operazione perché si svegliasse e fosse tutto normale, quanto aveva implorato chiunque che non avesse una ricaduta e tornasse in stato vegetativo, e nessuno sapeva, esclusa Lily perché era con lui, quanto aveva pianto di sollievo quando una settimana prima una medimaga era uscita dalla sala alla sua sinistra e aveva detto loro che il cuore di James funzionava ancora, e quanto lo aveva fatto quando suo fratello aveva aperto gli occhi, confuso, stanco, dolorante, ma cosciente.
Checché se ne dicesse, Albus voleva un bene dell’anima a James, ed era stato talmente felice che fosse vivo, che si era reso disposto ad accudirlo senza batter ciglio: sua madre non aveva avuto nemmeno il bisogno di chiederglielo. Tuttalpiù che vedendola con le occhiaie da panda dopo sei giorni di veglia ininterrotta, Al si era sentito in dovere morale di mandarla a casa a riposarsi per una giornata e a prendersi l’onere di sorvegliare il malato mentre suo padre era a lavoro e Lily si occupava di rassicurare i mille amici e conoscenti sulla situazione della povera vittima di tentato omicidio.
E sarebbe andato tutto più o meno civilmente se James non si fosse svegliato, quella mattina, con il malsano proposito di essere più James del solito.
Al non sapeva se stesse cercando di farlo impazzire per divertimento o lo stesse punendo per qualcosa, magari non avergli impedito di fare la fine della frittata, per esempio, ma si augurava davvero che non si trattasse della seconda opzione: facile com’era a farsi colpevole dei mali del mondo, era certo che suo fratello che cadeva da una scopa sarebbe stato il suo incubo ricorrente per i prossimi dieci anni, come minimo.
«Almeno mettici insieme un po’ di carne..» ribatté James un po’ più mogio, sforzandosi di tirar su la testa per vedere cosa stesse combinando il fratello con il piatto del pranzo.
Albus obbedì in silenzio: l’unica cosa che lo consolava, era che se James era capace di rompere le pluffe in quella maniera, sicuramente si stava riprendendo più che bene.
Non avrebbe voluto immaginarlo senza la flebo di antidolorifici che lo teneva così tranquillo, appena infastidito da quello che era di sicuro un dolore insopportabile: scosse la testa e cercò di seppellire il pensiero di James che si contorceva urlando a pieni polmoni.
«Noi domani torniamo a Hogwarts, te l’ha detto papà? Mamma dice che non ha senso perdere ancora giorni di scuola visto che non possiamo fare niente e che tu non sei più a rischio » buttò lì ignorando un brivido freddo: l’immagine di James spacciato ancora troppo vivida, troppo reale.
«Ah..» fece l’altro rilassando il collo contro il cuscino, masticando svogliatamente un pezzo di carne talmente al naturale da sembrargli di mangiar aria, «Salutatemi gli altri..».
Albus si mise a fissare il piatto e a giocherellare con i pezzetti di carne, incastrandoli con le carote, giusto per evitare di dover guardare l’altro in faccia, «Certo..».
James ruotò il capo in silenzio, ignorando il gesso che gli dava un fastidio bestiale, e sopprimendo la tentazione di provare a muoversi, alzarsi in piedi, prendere Al per le spalle e dargli una bella scossa per farlo rinsavire un pochino.
Non era uno stupido, James, e se n’era accorto già la prima volta che lo aveva intravisto, tra i fumi dell’incoscienza e degli antidolorifici, quando aveva notato gli occhi grandi e verdi di suo fratello gonfi come se non avesse fatto altro che piangere per due giorni: non gli era nemmeno servito che Lily gli dicesse che li aveva fatti spaventare a morte per capire che ad Albus il cuore doveva aver giocato brutti scherzi fino a martedì sera, quando si era svegliato.
Alla fine, per quanto si pestassero più o meno violentemente ogni volta che ve n’era occasione, per quanto non fossero mai andati troppo d’accordo in sedici anni, rimanevano sempre fratelli e probabilmente l’unico loro problema era che erano troppo diversamente uguali e testardi per riuscire a non tormentarsi un pochino a vicenda: che poi a James la cosa venisse proprio spontanea, era un altro discorso.
In definitiva, Jamie era convinto che se ad Al fosse successo qualcosa di grave, avrebbe avuto un’espressione più o meno simile a quella che l’altro aveva in quel momento: senso di colpa, paura, la convinzione di essere inutili, fuori posto, un incapace..
Continuò a guardarlo in silenzio, per un po’, poi, visto che proprio non poteva vederlo fare la vittima quando era lui quello moribondo, decise che avrebbe provato a parlarci: avrebbe preferito qualcosa di più fisico, ma era momentaneamente impossibilitato.
«Al.. smettila » lo richiamò pacato e lo vide bloccare la mano che giocherellava con la forchetta, trattenendo appena il fiato, «Non è colpa tua, ok? So che ti ho fatto spaventare e tutto il resto, ma adesso smettila: sono vivo, sto bene, relativamente, e rimetteranno tutti i pezzi insieme.. puoi stare tranquillo..».
Albus lasciò cadere la forchetta sul piatto e alzò lo sguardo verso di lui, gli occhi verdi decisamente irritati: James cercò di capire dove avesse sbagliato, di nuovo.
Era assurdo, anche con le migliori intenzioni di questo mondo, con Albus lui sbagliava sempre.
«Tranquillo?» mormorò a denti stretti il ragazzo, «Cristo, James! Ma sei deficiente o cosa?! Non so se hai davvero realizzato che sei morto, ok? » e James cominciò a capire quale fosse il problema, «Morto! Non è una barzelletta, non è una botta in testa! E’ il tuo fottutissimo cuore che smette di battere, ok? Come puoi dirmi di star tranquillo dopo una cosa del genere?! Non starò tranquillo per il resto della mia vita! Hai la minima idea di cosa abbia voluto dire vederti lì, per terra?! » James decise di lasciarlo sfogare, era la prima volta che loro due rimanevano da soli, da quando si era svegliato, e forse suo fratello sentiva solo il bisogno di urlargli contro come facevano di solito, «Ho avuto una paura tremenda di doverti fare il funerale: tu non ne hai nemmeno idea..».
Solo riprendendo fiato Albus si rese conto che la faccia di suo fratello non aveva fatto una piega, nonostante lo guardasse con qualcosa negli occhi che sembrava sincero affetto, e che non aveva nemmeno provato a zittirlo: realizzandolo si sentì improvvisamente più leggero.
Se stava urlando in faccia a James, doveva per forza essere vivo, no?
Se solo loro due fossero stati capaci di dirsi le due parole più difficili del mondo abbastanza forte perché anche l’altro potesse sentirle, il “grazie” che sussurrava timidamente la mente di Albus avrebbe preso forma anche sulle sue labbra.
«Mi vuoi proprio bene, eh?» ghignò James, senza alcuna traccia di scherno nella voce, solo la voglia di spezzare la tensione.
«Sei mio fratello »sospirò Al allontanando il vassoio magico con una mano, stravaccandosi sulla poltroncina dove stava, «Sei un idiota egocentrico e mitomane, ma sei sempre mio fratello.. no? Presumo di doverti voler bene per forza..».
James sorrise piano.
Forse era la prima conversazione civile che avevano da almeno un decennio.
«Dai, dammi un’altra carota, va’..».

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, davanti al portone d’Ingresso, ore 14.06
Dopo quanto successo a James Potter, quasi una settimana prima, il Ministro e il Dipartimento Auror avevano deciso di stanziare una serie di agenti della polizia magica lungo il perimetro della scuola, per controllare la situazione finché non si fosse scoperto cosa era successo durante quella partita di Quidditch, che, nonostante gli sforzi, rimaneva avvolta nel mistero.
Erano stati interrogati tutti gli studenti presenti alla partita, gli insegnanti, i giocatori, persino James aveva fornito una sua versione dei fatti il giorno prima, ma ancora non erano venuti a capo di niente: era come per Azkaban, qualcuno appariva magicamente e allo stesso modo spariva, senza lasciare traccia e senza capire come diavolo avesse fatto a trovarsi in quel posto in quel momento.
Sembrava di avere a che fare con un fantasma.
Un fantasma pluriomicida assetato di vendetta, ovviamente.
Teddy si guardò intorno nervoso, come se si trovasse in una di quelle scomode situazioni in cui non voleva assolutamente stare, tipo le cene con la madre di Victoire che gli chiedeva quando aveva intenzione di sposare la sua bella figliola, anziché essere all’entrata della scuola che aveva frequentato per sette anni.
Ed era universalmente riconosciuto che chiunque avesse passato degli anni in quel posto lo considerasse alla stregua di una seconda casa, un posto dove era bello e nostalgico fare ritorno: lo zio Harry ne parlava ancora con sguardo trasognato, e lui lì dentro c’aveva anche combattuto una guerra.
Ted, invece, non voleva proprio starci lì, dentro a quel castello, sentiva persino prudergli la pelle, come una sorta di orticaria o allergia, a stare lì. Se avesse saputo che il Capo Auror l’avrebbe mandato a sorvegliare il perimetro della scuola di magia insieme ad una squadra di sei membri della polizia magica, tra cui Ed, intento a controllare la strada che portava al campo da Quidditch, avrebbe educatamente rifiutato e sarebbe rimasto a fare la guardia ai topi nella macabra e sudicia Azkaban.
Non che non avesse vissuto i migliori momenti della sua vita in quella scuola, solo che tanti momenti portano con sé tanti ricordi, spesso troppi, e i ricordi, Ted lo sapeva per esperienza, portano con sé rimpianti, tanti e insormontabili rimpianti.
Tutta una serie di cose che si sarebbero dovute fare e che invece non si sono fatte, una lunga catena di istanti che si possono solo guardare, non cambiare, non modificare, solo osservare in silenzio e riflettere: fondersi il cervello alla ricerca di una soluzione che, in realtà, non esiste e non può esistere.
Nonostante tutto, quando aveva scoperto che suo zio lo avrebbe spedito ad Hogwarts non aveva fiatato, non aveva protestato, anzi, si era dimostrato ben determinato a svolgere al meglio il suo compito e la ragione di tutto era James.
Aveva accettato di andare lì solo per tamponare quel vecchio e nuovo senso di impotenza che lo aveva colto quando gli avevano detto che Jamie, maledizione, lo stesso Jamie che gli stava incollato peggio di una sanguisuga da quando aveva imparato a camminare, stava morendo.
Da bravo uomo che era, era andato a piangere da Nihila quando gli avevano detto che se la sarebbe cavata.
Perché proprio lei?
Facile, perché lei, alla fine, poteva capire perché quella situazione l’avesse terrorizzato più di quanto non sarebbe successo normalmente.
Nemmeno fosse cresciuto collezionando traumi psicologici..
Sospirò di nuovo, guardandosi attorno con aria annoiata: il suo turno era cominciato quella mattina ma, a parte gli studenti che qualche minuto prima avevano preso le carrozze per andare ad Hogsmade, non era successo niente di interessante e lui, sostanzialmente, si stava rigirando i pollici da oltre sei ore.
Se non avesse avuto un’immagine da difendere, si sarebbe persino messo a cantare, così, tanto per passare il tempo..
«Theodore Lupin? » una voce delicata, leggermente stupita, lo costrinse a voltarsi verso la scala alle sue spalle, quella che portava al primo piano del castello.
Una ragazza, probabilmente del settimo anno, anzi, sicuramente dell’ultimo anno, stava in equilibrio sull’ultimo gradino, i capelli castani fermati appena dietro alla testa e gli occhi spalancati: indossava un mantello blu scuro, con gli almanacchi argento e un paio di stivali alti.
Era veramente diventata una bella ragazza.
«Rowena Dale? » Ted sembrava ancora più sconvolto nel vederla proprio lì, davanti a lui, dopo tanti anni, nemmeno si fosse dimenticato che la piccola Row aveva l’età di James e Roxanne.
«Sì.. Sei un Auror, adesso? » chiese tranquilla raggiungendolo all’entrata, costretta a guardare verso l’alto perché il ragazzo era un lampione e lei, lo ammetteva senza problemi, era più bassa dei suoi coetanei.
«A quanto pare.. » mormorò lui incrociando le braccia al petto e guardando fuori dalla finestra: non riusciva ancora a guardare quella ragazzina negli occhi dopo sei anni: altro che Grifondoro, a Tassorosso lo dovevano smistare quella volta..
«Ti sei tagliato i capelli » osservò innocentemente Rowena con un mezzo sorriso, «Ricordo che li avevi molto più lunghi.. Una volta credo si averti visto pure con le trecce.. ».
«Colpa di tua sorella, sarà stata » bofonchiò al pensiero di quanto doveva esser stato ridicolo, quella volta: ne aveva un vago ricordo e sperava che Leigh non avesse scattato qualche foto compromettente..
Si bloccò seguendo il filo dei propri pensieri, rendendosi conto solo in quell’istante di cosa avesse detto e pensato: non poteva essere stato tanto idiota da nominarla di fronte alla sorella.
Lanciò un’occhiata sottecchi a Rowena che lo guardava con un sorriso amaro, gli occhi senza alcuna traccia di rimprovero, solo.. più tristi.
Si sentì un verme.
«Nonostante tutto sono certa che ti avrebbe preferito con i capelli corti, credo approverebbe » disse tranquilla, come se nulla fosse, solo gli occhi si erano incupiti, e Ted non poté fare a meno di invidiarla: a lui veniva ancora da piangere.
«Mi dispiace Rowena.. » mormorò a testa bassa, da bravo vigliacco qual era.
«Non è colpa tua, Lupin » rispose lei in un soffio, «Non è stata colpa di nessuno di noi..».
Ted scosse la testa, erano le stesse parole che si ripeteva da circa sei anni: peccato non c’avesse mai creduto.

Inizio Flashback

21 Dicembre 2016
Londra, Diagon Alley, ore 16.32
Aveva nevicato tutta la mattina e le strade affollate del quartiere magico di Londra erano occupate dai pochi maghi e dalle poche streghe che avevano avuto il coraggio di sfidare il freddo e i pochi fiocchi che leggeri cadevano ancora di tanto in tanto.
Se non ci fosse stato così abituato, ad un paesaggio da cartolina come quello, con le vetrine illuminate, il vociare allegro di sottofondo e i colori natalizi che decoravano le vie augurando buone feste ai passanti, Ted ne sarebbe rimasto persino colpito, ne sarebbe stato entusiasta.
In realtà, non riusciva a fare a meno di pensare che aveva passato la mattina in una delle sale conferenze del Ministero a seguire una noiosissima lezione, per lui del tutto inutile, c’era andato per fare compagnia ad Ed, su tutti i modi possibili per camuffare il proprio aspetto durante le indagini che avrebbero dovuto compiere una volta diventati Auror, e che ora, dopo un pranzo al volo al Paiolo con alcuni compagni di sventura, in aula insieme a lui, si trovava a scorrazzare, con i piedi ridotti a due blocchi di ghiaccio e i capelli umidi di nevischio, in giro per negozi.
E tutto solo perché Leigh gli aveva strappato la promessa di andare a cercare il regalo per sua sorella insieme, come ogni anno. La ragazza aveva strategicamente sostenuto che lui le portava fortuna, e che senza di lui non sarebbe mai riuscita a trovare il regalo perfetto per la sorellina: la piccola Rowena che quell’anno era andata ad Hogwarts per la prima volta.
Ci voleva un regalo bello grande e speciale.
A Ted ormai veniva da piangere, stavano uscendo dal dodicesimo negozio, di nuovo, a mani vuote.
«Sai che ti voglio bene, sul serio » esordì lui prendendola a braccetto per dirottarla verso un piccolo bar che avevano aperto vicino alla Gringott, nonostante lei avesse stabilito che non ci sarebbero state pause caffè nella loro giornata di shopping, «Ma non sento più le dita dei piedi, quindi adesso, io e te, ci regaliamo una cioccolata calda ed evitiamo l’ipotermia ».
«Ammetti che per te ogni scusa è buona per sederti e poltrire » bofonchiò lei spingendo la porta della caffetteria: il campanello sopra la porta trillò allegro.
Presero posto ad un tavolino in fondo, vicino alla stufa accesa perché Ted stava veramente morendo di freddo e Leigh ordinò per tutti e due un the, affermando che sarebbero ingrassati abbastanza con le vacanze di natale e non serviva a nessuno dei due una cioccolata calda che finisse sui fianchi: Teddy preferì non ricordarle che lui poteva cambiare il suo aspetto e il grasso poteva nasconderlo a suo piacimento.
Aveva conosciuto Leigh Dale sul treno per Hogwarts sette anni prima: lei era piombata senza chiedere niente nel suo scompartimento trascinandosi dietro un Edward tutto impettito che non faceva altro che lamentarsi e aveva deciso che sarebbero diventati amici, se non altro perché i capelli di Ted che cambiavano colore la divertivano un sacco.
Lui non aveva potuto farle cambiare idea, e lo dimostrava il fatto che ora, a sette anni di differenza, con un’esistenza da Grifondoro alle spalle e un futuro da Auror e Spezzaincantesimi davanti, loro due si trovavano ancora insieme davanti ad una tazza di the a DIagon Alley.
Leigh si tolse il mantello rosso scuro e lo appoggiò sullo schienale della sedia prima di riportare distrattamente la lunga treccia bionda sulla spalla sinistra e prendere a tamburellare le dita sul legno scuro del tavolino, ansiosa.
«Non so cosa prendere a Row » ammise dopo un po’ incrociando le braccia sopra il tavolo e nascondendoci in mezzo la testa: Ted fu veloce nello spostare la tazza di the appena arrivata per impedire che la ragazza ci andasse a sbattere con la fronte.
Era sempre stata sbadata, Leigh.
«Tranquilla, è due ore che giriamo a vuoto ma non lo aveva capito.. » ironizzò lui soffiando via il vapore dalla sua tazza prima di prenderne un sorso bollente: finalmente qualcosa che non era congelato.
«Al posto di infierire dammi una mano, no? Che razza di brutta persona sei? » borbottò lei squadrandolo con gli occhi verdi, sbucati a caso dalla stoffa blu del maglione che aveva addosso.
«Mi spieghi perché ogni anno l’ultimo regalo a cui pensi è quello per tua sorella? Sai che è quello che ti impegna di più, pensati prima..» la rimproverò bonariamente e lei si rimise dritta sospirando.
«Lo so, lo so.. è che tutto mi sembra “non abbastanza”, capisci? Insomma, è il suo primo anno ad Hogwarts, deve essere qualcosa di speciale: voglio che se lo ricordi questo natale..».
In quel momento Teddy realizzò una cosa sconcertante.
«Oddio..» mormorò di punto in bianco appoggiando la tazza vicino a quella di Leigh, «Questo è il nostro primo natale fuori da Hogwarts..».
«Wow.. che intuito.. e allora?» rispose lei scaldandosi le mani con la tazza fumante.
«Siamo vecchi, Leigh!» esclamò con orrore e la ragazza inclinò appena la testa verso destra, per niente convinta.
«Tu sarai vecchio..» obiettò tranquilla, «Io ho diciotto anni e tutta l’intenzione di godermeli ».
«No no.. è tremendo.. comincio a sentire il peso degli anni..».
«Teddy.. che peso vuoi sentire? Abbiamo la vita davanti! Se dici che siamo vecchi adesso, a sessant’anni che dirai? ».
«Non capisci, è destabilizzante questa cosa..» mormorò lui con una faccia sconvolta che fece scoppiare a ridere la ragazza che gli stava davanti.
Era sempre stato un po’ melodrammatico, Teddy.
«Allora, facciamo che tu ti destabilizzi qui al caldo e io faccio un salto al negozio qui davanti » sorrise finendo di bere il suo the in un lungo e caldo sorso: aveva un sacco di cose da fare, era quasi natale e lei adorava il natale.
Come ogni anno si era presa in ritardo e doveva ancora comprare tutto: il regalo per suo padre l’avrebbe preso al Ghirigoro, aveva già deciso, il mantello nuovo per la mamma era nascosto nel suo armadio e il calderone nuovo per suo cugino Auggie sarebbe arrivato entro il 25, glielo avevano promesso. Il regalo per Edward lo aveva preso Ted, era un qualche aggeggio per la sua carriera da Auror di cui lei non aveva capito niente, mentre per Nihila, beh, sperava solo che la boccetta di profumo al calicanto che aveva trovato nell’erboristeria girando quella mattina, non si rompesse con il gufo intercontinentale: per quanto ne dicessero i ragazzi, lei rimaneva la sua migliore amica ed era convinta che il ritorno in India fosse stato un sacrificio più grande per lei che per loro.
Certo, avrebbe almeno potuto avvisare Edward e lei glielo aveva ripetuto per più di un anno che quella di prendere e andarsene non era una bella idea, ma Nihila era testarda e non era riuscita a farle cambiare idea.
Se i ragazzi avessero saputo che lei sapeva tutto fin dall’inizio, l’avrebbero disconosciuta, come avevano fatto con la Kaur.
«Qui davanti c’è il negozio per il Quidditch.. da quando alla piccola Row piace il Quidditch? » chiese Ted meditabondo osservandola mentre si alzava e si rimetteva il mantello sulle spalle: non era molto alta, Leigh, eppure nascondeva la forza di un uragano.
«Mia sorella odia il Quidditch » ridacchiò Leigh sistemandosi i capelli prima di afferrare la borsa.
«E allora perché.. » provò a dire Ted ma la ragazza fu più veloce, gli stampò un bacio sulle labbra per zittirlo e gli sorrise scompigliandogli i capelli.
«Perché il regalo di Row non è l’unico che mi manca, ciccio » rispose andando verso l’uscita, «E grazie per avermi offerto il the! » aggiunse uscendo dal locale salutando con un cenno la barista.
Ted continuò a sorridere come un ebete godendosi il suo the, e doveva avere davvero la faccia di un idiota perché la barista, asciugando due tazze lo guardò e scosse la testa.
Il ragazzo non se ne curò nemmeno, non sapeva quando le cose tra lui e Leigh erano cambiate a tal punto da farli mettere assieme come una coppia, ma era abbastanza sicuro di non essere mai stato così stupidamente felice come in quel momento.

Quando Leigh uscì dal negozio di articoli per il Quidditch era abbastanza sicura di trovarsi Teddy in piedi sulla porta, con un sorriso enorme e tutte le intenzioni di scoprire cosa aveva comprato.
Invece constatò con uno sbuffo contrariato che quel cretino del suo neo-fidanzato probabilmente era ancora incollato alla stufa di quel bar, intento ad accumulare la maggior quantità di calore possibile.
Sorrise appena nel rendersi conto che aveva definito Teddy il suo fidanzato con una naturalezza tale da farle tenerezza.
Non avevano programmato nulla, loro due, era semplicemente successo, una sera di quasi un mese prima in un locale, ed era stato così naturale per lei girarsi e stampargli un bacio sulle labbra che non se n’era nemmeno accorta: ad un certo punto aveva inconsciamente deciso che era abbastanza grande per capire ciò che voleva e prenderselo.
Ted non era sembrato per niente dispiaciuto.
Le veniva da ridere, come una stupida: lei, la Leigh Dale immune agli uomini da sempre, che si scopriva innamorata del suo migliore amico! Ma neanche in un romanzo rosa succedevano cretinate simili!
Lo schiocco prepotente di un incantesimo attirò la sua attenzione verso le gradinate della Gringott in tempo per vedere una strega andare a cozzare contro il selciato davanti alla banca, rotolando per qualche metro, inerme.
«Signorina Eliza!» urlò una bambina disperata e spaventata scalciando per liberarsi dalla presa di un uomo che le teneva la testa, gli occhi grandi pieni di lacrime.
Leigh non ci pensò nemmeno: tirò fuori la bacchetta dalla manica del maglione non appena vide un baluginio verde illuminare la punta di quella che stava ad un soffio dai capelli di quella bambina, talmente piccola da non portarli nemmeno, i suoi dieci anni.
Provò a schiantarlo, solo per distrarlo dalla bambina: non avrebbe lasciato che una vita innocente si spegnesse per colpa di un pazzo.
«Sono il seme del male, i figli dei Mangiamorte » ringhiò l’uomo lanciando la bambina alle sue spalle mentre il lampo rosso si dissolveva rapido addosso allo scudo che aveva evocato, «Devono morire tutti!».
Leigh non rispose, si limitò a tenere alta la bacchetta: certi coglioni la facevano proprio incazzare.

Delle urla concitate costrinsero Ted ad uscire dal bar di corsa, la bacchetta in pugno chiedendosi cosa mai potesse essere successo.
Il resto sarebbe rimasto per sempre confuso.
C’era una bambina che piangeva e una donna che cercava di calmarla..
C’erano un gruppo di uomini che picchiavano un mago steso ai piedi delle gradinate della banca magica..
C’era qualcuno che urlava di chiamare il San Mungo..
C’era qualcuno che diceva di avvisare gli Auror..
E urla, tante, troppe urla.
Indistinte, confuse, intrecciate..
Ma tutto, ogni dannato e fottuto respiro sulla faccia del pianeta, si fece muto quando Teddy si rese conto che la figura stesa sulle gradinate, in maniera così scomposta, aveva i capelli biondi raccolti in una lunga treccia e indossava un mantello scarlatto.

Fine Falshback

Leigh Dale si era spenta sulle gradinate della Gringott quattro giorni prima di Natale, sotto una neve che cadeva leggera, uscita da un negozio per il Quidditch dove aveva comprato il regalo per il suo fidanzato.
Leigh Dale, diciotto anni, due genitori e una sorella di undici anni che era la sua vita, era morta per un motivo davvero stupido: aveva battuto la testa troppo forte contro i gradini della banca di DIagon Alley.
Leigh Dale era morta salvando la vita alla figlia minore di Blaise e Daphne Zabini, la piccola Grathia che, in quel pomeriggio invernale era a passaggio con la tata, la signorina Eliza Selwin.
Ted guardò Rowena negli occhi, rendendosi conto che non sarebbe mai riuscito a perdonarsi per quel giorno, per quel the, per averla lasciata andare da sola: sarebbe rimasta una cicatrice indelebile sulla sua anima.
Per questo odiava i ricordi, Ted: ti mettono di fronte a cose che non puoi cambiare.
«Row? » un ragazzo moro e alto arrivò dal corridoio che portava ai sotterranei, «Sei pronta? La prossima carrozza per Hogsmade parte tra cinque minuti..».
«Mord » lo salutò la ragazza sorridendo, «Arrivo subito, aspettami qui fuori ».
Mordecai annuì lanciando un’occhiata furtiva all’Auror in piedi davanti a Rowena e si affrettò a stringersi nel mantello per affrontare il gelo e la neve.
Rowena mosse qualche passo verso la porta prima di voltarsi e sorridere a Ted, in un modo comprensivo che gli ricordava tanto la sua Leigh..
«Portale anche quest’anno le fresie, a Leigh » mormorò la ragazza con la stessa voce delicata di poco prima, «Le piacciono tanto quei fiori..».
Ted non rispose nemmeno, si limitò ad osservare Rowena  mentre raggiungeva Mordecai, fuori, in mezzo alla neve.
Io non le voglio le rose! Sono banali! Io mi sposo quell’uomo che mi porta le fresie!
E la risata spensierata di Leigh si perse, di nuovo, come tanti anni prima, tra i corridoio di quel castello.

Hogsamade, I Tre Manici di Scopa, ore 15.43
Jade prese posto al banco con l’aria di una che ha solo voglia di affondare i dispiaceri in qualcosa di caldo e possibilmente ipercalorico, qualcosa che liberi endorfine e ti faccia sentire amata e coccolata: maledetta quella volta che aveva deciso di assecondare Elijah!
Quando, quella mattina le aveva chiesto di accompagnarlo ad Hogsmade per fare una passeggiata e schiarirsi le idee dopo la brutta settimana che avevano passato tutti quanti, lei non gli aveva creduto. Elijah era un Grifondoro onesto e leale, ma sentiva che, per arrivare a proporle un’uscita solo loro due doveva esserci qualcosa sotto.
Nonostante tutto, lei aveva accettato, provando a convincersi che l’aria gelida di novembre l’avrebbe aiutata a ricaricarsi: la preoccupazione per James non l’aveva ancora abbandonata del tutto, nonostante persino sulla Gazzetta avessero scritto che era fuori pericolo e la paura che da un momento all’altro le cose potessero peggiorare persisteva.
Probabilmente avrebbe dovuto vederlo sano e sulle sue gambe per tirare davvero un sospiro di sollievo.
Ovviamente, una volta arrivati al villaggio magico, Elijah, aveva ben deciso di metterla a corrente dei suoi loschi piani per dirottare l’uscita di suo fratello con Rowena: in mancanza di James doveva pur fare qualcosa il povero Eli, e come avesse fatto a scoprire che quei due sarebbero usciti insieme era ancora un mistero che lei non voleva risolvere.
Temeva che le avrebbe bloccato la crescita.
Comunque, sta di fatto, che nel momento in cui li aveva visti per Hogsmade l’aveva abbandonata a sé stessa per pedinarli e ora lei si ritrovava da sola e un filino depressa.
«Una burrobirra bollente, grazie » ordinò al barista che di spalle trafficava con delle bottiglie, sfregandosi le mani tra di loro per scaldarle il più possibile: non ricordava che potesse fare così freddo già a novembre.
«Di un po’, piccoletta, non si saluta più?» ridacchiò il giovane uomo davanti a lei voltandosi con due boccali fumanti che Jade si permise di guardare come se si trattasse della manna dal cielo.
«E io che ne sapevo che eri tornato da tua zia, Cal? » ridacchiò la ragazza stringendo uno dei due boccali con le mani infreddolite, gustando quel calore che lento le risaliva le braccia e le scaldava, pian piano, anche il cuore.
L’altro rise di gusto.
Caleb McDuff era il nipote di Madama Rosmerta, figlio di non si era capito bene quale fratellastro della donna, aveva quattro anni in più di lei, i capelli rosso fuoco e gli occhi cristallini, una figura dinoccolata ma soprattutto era stato il capitano pronto a giocarsi la faccia facendo entrare la piccola Jqy nella squadra dei Grifondoro al secondo anno.
Insomma, per Jade era stato una sorta di maestro del Quidditch.
«Mio padre dice che sono uno scansafatiche e mi ha mandato a lavorare dalla zia » confessò il ragazzo, «Dice che è vecchia e le serve qualcuno che la tenga d’occhio..».
«Merta vecchia? » chiese Jade lanciando un’occhiata alla donna che gesticola con uno dei clienti, i capelli in disordine come sempre e una prosperosa scollatura sul davanti: quella donna sembrava tutto meno che una cinquantenne suonata.
«Cosa vuoi che ti dica.. » sospirò prendendo l’altro boccale che aveva preparato per lui e bevendone un sorso, incurante del resto della clientela, «Piuttosto, com’è che due bimbi sono entrati lamentandosi perché la Caposcuola Fyfield li aveva strigliati? Cosa mi sono perso? Hai messo la testa a posto? ».
Jade scoppiò a ridere, i capelli ricci un poco più lunghi del solito ondeggiarono appena sfiorandole le spalle: quanto aveva bisogno di parlare con qualcuno che non le ricordasse costantemente i problemi della sua vita.
«Sì beh.. prenditela con la Hastings, ha fatto tutto lei..» si giustificò la ragazza, «Io non c’ho messo impegno per convincerla ad indossare la spilla da Caposcuola, anzi.. i giri di ronda la notta sono una piaga..».
«Merlino, devono essere cambiate un po’ di cose in questi anni » ridacchiò Caleb finendo in un sorso il contenuto del suo boccale, «E qualcosa mi dice che tu sei persona informata sui fatti.. di un po’, e se ti proponessi di raccontarmi cosa è successo da quando me ne sono andato? » buttò lì con un ghigno e Jade lo guardò sorridendo a mezza bocca.
«Ma non stavi lavorando, tu? ».
«Mi pare che la zietta se la cavi bene anche da sola, no? » non le lasciò nemmeno il tempo di obiettare, «Dai, piccoletta, finisci il tuo boccale e ti porto a fare un giro: non preoccuparti di pagare, offre la casa!».
Jade lo vide avvicinarsi alla donna che parlottava ancora all’altro lato del bancone e scosse la testa mentre la vocina fastidiosa di Eva, nella sua testa, le diceva che quel ragazzo ci stava provando con lei.
Perché, diciamocelo, per lui, lei era la piccola Jay, lo scricciolo che stava su una scopa, non una ragazza con tutti i crismi: era solo un’uscita innocente, no?

Hogsmade, Mielandia, ore 16.21
«Ma quella non è Jade Fyfield?» Josh alzò gli occhi al cielo, chiedendosi perché, santo Merlino, perché, si trovasse di nuovo in giro con appresso la Wetmore: cosa aveva fatto di male per meritarsi una punizione di tale portata?
Giusto per scrupolo lanciò un’occhiata fuori dalla vetrina, per vedere la Caposcuola Grifondoro passeggiare ridendo con un ragazzo rosso di capelli, dall’aspetto carismatico e un’aria abbastanza familiare..
«Ma quello è Caleb McDuff! » continuò Katherine premuta contro il vetro e Joshua finalmente ricollegò quella testa in fiamme ad uno dei vecchi capitani dei Grifondoro,
«Che cosa ci fanno la Fyfield e McDuff in giro per Hogsmade insieme? ».
«E io che ne so, Wetmore? » rispose seccato il ragazzo guardando con un misto di interesse e disgusto la quantità spropositata di dolciumi che lo circondava, lui odiava le cose dolci ma il compleanno di suo nonno era imminente e aveva pensato che forse, le probabilità in effetti erano piuttosto basse, una dose di zucchero avrebbe reso più socievole quella vecchia e scorbutica cariatide.
Tanto valeva fare un tentativo, no?
Che poi, nel suo giro in solitaria avesse accidentalmente incontrato la Wetmore, quella era stata tutta sfiga.
«Ma non la capisci la portata di una notizia simile?» Katherine sembrava davvero sconvolta dalla mancanza di interesse che stava mostrando il ragazzo di fronte a quella situazione.
«Fammici pensare un attimo..» fece Josh grattandosi il mento con aria assorta prima di guardarla dritta negli occhi, l’irritazione per aver a che fare con una persona tanto frivola scritta a lettere cubitali in faccia, «No e direi pure che non mi interessa ».
Kath sbuffò rassegnata: per certe cose le serviva Charity.
Peccato solo che Damian l’avesse rapita, un’altra volta..
«Piuttosto.. » riprese Nott dopo un po’, con molta nonchalance, «Com’è che sei da sola, ad Hogsmade? Nessuno ti vuole con quei capelli?».
La ragazza si lasciò andare ad una risata satura di sarcasmo prima di muovere con un gesto elegante il corto caschetto che le sfiorava le orecchie: non avrebbe dato a quel troglodita la soddisfazione di vederla arrabbiata, nonostante l‘argomento capelli fosse ancora piuttosto sensibile.
In realtà, dopo essersi vendicata ai danni di Bones e aver capito che rimaneva comunque una delle ragazze più desiderate in tutto il castello, a prescindere dai capelli, se ne era fatta una ragione ed era ripartita alla carica, più sensuale e stronza che mai.
«Sto aspettando Paul Jones » rispose felice di aver spento Nott in quattro parole.
Peccato solo che il ragazzo non si facesse fregare con tanta facilità.
«Jones, un Corvonero? » chiese Joshua palesando il suo scetticismo, «Di un po’ Wetmore, non ti pare una preda troppo sofisticata per i tuoi standard? Insomma, per passare una giornata con uno così ci vuole un cervello che tu hai lanciato alle ortiche un sacco di tempo fa..».
«E chi ti dice che con lui voglia farci una conversazione intellettuale, Nott? Sei così ingenuo, a volte..» e dentro la sua testa tappezzata di stendardi verde-argento un mini Katherine ballava la conga inneggiando alla vittoria.
«Lo sai che sei una zoccola, sì? » obiettò lui disgustato e lei rise maliziosa notando che il suo accompagnatore stava facendo il suo ingresso nel negozio.
«Solo perché mi diverto? Almeno non sono triste e acida come te..» concluse la ragazza andandosene ancheggiando allegra verso quel bellimbusto con i capelli per aria.
Joshua la guardò andarsene e scosse la testa, concentrandosi sulle caramelle davanti a lui: non sapeva perché ma improvvisamente il suo mal di stomaco era aumentato esponenzialmente.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Grifondoro, ore 16.28
Rose prese posto al tavolo della Sala Comune con uno sbuffo che era tutto un programma e voleva non troppo velatamente attirare l’attenzione della cugina, Roxanne, intenta a far diventare un sasso un pulcino azzurro, con scarsissimi risultati per altro, visto che il sassolino non aveva proprio cambiato forma, ma era diventato verde e pigolava.
A Rose pareva un pochino inquietante, in effetti.
«Cosa ti serve, Rosie?» chiese la mora lanciandole un’occhiata veloce prima di tornare a puntare la bacchetta contro il sasso pigolante, con l’unico risultata di fargli sbucare un becco giallo.
Va bene, ora era davvero inquietante.
«Lo sai che questo incantesimo lo si impara al terzo anno?» rispose la rossa ignorandola: vada che Rox non era una cima a scuola, ma quella trasfigurazione era persino ridicola!
«Il problema non è l’incantesimo in sé..» borbottò la mora irritata, «E’ il non poter usare la voce, il problema ».
Rose sospirò, ignorando di nuovo l’occhiataccia che le stava rifilando Roxie, tirò fuori dalla manica la bacchetta e senza dire una parola che fosse una la puntò in direzione di quella cosa verde, ruotò il polso in senso antiorario, poi orario, e diede un leggerissimo colpetto al sasso con la punta.
Quando un tenero pulcino cominciò a zampettare pigolante e allegro tra le pergamene le orecchie di Roxanne presero a lanciare sbuffi di fumo nero.
«Come diavolo..?!» esclamò la ragazza indignata e Rose scacciò la domanda con un gesto leggero della mano, come se non valesse nemmeno la pena perdere tempo a dare una risposta tanto banale.
A Roxanne ogni tanto veniva voglia di picchiarla, un po’ per il suo essere un genio, un po’ per il suo dare questo fatto per scontato.
«Te lo spiego dopo.. piuttosto » cominciò guardandola dritta negli occhi, «Ho un problema ».
«Ma non mi dire? » fece l’altra sarcastica accarezzando con un dito la testa del pulcino: a ritrasfigurarlo in un sasso le avrebbe pianto il cuore, «Cosa è successo? ».
«Vanille è impazzita » annunciò lapidaria Rosie come se stesse annunciando la venuta di un cataclisma.
«Impazzita?» Rox faticava a immaginare la solare ragazza che si strappava i capelli inneggiando a satana, perché sì, a causa di qualche brutto film babbano, questa era la sua idea di pazzia..
«Sul serio! » annuì la rossa con gli occhi spalancati, «Non so cosa fare! E’ in un altro mondo, ultimamente! Cioè.. prima la potevo capire, insomma per via di James e tutto il resto, capivo che ci fosse rimasta male anche lei.. ma adesso, che c’hanno detto che sta bene.. » Roxanne cominciava a capirci sempre meno, «Allora, l’altro giorno » e l’altro giorno di Rose poteva essere anche quella stessa mattina, «Dovevamo fare il tema di Astronomia, no? Bene, allora siamo andate in biblioteca, no? E lei sembrava tranquilla.. poi, dal niente, è scoppiata a piangere ed è corsa via.. non mi ha voluto neanche dire cos’era successo! E poi, l’altro giorno, sono rimasta a parlarle per un’ora, no? Cioè, un’ora! E lei non mi ha neanche sentita! Voglio dire.. Vì mi ascolta sempre! ».
«Quindi? » incalzò Roxanne assottigliando gli occhi, come per vedere qualcosa di distante.
«Quindi ho chiesto a Faith se lei aveva sentito o capito qualcosa, lei sta attenta sempre a tutto, e invece nemmeno lei riesce a capirci niente e quindi ho capito cos’è successo..».
«E cos’è successo? ».
«Te l’ho detto! E’ impazzita! » concluse Rose pienamente convinta della sua incontestabile intuizione.
Roxanne scoppiò a ridere.
«Non è impazzita.. » commentò la più grande con ancora il sorriso sulle labbra, «Piuttosto, come mai non sei ad Hogsmade?».
«Perché di solito andiamo tutti insieme, io, Vì, Al e Malfoy.. ma Al è a casa, Malfoy è sparito e Vì dice che non si sente molto bene..» borbottò Rosie ancora piuttosto perplessa, «Quindi seconda te non è impazzita?».
«No, Rose.. » sospirò Rox, «Secondo me è solo innamorata ».
Se solo la piccola Weasley dai capelli rossi avesse avuto qualcosa in bocca in quel momento l’avrebbe sputato fuori con la potenza di un geyser: Die Vanille innamorata? E di chi?

Ministero della Magia, Ufficio Auror, ore 17.23
Harry chiuse con uno scatto secco l’ultima deposizione lasciata dagli studenti di Hogwarts su quello che era diventato, con suo sommo disgusto, il caso Potter.
La quasi morte di suo figlio era diventato uno dei casi del suo ufficio, e quanto era vero che quel mondo lui l’aveva salvato almeno due volte, avrebbe trovato quel bastardo che era riuscito ad avvicinarsi alla sua famiglia e lo avrebbe cruciato fino ad ucciderlo.
Nessuno doveva permettersi di toccare la sua famiglia e questo doveva essere ben chiaro a chiunque.
Susan lo guardò preoccupata: come madre riusciva a capire come si doveva sentire il loro capo in quel momento, come Auror ci stava mettendo l’anima per venire a capo di quanto stava succedendo, come amica l’avrebbe aiutato nella sua vendetta, ed era sicura lo avrebbero fatto tutti lì dentro: Hogwarts era un nervo scoperto per tutta la squadra del Capo Potter.
Dentro quelle quattro mura c’era il suo Charlie, c’erano Rose e Hugo, i figli di Ron, Joshua, il figlio di Theo e infine il piccolo Andrew, il figlio di Ernie e Nata.
Li avrebbero trovati, quei bastardi che si facevano chiamare Illuminati: ormai era diventata una questione personale.
Ed era chiaro che la colpa era loro, ormai, come era chiaro che James lo volevano proprio uccidere come avvertimento per tutti loro: possiamo arrivare anche qui, attenti a quello che dite in giro.
L’articolo sulla Gazzetta aveva sortito l’effetto che i vertici avevano voluto, far succedere qualcosa di nuovo, peccato solo che per poco non fosse sfociato tutto in tragedia.
Il gioco si stava facendo davvero pericoloso, per tutti.
«Tutti gli spettatori danno la stessa versione: l’unica cosa che hanno visto è stata James a terra » concluse Harry facendo leva su tutta la sua pazienza per non far esplodere qualcosa, «Nessuno ha visto quando e come è stato colpito.. James non ha nemmeno visto chi ha scagliato la maledizione.. di nuovo, non abbiamo niente in mano..».
Ron lo guardò un secondo prima di volgere gli occhi agli altri seduti a quel tavolo: la risposta era una sola, lo sapevano, solo che nessuno di loro voleva ammetterlo.
Farlo significava considerare l’idea di essere scoperti, di dover diffidare davvero di chiunque: significava ricadere nell’incertezza costante che avevano scacciato con i ricordi della guerra.
Ma non aveva senso illudersi ancora.
«Quel castello è impenetrabile, Harry » cominciò tenendo la voce bassa, conscio che comunque quanto stava per dire li avrebbe colpiti lo stesso come se l’avesse gridato, «Nessuno poteva entrarci, ora come ora, ancor meno che negli anni passati: le difese le abbiamo alzate io e te dopo l’attacco alla Zabini. Questo può voler dire solamente che non è stato qualcuno da fuori ad attaccare James, è stato qualcuno della scuola: uno studente, uno del personale, un insegnante.. ».
«Hogwarts non è più un luogo sicuro » concluse per lui Nott, gelido, come sempre, «E non possiamo nemmeno avvisare i professori che dovrebbero proteggere i ragazzi perché tra di loro c’è il probabile colpevole.. ».
«Che situazione di merda » commentò Ernie passandosi una mano tra i capelli corti, Natalie, al suo fianco prese a torturarsi le mani, nervosa.
«Bene » dichiarò Harry guardandoli uno ad uno, «Allora sarà il caso di dire ai nostri Auror di investigare meglio, al castello, chissà che non scoprano qualcosa ».
Susan sospirò: il suo capo così tranquillo, non le piaceva proprio per niente.

Hogsmade, I Tre Manici di Scopa, ore 23.01
Caleb si passò una mano sulla faccia, stanco: sua zia lo aveva fatto sgobbare parecchio quella sera, per averla lasciata sola quel pomeriggio.
Che poi, quanto era stato via? Due ore? Meno?
Sorrise al pensiero della piccola Jay, anche se forse avrebbe dovuto cominciare a togliere quel piccola: era una ragazza fatta e finita ormai, una bella ragazza, semplice e simpatica.
Alla fine, nonostante tutto, era stato un pomeriggio piacevole: era stato fortunato ad aver trovato proprio Jade Fyfield.
«Non mi piace per niente quello che hai fatto oggi, Cal » mormorò sua zia seduta sulla poltrona vicino alla sua, di fronte al camino acceso, «Sono sicura che tuo padre non ti abbia cresciuto così ».
Caleb sospirò, sciogliendo i capelli rossi dalla coda bassa che usava quando doveva lavorare al pub: ormai il locale era chiuso e lui, finalmente poteva rilassarsi e smettere di tenere quella maschera da allegro ragazzo scansafatiche.
Una volta non l’avrebbe detto, ma era stancante sorridere sempre.
«Mio padre sarebbe stato stranamente orgoglioso di quello che ho fatto oggi » commentò sedendosi di fronte al camino, le braci riflesse negli occhi chiari, «Ed è il mio lavoro, lo sai anche tu..».
«Io so che quella lì, la Fyfield, è una cara ragazza e tu la stai usando » rispose a tono la donna, «Te la stai facendo buona per poter spiare all’interno del castello ed è veramente disgustoso ».
«Ma come sei moralista stasera, zietta » ridacchiò Caleb, «E comunque non la sto usando, mi servono degli occhi all’interno della scuola e lei è abbastanza sveglia da potermi dare una mano: ora ti prego di tacere finché faccio rapporto ».
«Come se il nostro Salvatore non gradisse salutare la donna che sta rischiando la pelle per tenerti al sicuro » borbottò Rosmerta mentre il nipote puttava una manciata di polvere dentro al camino.
«Godric’s Hollow numero 32 » mormorò Caleb mentre la polvere sfregolava tra le fiamme e le braci, colorandole di una lieve tinta violacea.
«Noto con piacere che sei puntuale, McDuff » sorrise amabilmente un uomo mentre il suo volto prendeva forma tra i tizzoni del vecchio caminetto.
«Non potrebbe essere altrimenti, signore » rispose Caleb alla faccia, ora seria e scura, del suo capo.

Godric’s Hollow numero 32, Salotto, ore 23.52
Harry guardò un istante il fuoco del camino tiprendere a muoversi scostante tra i ceppi di legna, ora che la conversazione era finita e sospirò pensieroso.
Non gli piaceva fare le cose all’insaputa del ministero: era una persona onesta, lui.
«Ora non ci resta che sperare che la cara Cece abbia spifferato tutto al capo degli invasati e che quei bastardi si concetrino su Hogwarts, no? » la voce bassa e ironica di Draco lo costrinse a voltarsi verso gli altri ospiti di casa Potter.
Non gli piaceva proprio per niente, fare le cose di nascosto, ma quando aveva scoperto che persino la sua segretaria, Cece, era stata avvicinata e corrotta dagli illuminati non aveva visto alternative: da quando sapeva della loro esistenza, cominciava a riconoscerli ovunque, intorno a loro.
«Speriamo solo che l’Harker e Teddy riescano a mantenere la situazione sottocontrollo » sospirò apprensiva Hermione, «Non mi piace per niente questa storia, Harry, te l’ho già detto.. ».
«Non piace nemmeno a noi, Hermione » rispose Susan pacata, «Ma non abbiamo visto alternative, se sono ad Hogwarts, ad Azkaban, sono ovunque ».
Harry si rimise in piedi e incrociò le braccia al petto guardandoli di nuovo, uno ad uno: le uniche persone di cui poteva fidarsi davvero, oltre alla sua famiglia, erano lì, sedute nel salotto di casa sua, a progettare segretamente e illegalmente una difesa per poter sconfiggere quei bastardi che, senza che nessuno se ne rendesse conto, erano arrivati davvero dappertutto.
Susan, Ernie, Nata, Draco, Theo, Ginny, Ron, Hermione, Neville, Hannah, Seamus, Dean..
Se quei bastardi avevano le orecchie e gli occhi ovunque, loro sarebbero riusciti a fare altrettanto.
Harry guardò Ginny dritta negli occhi, quella sera non era con James solo perché Lily e Albus avevano insistito per passare la notte con il fratello e Nihila aveva promesso di tenerli d’occhio.
«D’ora in avanti ci sarà una sola regola » annunciò greve, «Non fidarsi di nessuno ».
E Ginny non voleva immaginare che quelle fossero le basi per una nuova guerra, ma per qualche strano motivo sentiva in bocca lo stesso sapore di tanti anni prima.









Note di un'autrice che non vuole essere uccisa anche se sa di meritarlo:
Allora, credo di essere un po' in ritardo, anzi, ritengo che l'un po' sia un eufemismo bello e buono, quante settimane fa doveva arrivare questo capitolo tre?
Chiedo scusa a tutti, avevo promesso un aggiornamento regolare e invece non ce l'ho fatta: mi manda in bestia questa cosa! So che sembrano scuse, ma sul serio è un periodo infernale, tra la scuola, il lavoro, gli impegni, la tesina e la maturità, perché sì, i miei cari prof me lo ricordano ogni giorno che ho la maturità quest'anno come se non lo sapessi da me! Non ce l'ho fatta a concetrarmi abbastanza per scrivere, o se scrivevo non mi convinceva niente e di postare un capitolo che non mi convinceva non mi andava, preferisco essere sicura quando aggiungo qualcosa in questa storia: non c'è cosa che mi terrorizzi di più di deludere i miei lettori...
Per questo il capitolo arriva solo oggi, e dovete ringraziare sul serio le vacanze di carnevale, perché è frutto di quattro gioni di lavoro pressoché ininterrotto: l'unica cosa che mi consola è che è bello lunghetto e un pochino mi soddisfa...mi direte cosa ve ne pare :) :)
Sul capitolo, di mio, non ho niente da dire, se non una precisazione sul pezzo in cui si parla di Leigh. Per chi non l'avesse capito lei è la prima vittima degli illuminati, si capirà poi perché la strage di Azkaban si è compiuta sei anni dopo, anche se non è difficile arrivarci, e ho deiso di metterla comunque, anche se all'epoca degli avvenimenti è morta, perché ormai mi ci era affezionata e volerlo lasciarle un po' di spazio..tutto qui e spero di non aver creato troppa confusione ai miei lettori..
Ringrazio di cuore le persone che hanno messo questo storia tra le seguite, e chi l'ha inserita tra le preferite.
Ringrazio chi legge e non dice niente e mando un bacio a quelle anime pie che spero continueranno a recensire, magari lasciandomi un parere anche su questo capitolo: non mi stuferò mai di dirlo, siete l'energia di questa storia!!!
Io vi saluterei anche con la buonanotte perché ormai il mio cervello si è fuso del tutto,
tanti bacini,

Najla








ps: è da un po' che medito di inserire, all'inizio della storia un capitolo con tutti i nomi dei personaggi che ci sono, perché mi rendo conto che sono troppi da seguire e se non riesco a mantenermi regolare diventa ancora più difficile ricordarli tutti, voi che ne dite? Potrebbe esservi utile?? Fatemi sapere e io mi attivo!!
pss: fatemi sapere, però :)


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Capitolo 15
*** Di distrazioni e gufi inquietanti ***


Dodicesimo capitolo
Di distrazioni e gufi inquietanti

23 Novembre XX
Scuola di Magia e stregoneria di Hogwarts, Sala Grande, ore 07.53
«Ma se io fingessi un attacco di dissenteria? » propose di punto in bianco Roxanne svaccata sulla panca e sul tavolo, in modo tale da occupare almeno tre posti: uno per sé, uno per la sua poca voglia e uno per la sua avversione allo studio.
Evangeline non commentò nemmeno la sua mancanza di femminilità e lasciò ad Elijah il compito di mettere su una faccia talmente disgustata da risultare comica.
«Senti, Weasley, immaginarti chiusa in un cesso sommersa dalla tua.. Merlino mi fa schifo solo a pensarci! Non mi concilia la giornata » borbottò il ragazzo con il naso infilato tra le pagine del tomo di pozioni, alto almeno tre pollici: a pensare che era il libro più fino che avevano, Rox si sentì male.
«E da quando tu hai bisogno di conciliarti con la giornata, Faraday? » sbadigliò la ragazza senza nemmeno la grazia di coprirsi la bocca così che Eli, che le sedeva davanti, fu costretto a vedere quanto di masticato aveva ancora incastrato tra i denti.
«Da quando Eastwood ha deciso di fare test di pozioni a sorpresa, direi » brontolò il moro sparendo di nuovo in quel coso abnorme che aveva dieci minuti per imparare o, in alternativa, sperare di finire nello stesso tavolo di Jade che manteneva sia lui che James nelle ore di pozioni, ormai da sei anni abbondanti.
Peccato solo che Jade, negli ultimi tempi fosse un pochino.. distratta.
Come in quel momento, ad esempio, troppo intenta a ridacchiare sotto i baffi e scrivere velocemente poche righe su una pergamena prima di afferrare il calice pieno di succo, continuando a fissare impaziente quel frammento di carta da cui non si separava da circa una settimana.
In pratica, da quando quel brandello di pagina aveva fatto la sua apparizione lei aveva smesso di calcolarli anche di striscio, o meglio, faceva finta di starli a sentire annuendo di tanto in tanto, il che, se possibile, era ancora più irritante.
Elijah la osservò sinceramente preoccupato: cosa poteva avere una così cattiva influenza sulla sua Jade da renderla tanto simile ad un’oca sghignazzante?
Glielo aveva persino chiesto, qualche giorno prima, ma lei, da brava ragazza con un talento per il raccontare balle, aveva glissato con molta nonchalance spostando il centro della loro conversazione su Rowena e Mordecai, ben consapevole di quale fosse il suo punto debole.
A pensarci a posteri, era stata proprio subdola.
Eli non era stato l’unico ad accorgersi che qualcosa, o per meglio dire qualcuno, teneva occupata quasi ventiquattro ore su ventiquattro la mente della loro Caposcuola, anche Eva la guardava sottecchi di tanto in tanto, con un sorriso consapevole sulle labbra, ma non aveva ne commentato ne chiesto spiegazioni, si era limitata ad essere semplicemente felice per la sua amica che, finalmente, sembrava più serena di come l’aveva vista all’inizio dell’anno. Persino Roxanne si era resa conto che qualcosa non andava e aveva provato a buttarla lì, chiedendo spiegazioni distratte alla compagna di squadra che, attenta, aveva svicolato prendendo a parlare di come avrebbero fatto a trovare un cercatore ora che James era impossibilitato a giocare e Rox, che non era decisamente stupida e aveva capito che non le voleva rispondere, l’aveva assecondata. Disgraziatamente, un’altra persona che si era accorta del suo insolito comportamento era stata Ian e lui, il boccone amaro, non lo aveva digerito proprio: a chi diavolo scriveva ogni minuto la sua Jade?
Nome e cognome, solo per incontrarlo e cruciarlo..
Perché, per quanto fosse del tutto insensato e fuori luogo, non riusciva a non essere geloso, per quanto lei fosse Jade e non fosse Gwen, non riusciva ad impedire ad una morsa sgradevole di stritolargli lo stomaco con sadico piacere.
Perché sì, una parte del suo cervello gongolava soddisfatta al pensiero che Jade si stesse facendo una vita fuori da quella che, in fin dei conti, era stata una storiella estiva, e se ne rallegrava solo per ricordargli quanto era stato cretino a preferire Gwen.
Quando si rese conto che stava sostanzialmente intrattenendo un discorso a tre con il suo stesso cervello che lo insultava, lo consolava e blaterava frasi a caso contemporaneamente, Ian realizzò che forse, ma solo forse, stava impazzendo e, indeciso sul da farsi, lasciò che la fronte sbattesse contro il legno della tavolata in un chiaro segno di resa.
Elijah lo guardò con un sopracciglio inarcato: che Ian avesse dei problemi era risaputo, infondo stava con una Tassorosso tanto dolce da risultare diabetica, ma che tendesse ad atti autolesionistici di prima mattina, questa gli era nuova.
Ciononostante, decise che, nella pazzia generale, con Roxanne che blaterava di malattie infettive, Jade che rideva da sola rinchiusa nel suo mondo che, Eli ne aveva la vaga sensazione, doveva essere costellato di cuori e arcobaleni in quel momento, e Ian che, evidentemente, aveva un problema e non voleva parlarne, lui si sarebbe saggiamente fatto gli affaracci propri finché qualcuno non fosse esploso in una crisi di qualsiasi tipo e gli avesse spiegato cosa stava succedendo.
Il ruolo della comare impicciona, di solito, lo faceva James, non lui.
Sospirò sconsolato: più il tempo passava più sentiva di aver bisogno di quell’idiota per sopravvivere..
«A chi scrivi, Jay?» la voce di Frank si fece innocentemente largo tra il vaneggiare di Rox e un pezzo di torta al cioccolato che il ragazzo stava divorando con gusto: come diavolo facesse a non diventare una palla di lardo con tutto il cioccolato che mangiava era un mistero, o meglio, Eli, Ian e Jamie qualche teoria avevano provato a formularla, ma si erano fermati all’immagine pornografica che le loro bacate menti avevano partorito di Eva e Frankie nello stesso letto.
Per i loro poveri cervelli era stato davvero troppo e non avevano avuto il coraggio di guardare in faccia i due per almeno una settimana.
Elijah rabbrividì al ricordo.
A quelle parole Jade arrossì di botto, arrivando a sfiorare il rosso cuore di drago in tre secondi netti, e nascose il pezzetto di pergamena dentro al libro di pozioni appoggiato lì vicino. Elijah vide con la coda dell’occhio la testa di Ian sollevarsi magicamente, con un bel segno rosso in fronte, stranamente interessata a quanto stava succedendo.
«Io.. no.. non è niente.. cioè.. io.. ma no..» balbettò la Caposcuola scostandosi un ricciolo ribelle dalla fronte. Rox ridacchiò compiaciuta: era davvero difficile vedere quella ragazza agitarsi per niente, era troppo equilibrata e posata per cedere a certi inutili nervosismi.
«Suvvia, Jade, di ai tuoi amici con chi messaggi tanto intensamente » rincarò sadico Elijah e Jade lo fulminò con un’occhiataccia, ben consapevole che quel colpo basso era la vendetta per la loro ultima conversazione, dove se l’era rigirato a suo piacimento.
C’era poco da fare, loro due avevano sangue Serpeverde nelle vene e ogni tanto, in qualche modo, doveva pur venire fuori.
La ragazza, messa all’angolo e senza vie d’uscita era vicina a confessare, sotto gli occhi accesi di aspettativa e sangue di Ian, quando, per volere di Merlino, un gufo reale planò sul tavolo atterrando con eleganza vicino a Jade che, di nuovo, si salvò miracolosamente dall’ennesimo terzo grado.
L’animale, molto più composto del barbagianni di Eva, rimase a fissare la grifondoro con quegli occhi gialli e supponenti, come a chiedersi cosa diavolo stesse aspettando a prendere la lettera che teneva legata con un nastro di raso verde alla zampa, quasi avesse di meglio da fare che starsene in mezzo a tutte quelle brutte facce che lo fissavano.
Pur essendo un semplice pennuto, a Roxanne quel coso parve avere un ego mica da ridere e proprio per questo prese a fissarlo con astio a braccia conserte.
Aveva un rapporto tutto particolare con gli animali, Roxie Weasley.
«Che esemplare meraviglioso! » esclamò Lysander estatico avvicinandosi per guardare meglio il coso con le piume e l’aria arrogante, «E’ tuo Jade? Posso toccarlo? ».
La ragazza rimase a fissare l’animale sospettosa per alcuni secondi, allontanando il busto per non stargli a portata di becco: qualcosa le diceva che quel gufo aveva un pessimo carattere e lei voleva conservare tutte le dita almeno fino alla maggiore età.
«Non mi pare propenso a farsi coccolare, Lys » lo frenò saggiamente Frank osservando incuriosito quel coso che continuava a fissare Jade senza degnare gli altri di particolare attenzione, altero come quei purosangue dannatamente pieni di sé.
Non appena questo pensiero prese forma nella mente della Caposcuola, la ragazza perse almeno sette tonalità di colore, arrivando ad una sfumatura di verdastro malato che fece temere ad Eva che avrebbe dato di stomaco lì davanti a tutti.
«Questo è uno scherzo » dichiarò guardando il pennuto nervosa, ora che aveva capito da dove proveniva, la presenza di quel pennuto le pareva insopportabile.
«Hai capito chi te l’ha mandato? » chiese Evangeline osservando che anche la busta era di un bel verde smeraldo, a voler essere precisi, un bel verde Serpeverde.
Qualche sospetto nacque anche nella testa del loro piccolo topo di biblioteca, ma davvero, non poteva essere che..
Jade stava quasi per decidere di ignorare quel gufo aspettando che levasse le tende, per niente intenzionata anche solo a sfiorarlo, quando una voce familiare e stranamente afflitta la invitò a riconsiderare la sua decisione.
«Quello è Leodegrance, Jade, non se ne andrà di lì neanche dovesse morire di fame » sospirò Scorpius apparendo alle spalle di Roxanne con una faccia leggermente funerea, che non presagiva niente di buono.
«Non mi interessa sapere chi è, non voglio averci niente a che fare » chiarì la ragazza risoluta mentre l’animale si rifiutava categoricamente di toglierle gli occhi di dosso: era davvero un essere inquietante.
«Credimi, Jay, ti hanno mandato Leodegrance per non darti possibilità di scelta » continuò Scorp sventolando una busta identica a quella legata alla zampa del gufo, dello stesso sfavillante verde, «Galahad ha recapitato questa a me, pochi secondi fa ».
Jade sospirò sconfitta e tornò a guardare l’animale: quel coso, solo ora se ne rendeva conto, le ricordava almeno la metà dei suoi parenti, quelli che cercava di dimenticarsi di avere, quelli che potevano permettersi una schiera di gufi reali addestrati come cani da guardia.
La famiglia della mamma..
«Non mi piace questa storia, Scorp, sappilo » decise comunque di chiarire la bionda all’indirizzo del cugino che rispose semplicemente annuendo, «E non sono d’accordo con qualunque cosa sia ».
Pazientemente sciolse la ciocca di raso e liberò la busta, rigirandosela fra le mani, un nome brillava d’argento sulla carta pregiata: Virginia Greengrass.
Jade trattenne una smorfia di disappunto nel notare che i suoi nonni ancora si ostinavano a non voler riconoscere il nome e il cognome che i suoi genitori avevano deciso per lei: non le sembrava così difficile! Jade era un nome normalissimo e Fyfield era il cognome di suo padre, ne andava fiera e non l’avrebbe mai cambiato con Greengrass neanche se i suoi nonni avessero pagato il suo peso in oro: loro e il loro malato orgoglio da purosangue del cavolo!
L’animale spiccò nuovamente il volo, dileguandosi nell’esatto istante in cui la ragazza aprì la busta, rivelando un cartoncino d’argento, dove il verde dell’inchiostro spiccava come a voler sottolineare la ricercatezza di una semplice e innocua missiva.
Esaltati, pensò Jade cercando di capire perché cavolo le fosse arrivato un gufo della famiglia Greengrass di lunedì mattina.

Signorina Virginia Greengrass,
il signor Greengrass e consorte
la invitano calorosamente al cenone
che si terrà la notte della vigilia di Natale
presso il Greengrass Manor.
Ulteriori informazioni verranno divulgate in seguito,
facendo affidamento sulla sua sicura presenza,
le augurano una buona giornata,

Flegias ed Electra
Greengrass


Jade alzò gli occhi sconcertati verso Scorpius che la guardava torturandosi il labbro inferiore con i denti, pronto a vederla stracciare quel pregiato rettangolino di costosissima carta o magargli dargli fuoco, forse entrambe.
Invece la vide alzarsi, prendere la borsa dei libri e infilare la busta tra le pergamene, con una compostezza che non prometteva niente di buono.
«Scorp, la seconda ora hai lezione? » chiese improvvisamente seria.
«No, ho un’ora buca.. ».
«Bene, recupera Grathia e fatti trovare al terzo piano: ci sono un sacco di aule vuote » afferrò anche il libro di pozioni, ormai dimentica del frammento di pergamena che vi aveva nascosto dentro e tornò a rivolgersi al cugino, «Questa storia non mi convince proprio per niente ».

Londra, Ospedale magico San Mungo, ore 9.01
Edward Harker si lasciò sfuggire un sonoro sbadiglio prima di sistemarsi meglio sulla poltroncina dove stava da un po’ e continuare a spiare dalle palpebre socchiuse la figura ancora per lo più ingessata di James Potter.
Quel bimbo doveva avere una buona stella da qualche parte per essere ancora vivo, vegeto e senza il cervello in pappa.
Sbadigliò di nuovo, grattandosi una guancia.
Lui era una Auror, era fatto per un minimo di azione, non per fare da balia a un degente bloccato a letto, per la miseria!
Per quanto fosse un po’ burbero, però, Ed aveva un cuore tenero come il burro e quando Teddy gli aveva chiesto se, molto gentilmente e cortesemente, avesse potuto tenere d’occhio Jamie quella mattina, perché il poverino non poteva stare da solo e l’alternativa era chiamare la nonna Molly, il ragazzo aveva deciso di fare del bene al prossimo e tenere compagnia alla pulce per non lasciarlo tra le grinfie della dolce nonnina, che era una bravissima donna ma un filino pesante da sopportare per quattro ore di fila: tutt’al più che James aveva insistito per vedere una faccia nuova.
In realtà, quel giorno, non avrebbe avuto comunque niente di meglio da fare, quindi si era detto: perché no?
Dopo una settimana di ispezioni e sorveglianza ad Hogwarts, il Ministero aveva deciso di richiamarli tutti a Londra: visto che non erano riusciti a trovare un indizio che fosse uno, tanto valeva che la smettessero di bighellonare e si mettessero a fare qualcosa di utile.
Lui, per rendersi utile, aveva deciso di prendersi una settimana di ferie.
Stare in ufficio a guardare sempre le stesse foto, sempre le stesse cartine, sempre le stesse linee magiche tracciate tra punti che in comune non avevano praticamente niente, stava portando tutta la squadra preposta al caso degli Illuminati sull’orlo di una crisi di nervi, e visto che si trattava dei migliori agenti del Ministero la situazione rasentava la catastrofe.
Da quando, poi, il figlio del signor Potter era stato colpito, quell’uomo passava più tempo in ufficio che da qualsiasi altra parte, Edward supponeva facesse la spola dal lavoro all’ospedale e che non vedesse il proprio letto da parecchio tempo. E con un capo ridotto in uno stato del genere, si poteva immaginare lo stato degli altri elementi: gli unici che sembravano capaci di reggere lo stress senza risentirne troppo sembravano la signora Bones e il signor Nott, sempre e comunque impeccabili e puntuali, senza occhiaie da paura e mani tremanti a causa del sonno, del caffè o di qualche pozione per mantenere la concentrazione.
Lui, da bravo Auror praticamente alle prime armi, aveva deciso che non si sarebbe ridotto in quella maniera, anche perché sentiva che c’era qualcosa che tutti i pezzi grossi dell’operazione nascondevano a loro povere pedine ignoranti, e la cosa non gli piaceva per niente.
Che avessero attaccato James per quello che il Capo dell’Ufficio Auror aveva affermato durante la conferenza stampa, era parso palese a tutti.
Che il gioco si fosse fatto dieci volte più pericoloso ora che sapevano che gli Illuminati potevano spingersi fin dentro ad Hogwarts, dove stavano i figli di tutto il Ministero, Edward poteva capirlo.
Quello che non comprendeva era perché il signor Potter lo avesse sottoposto al Veritaserum prima di accettarlo in una delle squadre che rispondeva a lui personalmente, per esempio. O perché sigillasse il suo ufficio con almeno una decina di incantesimi e maledizioni prima di andare a trovare il figlio in ospedale.
C’era qualcosa di sbagliato nel modo in cui il signor Potter stava gestendola faccenda Illuminati, qualcosa che la faceva sembrare una bomba pronta ad esplodere da un momento all’altro, e la cosa ad Ed non piaceva: gli sembrava di essere solo una stupida pedina.
Erano dei pazzi come ce n’erano tanti in giro: perché tutta quella riservatezza?
«Hai deciso cosa fare con Nihila? » la voce incuriosita di James lo fece quasi cadere con il culo per terra: preso com’era dalle sue elucubrazioni su tutta quella faccenda non si era nemmeno accorto che la pulce si era voltata e lo stava fissando da una buona manciata di minuti.
«Come scusa? » chiese con un colpo di tosse per nascondere la sorpresa.
«Nihila.. cosa credi di fare con lei? » ripeté Jamie accondiscendente ed Edward si prese tutta la libertà di guardarlo in tralice, prima di assottigliare maggiormente lo sguardo, indagatore.
«E tu come diavolo fai a sapere di me e Nihila?» se fosse stata colpa della bocca larga di Ted questa volto lo avreb..
«Teddy » rispose semplicemente prima che le labbra si curvassero in un ghigno malandrino, «Sai Ed, io per lui sono come un piccolo e innocente fratellino.. voleva tanto tenermi compagnia.. ».
«Dimmi pulce, quando mai tu sei stato innocente? » chiese scettico l’Auror e James arricciò le labbra pensieroso.
«Mamma dice fino a che non ho imparato a parlare.. » rispose incerto, «Ma non ricordo molto di quel periodo, quindi può essere che si sia sbagliata..».
Edward scosse la testa stendendo le gambe in avanti e intrecciando le caviglie: conosceva Jamie da quando aveva tre anni, ovvero da quando lui e Ted erano diventati amici, e dubitava che la sua anima avesse mai presentato qualche traccia di innocenza.
«Sul serio, Ed » riprese Jamie serio da far paura, «Sono bloccato in questo letto da tre settimane, non mi posso neanche soffiare il naso senza l’aiuto di qualcuno ed espello in un sacchetto! Distraimi!! ».
L’altro ci provò davvero a stare serio, ma non ci fu nulla da fare, la risata gli salì alle labbra già fuori controllo.
«Hai davvero detto “espello”?».
«Ora capisci come sono ridotto? » pigolò James con tutta l’intenzione di muovere la compassione del suo interlocutore: aveva sempre avuto un talento particolare nell’ottenere quello che voleva, «Mi devi aiutare! ».
«Anche volendo non saprei che risponderti, James ».
«Dai su, è il mio medimago, la vedo tutti i giorni..» commentò Jamie: la sua indole ficcanaso sentiva il bisogno di farsi gli affari di qualcun altro a qualsiasi costo. Insomma! Eli non gli scriveva niente di quello che stava succedendo ad Hogwarts! Di qualcosa doveva pur vivere! «Ho capito che se n’è andata lasciandoti a fare la figura del pezzente..».
«Grazie, James.. » rantolò Edward alzando gli occhi al cielo di fronte a tanta sensibilità.
«..ma adesso è qui, è molto appetibile e mi sembrava avesse anche molti buoni propositi di riappacificazione quando ti ha chiesto di incontrarvi in quel bar, no?».
«Esattamente, cosa ti ha detto Ted? » decise di informarsi corrugando la fronte: quel ragazzino ne sapeva fin troppo della sua vita, a suo parere.
«Mi vuole troppo bene, Ed » rispose l’altro con espressione angelica e ad Edward non restò che schiaffarsi una mano in faccia.
Avrebbe trovato Ted e lo avrebbe disintegrato.
«E’ una storia complicata.. » provò a glissare il ragazzo ma James non era tipo da farsi fregare in questa maniera o meglio, c’era un’altra cosa che voleva e per quella sarebbe stato ben disposto a lasciare la vita del giovane Harker al suo legittimo proprietario.
«C’è un’altra cosa di cui potremmo parlare, se proprio non vuoi raccontarmi perché ti stai intestardendo a non dare al grande amore della tua vita una seconda possibilità ».
Edward sorvolò con una certa fatica sulla definizione “grande amore della tua vita” e decise che forse gli conveniva assecondarlo: niente poteva essere peggio che parlare della proprio vita privata e del proprio dissidio interiore ad una pulce che si sarebbe di sicuro divertita a psicanalizzarlo.
Non lo sapeva perché si stava ostinando a voler far finta che Nihila non esistesse! Proprio non ne aveva idea! Eppure era così! A qualcuno creava forse problemi?!
«Di cosa vuoi parlare, pulce? » sospirò cedendo: alla fine con Jamie capitolavano tutti.
Il volto del ragazzo si oscurò appena, le labbra si tesero, come se stesse soppesando con cautela cosa dire e come farlo, ricordando ad Edward, solo in quel momento da quando era entrato in quella stanza un’ora prima, che non si trovava davanti ad un bambino, ma a qualcuno che stava imparando a ragionare come un uomo: qualcuno a cui le favole non sarebbero bastate ancora per molto.
E in quell’attimo di attesa, Edward ricordò anche che James, in tutto il tempo che aveva passato in ospedale, non aveva mai chiesto a nessuno cosa fosse successo quella domenica mattina, se avessero scoperto qualcosa sul suo incidente. Ted glielo aveva confessato un po’ preoccupato: vada che James era solito sottovalutare ogni cosa, qualsiasi genere di catastrofe, ma gli era sembrato impossibile che potesse passare sopra al suo quasi trapasso con tanta facilità.
In un attimo Edward capì perché non aveva ancora detto una parola.
Ted.
Sua madre.
Suo padre.
Sua nonna.
Tutti adulti che lo avrebbero protetto, che non gli avrebbero risposto davvero.
..tutt’al più che James aveva insistito per vedere una faccia nuova..
E James era troppo grande per le favole.
«Sono quasi morto » cominciò lentamente, tastando il peso di ogni suono, di ogni lettera, «Ero cosciente, so che non è stato un incidente: mi hanno puntato contro una bacchetta con l’intenzione di uccidermi » d’un tratto Edward si ritrovò a pensare che non avrebbe dovuto scartare la proposta di farsi psicanalizzare da un diciasettenne.
«Lo so che è così » continuò con lo stesso tono distaccato ma incredibilmente attento, «Ho letto quello che ha detto mio padre riguardo agli Illuminati un paio d’ore prima della partita: non ci vuole un genio per capire che hanno colpito me per colpire mio padre e tutti gli Auror che al Ministero lavorano sul caso » Ed si chiese come la maggior parte del mondo potesse credere James un idiota, «Mio padre odia i giornalisti, potendo non ci parlerebbe mai, e so per certo che non avrebbe chiamato il Profeta per un caso comune, non avrebbe convocato una conferenza stampa se non ve ne fosse stata la necessità.. » passò la lingua sulle labbra un attimo, per dare nuovo ordine ai pensieri, «Mio padre, poi, è una persona previdente, non fa mai il passo più lungo della gamba, non è facile agli allarmismi, non rischia mai, se può evitarlo.. forse pensava che avrebbero colpito lui, sicuramente non si aspettava arrivassero fino ad Hogwarts.. ma se sono arrivati lì.. sono sicuramente più potenti di quanto si fosse aspettato.. oppure..» si fermò un attimo, lo sguardo perso per una manciata di secondi.
No, si disse Edward sospirando, James Potter non era decisamente uno stupido ragazzino.
«Chi sono davvero gli Illuminati, Ed? » chiese alla fine guardandolo dritto negli occhi e l’altro si ritrovò di nuovo a grattarsi una guancia, cercando le parole con cui rispondere ad una domanda del genere.
Alla fine scelse quelle più semplici.
«E’ quello che si stanno chiedendo tutti, James ».
Ed era fottutamente vero.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, corridoio del secondo piano, ore 9.16
Damian uscì dall’aula di Incantesimi sbadigliando: da quando Vitious dedicava un’ora alla settimana a riempirli di nomi di incantesimi impronunciabili senza fargli nemmeno sfiorare la bacchetta, il Serpeverde aveva promosso quell’ora al periodo più appetibile, nella sua vita scolastica, per un sano sonnellino.
Seriamente, un effetto soporifero di quella portata credeva potesse crearlo solo Storia della Magia!
Per fortuna c’era Josh che prendeva appunti anche per lui, altrimenti sarebbe rimasto a fare il settimo anno per il prossimo decennio.
«Dovresti cercare di non dormire, Dam..» lo rimproverò Charity arrivandogli a fianco con estrema disinvoltura, un paio di libri tra le braccia e i capelli raccolti in una coda alta, «Hai il brutto vizio di russare, di tanto in tanto ».
Damian la guardò strizzando appena gli occhi, aggrottando le sopracciglia scure: «Io non russo » ci tenne a puntualizzare e Char scoppiò in una risatina di scherno, un po’ troppo acuta per le sue orecchie ancora sonnecchianti.
«Credimi, tesoro » sorrise maliziosa, parlandogli a pochi centimetri dall’orecchio, con un tono tutt’altro che casto, «Tu russi, fidati ».
Il ragazzo si voltò di scatto e la afferrò per la vita, costringendola a stargli praticamente incollata, con le labbra a pochi centimetri dalle sue e il suo respiro sul collo.
«Passi molto tempo a guardarmi dormire, Char?» insinuò con un ghignò divertito sulle labbra: non si stupì molto nel vederla avvicinare le labbra alle sue con un sorrisetto saputo sulle labbra rosse di trucco.
«Solo quello che non passo con qualcun altro » rispose mordendogli il labbro inferiore con lo scopo di fargli male, come sempre.
Damian c’aveva impiegato un po’ di tempo per capire cosa lo attirasse di quella ragazza ad una prima occhiata priva di cervello e con una cultura sui prodotti di bellezza che avrebbe fatto invidia ad un centro estetico. All’inizio era stato un passatempo, lei era un po’ zoccola, un po’ troppo, e lui voleva qualcosa di non impegnativo: nessuno dei due voleva legami e si erano trovati d’accordo sul fatto che no, mantenersi puri e casti, non faceva per loro.
Poi però l’aveva conosciuta un po’ meglio, aveva preso a parlarci e aveva cominciato a scoprire che sotto quella massa di perfetti capelli biondi c’era una persona vera, forse non brillante come Josh, ad esempio, ma sicuramente abbastanza furba da non farsi fregare o farsi illusioni. La prima volta che Dam l’aveva tradita, se così si poteva dire, visto che la loro non era un relazione, non glielo aveva detto, nemmeno la seconda o la terza. Poi ad un certo punto, mentre la baciava nascosti non si ricordava nemmeno dove, lei gli aveva preso il mento con una mano, le unghie rosse e perfette in contrasto con la pelle scura di lui e quella chiara di lei, e l’aveva guardato dritto negli occhi :«Non voglio sapere con chi vai o chi ti porti a letto, ma ti prego, per il senso della comune decenza, togliti il loro profumo di dosso quando vuoi vedere me » Damian aveva provato ad obbiettare ma lei l’aveva fermato riprendendo a parlare, «Io, con te, lo faccio » poi aveva ripreso da dove si era interrotta, come se niente fosse.
E lì Zabini aveva capito due cose: primo, Charity Lodge aveva tanti ragazzi oltre a lui e lui non se n’era mai accorto, tanto che il suo orgoglio maschile aveva persino preso a gongolare, convinto com’era che lei gli fosse assolutamente fedele; secondo, non era lui ad usare Charity, si stavano usando a vicenda e in maniera così premurosa da apparire persino dolce.
Con il tempo, poi, si era accorto di tante piccole cose che avevano trasformato la Lodge nella sua donna ideale. Ad esempio, Charity non arrossiva mai, non c’era modo di colpirla in contropiede e metterla in imbarazzo, non c’era la possibilità di metterla con le spalle al muro, Charity non avrebbe mai fatto una scenata isterica beccandolo con qualcun'altra, ed era successo, non avrebbe urlato, non avrebbe pianto, Charity, infatti, non piangeva e Damian dubitava che l’avesse mai fatto da che erano a scuola insieme.
Stare con lei non era come stare con una ragazzina in preda agli ormoni che vede rosa da tutte le parti, era come avere la libertà e un posto a cui essere legati allo stesso tempo: come avere delle catene e avere anche le chiavi per aprirle.
Che con questo loro prendersi e mollarsi si facessero solo male a vicenda, lo sapevano entrambi, ma chiarire la situazione una volta per tutte non interessava a nessuno dei due.
«Char, coso: siamo in un ambiente scolastico dove potreste bloccare la crescita a dei poveri bambini innocenti » Kath li guardava persino schifata, «Scollatevi o a me verrà il diabete ».
Charity si allontanò ridendo e Dam fece una smorfia contrariata: perché diamine la Wetmore non era in grado di farsi gli affaracci propri?!
«Addirittura il diabete, Kath? Non siamo mica Paciock e la Laurie » ironizzò la bionda inclinando appena la testa.
«E io mi chiamo Damian, Wetmore, non coso » puntualizzò il ragazzo incrociando le braccia al petto.
«Finché stai con lei tu sei coso » decretò Katherine risoluta ravvivandosi i capelli corti con una mano: non le andava proprio giù che la sua migliore amica fosse diventata bigama per colpa di quell’idiota e quindi non le andava giù l’idiota a prescindere.
«Non ragionarci insieme, Dam » commentò Josh apparendo come per magia, «Potresti finire in una spirale senza fine di idiozia e lacca per capelli ».
«Che cosa dovrei mettere io sui miei capelli?!» cominciò la mora sul piede di guerra e Joshua sembrava pure pronto a risponderle quando una testa riccia e un passo deciso attirarono la loro attenzione.
La Caposcuola Grifondoro, meglio nota come Jade-non si capisce perché quella volta non si sia tenuta Potter- Fyfield, avanzava verso di loro come se fosse la cosa più naturale del mondo, e non era mai stato naturale che un Grifone cercasse di propria spontanea volontà una Serpe, anche se forse, la Fyfield, costituiva un’eccezione alla regola..
Non si fermò nemmeno a salutarli, afferrò Damian per un braccio e se lo trascinò dietro nello stupore generale, esordendo con un semplice e conciso, «Dobbiamo parlare » che non ammetteva obiezioni di sorta.
Damian l’aveva guardata stranito per un paio di secondi mentre si allontanavano dagli altri, poi, con un sospiro sconfitto aveva urlato a Josh di seguirli, «Qualcosa mi dice che la cosa interessa anche te » aveva detto e l’altro si era affrettato a seguire Jade che procedeva a passo di marcia e spariva su per le scale che portavano al terzo piano.
Kath e Char, rimaste sole, si guardarono negli occhi parecchio perplesse.
«Tu hai capito cos’è successo? » chiese Katherine dopo un po’ e in tutta risposta Charity scosse la testa.
«Di gente strana ce n’è tanta, nel mondo » concluse la bionda prima di incamminarsi verso i sotterranei: avevano un’ora buca e lei doveva cambiare lo smalto.
Meglio rosa cipria o un bel corallo acceso?

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, un’aula del terzo piano, ore 09.22
«Questo si chiama rapimento, lo sai? » chiese Damian guardando la bionda che frugava nella borsa prima di rivolgersi alla sorella che se ne stava seduta su un banco con le gambe accavallate e la faccia di una persona che è stata costretta a rinunciare a qualcosa di spiacevole senza un perché, «Ha prelevato anche te? ».
«No, sono stata obbligata a seguire questo qui » rispose Grathia leggermente seccata accennando a Scorpius che se ne stava in piedi, appoggiato alla cattedra, le mani in tasca e l’aria di uno che non ne sa niente.
Joshua sbuffò contrariato.
«Bene » cominciò Jade riemergendo dalla propria sacca con una busta verde in mano, una busta finemente lavorata, «Qualcuno di voi mi fa la grazia di spiegarmi perché stamattina un pennuto con due occhi gialli grandi così mi ha consegnato questa? ».
Damian e Grathia strabuzzarono gli occhi neanche avessero appena saputo che il mondo stava crollando e loro non se ne erano resi ancora conto.
Scoapius si limitò a sospirare, pronto ad un’ora di dibattito in cui avrebbe dovuto impedire a Jade di dare di matto.
E Joshua sbuffò, di nuovo: quanto odiava le riunioni di famiglia, davvero non lo sapeva nessuno.
Forse le odiava anche più della Wetmore.






Note dell’autrice:
salve a tutti, disgraziatamente non ho tempo quindi un apio di cose veloci veloci e poi me ne vado. Capitolo di transizione, quindi un po’ inutile, però mi serviva quindi eccolo qui. Questo non vuol dire che toglierò l’avviso o che la storia verrà aggiornata tanto presto o che altro, vuol dire che ho sistemato un attimo questo capitolo e ho deciso di pubblicarlo, giusto per farvi un po’ contenti.. (almeno lo spero…)
Ringrazio, perché è doveroso, chi legge, chi segue, chi preferisce e chi ricorda la storia, un ringraziamento speciale va a chi recensisce!! Io lo dico sempre, ma nessuno mi ascolta, quindi lo ripeto: l’unico modo per convincermi a perdere ore di sonno e continuare a pubblicare capitoli di questa storia è sapere che vi piace, che la leggete e che non scrivo solo per me, quindi RECENSITE CHE FA BENE A ME E A VOI :)
Detto questo, vi saluto.
Alla prossima con tanti baci,

Najla

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Capitolo 16
*** Quando la pazzia dilaga ***


Tredicesimo Capitolo
Quando la pazzia dilaga

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, un’aula del terzo piano, ore 09.22

«Qualcuno di voi mi fa la grazia di spiegarmi perché stamattina un pennuto con due occhi gialli grandi così mi ha consegnato questa? ».

Tutte le famiglie hanno dei problemi, è come una grande legge universale, e le famiglie magiche purosangue con un ego che permette loro di camminare almeno a sette metri da terra non fanno alcuna eccezione. Per quanto si ostinino a sostenere il contrario, sono pur sempre normalissime persone fatte di carne ed ossa, e in quanto tali può capitare che vengano coinvolte, o generino, situazioni problematiche.
I Greengrass e il loro conto indecente alla Gringott non facevano nessuna eccezione, anzi, erano una rosa infinita di casini di ogni genere.
Che Jay, sua sorella Ellie, Dam, Gracie, Scorp e Josh ci fossero finiti proprio in mezzo, beh, quella era stata tutta sfiga: una sfiga colossale avrebbe sottolineato ben volentieri Nott.
«La nonna le ha mandato Leodegrance » ci tenne a puntualizzare Scorpius a quel punto, solo per vedere gli occhi verdi di Grathia spalancarsi ancora un po’.
«Leodegrance? A lei? Perché? » Jade studiò la sua espressione sconvolta per una manciata di secondi, poi decise che non le interessava cosa diavolo avesse quel maledetto gufo per suscitare una reazione del genere e tornò a rivolgersi a Damian.
«Capisco che Grathia non ne sappia nulla » cominciò appoggiando la busta sul banco dove stava seduta la serpeverde, «Ma tu sei maggiorenne e sono abbastanza sicura che il nonno abbia cominciato a metterti al corrente di determinate informazioni: non dirmi che non sapevi niente di quell’invito perché non ti crederei ».
Il ragazzo prese a massaggiarsi il collo nervoso, conosceva Jade abbastanza da sapere che non li avrebbe lasciati andare prima di aver ottenuto una risposta che la convincesse abbastanza e lui, la risposta, anche ce l’avrebbe avuta, solo era piuttosto sicuro che alla cugina non sarebbe andata per niente a genio.
«Non può essere che i tuoi nonni abbiamo deciso di invitarti a cena perché sei la loro cara nipotina, vero? » fece sarcastico Joshua sperando di chiudere quella conversazione il prima possibile, certo che sarebbero finiti a parlare di argomenti che non gli piacevano.
«Josh, ti prego » Jade gli rivolse un’occhiata densa del più profondo scetticismo, «Anche ammettendo che si ricordino della mia esistenza nel loro albero genealogico, si rifiutano ancora di chiamarmi con il mio nome, non si fanno sentire da sei anni, salvo qualche compleanno, e uno dei loro migliori amici medita di uccidermi da quando avevo undici anni. Deve esserci un motivo piuttosto serio per mandarmi un invito con il loro miglior gufo, a scuola » si fermò un istante, «Non volevo offendere tuo nonno dicendo che mi preferirebbe morta, ma è la verità, Josh ».
Nott si limitò a fare spallucce, indifferente, suo nonno non piaceva troppo nemmeno a lui: l’unico motivo per cui lo frequentava era suo padre che lo obbligava a fargli visita ogni tanto. Non aveva mai capito come, da un uomo austero e cinico come suo nonno, il vecchio Ajax Nott, fosse potuta uscire una persona sommariamente equilibrata e di larghe vedute come suo padre.
Il sospiro di Damian attirò di nuovo la loro attenzione.
«So per esperienza che non sei stupida » disse il ragazzo guardandola serio, «Qualcosa devi aver pur pensato quando hai visto quella busta, stamattina ».
Jade si morse l’interno della guancia senza smettere di sostenere lo sguardo pesante e indagatore del cugino, «Certo che ho pensato a qualcosa ma non può essere che sia per.. » non si  prese nemmeno la briga di continuare quando sul viso di Damian si dipinse una smorfia piuttosto eloquente.
«Vedi che c’eri arrivata? » le rispose lui e Jade spostò gli occhi oltre le sue spalle, pensierosa, continuando a torturarsi l’interno della guancia con i denti: l’aveva detto lei che quella situazione non le piaceva per niente.
«Ma non ha comunque senso! Come possono pensare che io decida di assecondarli? E’ ridicolo » protestò scuotendo la testa e Dam scrollò le spalle come se la cosa contasse davvero poco.
«Sei sempre parte della famiglia, Jade, che ti piaccia oppure no tua madre è una Greengrass e quindi, per metà, lo sei anche tu » concluse lui e Jade gli riservò un’occhiata bieca, le braccia incrociate al petto e la punta della scarpa destra che batteva nervosa sul pavimento di lastroni.
In effetti, per quanto si sforzasse di pensare il contrario, Jade faceva parte della famiglia Greengrass a tutti gli effetti e anzi, volendo rivendicare qualcosa in quella gabbia di matti, lei e sua sorella, avrebbero potuto scavalcare i cugini senza difficoltà, essendo le figlie della primogenita.
La madre di Jade, infatti, era la prima figlia dell’attuale capo del clan Greengrass, il vecchio Flegias, e di una delle figlie del clan Moon, Electra. Entrambi aperti sostenitori dell’Oscuro Signore e tra i suoi più appassionati seguaci, erano riusciti a scampare ad Azkaban, dopo la fine della prima guerra magica e anche alla seconda, solo perché ricchi sfondati e con dei cognomi altisonanti alle spalle: insomma avevano fatto lo stesso gioco di potere di Lucius Malfoy e ne erano usciti pressoché puliti.
Dall’unione di due personaggi così sfacciatamente purosangue e fierissimi di esserlo erano nati quattro figli: la madre di Jade, Erinna, venuta al mondo cinque anni prima della fine della prima guerra, Daphne, la madre di Damian e Grathia, Astoria, la madre di Scorpius, e Castor, unico erede maschio della famiglia e probabilmente il meno adatto a portare avanti il cognome dei Greengrass.
Spiegare, invece, come Joshua Nott si fosse trovato invischiato negli intrighi familiari di quella casata era un po’ più complesso: basti sapere che una cugina di secondo grado del vecchio Greengrass aveva preso in marito, al tempo che fu, Ajax Nott, per altro amico di lunga data di Flegias stesso, e quindi il nonno, il figlio e il nipote si erano trovati impelagati in tutti i loro casini.
Per somma gioia di Josh, ovviamente..
«Qualcuno vuole spiegarci cosa sta succedendo? » si fece sentire Grathia alzandosi in piedi: non le piaceva essere tenuta all’oscuro delle cose, lo odiava e il fatto che persino Jade, la stessa Jade che evitava di far sapere in giro che erano parenti neanche avessero la peste, sapesse qualcosa in più di lei, la mandava in bestia.
Scorpius, invece, era giunto alla saggia conclusione che meno ne sapeva degli affari della famiglia di suo padre e di quella di sua madre, meglio avrebbe vissuto la sua giovinezza e quindi pareva l’unico, lì dentro, a voler ignorare qualsiasi cosa riguardasse buste, inviti e gufi.
«Loro dovevano rimanerne fuori » la ignorò Damian rivolgendosi a Jade, «Non credo sia una buona idea coinvolgerli ».
«Non penso ci siano alternative, Dam » sospirò Josh leggermente annoiato, «Punto primo, sono qua anche loro. Punto secondo, la lettera è arrivata anche a loro, nonostante non fosse nei piani: tanto vale chiarire questa faccenda ».
Damian prese un respiro profondo, facendo oscillare lo sguardo tra Scorp e sua sorella: già che la frittata era fatta, tanto valeva continuare.
Suo padre lo avrebbe come minimo ucciso ma amen, non dire niente a tua sorella, Damian, è ancora troppo piccola, devi tenerla al sicuro gli aveva detto e lui aveva risposto convinto: sì, padre, nessun problema..
Certo, sì padre, nessun problema se la cugina grifondoro non da di matto e non ci rinchiude in una stanza per sapere cosa sta succedendo..
Sì, avrebbe dovuto decisamente specificare.
«Lo hai letto un giornale dal 5 di Ottobre ad oggi, Gracie? » chiese alla sorella, come sperando che magicamente ci arrivasse da sola, ma quando la vide scuotere la testa in segno di diniego anche quell’ultima speranza di aggirare la promessa che aveva fatto a suo padre svanì miseramente, «Sai che delle persone hanno cercato di entrare in casa della nonna, vero? Questo almeno l’hai sentito? ».
«Non trattarmi da stupida, Dam, è ovvio che l’ho sentito » ribatté stizzita e Josh non si trattenne dal mormorare qualcosa che appariva molto come un non c’è niente di ovvio, con te, che a Grathia parve molto un insulto alla sua non trascurabile intelligenza, ma decise di sorvolare.
«Bene » annuì piantando le mani nelle tasche dei pantaloni, «La nonna non è stata l’unica sostenitrice dell’Oscuro Signore ad essere vittima di aggressioni, nell’ultimo periodo. La strage di Azkaban in cui sono stati sterminati tutti i Mangiamorte ne è l’esempio più eclatante, se poi volessimo elencare le lettere minatorie, le minacce e tutto il resto non si finirebbe più.. li chiamano Illuminati e il loro unico scopo sembra quello di sterminare tutti i clan purosangue che hanno sostenuto Voldemort » Damian fece una pausa per saggiare l’espressione di Grathia, apparentemente neutra, e continuò, «Fino ad ora le famiglie purosangue non hanno mosso un muscolo per il semplice motivo che credevano che le istituzioni magiche le avrebbero difese o meglio, sarebbero state capaci di proteggerle da questi fanatici ma quello che è successo a James Potter ha dimostrato esattamente il contrario: se Hogwarts non è sicura, nessun posto lo è ».
«Quindi » continuò Josh al posto suo, il tono noncurante come al solito, «Flegias ha deciso che è ora di fare qualcosa e si può ben immaginare cosa possa intendere con il suo fare qualcosa »
«Vuole avvertire la famiglia del pericolo e raccogliere più appoggio possibile: per questo sono stati invitati anche Jade e la sua famiglia » concluse Dam, «Per quanto a lei piaccia pensare il contrario, è pur sempre la nipote di due Mangiamorte: è a rischio quanto noi ».
«Non puoi essere serio » mormorò Scorpius cogliendo immediatamente le implicazioni di tutta quella faccenda, non voleva nemmeno sapere perché, ma tutto aveva un che di già visto e già vissuto.
«Ti sembra che io stia ridendo, Scorp?».
Jade smise di ascoltarli quando il biondino cominciò a protestare cercando di evidenziare l’idiozia di un’idea del genere più di quanto non fosse già evidente a tutti i presenti.
L’aveva capito già quella mattina che quella busta e quel gufo avrebbero portato solo guai, un mare di guai, ma in un angolo della sua testa doveva ammettere di aver sperato fino all’ultimo in qualcosa di meno catastrofico di una riunione per vedere quanti erano a favore e quanti contro sulla proposta: torniamo o meno ad indossare maschere e cappucci per difendere dalle avversità il nostro sangue purissimo! Inoltre sembrava che nemmeno Damian avesse dubbi sul fatto che nessuno si sarebbe limitato a difendersi in un’eventuale schermaglia e l’ultimo cosa di cui il mondo aveva bisogno, a suo parare, era un nuovo periodo del terrore in cui i figli dei babbani e i babbanofili dovessero temere per la propria vita, anche perché, dopo la guerra, le politiche per agevolare i rapporti con i babbani avevano avuto un così largo successo che ormai quasi ogni mago dell’Inghilterra simpatizzava per le persone prive di magia: non sarebbe stata una caccia all’uomo, sarebbe stata una roulette russa di stragi!
«Da una parte quelli che vogliono ammazzare i mezzosangue e dall’altra quelli che vogliono ammazzare i purosangue » ricapitolò Jade passandosi una mano sulla fronte, «Se dovesse davvero finire in questo modo, dubito che il Ministero riuscirebbe a fare qualcosa di utile ».
«A quel punto » la corresse Josh con una nota sardonica, «Il Ministero non potrebbe fare proprio niente ».

Godric’s Hollow numero 25, Cucina, ore 9.23
Nonostante fosse passata una discreta quantità di tempo ed Hermione fosse davvero sicura di aver sepolto tutte le vicende spiacevoli che la collegavano in un modo o nell’altro alla figura altezzosa di Malfoy, ancora non riusciva a farselo andare a genio del tutto.
Soprattutto quando si presentava a casa sua nella sua mattinata di riposo buttandole quasi giù la porta a suon di imprecazioni tra le più varie e la sorprendeva con indosso una vecchia tuta e il capelli bagnati dalla doccia tenuti legati con un elastico a fiori di sua figlia: per le mutande di Merlino! Ormai era un pezzo grosso del Ministero! Aveva una reputazione da difendere! Non poteva farsi vedere, davvero, da qualcuno in quello stato, soprattutto se quel qualcuno era Draco Malfoy!
«Ripetimi perché sei qui » sbadigliò contrariata prima di affondare il viso in una tazza di tisana rilassante: se voleva affrontare una conversazione con quell’uomo doveva rimanere calma.
Ogni tanto se lo chiedeva seriamente, se Scorpius fosse un corno o meno, perché non aveva mai visto traccia del cipiglio indisponente di Malfoy in quel ragazzo..
«Perché mi pareva avessimo concordato un piano d’azione, Granger » sbottò lui, seduto di fronte a lei, con le gambe accavallate e una palese espressione disgustata al pensiero di ritrovarsi nella cucina di una sanguesporco di fronte a qualcosa di assolutamente non magico come un caffè.
Già, quando Harry non poteva essere raggiungibile perché era insieme agli altri in ufficio a lavorare sugli illuminati, era la sua la casa sicura dove andare per riferire eventuali informazioni: una sorta di seconda base, quando la casa dei Potter era vuota, per chi stava cercando di capirci qualcosa di illuminati e affini.
«Weasley » lo corresse esasperata Hermione, «Mi sono sposata più di diciassette anni fa, Malfoy ».
«Non è rilevante » fu la risposta secca e concisa dell’altro, «Stamattina ho ricevuto questa» lasciò scivolare sul tavolo una busta verde smeraldo, «E’ da parte di Flegias Greengrass, e se l’ho ricevuta io, so per certo che è arrivata anche a Theo, Blaise e i fratelli di Asteria ».
Hermione si raddrizzò istantaneamente, mise da parte la tazza sbeccata e prese tra le mani quella filigrana pregiatissima con incisi i nomi di Draco e di sua moglie: sempre così sfarzosi, i purosangue.
«E’ un invito al cenone della vigilia » chiarì seguendo con lo sguardo le dita della donna mentre aprivano la busta ed estraevano il biglietto, «L’avevo detto a Potter che non se ne sarebbero stati buoni..».
«Come fai ad essere sicuro che non sia solo un innocuo invito per Natale?».
«Perché lo stesso invito è arrivato anche ad Ellison Fyfield, mia nipote » sospirò rilassando appena le spalle, «La figlia maggiore di Erinna Greengrass ».
«Credevo che i Greengrass non parlassero con la figlia e la sua famiglia da anni, ormai » commentò Hermione aggrottando le sopracciglia pensierosa, «Da quel che ricordo solo le due ragazze abitano in Inghilterra, Erinna e il marito si sono trasferiti in.. ».
«…Spagna, sì » annuì Malfoy, «Novak ha chiesto il pensionamento anticipato dopo aver perso una gamba in un attentato ai danni della delegazione magica inglese in Russia.. Non è normale che Flegias abbia deciso di coinvolgere anche loro in una riunione di famiglia ».
«Sta raccogliendo il consenso » dedusse Hermione con semplicità, «Speravamo succedesse più avanti , speravamo di riuscire ad arginare gli Illuminati ».
«Evidentemente l’attacco al figlio di Potter li ha spinti a dubitare delle rassicurazioni del Ministero, dovevamo prevederlo: le famiglie purosangue non si fidano delle istituzioni magiche, sono zeppe di babbanofili e mezzosangue, di questi tempi ».
«L’unica cosa che possiamo fare è cercare di tener buoni Flegias e quelli che hanno intenzione di seguirli finché non capiamo qualcosa in più di questi illuminati » sospirò lei passando elegantemente sopra al velato insulto nei confronti dei nati babbani, «Non ci sono i presupposti per agire legalmente, anche se sappiamo quanto tragiche potrebbero essere le conseguenze di una nuova adunata di Mangiamorte, non stanno facendo nulla di illegale.. Tu e Nott dovete monitorare la situazione e tenere calme le acque finché non troviamo una soluzione: in molti seguono il nome dei Greengrass, con un po’ di fortuna controllandolo, riusciremo a manovrare anche le altre famiglie ».
«Avete avuto notizie da McDuff? ».
«Si sta lavorando la Fyfield » rispose pacata Hermione accettando il suo desiderio di cambiare argomento: non sapeva cosa avesse spinto Draco a schierarsi dalla loro parte, questa volta, ma riusciva a capire quanto quella decisione dovesse costargli, anche senza Voldemort, fare la spia nelle antiche famiglie magiche era molto rischioso. Ci voleva la massima prudenza quando si aveva a che fare con persone diffidenti per natura e per loro fortuna, sia Malfoy che Nott, erano esperti nel non fare mai il passo più lungo della gamba.
«Non fare quella faccia » continuò la donna di fronte alla sua smorfia di disappunto, «Sei stato tu a consigliarci di usare tua nipote ».
«Certo, Jade è una grifondoro, è conosciuta e conosce un sacco di persone, non ha difficoltà a trovare informazioni senza destare sospetti, è una Caposcuola, quindi ha un maggiore raggio d’azione rispetto agli altri studenti, e nel momento in cui McDuff le dirà cosa ci serve sapere e perché saprà tenere la bocca chiusa » commentò Draco incrociando le braccia al petto, «Il fatto che fosse la scelta migliore, non significa che mi debba piacere per forza ».

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Grande, ore 10.25
Elijah si sentiva come un uovo sbattuto mentre, steso su una delle panche al tavolo dei Grifondoro nella sua ora libera del lunedì, guardava il soffitto stregato e la neve che cadeva a fiocchi senza mai toccare terra sgranocchiando quei meravigliosi stuzzichini croccanti e salatissimi che sua madre gli spediva una volta alla settimana via camino.
Non che avesse mai provato l’esperienza di essere un uovo e di essere sbattuto da qualche parte, ma era abbastanza sicuro che la sensazione fosse quella: una sorta di inspiegabile e pesante sensazione di bleah.
Da quando James era stato ricoverato al San Mungo, Eli si era ritrovato a vivere la propria routine con una noia tale da tediarlo persino alzarsi dal letto: Ian era sempre con Gwen, con quella svampita della Shelley che ancora si rifiutava di capire che il ragazzo ormai stava con lei per inerzia ed era troppo buono per scaricarla da un giorno all’altro quindi continuava a sopportarla in silenzio. Già, Ian aveva sempre avuto la brutta inclinazione a fare la cosa sbagliata per lui ma giusta per gli altri: aveva un po’ l’indole del martire. Jade, invece, viveva a metà strada tra il suo mondo e i mille impegni che continuava a prendersi, patologicamente incapace di dire di no alla gente, il che la rendeva off limits tutto il giorno meno che a pranzo e a cena, dove Eli aveva comunque tutta la tavolata Grifondoro a fargli compagnia.
Era dura da ammettere, per un ragazzo con una certa reputazione da menefreghista cosmico come lui da difendere, ma si sentiva tremendamente solo senza uno dei suoi tre amici a tenergli compagnia.
«Potresti essere l’incarnazione dell’indolenza, sai? » una voce vagamente divertita lo risollevò dalla sua spirale di pensieri negativi.
Si stupì non poco nel riconoscere, voltando la testa verso la tavolata deserta dei Tassorosso, la figura di Rowena, seduta sulla panca parallela alla sua con le gamba accavallate e i gomiti appoggiati sul tavolo.
«E’ strano vederti senza quella piaga ambulante di mio fratello » rispose con un ghigno, «Avete divorziato? ».
«Io e Mord siamo solo buoni amici » precisò la ragazza alzando gli occhi scuri verso il soffitto stregato, «Sta poco bene, ha preferito tornare in dormitorio a riposare ».
«E lo Scamader? ».
«Lorcan ha Babbanologia ».
«Cromwell? La Nieri? Molly Weasley? ».
«Oliver è con una certa Judith Swift, si sono imbucati non so dove, Emma è con Xavier Knight e se Molly lo scopre potrebbe decidere di disconoscerla, ma per fortuna di Emm sta studiando in biblioteca » rispose tranquilla, «Ma se ti do tanto fastidio me ne vado ».
«La Nieri e Knight? Sul serio? » commentò Elijah esterrefatto, gli occhi verdi appena appena più grandi, «Da quando in qua? ».
«Non credo lo vogliano far sapere in giro: Emma teme molto il giudizio di Molly e sa che non ama le Serpi » fece spallucce prima di sorridere con un angolo della bocca, accorta, «Te l’hanno mai detto che hai la stoffa della vecchia comare? Sono convinta che, se fossi una donna, saresti la migliore amica della Wetmore e della Lodge ».
Elijah sospirò pesantemente contrariato ma decise di non ribattere. Anche con un paio di tette non sarebbe mai diventato amico di quelle due oche: il suo disgusto nei confronti della casata verdeargento era troppo ben radicato nel suo animo per permettergli anche solo di respirare la loro aria.
Il fatto che a Serpeverde ci fosse anche il fratello che gli impediva di prendersi l’unica ragazza che davvero volesse e che gli stava seduta davanti, non centrava assolutamente nulla..
Rimasero in silenzio per un po’, entrambi troppo presi a seguire il filo incasinato dei propri pensieri e a cercare di dargli ordine guardando il cielo plumbeo sopra le loro teste per decidere di dire qualcosa. Non era un silenzio scomodo, anzi, era quasi caldo: aveva il sapore di un’intimità che non aveva bisogno di spiegarsi e che, da che Elijah ricordasse, c’era sempre stata tra di loro.
«Cos’aveva Mord? » chiese ad un certo punto Eli, la voce appena più bassa, come se avesse paura di farsi sentire seriamente da qualcuno: alesava talmente tanto l’odio per il suo gemello che c’avrebbe perso la faccia se qualcuno avesse scoperto che nonostante tutto si preoccupava comunque per lui.
Rowena sorrise appena, inclinando leggermente la testa verso destra, gli occhi si colorarono di una sfumatura appena più dolce e meno impenetrabile del solito.
«Credo si sia preso l’influenza » rispose lei con un sospiro, «Sai che in questo periodo si ammala sempre.. Ti farò sapere se peggiora: credo avrò bisogno del tuo aiuto per trascinarlo in infermeria, a quel punto.. ».
«Come l’anno scorso » annuì Elijah alzando gli occhi al cielo: solo lui poteva avere un fratello talmente idiota da rifiutarsi di andare dalla Talleyrand a chiedere una semplice pozione per far abbassare la febbre.
«O l’anno prima » annuì distrattamente Rowena continuando a studiarlo con quel modo attento ma discreto mentre Eli continuava, ignaro, a sgranocchiare salatini fissando la neve che cadeva, come ipnotizzato.
La ragazza si ritrovò ancora a riflettere sul legame impalpabile che teneva una parte del suo cervello incatenata ad Elijah Faraday, in maniera irrazionale e totalmente insensata, per altro, e trattenne un sospiro.
La prima volta che aveva incontrato Mordecai, era stato in biblioteca, al primo anno, un mese dopo la morte di sua sorella, nel periodo in cui si teneva distante persino da Lorcan: lo stesso Lorcan che era diventato la sua ombra dal primo giorno di scuola.
Non avevano parlato un granché, a dir la verità erano semplicemente finiti a sedere allo stesso tavolo con un numero indecente di libri e avevano scoperto ciascuno l’esistenza dell’altro, senza imbarazzanti presentazioni o cose del genere, solo con qualche veloce e pacato scambio di battute: stai facendo il tema per Eastwood? Cosa hai risposto alla domanda numero quattro? Cose così..
Quando poi Mordecai si era alzato e aveva raccolto le sue cose salutandola, Rowena aveva alzato la testa e lo aveva ringraziato: era stato il primo a non mostrarle una pietà che non voleva, per la morte di sua sorella, il primo a non fermarla per i corridoi facendole le condoglianze, il primo che l’aveva trattata come una coetanea e non come un caso sociale.
Il primo a trattarla come Rowena Dale e non come la sorella della ragazza assassinata a Diagon Alley.
La risposta di un dodicenne già piuttosto cinico era stata, «Che senso avrebbe avuto dirti che mi dispiace? Non conoscevo tua sorella, non conosco davvero nemmeno te.. Meglio stare in silenzio che essere ipocriti, non credi? ».
Da lì in avanti Rowena aveva continuata a cercare il tavolo dove quel ragazzino si sedeva per studiare, in biblioteca e a sedergli accanto, in silenzio, usandolo egoisticamente come balsamo per quando il ricordo del funerale di sua sorella si faceva troppo pressante, o gli sguardi di tutti si facevano incredibilmente pesanti, perché il freddo che percepiva nei gesti e nelle parole di Mord anestetizzava il dolore, le ricordava che il mondo continuava ad andare avanti comunque, indipendentemente dalle sue lacrime.
E mano a mano che se ne rendeva conto, sentiva scemar piano il bisogno di piangere, sentiva il dolore diventare nostalgia.
Erano passati dall’essere semplici conoscenti ad amici, perché sì, Mord faceva una distinzione piuttosto netta tra le due categorie, una sera di Ottobre, durante il loro secondo anno, quando il ragazzo, alzandosi dal loro solito tavolo in biblioteca per tornarsene nei sotterranei aveva mormorato, la voce ridotta ad un fiato incerto il “mi dispiace” che non aveva voluto dirle tanti mesi prima e Rowena aveva sorriso, ringraziandolo ancora una volta.
Sotteso a quel “mi dispiace” c’erano talmente tante cose che Row c’avrebbe impiegato anni per capirle tutte: anni per capire come trattare il carattere diffidente di Mordecai, anni per conquistare la sua fiducia, anni perché le concedesse di psicoanalizzarlo come faceva con Lorcan, anni perché andasse a parlare a lei dei suoi problemi prima che a chiunque altro.
Rowena aveva capito che Mordecai era innamorato di lei solo quando aveva incontrato Elijah e aveva afferrato quanto quei due si assomigliassero nel profondo: nonostante i diversi colori della divisa scolastica, nonostante sostenessero di volersi seppellire a vicenda, nonostante litigassero persino su chi dei due dovesse entrare per primo in una stanza.
La consapevolezza di essersi infatuata di Elijah era arrivata solo molto tempo dopo, passeggiando con i due gemelli per le vie della Londra babbana, vedendoli vicini, identici eppure agli antipodi: capaci di dare allo stesso sentimento una forma totalmente distinta.
E Row aveva capito di amare le forme che creava Elijah, di esserne attratta pericolosamente, più di quanto non apprezzasse già quelle familiare e un po’ spigolose di Mordecai.
«Siete uguali, tu e Mord » disse allora, come se fosse una riflessione nata da un’illuminazione piuttosto che da anni di analisi, riuscendo comunque a guadagnarsi un’occhiataccia scettica da parte degli occhi verdi e brillanti di Elijah.
«Lo so che siamo uguali » borbottò come se il solo dirlo gli facesse venire l’orticaria, «Siamo gemelli omozigoti, sarebbe strano il contrario.. gentile a ricordarmelo, comunque ».
Sarcasmo: smorzato da una risata se veniva da Elijah, affilato da una smorfia se veniva da Mordecai.
«Siete davvero più simili di quanto pensiate » concluse alzandosi in piedi e lasciandolo lì, di nuovo da solo, con i suoi salatini e i suoi pensieri persi in una bufera di neve.
Eli spostò lo sguardo dal cielo sopra la sua testa solo per vederla andarsene ancheggiando appena e sospirò sconfitto.
Niente da fare: aveva bisogno di James.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Grande, ore 19.23
Ian aveva solo ceduto ad un momento di stanchezza, non c’aveva messo cattiveria: non aveva pensato proprio a niente quando aveva risposto alla sua ragazza di star zitta cinque secondi, nel bel mezzo della Sala Grande e sotto lo sguardo di tutta la scuola.
Non aveva pensato che si trovava davanti quello zucchero di Gwen, non aveva pensato che si stava comportando da stronzo, non aveva pensato nemmeno che l’avrebbe fatta arrabbiare, ad essere sinceri.
Sicuramente non pensava che la ragazza sarebbe esplosa in una scenata al limite della psicosi.
E pensare che lui voleva semplicemente cinque minuti di silenzio dopo aver litigato di nuovo con Jade in corridoio, nascosti dietro ad una colonna, per una cosa talmente stupida da farlo vergognare di sé stesso.
«A chi scrivi? ».
«Un amico ».
«Non credo sia un amico.. ».
«La mia vita privata non ti riguarda, Ian ».
«Ero curioso ».
«Non è vero, tu sei geloso e non ne hai alcun diritto. Stanne fuori ».
Lì avevano cominciato ad urlarsi contro perché era successo esattamente quello che succede quando dici ad una persona nervosa che è nervosa, quella si innervosisce ancora di più e raggiunge il limite peggio del fuoco a contatto con la benzina.
Boom!
E quando aveva zittito Gwen, con quel tono sicuramente troppo brusco, non aveva pensato: onestamente, Ian se ne rendeva conto solo ora, mentre la fidanzata gli urlava addosso, era da un po’ che non pensava.
Forse era per questo che, di recente, era capace solo di produrre casini su casini.
«Gwen, santo Merlino, calmati » mormorò puntandole addosso lo sguardo scuro: non la stava nemmeno ascoltando.. Non l’ascoltava più da tanto tempo, «Stai dando spettacolo ».
La ragazza gli puntò contro l’indice, il peso del corpo spostato leggermente in avanti e tutta l’intenzione di sventrargli a morsi la carotide: se non fosse stato sicuro che i Tassorosso erano quasi incapaci di fare del male al prossimo si sarebbe preoccupato.
Intravide la faccia incuriosita di Bones seduto poco distante da dove si trovavano loro e gli tornarono in mente i capelli della Wetmore: forse avrebbe fatto bene a preoccuparsi comunque.
Una donna incazzata rimaneva tale in qualsiasi Casa si trovasse.
«Io non sto dando spettacolo, cazzo! » esclamò indignata, «Sono mesi che non mi consideri nemmeno! Mesi che inventi scuse sopra scuse per evitare di vedermi! Ti sei dimenticato il nostro anniversario e io cosa ho fatto?! Niente! Pensavo fosse un periodo! Pensavo…ero convinta ti sarebbe passata! E invece?! Invece è andata sempre peggio!» Ian sapeva che la voce di Gwen era leggermente acuta, un po’ pigolante ma, dannazione, gli stava polverizzando i timpani.
La vide guardare alle sue spalle, individuare una persona tra gli studenti che stavano entrando per la Cena e vide i suoi occhi accendersi di un nuovo barlume assassino.
Ora, se avesse anche solo potuto prevedere quanto stava per accadere sarebbe andato dal platano picchiatore e l’avrebbe supplicato di ucciderlo seduta stante, con una scarica di cazzotti di legno e li avrebbe accettati tutti senza lamentarsi perché, Merlino, se li meritava dal primo all’ultimo tanto era un coglione patentato.
Ma le cose non vanno mai come uno vorrebbe, anzi, se possono andare peggio lo fanno sempre e lui se le meritava tutte le disgrazie del mondo, dalla prima all’ultima.
«E io lo sapevo! Io lo sapevo che quella lì era una troia! Lo sapevo che c’avrebbe diviso! Anche se tu continuavi a dirmi che eravate solo amici.. » sibilò Gwen abbastanza forte perché la potessero sentire quasi tutti gli studenti, «Io lo sapevo che ti sbattevi quella puttana della Fyfield! Lo sapevo che sarebbe stata tutta colpa sua! ».
Non ci volle un genio, a quel punto, per capire che Gwen stava fissando Jade, in piedi sulla porta della Sala Grande, gli occhi spalancati e la bocca socchiusa, che lo guardava come a chiedergli cosa stesse succedendo, perché, esattamente, tutta la Sala Grande la stesse fissando in un misto di disgusto e sorpresa.
Ian si voltò in tempo per incrociare il suo sguardo una manciata di secondi e sentirsi mancare il respiro: rabbia, delusione, paura.
La vide mormorare qualcosa ad Evangeline, sconvolta quasi quanto lei, e dileguarsi il più velocemente possibile mentre Gwen continuava la sua crociata di pura isteria.
Un coglione, Ian, sei proprio un coglione.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Dormitorio femminile Grifonforo, ore 20.02
Elijah non bussò nemmeno, giunto davanti alla porta di legno spessa almeno cinque pollici, la spinse e rimase fermo sulla soglia, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni neri della divisa, gli occhi verdi fissi, in un misto di tristezza e compassione, sulla figura rannicchiata su uno dei tre letti.
Jade se ne stava immobile, scossa appena dai singhiozzi, il viso incastrato tra le ginocchia e i capelli spettinati: Elijah non ricordava di averla mai vista così fragile, piccola nel rosso del copriletto e delle tende del baldacchino.
Sospirò appena e le si avvicinò, senza dire niente, prese posto vicino a lei sul letto e la strinse, accarezzandole dolcemente i capelli mentre lei gli si stringeva addosso, aggrappandosi al suo maglione come ad un’ancora di salvezza.
Non c’erano parole e di sicuro, ogni spiegazione, avrebbe potuto aspettare il giorno dopo, perché Eli era l’indifferenza fatta persona ma davvero, ad avere Ian sottomano in quel momento l’avrebbe cruciato.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Serpeverde, ore 23.56
Joshua sbadigliò sonoramente, scendendo gli ultimi gradini che separavano il suo dormitorio dalla Sala Comune, immersa nel buio salvo per una candela solitaria, accesa sul tavolino alla destra del divano.
Alzò un sopracciglio cercando di capire chi ci fosse ancora sveglio, steso sul velluto verde del divano e si stupì non poco nel distinguere Katherine, con la vestaglia di raso aperta sul pigiama tinta panna, e un libro troppo grosso per il suo quoziente intellettivo tra le mani.
Non pensava ci fossero altri Serpeverde che soffrissero d’insonnia, o meglio, non pensava che proprio la Wetmore potesse avere un motivo per non dormire sonni tranquilli: chi più di lei aveva una vita perfetta? Che problemi poteva avere una come Katherine Wetmore per non chiudere gli occhi la notte?
«Sicura che quel volume non sia troppo per i tuoi standard? » chiese caustico prendendo posto sulla poltrona vicina al caminetto, in modo da poterla guardare in faccia attraverso la fioca luce della candela, «Non so se l’hai notato ma non è il Settimanale della Strega ».
«Lo so, Nott » replicò lei tranquilla, voltando l’ennesima pagina senza degnarlo di troppa attenzione, «Infatti è un libro di incantesimi per l’’edilizia magica ».
«Ripeto, non ti sembra sia troppo per i tuoi standard? » rincarò sperando di farla arrabbiare almeno un po’: la discussione con Jade di quella mattina gli aveva messo in testa tanti di quei disastrosi scenari di morte che aveva bisogno del pensiero felice di aver fatto infuriare la Wetmore per dormire almeno un paio d’ore.
Ma la ragazza non fece una piega, non lo guardò nemmeno, concentrata nell’analisi di chissà cosa e Nott si sentì un po’ offeso, quasi trascurato.
«Perché ti dai ad una lettura tanto impegnativa? » riprovò: Kath silenziosa lo metteva tremendamente a disagio, solo ora che, per una volta in sette anni, non la sentiva fiatare se ne rendeva davvero conto.
«Mio padre vuole che vada a lavorare per il suo studio di magiarchitettura ad Edimburgo una volta presi i MAGO.. Mi sto solo documentando.. » rispose con noncuranza e Josh si trovò a ghignare sornione.
«Leggi libri importanti, ti documenti, difendi Jade di fronte a tutti nella Sala Grande.. » elencò distrattamente, accavallando le gambe prima di intrecciare le dita sotto al mento, indagatore, «Sembri proprio una Grifondoro diligente, sai? ».
«Non dire idiozie, Nott. Sono tutte cose che faccio perché mi servono » commentò distaccata, l’ennesima pagina che seguiva le altre già lette.
«Anche difendere Jade, ti serviva? ».
«No, ma la Shelley era davvero una presenza molesta, questa sera: non mi andava che mi rovinasse la cena ».
Josh sospirò e si piegò in avanti: non credeva ad una delle parole di Katherine e lo sapevano entrambi.
Studiava magiarchitettura perché suo padre l’avrebbe obbligata a lavorare con lui ad Edimburgo, probabilmente lo dava talmente per scontato che non glielo aveva nemmeno chiesto.
Aveva difeso Jade di fronte a tutti perché, in fondo in fondo, non la odiava come odiava il resto delle oche di Hogwarts: era stato un atto di solidarietà femminile alla Wetmore, ma non avrebbe mai ammesso di averlo fatto per buon cuore.
«Attenta a non diventarmi una brava ragazza, Katherine » mormorò alzandosi per tornare in camera a fissare di nuovo il soffitto, «Questo non è il posto per gente del genere ».
Di nuovo non gli rispose, assorta nelle righe fitte di quel volume che la teneva sveglia insieme a mille altri pensieri e Joshua era ormai, di nuovo, su quegli ultimi gradini che aveva sceso prima, quando lo sentì, appena sussurrato.
«Buonanotte, Josh ».
E Nott non sapeva perché ma si trovò a sorridere a mezza bocca come un ebete.
Quando odiava la Wetmore, non lo sapeva più nemmeno lui.




Note di un'autrice un po' depressa:
Allora, buonasera  a tutti :) vi lascio questo capitolo veloce veloce perché devo preparare la valigia per Vienna e non ho idea di cosa metterci dentro: capitemi sono nel panico più totale!!! @.@
Detto questo, visto che ho pochissimo tempo, vi imploro di recensire, vi prego gente, se davvero questa storia vi piace, la preferite, la seguite e la ricordate, vi prego: LASCIATEMI UNA RECENSIONEEEEEEEEEE!!! Ne ho davvero bisogno: almeno voi tiratemi su una costola che fino a luglio prevendo tempeste un gionro sì e lìaltro pure...
FIduciosa nel fatto che mi farete questo enorme piacere e ringraziando chi legge, segue, preferisce, ricorda e recensisce la storia (Vi voglio tanto bene :D ) vi saluto e vi aspetto al prosismo capitoletto che è già in cantiere ( ma l'avviso resta lì ancora un po', per sicurezza.. )

Tanti bacini,
Najla :)













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Capitolo 17
*** C'era una volta, qualche errore fa.. ***


Quattordicesimo Capitolo
C'era una volta, qualche errore fa..

Sperare che domani arrivi in fretta
e che svanisca ogni pensiero.
Lasciare che lo scorrere del tempo
renda tutto un po' più chiaro.
( Sono solo parole- Noemi )

27 Novembre XX

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Biblioteca, ore 14.12
Jade si sentiva vagamente osservata mentre, seduta in uno dei tavoli più isolati di tutta la biblioteca già di per sé deserta, come quasi ogni domenica pomeriggio, insieme ad una pila di libri a nasconderla dal mondo e il naso a pochi centimetri dalla pergamena, scriveva un tema di Pozioni che doveva essere il migliore mai scritto in tutta la sua carriera scolastica, visto quanto si stava impegnando per stenderlo soppesando e valutando ogni parola, ogni stramaledetto punto.
Non credeva fosse possibile trovare qualcosa di apprezzabile nella brutta, orrifica, svolta che aveva preso la sua vita da pochi giorni a quella parte, ma era costretta ad ammettere che la sua media scolastica ne avrebbe sicuramente tratto vantaggio.
Da cosa?
Ma dal suo progetto di isolarsi dal mondo e intraprendere la via della privazione per raggiungere l’ascesi e trovare un senso a tutte le disgrazie che l’avevano colpita di recente, ovviamente.
Progettino un filino ostico, ma Jade era ben decisa a realizzarlo prima delle vacanze di Natale, anche se qualcuno non era della sua stessa idea.
«Elijah, se continui a fissarmi, mi brucerai come minimo i capelli» commentò a mezza bocca rileggendo il breve paragrafo che aveva scritto nell’ultimo quarto d’ora: pura poesia su pergamena, un’opera degna di un alchimista.
Eli se ne stava in piedi di fronte a lei, le braccia incrociate al petto e il cipiglio spazientito di chi ne ha davvero abbastanza di un po’ tutto ma è troppo equilibrato per esplodere e distruggere qualcosa, magari la testa della propria migliore amica sul tavolo della biblioteca.
Giusto per fare un esempio.
«Ti cerco dal dopo partita » borbottò lui acido: si era preoccupato come un idiota e lei invece se ne stava a fare la muffa in biblioteca!
«Ah già.. » fece l’altra poco interessata, non degnandosi nemmeno di guardarlo in faccia, concentrata sul suo importantissimo tema, «Chi ha vinto? Charlie o Lorcan? ».
«Lorcan » rispose asciutto, prima di aggiungere in tono accusatorio, «Perché non eri a pranzo? ».
Lei sospirò pesantemente, stringendosi appena nelle spalle, «Non mi sono accorta del tempo che passava, tutto qui, poi era troppo tardi e.. ».
«Non hai fatto nemmeno colazione: mi hai detto che avresti mangiato qualcosa con Eva ma lei non ti ha vista ».
«Non mi sto lasciando morire di fame, Elijah » ribatté spazientita, «Ora, se non ti dispiace, io starei studiando ».
«No, tu stai cercando di sparire, è diverso » insinuò il ragazzo continuando a guardarla, «Devi mangiare ».
«Merlino, Eli! » esclamò facendo roteare gli occhi seccata, «Cosa sei diventato? L’inquisizione spagnola? Quando avrò fame mangerò, quando avrò voglia di stare in compagnia di qualcuno te lo farò sapere: ora devo studiare ».
Elijah l’avrebbe volentieri presa a sberle, giusto per provare l’efficacia di una terapia d’urto, ma cercò di ricordarsi che non era un bel momento, non era un bel periodo, che la sua amica aveva bisogno di sostegno morale e non di una persona che la facesse rinsavire a suon di schiaffoni e soprattutto cercò di scolpirsi a lettere cubitali tra i neuroni che, con James all’ospedale e l’Innominabile che era, per l’appunto, escluso per ovvie ragioni, a Jade rimanevano lui e, beh, lui.
A voler essere proprio onesti, anche Eva e Roxanne avrebbero potuto provare a farla ragionare, ma Eva era troppo buona per farle la giusta pressione e Rox aveva chiesto espressamente di rimanerne fuori perché altrimenti si sarebbe convinta che strangolare Ian e seppellirne il cadavere da qualche parte nel cuore della notte, fosse una buona e attuabilissima idea.
E quello che Roxanne Weasley dice, Roxanne Weasley fa.
Ora, se Jade fosse stata una normalissima ragazzina con il cuore spezzato per colpa di un bastardo, Elijah avrebbe fatto semplicemente due cose: primo, l’avrebbe consolata, secondo, sarebbe andato dal sopraccitato bastardo e lo avrebbe castrato, all’apice di quell’istinto protettivo che mostrava solo verso tre donne, Jade, Rowena e sua madre.
Peccato solo che la situazione fosse ben diversa.
Perché Jade non era mai stata una normalissima ragazzina.
Perché il problema non era che avesse o meno il cuore ridotto in tanti pezzetti con cui avrebbe potuto giocare come con un tangram.
Perché il bastardo non era un semplice bastardo ma Ian.
E soprattutto perché lui, nonostante tutto, non se la sentiva proprio di castrare Ian: presupponeva che la colpa fosse da imputarsi ad una sorta di innato cameratismo maschile, ma era sicuro che poi si sarebbe sentito in colpa.
«Non sono l’Inquisizione, credo solo che non sia una buona idea quella di fondersi con i libri della biblioteca » disse Eli sedendole di fronte con un sorrisetto ironico e anche se Jade non lo stava guardando in faccia lo sapeva che aveva messo su quel suo odioso ghigno sarcastico, «Puzzano e non se li fila nessuno: è davvero questa la fine che vuoi fare? ».
«Non è che ad ora la mia situazione sia poi tanto diversa, sai? » commentò con un filo di voce, come quando hai davanti una persona che non sopporti e non riesci a trattenere un insulto che se ne sta a fior di labbra, ti viene semplicemente fuori e sei costretto a sibilare per non farti sentire.
«Oddio.. ancora non puzzi » la contraddisse prontamente Eli con un’alzatina di spalle, riuscendo però a strappare a Jade un mezzo sorriso e a farle finalmente posare la piuma vicino al calamaio.
«Cosa vuoi, Eli? » chiese con  un sospiro esasperato la bionda e l’altro si fermò a guardarla un istante.
Indossava una felpa troppo grande, forse di suo padre, che riusciva solo a farla sembrare ancora più fragile, i capelli erano raccolti malamente sopra la testa, in una crocchia davvero improbabile, e sembrava un po’ più pallida del solito, ma forse erano le occhiaie e la sua aria stanca a restituirgli quell’impressione.
Era brutto vedere Jade ridotta in quello stato, senza la sua energia, senza quell’energia che le permetteva di tener testa a tutta la scuola senza problemi: senza la proverbiale energia che metteva un freno a James Sirius Potter.. ed era tutto dire.
Forse poteva sguinzagliare davvero Roxanne e lasciare che uccidesse Ian.
«Voglio che tu prenda i tuoi libri, venga in dormitorio con me » cominciò tranquillo, «E voglio che tu ti sieda sul nostro divano in Sala Comune, facendomi compagnia mentre beviamo una cioccolata calda, credi di potercela fare? Per me?».
Jade sospirò pesantemente, chiudendo la boccetta d’inchiostro.
«Eli, non sono depressa, ho solo bisogno di rimanere da sola per un po’.. ».
«Il tuo da sola dura quasi da una settimana, Jay » le fece notare con tutto il suo tatto, «E noi siamo un po’ preoccupati, un po’ tanto, in effetti ».
La ragazza sorrise appena riponendo le pergamene nella sacca di tela prima di alzarsi in piedi e prendere un paio di libri tra le braccia, sapeva per esperienza che Eli non l’avrebbe lasciata in pace finché fosse rimasta lì e lei davvero non voleva affrontare ancora nessuno.
Gli bastavano gli sguardi di rimprovero di tutti, non voleva sommarci anche quelli dei suoi amici, non avrebbe retto il colpo.
«Non c’è niente che non vada, Eli, sul serio » lo rassicurò arrivandogli di fronte, con quel sorriso spento ancora sulle labbra, «Voglio solo stare da sola..».
«Non è importante che sia Ian, lo sai vero? » provò Elijah guardandola in viso, era così pallida, «Non sono dalla sua parte solo perché è lui, e non è nemmeno importante che tu non mi abbia detto niente.. solo.. sono sempre Eli, no? Con me puoi parlare quanto e come vuoi.. ».
Il sorriso sincero ma rassegnato che lei gli rivolse lo colpì come un pugno nello stomaco, insieme alla consapevolezza che in qualche modo, dopo tutto quello, Jade si sarebbe allontanata da loro, avrebbe cercato di sparire come faceva quando le veniva il malato pensiero di essere di troppo.
Quando la sentì baciargli la testa ebbe solo una gran voglia di urlare: non doveva finire così! Potevano risolvere tutto, potevano..
«Grazie, Eli, davvero » mormorò Jade prima di andarsene e lasciarlo lì da solo, in mezzo a tutta quell’irritante cultura.
Strinse i pugni desiderando di prendere a testate il muro o a cazzotti Ian, perfettamente consapevole che su di lui non avrebbe alzato un dito perché era abbastanza sicuro che non se la passasse bene.
Aveva persino provato a litigarci, con Ian, la sera in cui Gwenlapazza era scoppiata.
«Tu sei un cretino! » gli aveva ringhiato contro sbattendosi la porta alle spalle, incurante di Lys e Frank, già a letto.
«Lo so.. » gli aveva risposto atono Ian, seduto per terra, vicino alla porta del bagno.
«Porco Merlino.. Tu devi solo ringraziare che James sia bloccato a kilometri da qui! Sai che per lui Jade è come una sorella! Santo Empedocle, Ian!! Ti sei fatto la sorella di James!! ».
«Jay non è la sorella di James ».
«E tu l’hai.. l’hai.. Dio!! Non ho neanche una definizione per quello che hai fatto! » l’aveva ignorato mettendosi le mani tra i capelli per non stringergliele intorno al collo: ma perché gli amici deficienti li aveva tutti lui, eh? Cos’era? Un radar per i menomati mentali?!
Ian non gli aveva più risposto e a quel punto aveva provato a calmarsi, almeno un po’.
«Se non ti conoscessi davvero e non sapessi che stai soffrendo come un cane ti sparerei.. e io sono un purosangue, ok? Ho un rifiuto genetico per le armi da fuoco!! » aveva aggiunto mettendosi in piedi di fronte a lui: aveva preso a massaggiarsi il collo senza accorgersene, con un mal di testa di proporzioni cosmiche pronto a sfondargli la fronte come un ariete.
«Mi spieghi che diavolo ti è saltato in mente, Ian? Sono anni che mi fai la morale e poi…Jade? Tra tutte perché lei? » gli aveva chiesto esasperato e l’altro l’aveva guardato senza vederlo, completamente perso.
«Perché è Jay » aveva risposto con una semplicità che gridava “Ian” da tutti i pori e lì Eli aveva capito due o tre cose: primo, Ian era più simile a lui e a James di quanto potesse sembrare e aveva una vita sentimentale incasinata quanto la loro, secondo, lui, Elijah, avrebbe dovuto risolvere il problema Ian-Jade prima del ritorno alla vita di James e terzo, era convinto che, saputo quanto era successo, a Jamie sarebbe partito un embolo.
Espirò arrabbiato con se stesso e ringraziò, di nuovo, che, al momento, il piccolo infermo fosse circondato da medimaghi.

Ospedale San Mungo di Londra, camera di James S. Potter, ore 16.12
«Che cosa?! » l’acuto vagamente stridulo di James costrinse Lily a fare una smorfia infastidita mentre, in piedi a lato del letto con Teddy al suo fianco, aspettava che suo fratello la smettesse di sbraitare e dimenarsi come un ossesso con il solo risultato di sembrare una tartaruga che cerca di tornare con le zampe a terra dopo essere stata crudelmente girata sul carapace.
Tutt’al più che, conciato com’era, con mezzo busto ancora bloccato e l’unico vantaggio di muovere il braccio sinistro, il destro avrebbe avuto bisogno di un altro intervento, stava facendo una ben misera figura.
Lily inclinò appena la testa verso Ted, tenendo gli occhi puntati sul fratello: «Non glielo dovevo dire, vero? ».
«No, non glielo dovevi dire » sospirò il più grande nel momento in cui partirono tutti i sensori magici che controllavano i parametri vitali di James, producendo un fischio tanto forte che li costrinse a strizzare gli occhi per il fastidio.
Lily alzò gli occhi al cielo mentre un’infermiera entrava tutta trafelata nella camera con la bacchetta già sguainata, pronta ad intervenire e la piccola Potter si immaginò lo stress a cui doveva essere sottoposta quella poveretta: rischiare di far morire il figlio del grande Harry Potter! Santo Merlino!! Probabilmente, fosse successo, si sarebbe suicidata con una fiala di Belladonna per i sensi di colpa.
Teddy la bloccò sulla porta cercando con pazienza infinita di tranquillizzarla mentre Jam continuava a sbraitare minacce di morte contro Ian Clow e le ordinava di prendere carta e penna: «Io lo strangolo! Io lo.. Lils! Una strillettera! Esigo una.. Io lo uccido!».
«Jamie » lo richiamò autoritaria di fronte a quel caos di frasi senza senso logico, «Datti una calmata ».
«No! » rispose l’altro sfidandola con lo sguardo e Lily si inalberò esattamente come la madre quando doveva strigliare uno dei due figli, con i capelli che si gonfiavano leggermente e le braccia serrate al petto.
«James! O ti calmi o dico all’infermiera di tenerti a digiuno di dolci, chiaro?! » lo minacciò tenendo lo stesso sguardo di sfida del fratello.
Ted, ancora fermo sulla porta dopo esser riuscito nell’impresa titanica di calmare quel donnone di infermiera che voleva a tutti i costi controllare James, guardò i due fratelli e si chiese come zia Ginny e zio Harry fossero riusciti a sopravvivere con tre elementi del genere in casa, perché alla fine i tre piccoli Potter sembravano fatti con lo stampino. Poi si rese conto che anche lui era cresciuto insieme a loro e si sentì un po’ in colpa all’idea di aver contribuito al marasma generale.
Avrebbe regalato una pianta a zia Gin per scusarsi.
James, nel frattempo, aveva assottigliato lo sguardo, come a saggiare la veridicità delle parole dell’altra e alla fine aveva sbuffato calmandosi un po’: fumava ancora dal naso e dalle orecchie ma almeno non rischiava più di cadere dal letto muovendosi.
«Spiegami, esattamente, cosa è successo » le ordinò a quel punto facendole segno con la testa di sedersi sul letto e Lily obbedì con un sorrisetto vittorioso, prendendo posto vicino alle gambe steccate del fratello.
«Jamie, sembri una vecchia comare, lo sai vero? » ridacchiò Ted sedendosi sulla seggiola vicino ai due.
«Oh ma sta’ zitto. Sono bloccato qui e ho bisogno di sapere come va avanti il mondo in mia assenza » rispose piccato.
Lily stava per parlare quando dalla porta sbucò la testa spettinata di Albus.
«Si può sapere cosa sta succedendo? L’infermiera sembrava.. » fece per dire ma James lo bloccò con un gesto secco della mano.
«Dopo. Ora abbiamo cose più importanti di cui discutere » tagliò corto tornando a guardare Lily, regalandole tutta la sua attenzione e ignorando bellamente il nuovo arrivato.
Al sospirò prendendo l’altra sedia per accomodarsi vicino a Ted.
«Allora » cominciò Lily sistemandosi meglio sul materasso, le mani che fremevano dall’insana voglia di gesticolare, «Era l’ora di cena, giusto Al? Insomma, la Shelley, di punto in bianco, ha dato di matto, così dal niente.. anche se poi sono andata ad informarmi da Wisteria Grey, la sorella di Periwinkle, che sta a Tassorosso, e mi ha detto che Gwen è esplosa perché era un po’ che le cose andavano male, no? E lui deve averle risposto male.. insomma, ha cominciato a urlargli contro che era un pezzo di merda.. ».
«Lily.. » la riprese Ted ma la ragazza fece finta di niente: Lily e James avevano un talento tutto particolare quando si trattava di ignorare qualcuno o qualcosa.
«..che era uno schifoso.. che l’aveva presa in giro, che.. insomma si è messa ad insultarlo e ti giuro, James, ti giuro, pensavo che le sarebbe esplosa la testa da quanto era rossa in viso! Sputacchiava persino da quanto urlava! Vero, Al?».
«Oddio, non credo che.. » fece per dire lui ma la ragazzina non si prese nemmeno la briga di lasciarlo finire.
«Comunque » riprese gesticolando vivacemente, «Ad un certo punto è entrata Jade e.. Santo Merlino, James, una scena.. In pratica l’ha accusata di essere andata con Ian! Ti giuro, James, ci sono rimasta male anche io quando le ha urlato contro che era una puttana! ».
«Lily! » riprovò Teddy ma Lils fece di nuovo la gnorri e lui e Al si scambiarono uno sguardo di muta rassegnazione.
«È stata una cosa così squallida! Voglio dire, sai chi è quella che se la fa con il tuo ragazzo? La prendi da parte e la cruci, non fai la figura della sclerotica di fronte a tutta la scuola! È stata proprio una cosa orrenda da vedere.. Jade poi è sbiancata ed è sparita.. povera, non so cosa ci sia stato tra lei e Ian ma non deve essere stata solo una sveltina.. ».
«Quel coglione » ringhiò James, «Aspetta che mi capiti a tiro di bacchetta e gli faccio pentire di essere un mago.. Ma Jade? Come sta? Cosa è successo dopo che se n’è andata?».
«Se mi lasciassi finire » borbottò Lily prima di scuotere i capelli rossi  e sporgersi appena in avanti, «TI giuro che non credevo ai miei occhi, Jamie! Neanche alle mie orecchie! Non ho mai stimato Katherine Wetmore come in quel momento..».
«E cosa centra ora la Wetmore?».
«In pratica, dopo che Jade se n’è andata, Gwen non ha comunque smesso di urlare e.. Santa Morgana che figura di merda..».
«Lily!! ».
«..ti dirò, non sono riuscita a capire perché l’abbia fatto, ma è stata una grande! In pratica lei e Nott erano vicino al tavolo di Serpeverde quando Jade è scappata e la Wetmore ha lasciato Nott ed è andata tranquilla verso Ian e Gwen, all’inizio non c’avevo fatto nemmeno caso ma poi..».
«Lils, sei lenta » la bloccò Al prendendo in mano le redini del racconto, «In poche parole la Wetmore ha silenziato Gwen con un incantesimo e le ha detto di fronte a tutti di smetterla di comportarsi come una bambina..».
«..che stava facendo la figura della pazza..» aggiunse svelta Lily.
«..che era ridicola..».
«…che se Ian aveva preferito un’altra ragazza a lei la colpa era solo sua..».
«..che Ian aveva fatto bene a tradirla perché era insopportabile..».
«…e che se lui aveva preferito Jade, era evidentemente perché lei non era isterica..».
«..poi se n’è andata dicendole che non voleva più sentire la sua voce per il resto della serata, perché lei e il resto del mondo meritavano di mangiare in pace senza tutti i suoi problemi a disturbarli » concluse Al mentre Lily annuiva concorde.
«Tu non sai quanta stima nutro nei confronti di quella ragazza..» disse con aria sognante e James si limitò a fare una smorfia tra l’incredulo e lo sconvolto.
«Va bene ma.. Jade come sta? ».

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Guferia, ore 16.12
Roxanne squadrò il becco giallo della piccola civetta nana che le stava appollaiata sul braccio con sguardo innocente.
Prova a beccarmi e ti cucino, pensò sperando che la piccola palla di piume riuscisse a leggerle nel pensiero e si astenesse dal fare movimenti bruschi mentre le legava alla zampa una busta, tutta schizzata d’inchiostro e su cui si leggeva a malapena il nome di sua madre.
L’animaletto non si mosse di un centimetro durante tutta l’operazione e Rox gliene fu veramente grata: odiava i gufi, le civette, i piccioni e tutti gli animali da posta possibili.
Come tante cose nella sua vita, la ragazza non sapeva nemmeno da dove nascesse una tale avversione per quegli esserini piumati, ma sua madre, per sottolineare quanto quest’odio fosse radicato in lei, le raccontava da sempre che la prima volta che un gufo le si era avvicinato, lei aveva tentato di sopprimerlo tirandogli in testa il manico della sua scopa giocattolo. Per dividere lei e il gufo, che dopo quella mazzata voleva solo staccarle gli occhi, erano dovuti intervenire George e Angelina, gli stessi genitori talmente responsabili che ogni tanto ancora si chiedevano chi avrebbe vinto lo scontro se avessero lasciato la figlioletta di tre anni tra le grinfie del pennuto.
Non che le cose fossero poi migliorate con il passare del tempo, ovviamente se Roxanne decideva che una cosa non le piaceva, non c’era verso di farle cambiare idea, ed era stata veramente una fortuna che Camomilla, la piccola civetta che lei e suo fratello usavano quando erano a Hogwarts, fosse l’animale più buono e innocuo del pianeta, perché altrimenti la Weasley non avrebbe mai mandato una lettera ai suoi genitori.
Brava Milla, pensò allegramente mentre l’animaletto se ne andava svolazzando nella gelida aria di Novembre: faceva quasi tenerezza quella pallina con le ali che spariva in lontananza.
Certo, faceva tenerezza se ci si dimenticava degli artigli, del becco assassino, delle ali e del fatto che era una civetta..
«Weasley?» una voce familiare la costrinse a distogliere lo sguardo dal cielo plumbeo che sovrastava la guferia.
«E tu cosa ci fai qui?» chiese con sguardo indagatore mentre Lorcan allentava la sciarpa avvolta intorno al collo e stringeva le spalle sotto il mantello nero, con estrema noncuranza.
«Ciao anche a te, comunque » continuò Roxanne come un mezzo rimprovero mentre lo vedeva avvicinarsi tranquillo ai gufi più grossi, quelli con lo sguardo giallo e assassino da cui lei si teneva ad una ragionevole distanza.
«Ciao Roxanne » rispose distrattamente l’altro facendo un fischio ad uno di quei cosi: un gufo reale con gli occhi arancioni che si artigliò al suo braccio andando subito alla ricerca di coccole.
Lorcan aveva decisamente più feeling con gli animali di lei, era così da quando erano bambini e a lei aveva sempre dato un fastidio tremendo.
«Scrivi a tua madre? » chiese curiosa vedendolo legare una busta alla zampa dell’animale prima di accarezzargli la testa e lasciarlo volare fuori all’aria aperta.
«Da quando ti interessi tanto della mia vita? » chiese il biondino con un ghigno sarcastico, voltandosi finalmente a guardarla, con quella faccia da schiaffi che Roxanne avrebbe volentieri spedito a schiantarsi contro la neve fuori dalla guferia.
«Cafone » masticò senza rendersi conto di essere diventata rossa come un peperone, «Era tanto per chiedere ma tranquillo! Non succederà più!» lo rassicurò prima di fare dietrofront e uscire di lì sbattendo i piedi per terra, come una bambina.
Non sapeva bene perché, ma quando era con quell’essere tirava fuori il peggio di sé.
Era.. era.. bah!
Non fece in tempo a scendere sei gradini che si sentì afferrare per un polso e per la sorpresa quasi non scivolò giù per il resto delle scale di pietra, che, ghiacciate, costituivano una sorta di trappola mortale per la sua rabbia maldestra.
Il primo istinto fu ovviamente quello di liberarsi da quella stretta molesta con uno strattone ma si trattene: il movimento brusco avrebbe potuto farla rotolare giù e non voleva dare motivo a quel cretino di ridere di lei, non che allo Scamander servisse un vero pretesto per farlo, ovviamente.
«Mollami » scandì imperativa fulminandolo con un’occhiataccia, e pensare che si era svegliata tutta contenta, quella mattina. Era andata a vedersi una bella partita di Quidditch, quell’anno c’erano proprio delle squadre interessanti, aveva mangiato con Eva, Frank e Lys, aveva riso come una stupida quando Lys si era quasi strozzato con un ossicino del pollo, e poi aveva giocato a scacchi con Rose, ancora in crisi perché Vanille sembrava aver preso la residenza in un altro mondo, Scorpius era in infermeria con l’influenza, e Albus era andato con Lily a trovare il malato.
James in crisi di noia era una piaga non indifferente, e che zia Gin avesse supplicato la McGranitt per fargli fare un po’ di compagnia dai fratelli così da lasciarlo a qualcun altro per qualche ora, era più che comprensibile.
Adempiuti i suoi doveri di cugina, Rox aveva deciso di scrivere alla sua mamma per assicurarle che stava andando meglio a scuola e tutto il resto ed era andata in guferia con indosso le vecchie converse rosse e la felpa grigia in cui stava dentro almeno tre volte, quella che aveva rubato a suo fratello prima di partire: era talmente spensierata quando era uscita dalla torre di Grifondoro che non si era nemmeno legata i capelli come al solito, li aveva lasciati sciolti.
Metà del castello non l’aveva nemmeno riconosciuta, con il mantello addosso.
«Roxanne, stavo scherzando » cercò di rabbonirla con quel suo sorrisino un filino accondiscendente, «Stavo mandando un gufo a mio padre, domani parte per il Nepal ».
«Nepal? E cosa ci va a fare in Nepal? » chiese stupita, quasi dimenticandosi della mano che le stringeva il polso.
Sapeva che il padre dei gemelli Scamander aveva visto quasi tutto il mondo, le aveva raccontato delle storie incredibili sui suoi viaggi, ma sua madre le aveva anche detto che da quando loro avevano cominciato la scuola, non aveva più preso in mano la valigia, per non lasciare la moglie da sola a casa. Non che Luna avesse mai avuto problemi con la solitudine, ovviamente, ma Rolf era sempre stato molto protettivo nei suoi confronti e non si era permesso di anteporle il suo lavoro.
«A quanto pare il Ministero ha avviato un progetto per lo studio di alcune comunità magiche nepalesi e visto che mio padre ha diverse conoscenze da quelle parti, gli hanno chiesto se può accompagnare la prima spedizione » rispose con un sospiro e Roxanne notò subito quanto poco sembrasse convinto della faccenda, «Sono gruppi molto chiusi e diffidenti, non accettano volentieri gli stranieri e si vorrebbero evitare incidenti diplomatici con il Ministero nepalese ».
«Pensavo che tuo padre non accettasse più lavori del genere » commentò la ragazza e il viso di Lorcan si aprì in una smorfia.
«È quello che pensavo anch’io, ma a quanto pare sentiva la mancanza di vivere per qualche mese nel bel mezzo del nulla.. non che io ne capisca l’attrattiva, ma Lys era entusiasta almeno quanto lui, quindi immagino ci sia una ragione a questa idiozia..» borbottò sarcastico e Roxanne aggrottò la fronte pensierosa.
«Perché sei così preoccupato? Tuo padre sa quello che fa, no? ».
«E chi dice che io sia preoccupato.. » obiettò il Corvonero e Roxanne fece spallucce.
«Intuito, immagino » rispose tranquilla.
«E da quando tu intuisci qualcosa? » ghignò ironico il ragazzo e la ragazza meditò di stordirlo e andarsene: possibile che riuscisse sempre ad essere così dannatamente insopportabile anche quando riuscivano a fare un discorso civile?
Poi la gente si chiedeva perché fosse una persona tanto violenta, era quel tipo a istigarla!
Lorcan dovette leggerle in faccia quanto stava pensando perché si affrettò a ritrattare.
«Non è che sono preoccupato, però non è più abituato a viaggi così faticosi e non è nemmeno così giovane.. poi non mi piace l’idea di lasciare mamma da sola a casa per quattro mesi.. Quella donna ha bisogno di essere controllata ».
«Tua madre non è una bambina » gli fece notare con un mezzo sorriso perché, in effetti, Luna sembrava decisamente una persona da tenere d’occhio per evitare che facesse qualche catastrofica pazzia.
«Io ci vivo insieme.. ti assicuro che non è nemmeno tanto adulta ».
Roxanne ridacchiò della sua faccia estremamente seria e per qualche motivo si ritrovò a condividere il suo pensiero.
«Mio padre ancora si diverte a far esplodere le cose per fare uno scherzo a mia madre, come vedi non sei l’unico ad avere almeno un genitore che non dimostra i suoi anni » cercò di consolarlo..
Un attimo, lei stava consolando Lorcan Scamander?
«Almeno sappiamo perché vanno tanto d’accordo, no?» commentò prima di sbuffare grattandosi la testa, «Che poi io non lo capisco! Voglio dire, di tutti i periodi dell’anno, proprio questo? Non poteva partire dopo Natale? Che poi ha avuto anche il coraggio di chiedermi se volevo raggiungerlo in Nepal.. io, in Nepal.. per me fa troppo freddo a Londra, che cavolo vuoi che faccia in Nepal! E per fortuna che ho fermato Lys! Fosse per lui avremmo già una passaporta prenotata per Kathmandu! E non parliamo di mia madre.. ».
Mentre Lorcan si dava ai suoi sproloqui inveendo contro tutta la sua famiglia e Roxanne lo guardava a metà tra il perplesso e il rassegnato, aveva ricominciato a nevicare e tanti piccoli fiocchi bianchi si stavano posando su di loro senza che il Corvonero se ne rendesse minimamente conto.
Peccato solo che la Grifondoro non avesse la minima intenzione di prendersi una polmonite o qualcosa del genere.
«Ehm.. Lorcan?» provò ad attirare la sua attenzione sventolandogli una mano davanti alla faccia e il ragazzo si zittì guardandola interrogativo, «Nevica » disse indicando il cielo sopra di loro, «E io non mi voglio ammalare, quindi, visto che non mi vuoi lasciare, possiamo almeno spostarci dentro al castello? ».
E chiunque avrebbe capito che quello era un modo gentile per farsi liberare il polso, ancora stretto tra le dita dello Scamander, chiunque ci sarebbe arrivato e Roxanne era abbastanza sicura che anche lui se ne fosse reso conto.
Maledizione, era finito a Corvonero perché era sveglio, no?
«Sì, hai ragione, scusa » disse sinceramente dispiaciuto e Roxanne annuì certa della sua prossima libertà.
Di sicuro non si aspettava di sentirsi trascinare giù per le scale a passo di marcia.
«Mi spieghi che stai facendo?» gli chiese vagamente irritata, non gli piaceva sentirsi trascinare da qualche parte, non era mica un cagnolino, lei!
«Ti porto al coperto, no? L’hai detto anche tu che nevica..» le rispose lui come se fosse ovvio e Roxie desiderò tanto avere la forza necessario per liberarsi da quella stretta da sola, non che fosse una ragazzina, ovviamente, aveva picchiato più di qualche ragazzo, nella sua vita, a cominciare dai suoi cugini, ma per qualche motivo la stretta di Lorcan sembrava la cosa più forte contro cui si fosse scontrata fino a quel momento.
«Va bene ma mollami!» protestò cercando di puntare i piedi per costringerlo a fermarsi, mossa del tutto inutile, le sembrava di stare aggrappata ad un treno in corsa.
«Non credo lo farò » ghignò sincero l’altro e la ragazza alzò gli occhi al cielo vicina all’esasperazione.
«Non era una domanda, cretino! Era un ordine! Mollami! » sbraitò ed era talmente presa dal maledirlo nelle poche lingue che conosceva che quando lui inchiodò per voltarsi e guardarla, lei gli andò a sbattere addosso, tanto vicina da essere costretta ad alzare la testa per guardarlo negli occhi.
Merlino che voglia non aveva di prenderlo a schiaffi quel faccino supponente..
«Sai potrei anche decidere di lasciarti, sarebbe più facile, ma.. » e Roxanne era sicura di aver pronto un pugno che sarebbe partito da solo, «No, non credo succederà tanto presto ».
La ragazza lo guardò interdetta per una manciata di secondi prima di sentirsi di nuovo strattonare. Per qualche strano motivo, evidentemente quella era la giornata delle intuizioni geniali, era sicura che quel non credo succederà tanto presto non si riferisse solo al fatto che la stava trattando come un cucciolo da compagnia da scorrazzare dove più gli andava a genio, ma a qualcosa di più generale e non sapeva se interpretarlo come una promessa o come una minaccia.
Guardò un attimo le dita chiare del ragazzo che le camminava davanti strette saldamente intorno al suo polso decisamente più scuro e sbuffò: non era riuscita a liberarsi di lui in tutta una vita, come aveva anche solo potuto illudersi di riuscire a farlo in due minuti?
«Lorcan..».
«Dimmi, Roxanne ».
«Mollami subito!».

Hogsmade, una panchina da qualche parte, ore 17.16
Aveva ripreso a nevicare quasi un’ora prima, eppure non le interessava minimamente. Seduta da qualche parte, in mezzo a tutto quel bianco, si sentiva quasi al sicuro, a casa, ed era giunta alla conclusione che non ci fosse niente di più rassicurante di quella magra sensazione.
Se non altro non c’era nessuno che la guardava male quando camminava nei corridoi, o sparlava di lei convinto che fosse tanto stupida da avere le orecchie otturate per magia, oppure la insultava gratuitamente.
E lei avrebbe tanto voluto voltarsi guardarli dritti negli occhi e chiedere a ognuno di loro chi cazzo si credessero per pensare di poter giudicare la sua vita.
Era strano rendersi conto di quanto l’opinione pubblica fosse volubile e impicciona, realizzare quanto il mondo sentisse lo spasmodico bisogno di vomitare cattiveria su qualcuno, che fosse lei o qualcun altro non aveva importanza. Superbamente aveva sempre pensato che non si sarebbe mai trovata al centro delle frecciatine malvagie dei suoi compagni di scuola, soprattutto si era convinta che non avrebbe mai dato motivo a nessuno di metterla in quella posizione dolorosa e difficile da lasciare.
Non avrebbe augurato la sua vita a nessuno, in quel momento, ma era certa che qualcuno riuscisse ad invidiargliela comunque: brava a scuola, nella squadra Quidditch dal secondo anno, Caposcuola, una discreta duellante, consulente privata di James Potter e Elijah Faraday, amica del resto del mondo..
Si era impegnata così tanto per non farsi odiare da nessuno, non le piaceva essere guardata storto per chissà quale motivo, e ora..
Porca Morgana! Lei non era una puttana!
Alzò il viso verso il cielo gonfio di neve e chiuse gli occhi, ormai non sentiva più né il viso né il collo, le sembrava di avere anche un principio di ipotermia ai piedi ma non ci voleva pensare: l’idea di rimanere lì e diventare una statua di ghiaccio le piaceva troppo per rinunciarci.
Lei non era una facile, lo sapeva chiunque la conoscesse abbastanza bene da non chiamarla solo la Fyfield o la Caposcuola Grifondoro e lo avrebbe capito chiunque con un briciolo di cervello.
Aveva quanti anni? Diciassette? Bene..
In diciassette anni di vita aveva avuto solo un paio di ragazzi e uno di loro era stato James, quindi nella sua testa non contava: erano piccoli e si volevano solo un gran bene, lo attestava il fatto che ora si consideravano fratello e sorella.
Aveva baciato quattro ragazzi diversi, James lo si poteva anche cancellare dalla lista, era stato un bacetto che era più un esperimento che altro, con Kyle invece andava ricordato che era decisamente ubriaca e si stava vendicando di Ian, quindi anche lui contava poco, dal suo punto di vista, il che riduceva la lista a due.
Ed era andata a letto con uno solo di loro.
Una volta sola, per altro.
Forse non era Roxanne, a cui gli uomini servivano solo come punching-ball, e non era Evangeline che aveva avuto la fortuna di innamorarsi del ragazzo giusto, nel momento giusto, ma non era una puttana.
Certo non era una santa, ma era così sbagliato pretendere che la gente si facesse un po’ più gli affari propri e un po’ meno i suoi?!
Inspirò una boccata d’aria gelida.
Aveva bisogno di qualcuno che le dicesse che andare a scuola faceva schifo, che i ragazzi prima di vedere come funziona davvero il mondo sono estremamente perfidi, anche se non è che più avanti la situazione migliori, aveva bisogno di qualcuno che le dicesse che sarebbe passata.
Sostanzialmente aveva bisogno di Ellie, sua sorella, quella che le sistemava i casini. Solo che lei si trovava a Londra, al Ministero, a lavorare come psicomaga per il dipartimento Auror e lei non se l’era sentita di disturbarla.
Infondo non era come se stesse cercando di morire sotto la neve che cadeva su Hogsmade, no, non era decisamente così..
Si sentiva un po’ una bambina di tre anni persa in un parco divertimenti che vede tanta gente più alta di lei spingerla e farla cadere senza neanche guardarla, e vuole la mamma che la aiuti e comincia a chiamarla piangendo anche se sa che nessuno la sente. La differenza stava nel fatto che lei non aveva tre anni, non stava piangendo e non voleva sua madre, voleva Ellie.
Assorta com’era nel suo bisogno di affetto non si accorse dei passi che le si avvicinavano tranquilli schiacciando la neve appena caduta.
«La piccola Fyfield qui quando dovrebbe essere al castello?» ghignò qualcuno davanti a lei, «Ora sì che ti riconosco ».
Jade abbassò appena gli occhi e davvero, avrebbe voluto sorridere vedendo il viso allegro di Caleb McDuff e i suoi capelli rossi schiacciati sotto un baschetto grigio e sdrucito, ma non ce la fece.
Lo guardò un attimo sentendo il nodo che aveva in gola farsi sempre più pressante senza capirne esattamente il motivo.
O forse un perché c’era, ma era talmente frammentato che non sarebbe riuscita a riassumerlo, sapeva solo che le sembrava di aver perso tutto, di essere da sola e di non sapere da che parte girarsi per uscirne.
E sapeva che aveva una gran voglia di piangere.
«Ehi, che c’è?» le chiese Caleb inginocchiandosi davanti a lei, mettendole una mano sul ginocchio per attirare la sua attenzione, la stoffa dei jeans scuri era ghiacciata e si chiese con una certa preoccupazione da quanto tempo fosse lì fuori.
«Jade? Ti senti bene?» e l’unica cosa che la ragazza riuscì a fare fu piegarsi in avanti e appoggiare la fronte sulle ginocchia. I capelli scivolarono ai lati del viso, i riccioli smorti, umidi di neve, e lei si permise di scoppiare a piangere.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, dormitorio maschile Grifonforo, ore 17.20
Frank, seduto a gambe incrociate sul suo letto, si grattò pensieroso il mento osservando la sua ragazza che sbuffava irritata, in piedi al centro della stanza.
Si era innamorato di lei la prima volta che l’aveva vista, quella bambina con le trecce lunghissime e gli occhi azzurri grandi e curiosi gli era stata subito simpatica, senza neanche averci parlato. Era una nata babbana, non sapeva come muoversi nel loro mondo, non capiva la maggior parte delle cose che le stavano intorno, però era troppo orgogliosa per chiedere a qualcuno di aiutarla, quindi continuava a girare nel castello spaesata ma con grande dignità. Frank aveva deciso di darle semplicemente una mano.
Insomma, loro due erano i classici amici che poi diventavano qualcosa di più, erano un cliché vivente, ma a Frank non dispiaceva per niente.
Amava quella ragazza con gli occhi da cerbiatto e lo spirito di un leone più di ogni altra cosa e non pensava che fosse sdolcinato ammetterlo a se stesso, era solo la verità.
E la amava ancor di più mentre la guardava risolvere i problemi del loro microcosmo.
«Io non posso credere che tu abbia fatto una cosa del genere » disse Eva guardando Ian, seduto per terra, le gambe stese a terra e gli occhi pesti, reduce di una sbornia colossale.
Quasi gli dispiaceva per lui.
«L’abbiamo fatto in due..» rettificò l’accusato con un sospiro e la ragazza alzò gli occhi al cielo.
«Infatti siete due cretini! » esclamò, ed Eva non insultava mai nessuno, «Ma ci sei tu davanti a me, non lei, quindi mi concentro su di te. Sapevo che c’era qualcosa che non andava, lo sapevo! TI ammazzerei! Vi ammazzerei tutti e due! ».
«Sul serio, Ian » si intromise Elijah in piedi vicino ad Eva, «Ti conosco meglio di chiunque altro qua dentro, no? So tutto di te come so tutto di James e tu queste cose non le fai.. non usi le altre persone, non illudi le ragazze, non.. Santo Merlino, sei il bravo ragazzo, sei quello con la relazione stabile.. ».
«Era quello con la relazione stabile » puntualizzò Roxanne giocherellando con il cuscino di James, «Ora è quello con la merda fin sopra la testa ».
«Rox, non aiuti » commentò Eva lanciandole un’occhiataccia.
La Weasley fece spallucce.
Ian era stanco, così stanco da non essere sicuro di avere due gambe capaci di reggerlo e portarlo a stendersi sul letto alle sue spalle, luogo dove avrebbe cercato di suicidarsi affondando il viso nel cuscino perché davvero non ne poteva più.
Non ne poteva più di Gwen, di Jade, di Eli, di Eva, delle sue scelte sbagliate.. Non ne poteva più nemmeno di se stesso!
Così la sera prima aveva provato a risolvere la faccenda rubando alcolici dalle cucine, perché qualcuno gli aveva detto che si beve per dimenticare, ma in cambio aveva ottenuto una mattinata con la testa nel water con Elijah che gli teneva la fronte, un’emicrania di proporzioni bibliche e una crisi depressiva da adolescente disadattato, cosa che non gli era mai capitata nemmeno quando un adolescente disadattato poteva davvero convincersi di esserlo.
«Sentite, abbiamo sbagliato, ok? Io ho sbagliato più di lei sicuramente » cominciò chiudendo gli occhi, vedere tutto offuscato era tremendamente fastidioso, «Sì sono un idiota, sì sono un coglione, sì meriterei di essere castrato.. » non si voltò nemmeno quando sentì Roxanne fare un verso di assenso, quella ragazza era entrata lì dentro con l’intenzione di tagliargli le palle per vendicare la sua amica e non doveva ancora aver abbandonato l’idea, «..e sì merito anche tutta questa cosa che avete messo su sullo stile del tribunale dell’Inquisizione.. » prese un profondo respiro, «Ma davvero, io non ce l’ho una soluzione a tutto questo, ok? Non ce l’ho! Non ce l’avevo prima e non ce l’ho nemmeno ora ed è inutile che stiate qui a urlarmi contro.. io non.. ».
Si zittì improvvisamente quando sentì una mano tirargli via i capelli dagli occhi. Alzò le palpebre lentamente trovandosi a pochi centimetri dal viso di Evangeline che, china su di lui, lo studiava attentamente con gli occhi azzurri ridotti a due fessure.
«Immagino che lei abbia avuto paura di rischiare, conoscendola si sarà convinta che era il male minore scegliere quando e come soffrire per essersi innamorata di te ma tu?» mormorò con un tono che non era accusatorio o arrabbiato, ma solo curioso, il tono di chi cerca di capire qualcosa e ragiona ad alta voce con se stesso, «Tu perché hai scelto Gwen? E non rispondere per amore, perché tradirla e avere la faccia tosta di far finta di niente non è amore, è vigliaccheria ».
Ian non rispose, non ne ebbe la forza ed era abbastanza sicuro che non ce ne fosse nemmeno bisogno. L’aveva capito anche lui che era successo tutto perché aveva avuto paura di rischiare con Jade, aveva temuto di perdere la sua amica senza rendersi conto che avrebbe fatto peggio.. non amava i cambiamenti, lui, e Jay.. lei poteva essere un uragano se solo avesse voluto ammettere che quell’estate non era stata solo il togliersi uno sfizio.
Jade non era uno sfizio, non lo era mai stata.
«Respira, adesso, e dormi, hai una faccia orribile » sospirò Eva rimettendosi dritta e per un istante Ian si chiese cosa fosse riuscita a leggere nei suoi occhi semplicemente guardandoli, «E stai tranquillo, una soluzione ti diamo noi una mano a trovarla.. ».
Frank sorrise senza nemmeno rendersene conto e si sporse appena verso Lys, sdraiato sul suo stesso letto con tutto l’intenzione di parlargli, lo Scamander lo bloccò alzando gli occhi al cielo.
«Lo so, Frank » commentò sbadigliando, «Quella è la tua ragazza ».
E Frankie sorrise ancora, forse più di prima.
Quanto era felice che quella fosse la sua ragazza..

Hogsmade, I Tre Manici di Scopa, ore 17.53
Il piacere di una burrobirra bollente, il fuoco nel camino a riscaldare l’ambiente familiare e spensierato di quel locale dove aveva riso con i suoi amici e un tavolo lasciato in un angolo, nascosto da un grande albero di Natale su cui brillavano centinaia di luci magiche di tutti i colori, blu, giallo, rosso, bianco..
Jade soffiò sopra il boccale e lo strinse forte tra le mani, le dita gonfie per l’improvviso calore dopo il freddo della neve all’esterno pizzicavano terribilmente contro il vetro smerigliato ma non aveva la minima intenzione di lamentarsi. Alla fine tutti i brividi che la scuotevano, nonostante il fuoco che le scoppiettava affianco e la coperta che le copriva le spalle, erano colpa sua e, come le aveva insegnato la sua mamma, non aveva senso pianger sulle conseguenze dei propri sbagli. Diceva che era un modo di prendersi le proprie responsabilità, soffrire in silenzio e ingoiare il rospo.
Se sua madre l’avesse vista in quel momento le avrebbe come minimo tirato uno scappellotto poi l’avrebbe spronata ad alzare il mento e andare avanti, come faceva ogni volta che lei o sua sorella provavano ad abbattersi per qualcosa. Erinna Greengrass era una donna instancabile, letteralmente, fiera e pragmatica fino all’esasperazione e abituata a puntare sempre e comunque alla realizzazione dei propri obbiettivi, per lei i problemi erano solo qualcosa a cui bisognava trovare una soluzione e non ammetteva mai la sconfitta.
Tutti possono fare tutto, basta volerlo.
Anche Jade la pensava così, in fondo era certa che se avesse davvero voluto non rischiare l’assideramento seduta su una panchina di Hogsmade l’avrebbe potuto fare, era convinta che se davvero non avesse voluto abbattersi per lo stato pietoso in cui versava la sua vita, avrebbe potuto farlo senza problemi.
Ma era depressa e non aveva la forza per imporsi di voler affrontare le sue disgrazie a muso duro.
Così si era lasciata raccattare da un vecchio compagno di scuola che conosceva distrattamente, alla fine, ma che le aveva sorriso gentilmente, che le aveva scritto usando una pergamena magica e che la distraeva dal chiodo fisso che erano diventati Ian, Gwen e il suo essere una sanguisuga sotto spoglie umane. Lo ammetteva tranquillamente anche con se stessa, quando quel pomeriggio di due settimane prima Caleb McDuff le aveva proposto di fare un giro insieme, lei l’aveva visto subito come un tenero e illusorio ripiego. Era simpatico Cal, in un certo senso le piaceva, la faceva ridere, anche se non era Ian.
Soffiò di nuovo sulla schiuma bianca della sua burrobirra e continuò a far vagare gli occhi sulle venature del legno scuro e consumato su cui teneva appoggiati i gomiti. Sentiva Caleb seduto davanti a lei, sentiva i suoi occhi chiari guardarla un po’ preoccupati e sentiva il suo respiro lento e regolare inframezzato dai sorsi di burrobirra che beveva di tanto in tanto.
Si sentiva una bambina beccata a fare qualcosa di estremamente riprovevole, come rompere un vaso della nonna o mangiarsi un vasetto di marmellata con le dita. Si vergognava delle sue occhiaie, della sua faccia da disperata, dei suoi capelli scompigliati..
Non era quello il modo di farsi vedere in giro.
«Mi vuoi spiegare che è successo?» lo sentì chiederle ad un certo punto, con una convinzione così scarsa da far intendere che non si aspettava davvero una risposta, infatti Jade non aprì bocca.
Lo sentì sospirare.
«Ascolta, lo so che non sono uno dei tuoi grandi amici o cose di questo genere» cominciò pacato, «Ma ho qualche anno in più di te e forse, se mi dici cosa è successo, possiamo provare a trovare una soluzione.. così evito di ritrovarti a fare la statua di ghiaccio, cosa ne pensi?».
Jade sorrise appena a quella nota ironica e si decise ad alzare gli occhi: che male poteva farle parlare con lui? Poteva essere un surrogato di Ellie, l’opinione esterna e più obiettiva di cui aveva bisogno.
«Ho fatto una cosa che non si dovrebbe fare» mormorò facendo vagare lo sguardo fuori dalla finestra, «E ora ho l’autostima a pezzi, mezza scuola che mi considera una zoccola e non voglio nemmeno sapere cosa pensino i miei amici.. il mio mondo è crollato e io vorrei sparire tra le macerie ma, ops!» concluse con un certo sarcasmo, «Il mio spirito di sopravvivenza non me lo lascia fare!».
«Mi sembri un po’ fatalista, sai?».
«Non sono fatalista, il mio è realismo ».
«Mi spieghi cosa hai fatto di tanto grave per meritarti il titolo di zoccola? Sai, non sembri quel tipo di ragazza.. ti ricordavo un po’ più giudiziosa in fatto di uomini..».
«Ed è così!» esclamò Jade guardandolo frustrata, «Solo che gli errori li fanno tutti e io.. non so nemmeno se considerarlo un errore solo che.. ad ora sono nella merda e non so cosa fare per uscirne».
«Esattamente, cosa hai combinato?» indagò Caleb assottigliando gli occhi chiari.
«Ho avuto una storia.. con uno dei miei amici solo che.. » si morse il labbro indecisa sul da farsi.
«..solo che..?» la incitò lui e lei lo guardò un istante capitolando, tanto valeva sputtanarsi fino alla fine, no?
Già che abbiamo fatto trenta..
«Solo che lui aveva la fidanzata. Il che » si affrettò ad aggiungere prima che lui potesse dire qualsiasi cosa, «Fa di me l’amante e forse un po’ la zoccola.. ma diciamocelo, la colpa non è stata solo mia, anche Ian c’ha messo del suo! Sicuramente non sono andata da lui e gli ho stampato un bacio in bocca! Ho una morale.. forse sarebbe meglio dire che ce l’avevo, ma comunque non l’avrei mai fatto!».
«Aspetta.. il problema è Ian Clow?».
«Sì.. o meglio.. il problema è che la sua ragazza abbia avuto una scenata isterica nel bel mezzo della Sala Grande e abbia detto davanti a tutti che la loro crisi è tutta colpa mia» sospirò Jade bevendo un sorso dal suo boccale, era così liberatorio parlare di tutto quello con qualcuno di estraneo ai fatti che sentiva i nervi sciogliersi pian piano.
«Ma questa cosa da quanto andava avanti? Tu e Ian, intendo..».
«È stata solo un’estate poi abbiamo deciso di farla finita.. io non volevo essere l’amante e lui non voleva tenere il piede in due scarpe. Gli ho chiesto di scegliere e lui ha scelto la fidanzata » la voce si affievolì appena, «Ci sono rimasta male, parecchio male.. non mi aspettavo che finisse così ed ero convinta che Ian non mi avrebbe mai ferita volontariamente. Comunque ho accettato la sua decisione e mi sono fatta da parte ma le cose non potevano essere come prima, siamo stati stupidi anche solo a pensarlo..».
«Ma tu sei ancora presa da lui? Sentimentalmente parlando..».
«No.. non come prima, almeno. Dopo tutto questo, non potrei..» biascicò Jade sconsolata, convincendosi che quello che aveva provato non era stato altro che delusione, risentimento, amarezza, tutto nato dal fatto che a farle male era stata una persona di cui si fidava.
Caleb non rispose subito, appoggiò la guancia su una mano e la guardò per un po’, studiandola in silenzio. Jade si sentì arrossire.
«Io credo che dovresti dare meno peso a quello che ti dice la gente nei corridoi e un po’ di più a quello che pensi tu di tutta questa faccenda» disse dopo un po’ raddrizzando la schiena, «Dal canto mio, per quel che ti conosco, non me la sento di giudicare così male quello che hai fatto.. certo, non è moralmente corretto e se fossi la fidanzata del tuo amico ti vorrei morta, ma la colpa non è esclusivamente tua e se fossi in lei, prima di prendermela con te, me la prenderei con Ian, è lui che l’ha tradita, non tu» prese un profondo respiro e sorrise, «E ti dirò un’altra cosa, non so chi sia questa fidanzata cornificata ma se lui si è lasciato scappare una ragazza come te è proprio un cretino e può valere qualche lacrima, certo, ma non merita una crisi depressiva, te lo assicuro».
Jade sorrise un po’ di più questa volta, e affondò il naso nella burrobirra ancora calda. Caleb non le aveva detto niente di cui non fosse già consapevole ma sentirlo dalla bocca di qualcun altro era comunque rassicurante.
Finì il suo boccale con un lungo sorso rendendosi conto che fuori ormai era buio e realizzò con uno sbuffo che presto sarebbe dovuta tornare al castello, a Ian e a tutta la sua incasinata vita. Ma il pensiero questa volta, invece di abbatterla, la infastidì e basta, come il beccone di una zanzara. Alla fine il problema sarebbe rimasto lì che lei l’avesse ignorato o meno, tanto valeva andare avanti a testa alta come le aveva insegnato la mamma.
Caleb la osservò un istante, il viso nascosto un poco dai capelli spettinati. Nonostante l’aspetto disastrato, Jade rimaneva molto bella, lei e quella luce di tenacia che le brillava negli occhi anche quando era pericolosamente vicina al crollo, come se fosse incapace di arrendersi davvero. Per questo l’aveva accolta in squadra anni prima, quando era solo una bambina, e per questo sentiva il suo lavoro, agganciarla per conto dell’Ordine e farsi passare informazioni dal castello, sempre meno come un peso e sempre più come un piacere.
Forse, alla fine, si sarebbe davvero innamorato di lei e per questo, quando lei lo ringraziò con un sorriso, ormai sulla porta del locale, l’unica cosa che fece Caleb fu dirle che l’avrebbe aspettata la settimana successiva, all’entrata del villaggio magico, e che sì, poteva tranquillamente considerarlo un appuntamento.










Note dell'autrice:
Buonasera a tutti!!! Ebbene sì, sono ancora viva e mi piacerebbe rimanere tale ancora per un po', quindi vi prego, non linciatemi!! So che sono stata latitante per parecchio tempo e mi dispiace.. tra la poca voglia, il non riuscire a far andare avanti questa storia e le poche recensioni devo dire che mi ero un po' arenata, ma ho promesso che questa storia avrebbe visto la fine e come direbbe Roxanne: quello che dico, poi lo faccio! Quindi eccomi ancora qui con un capitolo che se non altro è bello lungo e spero vi piaccia :)
Come sempre ringrazio chi segue, preferisce e ricorda la storia e soprattutto chi l'ha recensita e mi scriverà qualcosa anche su questo capitolo!!
Ricordo poi che la storia è ancora da definirsi completamente quindi, se c'è qualcosa che vi piacerebbe vedere, se ci sono personaggi di cui vorreste sapere di più o vorreste sapere più spesso DITEMELOOOOO!!! Sono sempre qui!! QUIIIIIIIIIIIIIIIII!!!
Ok, ora smetto di delirare...
Soprattutto mi piacerebbe sapere cosa ne pensate di Jade e Ian. Vi confesserò che sono i personaggi, secondo me, più umani tra tutti quelli che ho presentato perché non aderiscono proprio ad uno stereotipo sociale, non sono statici, sono un insieme di contraddizioni assurde, il che li rende estremamente difficili da muovere nella storia, ma credo che proprio in questo stia la loro normalità. Insomma, nessuno agisce sempre bene, sempre male, sempre in maniera impulsiva, sempre contando fino a dieci prima di fare qualcosa.. Ma proprio per il loro essere così instabili sto meditando di non farli finire insieme, come invece era nel mio progetto iniziale, come si sarà capito. Credo siano tra i miei preferiti anche per questo e mi piacerebbe sapere cosa ne pensate: sono veramente indecisa e ho bisogno di un parere esterno che solo voi che avete letto la storia potete darmi!
Bene, credo di aver finito :)

Tanti baci,
Najla



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Capitolo 18
*** Al ritmo di una danza ***


Quindicesimo Capitolo
Al ritmo di una danza

17 Dicembre XX
Ministero Auror, Cella numero 21, ore 20.02
Natalie McDonald non amava particolarmente gli interrogatori, un po’ perché non era mai stata capace di condurne uno decente, un po’ perché quando lavorava nel dipartimento che si occupava del narcotraffico magico, dove aveva per altro conosciuto Ron, le avevano insegnato che per condurre un buon interrogatorio bisognava sempre essere pronti a chiudere un occhio, se non tutti e due.
Ricordava ancora il volto sfigurato di un ragazzo che i suoi colleghi avevano picchiato a sangue, affinché confessasse dove aveva nascosto una partita di pozioni allucinogene.
Lei, non condividendo certi tipi di violenza, soprattutto fisica, aveva ben presto chiesto il trasferimento ad un’altra divisione. Poi Harry l’aveva reclutata nella sua squadra, aveva conosciuto Ernie, si era sposata e tutto il resto, ma questa era un’altra storia.
Guardò oltre il vetro a specchio che dava sulla piccola sala interrogatori e osservò il giovane mago che avevano legato con un incantesimo ad una delle sedie scassate abbandonate intorno ad un tavolo altrettanto malandato. Non doveva avere più di venticinque anni, i capelli scuri e gli occhi verdi, un po’ di barba e il segno di un taglio in via di guarigione sul mento squadrato.
Non aveva l’aria di un criminale e se lo avesse visto sulle strade di Londra l’avrebbe detto un giovane qualsiasi. E lei, nella squadra di Potter, si occupava di tracciare i profili degli indiziati, quindi ne sapeva qualcosa.
L’aveva catturato la squadra di Nott quando ormai stava per salpare per la Francia, appena un paio d’ore prima, e quando la notizia era giunta all’ufficio di Londra, era letteralmente scoppiato il putiferio. Lei, che in quel momento si stava facendo un bagno a casa, aveva visto apparire un cervo grande quanto un cavallo dentro alla vasca piena di schiuma e quasi le era preso un infarto. Inutile dire che aveva mandato a quel paese la voce profonda di Harry che le chiedeva se per caso non potesse tornare in ufficio immediatamente.
Dopo mesi, finalmente ce l’avevano fatta: avevano preso un illuminato.
«Si chiama Elias Martin » le rispose uno degli Auror di guardia alla cella, Harker, se la memoria non la ingannava, quando si decise a chiedere informazioni sul sospettato «Ha ventiquattro anni e lavora per un cartificio magico in Galles. Non ha mai avuto problemi con il Ministero, vive da solo ».
Natalie guardò un istante l’Auror, notò la mascella tesa, gli occhi ridotti a due fessure e le mani strette a pugno nelle tasche dei pantaloni. Era turbato, più probabilmente arrabbiato.
«Lo conosci? » chiese Natalie abbastanza sicura della risposta. L’Harker sbarrò gli occhi, prima di rilassare appena le spalle e guardarla finalmente in faccia.
«Eravamo a scuola insieme, lui era a Corvonero, io a Grifondoro » mormorò il ragazzo, «Non avrei mai pensato che potesse essere invischiato in questa faccenda ».
Natalie annuì, non sapendo esattamente cosa ribattere, per poi voltarsi verso il rumore di passi veloci che rimbombava nel corridoio stretto e claustrofobico con cui si accedeva alle prigioni ministeriali.
Harry Potter avanzava deciso, seguito da Susan Bones e Theodore Nott, e nonostante fosse il più basso dei tre, dava comunque l’idea di essere quello più grande, con il mantello ancora addosso e lo sguardo di chi ha intenzione di ottenere immediatamente delle risposte, a qualsiasi costo.
Era sempre stata una persona diplomatica, il suo capo.
«Nata, scusa se ti ho fatta venire qui così dal nulla ma vorrei che tu assistessi all’interrogatorio » disse asciutto Harry, togliendosi il mantello mentre una mano già correva alla maniglia della porta, «Disgraziatamente non possiamo usare il veritaserum, per cui ho bisogno che tu tragga dalle mie domande quante più informazioni possibili, va bene? Frugagli nella testa quanto vuoi.. ».
Natalie annuì con un sospiro sommesso, e Susan le strinse una spalla, comprensiva.
«Purtroppo non abbiamo molto scelta, Nata » le disse con un mezzo sorriso, «Non possiamo tenerlo qui in eterno senza prove che lo colleghino palesemente agli Illuminati, per ora è lì dentro perché ha provato a schiantare Nott ».
«Cosa vi fa pensare che abbia a che fare con gli Illuminati, allora? » chiese prima di tornare a guardare il ragazzo oltre il vetro, sembrava così tranquillo.
«Oltre al fatto che quando mi ha visto ha urlato: morirete tutti, Purosangue?» rispose ironico Nott, «La traccia magica della sua bacchetta è una di quelle rinvenute fuori dalla casa di Sybil Zabini, la stanno analizzando ora nei laboratori per vedere se riescono a scoprire qualcos’altro».
«E non è sufficiente per tenerlo qui almeno una notte? » chiese la donna incrociando le braccia al petto.
«Disgraziatamente no» commentò Harry, «Abbiamo al massimo un paio d’ore, prima che venga giù Hermione a dirmi di lasciarlo andare. Dobbiamo farlo parlare, quindi: Theo, condurrai l’interrogatorio, Susan e io ci divideremo i ruoli dell’Auror buono e di quello cattivo, Nata, puoi anche rimanere qui fuori, se vuoi.. Eddy, vai da Ron, ha un lavoretto per te » concluse rivolto al giovane Auror con cui Natalie aveva parlato.
Edward annuì appena, quasi sollevato di non dover assistere al tutto e prese la via per i piani alti.
«Ha detto qualcosa mentre lo portavate qui? » chiese la McDonald meditabonda e Nott scosse la testa in segno di diniego, e per qualche motivo la donna capì che qualche tentativo di fargli aprire la bocca c’era stato. Non commentò, gli invasati sicuri dei propri ideali erano sempre i più duri a cedere, in fin dei conti.
«Facciamolo parlare » disse infine Harry aprendo la porta e Natalie dal vetro rimase ad osservare il volto di Elias Martin mostrare un vago stupore, i tratti così anonimi e innocui non lasciavano trasparire nemmeno un briciolo di timore.
Il Tyr ve la farà pagare, vi eliminerà tutti, pensò il giovane Elias concentrando l’attenzione sulla figura del capo del dipartimento Auror che si toglieva il mantello e lo lasciava cadere su una sedia a caso, finalmente ci sarà la giustizia che tu non hai saputo darci.
Natalie sentì quelle parole rimbombare tra i suoi stessi pensieri e assottigliò lo sguardo mentre Nott cominciava a fare le solite domande: dov’eri? Cosa facevi? Perché? C’è qualcuno che può confermarlo?
Aveva sempre trovato quella sua particolare capacità piuttosto subdola, ma doveva ammettere anche con se stessa che poter sentire i pensieri delle persone senza bisogno di qualsivoglia incantesimo, si poteva rivelare davvero utile.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Dormitorio Maschile Grifondoro, ore 20.52
Quando Jade entrò nella stanza dei ragazzi quasi scoppiò a ridere nel vedere Elijah e Ian davanti allo specchio del bagno armeggiare con le rispettive cravatte nel disperato tentativo di annodarle. Si limitò a sorridere dolcemente, osservando rapita i suoi ragazzi agghindarsi per il loro ultimo ballo d’Inverno, come una madre guarderebbe i propri figli prepararsi per un’importante cerimonia, con un pizzico di orgoglio e tanto affetto.
Studiò la piega del pantalone elegante, le maniche delle camicie arrotolate, le scarpe in vernice e sorrise ancora quando arrivò ai capelli pieni di gel.
Le sembrava di rivederli al quarto anno, quando avevano avuto anche loro il permesso di partecipare al ballo che chiudeva le lezioni prima delle vacanze di Natale, di rivedere quell’accenno di barba ispida e i capelli tagliati in maniera improbabile per seguire la moda del momento, ricordava ancora le fisime di James di fronte al grosso brufolo che gli era spuntato sul mento e dovette mettersi una mano di fronte alla bocca per trattenere le risa.
Quella volta aveva rimediato lei con un incantesimo.
«Volete decidervi a chiedere aiuto o devo rimanere a guardarvi perdere di fronte ad una cravatta?» si risolse a chiedere avvicinandosi, una mano a reggere la gonna del vestito e l’altra a stringere la pochette dove teneva la bacchetta e poche altre cose.
«Jay!» esclamò Eli sorpreso prima di guardarsi allo specchio e tornare a rivolgersi all’amica con sguardo supplicante, «Non ce la posso fare..».
«Eli, sei una delusione per l’intero genere maschile, sappilo » commentò Ian continuando testardamente a stropicciare la seta azzurra della cravatta.
Jade rise scuotendo la testa mentre sistemava il colletto della camicia candida di Elijah con le dita sottili, lasciandole poi scivolare sulle spalle larghe e forti.
«Tua madre ha azzeccato anche il colore » disse la ragazza indicando il proprio vestito con una mezza giravolta ed Eijah annuì orgoglioso, come se fosse stato lui a scegliere il grigio perlaceo della cravatta, e non il gusto e la ricercatezza impeccabili di sua madre.
Ian sbuffò infastidito a quel commento e sciolse l’ennesimo groviglio informe, sentendosi a un passo dal dar fuoco a qualcosa.
Per essere quello, dei tre, che vantava la fama di persona paziente, Ian sapeva perdere le staffe con sorprendente facilità.
«Guarda che disastro » commentò Jade fermando le sue mani dall’ennesimo tentativo di annodare quella inerme striscia di tessuto, «La stai stropicciando tutta, ti ricordo che Vanille si è raccomandata, ti vuole solo se sei impeccabile ».
Ian sorrise debolmente mentre la ragazza trafficava con il suo collo per poi sistemare anche a lui la camicia, soffermandosi appena sulla piega rigida della spalle prima di appoggiare i palmi sul suo petto e guardarlo dritto negli occhi, per una volta alla stessa altezza, un sorriso sincero anche se appena malinconico a curvarle le labbra rosse di trucco.
«Perfetto » disse Jade e Ian ci mise tutta la buona volontà del mondo e tutto il suo rinomato autocontrollo per non fare il mezzo passo che li separava e baciarla.
Era sorprendente pensare a come le situazioni potessero cambiare nell’arco di un mese, se non avesse passato una tempesta come quella in cui era finito, Ian non l’avrebbe mai creduto possibile.
Dalla domenica in cui Evangeline l’aveva deliberatamente messo alle strette, dal giorno in cui Elijah aveva trovato Jade a fare la muffa in biblioteca, la loro vita aveva preso una piega del tutto diversa, un po’ meno tragica.
Un lunedì mattina, Jade si era alzata presto e si era fatta crescere i capelli con un colpo di bacchetta, poi li aveva raccolti, si era infilata la divisa, aveva preso la sacca con i libri ed era uscita con il mento alto e le spalle dritte. Roxanne si era convinta che fosse definitivamente impazzita mentre Eva affermava che non era il caso di preoccuparsi, e in quel momento, con il supporto di Frank, ogni cosa che usciva dalla sua bocca suonava come un pronostico molto affidabile.
A pranzo Jay si era seduta alla destra di Ian, come se niente fosse, e lo stesso aveva fatto a cena, nello scalpore generale per quanto tutti  loro cercassero di non farci caso. Jade era stata latitante per quasi due settimane e nessuno di loro aveva voglia di sparire di nuovo, quindi se la ragazza aveva deciso di far finta di niente, loro l’avrebbero assecondata.
Paradossalmente Ian e Jade avevano ricominciato a parlarsi davvero civilmente con un semplicissimo puoi passarmi il succo di zucca?
C’era stata anche una serata che li aveva visti sparire dalle parti della Torre di Astronomia ed Elijah supponeva che con quella avessero messo una pietra sopra a tutto quel casino, ma non aveva voluto saperne nulla.
I giorni successivi la routine che li aveva abituati in quei sei anni era ripresa quasi magicamente: Roxanne aveva qualche buona parola per Lorcan almeno una volta al giorno, Jade e Ian avevano ripreso a gironzolare insieme ad Elijah scrivendo di tanto in tanto una lettera a James per rallegrare la sua convalescenza, Eva e Frank continuavano a tubare come colombi mentre Lysander aveva arricchito i suoi discorsi smozzicando il nome di Lily Potter qua e la, con grande gioia del fratello gemello che non perdeva mai l’occasione di tirargli una gomitata sulle costole quando vedevano passare la rossa del quarto anno.
Così tutto era andato splendidamente bene almeno fino a quando Jade, Ian ed Eli non avevano incrociato Gwen Shelley in corridoio e la Caposcuola Grifondoro aveva deciso di far valere la propria autorità di fronte all’ennesimo insulto: quindici punti in meno a Tassorosso e un viaggio di sola andata in infermeria per una fattura mangialumache erano stati l’esito della giornata. Anche se la faccia schifata di Gwen mentre vomitava lumache sulla schiena del ragazzo che le stava di fronte era stata impagabile.
Quando James aveva letto l’accaduto via gufo aveva riso per dieci minuti buoni, sotto lo sguardo dell’infermiera che meditava di trasferirlo nel reparto psichiatrico.
Dopo questo fatto persino le voci sul conto di Jade si erano quietate, probabilmente, pensava Elijah, c’era ancora qualche focolaio di pettegolezzo qua e la, ma nessuno aveva avuto più il fegato di darle contro pubblicamente, nemmeno e soprattutto Gwen.
Alcuni, come Vanille, tornata alla vita dopo esser stata chiusa in uno sgabuzzino da una Rose ben decisa ad avere le coordinate dei suoi recenti viaggi mentali, erano convinti che passato l’uragano Gwen Ian e Jade si sarebbero messi insieme e avrebbero vissuto spruzzando amore e cuoricini da tutti i pori, ma non era stato così.
Non lo era stato per niente ed Elijah non sapeva dire se fosse stato meglio o peggio, meglio perché ora poteva godersi i suoi amici senza sentirsi il terzo in comodo e finalmente li vedeva andare d’accordo come una volta, peggio perché mentre era palese che Ian fosse ancora cotto di Jade si vociferava che la ragazza avesse una storiella con Caleb McDuff, il barista dei Tre Manici di Scopa. E a nulla erano valse le risposte sempre negative di Jay al riguardo di fronte ad un Ian che bruciava come ardemonio dalla gelosia.
Fortunatamente, se c’era una decisione sensata che Ian avesse preso alla fine di tutto, era stata quella di non impicciarsi più nella vita privata di Jade, visto che non ne aveva alcun diritto, non più almeno.
Elijah si era trovato cinicamente d’accordo.
I giorni avevano preso a scorrere rapidi tra i MAGO che diventavano un pensiero sempre più concreto e i professori che li tartassavano di compiti, test ed esercitazioni con l’evidente proposito di portarli alle soglie del Natale con il cervello ridotto a una poltiglia informe, tralasciando il pensiero altrettanto pressante che recitava più o meno per tutti: cosa farò della mia vita quando sarò uscito da qui?
E anche se Frank continuava a sostenere che di tempo ne avevano in abbondanza per decidere, Roxanne aveva avuto una mezza crisi di panico quando si era resa conto che nel disgraziato caso in cui nessuna squadra di Quidditch l’avesse reclutata avrebbe dovuto trovare qualcos’altro da fare.
Fino a quel momento gli unici sicuri del proprio futuro erano Evangeline, che studiava come una matta da anni per essere ammessa ai corsi per diventare Medimago, Roxanne, che salvo imprevisti avrebbe tenuto il culo su una scopa per il resto dei suoi giorni, e Lysander, che avrebbe raggiunto Charlie Weasley in Romania per vivere un po’ con i draghi, dire che c’era già una passaporta con su scritto il suo nome era un eufemismo.
Ian, Jade ed Elijah evitavano di spendere troppe energie alla ricerca della carriera perfetta.
«Vanille ci aspetta in Sala Comune insieme agli altri » disse Jade staccandosi da Ian con lo sguardo puntato a terra prima di voltarsi verso Eli che si infilava la giacca del completo, «Dovreste vedere la faccia di Roxanne, non ha smesso di sbuffare da che Evangeline le ha infilato il vestito e ha preso a sistemarle i capelli ».
«La Weasley con un vestito? » chiese Elijah sorpreso, la bacchetta infilata nella manica della camicia, pronta all’uso, «Siete riuscite ad infilarle una gonna? Sul serio? ».
«Beh, non è che avesse molta scelta » ghignò Jade, «La Wetmore ha detto che vuole solo vestiti da sera e caviglie coperte ».

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Ingresso della Sala Grande, ore 21.02
«Cos’è Zabini? Non ti sei pulita le orecchie di recente? » sbottò Katherine squadrandola e studiando irritata ogni centimetro del suo abitino da cocktail, «Quando ho detto caviglie coperte intendevo con un vestito non con quelle cose inesistenti che dovrebbero essere calze ».
Grathia Zabini roteò gli occhi esasperata, «Santo Merlino, Katherine, è un vestito! Cosa vuoi che sia se non è lungo fino ai piedi?!».
Josh, appoggiato al muro a meno di un passo dalle due compagne di Casa, se la rideva allegramente sotto i baffi. Non aveva ancora capito come mai la Wetmore si fosse presa l’onere di organizzare il Ballo d’Inverno, ma alla fine avrebbe dovuto ringraziarla per quella masochistica idea, perché mentre lei si inalberava a causa di idiozie come la lunghezza del vestito della sorella di Damian, lui poteva godersela sadicamente alle sue spalle.
«Allora io e te non ci siamo capite » rispose la Wetmore puntandole contro la piuma che usava per segnare i presenti in una lista che alla meglio era lunga più di un metro, «Questo è il Ballo d’Inverno, non un sabba fatto intorno ad un falò con qualche bottiglia di whiskey incendiario. È un evento nato per essere elegante e di classe, ma soprattutto è un evento che quest’anno ho organizzato io e non permetterò che tu e questo vestito che ti copre a malapena il culo entriate qui dentro, sono stata chiara? Quindi le opzioni sono due, o allunghi quella gonna, o allunghi i tuoi tacchi a spillo verso il dormitorio ».
Nonostante la faccia paonazza di Grathia promettesse futura vendetta, alla fine la ragazza fu costretta a capitolare e a lasciare che l’altra le allungasse il vestito fino a terra.
«Benvenuta al Ballo d’Inverno » le sorrise amabilmente Katherine invitandola ad entrare in Sala Grande con un cenno della mano.
Josh non si sorprese troppo del gesto molto volgare e poco femminile che Grathia le rivolse.
«Mi spieghi perché continui a startene lì a fare l’avvoltoio? Non hai niente di meglio da fare? » berciò Kath fulminandolo con un’occhiataccia e Joshua si scostò dal muro arrivandole a fianco, le mani in tasca, una papillon verde scuro e un sorrisetto saputo dipinto in faccia.
«Sto aspettando la mia dama, Wetmore, è elegantemente in ritardo » rispose con nonchalance e lei ghignò divertita depennando l’ennesimo nome dalla lista.
«Sempre se esiste ».
«Fossi in te mi fiderei.. » sorrise malizioso prima di alzare una mano in cenno di saluto, «Buonasera Caroline ».
Katherine si voltò di scatto, inspiegabilmente curiosa di vedere chi fosse riuscito a rimorchiare quella piaga di Nott, e quasi si strozzò con la saliva quando vide Caroline Zane avanzare sorridente verso di lui, il vestito verde che le fluttuava intorno alle gambe, impalpabile, e i capelli castano chiaro lasciati sciolti sulla schiena.
«Scusa il ritardo, Joshua » disse prendendo il braccio che lui le stava cortesemente porgendo, «Aspetti da molto? ».
«Non ti preoccupare » le sorrise educato prima di rivolgersi a Katherine con una punta di perversa soddisfazione nella voce, «Wetmore, se volessi segnarci, Joshua Nott e Caroline Zane ».
«Benvenuti al Ballo d’Inverno » quasi ringhiò la Serpeverde invitandoli ad entrare mentre Josh la ignorava ridendo allegramente con la sua dama.
Per qualche strano motivo, Katherine sentì il desiderio di colpirli in testa con un oggetto contundente. Si era convinta che Joshua non sarebbe nemmeno venuto al Ballo d’Inverno e che nessuna ragazza della scuola avrebbe sopportato l’idea di passare la serata con una persona irritante come lui, e vederlo a braccetto con Caroline Zane, Corvonero, con due chilometri di gambe e i capelli più belli di tutta Hogwarts, dopo i suoi ovviamente, l’aveva lasciata un filino interdetta.
Che poi, come diavolo aveva fatto Nott a convincerla ad accettare il suo invito?!
Quella Serpe malefica..
«Ehi, Kath » la chiamò Charity raggiungendola da dentro la Sala, «Hai visto con chi è entrato Josh? ».
«Sì.. » smozzicò a malapena segnando l’ennesima coppia felice e con gli abiti in coordinato. Era stata precisa anche su quello, non voleva che la sua sala fosse un’accozzaglia di colori improbabili.
«Ti sei resa conto che è Caroline Zane, vero? ».
«Sì.. ».
«Damian mi aveva detto che ci avrebbe sorpreso, stasera, ma non pensavo che fosse lei..».
«Già.. ».
«Però sono una bella copp.. ».
«No » la spense Katherine puntandole contro la piuma che stava stritolando inconsciamente tra le dita, «Non sono un bel niente. Come abbia fatto quello sgorbio a convincerla ad accompagnarlo è un mistero. Lei deve essere sotto Imperius o qualcosa del genere, non c’è altra spiegazione ».
Charity fece mezzo passo indietro fissando la penna di pavone pensierosa prima di guardare l’amica negli occhi e scoppiare a ridere.
«Non ci posso credere! Tu sei gelosa di Josh!».
Katherine ci mise qualche secondo per metabolizzare quanto era uscito dalla bocca di quella testa cotonata poi le sue labbra si curvarono in una smorfia schifata.
«Ma hai bevuto qualche pozione delirante, per caso? Santa Atena quanto sei cretina.. ».
«Non posso credere che tu sia gelosa di Josh » continuò a ridacchiare Charity mollando la presa sulla stoffa bianca del vestito per portarsi le mani di fronte alla bocca e ridere un po’ più sguaiatamente.
«Charity, continua così e ti faccio ingoiare le paillette del corpetto..».
Un colpo di tosse le forò un timpano.
«Aspetta che lo sappia Damian ».
«..ad una ad una.. ».
Un altro colpo di tosse, persino più forte del precedente.
«..ma si può sapere che cavolo vuoi?!» esclamò voltandosi verso la fonte di quel rumore molesto.
Lorcan Scamander le sorrideva estatico, vestito di nero dalla testa ai piedi, mentre alla sua destra Roxanne Weasley sbuffava stizzita.
«Devi segnarci su quella maledetta lista per poter entrare, Wetmore » le disse la Grifondoro seccata, alzando gli occhi al cielo.
Un momento.. la Weasley-mora al Ballo? Cioè, al Ballo vestita persino da donna?!
Ma cosa stava succedendo?! Il mondo aveva deciso di ruotare nel senso opposto senza avvisarla?!
Katherine ebbe la forza di riprendersi solo sentendo la gomitata di Charity sfondarle la cassa toracica.
«Certo.. Benvenuti.. » biascicò mentre anche loro due la sorpassavano prima di perdersi tra gli studenti.
Le due Serpi li guardarono sparire con la bocca spalancata e gli occhi fuori dalle orbite, palesemente e a ragione, sconvolte. Insomma, andavano a scuola con Roxanne Weasley da sette anni e non l’avevano mai vista con una gonna figurarsi sistemata per una serata come quella, con Lorcan, poi, lo stesso Lorcan che professava di odiare da che avevano memoria..
Il loro cuore da pettegole navigate stava per collassare a causa dello shock.
«Ma quella era.. ».
«Sì ».
«Ed era con.. ».
«Sì ».
«E aveva indosso un.. ».
«A giudicare dall’altezza anche dei tacchi ».
«E hai visto che fisico che.. ».
«Purtroppo sì ».
«E i capelli, quelli li hai.. ».
«Già ».
«Porca Morgana ».
«Sarà una serata divertente » ghignò Katherine maliziosa prima di lasciare Charity alle sue elucubrazioni per accogliere l’ennesima, felicissima, coppia.
«Benvenuti al Ballo d’Inverno ».
 
Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Grande, ore 22.01
Mordecai se ne stava in piedi vicino al tavolo ricoperto di decine di ciotole piene di liquidi dei colori più vari, circondate da centinaia di bicchieri che apparivano di continuo, sempre pieni, sempre desiderosi di essere bevuti. Lui aveva deciso di attaccarsi alla ciotola bianca, per il momento, e si sentiva pienamente soddisfatto della scelta mentre osservava la sua accompagnatrice ballare con suo fratello, la sua copia meno intelligente.
Vedendo Rowena ridere mentre Eli la faceva volteggiare in quel vestito violetto che per una volta non la faceva sembrare ancora più bassa, Mord cominciò a chiedersi perché alla fine la lasciasse sempre nelle mani del gemello quando era lui a invitarla, lui a passare più tempo con lei, lui a cercare di farle capire quanto fosse importante utilizzando la sua limitata e alquanto scadente capacità di manifestare affetto ed empatia.
Era sempre stata una cosa più forte di lui, non era affabile, non era carismatico, non era un gran conversatore e in realtà non era nemmeno tanto paziente da potersi applicare per migliorare un qualsiasi aspetto del suo carattere, però quando decideva di voler qualcosa, generalmente faceva carte false per ottenerla, di questo era piuttosto sicuro.
Allora perché non riusciva a tenersi stretta Rowena Dale?
Trangugiò l’ennesimo bicchiere di quel liquido latteo che bruciava in gola come lo zenzero e si convinse che forse il suo fosse semplice masochismo, o magari forza dell’abitudine visto che alla fine le aveva sempre date vinte ad Elijah, in un modo o nell’altro.
Quando erano piccoli e andavano nella casa al mare finiva sempre con il concedergli di dormire sopra nel letto a castello mentre lui soffocava nella polvere in quello sottostante, quando erano andati a Diagon Alley per comprare la loro prima bacchetta, lo aveva lasciato scegliere per primo, finendo ignorato dalla madre mentre in silenzio sceglieva la propria. Nel dargliela Olivander lo aveva guardato sottecchi, studiandolo un istante prima di ridacchiare allegro e borbottare qualcosa di incomprensibile sui gemelli.
Noce nero, crine di unicorno, 12 pollici, non flessibile.
Poi c’erano state tutte le volte in cui Elijah aveva fatto i capricci per una qualsiasi cosa, come giocare con la neve, cosa che lui invece odiava, oppure aprire per primo i regali di Natale, o ancora salire con il padre sulla scopa nonostante la loro madre si opponesse fermamente. Alla fine Eli faceva sempre quello che voleva mentre Mord aveva imparato a starsene a guardare e sospirare in silenzio, controllandolo di tanto in tanto.
Poi erano arrivati a scuola ed erano finiti nelle due Case che stavano agli antipodi in qualsiasi cosa ed Elijah aveva cominciato a non sopportarlo, a lamentarsi di quel fratello che in realtà faceva ben poco per dargli fastidio, ma la situazione, Mordecai se ne rendeva conto di tanto in tanto, non era cambiata, Eli continuava a vincere sempre.
«Tu non eri venuto qui con la Dale? » chiese una voce corrucciata alla sua sinistra e il Serpeverde voltò appena la testa verso quella direzione, giusto per scorgere il profilo di Katherine, intenta a sorseggiare qualcosa di rosa.
Mordecai non rispose subito, probabilmente sorpreso dal fatto che la Wetmore gli rivolgesse la parola in maniera così spontanea e senza sputare qualche cattiveria su Rowena, come accadeva spesso e volentieri. Bevve un altro sorso di non sapeva cosa e la guardò di nuovo meditando sul fatto che solo lei sarebbe mai potuta star bene con un abito arancione come quello che aveva indosso.
«Sta ballando con mio fratello » rispose incolore osservando distrattamente le labbra della compagna di Casa arricciarsi.
«Perché?» chiese contrariata.
«Ma che razza di domande fai? Perché lui gliel’ha chiesto ».
«No.. perché tu glielo hai permesso? È venuta con te, stasera, non con lui ».
Mordecai non aveva una risposta. Masochismo? Abitudine? Era un discorso troppo complesso perché la Wetmore potesse capirlo.
«Sai, Mordecai, non tifo per nessuno in questa sorta triangolo ma come ho avuto la lungimiranza di far notare un po’ di anni fa, la Dale è la ragazza dei Faraday » disse Katherine pronta a raggiungere di nuovo il suo accompagnatore, «Quindi è anche tua, vai e prenditela ».
Detto questo sparì tra i vestiti svolazzanti che affollavano la pista da ballo.

«Pensavo che Molly sarebbe venuta con Alexander, questa sera » disse Roxanne rendendosi conto della mancanza della cugina mentre Lorcan le passava un bicchiere di sidro, rabbuiandosi appena.
«Diciamo che ci sono stati diversi problemi, oggi » rispose spicciò guardandosi attorno.
La Weasley lo squadrò inarcando un sopracciglio poco convinta. Se davvero quel biondino pensava di potersela cavare così con lei non aveva capito proprio niente.
«Mi hai convinta a venire qui con te ricattandomi, mi sono dovuta infilare questo coso insopportabile e cammino su un paio di trampoli, per non parlare del male che ho patito quando Evangeline ha deciso di conciarmi la testa in questa maniera » esordì puntandogli addosso gli occhi scuri, «Come minimo, ora, mi spiegherai cosa è successo nella Sala Comune dei Corvonero senza che io ti cavi le parole di bocca ».
Lorcan alzò gli occhi al cielo. Dire che l’aveva portata lì con un ricatto era una vera esagerazione, sarebbe stato più corretto affermare che aveva usato le sue innate doti persuasive e la sua perseveranza, se non altro gli avrebbe fatto più onore di un blando ricatto. Anche se rubarle da sotto il naso la busta in cui le dicevano che era stata invitata a partecipare ai provini dei Ballycastle Bats prima che lei potesse aprirla e dirle che gliel’avrebbe restituita solo in cambio di un sì al suo invito, era stato un po’ subdolo. Approfittare del fattore impazienza mischiato all’ansia era stato un colpo basso, ma in quel momento la Weasley se ne stava in piedi davanti a lui con indosso un vestito da sera e le labbra colorate di rosso, quindi non riusciva a sentirsi davvero in colpa.
«Potevi sempre cruciarmi e riprenderti la lettera » obiettò cercando di cambiare argomento.
«Allora considera la mia presenza qui il regalo di Natale che non ti avrei mai voluto fare » rispose veloce, «Stavamo parlando di Molly.. ».
«Tu stavi parlando della quattrocchi, io stavo.. ».
«Lorcan, piantala » disse spegnendo definitivamente ogni suo futuro tentativo di svicolare.
Lo Scamander si grattò la testa capitolando.
«È una storia lunga.. ».
«Hai tutto il tempo che vuoi, ballare non è tra i miei passatempi preferiti ».
Così lui le raccontò a grandi linee quello che era successo quel pomeriggio, sperando che Roxanne non decidesse di prendere le parti della cugina, perché altrimenti la serata avrebbe avuto un esito tutt’altro che piacevole.
Come si sarebbe potuto facilmente immaginare, Molly Weasley non era esattamente la ragazza che nella scuola poteva vantare la più vasta gamma di pretendenti pronti ad invitarla a una qualsivoglia festa, così i suoi compagni di Casa, meglio identificabili con i nomi di Emma Nieri e Oliver Cromwell, si erano messi d’impegno e avevano cercato qualcuno disposto a passare una serata con lei, o quanto meno ad accompagnarla fino all’ingresso. Katherine era stata chiara, si accettavano solo coppie vestite in coordinato.
Alla fine la scelta era ricaduta su Alex Olivander, un giovane allampanato con dei grandi occhiali quadrati e il naso sempre infilato saggiamente tra le pagine di un libro.
Molly ovviamente non era stata entusiasta della cosa e Lorcan aveva avuto l’accortezza di farle notare che nessun altro si era mostrato disposto a passare del tempo con lei, quindi si sarebbe dovuta accontentare.
Forse aveva esagerato, lo ammetteva, ma non sopportava malamente Molly Weasley e vederla lamentarsi dopo che Oliver aveva perso ore del suo tempo a convincere Alex pur di non lasciarla chiusa in camera anche il suo ultimo Ballo d’Inverno, l’aveva fatto sbottare.
Oliver era intervenuto cercando di calmarli, Molly era sempre più rossa in viso e, come succedeva di tanto in tanto alle Weasley, che non erano esattamente maestre dell’autocontrollo, era esplosa con un commento velenoso su Judith Swift, la ragazza che Oliver aveva invitato. Non ricordava esattamente le parole ma sapeva che erano state parecchio pesanti, visto che persino Emma l’aveva richiamata all’ordine sconvolta.
Oliver a quel punto aveva preso la porta e se n’era andato, lui fuori dalla Sala Camune e Molly verso il dormitorio. Quando Emma aveva cercato di fermarla, l’altra l’aveva scansata in malo modo sibilando: «Xavier Knight, eh? Quando avevi intenzione di dirmelo?» ed era sparita.
Emma era scoppiata a piangere, Lorcan aveva rincorso Oliver e Alex aveva deciso che al Ballo ci sarebbe andato con una ragazza di qualche anno più piccola di loro che aveva conosciuto in Biblioteca.
«So che è tua cugina, Rox » concluse infilando le mani in tasca, «Ma non aveva alcun diritto di trattare così Oliver, quel ragazzo le vuole bene, per qualche motivo, e invece lei si comporta come se tutti stessero un paio di gradini sotto di lei. Dovevi vedere la faccia di Oliver, sembrava lo avessero pugnalato alle spalle.. Non parliamo poi di Emma, abbiamo dovuto trascinarla fuori dal dormitorio stasera, si sente talmente in colpa per quello che è successo che voleva rimanere a piangere su una poltrona ».
«Diciamo che non ha fatto una bella figura nel non dire a Molly di Knight » commentò Roxanne, Lorcan scosse la testa.
«Io invece la capisco, Emma stravede per Molly e lei odia i Serpeverde, aveva paura della sua reazione, pensava che l’avrebbe.. boh.. disconosciuta ».
«Secondo me si è sentita presa in giro ».
«Indubbiamente, però poteva reagire in un altro modo ».
«Ad esempio? Non è che tu sia la persona più diplomatica su questo pianeta, Scamander. Mi tormenti da anni e non hai mai pensato di cambiare atteggiamento ».
«Adesso sei qui.. » ci tenne a sottolineare facendo spallucce.
«Ma questo non ha diminuito la mia voglia di darti in pasto al cane a tre teste di Hagrid, o ad un Tranello del diavolo.. le possibilità sono infinite in una scuola di magia ».
«Sei sempre così carina con me » ghignò sarcastico e  Roxanne ricambiò sorridendo sardonica.
«Sono anni che cerco di trovare un modo per farti sparire e ho molta inventiva » mentre parlava, la voce autoritaria della McGranitt annunciava che stavano per avere inizio le danze che avrebbero ufficialmente aperto il Ballo d’Inverno, così Roxanne gli afferrò un braccio e lo trascinò verso il centro della pista.
«Se vuoi che ti segua, Weasley, non hai che da chiedere » mormorò Lorcan una volta fermi e Roxanne inclinò di lato la testa pensierosa, prima di tirargli un pugno sul braccio.
«Ahia! ».
«Zitto e concentrati, non sono brava in queste cose e vorrei evitare di schiantarmi contro il pavimento » borbottò la ragazza appoggiandogli una mano sulla spalla mentre sentiva quella di Lorcan stringerle il fianco, «Quindi vedi di non farmi inciampare ».
«Se ti chiedessi di darmi fiducia lo faresti? » chiese allora guardandola dritto negli occhi, Roxie non abbassò lo sguardo per puro orgoglio.
«Probabilmente no » rispose curvando un angolo delle labbra, mostrando quella fossetta che la rendeva molto più la Roxanne che a lui piaceva tormentare.
La prima nota si diffuse nell’aria, un tono incredibilmente caldo.
Rox sentì un brivido scorrerle lungo la schiena e trattenne il fiato quando la voce di Lorcan le sfiorò l’orecchio.
«Al mio tre, Weasley, prova a fidarti di me ».
Uno.
Due.

«So che non volevi venire qui con me, mi dispiace » mormorò Ian muovendo il primo passo, gli occhi puntati oltre le spalle dritte di Vanille, verso la testa bionda di Jade.
La ragazza sorrise appena, lasciandosi guidare, lo sguardo perso di fronte a lei, verso la i capelli leggermente spettinati di Albus che ballava con Faith McBride.
«L’alternativa era leggere in Sala Comune circondata dai bambini » rispose tranquilla, «Preferisco la tua buona compagnia all’autocommiserazione ».
«Grazie, non sono molte le ragazze che la pensano così al momento » commentò Ian con una punta di ironia, Vì si lasciò sfuggire un accenno di risata.
«Inoltre » continuò la bionda dopo una giravolta, «Visto che nessuno di noi due può stare con la persona con cui vorrebbe, tanto vale che stiamo da soli insieme, non credi? ».
«Hai sistemato le cose con Albus? » chiese Ian guardandola con la coda dell’occhio, lei scosse la testa con gli occhi lucidi.
«Di solito a questo genere di feste veniamo sempre insieme » disse con un filo di voce, «Non mi parla da quasi una settimana ».
Ian non disse niente, si limitò a stringere la mano che teneva stretta nella propria mentre l’ennesima giravolta li separava. Non aveva un gran rapporto con Die Vanille ma gli capitava spesso di chiacchierarci insieme, quando andava a vedere gli allenamenti di Quidditch e lei restava in panchina, quando si trovavano in Sala Comune e chiedevano ad un elfo di portar loro delle cioccolate calde, quando si ritrovavano a mangiare in Sala Grande, quando James voleva infastidire il fratello parlandole.
«Hai fatto la cosa giusto, Vanille » cercò di confortarla e lei riportò gli occhi sulla testa di Albus, quasi inconsapevolmente.
«Lo so.. razionalmente parlando » prese un respiro profondo, «Ma non cambia il fatto che io gli abbia spezzato il cuore. So che sentimenti lo legano a sua fratello, rivalità, desiderio di primeggiare, spesso invidia ma.. penso a come deve essersi sentito quando gli ho detto che non posso corrispondere i suoi sentimenti a causa di Jamie. L’ho ferito e non riesco a perdonarmelo ».
«Se ti può consolare in qualche modo, di recente ho scoperto che ogni cosa si sistema a modo suo » disse guardandola rassicurante, «Dagli tempo, una volta compreso che a prescindere da James non l’avresti ricambiato, se ne farà una ragione ».
«Non voglio perderlo, Ian » confessò.
«Purtroppo, Vì, non dipende più da te ormai ».

«Sei proprio bella, questa sera » sorrise Frank guardandola in faccia solo per lo sfizio di vederla arrossire, era così carina quando arrossiva.
«Con questa, me l’hai già detto dieci volte » rispose sorridendo a sua volta imbarazzata, ben consapevole di avere le guance come due pomodori e di quanto il suo ragazzo fosse tremendamente entusiasta di quello scomodo dettaglio.
Non amava stare al centro dell’attenzione e lui lo sapeva, quel perfido Grifondoro.
«Era vero anche le nove precedenti » disse tranquillo guidandola ad indietreggiare di qualche passo mentre danzavano in tondo e il vestito blu di Evangeline si muoveva sinuoso con loro.
Eva gli pizzicò la spalla inclinando appena la testa verso destra in un ammonimento che di serio aveva poco o niente. Frank ridacchiò appena prima di alzare la testa e guardare alle spalle della sua compagna una testa bionda che parlava a bassa voce ad una testa rossa e un poco più bassa.
Sospirò appena, corrugando la fronte pensieroso e un po’ preoccupato.
Evangeline alzò lo sguardo verso l’alto, esasperata, prima di pizzicarlo di nuovo, questa volta un poco più forte.
«Smettila di controllarlo, non è un bambino, sa cavarsela perfettamente da solo » mormorò guardandolo dritto negli occhi, cercando di rassicurarlo anche in quel modo, ma il suo ragazzo era entrato in modalità mamma chioccia e non ne sarebbe uscito se non a serata conclusa.
Frankie arricciò le labbra piuttosto scettico.
«È la prima volta che lo vedo con una ragazza, scusa se preferisco tenerlo d’occhio » borbottò indispettito, ma lei decise di non dargli corda.
«Ne parli come se Lily potesse decidere di dare di matto e staccargli la testa ».
«Non è quello.. è solo che non voglio ci resti troppo male se le cose non dovessero andare bene come spera » disse il Grifondoro.
«Ha diciassette anni Frank, non due, se le cose dovessero andare male sarai lì per consolarlo e spiegargli che non è una tragedia » rispose lei, «Deve imparare a camminare con le sue gambe, altrimenti passerà la sua vita tra noi e tutte le bestiole che gli piacciono tanto ».
Frank la guardò ancora poco convinto, non sapendo esattamente se e cosa ribattere. Non era figlio unico, aveva ben due sorelle più piccole di cui preoccuparsi ma Alice aveva otto anni e Amanda solo sei, quindi era cresciuto praticamente come tale. Questo aveva fatto sì che i gemelli Scamander diventassero un po’ come i suoi fratelli acquisiti, in particolare il piccolo Lysander, con quegli occhi grandi e blu, i capelli chiarissimi e l’aspetto gracilino, gli era sempre sembrato qualcosa di fragile, una specie di fratellino.
E i fratelli minori vanno protetti, quindi lui difendeva il piccolo, ingenuo e dolce Lys.
Evangeline continuava ad osservarlo sottecchi, l’aveva fatto da quando Lysander aveva offerto il braccio a Lily Potter per accompagnarla fuori dalla Sala Comune e non aveva smesso nemmeno quando erano arrivati in Sala Grande e avevano cominciato a danzare. Frank gli aveva staccato gli occhi di dosso solo quando doveva guardare lei o evitare di andare a sbattere addosso a qualcuno. Le sembrava di avere a che fare con una madre apprensiva e per quanto capisse le sue ragioni era anche del parere che Lys dovesse fare tutto questo da solo, senza la loro presenza invadente. Per questo si era rifiutata di andare a parlargli e aveva trattenuto Frank quando aveva deciso di andarci da solo.
«Tu non capisci.. sai che vuole invitare Lily al Ballo dalla Feste d’Inizio? Voglio dire, sono mesi che ci rimugina sopra! Tralasciando il fatto che quando si è reso conto che non avrebbe potuto chiedere direttamente a James il permesso di invitarla qui stasera è andato nel panico! È ancora convinto di aver fatto un gesto riprovevole nel non ricevere la sua approvazione ».
«Come se Lily avesse bisogno dell’approvazione di Jamie » ridacchiò Evangeline immaginando Lysander che camminava su e giù per la stanza mugugnando frasi sconnesse con le mani nei capelli, era una scena molto plausibile, in effetti.
«Eh, io e te lo sappiamo, lui un po’ meno » sospirò Frank continuando a guardarlo mentre parlava con la piccola di casa Potter e anche questa volta ad Eva quell’occhiata non sfuggì.
«Lily è una brava ragazza, è carina, disponibile e sono sicura che non illuderebbe mai Lys in nessun modo » lo rassicurò alla fine, convinta che tra lo Scamander e Frank fosse quest’ultimo quello più in ansia, «È il nostro ultimo Ballo d’Inverno, Frank, tu non indosserai mai più un frac e io non indosserò mai più un vestito come questo, non cammineremo più su una neve incantata che non bagna i vestiti  e non balleremo più un ballo così in questa sala. Godiamocelo e basta ».
Il ragazzo la guardò regalandole un sorriso di scuse perché onestamente a tutto quello non aveva pensato e un po’gli dispiacque aver dedicato tutto il suo tempo a tenere sotto controllo Lysander quando aveva Evangeline davanti.
«Te l’ho mai detto che ti amo? » le disse facendole fare una giravolta e lei rise lasciando che la mano che aveva poggiato sulla sua spalla salisse fino ad accarezzargli dolcemente la nuca.
«Almeno un migliaio di volte » rispose e lui sorrise ancora un po’.
«Ed era vero anche tutte le volte precedenti ».

«Dovresti smettere di venire a queste feste con me, Louis, prima o poi qualcuno comincerà a pensar male, molto male » mormorò Lucy con il suo solito tono di voce, tranquillo e privo di particolari inflessioni, come se stesse parlando del tempo.
Louis curvo un angolo delle labbra, così tipico che si preoccupasse per lui.
«Non è importante quello che gli altri pensano » rispose pacato, «Ricordi cosa ha detto la Wetmore? Serviva un’accompagnatrice per entrare in sala, questa sera, e sei la migliore che potessi desiderare ».
«Lusingata » rispose tenendo gli occhi fissi davanti a sé, la fronte appena increspata da qualche pensiero di troppo, «Ma non mi farai cambiare idea al riguardo ».
«Cosa guardi? » le chiese allora nella speranza di cambiare discorso.
«I nostri parenti.. » mormorò distrattamente, quasi non lo stesse davvero ascoltando, «Sono persone estremamente incasinate ».
«Davvero? » rise sarcastico Louis.
«Albus si muove come se si stesse trattenendo dal fare qualcosa di stupido » spiegò meditabonda, «Probabile che la Hillyard si sia decisa a far crollare tutte le sue speranze su un possibile futuro insieme. Rose continua a lanciare occhiate di sottecchi a Malfoy, probabilmente è gelosa della sua nuova fidanzata. Mia sorella non è venuta e a giudicare dallo sguardo della Nieri e di Cromwell i tre devono aver discusso, mi spiace per Judith, teneva particolarmente al buon esito di questa serata.. Non capisco ancora come Lorcan abbia convinto Roxanne a seguirlo, stasera, ma sono soddisfatta che almeno Lysander abbia trovato il coraggio di invitare Lily, spero ne nasca qualcosa di buono ».
«Tu che auguri qualcosa di buono ad uno qualsiasi dei tuoi parenti? » commentò Louis stupito, «Senti lo spirito natalizio, Lucy? ».
«No, per niente » rispose piatta, «Sottolineavo quanto la nostra sia una famiglia piena di problemi ».
«Tutte le famiglie ne hanno, Lucy, noi siamo solo in tanti quindi il numero dei problemi aumenta esponenzialmente ».
«Io non ho alcun problema » chiarì guardandolo negli occhi, «Nemmeno tu, sono gli altri a preoccuparmi ».
«Più che preoccuparti mi pare ti infastidiscano ».
«Credo facciano entrambe le cose » rispose pacata, «Sono tutti così caotici ».
«Avresti bisogno di un uomo, sai? » le disse ad un certo punto il cugino con un sorriso malizioso, «Di questo passo diventerai sempre più acida ».
«Eppure continui a gradire la mia compagnia, mi pare » borbottò guardando le loro mani intrecciate.
«Perché so che in fondo sei una persona estremamente buona, Lucy, mi piacerebbe che lo scoprissero anche gli altri, non sanno cosa si perdono » rispose con un riso che lei ricambiò apertamente, come capitava rare volte.
«Mi basta che lo sappia tu » rispose continuando a sorridere, «In fondo quello che pensano gli altri non è poi così importante, no? ».

«Credo che ora l’intera scuola ti odi sul serio, sai? » ghignò Elijah facendole fare un’ultima giravolta.
«Tu dici? » rispose ridendo Jade e lui annuì fingendosi terribilmente dispiaciuto.
«Ti sei appena presa anche l’ultimo dei tuoi amici, di questo passo si comincerà a vociferare che facciamo cose a quattro nelle aule vuote del terzo piano » spiegò Eli aggrottando le sopracciglia, «Che poi, cosa passano fare tre uomini con una sola donna.. è qualcosa che dà da pensare, non credi? ».
«Solo tu ci puoi pensare » commentò, «Tu e James, probabilmente, è incredibile quanto male vi siate fatti a vicenda in questi anni ».
«Io direi che ci siamo migliorati vicendevolmente » la corresse con ghigno malandrino.
«Certo, avete raggiunto livelli di depravazione inconcepibili ».
«Qualcuno doveva bilanciare la presenza tua e di Ian » disse come se fosse ovvio, «Per ogni santo c’è bisogno di un peccatore e io e Jam ci siamo offerti volontari per questo ingrato compito ».
«Mai stata una santa » scosse la testa Jade, «Mai in tutta la mia vita, ne sono assolutamente certa ».
«Forse, ma il moralismo tuo e di quell’altro rischiava di farci diventare vecchi prima del tempo, la nostra immagine ne avrebbe risentito, e poi non dire che non ti stai divertendo perché non ti crederei ».
«Ballare ti fa decisamente male, Eli » rise mentre la musica andava pian piano spegnendosi e loro due erano costretti a staccarsi per l’inchino di rito che decretava l’ufficiale fine della danza d’apertura.
Il resto della serata sarebbe stato all’insegna di bicchierini colorati e musica di ben altro genere, con tanti saluti all’eleganza e alla pomposità a cui ambiva la Wetmore.
«Vuoi bere qualcosa? » le chiese a quel punto mettendole un braccio intorno alle spalle per farsi reggere mentre le si accasciava praticamente addosso, «Queste danze così complicate mi sfiancano ».
Jade scoppiò nuovamente a ridere, «In realtà mi chiedevo se volessi accompagnarmi un secondo fuori,  ho bisogno di una boccata d’aria prima di sprofondare definitivamente nel delirio di questa sera.. ti ricordo che hai promesso di farmi ubriacare ed è l’unico motivo per cui ho accettato il tuo invito ».
«Tranquilla, non l’ho dimenticato » rispose facendole l’occhiolino, «Bene, usciamo e poi ci diamo alla pazza gioia, ho contato un sacco di colori sul tavolo quest’anno e spero vivamente che la Wetmore non abbia messo solo succo di zucca e burrobirra in quei cosi, perché altrimenti la mia vendetta potrebbe essere piuttosto violenta ».
«Scemo.. » sorrise Jade mentre lui la prendeva sottobraccio per condurla verso l’uscita della Sala Grande.
Elijah non ricordava di essersi divertito così tanto da prima dell’incidente di James e, pensò con un certo rammarico, era assurdo perché un tempo loro quattro si divertivano sempre in quel modo, indipendentemente da chi fosse con chi. Era questo il bello del loro gruppo, non c’era veramente una personalità che dominasse sulle altre, certamente lui e James erano più estroversi ma non era davvero importante quando erano solo loro, senza nessun altro. Sperava davvero che le cose potessero rimanere così, senza subire altri bruschi cambiamenti di rotta.
Non era un amante dei cambiamenti ed era il tipo di persona abbastanza saggia da non voler tensioni tra le persone che lo circondavano.
Mentre pensava a tutto questo, spensierato come non gli capiva da un po’, lui e Jade si erano spinti oltre l’ingresso della scuola e per qualche strano motivo erano finiti a camminare vicino all’ingresso ai sotterranei.
«Ehi, Jay, sei già ubriaca? » scherzò allegro, «Pensavo volessi prendere un po’ d’aria ».
Quando non gli giunse nessuna risposta si voltò verso di lei perplesso e un po’ preoccupato, che si sentisse poco bene?
La ragazza teneva lo sguardo basso, gli occhi chiari socchiusi e le labbra tese in una linea dritta e per un attimo vide l’indecisione sporcarle i tratti del viso, ma fu solo un istante, poi alzò la testa e si voltò verso di lui. Lo guardò sinceramente dispiaciuta prima di appoggiargli una mano sulla guancia. Elijah non capiva cosa stesse succedendo, continuava solo a guardarla confuso, aspettando che dicesse qualcosa per spiegarsi o che gli chiedesse di tornare al ballo, ma lei sembrava non aver alcuna intenzione di fare nessuna delle due cose, rimaneva solo lì a guardarlo veramente dispiaciuta. Come se stesse per fare qualcosa di estremamente deplorevole.
«Jade.. cosa..? » stava per chiedere ma non ebbe nemmeno il tempo di finire.
«Mi dispiace tanto Elijah » disse in un sussurro prima che il corpo dell’amico diventasse duro come la pietra e si schiantasse contro il pavimento dei sotterranei con un tonfo sordo. Nessuno lo avrebbe sentito, erano abbastanza lontani dalla Sala Grande e dalle stanze del professor Eastwood o dal dormitorio Serpeverde.
Eli continuava a guardarla, pietrificato con ancora quell’espressione confusa a deformargli il viso, non si era nemmeno reso conto che avesse tirato fuori la bacchetta dalla borsa.
Continuava a non capire cosa stesse succedendo, era tutto così privo di logica, surreale.. perché mai Jade avrebbe dovuto lanciargli contro un incantesimo del genere? Cosa stava succedendo? Voleva delle spiegazioni ma non poteva muoversi e non sapeva cosa fare..
«Prometto che ti spiegherò tutto, Eli, lo giuro » disse la ragazza chinandosi vicino a lui, la mano che ancora stringeva la bacchetta d’ebano, «Ma adesso non posso e mi dispiace così tanto che sia finita in questo modo, era il nostro ultimo Ballo d’Inverno, in fin dei conti.. mi dispiace tanto ».
«Sei in perfetto orario, piccola Jay » ghignò una voce alle sue spalle e Jade si voltò di scatto fulminando il suo interlocutore con un’occhiata di disappunto.
«Cosa ti aspettavi? » rispose alzandosi in piedi, una mano corse subito a sistemare la gonna del vestito, «Non sono d’accordo con tutta questa faccenda ma non ho alternative, giusto? In più me l’ha chiesto lo zio Draco.. vediamo di muoverci almeno ».
«Sei ancora arrabbiata con me, vero? » chiese l’altro con una punta di rammarico e Jade sbuffò infastidita.
«Non sono arrabbiata, sono solo delusa » rispose fredda, «Ma a quanto pare è un vizio degli uomini farmi tante moine solo per chiedermi qualcosa in cambio ».
«Dovevo guadagnarmi la tua collaborazione, era il modo più semplice, altrimenti non mi avresti nemmeno ascoltato. E non erano solo moine, te l’ho già detto ma tu continui a non credermi.. ».
«Lasciamo perdere questo discorso, sa di vecchio ormai » lo bloccò con un gesto secco della mano, «Devi solo bere la polisucco e metterti i suoi vestiti poi potremo andare ».
«Hai notato qualcosa di strano? » chiese il mago bevendo un sorso di pozione con una faccia decisamente schifata.
«Se tralasciamo la Harris che sembra non aver intenzione di accanirsi contro Scorpius almeno per questa sera direi di no, le ha accidentalmente pestato l’orlo del vestito e lei non ha fatto niente » spiegò Jade con noncuranza, «Sarà lo spirito natalizio o qualcosa di simile ».
Intanto Elijah continuava a starsene immobile sul pavimento freddo, sempre più confuso, chiedendosi perché Caleb McDuff avesse preso il suo aspetto davanti ai suoi occhi e meditasse di rubargli i vestiti.
Che diamine stava succedendo?!







Note dell'autrice:
Buonasera a tutti!!
Allora, il capitolo finisce oscenamente, lo so.. e questo succede perché si presuppone un seguito che giuro arriverà prima della fine dell'anno, e visto che siamo a gennaio credo di potercela fare :) Sul capitolo non ho niente da dire se non che inspiegabilmente il mio amore per Katherine Wetmore continua a crescere di giorno in giorno, per lei e per Joshua che sono gli unici due personaggi che si scrivono praticamente da soli, credo potrei anche scrivere una storia solo su di loro e mi divertirei comunque un sacco :)
Dopo queste blande considerazioni, ci tengo a ringraziare di cuore chi segue, preferisce e ricorda la storia, chi semplicemente la legge e chi mi grazia con una recensione, prima o poi risponderò, lo prometto!! Sono un'autrice pessima ma amen..sopportatemi finchè potete ;)
Tanti baci,

Najla






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Capitolo 19
*** Falsi sorrisi e piani di omicidio ***


Sedicesimo Capitolo
Falsi sorrisi e piani di omicidio
Parte 1

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Grande, ore 22.51
Jade si bloccò di fronte al tavolo degli alcolici indecisa sul da farsi ma assolutamente certa della necessità di qualcosa di forte, agguantò un bicchierino arancione e lasciò che il contenuto le bagnasse le labbra e le bruciasse in gola. Grazie al cielo aveva trovato il whiskey incendiario.
«Sei più brava di quel che pensassi, sai? » disse il ragazzo che se ne stava alla sua destra, con le braccia incrociate al petto e il corpo rivolto verso la pista da ballo, gli occhi verdi osservavano attenti tutto ciò che li circondava, «Mi aspettavo di doverti dire di rilassarti, di stare tranquilla, di comportarti normalmente.. e invece sembri del tutto a tuo agio ».
Lei fece una smorfia seccata lanciandogli un’occhiataccia. Non era a suo agio, proprio per niente. Sentiva lo stomaco sottosopra per l’ansia e non aveva fatto altro che sentirsi in colpa per quello che aveva fatto a Elijah da che lo avevano spogliato e chiuso nello stanzino delle scope.
C’erano talmente tante cose che potevano andare storte nel loro piano e lei continuava a ripetersele come un mantra all’apice dell’autolesionismo: qualcuno poteva trovare Eli, qualcun altro poteva rendersi conto che il ragazzo che le stava a fianco era un intruso, la polisucco poteva smettere di fare effetto prima del previsto e a quel punto mascherare Caleb di fronte a tutta la scuola sarebbe stato impossibile, lei sarebbe stata espulsa e sua madre l’avrebbe disconosciuta.
Perché finiva sempre in mezzo ai casini?!
Avrebbe dovuto rifiutare quando Caleb, poco più di una settimana prima le aveva spiegato perché, esattamente, fosse finito a lavorare dalla zia Rosmerta, allegando una lettera in cui lo zio Draco confermava tutte le fesserie che si era sorbita per una buona mezz’ora e la pregava di assecondare il vecchio compagno di scuola. Visto che il mittente era lo zio non si era trattata nemmeno di una vera richiesta quanto di un diplomatico ordine.
Prese un altro bicchierino di liquore e lo mandò giù in un sorso. Non avrebbe detto di no a prescindere da suo zio, era una ragazza sveglia e sapeva che le parole strage di innocenti e guerra non venivano mai pronunciate con leggerezza in tempo di pace, e se lei poteva dare una mano facendo entrare un giovane agente del Ministero nella scuola per permettergli di indagare in incognito, l’avrebbe fatto senza problemi.
Ci pensò per un secondo con il bicchiere ancora in mano e sgranò gli occhi quando la consapevolezza di quel pensiero la colpì come un treno in corsa. Lo zio Draco sapeva benissimo che non avrebbe mai rifiutato. Sapeva che la sua indole da Grifondoro non l’avrebbe fatta esitare troppo..
A Natale c’avrebbe fatto due chiacchere, poco ma sicuro.
Maledetta Serpe..
«Cosa devo dirti? » commentò caustica, ben attenta a non farsi sentire da orecchie indiscrete, «Avrò un talento naturale nel raccontare balle, forse sono un’attrice mancata».
Caleb ridacchiò di gusto, «Questo sicuramente, staresti bene nella squadra di Spionaggio del Ministero, pensaci ».
«Ingannare le persone e usarle a mio piacimento? » insinuò voltandosi per guardare i suoi compagni di scuola divertirsi spensierati, «Non credo sia la vita che fa per me ».
«È per un fine più alto, Jay, pensa a questo ».
«Nessun fine vale quello che ho fatto stasera » rispose seccata correndo con il pensiero ad Eli. L’ennesima fitta allo stomaco le fece storcere il naso.
«Eppure questo non ti ha fermata. Certe volte qualcosa va sacrificato, per ottenere una vittoria ».
«Comincerò a considerarla una vittoria quando troveremo qualcuno di abbastanza sospetto da essere ricollegato agli Illuminati. Fino ad allora sarà solo un grande errore ».
Caleb non ribatté nulla, infilando le mani in tasca ed evitando di smontare tutte le convinzioni di quella ragazzina ancora convinta che il mondo si potesse aggiustare con onestà e buone azioni.
«Visto qualcosa di interessante fino ad ora? » chiese allora Jay, impaziente di mettere la parola fine a quella serata.
«Per ora no.. » rispose meditabondo, «Siamo abbastanza sicuri che chiunque si sia infiltrato qui per conto del Tyr sia estremamente versato negli incantesimi, quindi abbiamo escluso tutti gli studenti al di sotto del livello GUFO. Terrei d’occhio gli studenti del sesto e settimo anno, e gli insegnanti ovviamente.. c’è qualcuno di assente, questa sera? ».
«Molly Weasley è l’unica a mancare dell’ultimo anno.. del sesto credo di averli visti tutti, esclusi un Tassorosso, che sono sicura sia in infermeria e la ragazza che doveva venire qui questa sera, anche lei a Tassorosso. Ma ho sentito spesso Rose lamentarsi di quanto sia incapace, quindi dubito possa essere la pedina che stiamo cercando ».
«Manca Eastwood o mi sbaglio? » buttò lì osservando la Harris che se ne stava in piedi in un angolo, smozzicando qualche parola con Dobrev, il professore di Trasfigurazione.
«Pare che si sentisse poco bene, per questo motivo la Hastings ha chiesto a me e a Mordecai di dare una mano a controllare chi entra ed esce dalla Sala.. mancava un supervisore e noi siamo i Caposcuola ».
«Adesso c’è Mordecai alla porta, quindi » concluse adocchiando il gemello dell’aspetto che aveva preso. Da quando erano entrati aveva evitato accuratamente di avvicinarsi sia a lui che a Ian. Jade era convinta che si sarebbero accorti dell’inganno semplicemente guardandolo, per quanto Caleb fosse un attore pressoché impeccabile.
«In realtà adesso sarebbe il momento di dargli il cambio » sospirò controllando l’orologio da taschino che teneva nella borsetta prima di rivolgere al suo accompagnatore un sorriso tanto falso da farle male alle guance.
«Vuoi seguirmi, Elijah? ».

«Faith è carina stasera, non pensi? » Albus si voltò confuso. Che Rose se ne uscisse dal nulla con un discorso a caso era normale amministrazione, eppure questa volta aveva la sensazione che la casualità centrasse ben poco.
Sua cugina aveva la mente di uno stratega e la parlantina di un magiavvocato, un mix micidiale. In definitiva, se Rosie voleva qualcosa difficilmente non la otteneva e la fortuna di tutti stava nel fatto che normalmente non volesse niente.
«Sì, è molto graziosa » rispose offrendole un bicchiere pieno di un liquido verde acido che sapeva di finocchio, «Vuoi? ».
«No, grazie » disse storcendo il naso disgustata, «Ho smesso con quelle cose, d’ora in avanti solo acqua e succo di zucca ».
Albus scoppiò a ridere, «Non berrai mai più, vero? ».
«Esattamente » annuì convinta, «La mia storia con il whiskey è stata breve ma sufficientemente intensa da farmene pentire ».
«Era solo la Festa d’Inizio.. ».
« …e mi sono svegliata in mutande sul pavimento del bagno. Sorvoliamo ».
«Ti dirò che a Scorpius non è dispiaciuto per niente » commentò ridacchiando e Rose gli tirò un pugno sul braccio arrossendo fino a diventare del colore dei capelli e del vestito.
«Sei simpatico come una bacchetta in un occhio » smozzicò cercando di tornare di un colorito normale. Era abbastanza sicura di aver inventato una nuova tonalità di rosso quando Scorpius si era preso la briga di svegliarla entrando abusivamente nella loro camera.
Non si era mai vergognata tanto in vita sua, in mutande, con una guancia sporca di bava, un alito da tramortire un gigante e la faccia perplessa e un po’ preoccupata di Scorpius Malfoy a un soffio dalla sua. Il troglodita aveva avuto pure il coraggio di dire: «Weasley, non sapevo avessi tutte queste tette ».
Lei l’aveva guardato confusa, chiedendosi cosa centrassero in quel momento le sue tette e lui aveva accennato con un ghigno smaliziato al suo petto.
Era letteralmente morta di vergogna.
Per fortuna Malfoy non aveva fatto troppo il bastardo, aveva riso, le aveva lanciato una vestaglia e aveva promesso che non avrebbe detto niente a nessuno.
Ovviamente Albus non era incluso nel suo concetto di nessuno.
«Weasley, ci siamo mascherate da fragola, questa sera? Non ti hanno detto che Halloween è passato da un pezzo? ».
Parli del diavolo..
«Disse quello che si è fatto leccare i capelli da una mandria di vacche prima di uscire » rispose piccata lanciando un’occhiata bieca ai suoi capelli lucidi di brillantina.
«Come sei sboccata, Weasley » la rimproverò e Rosie sorrise meditando di togliergli definitivamente le corde vocali.
«Non vuoi davvero una risposta ».
«No, infatti.. di cosa stavate parlando? » chiese impossessandosi di una ciotolina piena di nocciole ricoperte di cioccolato, «Adoro questi cosi.. ».
«Di quanto Faith sia carina, questa sera » rispose prontamente Rose prima che il cugino potesse dire qualsiasi cosa.
«Volevi farlo parlare di Vanille, vero? » il biondo si mise in bocca altre due noccioline e la guardò alla ricerca di una conferma.
«Non credere di poterti estraniare da questa conversazione »  rimbeccò lei incrociando le braccia al petto, «Vi state comportando come due bambini ».
«Io non ho fatto niente! » protestò Malfoy.
Rosie roteò gli occhi spazientita.

«Ah no, certo, la trattate come un’appestata! ».
«Beh.. ha ammesso che le piace James Potter, qualche problema deve averlo davvero ».
Albus alzò gli occhi al cielo, combattuto tra la naturale voglia di scoppiare a ridere come un isterico e quella di scoppiare a piangere.
Pensandoci a posteri non poteva fare altro che darsi del cretino.
Non aveva ancora ben capito come gli fosse venuta l’idea di invitare Vanille a Hogsmade, spiattellarle tutti i suoi sentimenti e invitarla al Ballo d’Inverno, mandando a farsi benedire anni di amicizia e auto ramanzine sulla falsariga di non con Vì, mai con Vì, Vanille no.
Forse era stata la sensazione che in un qualche modo lei si stesse allontanando a convincerlo a farsi avanti, o forse era stato solo un colpo di testa. Alla fine era un Potter anche lui, no? Poteva permettersi di fare qualcosa di impulsivo e avventato ogni tanto, giusto? James faceva sempre la prima cosa che gli veniva in mente e gli andava sempre bene..
Peccato solo che lui non fosse suo fratello.
Peccato su un sacco di fronti, vista la situazione. Se fosse stato suo fratello si sarebbe risparmiato la faccia da ebete stordito che sicuramente aveva fatto quando Vì gli era arrossita davanti e aveva mugugnato sinceramente dispiaciuta "credo di essermi presa una cotta per James.. ".
Quella sarebbe rimasta impressa nella sua memoria come la più grande delle sue figure di…
«Santo Merlino! Le piace James, e allora? Tu sei venuto qui con Myra Wade! » rispose Rose pronunciando il nome della nuova fiamma di Scorpius con un tale disgusto che ad Albus venne quasi da pensare che il discorso fosse magicamente virato su pustole e verruche.
«È la mia ragazza, Weasley, con chi sarei dovuto venire? Con te? ».
Per qualche motivo sia a Rose che ad Al quello parve decisamente un colpo basso.
«Con qualcuno che abbia un quoziente intellettivo superiore a quello di una patata. Sarebbe stato apprezzabile » ribatté seccata e Scorpius si accigliò parecchio.
«Non mi va che tu offenda la mia ragazza, Weasley, non la conosci nemmeno ».
«So che puoi aspirare a qualcosa di meglio ».
Albus sapeva che Scorpius non sarebbe riuscito a stare zitto nemmeno quella volta, ma sperava almeno che Rose non lo spedisse in infermeria con qualche osso rotto o senza bocca, come era già successo.
Aveva dell’incredibile che Rosie Weasley fosse un passo avanti a tutti sempre e comunque, tranne quando si ritrovava a discutere con Scorpius Malfoy.
«Almeno io una ragazza ce l’ho, tu cosa hai promesso a Cole Thomas per convincerlo ad accompagnarti stasera? Perché io ti ho vista nuda e.. ».
Il suono di uno schiaffo costrinse Albus a voltarsi di scatto verso i due. La mano di Rose era ancora alta e sulla guancia bianca di Scorpius si stava delineando il segno rosso di una cinquina coi fiocchi.
«Sei uno stronzo » sibilò furiosa e amareggiata prima di lanciare un’occhiata ad Albus, «Vanille è una tua amica, lo era anche prima che ti innamorassi di lei, non vuoi davvero tagliarla fuori dalla tua vita e lo sappiamo tutti e due. La cosa giusta da fare sarebbe parlarle, ma se vuoi continuare a comportarti come un bambino non sarò certo io ad impedirtelo ».
Detto questo se ne andò diventando un puntino rosso nella folla.
«Mi ha tirato una sberla » biascicò Scorpius ancora sotto shock, Albus bevve un sorso di quell’orribile sostanza verde prima di rispondergli.
«Questa volta te la sei meritata ».
«Dovresti stare dalla mia parte! Io ti difendo sempre! ».
«Non è vero, mi difendi quando ho ragione » precisò il ragazzo infilando le mani nelle tasche, «E questa volta hai torto. Mi spieghi perché hai dovuto tirar fuori la faccenda del bagno? A volte sei proprio uno stronzo ».
«Ma è Rose! » rispose come se quella fosse la giustificazione ad ogni suo commento bastardo o l’unico modo che conosceva per parlare con la compagna.
«Sarà anche Rose ma non è fatta di pietra ».
«Ti odio quando fai così » borbottò il biondo massaggiandosi la guancia lesa, «Io non ho commentato quello che è successo con Vanille, ti ho supportato e basta ».
«Ma io ho ragione con Vanille. Tu invece hai torto con Rose » gli fece notare come se gli stesse sfuggendo qualcosa di fondamentale.
Scorpius gli rivolse uno sguardo scettico.
«Sei così sicuro di avere ragione? ».
Albus lo guardò indeciso ma alla fine non rispose.

Katherine prese a massaggiarsi le tempie con un certo vigore mentre guardava irritata la faccia da babbeo di Josh, seduto a terra e circondato da uno sterminio di bicchierini vuoti.
Lo stava odiando con ogni fibra del suo essere.
Quel maledetto aveva osato ubriacarsi al suo meraviglioso ballo ed ora la fissava come se provenisse da Saturno. La sua accompagnatrice sembrava essere sparita chissà dove, Damian, neanche a porsi il problema, era imbucato con Charity a fare Merlino solo sapeva cosa, e lei era convinta che se anche avesse chiesto a qualcuno di portare quel demente in un bagno per farlo rinsavire, come minimo si sarebbe vomitato sulle scarpe.
Era sicura al milleeunopercento che quell’idiota si fosse ubriacato di proposito per rovinarle la festa. Guardandolo lo sentiva. Istintivamente sapeva che dare fondo alle ciotole di liquore era stata una cosa premeditata.
Lo avrebbe ucciso, ma avrebbe aspettato che fosse sobrio e si sarebbe goduta ogni istante delle orrende torture con cui stava progettando di spedirlo all’inferno.
«Buonasera, Wetmore » sorrise il beota, il farfallino verde storto quasi quanto gli occhiali, «Anche tu qui? ».
«Te la farò pagare » rispose serissima meditando di portarlo fuori di lì a suon di calci in culo.
«Oddio.. sembri una zucca di Halloween » prese a ridere lui ignorandola e Kath era anche piuttosto sicura che non l’avesse nemmeno sentita, «Come cavolo ti è venuto di vestirti di arancione! ».
«È un vestito bellissimo, mi sta divinamente e tu sei un ignorante » rispose acida incrociando le braccia sotto il seno.
«Infatti sei una zucca molto sexy » disse quello ammiccando. Con quel gesto Katherine ebbe la certezza che fosse definitivamente sbronzo.
«Tu devi andare a morire da un’altra parte, lo capisci? Stai rovinando l’atmosfera » disse con tutto il falso dispiacere di cui disponeva, tendendogli una mano, «Adesso verrai con me, ti scaricherò in dormitorio e poi farò finta che tu sia già finito dieci metri sotto terra, così questa tornerà ad essere una serata perfetta ».
«Sei un angelo, Kath » afferrò incerto la mano della compagna e si appoggiò al muro per tirarsi su, non sapeva perché ma gli girava la testa.
«Wetmore, per te » abbaiò tenendolo in piedi quando cominciò a pendere verso sinistra, «Vedi di non allargarti troppo, Nott ».
Josh non rispose, rimase solo a guardarla imbambolato, con la bocca dischiusa e gli occhi sbarrati, tanto che per un attimo Kath pensò che l’alcool gli avesse davvero fritto il cervello.
«Cammini o devo trovare qualcuno che ti prenda in braccio? » brecciò seccata, ma ancora una volta Joshua non reagì, troppo concentrato a fissarla come se la vedesse per la prima volta. Aveva proprio un bel viso, Katherine, e soprattutto aveva delle bellissime labbra.. sembravano così morbide.. anzi, a voler essere precisi lui sapeva che erano davvero tanto morb..
«Nott? Ti senti bene? » chiese attenta, preoccupata che le vomitasse in faccia, più che altro.
«No.. » rispose lui dopo un po’ spostando lo sguardo dalla sua bocca a un punto indefinito alle sue spalle, «Credo che vomiterò.. ».
La Wetmore sbarrò gli occhi allibita.
«Che cosa vuoi fare tu? Scordatelo! » esclamò afferrandolo per trascinarlo verso l’uscita, «Tu stringerai i denti finché non saremo fuori di qui. Giuro su Merlino, Nott, se ti azzardi a dare di stomaco prima che io ti abbia chiuso in bagno ti ammazzo sul serio.. ti trucido.. ti scuoio, mi hai capita?! ».
«Agli ordini.. » riprese a ridere seguendola diligente e Katherine sentì le corde dell’omicidio vibrare pericolosamente.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Terrazza, ore 22.57
Non era brava a gestire determinate situazioni, semplicemente non le veniva naturale e davvero non era colpa sua. Forse il problema era il suo codice genetico o il fatto di essere cresciuta con la compagnia di un elemento come Fred Weasley, o forse era proprio una questione di spirito e lei non era fatta per confrontarsi con gli uomini in un campo diverso da quello da Quidditch.
Sua nonna cercava di consolarla dicendole che non era colpa sua, era solo che non aveva ancora trovato quello giusto. Sua madre, che sapeva perfettamente che non c’era nessuno da consolare perché Rox non sentiva la situazione come qualcosa di negativo, le aveva detto che evidentemente era capacissima di bastarsi da sola senza il bisogno di interventi esterni, e suo padre si era detto pienamente soddisfatto della prospettiva di vederla sempre sola soletta a vagare per il mondo, senza cattivi figuri a corromperla. Fred, invece, da bravo fratello maggiore qual era, le aveva fatto notare che forse un uomo avrebbe potuto aiutarla a moderare la sua acidità innata con tante fantasiose pratiche.
Inutile dire che a Roxanne l’allusione non era piaciuta per niente e ne era uscita una zuffa alla babbana, cominciata con un pugno sulla spalla e conclusasi con un pacco di ghiaccio sugli zebedei di Fred e un cerotto grande come il loro appartamento sulla fronte di Roxie. La combinazione fratelli Weasley-mobili del salotto si era rivelata più disastrosa del previsto e alla piccola di casa era toccato un sfregio che la madre si era preoccupata di cancellare con un colpo di bacchetta solo parecchi giorni dopo, come punizione.

La conclusione era rimasta comunque la stessa: non era colpa sua se non era capace di avere quel tipo di rapporto con un ragazzo, non era nel sua DNA.
Volendoci pensare davvero, si rendeva conto che probabilmente quello era uno dei motivi per cui odiava tanto la presenza ingombrante di Lorcan nella sua vita. Tralasciando il fatto che la sua avversione per il biondino nascesse dal suo essere un presuntuoso, irrecuperabile pallone gonfiato, Roxanne si rendeva conto che parte del motivo per cui rifiutava così strenuamente le attenzioni del Corvonero era da imputarsi al suo sentirsi inadeguata ogni volta che c’aveva a che fare. Semplicemente non era capace di assecondarlo, e per quanto lo ritenesse un pensiero estremamente stupido, almeno una volta le sarebbe piaciuto esserne in grado, giusto per vedere come sarebbe andata a finire. Non che credesse a tutte le moine che quel demente le faceva. Era perfettamente consapevole che fosse tutta una grande presa per il culo giocata sul fatto che lei quelle situazioni non le sapesse proprio gestire, ma le sarebbe piaciuto davvero tanto riuscire a capire fino a dove Lorcan fosse disposto a spingersi con quello scherzo che durava ormai da troppi anni.
Diciamocelo, Lorcan Scamander non poteva provare nessun tipo di sentimento romantico nei suoi confronti, sarebbe stato troppo anche per il loro mondo, in cui le scale cambiavano direzione e le scope volavano al posto di spazzare il pavimento.
Lorcan era carismatico, disgraziatamente intelligente, e avrebbe potuto avere ogni cosa dal mondo, mentre lei era solo Roxie. La Roxie che bastava a se stessa senza essere una cima a scuola, senza la necessità di piacere per forza a qualcuno e con l’unica certezza di fare meraviglie su una scopa. Lei era lei e si andava benissimo così, ma era impossibile che potesse andare bene a uno come Lorcan.
Era talmente lineare il discorso e nella sua mente filava così bene che non aveva mai pensato a una conclusione diversa, a qualche variante. Se ad esempio qualcuno le avesse detto che Lorcan era davvero innamorato di lei, probabilmente sarebbe morta dal ridere.
Per questo non si era mostrata troppo insofferente quando si era resa conto di aver detto sì all’invito al ballo, un sì magico, tra l’altro, uno di quelli vincolanti. Ad essere onesta l’aveva visto come un modo per sbloccare quell’ultimo taboo. Sia mai che Roxanne Weasley si spaventi di fronte ad un ballo a coppie e si era calata talmente tanto nell’impresa da indossare persino una gonna e un paio di trampoli. Aveva decisamente superato se stessa, e probabilmente sua madre e la McGranitt vedendola quella sera sarebbero scoppiate a piangere commosse: non erano mai riuscite a farle infilare la gonna della divisa, figurarsi un intero vestito!
«Mi spieghi perché siamo qui? » si risolse a chiedere accarezzando distrattamente una delle fiammelle che Lorcan aveva fatto apparire per scaldarli. Il disgraziato era riuscito nella malsana impresa di convincerla ad accompagnarlo fuori per prendere una boccata d’aria, e i due si erano ritrovati sulla piccola terrazza sopra la porta principale del castello a guardare la neve e il ghiaccio che avevano ricoperto ormai ogni cosa.
«Avevo bisogno di un po’ d’aria fresca » rispose lui scrollando le spalle e Roxanne gli lanciò un’occhiata in tralice.
«La tua aria fresca ci ghiaccerà i polmoni se ne respiriamo ancora un po’ » gli fece notare, «E poi tu saresti quello intelligente.. ».
«Qualcuno dei due deve esserlo. Tu sei quella violenta e irascibile, io quello bello e intelligente » commentò Lorcan piuttosto sicuro delle proprie idee, «Se fossimo stati tutti e due brillanti saremmo stati una coppia mal assortita, non credi? ».
«Primo, noi non siamo una coppia » ribatté a tono Roxanne con una vena d’irritazione pulsante minacciosa sulla fronte scoperta, «Secondo, sono violenta solo con te quindi, fossi nei tuoi panni, userei quel cervellino tanto sveglio per farmi qualche domanda ».
«Ammettilo Weasley, senza di me la tua vita sarebbe davvero noiosa ».
«Forse, ma i miei nervi farebbero festa ».
Lorcan annuì con il solito ghigno e si girò verso di lei, appoggiando i gomiti e la schiena alla balaustra. La guardò un po’ prima di cambiare totalmente discorso.
«Ho deciso cosa fare quando finirò la scuola » disse e Roxanne corrugò la fronte a metà tra un tacito invito a proseguire e un ben meno educato cosa dovrebbe importarmene, ma aspettò di sentirlo continuare prima di parlare.
«Ho inviato una lettera all’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale, dicendogli che ero interessato ai loro stage estivi e loro hanno risposto offrendomi di affiancare l’equipe dell’ambasciatore inglese a Parigi, se dovessi completare i miei MAGO con dei buoni voti ».
Roxanne sgranò gli occhi sorpresa e l’unica cosa coerente che riuscì a pensare fu che Parigi non era in Gran Bretagna ma in Francia, in un altro Stato, distante.
Non le piacevano i cambiamenti e per quanto odiasse Lorcan non era sicura di volerlo veder sparire così dal nulla, ma cercò di tenersi le proprie fisime per sé. Sia mai che qualcuno potesse insinuare che ci teneva.
«Beh, ben per te, immagino » spiaccicò non sapendo bene cosa dire. Lorcan annuì di nuovo ma a Roxanne parve poco convinto.
«Già, vuol dire che i tuoi nervi presto potranno riposare » buttò lì e Rox lo vide come un buon appiglio per alleggerire un clima che non le piaceva particolarmente.
«Dovrò sopportarti ancora sei mesi, Lorcan. Avrai centinaia di occasioni per darmi fastidio prima di partire per Parigi, non devi disperarti » ironizzò puntando una mano sul fianco, ma Lorcan non sembrò disposto a darle corda.
«Mi piacerebbe fare qualcos’altro piuttosto che darti fastidio, in questi sei mesi » ammise in quella che alle orecchie sorde di Roxanne suonò come l’ennesima presa per il culo.
«Se non coinvolge la mia persona puoi fare quello che vuoi ».
«E se invece nei miei progetti ci fossi anche tu? ».
«Sono sicura saprai attrezzarti diversamente » concluse con un’alzatina di spalle poi, deciso che i discorsi di quel biondino le piacevano sempre meno, lo salutò lamentandosi del freddo e girando i tacchi verso la porta da cui erano arrivati.
Non ci fu una frase ad effetto. Niente risposta sicura e convinta sulla falsariga di non voglio attrezzarmi diversamente o qualcosa di simile, non ci fu nemmeno un discorso sentito e romantico sul perché esattamente solo lei andasse bene per lui. Pensandoci a posteri, Roxanne avrebbe voluto un po’ di teatralità in più per il suo primo bacio. Che cavolo, lo aveva aspettato diciassette anni e glielo stava deliberatamente rubando Lorcan, un minimo di.. di qualcosa le era dovuto!
Si sentì afferrare per un braccio e quasi perse l’equilibrio, già precario per colpa di quelle cose infernali che teneva ai piedi. Si tenne in piedi solo stringendo una mano sulla spalla di Lorcan e probabilmente non si rese conto di quel che stava per succedere solo perché era troppo impegnata a cercare l’insulto giusto con cui cominciare la sequela.
Non c’era stato nemmeno quell’incrocio di sguardi tipico dei film.
Registrò le labbra di Lorcan premute contro le sue con qualche secondo di ritardo e percepì la mano stretta attorno al suo polso allentare la presa per risalire fino alla base del collo come qualcosa di incredibilmente distante.
Alla sorpresa seguì immediatamente il panico perché, come già detto, lei queste cose non sapeva nemmeno da che parte prenderle, e quando il ragazzo si staccò sentendola irrigidirsi, al panico si sostituì la rabbia. Non tanto rivolta verso di lui, che aveva avuto l’unica colpa di essersi comportato da demente, come sempre, quanto rivolta verso se stessa, perché si era distratta e non gli aveva tirato un pugno sul muso quando ne aveva avuto la possibilità.
«Vaffanculo, Scamander » le uscì in un sibilo mentre lo spingeva il più distante possibile, «Questo è troppo ».
Lorcan sbarrò gli occhi confuso ma Roxanne non se ne accorse. Lo guardò disgustata prima di girarsi di nuovo e lasciarlo lì con la bocca dischiusa e l’espressione di chi non ha capito niente.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Scale verso il Piano Piano, ore 23.12
«Ma quanto ho bevuto? » biascicò Elijah sentendo la bocca tremendamente impastata, una sensazione molto simile a quella che provava dopo aver dormito per troppo tempo.
Jade sospirò tenendolo a braccetto mentre salivano le scale verso il dormitorio. Alla fine era andato tutto bene, Caleb era tornato se stesso, Elijah era stato obliviato e depietrificato e, se si escludeva un naturale senso di confusione generale che Jay aveva deciso di imputare all’alcol, stava una favola. Lei si sentiva ancora una persona orribile, soprattutto alla luce del fatto che, al contrario delle previsioni ministeriali, quella notte non era ancora successo nulla che avesse a che fare con gli Illuminati, quindi lei aveva chiuso il suo migliore amico in uno sgabuzzino per niente. Avrebbe trovato il modo di farsi perdonare anche se Elijah non avrebbe mai saputo per cosa.
«Parecchio, Eli » rispose, «Possibile che non te ne ricordi? ». Mentire in quel modo le veniva decisamente troppo naturale e non era una cosa per niente buona.
«Merlino, Jay.. non ricordo niente.. » Elijah portò una mano a massaggiarsi le tempie perché la testa gli stava letteralmente esplodendo.
«Mi spiace costringerti ad andare via così presto » disse dopo qualche scalino e Jade si sentì morire dentro. Morse a sangue l’interno della guancia per impedirsi di spiattellare tutto quello che era successo. Eli non meritava quello che gli aveva fatto e nascondersi dietro al fatto che in fin dei conti non aveva avuto alternative, che era tutto per un fine effettivamente più grande, non sembrava nemmeno lontanamente sufficiente.
«Ti riaccompagno su e poi devo tornare giù per la sorveglianza, quindi in realtà mi sto solo prendendo una pausa dalla festa, non ti preoccupare ».
«Ma mi spiace lo stesso.. te l’avevo promesso.. ».
«Eli.. » cominciò cercando di dirigere la conversazione in altri lidi, perché se l’avesse sentito scusarsi un’altra volta non avrebbe più risposto della propria capacità di volere e si sarebbe sputtanata in tempo zero. Poi intravide la figura di Roxanne venir loro incontro dall’altro capo della scalinata e le sembrò un bel modo per distrarre Eli.
«Rox? E tu che ci fai qui? » chiese sinceramente incuriosita nel vedere l’amica con la testa bassa e le mani nelle tasche del vestito. Sembrava quasi.. triste?
Non ricordava di aver mai visto Roxanne solamente triste, era un’emozione troppo semplice per un’estremista come lei, che o era euforica o era disperata, quasi le vie di mezzo non sapesse nemmeno come fossero fatte.
«Sono andata un attimo in bagno.. tra l’altro lì dentro c’è Nott che sta vomitando l’anima » spiegò mogia, «E la Wetmore sta dando i numeri come un’isterica ».
«La Wetmore? » si inserì Eli perplesso, Roxanne annuì appena inclinando la testa di lato, per guardarlo meglio in faccia.
«Non so cosa sia successo, ma pare che Nott si sia ubriacato per farle un dispetto e lei lo abbia trascinato in bagno per impedirgli di rigettare direttamente nella Sala Grande. Perché poi non l’abbia lasciato a se stesso non l’ho capito ».
«Quei due non dovrebbero bere.. finisce sempre male.. » ridacchiò Faraday e di fronte allo sguardo interrogativo delle due ragazze si decise a continuare, «Alla Festa d’Inizio si sono baciati approfonditamente e a quanto pare Katherine se n’è completamente scordata.. Josh ci marcia sopra da allora e lei non lo sopporta ».
«Oddio.. Josh e la Wetmore? Insieme? » sgranò gli occhi Jade sconvolta, Roxanne si irrigidì appena, non era decisamente serata per parlare di baci e coppie improbabili.
«Avevano bevuto » ci tenne a ricordare il ragazzo come se questo bastasse a scusare ogni cosa.
«Ho capito ma.. Si detestano da anni! Pensa lo scandalo se si sapesse in giro.. a te chi l’ha detto? ».
«Rowena, ha detto di averli visti ».
«Non posso credere che la Dale spettegoli con te della Wetmore ».
«Non ci credere » concesse Elijah con un ghigno, Jade alzò gli occhi al cielo conscia che se avessero continuato a parlare di Rowena sarebbero rimasti lì tutta la notte, così deviò nuovamente l’attenzione su Roxanne.
«E Lorcan dov’è? Non l’ho visto in Sala » chiese aspettandosi di vederla dare in escandescenze come ogni volta in cui il nome dello Scamander sbucava in un discorso. Invece questa volta la Weasley si oscurò ancora di più, abbassando di nuovo lo sguardo a terra.
«Non ne ho idea e non mi interessa.. può morire per quel che mi riguarda » rispose lapidaria e persino ad Eli quel tono suonò un po’ troppo duro.
«Ma che diavolo ha combinato? ».
«Non è importante » tagliò corto insospettendo Jade ancora di più, «State andando in dormitorio, vero? Posso venire con voi? Non penso di aver voglia di tornare giù ».
«Roxanne, ma cosa.. » provò a dire Jay prima che un urlo riecheggiasse nel corridoio a pochi gradini da loro.
Roxanne spalancò gli occhi voltandosi mentre Jade mollava la presa sul braccio di Elijah e afferrava velocemente la bacchetta, il compagno, quasi in sincrono, fece altrettanto.
«Che cavolo è stato? » mormorò Roxie mettendo mano alla bacchetta e apprestandosi a salire le scale. Nessuno dei due rispose, ma di tacito accordo la seguirono e cominciarono a percorrere il corridoio in direzione dei bagni, l’unico posto dove potesse esserci qualcuno a quell’ora e da quelle parti.
Jade sentì il cuore accelerare i battiti mentre il ticchettare della scarpe si faceva sempre più veloce sul pavimento di pietra. In fondo poteva essere anche solo un urlo della Wetmore che era definitivamente andata fuori di testa, era perfettamente plausibile: Katherine non sembrava una persona molto stabile, magari Josh le aveva semplicemente vomitato sul vestito e lei aveva dato di matto urlando.
L’intuito le diceva che non era così, che c’era qualcosa di profondamente sbagliato nel loro incedere così veloci nei corridoi del castello, lo spettro delle urla durante la partita in cui James era caduto proprio sopra le loro teste.
Svoltarono l’angolo con le bacchette alte e Jade finì dritta addosso alla schiena di Roxanne, bloccata in mezzo al corridoio con gli occhi sbarrati.
«Eli, corri a chiamare la McGranitt » biascicò Jade perdendo qualche tono di colore mentre Katherine si voltava a guardarla con le mani sporche di sangue.











Note dell'Autrice:
Buonasera mondo! Allora, passate bene le feste? Spero vivamente di sì :)
Ora, non mi è bastato un anno per pubblicare il seguito di quel capitolo dove lasciavamo Elijah pietrificato su un pavimento ma c'ho lavorato e alla fine ce l'ho fatta, erano una ventina di pagine quindi ho deciso di dividerlo in due parti. Non preoccupatevi, la parte mancante verrà pubblicata a breve, due settimane probabilmente.. è già tutto scritto ma voglio prendermi un po' di tempo per valutare le vostre reazioni a questa prima parte, per quelle di cui mi arriverà testimonianza, ovviamente..

Detto questo voglio dedicare questo capitolo alle due anime pie che hanno recensito lo scorso capitolo, soprattutto a
B r e e  e alla sua bellissima recensione, senza la quale probabilmente non ci sarebbe stata nessun'altra pubblicazione. Il grazie che ti devo è immenso ma immagino tu lo sappia già. L'introspezione non è il mio forte ma cercherò di impegnarmi come ho sempre fatto ;)

Ringrazio ancora chi segue la mia storiella e tutti quelli che usano il proprio tempo per leggerla. Siete stati silenziosi e avrei voluto sentirvi un po' di più ma va bene anche così :)

Buonanotte a tutti e al porssimo capitolo,

Najla






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Capitolo 20
*** Falsi sorrisi e piani di omicidio. Parte 2 ***


Diciassettesimo Capitolo
Falsi sorrisi e piani di omicidio
Parte 2



Londra, Ministero della Magia, Ufficio del Sottosegretario Weasley, ore 23.12
«Io non posso credere che tu l’abbia davvero lasciato uscire dal Ministero! » esclamò Harry seguendo Hermione all’interno dell’ufficio. Ron alle sue spalle si occupò di chiudere la porta e sigillarla per evitare che tutti quelli che ancora occupavano le stanze all’ultimo piano godessero dello spettacolo del Capo Auror e del Sottosegretario del Wizengamot che si urlavano contro come ragazzini. Era incredibile come il tempo avesse ridefinito i ruoli del loro indistruttibile trio rendendo lui quello più calmo e ragionevole.
«La legge è la legge, Harry, mi pareva di averlo già chiarito davanti agli altri » rispose la donna piccata puntando una mano sulla scrivania, «Vorrei sapere come diavolo ti è saltato in mente di tenere quel ragazzo chiuso qui dentro per più di due ore! Potrebbe farci causa! Potremmo perdere ogni possibilità di incastrarlo e tutto perché tu sei la solita testa calda! ».
Ron decise di mettersi comodo, stendendo le gambe in avanti e rilassandosi contro lo schienale in pelle di una delle poltrone, sospirando internamente di fronte a quella che sarebbe stata una serata interminabile, mentre vedeva le orecchie di Harry fumare.
Quando aveva visto la moglie presentarsi alla porta del suo ufficio con un fascicolo bianco in mano e lo sguardo accigliato di chi sa di aver capito bene ma spera vivamente di essersi sbagliato, Ron sapeva già che le cose sarebbero andate male. Quando poi l’aveva sentita chiedere dove fossero Harry, Susan, Theo e il sospettato che avevano catturato, gli sarebbe tanto piaciuto dire che Elias Martin era stato rilasciato come da protocollo, che Harry era a casa da Ginny, che Theo era a casa da Olivia e che Susan stava dormendo nel proprio letto. Inutile dire che ad Hermione era bastato un nanosecondo per capire ogni cosa e procedere di gran carriera verso l’ascensore per scendere al piano delle celle.
Ron l’aveva seguita veloce sperando di calmarla e Ted, che non aveva nessuna intenzione di perdersi lo spettacolo, lo aveva imitato altrettanto celere.
Tutto sommato, una volta arrivati alla porta della cella numero 2, Harry si era mostrato abbastanza ragionevole. Aveva rilasciato Martin senza una parola e si era sorbito la ramanzina di Hermione sul perché esiste la Legge magica davanti a tutta la sua squadra senza battere ciglio e li aveva congedati affermando che si sarebbero visti alle 9.00 della mattina dopo, per la gioia di Susan che non dormiva da un paio di giorni.
Il fatto che avesse fatto tutto ciò guardando Hermione come se provasse l’impellente bisogno di staccarle la testa era un dettaglio decisamente trascurabile.

«Era uno di loro Hermione! Era fottutamente uno di loro e l’abbiamo lasciato andare! » quasi ringhiò Harry puntandole un dito contro. La donna si accigliò ancora di più chinando il busto in avanti, quasi volesse staccargli quel sacrosanto dito con un morso.
«Abbiamo solo prove indiziarie, lo vuoi capire o no?! Non abbiamo neanche quello che serve per portarlo di fronte ad una corte normale, figurarsi per portarlo di fronte al Wizengamot! Una traccia magica a casa di Sybil Zabini e qualche insulto non fanno di lui un criminale ».
«Nata.. » provò a protestare lui e lei ricominciò a scuotere la testa.
«Natalie è una strega con una dote straordinaria ma servono le prove Harry, o quelle o una confessione e noi non abbiamo nessuna delle due. Persino la sua bacchetta era pulita, Harry, più pulita di una bacchetta appena uscita dal negozio di Olivander.. non so come abbia fatto ma non c’era un incantesimo sospetto che fosse uno, l’hanno controllata in tutte le maniere possibili » sospirò Hermione, aggrottando la fronte, «Non c’era modo di tenerlo qui, mi sono limitata a.. ».
«Lo so, maledizione lo so! » sbottò massaggiandosi gli occhi stanchi, «Poteva portarci a chi ha attaccato James, Hermione, magari sapeva chi c’è dentro Hogwarts, magari.. ».
«Lo terremo d’occhio, Harry, al primo passo falso ti giuro che lo scorterò personalmente ad Azkaban ma c’è un protocollo da rispettare ».
«Potremmo anche decidere di aggirarlo e occuparcene in un altro modo.. » azzardò il Salvatore del Mondo Magico preso dallo sconforto ma Hermione uccise subito qualsiasi implicazione più o meno illegale quella frase potesse avere.
«No, non possiamo » rispose pratica riordinando alcuni documenti sulla scrivania solo per tenere le mani occupate, «Siamo figure importanti per tutta la comunità magica, siamo osservati ora come mai e se qualcuno dovesse cogliere uno di noi a fare un passo falso finiremo nel mirino, non solo della stampa, ma anche di tutti gli uffici ministeriali » alzò lo sguardo su Harry per sottolineare quanto fosse seria al riguardo, «Non costringermi a fermarti dal fare qualcosa di stupido, potrebbe non piacerti il modo in cui intendo farlo ».
«È inutile che lo minacci, Mione » si intromise Ron intrecciando le mani in grembo, «Non è uno dei tuoi lacchè e nemmeno un politico senza spina dorsale come la maggior parte dei tuoi colleghi.. Se ha intenzione di fare qualcosa di insensato lo farà comunque, come ha sempre fatto ».
«Ci sono modi diversi di guardargli le spalle » commentò Hermione tornando con gli occhi truccati su Harry, «Ti voglio bene, sei il mio migliore amico e ho dimostrato più volte che non c’è niente che non farei per te come per la mia famiglia, ma non ti permetterò di mandare all’aria tutto quello che abbiamo costruito qui al Ministero ».
«Non lo farò.. » si arrese lasciandosi cadere sull’altra poltrone con uno sbuffò rassegnato, «Non guardarmi così, Hermione! Ho detto che non farò niente e non farò niente ».
La donna lo studiò ancora un po’, cercando di capire se la stesse prendendo in giro o meno e decise che questa volta poteva fidarsi, si accomodò sulla grande poltrona rossa dal suo lato della scrivania e prese a tamburellare sul legno con le dita.
«Bene, visto che Martin è stato una tomba vi farà senza dubbio piacere sapere che Caleb questa sera non ha scoperto niente di particolare » cominciò sarcastica sorvolando sopra alle imprecazioni dei due uomini, «Ha fatto rapporto poco prima che scendessi a cercarvi ma ha detto che per qualche motivo la Fyfield è convinta si tratti di uno degli insegnanti.. non ha spiegato il perché, ma ritiene improbabile che uno studente possa creare tanto scompiglio senza lasciare tracce ».
«Giusto, non è come se nessuno fosse mai riuscito a combinare qualche casino in quella scuola e poi fosse riuscito a cavarsela senza nessuna ripercussione » borbottò Ron sarcastico, «Forse dovremmo chiedere a Mirtilla Malcontenta che ne pensa di questa grande intuizione ».
«Comunque sembra che almeno per questa sera si possa stare tranquilli » continuò la donna intrecciando le dita a reggere il mento, «Pensavamo che avrebbero scelto di colpire un altro grande evento ad Hogwarts, e invece non si sono mossi.. Forse gli Illuminati hanno cambiato bersaglio ».
«O forse si preparano a fare qualcosa di veramente or.. » il bussare fremente alla porta dell’ufficio bloccò Harry e attirò l’attenzione degli altri due che per un attimo guardarono l’entrata piuttosto perplessi.
«Signora Weasley, signora! » esclamò la riconoscibilissima voce di Philips, il povero mago che faceva sempre la spola  dagli Auror ad Hermione e viceversa, «So che è tardi ma c’è qui la Professoressa Hastings, viene direttamente da Hogwarts! ».
Ron si alzò già agitato e aprì l’uscio con un colpo di bacchetta.
La faccia scura della docente di Difesa contro le Arti Oscure fece capolino nella cornice della porta appena sopra i capelli ben pettinati di Philips. Indossava ancora il vestito della festa e a nessuno dei tre servì chiedere conferma di quanto doveva essere successo.
Harry sperò che non fosse un altro dei suoi figli.
«Chi? » esalò un’Hermione già pallida.
«Due ragazzi » rispose la donna guardandola con un velo di rabbia a colorare le iridi ambrate, «Uno siamo riusciti a tenerlo al castello, l’altro è al San Mungo e non sanno se arriverà a domani ».
Il pugno di Ron si abbatté sulla scrivania con la potenza di un tuono nel silenzio della notte.
Rabbia, frustrazione..
Ancora.

18 Dicembre XX

Londra, Ospedale magico San Mungo, ore 00.43
«È tardi, James » disse una voce risvegliandolo dai suo pensieri, «Dovresti riposare, domani sarà una giornata impegnativa ».
Jamie la ignorò come aveva fatto tutte le volte precedenti e tenne gli occhi fissi sul numero dorato affisso ad una porta identica in tutto e per tutto a quella della sua stanza, solo che questa stava su un altro piano, in un altro reparto, uno di quelli che di solito precedono l’obitorio. Per arrivarci aveva dovuto scendere due piani, quattro rampe di scale, perché se si fosse avvicinato agli ascensori l’infermiera di turno lo avrebbe beccato, e aveva quasi rischiato di rompersi l’osso del collo perché non sapeva ancora usare le stampelle che Nihila aveva avuto la gentilezza di procurargli dopo l’ultimo intervento. La sua guarigione stava procedendo talmente bene che i medimaghi si erano detti disposti a mandarlo a casa per le vacanze di Natale, a patto che tornasse a farsi controllare almeno un paio di volte alla settimana.
James non sapeva dire se tanta attenzione fosse dovuta al fatto che potesse peggiorare di nuovo da un momento all’altro o all’essere il figlio di Harry Potter.

«Pulce, ascolta i grandi per una volta » disse qualcun altro, «Già dovresti essere a letto e sei qui, non tirare troppo la corda.. ».
James avrebbe tanto voluto sputare nell’occhio della sua balia bionda, perché definire quello che stava facendo un capriccio era quanto di più insensibile si potesse fare, ma non sarebbe riuscito a staccare gli occhi da quella porta nemmeno volendo.
La notizia che qualcuno ad Hogwarts era stato aggredito era arrivata alla sua stanza per un catastrofico sbaglio mentre giocava a scacchi con la sua nuova guardia del corpo, Edward Harker, spedito lì dallo zio Ron poche ore prima. Il primo pensiero era andato a Lily e Albus, il secondo ai suoi amici e il terzo a tutti i suoi parenti e affini. Stupido a dirsi ma solo in quel momento si era reso conto di quanta gente importante per lui ci fosse in quella scuola. Era scattato in piedi prima che Ed potesse fermarlo e aveva zoppicato velocemente verso la porta, appena in tempo per vedere dei medimaghi correre insieme ad una brandina volante, poi l’Harker lo aveva preso per la maglia del pigiama e lo aveva trascinato di nuovo dentro sbarrando l’unico collegamento tra quella stanza e il resto dell’ospedale.
Nel giro di un quarto d’ora avevano scoperto cos’era successo e nel primo e unico attimo di distrazione della sua balia, James ne aveva approfittato per scappare e andare a vedere con i suoi occhi. A posteri, vista la facilità con cui il suo bodyguard e il suo medico l’avevano trovato, era parecchio sicuro che glielo avessero lasciato fare.
«James.. » riprovò Nihila ma il ragazzo si limitò ad intrecciare le mani in grembo, gli occhi sempre fissi davanti a sé.
«C’ero io dietro quella porta poco più di un mese fa » esalò sperando che gli altri due capissero qual era il vero problema, il motivo per cui non poteva andarsene, «C’era la mia famiglia nella stanzetta in fondo al corridoio.. c’era mia sorella che piangeva, mia madre che.. ».
Deglutì sentendo il naso pizzicare.
«Non è giusto che adesso ci sia un bambino.. ha solo undici anni e sta come stavo io un mese e mezzo fa.. ma lui ha undici anni ».
Nella sua testa il fatto che Matthew Lodge fosse solo al primo anno aveva un’importanza fondamentale, forse più del fatto che fosse finito in ospedale perché le cruciatus l’avevano portato a un passo dalla morte. Figurarsi che James non lo sapeva nemmeno che si potesse morire a causa della cruciatus, era convinto si impazzisse soltanto. Nihila gli aveva spiegato che se fosse stato di qualche anno più grande probabilmente i danni sarebbero stati minori e forse per questo il fatto che fosse un bambino nella sua testa aveva una rilevanza cruciale.
Prendersela con un innocente era di per sé un atto ignobile, se poi l’innocente era un bambino che sapeva a malapena tenere in mano una bacchetta..
«È orribile, James, hai ragione.. » rispose Nihila con il tono conciliante che usava quando aveva a che fare con i propri pazienti, quello calmo e attento di quando simpatizzava per i mali della gente.
«Non riesco a capire perché » continuò il ragazzo prima di voltarsi finalmente verso di loro.
Nihila avrebbe ricordato lo sguardo negli occhi di James per tutta la vita. Sapeva di disillusione, paura e disperazione, lo stesso sentimento non eclatante ma amaro che coglie di fronte a quegli eventi che non si possono cambiare, che bisogna accettare per forza, anche se non piacciono per niente. Quelli di Jamie erano gli occhi di un adulto che ha capito che niente è eterno, che la vita finirà anche per lui e non sa come gestire questa nuova consapevolezza, se ne sente solo schiacciato.
La medimaga ricordò quando lo stesso pensiero aveva colpito lei, forte come una cannonata, e agì d’istinto, lo abbracciò forte sperando di tenerlo un bambino spensierato ancora per qualche istante.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Ufficio della Preside McGranitt, ore 00.43
Jade si permise di sprofondare meglio nella poltrona tenendo gli occhi ben fissi nel liquido ambrato del the che la McGranitt aveva fatto apparire tra le sue mani quasi mezz’ora prima. Poco importava che fosse ormai tiepido e che non avesse nessuna voglia di berlo, tenere qualcosa tra le dita le dava un senso di stabilità e sicurezza che in mezzo a tutto quel caos non credeva di poter sentire.
L’ufficio della Preside era sorprendentemente affollato considerando che il pendolo nell’angolo avrebbe battuto a minuti l’una di notte e che la maggior parte degli studenti sarebbe tornata a casa di lì a una decina di ore. Il signor Potter sbraitava da un buon quarto d’oro sbuffando come una teiera, gli occhi furiosi dietro alle lenti degli occhiali rotondi e le mani intente a indicare a intervalli regolari la porta alle loro spalle, probabilmente riferendosi a qualcuno ancora assente. I signori Weasley, che Jade non aveva mai visto ma che sapeva essere i genitori di Rose, lo spalleggiavano un po’ più composti, uno seduto sulla poltrona gemella a quella dove si era accomodata lei, e l’altra passandosi continuamente una mano tra i capelli che ormai avevano rinunciato ad una qualsiasi parvenza di ordine. Jade non li avrebbe detti tranquilli, ma rispetto al signor Potter quei due parevano l’incarnazione della calma.
La McGranitt sedeva oltre la scrivania che la divideva dal padre di James con un’espressione imperscrutabile, le dita lunghe e raggrinzite tamburellavano piano contro il legno scuro del piano e sembravano dare un ritmo a tutti i pensieri che dovevano affollarle la mente, incurante dell’uomo che le sbraitava di fronte e totalmente estranea al resto degli ospiti che la osservavano. La Hastings, viceversa, sembrava sul punto di staccare il collo a qualcuno e per questo, secondo Jade, si teneva impegnata fumando come un camino in pieno inverno, da che erano entrati aveva acceso già quattro sigarette e il suo angolo di stanza odorava di tabacco e cannella in una maniera impressionante. Caleb le faceva compagnia con gli occhi puntati fuori da una delle piccole finestre e una mano lasciata mollemente in tasca. Jade non avrebbe saputo dire a cosa stesse pensando, forse all’attacco di quella notte, forse si sentiva in colpa per non essere riuscito a fare niente, ma se doveva essere onesta non ne era del tutto sicura. Caleb era diventato una persona sfuggevole, non era più il ragazzo socievole che l’aveva presa in squadra anni prima, e ogni tanto, quando parlavano, le sembrava di avere a che fare con un filo di fumo, pronto a cambiare ad ogni minimo soffio d’aria.
Le sarebbe piaciuto sapere cosa lo aveva cambiato tanto e si annotò mentalmente di chiederglielo alla prima occasione.
Lei dal canto suo sarebbe solo voluta andare in dormitorio per stendersi a letto, dubitava che sarebbe riuscita ad addormentarsi o anche semplicemente a chiudere gli occhi senza avere degli incubi, ma avrebbe gradito tanto un po’ di silenzio.
Da quando lei, Rox ed Elijah aveva trovato i corpi privi di sensi di Lorcan e Matthew Lodge, tutto era stato un continuo urlare e gridare e imprecare.
Jade non aveva saputo da che parte girarsi.
Aveva tenuto le mani strette attorno alle braccia di Roxanne, bloccata in un mutismo sconvolto, gli occhi scuri puntati sulla testa di Lorcan e sulle mani di Katherine che rifiutava di smettere di piangere. Nemmeno Joshua era riuscito a schiodarla da lì, nemmeno quando barcollando le aveva stretto le spalle con un braccio e aveva cominciato a sussurrarle qualcosa contro il collo.
Non avrebbe detto che era stato come tornare al giorno della partita perché era stato molto peggio. Ricordava che quando James era caduto tutto era stato molto più dinamico. Aveva detto a Ian di stare con Eli, aveva visto Evangeline avvicinarsi a Roxanne e poi aveva seguito la McGranitt, il fiato bloccato in gola e la mente impegnata a percorrere pensieri pragmatici, concreti. Cosa fare, come fare, perché, cosa era successo..
Sapeva di essere crollata nella doccia, più tardi, ma fino a quel momento era stata l’adrenalina a reggerla, a tenerla in piedi, a farle fare qualcosa, qualsiasi cosa.
Davanti a quella scena, invece, la paura aveva bloccato il mondo mentre l’immagine del corpo di James prendeva il posto di quella di Lorcan Scamander e il volto pallido di Matthew Lodge che le guardava con le palpebre abbassate sembrava ripetere “Non respira, non respira”.
L’urlo di Charity le aveva gelato il sangue ma aveva avuto l’effetto di riscuoterla come una cannonata nella calma dell’alba. Aveva mollato la presa sulle braccia di Roxanne che continuava a guardare di fronte a sé nel pieno di un attacco di panico e aveva bloccato Charity dall’avvicinarsi al fratello fino a quando Damian non l’aveva sostituita agguantando la ragazza per la vita per avvicinarsela al petto.
«Mollami! Matt! Cazzo Damian mollami! È mio fratello! MATT! ».
L’aveva ripetuto così tante volte e con un tono sempre più acuto e disperato che Jade aveva provato il naturale istinto di guardare da un’altra parte per non dover affrontare i suoi occhi sgranati e le sue labbra tremule.
Poi era arrivato anche Lysander  ma lui non aveva urlato, non aveva sbraitato, aveva cominciato a balbettare frasi sconnesse e Jade si era sentita davvero come il giorno della partita. Questa volta però aveva deciso di guardarlo negli occhi, anche se la paura gli stava scolorando il viso con una sincerità disarmante.
«Lys, sono sicura che sta bene » aveva detto mettendogli una mano sul braccio coperto dal vestito della festa, «Sono sicura che non è niente ».
«Jade, cosa è successo? » aveva continuato a chiederle Evangeline e lei non aveva saputo darle una risposta perché onestamente non ce l’aveva.
«Eva, non è importante adesso » le aveva risposto ad un certo punto Ian. Jade lo aveva guardato con tutta la gratitudine di cui disponeva e lui aveva scosso la testa come a dire che non c’era nulla di cui ringraziare.
La confusione era continuata in un crescendo fino a quando la McGranitt non aveva ordinato ai Prefetti di riportare gli studenti in Sala Grande e a Mordaci di prepararsi a controllare che tutti fossero presenti all’appello mentre gli insegnanti cominciavano a perlustrare i corridoi alla ricerca di un colpevole che sicuramente era già sparito.
Alla fine nel corridoio, erano rimasti solo Charity Lodge, a cui era stato concesso di seguire il fratello al San Mungo, Lys che invece aveva chiesto di poter accompagnare il gemello in infermeria per accertarsi che stesse davvero bene, la Hastings, che si era smaterializzata diretta al Ministero, e Jade, che non si era stupita troppo quando la Preside l’aveva invitata a seguirla nel proprio ufficio.
Il maleficio della conoscenza, aveva pensato mentre camminava in silenzio dietro alla McGranitt.
A distanza di quasi un’ora, seduta e impegnata ad ignorare quello che le succedeva intorno, si rendeva conto di aver una gran voglia di piangere. Un ragazzino stava morendo, Lorcan era in infermeria e nessuno sapeva con certezza come si sarebbe svegliato viste le condizioni della sua testa, e lei era chiusa nell’ufficio della Preside con una tazza di the in mano.
Era stanca, si sentiva furiosa non sapeva bene con chi e voleva andare a morire sotto le coperte.
Un atteggiamento molto poco da Grifondoro ma poco le importava.
«Dovresti berlo finché è ancora tiepido » la voce del signor Weasley la riscosse appena. Si voltò in silenzio verso di lui e doveva avere un’espressione particolarmente stravolta perché lo vide curvare le labbra in un sorriso incoraggiante e comprensivo.
«Lei è il padre di Rose » biascicò Jade prima di prendere un sorso dalla tazza. L’uomo sorrise passandosi una mano sulla barba corta.
«Già.. anche se in pochi lo direbbero, quella ragazzina è tutta sua madre » rispose con un certo orgoglio, «E tu invece devi essere Jade Fyfield, è un piacere fare finalmente la tua conoscenza.. a dispetto delle circostanze, ovviamente ».
Jade annuì in silenzio e appoggiò la tazza ancora piena per metà sul tavolino scuro che li separava. Lanciò uno sguardo allo sbraitante signor Potter e decise che anche se aveva sempre straveduto per lui da quando aveva undici anni, al momento il padre di Rose le stava molto più simpatico.
«Smetterà di urlare ad un certo punto » continuò lui abbassando il tono con fare cospiratorio, «Purtroppo la diplomazia non è mai stata il suo forte ».
«Penso non sia il forte di nessuno dei Potter » si permise di dire lei. Si guardarono e sorrisero disgraziatamente consapevoli di quanto quell’affermazione fosse vera.
«Ti dirò, non è il punto forte nemmeno di mia sorella quindi poveretti.. i ragazzi non hanno proprio avuto scampo ».
Jade ridacchiò un po’ più liberamente e Ron scosse la testa.
«Hai idea di quante volte abbiano litigato e poi lui abbia dormito sul nostro divano da quando è sposato con Ginny? Io ho perso il conto. E farli riappacificare, poi.. Per le mutande di Merlino! Come posso scegliere se dare ragione a mia sorella o al mio migliore amico? ».
Sentendoli ridere il signor Potter si zittì oltraggiato e incrociò le braccia al petto fulminando il cognato con un’occhiataccia. Aveva la stessa teatralità di suo figlio James quando doveva far sapere al mondo di essere indispettito.
Jade lo vide aprire la bocca per dire qualcosa quando la Hastings lo bloccò scostandosi dalla finestra, le mani infilate pigramente nelle tasche del vestito rosso scuro che aveva indosso alla festa.
«Per come la vedo io stiamo solo perdendo tempo, Potter. Continuare ad incolpare chicchessia per quello che è successo stanotte non ci porterà da nessuna parte » disse prima di spostare lo sguardo sull’allieva, «Abbiamo coinvolto la signorina Fyfield in questa storia per un motivo o sbaglio? Già che è qui facciamola parlare e partiamo da quello che ha da dirci ».
«Non vi dirà più di quello che ho già riferito io » si intromise Caleb e Jade si voltò appena per vederlo avvicinarsi allo schienale della sua poltrona e fermarsi proprio alle sue spalle, «Non ci siamo mai divisi stasera e non.. ».
«Ma non era con lei quando ha ritrovato il signor Scamander e il signor Lodge in corridoio, signor McDuff » lo interruppe la Hastings senza staccare gli occhi ambrati da quelli di Jade, «Signorina, può raccontarci cosa ha visto esattamente prima che il signor Faraday corresse a chiamarci? ».
Jade si sentì in soggezione ma continuò a guardare la professoressa dritta negli occhi mentre prendeva un respiro profondo.
Il racconto non durò molto, anche perché non ci sarebbe stato molto da raccontare. Aveva salito le scale, aveva visto i due corpi sul pavimento, aveva mandato Elijah a chiamare la McGranitt e il resto lo sapevano tutti. Confusione, grida, pianti.. Non era davvero una delle cose che avrebbe voluto descrivere nel dettaglio in quel momento, o più in generale in tutta la sua vita.
«Quindi le uniche persone presenti sulla scena prima del tuo arrivo erano la signorina Wetmore e il signor Nott, esatto? » a Jade non piacque per niente l’insinuazione sottesa alla domanda del signor Potter.
«Sì, ma non li considererei dei sospettati » rispose per niente spaventata dal cipiglio intimidatorio dell’uomo, l’aveva visto tante di quelle volte in James che ormai se ne sentiva immune.
«Perché? » si intromise la signora Weasley incrociando le braccia al petto.
Jade la guardò perplessa, come se la domanda fosse troppo stupida per essere posta.
«Josh è il nipote di un Mangiamorte, probabilmente è un bersaglio, non uno dei colpevoli. Non simpatizza per le idee di suo nonno ma sicuramente non si metterebbe a sterminare tutti i purosangue. Suo padre è un purosangue, che senso avrebbe? ».
«E la signorina Wetmore? ».
«Non ne sarebbe capace ».
«Non mi sembra un granché come risposta » fece notare il signor Potter e Jade sbuffò sentendo l’irritazione salire.
«Sentite, voi mi avete chiesto un parere, voi mi avete chiesto di guardarmi intorno alla ricerca di qualcosa di sospetto. Conosco quasi tutti in questa scuola e posso assicurarvi che se dovessi stillare una lista di possibili Illuminati non ci inserirei Joshua e la Wetmore ».
«Forse sono intervenuti per aiutare Matthew Lodge » ipotizzò Caleb, «Forse è lo Scamader il colpevole. Stava torturando il ragazzino, gli altri due l’hanno sentito e si sono messi in mezzo per fermarlo, la cosa è sfuggita di mano e gli hanno spaccato la testa ».
Jade sgranò gli occhi sconvolta, come diavolo poteva passargli per l’anticamera del cervello una teoria del genere? Lorcan un Illuminato?
«Per come la vedo io il figlio di Luna è stato solo un danno collaterale » disse il signor Potter sospirando, «Probabilmente ha visto qualcosa che non doveva vedere e chiunque sia stato ad aggredire il piccolo Lodge ha pensato fosse saggio zittirlo ».
«Ma non sono stati Josh e Katherine » ci tenne a precisare Jade.
«Le persone non sono sempre quel che sembrano, signorina Fyfield » commentò la Hastings.
Jade provò il malsano desiderio di ridere istericamente.
«Ma non sono loro due, ci scommetterei la testa! ».
«Una tale convinzione deve avere le proprie basi da qualche parte ».
Jade si voltò di nuovo verso il signor Potter.
«Non ho delle basi, lo so e basta » tagliò corto prima di rivolgersi alla McGranitt che fino a quel momento era rimasta in silenzio, «La prego, professoressa, ora posso andare a dormire? Vi ho detto tutto quello che sapevo ».
Con la coda dell’occhio vide Caleb rivolgerle un sorrisetto divertito e istintivamente seppe di aver usato un tono molto più indolente di quanto non fosse sua intenzione. Si morse la lingua socchiudendo gli occhi. La diplomazia non era nemmeno il suo, di forte.
«Ancora qualche minuto, signorina Fyfield, poi potrà andarsene » rispose pacata la Preside e Jade alzò gli occhi al cielo.
Il minuto durò più di mezz’ora e Jade si chiese se quella notte sarebbe mai finita.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Grifondoro, ore 01.31
Ian non si svegliò quando sentì il ritratto della Signora Grassa spostarsi per liberare l’ingresso alla Sala Comune. Non si svegliò anche se era steso sul divano con sopra una coperta e gli occhi arrossati dal sonno per il semplice motivo che non stava dormendo, se ne stava a fissare il soffitto in attesa, pensando a che fine potesse aver fatto la sua migliore amica, ormai latitante da ore, in una notte in cui avrebbe di gran lunga preferito avere tutte le persone a lui care a portata di sguardo.
Quando al frusciare della tela si aggiunse un leggero ticchettio si decise a dare un’occhiata al nuovo arrivato sbucando dalla sagoma rossa del divano solo con la testa.
Jade stava cercando di togliersi le scarpe in precario equilibrio su una gamba sola, la bacchetta appoggiata sul tavolo vicino all’ingresso e i capelli ricci e gonfi come il pelo di un gatto incattivito. Sembrava strano ma ogni volta che quella ragazza era stressata o arrabbiata con qualcuno i suoi ricci si gonfiavano facendola assomigliare molto ad una paziente psichiatrica reduce da un elettroshock. Lui e i ragazzi l’avevano presa in giro anni per questo fatto.
«Che fine avevi fatto? » chiese dopo un po’ con il tono più disinvolto che gli fosse mai riuscito, come a voler sottolineare che no, lui non la stava fissando da quando era entrata, no no.
Lei si voltò di scatto verso i divani, una mano premuta all’altezza del cuore e l’altra pronta a lanciare le scarpe con il tacco in testa all’idiota che le aveva appena accorciato la vita di una decina d’anni. Ian avrebbe tanto voluto ridere ma si trattenne.
«E tu che ci fai qui? Perché non sei a letto? » chiese poi passandosi una mano tra i capelli nel blando tentativo di appiattirli un poco.
«Non si risponde ad una domanda con una domanda, sai? È maleducazione » commentò lui mettendosi a sedere e facendole segno di fargli compagnia sul divano.
Jade acconsentì con un sospiro sfinito, appoggiò la testa contro lo schienale, il viso rivolto verso il suo, e chiuse gli occhi.
«Sembri distrutta » mormorò portando il volto parallelo al suo. Erano amici da anni, non era la prima volta che si trovavano su quel divano a parlare e visto che avevano decretato di comune accordo di comportarsi come avevano sempre fatto, Ian non si sentì minimamente in colpa per essersi avvicinato in quel modo. Anche se farlo gli fece tremare la gola.
«Penso che distrutta non renda bene l’idea » sorrise appena lei strofinando la guancia contro il velluto rosso, «Non mi hai ancora detto cosa ci fai qui ».
«Ero preoccupato per te, non arrivavi più » Ian sbadigliò vistosamente e Jade storse il naso.
«E poi parli a me di educazione.. ti ho appena ispezionato le tonsille. E comunque so come tornare al mio dormitorio, non serve che tu perda ore di sonno preoccupandoti. Ricordi? Conosco tutte e tredici le strade ».
Ian ridacchiò appena.
«Lorcan è in infermeria, Il fratello della Lodge è al San Mungo, è stato un po’ difficile non farlo.. Roxanne si era proposta di rimanere qui finché non fossi arrivata ma l’ho mandata a letto, era stravolta e continuava a far esplodere cose.. Penso si senta in colpa per quello che è successo a Lorcan ».
«Penso le abbia ricordato quello che è successo a James » sospirò Jade guardandosi le mani.
«E a chi non l’ha ricordato? » sussurrò Ian mentre i loro sguardi si incrociavano.
Dopo alcuni secondi le labbra di Ian si curvarono in un sorriso consapevole lasciando la ragazza piuttosto interdetta.
«Quando nascondi qualcosa te lo si legge negli occhi, è come se implorassero le persone di farti domande, di costringerti a parlare.. » spiegò sottovoce, era difficile usare un altro tono nel piccolo silenzio che li divideva.
Jade non si mosse, rimase lì, accoccolata contro lo schienale del divano, immobile. Ian la sentì trattenere il fiato e si disse che nonostante tutto poteva ancora vantarsi di conoscerla come pochi.
«Perché sei arrivata così tardi? » chiese cercando di suonare calmo, quando invece sentiva una preoccupazione crescente e inspiegabile attanagliargli lo stomaco.
Jade lo guardò con gli occhi sgranati e lucidi prima di scoppiare a piangere senza una vera ragione e Ian fece l’unica cosa che gli venne in mente. La abbracciò prendendo ad accarezzarle la schiena, in silenzio, lasciandola sfogare. Non sapeva se a renderla così era stato il ricordo di quello che era successo a James, o forse vedere quei due ragazzi sul pavimento del corridoio o addirittura qualcos’altro ma non aveva molta importanza.
A lui bastava che smettesse di piangere.
Più tardi, in quella notte che pareva non conoscere fine, Jade avrebbe alzato gli occhi al soffitto e gli avrebbe raccontato ogni cosa, senza una ragione apparente. Entrambi sapevano che se lei non avesse voluto dire niente, lui non avrebbe insistito, sapeva per esperienza personale che spingere Jade a fare qualcosa equivaleva ad ottenere istantaneamente la reazione contraria.
Più tardi, Ian avrebbe deciso di non chiederle cosa le avesse fatto cambiare idea, cosa l’avesse convinta ad aprirsi in quel modo, consapevole del fatto che doveva esserle costato un coraggio infinito mostrarsi tanto vulnerabile, regalargli di nuovo la sua fiducia.
L’unica cosa che avrebbe fatto sarebbe stato ascoltarla in silenzio fino ad addormentarsi, alle quattro del mattino, con la testa appoggiata alla sua.


Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Serpeverde, ore 01.33.
Josh osservò Damian agitare la bacchetta con un colpo secco del polso e percepì il calore delle fiamme nuovamente ravvivate nel vuoto del camino scaldargli una guancia, illuminando un poco l’oscurità verdastra che li avvolgeva. Non si mosse per constatare l’ovvio, come avrebbe fatto solitamente sovrappensiero, ma rimase con gli occhi fissi sul volto del suo migliore amico. Era talmente concentrato nello studio della sua figura apparentemente immobile che ogni altra sensazione passava inesorabilmente in secondo piano. Studiò con attenzione la curva rigida della mandibola e la linea tesa delle labbra sigillate, vide che inspirava ed espirava a fondo con il naso e teneva gli occhi, ridotti a due fessure, fissi nel fuoco.
Ad alcuni sarebbe potuto sembrare semplicemente immerso nei propri pensieri, ma Josh sapeva che dentro a quel corpo statico si stavano agitando sensazioni forti e contrastanti, e sapeva, sopra ogni cosa, che Damian non era semplicemente arrabbiato o preoccupato, era letteralmente furioso. Furioso del tipo di furia che ti porta a compiere un omicidio godendone sul serio.
Se doveva essere onesto, Josh se ne sentiva vagamente intimorito. Solo vagamente, però, perché conosceva Damian da diversi anni e sapeva come tenergli testa, anche a costo di fargli male sul serio. Era capitato in passato e non escludeva che potesse ricapitare nell’immediato futuro.
L’unica cosa su cui non si sentiva sicuro era il perché di tutta quell’ira. Forse perché era stato attaccato un Serpeverde? Forse perché si era trattato del fratello di Charity?
Josh si convinse che doveva essere una commistione di entrambe le cose. Quello e il fatto che con l’attacco ai parenti di Dolohov tutta la sua famiglia sarebbe stata sul piede di guerra.
Non aveva mai pensato alla guerra vera, prima di quella sera, nemmeno quando Jade li aveva chiusi in una stanza per discuterne. Gli era parsa una cosa così distante e sfocata da non meritare la sua attenzione, Nott era uno che tendeva a preoccuparsi dei problemi solo quando gli si spiaccicavano sulle lenti degli occhiali, prima di allora, non erano affar suo.
A voler essere sinceri, anche pensandoci non avrebbe saputo da che parte schierarsi, non avrebbe nemmeno saputo dire se si sarebbe schierato da qualche parte: non condivideva le idee degli Illuminati, questo era certo, farlo sarebbe equivalso a sterminare quasi tutta la sua famiglia, ma non si sentiva nemmeno pronto a spargere sangue per difendere un’idea di vero mago che nemmeno capiva. Lui era un mezzosangue, figlio di una babbana e di un purosangue, il che lo rendeva un papabile bersaglio per chiunque allo stato attuale delle cose.
Ecco, se ci fosse stato un partito che si fosse opposto ad entrambe le idiozie si sarebbe certamente unito a quello. Filosoficamente parlando, Josh si sarebbe volentieri visto come una macchina grigia tra il nero dei Mangiamorte e il bianco degli Illuminati, impegnato strenuamente nella salvaguardia del suo essere un colore di confine.
Ma non era un ragazzo pieno di ideali con cui colorare il mondo, Josh, quindi sapeva con assoluta certezza che, se la guerra fosse arrivata, Damian non avrebbe fatto il puntino grigio con lui.
No, Damian aveva già addosso un mantello nero e una maschera da assassino pronte ad aspettarlo fuori dalle porte del castello e Josh sapeva che le avrebbe indossate entrambe senza esitazione. Non perché credesse a cazzate come la purezza del lignaggio e affini, Damian non era così stupido, ma perché farlo avrebbe significato avere vendetta per cose che forse non erano ancora accadute, ma lo avrebbero fatto prima o poi.
E Damian amava l’idea della vendetta più di ogni altra cosa.
Josh lo capiva, perché era un ragazzo intelligente e acuto e capiva sempre tutto, anche se fingeva il contrario, e non si sentiva deluso all’idea che il suo migliore amico potesse scegliere una strada del genere. Non si sentiva deluso e non sentiva il desiderio di fargli cambiare idea, erano entrambi adulti di fronte alla legge magica e consapevoli delle proprie scelte, ma sapeva che ci sarebbe stato un giorno in cui Damian gli avrebbe chiesto di seguirlo e lui avrebbe  dovuto augurargli buona fortuna, prendendo la strada opposta.
L’idea gli metteva addosso una tristezza indescrivibile.
Voltò appena il capo per guardarsi alle spalle, scrutando la figura di Katherine raggomitolata sotto ad una coperta, con gli occhi chiusi e una mano stretta a pugno vicino al viso. Sembrava una bambina.
Quando era uscito dal bagno, quella sera, dopo averla sentita urlare, mentre appoggiato contro la parete fredda del bagno cercava di non rigettare anche l’anima, si era ritrovato per un attimo senza saper cosa fare. Probabilmente per la prima volta in tutta la sua vita, la sua mente si era scoperta sgombra di qualsiasi pensiero intelligente e lo aveva lasciato lì a boccheggiare come un idiota, e no, i postumi dell’alcol non centravano niente.
Aveva visto le mani di Kath sporche di sangue, ancor prima di realizzare che quello a terra era Lorcan Scamander e che a pochi passi c’era il corpo di Matt. Aveva solo visto il sangue su quel ridicolo vestito arancione e il suo cervello era andato nel pallone.
Era stato l’istante più brutto della sua vita.
Poi aveva visto Jade e Roxanne Weasley in piedi lì vicino e il tempo aveva ripreso a scorrere, insieme alla sua attività cerebrale. Più tardi avrebbe realizzato che quel momento di vuoto era dovuto alla paura che quella stupida della sua compagna di Casa fosse ferita in qualche modo, ma non l’avrebbe ammesso ad anima viva nemmeno sotto le più atroci torture.
Accompagnarla in Sala Grande quando la McGranitt aveva ordinato a tutti di andarsene da quel diavolo di corridoio era stato quasi surreale, aveva tenuto un braccio ancorato a quelle spalle esili come se da quello dipendesse la stabilità del mondo mentre lei si lasciava scortare in silenzio, gli occhi spalancati e le mani sporche abbandonate sui fianchi, come appendici inutili.
Katherine era stata l’immagine della desolazione fino a quando non si era addormentata su quel divano, implorandolo di rimanere con lei perché era spaventata a morte.
Per una volta Josh non aveva risposto con un commento ironico o sarcastico, aveva solo annuito, si era infilato il pigiama, aveva portato una coperta e si era seduto ai piedi del divano, vicino al caminetto, il fiato caldo di Katherine che gli solleticava il collo e un libro aperto sulle ginocchia.
Damian, apparentemente vittima della sua stessa insonnia, aveva deciso di fargli compagnia poco dopo e si era seduto di fronte a lui sul pavimento, in silenzio. Un silenzio furioso che Josh non aveva avuto voglia di spezzare per non doverne affrontare le conseguenze.
«Credi che Matt si riprenderà? » si sentì chiedere con un filo di voce, un suono a metà strada tra un ringhio e un sussurro.
Joshua si voltò verso Damian. Non si era mosso, non lo stava guardando e per un istante il ragazzo temette di aver avuto un’allucinazione uditiva.
«Non ne ho idea, Dam » rispose togliendo gli occhiali per pulirli con un angolo del pigiama, giusto per avere qualcosa da fare e non guardare l’amico in faccia. Sapeva che c’avrebbe visto qualcosa di rabbioso e oscuro ed era decisamente troppo stanco per affrontare anche quello.
Infilate nuovamente le lenti sulla punta del naso, spostò lo sguardo sul soffitto della Sala Comune, sperando di vedere al più presto l’alba specchiarsi nell’acqua del lago.
Aveva bisogno dell'inizio di un nuovo giorno.










Note dell'autrice:
Buonasera a tutti! Allora, comincio con il ringraziare di cuore
Roxy_14   e B r e e  che hanno così gentilmente recensito lo scorso capitolo, non vi conosco ma questo capitoletto lo dedico a voi!!
Poi ringrazio anche chi ha solo letto la storia, nonostante fosse passato un anno dall'ultimo capitolo. Non siete state proprio due persone, il che mi ha sollevato incredibilmente il morale, quindi GRAZIE davvero! Se la prossima volta volete anche recensire, non mi dispiace per niente :)

Non ho molto da dire su questo capitolo, se non che è stato riscritto almeno venti volte, se ne sono andati tanti pezzi e altri invece sono cambiati, insomma, quando avevo pensato alla conclusione del Ballo d'Inverno, non avevo sicuramente pensato a questo, tranne per il piccolo Matthew Lodge, lui era destinato ad essere steso su un pavimento fin da quando questa storia è cominciata.. povero Matt..
Comunque, questo voleva essere un capitolo pieno di umanità e spero si sia percepita tutta, dalla rabbia di Harry Potter che vede la situazione sempre sfuggirgli di mano, a James che sperimenta concretamente cosa significhi aver paura della morte, a Jade che cerca di tirare fuori un po' di palle ma alla fine crolla miseramente quando se ne presenta l'occasione, a Ian che ascolta in silenzio, senza troppi pensieri, perché a volte basta ascoltare e guardare per capire le cose, non servono ore di riflessioni, a katherine che nonostante sia una vipera, va nel ballone, per finire con Josh che pensa al futuro con il suo occhio disilluso e ci vede già la guerra.
Quando ho cominciato a scrivere questa storia avevo ben chiara l'idea che i personaggi non sarebbero stati santi, non avrebbero fatto sempre le scelte giuste e non avrebbero mai frequentato tutto a testa alta, indipendentemente dalla Casa di appartenenza, perché diciamocelo, le scelte giuste nella vita sono rare e spesso ci si arriva perché prima si ha fatto tutte quelle sbagliate. Sarebbe molto più semplice scrivere di persone statiche che agiscono sempre per il bene, o sempre per il male, o che sono sempre impavide e coraggiose di fronte ad ogni situazione, e forse potrei farlo se James e combriccola fossero dei bambini che non sono mai caduti e quindi non hanno paura di farsi male, ma come si rendono conto un po' tutti, non sono più bambini, sono giovani adulti e mi piace farli comportare come tali, con tutte le sfumature e le contraddizioni che questo può comportare.

Bene, detto questo ci sono un paio di cosette da chiarire, giusto perché, in effetti, non aggiorno da un anno:
1- Quando Jade dice che la faccia di Matthew Lodge sembra ripeterle "Non respira, non respira " è un riferimento a quando James cade dalla scopa durante la partita e l'infermiera della scuola dice alla Hastings, "Cinnamon, non respira, il ragazzo non respira". In pratica Jade vede il ragazzino già morto, come James il giorno della caduta. (Cap. Lacrime di Pioggia )
2- Quando Harry e Hermione stanno parlando del dono di Natalie, si riferiscono al fatto che possa scegliere di frugare nella mente della gente senza l'ausilio di una bacchetta. (Cap. Al ritmo di una danza )
3- Nonostante James paragoni Lily che piangeva mentre lui era sotto i ferri a Charity, questo non significa che la ragazza stia effettivamente piangendo. Nemmeno quando vede suo fratello al castello sta effettivamente piangendo. Come ho già detto, Charity non piange. (Cap. Di distrazioni e gufi inquietanti )
4- Non so se si è pienamente percepito ma io nutro un amore spropositato nei confronti di quella ciminiera ambulante della Hastings e del pragmatismo cinico di Joshua Nott, per cui Cinnamon Hastings avrà sempre in mano una sigaretta e Josh reagirà sempre in maniera molto calma, anche di fronte all'apocalisse.

Penso di aver detto abbastanza, forse troppo, quindi vi saluto :)
Il prossimo aggiornamente non so quando sarà ma credo in due/tre settimane, tempo di dare un po' di esami universitari. Anche quello è già scritto, quindi devo solo convincermi che possa essere pubblicato e mi permetto uno spoiler: i nostri eroi torneranno a casa per Natale e ci saranno le loro dolci famiglie ad attenderli, quanto saranno contenti da 1 a 10 di questa cosa? Lascio a voi qualsiasi speculazione in merito!

Ancora buona serata a tutti,

Najla








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