How could it be any other way? di Najla (/viewuser.php?uid=137463)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. Perché non bisognerebbe essere Auror ***
Capitolo 2: *** Settimo anno ***
Capitolo 3: *** Conta fino a dieci e poi taci ***
Capitolo 4: *** Come ci siamo arrivati ***
Capitolo 5: *** Un'allegra famiglia felice ***
Capitolo 6: *** Trasforma quest'acqua, in Whiskey! Parte 1 ***
Capitolo 7: *** Trasforma quest'acqua, in Whiskey! Parte 2 ***
Capitolo 8: *** Un semplice groviglio di fili ***
Capitolo 9: *** Di Serpeverdi mancati e biblioteche affollate ***
Capitolo 10: *** Challenge: uccidere è un reato Parte 1 ***
Capitolo 11: *** Challenge: uccidere è un reato Parte 2 ***
Capitolo 12: *** Quando il mondo comincia a cadere ***
Capitolo 13: *** Lacrime di pioggia ***
Capitolo 14: *** Qui va sempre tutto bene ***
Capitolo 15: *** Di distrazioni e gufi inquietanti ***
Capitolo 16: *** Quando la pazzia dilaga ***
Capitolo 17: *** C'era una volta, qualche errore fa.. ***
Capitolo 18: *** Al ritmo di una danza ***
Capitolo 19: *** Falsi sorrisi e piani di omicidio ***
Capitolo 20: *** Falsi sorrisi e piani di omicidio. Parte 2 ***
Capitolo 1 *** Prologo. Perché non bisognerebbe essere Auror ***
Prologo
Perchè
non bisognerebbe essere Auror
5 Ottobre XX
Prigione
magica di Azkaban, ore 01.27.
«Ti
prego, Teddy, ricordami un piccolo dettaglio: perché cavolo
abbiamo deciso di diventare Auror al posto di fare la bella vita e
lavorare in uno dei tanti inutili uffici del Ministero?»
sbuffò tra la noia e lo schifo un giovane uomo sui
ventiquattro anni tenendo saldamente la bacchetta stretta tra le mani,
a un ventina di centimetri dal viso per riuscire a vedere almeno a un
palmo del suo naso in quel buio pesto e impenetrabile.
Dietro
di lui, un coetaneo dalla figura più alta e gracile,
ridacchiò sornione illuminando con la punta della bacchetta
quella che aveva tutta l’aria di essere una cella vuota da
anni e ispezionandola con una rapida ma vigile occhiata.
«Ma
per il nostro spiccato e radicato senso di giustizia,
ovviamente» rispose dopo alcuni secondi Teddy con ancora il
sorriso sulle labbra, l’amico si bloccò e con fare
teatrale si voltò nella sua direzione con
un’espressione tragica e afflitta,«E
perché diavolo nessuno c’ha detto che era una
motivazione davvero stupida?».
Teddy
sospirò condividendo per alcuni secondi la
drammaticità del momento poi scoppiò di nuovo a
ridere mentre i due riprendevano la loro ennesima ronda,
«Sai, Edward, penso che dovremmo chiedere spiegazioni a
qualcuno».
«Eh,
penso anch’io…» borbottò il
biondo controllando distrattamente l’ennesimo cubicolo
deserto.
Quando
gli avevano annunciato che sarebbero stati entrambi mandati ad Azkaban
per iniziare le prime fasi del loro tirocinio, dopo aver superato una
serie di lunghissimi ed estenuati esami di ogni tipo ed essere quasi
ammattiti nel mentre; i due amici, Ted Lupin e Edward Harker, avevano
accolto la notizia con il massimo dell’entusiasmo: finalmente
un po’ d’azione!
Invece
si erano trovati a dover fare una noiosissima e ininterrotta ronda per
otto ore al giorno, sette giorni alla settimana, lungo i corridoi
più bui della prigione, circondati
dall’onnipresente odore di carne in putrefazione e dalle
grida agonizzanti e deliranti dei prigionieri usciti totalmente di
senno.
Quella
sera il loro responsabile aveva deciso di mandarli nella zona
più interna della prigione, dove venivano tenuti gli ultimi
sostenitori di Voldemort ancora in vita e che avevano avuto abbastanza
fegato da non rinnegarlo nemmeno dopo la sua eclatante sconfitta. Non
era un’ala particolarmente pericolosa, visto che teneva per
lo più maghi decrepiti dalle facce minacciose e una
cinquantina di celle deserte ma il ricordo di chi vi aveva soggiornato
tempo addietro metteva ancora i brividi alle guardie più
anziane che la evitavano come la peste.
Ed
ecco spiegato il vero motivo per cui quel giro nell’ultimo
girone dell’inferno era toccato proprio ai due novellini.
Avevano
quasi finito di ispezionare anche gli ultimi cubicoli quando Edward
alzò la bacchetta verso una delle poche celle occupate,
quella dell’ormai cinquantenne Barthy Crouch Junior, e vide
nell’oscurità il profilo di una bacchetta puntata
verso di loro con la punta lignea illuminata da un leggero bagliore
verdastro: l’inizio di un incantesimo.
«Oh
merda!» gracchiò afferrando l’amico per
una manica e spedendolo sul pavimento di una delle celle vuote prima di
seguirlo finendogli praticamente sopra mentre la sua schiena veniva
sfiorata da un assassino lampo verde, che andò a sua volta a
cozzare contro il muro in fondo al corridoio, estinguendosi.
«Eddy!
Ma che cavolo…» esclamò Teddy
scrollandoselo di dosso prima di essere zittito da
un’occhiata seria e tesa dell’altro, che si
limitò ad indicare con la testa l’entrata della
cella.
I
due scattarono in piedi all’unisono con le bacchette pronte e
con un cenno d’intesa uscirono nel corridoio buio pronti a
combattere.
«Stupeficium!»
esclamò Edward puntando la bacchetta verso la figura che
ancora si scorgeva tra le ombre vicino alla cella di Crouch, ma questa
fu più agile e mentre lanciava un sortilegio scudo aveva
sulla punta della lingua una maledizione che Ted evitò
prontamente cercando a sua volta di schiantare l’intruso.
«Chiama
qualcuno!» esclamò Edward mentre lanciava
l’ennesimo incantesimo di protezione per evitare quelli che
erano diventati una serie di attacchi senza sosta a cui non riuscivano
a reagire: chiunque fosse quell’ombra venuta fuori dal nulla
doveva avere un’esperienza da duellante davvero notevole.
Teddy,
senza farselo ripetere due volte, evocò il suo Patronus,
«Avvisa Jenkins e digli di mandare qualcuno: intruso nella
zona nera» e il lupo argento si lanciò in una
corsa sfrenata illuminando con la sua luce fiocca il corridoio.
E
in quel momento di distrazione, Edward, che nonostante la bravura non
riusciva a tenere testa a quell’avversario che sembrava
lanciare più incantesimi di quanti non riuscisse a pensarne,
non riuscì a formulare uno scudo e fu colpito in pieno da un
sectumsempra, dritto al torace, finendo a terra ansimante.
«Edward!»
esclamò spaventato Teddy chinandosi sull’amico per
vedere in che stato fosse e in quel momento la figura scura
sembrò perdere totalmente interesse per loro due e
tornò a fissare il corpo rannicchiato di Crouch che, oltre
le sbarre luride, aveva osservato la scena tremando.
«Ti
prego…» cercò di implorare il
prigioniero ma la sua preghiera si spense quando la figura
mormorò con voce cupa, «Avada Kedavra» e
il suo corpo si accasciò esanime a terra.
Teddy
si alzò di scatto pronto ad affrontare con tutta la rabbia
che aveva in corpo quell’intruso che si era dimostrato
più temibile del previsto: non ricordava nessuno che fosse
mai riuscito a mettere fuori uso Edward in così poco tempo.
«Stupeficium!»
urlò, ma il suo incantesimo finì a cozzare contro
una protezione invisibile e dovette abbassarsi per evitarne il
rimbalzo, lasciando all’avversario il tempo di bombardare
l’unica parete di quella zona che dava sul mare e
lanciarsi nel vuoto mormorando con un ghigno sinistro nella voce:
«Questa è la nostra vendetta:
Purosangue».
Teddy
gli corse dietro con l’intenzione di colpirlo in volo, gli
avevano insegnato che c’era solo un punto intorno alla
prigione dove era possibile smaterializzarsi, ed era quello sprazzo
d’aria che stava a un metro dall’acqua. Ma una
volta affacciatosi oltre la crepa non vide niente, se non il buio cupo
di una notte d’ottobre: l’intruso era sparito nel
nulla lasciandosi alle spalle, come avrebbero scoperto di lì
a poco, i cadaveri degli ultimi Mangiamorte rinchiusi ad Azkaban.
Ospedale
magico San Mungo, ore 01.59
Se
c’era una cosa che Nihila Kaur odiava era il bianco accecante
e intonso che caratterizzava gli ospedali in genere, solitamente
accompagnato da quel pungente odore di anestetico e disinfettante
mescolato a una quantità indecente di detergenti per pulire
vetri e pavimenti. Era certa che tutto quel miscuglio di sostanze con
una lieve percentuale cancerogena, alla lunga potesse addirittura
risultare tossico ed era incredibile che una simile minaccia si
trovasse proprio in un ospedale.
Per
ironia della sorte, la Nihila Kaur che odiava tutto ciò
lavorava proprio in un ospedale ed era una delle nuove guaritrici
all’ospedale magico di Londra.
Come
a voler rispettare strenuamente il noto stereotipo secondo cui i
tirocinanti nuovi di scuola debbano sgobbare dieci volte più
delle persone normali, perdendo ore di sonno e spesso la piena
sanità mentale, quel giorno il suo capo, una strega acida ma
che purtroppo era dannatamente brava nel suo lavoro, le aveva
gentilmente ordinato di fare anche il turno di notte, dopo ben otto ore
che aveva passato a sgobbare nel Pronto Soccorso tra casi di fatture
tagliuzzanti esagerate, arti rotti, gente spezzata durante
smaterializzazioni non pienamente autorizzate e un bambino che
c’aveva rimesso tutto l’apparato dentale giocando
con un bolide più grintoso del previsto.
Però,
quando era ormai pronta ad ingoiare altre estenuati ore di Pronto
Soccorso, la porta principale si spalancò di colpo e la
piccola saletta intonsa dell’astanteria venne letteralmente
messa in subbuglio da quattro maghi dall’espressione truce.
Era
già pronta a far valere la sua autorità di neo-
medico quando uno di questi, un uomo giovane che faticò a
riconoscere subito, a causa dell’improbabile colore blu
cobalto dei capelli, la prese per un braccio guardandola implorante,
«Ci serve un medico immediatamente, siamo Auror di Azkaban:
uno di noi è stato ferito».
Al
suono di quella voce familiare e tremendamente ansiosa, Nihila
strabuzzò gli occhi per la sorpresa, ricollegando finalmente
il viso magro e un po’ spigoloso che aveva davanti al nome
del suo ex- compagno di scuola: Teddy Lupin.
«Ted?
Cosa diavolo è successo?» chiese avvicinandosi
agli altri Auror per vedere lo stato del ferito e facendo
contemporaneamente cenno ad una delle infermiere di avvicinarsi con una
barella.
«Nihila?
Oddio, scusa, non ti avevo riconosciuta…»
biascicò stupito, ma la ragazza aveva già smesso
di ascoltarlo, chinandosi sul corpo inerme che reggeva tra le braccia
il mago più massiccio della combriccola e trattenendo a
stento un’esclamazione di orrore e sorpresa: avrebbe
riconosciuto quella testa bionda e spettinata ovunque.
«Edward?»
chiese rivolta al giovane Lupin che annuì cupo. La
guaritrice scosse la testa riprendendo il controllo ed estrasse la
bacchetta dalla tasca interna del camice bianco:
«Trudy!» esclamò spazientita mentre
l’infermiera si avvicinava titubante facendo volare davanti a
se la barella per avvicinarla il più possibile al ferito,
«Levicorpus!» e il corpo di Edward venne
gentilmente tolto alle mani del mago che lo reggeva e adagiato
delicatamente sul lettino, «Prima di aiutare la guarigione
con la magia, devo disinfettare e controllare i danni ai tessuti.
È stato usato un incantesimo di magia Oscura, e da quel che
vedo il mago che l’ha scagliato doveva essere particolarmente
arrabbiato» commentò ad alta voce dirigendo la
barella lungo il corridoio illuminato a giorno da centinaia di candele,
prima di trovare finalmente una stanza vuota e infilarsi dentro insieme
al ferito, «Voi, aspettate di là»
ordinò rivolta ai quattro maghi, poi si rivolse
all’infermiera che l’aveva seguita spaventata,
anche lei nuova a quel lavoro, «Trovami la signorina Tunner e
dille che la sua apprendista vuole un consulto: è
urgente».
La
giovane infermiera annuì agitata prima di ripercorrere il
corridoio correndo e portandosi dietro tre dei quattro Auror: Teddy
Lupin le lanciò un ultimo sguardo implorante,
«Salvalo».
Lei
gli sorrise rassicurante poi si richiuse la porta alle spalle: era
l’ora di mettersi al lavoro.
«Teddy-
Ted Lupin» disse una voce gentile richiamandolo alla
realtà, si voltò di soprassalto saltando
letteralmente sulla sedia in plastica dov’era seduto,
provocando le leggere risate della ragazza che aveva davanti,
«Da quanto tempo non ci si vede?»
continuò sedendosi al suo fianco.
Nonostante
gli avessero comunicato alcuni minuti prima che Edward era fuori
pericolo e che se la sarebbe cavata con qualche cicatrice e una buona
dose di riposo, non era ancora riuscito a rilassarsi del tutto e
l’avrebbe potuto affermare chiunque lo avesse visto fissare
maniacalmente le piastrelle del pavimento: come aveva fatto lei
rimanendo appoggiata alcuni minuti al muro alla sua destra, ad
osservarlo in silenzio
Lui
la squadrò per una manciata di secondi, prima che un leggero
sorrisetto gli si dipingesse sulle labbra fine: erano passati cinque
anni e ormai non riusciva più a riconoscere in quel viso
maturo e gentile la ragazza che aveva accompagnato lui ed Edward nei
loro sette anni ad Hogwarts, non riusciva più a vederci la
piccola Grifondoro che aveva riso delle sue disgrazie e
l’aveva consolato quando cretini come Michell St John lo
avevano insultato a causa di quel padre di cui andava tanto orgoglioso.
Ora,
davanti a lui, aveva una donna slanciata ed elegante, con i lunghi
capelli neri raccolti in una coda alta e gli occhi ancora
più scuri che lo scrutavano con una gentilezza
fastidiosamente estranea.
No,
dello scricciolo di Hogwarts non c’era più niente.
«Troppo,
direi» sospirò sconfitto dal filo malinconico dei
suoi pensieri, «Sei diventata una Guaritrice, alla
fine…».
«E
tu ed Edward Auror: non ero così sicura che ce
l’aveste fatta» ridacchiò spensierata
stiracchiandosi, «Vi immaginavo ad un angolo di Diagon Alley
a vendere oggetti magici di contrabbando».
«Alla
faccia della stima nei nostri confronti, Nihila»
borbottò senza riuscire a non sorridere ancora. Lei scosse
la testa sorridendogli orgogliosa, «Ero certa che ce
l’avreste fatta, Teddy».
«Lo
avresti saputo prima se non avessi tagliato i ponti, cinque anni
fa» borbottò il ragazzo incapace di trattenersi e
lei d’improvviso si oscurò alzandosi in piedi,
«Ted…» stava per dire quando dal fondo
del corridoio sentì dei passi di semicorsa, accompagnanti
dal tono tutt’altro che amichevole di un uomo sulla
quarantina inoltrata che avanzava deciso e nero di rabbia discutendo
animatamente con il suo vicino, «E’ una cosa
inconcepibile! Come diavolo è potuto succedere?! Azkaban
dovrebbe essere impenetrabile eppure qualcuno ha avuto tutto il tempo
di entrare e fare una strage sotto gli occhi di una ventina di maghi
più che qualificati! Come me lo spiegate questo?! Come
diamine è potuto accadere?! Esigo un rapporto entro
un’ora sulla mia scrivania e voglio qualcuno che sappia darmi
una spiegazione decente per tutto il casino che è successo!!
Mi hai capito, Philips? Non accetterò nessun tipo di
scusa!» sbraitò l’uomo a quello che gli
camminava affianco, sempre più terrorizzato.
«Certo,
signor Potter, vado immediatamente» squittì
balbettando prima di invertire la marcia e tornare da dove erano venuti.
«Gli
farai venire un infarto prima o poi, Harry» ghignò
un secondo uomo, alto e affusolato, con dei fiammeggianti capelli rossi
rivolto a quello che doveva essere il signor Potter, che a sua volta
sbuffò con un mezzo sorriso rassegnato, «Credo che
quel poveretto si meriti un aumento di stipendio»
commentò a mezza voce passandosi una mano sulla fronte.
«Mi
scusi, signore, ma questo resta un ospedale, la pregherei di abbassare
la voce: è tardi e molti pazienti dormono» disse
Nihila professionalmente intercettando lo sguardo verde
dell’uomo che ormai le era arrivato davanti.
Aveva
i capelli scuri e sul naso portava un paio di occhiali tondi, dalla
montatura nera, teneva un leggero filo di barba sulle guancie e
nonostante fosse evidentemente una persona con un certo potere, si
limitò a guardare Nihila con un mezzo sorriso colpevole e
umile, «Ha ragione dottoressa, ci dispiace».
«Zio
Harry? Cosa ci fai qui?» chiese Teddy alzandosi a sua volta.
L’uomo lo guardò per una frazione di secondo prima
di scompigliargli affettuosamente i capelli, ora del loro solito
castano chiaro.
«Teddy,
per fortuna stai bene» mormorò sorridendo
sollevato il signor Potter, «Comunque sono qui per quello che
è successo stanotte…come capo degli Auror devo
assolutamente fare luce sulla faccenda e speravo che tu ed Edward
poteste aiutarmi.
«A
proposito: Edward come sta?» chiese un po’
preoccupato rivolto verso Nihila.
«Se
la caverà signor Potter, qualche giorno qui in ospedale e
sarà come nuovo» sorrise cordiale la ragazza e
l’uomo sembrò tirare un sospiro di sollievo prima
di rivolgersi nuovamente a Teddy, «Ted, io e te dobbiamo
scambiare due parole su quello che è
successo…».
Lupin
annuì serio pronto a rispondere a tutte le domande del capo
degli Auror e del rosso, quando Nihila decise che era ora di prendere
congedo, «Scusatemi, ma devo tornare al mio lavoro: vi
informerò della situazione del signor Harker appena si
sarà svegliato.
«Con
permesso: signori, Teddy» e con un lieve cenno del capo si
voltò prendendo la strada per il Pronto Soccorso, dove era
certa avrebbe trovato un eccitato branco di infermiere pronte a
chiederle cosa diamine fosse successo.
Harry
guardò vagamente incuriosito la figura della donna
allontanarsi prima di rivolgere uno sguardo indagatore verso il suo
figlioccio, «Teddy, la conosci?».
«Quella
è Nihila Kaur, zio, l’amica mia e di Edward ad
Hogwarts» rispose con un sospiro passandosi una mano tra i
capelli, pronto allo sguardo sbigottito del padrino e alle numerose
domande che ne sarebbero inevitabilmente seguite.
«La
piccola Nihila? Ma sei sicuro?» chiese esterrefatto
continuando a guardare la donna che svoltava l’angolo in
fondo al corridoio e spariva dalla loro vista.
«Eh,
già…» sospirò sconsolato
finendo per crollare nuovamente sulla sedia.
«Siete
stati due idioti» commentò Harry scuotendo la
testa con disapprovazione.
«Eh,
già…» ripeté Teddy con una
nota di depressione in più nella voce: due enormi idioti.
Nota ell'autrice che deve ancora capire, esattamente, come possa aver
deciso di pubblicare:
Allora, innanzitutto grazie per essere arrivati fino alla fine del
prologo, e se non avete capito quasi niente di quello che è
successo, tranquilli, non è colpa vostra, è una
cosa, teoricamente, voluta! Diciamo che questo è il
primo tassello del puzzle e se vi ha incuriosito un pochino sono
disposta a mettere anche gli altri :)
Ora come mi sia venuto in mente di cimentarmi con la nuova generazione
è un mistero ancora irrisolto, ma se il prologo vi
è piaciuto in una qualche maniera, o se volete consigliarmi
di darmi all'ippica, fate pure, una recensione piccolina piccolina e io
sono felice, anche perchè è la prima storia che
pubblico in questa sezione e un parere sarebbe assai gradito!!
Grazie mille,
Najla
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Capitolo 2 *** Settimo anno ***
Primo Capitolo
Settimo
anno
5 Ottobre XX
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, dormitorio femminile Grifondoro,
ore 07.00
La sveglia
suonò con un il solito trillo irritante, facendo alzare
pigramente la testa alla sua proprietaria che sembrava
tutt’altro che felice di udire il suo felice trillare.
Estrasse, infatti la bacchetta da sotto i due cuscini su cui aveva
affondato il volto e la puntò con sicurezza verso quel
piccolo e innocente quadrante azzurro che la sorella, anni prima, le
aveva regalato con tanto affetto.
«Reducto»
biascicò assonnata e la sveglia finì in un grumo
di polvere sul suo comodino, dove ormai una pila di libri in bilico
minacciava di schiantarsi contro il pavimento.
«Jade,
devi smetterla di polverizzare quel povero aggeggio, se ti da tanto
fastidio, ti svegliamo noi, così smetti di
programmarla» la rimbeccò una voce rassegnata alle
sue spalle e con la coda dell’occhio vide la sua piccola
sveglia tornare all’aspetto originale.
«Non
posso, Eva, l’ha incantata quel mostro di mia
sorella» borbottò la ragazza mettendosi finalmente
a sedere guardandosi attorno con un enorme sbadiglio che non si
curò minimamente di coprire, prima di posare uno sguardo di
totale disapprovazione su una delle sue coinquiline: quella che
camminava in giro per la stanza già vestita di tutto punto.
«Eva,
te l’hanno mai detto che dormire la mattina ti aiuta a
riappacificarti con lo spirito e tutto il resto? Che non è
dannoso per la tua salute?» borbottò alzandosi e
cominciando a rovistare nel suo baule alla disperata ricerca della
divisa pulita.
«Certo
che lo so, Jade. Mi sono svegliata presto per ripassare il programma di
Pozioni e quello di Incantesimi, ieri non ce l’avevo
fatta» spiegò pazientemente cominciando a prendere
i libri da mettere nella borsa.
«Tu
hai seri problemi…» sospirò la ragazza
scuotendo la testa e cominciando a infilarsi la divisa ritrovata ai
piedi del comodino: prima le calze nere, poi la gonna a pieghe , la
camicia bianca, rigorosamente fuori dalla gonna e sopra il gilet grigio
chiaro con lo stemma della scuola e le finiture con gli inseparabili
colori rosso e oro.
«Ci
sono i MAGO quest’anno, cara, e io non voglio arrivare
impreparata: sfortunatamente non ho un centesimo del tuo cervello e
devo studiare come si deve, costantemente» rispose Eva con un
mezzo sorriso mentre da un terzo cumulo di coperte emergeva
un’ultima ragazza con la pelle olivastra e i lunghi capelli
neri.
«Ma
che cavolo succede?» chiese in uno sbadiglio, vedendo tutto
quel movimento.
«E
anche l’ultima è sveglia!»
esclamò allegra Eva, «Buongiorno
Roxanne».
«Voi
due…ma sono solo le sette!» sbraitò la
mora esasperata prima di fissarle truci e ricadere nuovamente sul
materasso, «Vi odio».
Eva e Jade si
guardarono e scoppiarono a ridere, incapaci di fermarsi e pensando
all’unisono che tutto quello, l’anno successivo gli
sarebbe terribilmente mancato.
Infatti, per
Evangeline Laurie, Jade Fyfield e Roxanne Weasley, quello sarebbe stato
l’ultimo anno ad Hogwarts e nessuna delle tre riusciva ancora
a capacitarsene.
Si erano
conosciute la prima notte passata in quella stessa stanza insieme e, a
parte saltuari battibecchi erano sempre andate d’accordo,
creando tra di loro un piccolo microequilibrio che nessuno ancora era
riuscito a distruggere.
E il merito,
con ogni probabilità, era da darsi ai loro caratteri
diametralmente opposti.
Evangeline
Laurie, soprannominata Eva nel giro di una settimana
dall’inizio della scuola, era piccola e gracile, con i
lunghissimi capelli castano chiaro che le arrivavano fino al giro vita
e che non aveva mai osato accorciare da quando frequentava la scuola,
un viso piccolo e grazioso, ricoperto da lentiggini, e due grandi occhi
azzurro cielo. Era la più grande stacanovista che la casa di
Grifondoro, e probabilmente tutta la scuola, avesse mai visto e non vi
era una materia in cui non prendesse il massimo dei voti, con una tale
umiltà da impedire persino agli altri di esserne invidiosi.
Poteva vantarsi di essere particolarmente equilibrata e diplomatica,
tanto che molti si chiedevano perché, con un carattere
così buono e malleabile, non fosse finita tra i Tassorosso.
La risposta la conoscevano davvero in pochi, probabilmente solo i suoi
coetanei, che in una gelida mattina di dicembre l’avevano
vista affatturare quasi a morte un ragazzo che l’aveva quasi
vista nuda: dimostrando finalmente al mondo che anche lei aveva un poca
di grinta.
Jade Fyfield,
invece, era l’esatto opposto, era slanciata e flessuosa, con
un seno da far invidia, al contrario dell’amica, un corto
caschetto riccio, biondo miele, un viso apparentemente dolce e due
bizzarri occhi che si divertivano a cambiare colore passando dal verde
all’azzurro e poi ancora al giallo o al grigio con la
rapidità di un trasformista. Fin da subito, chiunque, aveva
potuto notare che, in quanto a voglia di fare, stava messa peggio di
James Sirius Potter durante l’ora della pennichella,
collezionando una sfilza di Troll in materie che considerava
particolarmente inutili, come Storia della Magia o Astronomia. Salvo
poi rimediare con voti che andavano ben oltre l’Eccezionale,
lasciando basiti insegnanti, studenti e chiunque si aggirasse per il
castello. Quando gli amici le avevano chiesto come avesse fatto a
migliorare in quel modo, aveva semplicemente risposto che le serviva un
voto alto per alzare la media, e con questa scusa la scala dei suoi
voti assomigliava più ad una pista di montagne russe che a
una pagella, conclusasi con il massimo dei voti in tutte le materie
durante gli esami di fine anno. Non era una persona molto paziente e
nemmeno particolarmente diplomatica, e forse per questo motivo i
ragazzi l’avevano presa subito di buon’occhio,
trovando in lei un’alleata preziosa nelle loro strambe
avventure: alla fine del secondo anno venne etichettata come il quarto
membro del gruppo di terroristi scolastici composto da James Potter,
Elijah Faraday e Ian Clow. Al contrario della compagna, inoltre, aveva
quello spirito di sfacciata intraprendenza che le aveva consentito di
diventare una cacciatrice di prima categoria prima della fine del primo
anno.
L’ultima,
Roxanne Weasley, aveva quello che alle altre due mancava: un cervello
decisamente machiavellico, una leggera predisposizione per la violenza
fisica, che Jade possedeva in pari solo verbalmente, e la tendenza al
dispotismo verso chiunque le stesse tra i piedi.
Era alta e
snella, con la pelle leggermente olivastra e i lunghi capelli neri che
le arrivavano fino a metà schiena, il viso era a forma di
cuore, leggermente appuntito e aveva un paio di tenebrosi ed intriganti
occhi, tanto scuri da non vederne la pupilla. Non andava
particolarmente bene a scuola, ma non le interessava neanche
più di tanto data la sua intenzione di diventare una
cacciatrice professionista, come lo era stata la madre. Non aveva alcun
tipo di problema a socializzare con chiunque, anche con le piante, se
necessario, ed era probabilmente l’unica persona
dell’intero clan Weasley a potersi vantare di essere in buoni
rapporti con tutti i cugini, compresa quella spocchiosa irritane di
Molly che molti, suo fratello compreso, avrebbero chiuso in uno
stanzino per poi gettare la chiave e dimenticarsene.
In effetti, il
perché della loro storica e duratura amicizia era ancora un
mistero non del tutto risolto.
Roxanne era
ancora intenta a litigare con le coperte quando, a sorpresa, la porta
della camera si spalancò, facendo entrare tre teste
decisamente troppo sveglie per essere solo le sette di mattina.
«Rox,
mi serve la tua copia di Incantesimi Avanzati parte 3, devo dimostrare
a Scorpius che è un idiota» annunciò la
ragazza in testa al gruppo, «Scusate, ma
dov’è Jade?».
Dalla porta del
bagno uscì la testa della bionda, che le salutava con un
mano mentre nell’altra reggeva lo spazzolino da denti, fu un
secondo, poi sparì nuovamente in uno sciabordare di acqua
corrente.
«Scusatela,
giuro che ce l’abbiamo messa tutta per tenerla ferma e farle
aspettare colazione, ma non c’è stato
verso» si scusò con un mezzo sorriso una seconda
ragazza, più alta della prima.
Evangeline
sorrise comprensiva andando a rovistare nella sua ordinata pila di
testi scolastici, prima di voltarsi con un volume dalla copertina blu
indaco e le scritte dorate, «Capisco a cosa ti riferisci,
Faith, deve essere una caratteristica dei geni Weasley. Comunque,
Rosie, puoi prendere il mio libro, tempo che Roxanne trovi il suo
potrebbe arrivare una nuova glaciazione».
«Poi
qualcuno mi spiega perché ce l’avete tutti con me
stamattina?!» sbraitò la mora presa in questione
uscendo finalmente dal letto massaggiandosi il collo.
«Nessuno
ce l’ha con te Roxie» ridacchiò
l’ultima ragazza della combriccola, prendendo Rosie a
braccetto e pilotandola verso la porta, «Bene, grazie per il
libro, ora Rose è contenta e umilierà di nuovo
Malfoy, direi che ci vediamo a colazione ragazze e scusate il
disturbo».
«Tranquilla
Vì, ci vediamo giù» rispose Jade
mettendo di nuovo la testa fuori dal bagno e Vì
ricambiò con un occhiolino prima di richiudersi la porta
alle spalle.
Non era raro
subire un’incursione di quel genere, per le ragazze del
settimo anno Grifondoro, soprattutto da quando Rose Weasley si era
appropriata del guardaroba della cugina, con cui condivideva la
corporatura, e aveva cominciato ad idolatrare la dedizione allo studio
di Evangeline. E dato che Rosie era quanto di più simile ad
un terremoto, non conosceva altra maniera di far loro visita, se non un
attacco a sorpresa.
La cosa
divertente era che nelle sue uscite si trascinava anche le altre due
compagne del sesto anno, tali Die Vanille Hillyard e Faith McBride.
Rose Weasley,
detta amorevolmente Rosie, era di media statura, con una folta chioma
di capelli rossi e ricci che le scendevano come una cascata sulle
spalle. Aveva un viso grazioso, con due grandi occhi nocciola, come
quelli della madre, e un nasino piccolo e
all’insù. Era intelligente, acuta e abbastanza
sicura di se da risultare, a volte, presuntuosa, in particolar modo con
il suo nemico storico, Scorpius Malfoy, con cui, per ironia della sorte
si ritrovava a passare la maggior parte del tempo, visto che
frequentavano gli stessi corsi e le stesse compagnie. Nonostante
questo, chi la conosceva davvero, poteva sapere che in
realtà Rose molto insicura e profondamente buona, forse
troppo a detta di Albus Severus Potter, che la conosceva meglio di
chiunque altro.
Die Vanille,
invece, era più tranquilla, anzi se forse la sua pacatezza
era dovuta alla filosofia di vita che ci teneva a difendere anche con i
denti: tu non infastidisci me, io non mi interesso minimante a te.
Sì, forse sarebbe stato più corretto dire che la
bella Vanille, con i suoi lunghissimi e drittissimi capelli tanto
chiari da sembrare bianchi e i suoi occhi neri come la pece, era il
più grande esempio di menefreghismo in tutta Hogwarts.
L’esatto opposto della timida Faith McBride, con i suoi corti
capelli mogano e gli occhi nocciola posati su di un viso tanto dolce e
delicato da sembrare quello di un cherubino e che si riempiva di
lacrime per ogni cosa, felice o triste che fosse. Anche su di lei, come
su Evangeline, c’era il grande mistero di come fosse riuscita
ad essere mandata nella Casa dei coraggiosi Grifondoro anche se Rose e
Vanille assicuravano da sempre che fosse finita nel posto giusto.
«Mi
chiedo se non sia il caso di mettere un incanto su quella cavolo di
porta» borbottò Roxanne raccogliendo i capelli in
una coda alta, poi continuò a fissare assorta la porta,
persa in chissà quali pensieri, scosse la testa e
sospirò rassegnata mentre l’immagine di Rose
Weasley che lanciava un Bombarda alla loro porta si aggiungeva ad altri
mille modi che quel mostriciattolo poteva escogitare per entrare,
«No, non servirebbe a niente».
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, dormitorio maschile Grifondoro, ore
7.20.
«Al
mio tre, va bene, Ian?» un sussurro cospiratore
arrivò di sfuggita alle orecchie indolenzite e assonnate di
un James Sirius Potter che dormiva a pancia in giù, con mani
e piedi fuori dal materasso, in un groviglio indefinito di coperte. Una
piccola parte del suo cervello lo stava avvisando della minaccia che
incombeva su di lui, perché sentire un mormorio sadico di
prima mattina non è mai un buon segno, ma come sempre,
quando si trattava di James Sirius Potter ebbe la meglio quella
consistente parte della sua materia grigia che di prima mattina
risultava reattiva come un’ameba, così si
limitò a schiacciare ancor di più la faccia nel
cuscino, ignaro di tutto.
Alla sua destra
due ragazzi, ancora in pigiama ma decisamente svegli, tenevano le
bacchette alzate ghignando complici mentre gli altri due camerati che
occupavano la stanza, se ne stavano seduti sui rispettivi letti intenti
a trattenere le risate.
Uno.
Due.
Tre.
Con uno scatto
del polso in sincrono il letto di James finì sottosopra e il
poveretto spiaccicato a terra con un urlo strozzato decisamente poco
mascolino.
«Buongiorno
Jamie!» esclamò allegramente uno dei due
responsabili della sua sveglia, mentre gli altri tre scoppiavano a
ridere incontrollati, «Dormito bene?» aggiunse con
una punta di sadismo mentre il giovane Potter si alzava da terra
massaggiandosi le ossa doloranti, prima di spettinarsi ancor di
più i capelli con una mano e portare i suoi occhi assassini
su di lui.
«Elijah
Faraday, scappa finché puoi..» mormorò
con il fumo che ormai gli usciva dalle orecchie e le mani che gli
prudevano dalla voglia di tirare un pugno a quella testa di Troll che
aveva avuto la brillante idea di svegliarlo in quella maniera
indecente, «Perché appena ti prendo ti
uccido!» e senza aspettare un secondo si lanciò al
suo inseguimento, ignorando bellamente i tre che continuavano a
ridersela.
«Frank!
Fermalo tu!» implorò Elijah rifugiandosi nel letto
di uno dei ragazzi alla ricerca di protezione ma quello, con un ghigno
lo calciò gentilmente a terra.
«Arrangiati
Eli» rispose mentre James si avventava finalmente sulla sua
preda e cominciava a torturarla lasciandole pizzicotti ovunque gli
capitasse.
«Jam..James!»
sbraitò Elijah cercando di bloccargli le mani,
«Perché non te la prendi anche con
Ian?!».
«Perché
sono convinto che l’idea sia stata tua,
disgraziato!» ribatté James ancora furente e per
nulla intenzionato a lasciarlo andare.
«Ma
non è giusto!!».
A chiunque, nel
dormitorio maschile, sarebbe piaciuto dire che quel casino di prima
mattina era solo un fatto sporadico, che capitava solo nelle occasioni
speciali: la realtà era che la vicinanza delle parole James
Potter, Elijah Faraday e putiferio erano una sorta di legge fisica, le
prime due comportavano in maniera inequivocabile la terza.
In compenso
qualche buon’anima, di cui tutti volevano conoscere il nome,
aveva inventato la variabile Ian Clow, che trasformava il suddetto
putiferio in caos controllato e i due satelliti Frank Paciock e
Lysander Scamander, grazie ai quali il caos controllato evitava di
degenerare.
In fin dei
conti, quell’annata di ragazzi Grifondoro era decisamente ben
assortita e nonostante ne avessero combinate di tutte i colori tutti
quanti nella torre si erano rassegnati con un sorriso al loro essere un
maremoto umano.
La mente
criminale del gruppo, se così si poteva, in maniera
riduttiva, definire, era il già citato James Sirius Potter,
rubacuori di professione che aveva fatto del catturare e ammaliare
fanciulle indifese una vera e propria arte, con i suoi capelli scuri
perennemente spettinati e i suoi occhi scuri che avrebbero fatto
ammattire anche la McGranitt se solo, beh, non fosse stata la
McGranitt. Se a questo si sommavano un fisico da atleta e il titolo di
cercatore che manteneva da sei anni e quello di Capitano ricevuto solo
l’anno prima, con un pizzico di infrazioni al regolamento
scolastico che non fanno mai male alla reputazione di un vero idolo,
poco importava che i suoi amici lo superassero in altezza, lui sarebbe
sempre apparso la preda più ambita della fauna femminile di
Hogwarts e se ne compiaceva in ogni momento della sua vita.
Perché
sì, James era tutto quello che poteva essere il ragazzo
ideale: altruista, gentile, impavido, divertente e tutto il resto, ma
l’amore per se stesso non glielo toglieva nessuno e sapeva
essere di un egocentrismo surreale.
Veniva poi il
secondo fattore di disastri, Elijah Faraday, capelli mogano, occhi a
detta di molte, troppo verdi per essere veri e quel sorrisetto
malizioso sulle labbra ogni volta che passava un membro femminile del
corpo studentesco. Lui, al contrario di James, aveva fatto
dell’illudere fanciulle indifese un vero e proprio stile di
vita, tanto che la sua relazione più lunga con una donna era
quella che intratteneva, volente o nolente, con sua madre, che
purtroppo se l’era fatto e doveva pure tenerselo.
In sostanza
Elijah Faraday era un metro e novanta circa di stronzaggine allo stato
puro.
Ma non quella
stronzaggine che ti fa desiderare di spaccargli la faccia con un pugno,
no, troppo facile, stiamo parlando di quella stronzaggine che ti fa
desiderare di essere presa e usata solo per provare
l’ebbrezza e quei due istanti di paradiso.
Fortunatamente
a salvare l’onore della famiglia Faraday c’era la
sua nemesi personale, Mordecai Faraday, il gemello normale, Serpeverde,
quello che tutti adoravano tranne, ovviamente, fratello, che potendo
avrebbe riscritto la storia per nascere figlio unico, e che era anche
il primo e lampante motivo per cui Elijah Faraday nutriva un odio
profondo e radicato per le Serpi, tutte quante indistintamente.
Ringraziando il
cielo era stato inventato anche quel bravo ragazzo di Ian Clow che
teneva tranquilli, con i suoi riccioli castani, la pelle dorata e gli
occhi neri, quei due terremoti scolastici che altrimenti avrebbero
distrutto il castello.
Nonostante
questo, nessuno si spiegava come mai uno come lui, davvero un bravo
ragazzo, con una fedina penale che sarebbe potuta tranquillamente
rimanere intonsa, fosse andato a complicarsi la vita con la loro
compagnia, alcuni ipotizzavano un colpo di sole, altri un colpo di
sonno, altri in un colpo in testa, altri un colpo e basta.
Rimanevano
Frank Paciock, con i suoi quasi due metri di altezza e un aspetto
pressoché identico a quello del padre, nonché
stimato professore di Erbologia, Neville Paciock. Era un ragazzo mite e
tranquillo, se non veniva esageratamente stuzzicato e nessuno osava
più infastidire Frank Paciock dal quarto anno, quando
spedito un ragazzo in infermeria per una settimana. E infine Lysander
Scamander, con la testa perennemente tra le nuvole, un altro troppo
dolce per essere finito a Grifondoro,i capelli tanto chiari da sembrare
bianchi e gli occhi blu grandi e un pochino ingenui, forse.
Decisamente un
gruppo ben assortito, il settimo anno Grifondoro.
Sala
Grande, ore 7.45.
La Sala Grande
era un caos, quella mattina, come tutte le mattine e del resto non
sarebbe potuto essere altrimenti con tutti quei ragazzi costretti a
vivere sotto lo stesso tetto e a fare colazione alla stessa tavola: in
compenso lo sguardo vigile del corpo docenti impediva delle e vere
battaglie con il cibo.
«La
prima partita è contro Corvonero?!»
sbraitò Roxanne addentando una fetta di pane in maniera
decisamente poco elegante, Evangeline la guardò esasperata
prima di guardare Frank, che cercò di consolarla, e James,
seduto davanti alla cugina, scoppiò a ridere di gusto,
mentre Elijah si divertiva a rubare il cibo dal piatto di una Jade
decisamente ancora troppo addormentata che non se ne accorgeva nemmeno,
il tutto sotto lo sguardo di perenne rimprovero di Ian e quello confuso
di Lysander, che ancora non capiva che gusto ci fosse a prelevare il
cibo dal piatto degli altri quando se ne era praticamente circondati.
«Me
l’ha detto prima la Hastings» rispose James
soddisfatto, prima di guardare verso il soffitto, assaporando
già la prossima vittoria sul campo da Quidditch,mentre la
sua rinomata competitività riaffiorava pian piano dopo
un’estate in cui era rimasta assopita, lontano dal campo da
gioco.
«Io
giuro che se quella testa di Troll di Lorcan mi viene vicino come
l’anno scorso lo butto giù dalla scopa!»
continuò imperterrita Roxanne aggiungendo una serie di
improperi poco comprensibili nella confusione generale.
«Ma
di cosa ti preoccupi, Weasley? Paura di perdere la nostra scommessa
anche quest’anno?» insinuò Elijah,
perché stuzzicare la Weasley mora era il suo passatempo
preferito da sempre.
Jade
alzò la testa dal piatto, improvvisamente attenta: scommessa?
«Tranquillo,
Eli, non vincerai neanche questa volta» lo spense la ragazza
con un sorrisetto compiaciuto e Jade sbuffò bevendo il suo
succo di zucca in un sorso.
Era tradizione,
da un po’ di anni ormai, da quando erano entrati in squadra
loro tre, Jade, Rox ed Eli, che i cacciattori di Grifondoro,
all’inizio della stagione, scommettessero su chi avrebbe
fatto più centri tempo la fine dell’anno e
l’anno prima aveva vinto la bionda. Non che la posta fosse
alta, un solo galeone, ma per i tre era una questione di orgoglio e
l’orgoglio di Roxanne ed Elijah avrebbe occupato tutto il
castello standoci stretto.
«Comunque»
tornò alla carica Rox puntando la forchetta contro il
cugino, «L’anno scorso quel maiale coi capelli di
Lorcan mi ha toccato il culo: se ci riprova sai già che lo
affattuo, a costo di rimetterci la stagione. Ricordalo,
Capitano».
«Mi
sono giunti i tuoi toni soavi che chiamavano dolcemente il mio nome,
Weasley» si intromise una voce dannatamente familiare e
fastidiosa, «Stavi forse parlando di me?».
Lorcan
Scamander, Corvonero, in tutta la sua maledetta altezza e in tutto il
suo maledetto ego, stava in piedi alle spalle di James, con i capelli
biondi alti sulla testa e gli occhi grigi, al contrario di quelli del
gemello, affilati come due lame, senza la minima traccia di
ingenuità.
E Roxanne lo
odiava, solo Merlino e Morgana potevano sapere davvero quanto lei lo
odiasse con ogni fibra del suo essere.
«Vai
al diavolo, Lorcan» masticò la ragazza voltandosi
da un’altra parte, nel vano tentativo di ignorarlo ed Elijah
non riuscì a trattenere l’ennesimo ghigno, se
c’era una cosa che preferiva alla Weasley mora che gli
inveiva contro, era la Weasley mora che inveiva contro Lorcan Scamander.
«Con
piacere, tesoro» le sorrise a mezza bocca lui prima di
voltarsi verso il fratello, «Senti, Lys, mamma ha chiesto se
hai preso tu i suoi occhiali gialli, quelli che usa quando va alla
ricerca di non mi ricordo nemmeno che cosa. Li hai visti? Se si
rimandaglieli, grazie. Sembra che casa nostra sia infestata da quei
cosi e lei vuole capire dove hanno fatto il nido..».
«Va
bene, Lo» rispose pacato l’altro, «Non mi
pare ma guarderò».
«Lorcan,
noi andiamo a Incantesimi: vieni con noi?» un’altra
voce, più chiara e delicata, affiancò la figura
del biondo, e una ragazza con i capelli ricci, corti e mori, non molto
alta ma molto bella, gli sfiorò appena il braccio per
attirare la sua attenzione, mentre il ragazzo che era arrivato con lei
salutava con un cenno il tavolo dei Grifondoro.
«Ciao
Row!» esclamò Jade alzandosi, «Mord, per
fortuna sei venuto tu, dobbiamo parlare della ronda di questa
sera».
Erano Rowena
Dale, Corvonero, e Mordecai Faraday, gemello di Elijah, in tutto
identico al fratello che lo salutò con una specie di
grugnito.
«Bello
essere Caposcuola, eh, ragazzi»ridacchiò James
guardando le facce di Mordecai e Jade, per niente entusiaste.
«Uno
spasso, Potter» rispose sarcastico il Faraday mentre Jade
salutava gli altri e si dirigeva con lui fuori dalla sala.
«Mi
raccomando, Roxanne, non smetterla di pensare a me, ma non ti
preoccupare: alla terza ora saremo ancora insieme» e anche
Lorcan se ne andò trascinato a forza da Rowena.
«Io
lo ammazzo, io giuro su Merlino che lo ammazzo»
sibilò Rox sfogando la sua rabbia su un tozzo di pane ormai
ridotto in briciole, sotto lo sguardo vigile e leggermente ma
giustamente spaventato di Eva: la Weasley arrabbiata era pericolosa, lo
sapevano tutti.
Intanto Lorcan,
nei corridoi del castello con Rowena, se la rideva soddisfatto.
«Non
ti stufi mai di rovinare la vita a quella ragazza?» chiese
Rowena con una nota di rimprovero, il ragazzo sorrise diabolico ma non
rispose e Lorcan Scamander che sorrideva in quella maniera era
pericoloso, terribilmente pericoloso, lo sapevano tutti.
Note:
Salve a tutti, masochisticamente ho postato anche il primo capitolo di
questa storiella, lavoro a cui, per altro, tengo in maniera particolare
-.-""
Comunque, sperando che qualcuno l'abbia letta, spero vi abbia convinti
un po' di più del prologo..e vale sempre lo stesso discorso:
vi prego, vi scongiuro, vi supplico, lasciatemelo un commentino, per
favore!! Anche negativo, se è quello che pensate, basta che
mi diciate qualcosa: qualsiasi cosa va bene, accetto ogni genere di
critica..
Grazie mille per l'attenzione,
Najla
|
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Capitolo 3 *** Conta fino a dieci e poi taci ***
Secondo
Capitolo
Conta fino a
dieci e poi taci
5
Ottobre XX
Scuola
di magia e stregoneria di Hogwarts, Aula di Difesa contro le Arti
Oscure, ore 08.10
Cinnamon
Hastings era quella che chiunque, a livello universale, avrebbe
definito, non a torto, una donna con le palle.
E
lei ne andava dannatamente fiera.
Abbastanza
alta, tutta muscoli ma con un cervello fenomenale e testarda come un
mulo, era stata una valida Grifondoro ai tempi della scuola e,
nonostante le voci di corridoio le attribuissero con convinzione un
passato come cacciatrice di mostri o assassina al saldo di potenti
maghi dell’Est, una volta finiti gli studi aveva intrapreso
la carriera di Auror perché, come si diceva in giro,
Cinnamon Hastings aveva imparato a disarmare un mago ancor prima di
camminare, ed era, a onor del vero, una delle più grandi
duellanti in circolazione.
Aveva
quindi ricevuto l’addestramento della polizia magica e
avrebbe anche scalato velocemente la scala gerarchica se non ci fosse
stata la guerra. Tutta quella devastazione l’aveva portata a
dover riconsiderare le sue priorità e, mentre il mondo
magico faticosamente si ricostruiva pezzo dopo pezzo, lei aveva dovuto
fare lo stesso con la sua vita, e alla fine aveva deciso di andare nel
luogo che in quel momento aveva più bisogno
dell’aiuto che poteva dare: la scuola dove era cresciuta.
Aveva
dato una mano nella ricostruzione, aveva fatto domanda per la cattedra
di Difesa contro le Arti Oscure, convinta che nessuna maledizione di
sorta avrebbe potuto impedirle di occupare quel posto, suo ormai da
ventiquattro anni, e infine aveva deciso che lei, in
quell’aula e tra quelle mura ci sarebbe pure morta.
Ed
era universalmente risaputo che se Cinnamon Hastings decideva qualcosa,
niente e nessuno potevano smuoverla.
Certo,
all’inizio era stato difficile rapportarsi con ragazzi che la
magia Oscura l’avevano provata sulla loro pelle e se la
ricordavano meglio di chiunque altro, o che erano riusciti a
contrastarla talmente bene da credere di non aver più niente
da imparare. Era stato duro gestire i sorrisi strafottenti degli alunni
più grandi che avevano imparato da soli come difendersi e ne
erano orgogliosi, oppure i pianti isterici che scoppiavano regolarmente
durante le lezioni in cui si ritrovava a dover spiegare le maledizioni
senza perdono, mentre negli occhi dei suoi studenti, e anche nei suoi,
era inutile negarlo, riaffioravano il dolore delle perdite: le
cicatrici riprendevano a pulsare e le immagini di cadaveri sospesi
chissà dove si sovrapponevano a centinaia di lampi verdi e
assassini, scorrendo come un macabro film nella mente di ognuno.
Era
stato orribile, ma alla fine, con il passare inesorabile degli anni,
anche lo spettro della guerra era andato scemando, i ragazzi avevano
riportato alla sua materia il giusto entusiasmo e lei e i suoi occhi da
falco si erano guadagnati il rispetto e l’ammirazione degli
studenti.
Quella
mattina, la prima ora, avrebbe avuto la lezione con il settimo anno, le
Case Grifondoro e Tassorosso, e sentì uno strano nervosismo
correrle lungo la spina dorsale al pensiero di dover sopportare per un
concentrato di sessanta minuti quella che ormai considerava la sua
nemesi personale: Elijah Faraday.
Perché
Cinnamon Hastings era anche la direttrice della casa rosso-oro e quel
ragazzo gliene aveva combinate così tante nel corso della
sua carriera scolastica, che non avrebbe saputo se stillarle in ordine
cronologico o alfabetico e se non fosse stato tanto bravo a Quidditch,
se lei non fosse stata dannatamente orgogliosa di quella coppa nel suo
ufficio e se il gusto della vittoria in bocca non le avesse sempre dato
alla testa, probabilmente l’avrebbe spedito personalmente
fuori dalla finestra con un poderoso calcio nel didietro, per dirlo
alla babbana.
Sentì
un mormorio indistinto e parecchio consistente farsi largo nel silenzio
della sua aula, ed era certa che in testa al gruppo di studenti ci
fosse proprio lui, pronto alla sua solita sparata mattutina.
«Ma
buongiorno, prof! » esclamò ridendo, come al
solito quel ragazzo il rispetto non sapeva neanche dove andarlo a
cercare, «Dormito bene?».
La
professoressa Hastings alzò lo sguardo dalla pila di
pergamene più o meno consunte sparpagliate sulla sua
scrivania e lo fulminò con un’occhiata tanto truce
che avrebbe potuto rispedirlo al creatore in un millesimo di secondo e
che, giustamente, gli fece almeno perdere qualche tono di colore.
«Non
è giornata, signor Faraday, siediti e se ti sento aprire di
nuovo la bocca per darle aria ti ritrovi a pulire la gufiera con il
custode, fino a fine anno, sono stata chiara?» la voce
mortalmente gelida della donna bastò a terrorizzare tutti i
sedici studenti entrati in classe che cominciarono in perfetto silenzio
a sistemarsi, perché era noto che, un avvertimento dato ad
uno, valeva per tutti.
Jade
si mise vicina a Roxanne, ma non prima di aver lanciato
un’occhiata incuriosita e perplessa a James che, vicino ad un
Elijah ancora sotto shock per quell’accoglienza, scosse la
testa facendo spallucce: qualcosa doveva per forza essere successo.
Perché
per quanto Elijah fosse un’irrispettosa testa calda, mai la
Hastings gli aveva risposto con quel tono, e le possibilità
erano due: o Elijah aveva scatenato una nuova guerra magica, oppure
doveva essere qualcosa di molto ma molto grave nella vita della donna.
«Che
cavolo hai combinato?» bisbigliò James
all’indirizzo del compagno di banco che, stupito anche lui,
fece spallucce pur di non aprire bocca e andare contro
l’ordine della professoressa.
«Signor
Potter » e James sentì il suo cuore perdere un
battito quando si rese conto che la donna lo stava guardando sempre
più inviperita, «Mi pareva di essere stata
abbastanza chiara, vuoi così tanto andare a spendere le tue
notti dell’ultimo anno con il signor Hall tra i
rapaci?».
James
non rispose, sapeva che non ce n’era alcun bisogno, si
limitò ad abbassare la testa in silenzio, ma mentre lo
faceva l’occhio gli scivolò sulla cattedra dove
una lettera ancora aperta, appoggiata con malagrazia sopra un libro
grosso quanto uno dei mattoni del castello, spiccava per il suo bianco
cangiante: fu un secondo ma gli bastò per riconoscere la
dicitura del Ministero della Magia, a casa sua di lettere come quelle
ne circolavano a iosa.
Cosa
poteva volere il Ministero dalla professoressa Hastings?
Ma
ad un tratto non gli parve poi un così grande mistero
l’umore della donna che aveva appena ordinato a tutti di
aprire i manuali a pagina 49: Dieci
modi per immobilizzare efficacemente senza uccidere.
Scuola
di magia e stregoneria di Hogwarts, Aula di Incantesimi, ore 08.55
Katherine
Penelope Wetmore sbuffò sonoramente per l’ennesima
volta, ravvivando con un gesto quasi automatico la lunghissima chioma
tinta cioccolato che le ricadeva ordinata e accuratamente stirata sulle
spalle. Ormai da tre quarti d’ora abbondanti, ovvero da
quando si era seduta nell’ultimo banco in fondo a destra
all’inizio della lezione, stava osservando sempre
più accigliata il banco dove sedevano la Dale e Mordecai:
quei due insieme avevano il bizzarro e fastidioso potere di rovinarle
la giornata come pochi. Non era mai stata una strega con certe
fissazioni sul sangue pure, anzi, figurarsi che suo fratello
l’aveva persino sposata una mezzosangue, e c’andava
pure d’accordo, e non importava neanche che si trattasse
proprio di Mord e della Dale, la conosceva appena, non ricordava
nemmeno di averci mai parlato.
Il
vero problema era che fosse una Corvonero.
Una
irritante Corvonero.
E
non una Serpeverde.
Perché
Kath mostrava un orgoglio patriottico inspiegabile quando si trattava
della sua Casa e proprio non le andava giù che
ciò che era di Serpeverde, e Mord era un vero gioiello
verde-argento, finisse a qualcuno che non era di quella Casa, a una
Corvonero poi, che poteva avere tutti i cervelli che voleva e invece
doveva andare proprio a romper le uova nel paniere a tutte le altre
donne di Serpeverde.
Se
poi si trattava proprio di Rowena Dale la cosa le era ancor meno
congeniale.
Perché
Kath non c’aveva mai parlato con lei, ma ne sapeva la vita a
memoria tanto le aveva parlato alle spalle in quei sette anni, insomma
era uno dei pettegolezzi più ghiotti di tutto il castello e
tra le solite quattro mura ci si annoia facilmente, così in
poco tempo la ragazza
dei Faraday era diventata il suo passatempo preferito.
La
realtà era che non era mai riuscita a digerire del tutto che
nessuno dei due gemelli l’avesse mai minimamente presa in
considerazione, lei che aveva una fama in campo sentimentale davvero
notevole, mentre quella ragazzina insipida della Dale era riuscita ad
accalappiarle entrambe, le due perle di Hogwarts: Elijah e Mordecai
Faraday.
Ma
la sua non era invidia, decisamente non lo era, se lo ripeteva ogni
giorno: era semplicemente odio.
Ebbene
sì, Katherine Wetmore odiava Rowena Dale con ogni fibra del
suo essere.
«Kath,
fissala ancora un po’ e le farai un buco in testa»
commentò vagamente annoiata la sua vicina di banco, Charity
Lodge, Serpeverde come lei, passandosi una mano tra i lunghi capelli
biondi, in tutta risposta Katherine liberò
l’ennesimo sbuffo contrariato, incrociando le braccia al
petto.
«Non
riesco proprio a capire..è così anonima
» sibilò scocciata guadagnandosi
l’ennesima occhiataccia da parte di Vitious e della sua
assistente: un’altra su cui spettegolare era un piacere.
Hope
Harris e la sua relazione tira e molla con il professore di
trasfigurazione le avevano riempito tutto il quarto e quinto anno.
«Magari
è brava a letto » ipotizzò Charity
esaminandosi le unghie sottolineando il suo totale disinteresse verso
la lezione, quel giorno disgraziatamente teorica: quello smalto rosso
sangue era stato un vero e proprio affare e non faceva altro che
aumentare quell’aria da femme fatale in cui adorava
crogiolarsi.
«Quella
svampita? Dubito..» rispose la mora con un sorrisetto
malizioso che Char non faticò ad interpretare condividendolo
appieno: se i due Faraday avessero voluto solo una con cui andare a
letto sarebbe stato più facile andare da una di loro due che
in questo erano maestre e avevano fatto della botta e via uno stile di
vita. «Poi guardala bene, è pure bruttina
» aggiunse Kath con una smorfia di disprezzo e alla bionda
sfuggi una risata.
«Vogliamo
parlare poi di come si veste?» rispose Charity ravvivandosi
di nuovo i capelli: erano la sua vera ossessione, sempre in ordine,
sempre perfetti, sempre brillanti, sempre bellissimi.
«Sempre
meglio della Potter » ridacchiò Kath al solo
pensiero e la bionda rabbrividì.
«Niente
è come la Potter » concordò con
disgusto al pensiero della piccola Lily Potter e della sua maglia a
fiori uscita con ogni probabilità dal’armadio alla
naftalina di sua nonna.
«E
la Laurie? Sembra una suora » commentò Kath.
«E
la Weasley-mora? Secondo te una gonna quelle gambe l’hanno
mai vista?» sibilò Chairty nascondendo dietro al
dorso della mano l’ennesima risata, condivisa da una
Katherine che finalmente aveva trovato il senso di quella noiosissima
lezione e certa che si il discorso fosse proseguito sui
discutibilissimi gusti del clan Weasley in fatto di vestiario ne
avrebbe tratto almeno un senso di appagamento personale.
Sui
Weasley avrebbe sparlato per ore, erano tantissimi e il materiale non
mancava mai, a cominciare da Roxanne, ovvero la Weasley-mora, con i
suoi costanti jeans e le costanti felpe del fratello, decisamente
troppo grandi per lei, le uniche cose decenti che aveva
nell’armadio sembrava rubargliele la Weasley-rossa, ovvero la
cugina, Rose. C’erano poi le altre due sorelle Weasley,
Molly, alias la Weasley-ficcanaso, e Lucy, la Weasley-strana, che tutto
sommato attirava meno l’attenzione di tutti gli altri.
Col
senno di poi le uniche due Weasley di cui Katherine e Charity non
avevano mai sparlato erano le Weasley-francesi perché
diciamocelo, lì il miracolo evidentemente l’aveva
fatto la famiglia della mamma.
«Siete
due galline » mormorò a mezza bocca il ragazzo
seduto alla destra di Charity, senza degnarle nemmeno di uno sguardo,
continuando a scrivere veloce sul foglio di pergamena pieno di
un’infinita serie di appunti illeggibili.
Katherine
fece una smorfia stizzita, mentre la bionda riprendeva a guardarsi le
unghie con un sorrisetto compiaciuto.
«Puoi
sempre fare a meno di ascoltarci, Nott » rispose acida.
«E
tu invece, dovresti imparare a contare fino a dieci prima di parlare,
pensare a cosa stai per dire, se è o meno intelligente, ma
siccome dubito che dalle tue labbra possa uscire qualcosa anche di
vagamente interessante poi dovresti tacere » sputò
con quel veleno che riservava solo a Katherine e che non rispose,
troppo presa a controllarsi per non ucciderlo.
«Ma
ammettilo, Josh, senza di noi non ti divertiresti: Pensa avere Molly
Weasley al posto nostro? » cercò di alleggerire
Charity con una mezza risata.
Joshua
Nott incurvò appena un angolo delle labbra, prima di tornare
ad ignorare completamente i commenti poco amichevoli delle due compagne
di Casa: in effetti se avesse avuto al loro posto Molly Weasley si
sarebbe gettato a braccia aperte dalla torre di astronomia.
Insomma,
Kath e Char erano due oche patentate ma almeno ogni tanto riuscivano ad
essere anche divertenti, Molly Weasey riusciva a malapena a tollerarla
durante l’ora di Antiche Rune, figurarsi per sette anni
consecutivi: la sua vocina acuta e irritante non l’avrebbe di
certo sopportata.
Senza
rendersene conto lanciò uno sguardo verso il banco dove
stava Mord e si lasciò sfuggire un respiro quando gli vide
in viso un’espressione tranquilla, la stessa che stava
perenne sul volto della Dale, completamente ignara di quello che le due
Serpi per eccellenza avevano confabulato fino a quel momento. Ogni
tanto gli dispiaceva per quei due, in fondo era convinto che quello che
succedeva nel triangolo Faraday-Dale fosse solo un affare degli
interessati, e nessuno nella scuola avrebbe dovuto avere il coraggio di
dire nulla: quel posto era pieno di problemi sentimentali e non,
chiunque ne era finito coinvolto almeno una volta. E lui e Damian, il
ragazzo di colore che gli dormiva a fianco, con la testa appoggiata
sulle braccia incrociate, li sapevano tutti, o almeno ne sapevano
abbastanza da poterci riempire un libro e una volta c’avevano
pure pensato.
Non
per scelta ovviamente, Josh ci teneva a sottolinearlo quanto tra
ragazzi toccavano l’argomento, anzi, lui perpetrava la
politica del quieto vivere, ma perché quando il tuo migliore
amico è Damian Zabini e la ragazza con cui
quest’ultimo intrattiene una relazione molto aperta
è Charity Lodge, praticamente sorella nel’anima di
Katherine Wetmore: tu sai praticamente qualsiasi cosa.
Sospirò
ancora, l’unica cosa che lo consolava sul fronte ragazza dei Faraday,
era la convinzione che Mord non fosse così ingenuo e
all'oscuro come voleva far credere: quel ragazzo era solo furbo e
sicuramente lo era anche la Dale, ed entrambi sapevano che
finché le dicerie fossero uscite dalla bocca della Wetmore,
nessuno c’avrebbe davvero creduto.
In
fondo Kath ne combinava e ne diceva davvero tante.
Scuola
di magia e stregoneria di Hogwarts, Sala Grande, ore 12.40
La
Sala Grande era un vero caos all’ora di pranzo, gente che
urlava, che parlava, che si alzava e che studiava disperatamente per il
primo test dell’anno, magari fissato a tradimento il giorno
prima. Eppure in tutto quel marasma si respirava un’aria
familiare e allegra, indipendentemente dal colore che ognuno degli
studenti portava sulla propria divisa, d'altronde Hogwarts era sempre
stata sinonimo di casa e la McGranitt, seduta al centro della tavola
degli insegnanti con la perenne crocchia a chiuderle i capelli, su cui
spiccavano prepotenti fasce argento a ricordarle da quanto tempo
vivesse in quella scuola, era soddisfatta che tutti ancora la
considerassero tale.
Era
come se lo spirito di Silente, che aveva reso quel luogo una vera casa
per tutti loro, aleggiasse ancora silenziosamente tra gli studenti e
gli insegnanti.
La
cosa divertente dell’ora di pranzo, come della cena, aveva
imparato ad apprezzarla quando, da preside, non aveva più
avuto il problema di doversi preoccupare di sgridare chissà
quale Grifondoro: quando erano tutti riuniti nella stessa stanza
capitava di vedere le cose più assurde.
La
prima volta che aveva visto una Grifondoro sedersi al tavolo dei
Serpeverde c’era quasi rimasta secca, per non parlare poi di
quando James Potter, troppo simile al nonno per i suoi gusti, era
arrivato ad indire una gara per chi volesse avere l’onore di
servirgli il cibo sul piatto e uno stuolo di ragazzine erano accorse
entusiaste, prima che Jade Fyfield, la coscienza di James Potter,
Elijah Faraday e Ian Clow, che tanto facevano dannare la professoressa
Hastings, gli tirasse un pugno in testa e gli togliesse la voce con un
colpo di bacchetta: incapace di decretare la vincitrice di
quell’assurda gare, il ragazzo fu costretto a mandare via le
numerose pretendenti.
E
ne avrebbe avute infinite di storielle da raccontare.
«Minerva,
dopo hai tempo per un breve incontro?» le chiese ad un certo
punto la donna con i corti capelli castani che le sedeva affianco,
intenta a scrutare i Grifondoro per intercettare una qualsiasi
violazione al regolamento.
La
preside sorrise cordialmente, sistemandosi sul naso gli occhiali,
sempre gli stessi.
«Certo,
Cinnamon, ci sono stati dei problemi?» chiese più
pro forma che per altro: aveva letto il giornale quella mattina, lo
sapeva benissimo qual’era il problema.
«Mi
è arrivata una lettera dal Ministero: mi hanno convocata per
un consulto la prossima settimana in tarda mattinata »
spiegò la donna con noncuranza e la McGranitt
annuì in silenzio, seguendo un filo di pensieri che non
avrebbero portato a nessuna piacevole conclusione.
Intanto,
al tavolo che la professoressa Hastings si ostinava a guardare con
tutta la sua rinomata austerità, Elijah si sorbiva
l’ennesimo terzo grado della mattinata: come se fosse lui a
deciderlo, l’umore della sua professoressa di Difesa contro
le Arti Oscure.
«Ma
sei proprio sicuro di non aver combinato niente?»
riprovò Jade, seduta davanti a lui e ad un James che si
ingozzava neanche fosse un maiale all’ingrasso, come al
solito.
«Jay,
se avessi fatto qualcosa di così riprovevole credo lo
saprei! » protestò Eli ma dopo
un’occhiata scettica da parte di Ian fu costretto a
correggersi, «Magari no, ma qualcosa mi ricorderei di sicuro!
».
«Non
è nemmeno detto che sia proprio colpa sua »
tentò Rox, «Potrebbe avere problemi in famiglia o
essere in menopausa o che altro ».
«Mi
stai difendendo, Weasley?» commentò Elijah
rimanendo a bocca aperta, palesemente sconvolto: quella ragazza era il
bersaglio principale dei suoi scherzi, era normale che fra loro non
scorresse buon sangue.
«E’
la mia buona azione quotidiana, non farci l’abitudine,
Faraday » sorrise ironica Roxie addentando un pezzo di carne,
Eva sospirò rassegnata guardandola: un po’ di
femminilità non le avrebbe di certo fatto male.
«Comunque
non credo che sia colpa di Eli » se ne uscì James
dopo aver finito di mangiare almeno tre porzioni di ogni pietanza e
aver mandato giù tutto con un lungo sorso di succo di zucca.
«Sai
cosa è successo?» chiese Ian curioso, era dalla
seconda ora che James sembrava avere la testa da un’altra
parte, tanto che per poco non aveva rischiato di far esplodere il
calderone durante le due ore di pozioni con Corvonero prima di pranzo,
sicuramente sapeva qualcosa.
«Ho
visto una lettera sulla sua scrivania, credo sia per quello »
rispose pensieroso ed Eli scoppiò a ridere come se avesse
appena detto un’assurdità.
«Povera
Cinna, scaricata dal suo fidanzato con una lettera, neanche io sarei
così crudele » scosse la testa con disappunto.
«Hai
ragione, Eli » annuì Ian sarcastico, «Tu
ti dimentichi di loro e basta ».
«Ha
parlato quello con l’unica relazione stabile..non capisco
come fai: la monogamia è così noiosa »
sbuffò il ragazzo inclinando un poco la testa verso destra,
quasi con quel gesto potesse riuscire a vedere le cose da una
prospettiva diversa, ma niente: per lui le relazioni serie erano solo
una perdita di tempo.
«Parliamone
quando ritroverai un cuore, Eli » rispose Ian ma prima che il
Faraday potesse ribattere con una nuova perla di saggezza James si
decise a continuare.
«Nella
lettera c’era la dicitura del Ministero della Magia, la
riconoscerei ovunque » disse suscitando la
curiosità generale: perché la Hastings avrebbe
dovuto ricevere una lettera da parte del Ministero?
«Può
essere tutto o niente » sopirò ad un certo punto
Evangeline e Roxanne fu costretta a dirsi d’accordo, mentre
Jade sfoderava uno dei suoi diabolici sorrisi che tanto piacevano a
James ed Eli e presagivano guai.
«Basterebbe
vedere cosa c’era in quella lettera..»
buttò lì come se niente fosse,
«Sicuramente la tiene nel suo ufficio o in Aula ».
Gli
occhi dei terroristi scolastici si accesero al completo e ad Evangeline
sfuggì l’ennesimo sospiro mentre constata di nuovo
ciò che aveva capito già da tempo.
Jade
in quel gruppo non era altro che la scintilla che accendeva la miccia,
composta da James ed Ian, che una volta consumata faceva esplodere la
bomba, Elijah.
Quei
quattro insieme avrebbero potuto distruggere e ricostruire il mondo
all’infinito.
Scuola
di magia e stregoneria di Hogwarts, da qualche parte nel Parco, ore
18.00
C’era
un posto, lungo la riva del Lago, dove il prato lasciava piano il posto
alla roccia, in un gioco di verde e grigio cenere, era poco
più in alto dell’erba ma non crescevano ancora gli
alberi delle montagne poco distanti a bloccare la visuale.
Lì
si poteva ammirare il più bel tramonto di tutta la Scozia,
migliore persino di quello che una volta aveva visto dalla torre di
Astronomia.
Non
sapeva cos’era di preciso a renderlo così
speciale, non ne aveva idea, forse l’acqua scura del lago che
sembrava risucchiare il sole, forse l’aria fredda che le
faceva venire la pelle d’oca che soffiava appena
accennata solo in quel posto, forse perché lo conoscevano
davvero in pochi e nessuno andava per vederci proprio il tramonto.
La
verità era che Jade Fyfield, spariva al tramonto ogni volta
che voleva ritrovare la forza per andare avanti, quando era troppo
difficile sorridere come sempre e ridere le riusciva
un’impresa impossibile.
Quello
era il suo modo per ricaricare le batterie.
E
il vero, masochistico, modo per cui aveva scelto quel posto tra tutti
quelli che garantivano completa solitudine era che lì, su
quel piccolo pezzo di verde tra il grigio, erano cominciati i suoi
tormenti: quelli che ogni tanto le rendevano difficile respirare e
trattenere le lacrime.
Chiuse
gli occhi mentre il sole scompariva, immaginando un altro tramonto,
un'altra stagione e un’altra presenza vicina alla sua,
ricordando quello che si era costretta con la forza a lasciar andare.
Poi
anche l’ultimo raggio venne inghiottito dall’acqua
scura e profonda e una lacrima le sfuggì dalla coda
dell’occhio, mentre il ricordo di un paio di labbra sulle sue
svaniva velocemente con l’avanzare della sera.
Sorrise
amaramente, se avesse trovato quell’idiota che aveva detto
che sognare non costa nulla, l’avrebbe preso e gli avrebbe
tagliato la lingua, perché lei sognava, lo faceva sempre,
era l’unica cosa che poteva fare, e nonostante ogni volta ci
soffrisse come un cane, era diventata una specie di droga, non riusciva
a smettere.
A
sognare c’avrebbe rimesso la sanità mentale.
Riaprì
gli occhi, verdi in quel momento, e si rialzò per tornare al
castello: nessuno doveva sapere.
E infondo, a volte, era meglio semplicemente tacere.
Scuola di magia e
stregoneria di Hogwarts, Sala Grande, 19.13
Jade arrivò più tardi degli altri a cena, quella
sera, sedendosi come al solito tra Ian ed Eva che gentilmente le
avevano tenuto un posto, non sembrava che le fosse successo niente di
ché e quando disse che semplicemente si era attardata sotto
la doccia nel bagno dei Prefetti, semplicemente James e Eli la presero
in giro perché era la solita femmina.
«Jay, ti sei persa una scena!» esclamò
Jamie guardando Rox già tinta peperone tra rabbia e
imbarazzo.
«Questa qui » continuò Eli indicando la
Weasley, «Stava cadendo dalle scale e indovina chi
è venuto a salvarla? Lorcan! E’ stata una scena
esilarante ».
«Esilarante un mazzo di cavoli! »
sbraitò Roxanne mentre Ian, Eli e Jam si tenevano la pancia
dalle risate, incuranti dei pugni e dei calci con cui cercava di
colpirli Roxanne per farli stare zitti, «Sono sicura che mi
ha fatto cadere lui, di proposito ».
«Sicuro » commentò Eli sarcastico
beccandosi l’ennesimo pugno da una mora sempre più
indispettita.
«Diglielo tu Jay! » disse ad un certo punto Raxie,
che aveva tutta l’aria di essere regredita
all’età di sei anni, quando diceva una cosa e
nessuno le credeva e doveva sempre cercare qualcuno che la difendesse.
Jade si lasciò sfuggire una risata che fece imbufalire ancor
più la ragazza già paonazza.
Sembrava tutto normale, eppure Evangeline si rese conto che qualcosa
non andava, che c’era qualcosa di diverso nella bionda, che
il suo sorriso era un poco più stanco, che le sue spalle
erano un poco più cadenti e che i suoi occhi erano un poco
più spenti.
Guardò Ian e lui abbassò il capo in quella che
poteva sembrare una muta ammissione di colpa, durò una
frazione di secondo, ma ad Eva bastò per capire.
Non disse nulla e fece finta di niente come gli altri: a volte era
meglio tacere.
Note di un'autrice che si sente tremendamente in colpa:
Salve a tutti :) allora, comincio con lo scusarmi per il ritardo,
soprattutto dopo le belle recenzioni che mi avete lasciato, mi dispiace
davvero un sacco, ma la scuola incombe e devo ringraziare il ponte del
primo maggio se sono riuscita a finire questo capitolo: sul serio,
potrei organizzare un'ecatombe dei miei professori se non la smettono
di programmare compiti in classe -.-"
Comunque, mi sento in dovere di scusarmi anche per questo capitolo, che
non è un granché, ma ormai mi sono arresa al
fatto che a me i secondi capitoli proprio non vengono, non
c'è feeling, niente da fare!! Ma con i prossimi dovrebbe
andare decisamente meglio :)
Detto questo ringrazio di cuore chi ha recensito, mi raccomando non
smettete di farlo ;) , chi ha inserito la storia tra le seguite e chi
tra le preferite: insieme al numero delle recensioni sono di grande
sostegno morale :) Grazie anche a chi legge e basta, se volete farmi
sapere cosa ne pensate sono sempre qui :)
Bene, credo di aver finito, ora non mi resta che aspettare in un
angolino i pomodori che mi tirerete una volta arrivati fino a qui:
tranquilli, fate pure che non mi sposto!!
Al prossimo capitolo,
Najla
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Capitolo 4 *** Come ci siamo arrivati ***
bb
Terzo
Capitolo
Come ci siamo arrivati
(Payphone)
I’m at a
payphone trying to call home
All of my change I
spent on you
Where are the times gone
baby, It’s
all wrong
where are the plans we
made for two?
10
Ottobre XX
Londra,
un caffè qualsiasi, ore 09.00
Una
leggerissima pioggia aveva deciso di baciare la capitale inglese quella
mattina, come d’altro canto, aveva fatto tutta la settimana,
costringendo i suoi abitanti ad uscire di casa con un ombrello
sottobraccio, tra imprecazioni di vario tipo causate da un schizzo di
polvere a acqua caduto sui pantaloni nuovi di un impiegato in ritardo,
oppure da un piede finito proprio in quell’unica pozzanghera
di
tutta la via.
Eppure
Nihila, seduta ad un tavolo di uno di quei vecchi bar dove il
caffè si macina ancora nel retrobottega e invade
prepotentemente
i pensieri dei clienti con il suo aroma, capace di lasciare in bocca
quel retrogusto amaro ma gradevole, non poteva proprio fare a meno di
amarla, quella città e la sua pioggia.
Londra
era il posto che più volte l’aveva accolta senza
fare
troppe domande: la prima volta, a undici anni, quando i suoi genitori
l’avevano accompagnata alla stazione di King’s
Cross, poi
quando, ormai all’ultimo anno di scuola, aveva avuto il
permesso
di andarci da sola e infine quando era tornata per lavorare al San
Mungo, con l’intenzione di non ripartire più.
Finalmente
libera.
Il
campanello posto sulla porta della caffetteria trillò
allegro,
attirando finalmente l’attenzione di Nihila, intenta, ormai
da
venti minuti abbondanti, a fissarsi le mani.
Aveva
fatto il suo ingresso un ragazzo alto, con i capelli biondi umidi di
pioggia, che sembravano non aver mai visto una spazzola da quanto erano
disordinati, ed un braccio fasciato, tenuto al collo. Si guardava
intorno con circospezione e in viso l’espressione poco
convinta
di chi non ha ancora capito per quale arcano e misterioso motivo si
trova dove si trova.
Gli
occhi neri della giovane dottoressa incrociarono per un secondo quelli
verdi del nuovo arrivato, ma furono subito costretti a tornare bassi,
sul tavolo, scottati dal gelo e dall’insofferenza che aveva
letto
in quelli del’altro.
Lo
sentì avvicinarsi, lo sentì spostare la sedia
davanti a
lei, sedersi sopra ad essa con poca grazia e infine borbottare qualcosa
di incomprensibile ma sicuramente poco gentile.
«Grazie
per essere venuto, Edward » si costrinse a dire Nihila
prendendo
un lungo e profondo respiro. Alla fine le ferite del ragazzo erano meno
gravi di quello che sembravano all’inizio ed era stato
dimesso
pochi giorni dopo esser stato ricoverato, così aveva deciso
di
sistemare le cose una volta per tutte e parlarci a quattrocchi, ma ad
un tratto quell’incontro non le parve più una
così
grande idea, o almeno non la migliore che le potesse venire.
«Sono
qui solo perché me l’ha chiesto Teddy »
rispose
secco il giovane Harker, senza guardarla, «Cosa vuoi,
Nihila?».
La
ragazza trasse l’ennesimo profondo respiro cominciando a
torturarsi nervosamente le dita, intrecciandole tra di loro nella
remota speranza di compiere un incantesimo involontario che aggiustasse
tutto quanto. Sentiva la determinazione con cui aveva deciso di
affrontare Edward quella mattina, scemare irrimediabilmente verso il
baratro e si ritrovò a pensare, preda di un attacco di
sarcasmo,
che quella situazione era tremendamente ridicola.
Aveva
affrontato faccia a faccia suo padre e la sua famiglia, in India, e ora
non riusciva a fare altrettanto con il fidanzatino dei tempi della
scuola, in Inghilterra?
Si
ritrovò a sorridere amaramente tra sé e
sé: se
Leigh l’avesse vista in quello stato le avrebbe fatto una
ramanzina infinita, ne era certa.
«Solo
parlare, Edward, voglio solo parlare » trovò il
coraggio
di proferire con un tremito nella voce, perché sapeva che
lui,
adesso, si sarebbe infuriato davvero tanto.
E
infatti Nihila lo vide stringere i pugni fino a far sbiancare le
nocche, per poi nascondere l’unico che poteva muovere
liberamente
sotto al tavolo, «Mi sembra un po’ tardi per
parlare, non
credi, Nihila?» schioccò la lingua in modo
volutamente
minaccioso e la ragazza ebbe la malsana sensazione che stesse cercando
di incenerirla con lo sguardo: preferì non controllare.
«Edward..
» provò a dire allora, ma lui la ignorò
imperterrito nella sua furente e, Nihila si trovava costretta ad
ammetterlo, giustificata invettiva.
«Perché
non so come funzioni da te, ma a casa mia cinque anni sono un lasso di
tempo discretamente lungo, non credi? » sputò con
sarcasmo, «E venire a chiedermi dopo tutto questo tempo, dopo
tutto quello che hai combinato, di parlare.. Cosa speravi di ottenere,
eh?! Tanti saluti e amici come prima?! Dopo avermi lasciato solo come
un cane.. Mi piacerebbe sapere con che coraggio puoi ripiombare nella
mia vita e chiedermi se possiamo parlare?! Illuminami,
perché
onestamente non lo so! » quasi ringhiò Edward,
incurante
del barista che lo guardava sottecchi, indeciso se intervenire o meno a
fermare la discussione.
«Edward,
ti prego..» cercò di fermarlo ancora, con tono
pacato, lo
stesso che avrebbe usato con una bestia feroce pronta ad attaccare per
uccidere, e ora, in effetti, non riusciva a vedere troppe differenze
tra il ragazzo che aveva di fronte e un mostro del genere.
«Tu
non hai la minima idea di quello che ho passato, Nihila! Ti ho
aspettata alla stazione per ore, ci sono tornato anche i giorni
successivi e di te nemmeno l’ombra! E nessuno sapeva dirmi
dove
tu fossi finita! » urlò rosso di rabbia al solo
ricordo
del tempo passato da solo su quella maledetta panchina con la speranza
di vederla arrivare, di cominciare quel futuro che per anni avevano
programmato; e NIhila glielo aveva promesso: l’aveva guardato
negli occhi e glielo aveva giurato, che sarebbe tornata.
Edward
trasse un profondo respiro, sperando di sbollire parte della rabbia, in
fondo erano passati così tanti anni che non aveva nemmeno
senso
arrabbiarsi tanto, e rimase a guardarla in silenzio, notando come si
fosse improvvisamente fatta più piccola su quella sedia, con
la
testa bassa incassata tra le spalle e le mani, ancora intrecciate, che
tremavano appena sopra la tavolo. Non riuscì a non pentirsi,
almeno un po’, di averla aggredita in quella maniera,
nonostante
avesse passato gli ultimi cinque anni ad aspettare quel momento ed
essersi ripetuto quel discorso per centinaia di volte, certo che dopo
averlo pronunciato si sarebbe sicuramente sentito meglio.
Ma
non era così, si sentiva un verme. Un verme pienamente nel
giusto, perché Nihila si meritava ogni parola, ma comunque
un
verme.
Yeah, I, I know
it’s hard to remember
The people we used to
be
It’s even
harder to picture
That you’re
not here next to me
«Perché
non ce lo hai detto?» chiese con una voce calma, stanco come
mai
in vita sua: stanco di stare lì, stanco di quel rancore che
non
riusciva a cancellare, stanco di guardarla lì seduta, quasi
più bella di quando l’aveva vista
l’ultima volta,
sulle porte della stazione di King’s Cross, di pensare a come
sarebbero state le loro vite se le avessero passate insieme.
Non
poteva sapere che Nihila stava facendo, tra sé e
sé, la
stessa malinconica riflessione e la faceva da cinque anni, ogni
mattina, ancora prima di mettere i piedi giù dal letto.
«Non
avreste capito e nemmeno potuto fare qualcosa » rispose con
un
filo di voce, senza aver trovato, ancora il coraggio di guardarlo in
faccia.
Paura
o vergogna, Nihila?
Edward
annuì in silenzio, senza scomporsi, sapeva che avrebbe dato
una
risposta del genere, ma non gli sarebbe bastata, non questa volta.
«Perché
non l’hai detto a me?».
Nihila
si sentì ghiacciare il sangue nelle vene e rimase
pietrificata
sulla sedia prima di fare l’unico gesto, il più
spontaneo,
che le venne in mente per rispondere: alzò lo sguardo su di
lui
e lo guardò negli occhi, come si era ripromessa di fare
quella
mattina. Era una Grifondoro, maledizione, non poteva affrontare una
situazione del genere a testa bassa e, soprattutto, Edward si meritava
di ricevere quella risposta in quel modo: come non aveva fatto cinque
anni prima.
Forse
avrebbe dovuto ascoltare Leigh, la sua coscienza, anche quella volta.
«Avevo
paura, Edward » confessò, e sentiva gli occhi
pizzicare,
un groppo in gola che la soffocava, ma si impose di non piangere,
«Eri praticamente il mio fidanzato, avevamo progettato una
vita
insieme, come potevo dirti che i miei genitori mi avevano organizzato
un matrimonio con un altro uomo, in India? Ho pensato che sarebbe stato
meglio per tutti se tu lo avessi saputo il più tardi
possibile..» tentennò un attimo, «Volevo
dirtelo,
alla stazione, ma non ne ho avuto il coraggio e mi dispiace
così
tanto..».
«Una
lettera, Nihila » ribatté sbattendo un pugno sul
tavolo,
«Hai preferito dirmi che ti stavi per sposare in una
lettera!».
«Che
altro potevo fare?!» rispose lei sporgendosi in avanti, come
a
dimostrargli che non aveva paura, non più: non aveva nemmeno
senso averne, a questo punto.
«Che
ne so!» esclamò Edward,
«Perché non
c’hai detto che eri tornata a Londra, per
esempio?!».
«C’ho
provato! Ma Victoire mi ha detto che vi eravate rifatti una vita! Che
tu avevi una fidanzata! Con che coraggio sarei mai potuta tornare nella
tua vita?!» rispose piccata, «Non l’avrei
nemmeno mai
fatto se non fossi arrivato moribondo al pronto soccorso e Teddy non mi
avesse vista!» se non fosse stato all’apice di un
nuovo
attacco di furia, al biondo sarebbe venuto persino da ridere vedendo
Nihila paonazza davanti a lui, come non succedeva dalle loro litigate a
Hogwarts.
Ma
d’un tratto ebbe comunque la strana sensazione che, da
allora, fosse passato poco meno di un secondo.
«Giusto!
Scarichiamo la colpa su di me!» ribatté
sporgendosi sempre
più verso di lei, rosso a metà tra
l’indignazione e
la collera, «Scusa se sono andato avanti con la mia
vita!».
«Ma
chi ha detto niente!» sbraitò lei, ormai i loro
volti
erano a una decina di centimetri di distanza, nemmeno volessero
cominciare a mordersi a vicenda, «Che poi, scusa, ma non
è
che tu abbia proprio fatto l’eroe del momento quella volta,
quando vi ho spedito quella lettera tu e Teddy mi avete risposto va
bene, arrangiati! Quindi sì, magari, un pochino,
è anche
colpa tua!».
Edward
si morse a sangue un labbro sperando di ritrovare la calma, almeno quel
minimo che gli impedisse di strangolarla lì e subito:
passavano
gli anni ma quella ragazza restava comunque impossibile.
«Bene!
Allora sarà colpa mia!» il biondo stava
praticamente
fumando di rabbia, e il barista, che fio a quel momento aveva pensato
di intervenire, decise saggiamente di lasciarli a loro stessi: di
litigi tra fidanzati ne vedeva tutti i giorni.
«E
se proprio vuoi saperlo, non ce l’ho più la
fidanzata!» aggiunse Edward senza nemmeno pensarci, salutando
anche l’ultimo ostacolo che gli impediva di dire tutto quello
che
gli passava per la testa.
Nihila
inarcò appena un sopracciglio fino, assottigliando lo
sguardo
ancor di più, «Beh, mi dispiace» rispose
e chiunque
si sarebbe accorto di quanto fosse falsa la sua voce.
«Ed
è tutta colpa tua!» continuò
l’altro
imperterrito, la mora spalancò gli occhi esterrefatta.
«E
perché mai, di grazia, dovrebbe essere colpa mia se tu non
sai
tenerti una fidanzata?» chiese scettica e lui si
bloccò un
secondo, rendendosi conto solo i quel momento di cosa, davvero, avesse
detto.
«Lo
so io, perché» rispose in un sibilo e lei
sbuffò
irritata avvicinandosi ancor di più, ormai i loro nasi si
sarebbero potuti sfiorare, ma non se ne accorsero nemmeno, troppo
impegnati a cercare di fulminarsi a vicenda con lo sguardo.
«Se
sono la causa di tutte le disgrazie della tua vita, mi spieghi
perché sei qui?» commentò allora
Nihila, «E
non dire che è perché te l’ha chiesto
Teddy,
perché non ci credo».
Edward
annaspò, per alcuni secondi, alla ricerca di una risposta
che
non aveva, e se ne rendeva spaventosamente conto solo in quel momento.
«Perché
io, al contrario di qualcuno che conosco, sono una persona civile ed
educata » rispose con un sorrisetto strafottente,
«E
ritenevo giusto ringraziarti per avermi salvato la vita,
contenta?».
Nihila
lo guardò poco convinta, prima di allontanarsi, incrociare
le
braccia al petto, senza distogliere lo sguardo nemmeno per un secondo.
«Prego,
allora» rispose con lo stesso tono di Edward, sicuro e
leggermente arrogante.
Rimasero
a guardarsi in cagnesco per la mezz’ora successiva, prima che
Nihila si alzasse con il pretesto di dover andare a lavorare, ma
entrambi, senza ammetterlo esplicitamente, sentivano che qualcosa, dopo
essersi urlati contro, si era finalmente mosso, per curare quella
sensazione di irrisolto che li tormentava da anni.
Non
sapevano ancora dire come sarebbe finita e, a dire il vero, non erano
nemmeno sicuri di volerlo sapere.
You said it’s
too late to make it
But is it too late to
try?
And in our time that
you wasted
All of our bridges
burned down
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, aula di Babbanologia, ore 10.10
Roxanne
si accosciò distrutta sul primo banco che le
capitò a
tiro, distrutta nonostante fosse solo la terza ora di lezione e le
prime due le avesse passate a vaporizzare le piante della serra,
insieme al professor Paciock, cosa che generalmente la rilassava e le
calmava i nervi. Tirò fuori dalla borsa il libro
più
grosso che aveva e decise di usarlo come cuscino, lasciando che i
capelli le scivolassero sul viso, oscurando anche la poca luce che
entrava dai finestroni di quell’aula pressoché
deserta.
Era l’unica Grifondoro a seguire quel corso, a parte
Lysander,
che quel giorno si trovava in infermeria dopo aver litigato con il cane
a tre teste di Hagrid, durante Cura della Creature Magiche; non aveva
ben capito la dinamica del tutto, se il cucciolo avesse voluto punirlo
con una zampata per aver cannato una nota con il flauto o che altro,
anche se Hagrid sosteneva che si fosse trattato di una dimostrazione
d’affetto: di fatto il biondino se ne stava a letto con la
testa
avvolta in un centinaio di bende.
Niente
di grave, ovviamente.
Si
sistemò ancora meglio contro la copertina del libro,
chiudendo
gli occhi, sperando con tutto il cuore che la professoressa Bennett con
si rendesse conto del suo pisolino, in fondo lei non sapeva nemmeno
perché quella lezione fosse finita nel suo piano di studi,
forse
per far piacere a nonno Arthur o forse, molto più
probabilmente,
aveva sbagliato a mettere una crocetta su qualche modulo. Non che non
trovasse curiosi i babbani, anzi, avesse potuto passare una giornata a
guardarli nascosta da qualche parte l’avrebbe fatto: erano
così buffi, così singolari nel loro modo di
sopravvivere
senza magia e un po’ la affascinavano, ma tutto questo
perdeva
importanza di fronte al fatto che non sapevano volare su di una scopa.
Perché,
come diceva suo fratello, Roxie era nata con la testa tra le nuvole, e
librarsi in aria le era necessario come respirare, per questo amava
tanto il Quidditch, non era solo una questione di competizione, di
adrenalina, di concentrazione, era qualcosa di più.
Era
la sensazione di libertà che provava volando a darle
letteralmente alla testa, era una droga.
Stava
quasi per prendere sonno quando, ripensando al come fosse finita
lì, con la testa appoggiata sulla copertina rigida di quel
mattone, e al perché non stesse parlando con Lys come faceva
ogni volta, si rese conto di avere un posto vuoto accanto a
sé e
questo poteva significare solo un’unica orrenda e orribile
cosa.
«Buongiorno,
dolcezza » ridacchiò una voce divertita e lo
sentì
sedersi al suo fianco, appoggiare la sacca con i libri sopra il banco,
e subito Rox desiderò sparire: non era proprio in giornata
per
sopportare Lorcan Scamander per un’ora intera, poi.
«Eclissati
» bofonchiò senza nemmeno scomodarsi di guardarlo.
«Ma
come siamo suscettibili, oggi » rispose lui falsamente
dispiaciuto.
«Dissolviti
».
«Dormito
male?» la ignorò tatticamente Lorcan guardandola
con un
sorrisetto divertito, e anche se Roxanne non lo vedeva direttamente,
poteva immaginarglielo dipinto il faccia.
«Sotterrati
» fu la secca risposta della mora e il sorriso sulle labbra
del Corvonero si allargò a dismisura.
«Potresti
farlo tu » mormorò con una punta di malizia,
«Morirei felice ».
Roxanne
alzò di scatto la testa, portando indietro un ciuffo di
capelli
che le impediva di vederlo bene, per trucidarlo con lo sguardo,
pensando a quanto fosse un peccato non poter fare di più:
convinta che liberare il mondo dalla presenza di
quell’impiastro
sarebbe stato un atto a dir poco lodevole.
«Non
tentarmi » scandì lentamente come se fosse stata
la
più terribile delle minacce e Lorcan la guardò
con quel
suo dannato sorrisetto, pronto a ribattere, quando entrò la
professoressa, intimando a tutti di prendere il proprio libro
perché quel giorno, annunciò tutta eccitata,
avrebbe
spiegato a tutti loro come funzionava una bicicletta.
Roxanne
ringraziò Merlino per aver impedito a Lorcan di aprire bocca
e
tirò fuori una pergamena per prendere appunti, decisa ad
ignorare quella cosa che le sedeva a fianco, come faceva da una vita.
You turned your back on
Tomorrow
Cause you forgot
yesterday
Non
sapeva esattamente quando avesse cominciato ad odiare quel ragazzo con
ogni fibra del suo essere, perché lo odiava davvero,
l’avrebbe strangolato ogni volta che apriva bocca e la
tentazione
di picchiarlo era veramente troppo forte, ma non ne sapeva con certezza
il motivo. Sapeva solo che da che andavano a scuola, non era mai
riuscita a tollerare la presenza di Lorcan Scamander, e il fatto che
lui ci marciasse sopra ogni giorno, stuzzicandola in tutte le maniere
conosciute, non aveva mai aiutato.
Ricordava
con chiarezza che c’era stato un periodo, da bambini, in cui
erano andati d’accordo, loro due, e sapeva di non averlo
sognato,
perché sua madre più volte le aveva mostrato una
foto in
cui apparivano lei e Lorcan, intenti a giocare con una scopa giocattolo
e sembravano divertirsi davvero. Ce n’erano altre poi, in cui
c’erano anche Lys e Jamie, a volte Mols, che le ricordavano
le
estati passate a casa Potter quando i suoi erano via per lavoro, e in
tutte lei e Lorcan sembravano andare d’amore e
d’accordo.
In
realtà non c’era mai stato un vero motivo per
odiare
Lorcan: lui non gliene aveva mai dati. Era un bel ragazzo, niente da
dire, simpatico, estroverso, sicuro di sé, un po’
arrogante ed esaltato, ma non era poi così diverso da Jamie,
e
con il cugino Roxie aveva un bellissimo rapporto, e in fin dei conti la
prendeva in giro allo stesso modo di Elijah, eppure, Eli, non aveva mai
desiderato strangolarlo, almeno non così spesso come le
succedeva con il biondino, di questo ne era sicura.
Avrebbe
potuto tranquillamente trattarlo come trattava tutti, scherzare con lui
come faceva con tutti, ma una parte di lei, non sapeva dove o
perché, le diceva di tenerlo alla larga il più
possibile,
le ordinava ad ogni incontro di detestarlo un po’ di
più:
e lei lo faceva, quasi senza rendersene conto.
Quando
la campanella suonò, infilò in fretta e furia
piuma e
pergamena dentro alla borsa e corse fuori dall’aula, sperando
di
seminare la piattola che sapeva l’avrebbe seguita.
I gave you my love to
borrow
But you just gave it
away
«Ma
come siamo veloci, Weasley » e infatti se lo
ritrovò a
lato, nonostante stesse praticamente tenendo un’andatura da
maratona.
«Mi
spieghi perché non puoi lasciarmi in pace?»
sbottò
Roxanne fermandosi di colpo per guardarlo, tra la collera e
l’esasperazione, «Mi talloni da sette anni,
perché?».
In
effetti non glielo aveva mai chiesto, forse perché non aveva
mai
pensato che ci fosse un vero motivo dietro all’atteggiamento
di
Lorcan, o forse perché alla fine le bastava potergli urlare
contro almeno una volta al giorno, si sentiva sempre meglio dopo averlo
fatto, poco importava il motivo, l’importante era farlo. Ma
quel
giorno era davvero stanca, aveva dormito male, sua madre le aveva
mandato una lettera in cui diceva che le avrebbe impedito di
partecipare alle selezioni per entrare nei Ballycastle Bats se non
migliorava la sua media scolastica almeno per l’ultimo anno:
o
alzava i voti o sua madre la inchiodava a terra, questi erano i patti.
Così,
quando Lorcan le rispose, facendo spallucce:
«Perché sei
il mio passatempo preferito, dolcezza, mi sembra ovvio », si
sentì in pieno diritto di essere cattiva.
«Senti,
fammi un favore, trovatene un altro perché io non ti
sopporto
più » rispose gelida, «Sul serio, sono
stanca di te
e di tutto questo, sei noioso, una vera palla al piede: lasciami in
pace una volta per tutte».
E
se ne andò senza nemmeno guardarlo, passandosi nervosamente
una
mano tra i capelli, sentiva di aver fatto qualcosa di sbagliato, ma non
riusciva a capire cosa: ignorò il tutto precipitandosi nei
sotterranei per l’ora di Pozioni.
Non
poté vedere, quindi, la figura di Lorcan ingobbirsi
improvvisamente, come se qualcuno gli avesse piantato un pugnale
all’altezza del petto, mentre lo sguardo vagava perso sul
marmo
del pavimento e sembrava, ferito?
Fu
solo un attimo, prima che il ragazzo rialzasse la testa e sparisse tra
il marasma di studenti che aveva preso ad affollare il corridoio, come
se niente fosse.
You
can’t expect me to be fine
I
don’t expect you to care
I
know I said it before
But
all of our bridges burned down
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, aula di Pozioni, ore 12.30
Jade
trattenne a stento l’ennesima imprecazione, raccogliendo da
terra
l’ennesimo pezzo di un calderone esploso solo pochi secondi
prima, tuttavia una specie di mugugno insofferente riuscì a
sfuggirle dalle labbra e Ian, intento a fare altrettanto
dall’altra parte della stanza, si fermò a
guardarla per un
secondo.
Quella
non era decisamente una bella giornata, se lo sentiva nelle ossa che
non ne sarebbero usciti incolumi: nessuno dei due.
Orami
i loro rapporti erano diventati così tesi che faticavano
persino
a salutarsi la mattina, anzi, ormai erano capaci di sembrare normali
solo quando si trovavano insieme agli altri, non riuscivano
più
nemmeno a fingere che andasse tutto bene.
E
la scuola era cominciata solo da due settimane: come avrebbero fatto a
passare insieme un anno?
Ian
se lo chiedeva spesso, soprattutto quando si ritrovava ad osservarla di
nascosto come in quel momento, quando ripensava al loro patto e
all’estate appena trascorsa e si mordeva la lingua ogni volta
per
non parlare.
Sapeva
cosa avevano deciso, ma sapeva che non sarebbero riusciti a mantenerlo,
nessuno dei due ce l’avrebbe fatta: non se dovevano vivere
così a stretto contatto tutto il giorno. Evidentemente si
erano
sopravalutati e il fatto che si ritrovassero a saltare il pranzo per
pulire un’aula che avevano accidentalmente distrutto dopo
aver
fatto esplodere un calderone mentre ci lavoravano insieme ne era la
prova inconfutabile.
Sospirò
pesantemente, appoggiandosi ad uno dei banchi, con la scopa tra le mani
e si mise a guardarla, certo che lei lo stesse semplicemente ignorando,
come sempre.
«Jade
» la chiamò piano, quasi per paura che, questa
volta, lo
ascoltasse davvero, «Dobbiamo parlare » e non
c’erano
parole che la ragazza odiasse di più.
«Di
cosa? Io non trovo niente di cui dovremmo parlare » rispose
caustica, senza degnarlo di troppa attenzione, concentrandosi, forse
troppo, nella pulizia del tavolo da lavoro: il professore aveva tolto
ad entrambi la bacchetta, costringendoli a fare il lavoro a mano e ora
si stava distruggendo le unghie a son di grattare la schifezza
giallognola che era schizzata ovunque quando il calderone era esploso.
Doverlo fare insieme ad Ian non migliorava di certo la situazione.
«Non
possiamo andare avanti così » continuò
lui,
«E’ il dieci di ottobre, come credi potremmo fare a
convivere un intero anno?».
La
bionda si fermò per un secondo, respirando a fondo, prima di
voltarsi, con ancora lo straccio in mano: era stanca, tremendamente
stanca, e non era un buon giorno per intraprendere quella conversazione
con Ian, non era abbastanza lucida.
«E
cosa dovremmo fare, Ian?» mormorò atona, come se
la cosa
non la riguardasse, «Più di fare finta che non sia
successo niente non posso fare, scusa se mi riesce poco bene, mi
impegnerò di più, va bene?».
«Non
dire idiozie » rispose lui scuotendo la testa e tanto
bastò a innervosirla più del dovuto.
Era
stanca, aveva sonno, la sua vita in quel momento faceva abbastanza
schifo senza che Ian si mettesse a polemizzare sul modo in cui stavano
gestendo la cosa,
che poi era anche inutile continuare a chiamarla cosa: si erano
baciati.
I’ve wasted
my nights
You turned out the
lights
Now I’m
paralyzed
Si
erano baciati l’ultimo giorno di scuola dell’anno
prima.
Si
erano frequentati per tutta l’estate senza che nessuno
sapesse niente.
E
sì, disgraziatamente e per qualche insana ragione, Jade si
era innamorata di uno dei suoi migliori amici.
Amico
che aveva già una fidanzata, tale Gwen Shelley.
Amico
che, quando era stato il momento di decidere tra la sua migliore amica
e la sua ragazza, aveva scelto la ragazza.
Non
è che non mi piaci, Jay, mi piaci, anche troppo, davvero, ma
Gwen..non posso farle questo, capisci? Non me la sento di farla
soffrire in questa maniera..
Soffrire
un paio di pippe.
Così
quando avevano deciso di farla finita, prima dell’inizio
della
scuola, avevano deciso che gli altri non avrebbero dovuto sospettare
niente, soprattutto James ed Elijah: erano un bel gruppo loro quattro,
non avrebbero lasciato che quella svista, così avevano
deciso di
definirla, distruggesse quello che avevano creato in sei anni.
Solo
che era stato più difficile del previsto far finta di
niente,
soprattutto per Jade, che quella ragazzina insipida di Gwen se la
trovava attaccata con una piovra a Ian tutti i giorni.
«Non
dire idiozie » ripeté lei sarcastica,
«Che cavolo
dovrei fare, eh, Ian? Trattarti come sempre? Mi dispiace, non ce la
faccio! Ci provo, ma non ce la faccio! Pensavi sarebbe tornato tutto
come prima? Beh, non è tutto come prima! E non lo
sarà
mai! Cosa credi che possa fare, io, eh? Non sono stata io a decidere
tutto questo! Non sono stata io a decidere di farla finita! Non sono
stata io ad avere un ripensamento!».
«Non
potevo fare altrimenti!» cercò di difendersi Ian e
a Jade sfuggì una cupa risata.
«Tu
non puoi mai fare altrimenti, vero Ian?» commentò
acida,
«Io invece devo sempre spaccarmi in quattro per te, vero? Io
devo
far finta che vada tutto bene, io devo stare zitta, io non posso
parlarne nemmeno con Eva perché potrebbe comprometterti con
Gwen, giusto? Sai cosa ti dico, Ian? Vai al diavolo!» e
lanciò lo straccio per terra prendendo la strada per uscire
da
lì: aveva bisogno d’aria, non riusciva a
respirare, non
con il fiato di Ian sul collo.
Era
praticamente fuori quando sentì la mano del ragazzo
afferrarle
il polso, costringendola a voltarsi, per un secondo i loro occhi si
incrociarono e gli occhi di Ian sfiorarono appena le labbra della
ragazza: quanto avrebbe voluto sistemare tutto, dimenticare Gwen,
dimenticare quel gran casino e baciarla e basta, come aveva fatto per
tutta l’estate.
«Che
altro vuoi, Ian?» sussurrò lei distogliendo lo
sguardo,
«L’unica cosa che non sei ancora riuscito a
portarmi via
sono Eli e Jamie, vuoi anche loro? O vuoi dirmi che ti dispiace ma non
puoi fare altrimenti?».
Ian
la guardò impotente, non sapeva cosa dire, non sapeva cosa
fare.
Voleva aggiustare le cose, lo voleva con tutto se stesso, ma non sapeva
come fare, e sentiva che più il tempo passava più
lei si
allontanava e voleva solo fermarla.
Ma
non sapeva come.
«Ian!»
esclamò una vocina sorpresa mentre sulla soglia della porta
appariva la figura minuta di una ragazzina con due lunghi codini
caffelatte e un viso ingenuo, da bambola, gli occhi grandi e castani li
guardavano incuriositi, «Ian, cosa ci fai qui? Ti aspettavo
di
sopra..».
Jade
la guardò un attimo prima di sorridere amaramente, liberando
il
polso dalla presa ormai debole di Ian, anche lui sorpreso
dall’arrivo della ragazza.
«Come
non detto, vero Ian?» mormorò al suo indirizzo
prima di
rivolgersi alla nuova arrivata, «Scusa se te l’ho
trattenuto, Gwen » disse con il più falso dei
sorrisi,
«Ora è tutto tuo » e sparì
nel corridoio.
Girato
l’angolo cominciò a correre: voleva solo scappare
da lì, era così sbagliato?
Still
stuck in that time
when
we called it love
But
even the sun sets in paradise
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Corvonero, ore 17.26
«Insomma,
Em, te l’avrò detto centinaia di volte che con i
Serpeverde è meglio non averci a che fare e dove ti trovo? A
parlare con loro » commentò Molly Weasley, capelli
castani
dai riflessi rossicci e occhi chiari, critici e altezzosi quasi quanto
il suo naso all’insù, rimproverando la ragazza che
le
sedeva affianco, carina, con gli occhi scuri, i capelli castani che le
scendevano morbidi ai lati del viso, e l’espressione
colpevole di
una persona colta sul fatto.
«Mi
dispiace Mols » rispose continuando a riempire il foglio di
pergamena di una calligrafia fitta e un poco disordinata.
«Ma
che mi dispiace » borbottò Lorcan, seduto a un
posto da loro, «Mandala a quel paese, Em ».
Molly
diventò improvvisamente paonazza, e gonfiò le
guancie
indignata, fortunatamente intervenne un ragazzo con i capelli neri,
seduto alla destra di Lorcan, davanti a Molly, a salvare la situazione.
«Molly,
stava scherzando, sai com’è fatto Lorcan, lascialo
perdere
» disse con un tono pacificatore e un mezzo sorriso
rassicurante,
«Lo, fatti gli affari tuoi ».
Il
biondo sbuffò sonoramente e stufo dell’ennesima
ramanzina
che avrebbe ricevuto sicuramente dal suo migliore amico se fosse
rimasto lì con il rischio di offendere quella rompipluffe
della
Weasley, si alzò prendendo la strada per i dormitori.
Non
riusciva a capire come Oliver ed Emma, quell’angelo di Emma
Nieri, riuscissero a sopportare Molly, lui personalmente, la trovava la
presenza più irritante sulla faccia della terra e quel
giorno,
pessimo per altro, non se la sentiva di affrontare la seconda Weasley
in ventiquattro ore.
Gli
era bastata la prima.
«Ehi,
Lo, tutto bene?» la voce di Rowena lo riscosse dal filo
masochistico dei suoi pensieri e solo in quel momento si accorse che la
ragazza doveva aver provato ad attirare la sua attenzione
più di
una volta, perché lo teneva per un braccio e lo guardava
vagamente preoccupata.
«No,
Row, ma grazie per il pensiero » sbottò inacidito
e fece
per andarsene, ma lei fu più veloce e lo trascinò
dentro
la stanza delle ragazze, chiudendola a chiave.
«E’
un rapimento?» cercò di scherzare lui, ma fu un
tentativo davvero patetico.
Con
Rowena era sempre tutto inutile, sapeva cavarti le parole di bocca
semplicemente guardandoti e capiva più lei di te che tu di
te
stesso, guardarla negli occhi era come guardarsi allo specchio: uno
specchio dannatamente limpido. All’inizio quella ragazza lo
aveva
messo davvero in soggezione, ma con il tempo, aveva cominciato ad
apprezzare davvero quella sua capacità di leggere
l’anima
di chiunque, era comoda, soprattutto per uno come lui che evitava di
guardarsi allo specchio per non doversi porre domande su sé
stesso: l’autoanalisi non era decisamente il suo forte.
Forse
per questo loro due erano diventati così amici.
«Cosa
è successo?» una domanda semplice, diretta,
innocua, che
Lorcan avrebbe potuto schivare con estrema facilità se non
l’avessero accompagnata quegli occhi neri capaci di sondargli
l’anima.
Lorcan
si lasciò cadere su uno dei letti e le raccontò
di quello
che era successo con Roxanne, lei rimase in silenzio ad ascoltarlo,
come sempre.
«Dovevi
aspettartelo, Lo » disse dopo poco, «Te
l’ho detto che stavi giocando con il fuoco..».
Lui
la guardò in tralice, di certo quella non era la
chiacchierata
consolante che si aspettava, ma sapeva che Rowena non faceva sconti a
nessuno, diceva chiaramente quello che pensava, in qualunque situazione
ed anche per questo gli stava simpatica, non gli avrebbe mai indorato
la pillola e non smetteva mai di ringraziarla per questo.
Non
aveva senso farsi cullare dall’ottimismo, almeno per lui.
«Senti
chi parla » rispose allora, «La ragazza dei
Faraday. Ti deciderai mai?».
Rowena
sospirò e si stese sul letto affianco a quello di Lorcan,
guardando il soffitto pensierosa: era una domanda che si era fatta
anche lei più volte, ma non aveva ancora trovato una
risposta
decente.
Forse,
si era convinta a pensare, perché non voleva trovarla.
Era
strano quello che c’era tra lei e i gemelli Faraday, non
sapeva
dire quando era iniziato, e nemmeno come, ci si era solo trovata in
mezzo, e ormai andava avanti da un anno almeno.
Non
era niente di tangibile, non era come Katherine Wetmore o Charity
Lodge, non andava a letto con tutti e due, nell’indecisione;
era
piuttosto un gioco di sguardi, di attimi rubati qua e là,
nei
corridoi, fuori da scuola: era tutto molto platonico.
Perché
anche se passava la maggior parte del tempo con Mordecai non poteva
dire di aver davvero preso una decisione, per lei il Serpeverde sarebbe
sempre rimasto un caro amico, un confidente, ma non sapeva se voleva
che quel ragazzo diventasse qualcosa di più: era dolce,
affidabile, intelligente, sagace e altre caratteristiche che
mentalmente apprezzava.
Dall’altra
parte c’era Elijah, quello dal carattere indomabile,
imprevedibile, pronto ad esplodere da un momento all’altro, e
lei
sentiva di aver bisogno anche di quello nella sua vita, di qualcosa in
grado di sconvolgerla.
E
il fatto che fossero praticamente identici non aiutava neanche un
po’.
«La
vita è un gran casino, Lo » rispose allora
chiudendo gli occhi e lo sentì ridere.
«Su
questo nessuno aveva dubbi, Row».
If happy ever after did
exist
I
would still be holding you like this
All
those fairytales are full of shit
One
more fucking love song, I’ll be sick
Now
I’m at a payphone
Note riviste
dell'autrice:
Ciao a tutti (di nuovo)!! Sicché quando ho pubblicato il
capitolo non ero nel pieno delle mie facoltà mentali, ho
corretto un paio di errori e sto modificanto le note perché
sì, forse una spiegazione in più per questa cosa
che ho scritto ci vuole :)
Allora, avviso che è un esperimento, nel senso che non ho
mai cercato di accostare una canzone ad un testo quindi boh, non so
come sia venuto, spero davvero che me lo diciate voi :) Per il resto
non ho molti commenti da fare per quanto riguarda la storia in
sé, ovviamente se avete qualcosa da chiedere fate pure :)
Un'ultima cosa, visto che mi sono impegnata tanto per questo capitolo,
sul serio, non ho mai rivisto così tante volte qualcosa che
ho scritto -.-"", e credo di averci lasciato sopra un pezzettino di
cuore, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, positivo o negativo che
sia, potete davvero dirmi qualsiasi cosa: se vi piacciono i personaggi,
se vorreste qualcosa di più, se trovate che sia tutto molto
noioso, se volete dirmi di lasciar perdere, sul serio, QUALSIASI cosa,
basta che mi diciate qualcosa, vi supplico T.T..
Per ultimo ma non per importanza ringrazio di cuore chi segue la storia
e chi l'ha inserita tra le preferite, chi l'ha recensita (vi voglio
tanto bene @.@) e chi l'ha solo letta :)
Nella speranza che mi facciate sapere al più presto che ne
pensate,
bacibaci
Najla
ps: la canzone è ovviamente Payphone dei Maroon 5 :) che non
riesco a togliermi dalla testa e che praticamente ha guidato la stesura
di buona parte del capitolo :) il testo è quello preso
direttamente dal video, specifico perché dopo è
stato modificato cambiando alcune parole che potevano risultare
volgari, almeno credo..
|
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Capitolo 5 *** Un'allegra famiglia felice ***
Quarto capitolo
Un’allegra
famiglia felice
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, ovunque, in qualunque momento.
Mirtilla non si
era mai divertita così tanto a stare dentro a quel castello,
come da quando avevano fatto la loro comparsa i numerosi ed eterogenei
eredi dell’enorme clan Weasley. La prima era stata Victoire
Weasley, uno scricciolo con i capelli biondi quando aveva varcato per
la prima volta l’enorme portone, una sorta di Venere dagli
occhi blu quando se n’era andata, con una scia di ragazzi
bavosi alle sue spalle, mentre l’unico che amava davvero era
troppo impegnato a fare gli occhi dolci al suo amore platonico,
perché lei ne era convinta, a prescindere da quello che era
successo dopo, tra Theodore Lupin e Leigh Dale, non sarebbe mai
successo niente.
Le aveva fatto
una tale pena la bella Vicky che quando l’aveva sentita dire
che finalmente lei e Ted si erano messi finalmente insieme, aveva
cominciato a ballare allegramente, guadagnandosi le occhiate perplesse
del Frate Grasso e della Dama Grigia. Ma intanto era arrivata la
sorellina di Victoire, Dominique Weasley, un’altra
affascinante bionda con delle gambe chilometriche, e mentre cominciava
a maledire il mondo per essere nata brutta e con gli occhiali,
Mirtilla, l’aveva vista prendere in mano una scopa e volare
come una professionista, senza la paura che da una vita assillava
Vicky: quella di spezzarsi un’unghia. L’aveva vista
cadere nel fango e ridere con quella testa di capelli afro di un rosso
shock, che era suo cugino Fred Weasley, e di nascosto aveva riso come
una matta, ricordando tutti i disastri che avevano combinato i gemelli
testa-rossa al povero Gazza.
Tutto sommato,
però, quei tre erano stati piuttosto tranquilli: il bello
era arrivato con gli altri.
Guardare le
vite dei Weasley-Potter e affini era stato meglio che seguire una di
quelle telenovelas argentine oppure quel programma babbano infinito, Beautiful, ma con
tutto il divertimento del reale.
Quanto adorava
quella scuola.
11 Ottobre XX
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, portico del castello, ore 11.13
Elijah e James
se ne stavano seduti su uno degli scansi delle finestre che davano sul
portico, l’uno masticando una mela infilata nella borsa a
colazione, l’altro guardando malizioso ogni bella gonna che
gli passava davanti, tanto che ormai il rumore dei risolini delle
ragazzine di tutta la scuola era diventato un sottofondo trascurabile.
E mentre il
giovane Potter pensava a quanto bello fosse avere delle ore buche
all’interno del suo orario scolastico, Eli guardava
pensieroso il cielo cupo che prometteva l’ennesima pioggia,
sopra di loro.
«Quei
due hanno qualcosa che non va » commentò assorto
ad un tratto e James lo guardò perplesso, inarcando un
sopracciglio, distogliendo lo sguardo da una Corvonero del quinto anno
che stava andando ad Erbologia.
«Quali
due?» chiese incuriosito tornando ad osservare la sua nuova
preda con i capelli scuri e un fondoschiena da favola,
l’avrebbe cercata a pranzo e poi chissà: sentiva
la mancanza di una ragazza che lo tenesse occupato un po’,
niente di serio, ovviamente.
«Parlo
di Ian e Jay » rispose il ragazzo scendendo con un balzo dal
davanzale, «Deve essere successo qualcosa ».
«Perché?
Sai qualcosa che non so ma che dovrei sapere?»
partì alla carica Jamie puntandogli contro un dito
accusatore, e se c’era un’altra cosa che il Potter
odiava era che qualcuno gli nascondesse qualcosa, qualsiasi cosa:
faceva parte delle sue manie da primadonna.
«Rallenta
i neuroni, Jam, il tuo cervello potrebbe non reggere » lo
troncò Elijah con un ghigno, «Dico solo che mi
sono sembrati strani, non hai notato niente?».
All’inizio
nemmeno lui ci aveva fatto troppo caso, ma dopo quello che era successo
quasi una settimana prima, quando erano casualmente entrati
nell’ufficio della Hastings alle tre di notte per la loro
piccola ricerca sulla causa del persistente malumore della donna, senza
però trovare niente di soddisfacente; Eli si era convinto
che qualcosa doveva per forza essere successo. Perché quei
due non si erano né parlati né guardati per tutta
la durata della loro spedizione, e il Faraday aveva avuto la bizzarra
sensazione che non riuscissero nemmeno a tollerare troppo bene
l’uno la presenza dell’altro.
«Secondo
me vedi cose dove non ci sono, Eli, sono sempre i soliti Ian e Jay, lui
con la sua fissa del bravo ragazzo e lei con i suoi mille impegni: a me
sono sembrati i soliti di sempre » fece spallucce il moro
continuando a seguire con la coda dell’occhio quella ragazza
che spariva definitivamente nella serra per la lezione con Neville,
perché nonostante gli anni, a lui faceva ancora un certo
ché chiamarlo professor Paciock, insomma, con
quell’uomo ci giocava da quando aveva memoria: non poteva
proprio considerarlo un’autorità.
«Tanto
non ci combinerai niente, James, smettila di illudere quella povera
ragazza » mormorò Eli quasi come se nulla fosse, e
sentendo il sospiro pesante del suo migliore amico si voltò
stupito: gliel’aveva buttata lì come una
frecciatina da nulla, di certo non si aspettava una reazione seria.
«Forse
hai ragione, Eli » mormorò depresso appoggiando la
schiena contro la finestra, incrociando le gambe sopra al davanzale,
«Ma insomma, sono James Sirius Potter io! Ho una reputazione
da difendere!» si accese subito dopo,
«Dall’inizio dell’anno non ho ancora
combinato niente! Cosa penserà la gente di me? Che sono in
crisi mistica?» aspettò alcuni secondi, preso da
chissà quali meditazioni tutt’altro che profonde,
poi si ripiegò nuovamente su sé stesso reggendosi
una guancia con una mano, «Ma chi voglio prendere in giro?
Eli: ormai dell’uomo che ero non è rimasto
più nulla! Che ne sarà di me?»
sospirò affranto con la tipica espressione da eroe tragico
che metteva su nei momenti di massima disperazione della sua vita e che
aveva solo il poter di renderlo tremendamente comico.
Elijah prese ad
osservarlo con un sopracciglio inarcato e in volto il più
profondo scetticismo, incrociò le braccia al petto e
inclinò appena la testa verso sinistra, «Hai
finito?» chiese caustico e James lo guardò
abbattuto.
«Sì..»
rispose mogio e il Faraday quasi si sentì in
colpa, sotto gli occhi da cerbiatto ferito di James, occhi che
avrebbero sciolto anche la Hastings.
«Oh
senti » sbottò allora, «Non è
colpa mia se ti sei innamorato della ragazza di tuo fratello! Quindi
non venire a lamentarti con me perché non sei più
capace di fare il cascamorto con il resto del mondo! Io te
l’avevo detto di stare attento, ma te fai sempre come ti
pare!».
«Vì
non
è la ragazza di mio fratello » ci tenne a
sottolineare James, come se quel particolare non dovesse essere
assolutamente trascurato, cosa che ad Eli sfuggiva ogni volta che
toccavano l’argomento.
Il Faraday
sbuffò di nuovo: possibile che ogni volta che finivano a
parlare di Vanille Hillyard gli sembrava di ascoltare un disco rotto?
Era tutta l’estate che James lo assillava con lettere,
messaggi, incontri per appostarsi in giro per Londra per spiare quella
povera ragazza eppure, quando Elijah gli aveva chiesto
perché non fosse andato direttamente da lei, come faceva con
tutte le ragazze, lui aveva risposto che non poteva perché
sapeva che suo fratello le faceva il filo da cinque anni, e per quanto
James fosse bastardo dentro, quando si trattava di Albus, non poteva
moralmente rubare la ragazza al fratellino. Nonostante ciò
ogni volta che Eli gli faceva notare che doveva togliersela dalla testa
perché era la ragazza di Al, lui ci teneva a ricordargli che
invece non lo era.
Insomma, tutta
la situazione cominciava ad essere ridicola!
Maledetto James
e la sua morale con il disturbo dissociativo
dell’identità!
«James
» lo richiamò serio, «Devi togliertela
dalla testa, subito, prima di innamorarti sul serio, mi hai
capito?».
Ma
bastò un’occhiata trasognata di James per fargli
disgraziatamente capire che era troppo tardi, che lui era
già cotto e stracotto, come gli era successo solo
un’altra volta nella vita, agli albori della sua carriera di
dongiovanni, con una ragazza più grande di lui,
un’amica di Victoire, Irene Randall. Elijah ancora se la
ricordava, e si ricordava pure tutto il tempo che gli c’era
voluto per farlo uscire dalla depressione in cui era caduto quando lei
lo aveva brutalmente scaricato.
Dopo quella
volta lui e James, il primo per paura di finire come il secondo, e il
secondo per paura di riprendersi un’altra botta sui denti, si
erano ripromessi di non innamorarsi mai di nessuna donna, e la cosa
aveva funzionato magnificamente finché Vanille non era
entrata come riserva nella squadra di Quidditch e James, beh, si era
comportato da James ed era finito come una pera cotta.
«Merlino!
James! E’ la ragazza di tuo fratello!»
esclamò stupefatto, neanche Jam poteva essere
così subdolo.
«Senti
chi parla!» rispose allora il Potter sulla difensiva,
«Cosa mi dici di Rowena?».
«E
adesso che cosa centra Rowena?».
«Eli,
ci sarà un motivo se Kath la chiama la ragazza dei Faraday,
non credi?» gli fece notare James come se gli fosse sfuggito
l’ennesimo lampante particolare.
«E’
diverso, Rowena non è niente per me e non è la
ragazza di mio fratello » puntualizzò il ragazzo e
a Jam sfuggi una risatina di scherno.
«Raccontala
a qualcun altro Eli, non a me » disse con un sorrisetto
malizioso, «E neanche Vì è la ragazza
di mio fratello ».
Elijah fu
costretto ad arrendersi di fronte alla testardaggine di James e con un
sospiro a mani alte, dichiarò la sua totale resa,
«Fai un po’ come ti pare, amico, ma poi, se tuo
fratello ti spedisce al San Mungo, non venire a lamentarti con me
».
«Tanto
non succederà niente, non posso fare una cosa del genere ad
Al » ragionò ad alta voce il moro tamburellandosi
una guancia con le dita, «Anche se in fin dei conti
è di Al che stiamo parlando, quindi potrei, e poi Vanille
tecnicamente non è la sua ragazza..no non posso..
Ehi! Eli! Dove stai andando!».
Mentre James si
perdeva, di nuovo, nei suoi sproloqui, per legge sempre privi di una
conclusione definitiva, Elijah, ormai al limite della pazienza, aveva
preso la sacca con i libri e aveva deciso di tornare dentro al
castello, brontolando epiteti poco simpatici nei confronti del suo
migliore amico e poi, come aveva potuto paragonare il casino con Rowena
alla sua cotta per Vanille? No, erano due storie completamente diverse..
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Grande, ore 12.30
Lucy Weasley
era una ragazza schiva ed introversa con cui era estremamente difficile
entrare in contatto e ancora più difficile stringere
amicizia, tanto che, nonostante fosse al suo quinto anno,
l’unica persona con cui la si vedeva parlare, da due anni a
questa parte, oltre ai suoi parenti, era Judith Swift, sua compagna di
Casa e di camera. Una ragazzina un po’ particolare con i
capelli scuri e le punte tinte di rosso: decisamente uno stile inusuale
per l’austera Hogwarts, e che sicuramente non la metteva in
buona luce agli occhi della sorella di Lucy, Molly, che non perdeva
occasione per criticarla.
Come tutti i
giorni era seduta al capo del tavolo più vicino alla porta e
mangiava in silenzio, con Judith seduta alla sua sinistra e Louis, il
cugino da cui non si separava mai, seduto di fronte a lei.
Erano il giorno
e la notte, loro due, eppure riuscivano a capirsi con una semplice
occhiata e Lucy avrebbe fatto volentieri a cambio con Molly, pur di
averlo vicino anche a casa, quando suo padre e sua sorella la
rimproveravano per i voti, per i vestiti, per
l’atteggiamento, persino per come camminava: non trascinare i piedi, Lucy!
Louis era
allegro e solare, con quei capelli biondi un poco più lunghi
che gli ricadevano morbidi sulle spalle, con gli occhi azzurri di zia
Fleur e il suo sorriso contagioso, l’unico capace di colpire
anche una come Lucy che, viceversa, con i suoi capelli castani,
costantemente raccolti in una treccia, il naso spruzzato di lentiggini
e gli occhi chiari della madre, perennemente velati da una sorta di
rabbia repressa che li incupiva terribilmente, sembrava quasi
spaventare chiunque le passasse a fianco.
Era la
Grifondoro più strana che la scuola avesse mai visto e forse
il cappello parlante l’aveva infilata lì
perché non aveva saputo dove metterla: non era subdola come
una Serpeverde, non era intelligente come una Corvonero, non era
affabile come una Tassorosso, ma non sembrava nemmeno coraggiosa come
una Grifondoro.
Era solo la Weasley-strana.
Ma
c’era un vantaggio nel’essere sommariamente
ignorata da tutti, ed era quello di poter osservare chiunque
liberamente, senza paura di essere scoperti, e Lucy, negli anni, era
diventata una vera maestra in questo, soprattutto per quanto riguardava
la sua famiglia, e forse, questo era il motivo per cui lei e Louis
andavano così d’accordo, quello di un buon spirito
di osservazione era l’unico dono che li accumunava.
«Sai
Lucy, mi piacerebbe proprio avere una famiglia grande come la tua
» se ne uscì Judith osservando distrattamente
Albus e Rose che ridevano per chissà che cosa con il Malfoy
e una ragazza bionda, Die Vanille, «Voglio dire, io sono
figlia unica, come minimo mi piacerebbe avere un fratello, anche se
fosse come tua sorella mi andrebbe bene ».
A Lucy
sfuggì una risata sarcastica e Louis scosse la testa
sorridendo comprensivo dell’affermazione innocente della
ragazza.
«Non
sai cos’hai detto, Judith » commentò la
Weasley bevendo un po’ d’acqua mentre il cugino
annuiva convinto.
«Mi
piacerebbe proprio sapere che idea ti sei fatto della nostra famiglia
per dire una cosa del genere » aggiunse il ragazzo sorridendo
ad una Judith perplessa.
«Beh,
sembrate molto uniti, voglio dire, ci saranno i soliti litigi che ci
sono tra tutti i parenti, ma deve essere bello avere tanti cugini con
cui passare il tempo » rispose con sicurezza: insomma, lei se
l’era sempre immaginata così l’enorme
famiglia Potter – Weasley, tutti a ridere a Natale e
Capodanno, con quel cameratismo tipico delle famiglie in cui tutti si
conoscono da una vita e, anche se non l’avrebbe mai ammesso,
era proprio per la curiosità di scoprire come doveva essere
avere tanti parenti, che si era avvicinata inizialmente a Lucy e Louis.
«Non
siamo uno stereotipo sociale, Judith » commentò
Lucy con una punta di amarezza, «La realtà
è che siamo tutto meno che una famiglia felice che si
riunisce a Natale intorno all’albero a bere latte e biscotti
».
«Lucy
vuole dire che abbiamo anche noi i nostri problemi familiari, non siamo
l’allegra famigliola perfetta » disse Louis nella
speranza di mitigare quel cinismo, proprio della cugina, che in
risposta sbuffò contrariata.
«Questo
è un eufemismo, Lou » ci tenne a precisare e lui
la fulminò con un’occhiataccia.
«Non
mi pare il caso, Lucy ».
«Ti
prego non cominciare anche tu » commentò acida
squadrandolo, «Non
mi pare il caso, non sta bene, non bisogna dire certe cose..
» gli fece il verso prima di rivolgersi a Judith,
«Fidati di me, una volta o l’altra
finirà male.. ».
La Swift
inarcò appena un sopracciglio, chiedendosi a cosa si
riferisse esattamente l’amica ma decise di non indagare
ulteriormente, conscia di aver toccato un tasto particolarmente
sensibile e che forse avrebbe fatto meglio a lasciar stare.
«Ma
l’hai vista la faccia della Harris quando Scorp ha fatto
esplodere il vaso di melma? Le è finita tutta tra i capelli!
Pensavo si sarebbe messa a urlare come il suo solito!» rise
Vanille, rievocando una scena avvenuta l’ora prima, Albus
Potter e Rose Weasley, seduti di fronte a lei e Scorpius Malfoy, alla
sua destra, scoppiarono nuovamente a ridere, era la terza volta
consecutiva da quando si erano seduti a pranzo e Rosie ormai aveva
persino le lacrime agli occhi.
«E’
stata una scena epica, si è messo a ridere persino quel
vecchietto di Vitious!» aggiunse Al tenendosi la pancia dalle
risa, «Scorp, sul serio, hai tutta la mia stima ».
«Raccontalo
alle mie due settimane di punizione che ho tutta la tua stima
» commentò con un profondo sospiro e uno sguardo
teatralmente affranto, che di fronte alle espressioni scettiche degli
altri tre, durò davvero poco e in meno di un secondo
scoppiò nuovamente a ridere, «Però ne
è valsa la pena per vedere i capelli della Harris coperti di
verde!».
«Povera
Hope..» biascicò Rose asciugandosi le lacrime agli
occhi e Scorpius la guardò esterrefatto.
«Povera
Hope, Weasley? Quella donna è da tre anni che cerca di
bocciarmi in Incantesimi, e tu hai anche il coraggio di dire povera
Hope? Ammettendo anche che io abbia fatto esplodere quel vaso di
proposito, direi che se l’è pienamente
meritato!» rispose il biondo annuendo convinto delle proprie
affermazioni, mentre Albus e Vanille si lanciavano uno sguardo alla: si
salvi chi può.
«Probabilmente
se tu non fossi un mago con l’ego di un Ungaro Spinato, e non
fossi così strafottente da risponderle ogni volta che ti fa
una critica, sempre meritata, per altro, lei non ce l’avrebbe
così tanto con te, non credi?» commentò
la rossa scostandosi un ricciolo dalla fronte, guardando il ragazzo con
quell’aria di sfida che riservava solo a lui e a nessun
altro: occhi ridotti a due fessure, mento alto e le orecchie
leggermente scarlatte per una rabbia che stava solo nascendo, ma che
sarebbe presto scoppiata con un enorme botto e il Malfoy spiaccicato su
qualche superficie non ancora identificata.
«La
Harris ce l’ha con me a prescindere! E poi non è
vero che mi merito tutte le sue critiche! Com’è
che mi prendo parole ad ogni lezione e ho i tuoi stessi voti,
so-tutto-io? Forse perché non faccio tutti gli errori di cui
mi accusa lei!» sbottò il biondino assottigliando
a sua volta lo sguardo fino a ridurre gli occhi a due fessure scure e
rabbiose.
«Tu
non hai i miei stessi voti!» si accese Rose sbarrando gli
occhi indignata, «Ho sempre preso più di te in
Incantesimi!».
Albus
lanciò al suo migliore amico un’occhiata da: non andare oltre o è
la volta buona che devo organizzarti il funerale, ma
quello lo ignorò volutamente continuando imperterrito lungo
quella strada suicida.
Perché
Al li conosceva tutti e due come le sue tasche e sarebbe finita male,
se lo sentiva nelle ossa.
«Ne
sei così sicura, Weasley?» la provocò
lui e Rose parve pensarci un attimo prima di annuire decisa, certa di
aver vinto anche il loro ennesimo scontro.
«Vedo
che passi molto tempo a controllare la mia media scolastica, Rose »
ghignò soddisfatto per averla fatta cadere nella sua
trappola con tutta quella facilità.
In un secondo
sul volto della rossa apparve un’espressione schifata e
nauseata, nenache dovesse spalare della cacca di Troll.
La fattura
orcovolante che spedì Malfoy contro il muro fu
pressoché inevitabile.
Albus
sospirò rassegnato guardando l’amico che si
massaggiava il fondoschiena mentre dal tavolo degli insegnanti si
alzava proprio la professoressa Harris, per venire a controllare cosa
fosse successo, dato che la Hastings, quel giorno, era assente. E non
ci fu modo di spiegarle che Rose aveva reagito male ad un commento del
ragazzo, perché la rossa aveva cancellato
l’incantesimo dalla sua bacchetta e perché, per la
Harris, la colpa sarebbe stata sempre e solo di Scorpius, che, tanto
per cambiare, si era appena beccato altre due settimane di punizione.
Nero di rabbia
e con un’aura omicida attorno, il Malfoy si rimise a tavola,
proprio mentre Rose si alzava, radiosa come non mai, e usciva dalla
Sala Grande, lasciando Al a leggere negli occhi del suo amico tutto
quello che, di terribile, voleva propinare alla cugina, e senza
sbagliare troppo poteva vederlo farle ingoiare ciascuno dei denti che
componevano il sorrisetto compiaciuto con cui era uscita di scena.
Non
c’era niente da fare, quei due si odiavano a morte, e se
Albus era fermamente convinto che fosse a causa della rispettiva storia
genetica, insomma, con i geni Weasley e Malfoy non si scherza, ed era
persino scontato che quei due avrebbero cercato di ammazzarsi a vicenda
finché avessero avuto vita, come era stato per nonno Arthur
e Lucius, per zio Ron e il signor Malfoy: era matematico; Vanille,
invece, portava avanti la bizzarra convinzione che quella tra i due
fosse solo rabbia sessuale repressa e quando aveva espresso la sua
opinione ad Al lui l’aveva guardata talmente disgustato che
era certa che avrebbe dato di stomaco davanti a lei.
Per fortuna non
era successo.
«Mi
spieghi perché devi sempre portarla al limite?»
commentò Vì, rimproverando velatamente il
biondino ancora fumante di rabbia: un mese di punizione, ma ci rendiamo
conto?!
«Perché
è insopportabile! Mi viene naturale!» rispose
passandosi una mano tra i capelli: chi l’avrebbe spiegato a
sua madre che si era beccato due settimane di punizione per aver tirato
una frecciatina alla Weasley? Con suo padre non avrebbe avuto problemi,
anzi, gli avrebbe fatto persino i complimenti, ma sua madre, fissata
con il quieto vivere eccetera, sarebbe stata un altro paio di maniche..
Albus lo
guardò arrovellarsi e scosse la testa: ogni tanto ci
pensava, a come erano diventati amici loro quattro e gli veniva quasi
da ridere, perché loro erano le quattro persone che mai e
poi sarebbero dovute andare d’accordo.
In
realtà tutto era nato da Al e Scorp.
Ad avvicinarli
era stato il fatto di sentirsi tremendamente fuori posto.
Insomma, Albus
aveva James Potter come fratello e il Salvatore del Mondo Magico, Harry
Potter, come padre, e tanto bastava a giustificare la sua bassa
autostima, se a questo si sommava il fatto che, al suo primo anno,
decisamente non si sentiva un coraggioso Grifondoro, risultavano
perfettamente giustificabili le gambe molli con cui era entrato in Sala
Comune la prima sera, sorretto da una Rose sollevata
all’inverosimile per non aver deluso suo padre ed essere
finita nella culla dei coraggiosi di cuore. Per Scorpius, invece, era
stato un vero trauma dover vestire lo scarlatto e oro, e, ad onor del
vero, era stato un shock per tutta la scuola: tanto che quando il
cappello parlante aveva annunciato tutto pimpante Grifondoro, alcune
mascelle si erano ritrovate a rotolare sul pavimento, tra cui quella di
un giovanissimo James Potter che era scattato in piedi accusando il
secolare cappello di aver ricevuto una mazzetta. La paura
più grande del Malfoy era stata, però, doverlo
dire a suo padre, che, a parte far esplodere una dozzina di alberi in
giardino e aver minacciato di denunciare il cappello per diffamazione,
l’aveva presa abbastanza bene, anche se per lui,
l’argomento “mio figlio è un
Grifondoro”, era ancora un tasto sensibile.
Era stato quasi
meccanico che quei due stringessero amicizia, a quel punto, convinti
che fosse più semplice affrontare insieme
quell’inferno di scuola, piuttosto che separati.
Così,
tra le urla di James che cercava di riportare il fratellino sulla retta
via e parallelamente portava avanti la sua campagna di terrorismo nei
confronti di Scorpius, tra le crisi di nervi che prendevano il signor
Malfoy ogni volta che sentiva i nomi Malfoy-Potter-amici-Grifondoro
nella stessa frase, e che lo costringevano da un po’ di anni
a ricorrere ad una massiccia dose di ansiolitici, tra le risate del
signor Potter che aveva allegramente preso il tutto come una vendetta
del karma, al loro duo si era presto unita Rose che, incapace di
staccarsi dal cugino, aveva gentilmente imposto la sua presenza,
accettando perfino l’esistenza di quello
“stoccafisso con i capelli”, come lo definiva lei,
di un Malfoy: nonostante tutti i principi etici e morali con cui suo
padre l’aveva crescita le intimassero di fare esattamente il
contrario.
Alla fine, dopo
un trasferimento da Durmstrang, durante il loro secondo anno, era
arrivata anche Die Vanille, figlia di un ambasciatore che era tornato a
lavorare a Londra e che aveva spostato tutta la famiglia in Inghilterra.
Albus se
n’era innamorato al primo sguardo, ma aveva sempre avuto
paura di ammetterlo: perché rovinare una bella amicizia per
una cotta? Sarebbe stato stupido..
Così
si ritrovò a sorridere distrattamente quando Scorpius
annunciò con tono lugubre che andava a cercare una pergamena
per scrivere una lettera a sua madre, o in alternativa, un modo rapido
e indolore per morire.
Ministero
della Magia, Ufficio Auror, ore 14.32
La
professoressa Hastings si accese una sigaretta guardando di sottecchi
la figura del Salvatore del Mondo Magico che andava su e giù
per l’enorme ufficio peggio di un indemoniato,
sostanzialmente incapace di stare fermo.
«Qui
dentro non si potrebbe fumare, Cinnamon » sospirò
lasciandosi cadere infine sulla sua sedia in pelle, decisamente troppo
grande e importante per la faccia della persona che si trovava davanti,
visto che il grande Harry Potter in quel momento sembrava appena uscito
dalla centrifuga, con i capelli spettinati, gli occhiali storti e
un’espressione stravolta.
La donna lo
guardò scettica sfilando la sigaretta dalle labbra, come a
volergli chiedere se, sul serio, dovesse spegnerla e lui scosse la
testa sospirando ancora: «Fa un po’ come ti
pare..».
Passarono un
paio di minuti in silenzio, a studiarsi, finché Cinnamon non
decise che la situazione stava diventando ridicola.
«Vuoi
spiegarmi perché mi hai chiamata qui?» chiese
innocentemente e Harry storse le labbra in una smorfia sarcastica.
«Lo
sai benissimo perché ti ho chiamata qui, Cinnamon, sei un
Auror. Quando sul giornale leggi “non
c’è di cui preoccuparsi”, sai quanto me
che lo leggi perché l’ha voluto il Ministero: di
certo non perché è la verità
» rispose più acido di quanto volesse e se ne
pentì subito. Era stanco, praticamente distrutto, non vedeva
casa da quasi una settimana, da quando, non sapeva chi, aveva avuto la
brillante idea di fare una strage ad Azkaban, uccidendo tutti i
Mangiamorte incarcerati. Il tutto senza lasciare una traccia che fosse
una: neanche si trattasse di Merlino in persona!
E in sei giorni
di ricerche non era riuscito a trovare niente di niente: gli rimaneva
solo chiedere aiuto a chi aveva una rete di informatori più
grande della sua, e quella persona era Cinnamon Hastings.
«Credi
si tratti di una vendetta personale o di un gruppo
organizzato?» chiese la donna tranquilla, continuando a
inspirare lunghe boccate di fumo.
«Onestamente
non lo so » ammise lui sistemandosi gli occhiali,
«Ad una prima occhiata potrebbe essere il gesto di un folle,
magari un mago alla ricerca di vendetta per la sua famiglia e a quel
punto si potrebbe indagare sull’intera comunità
magica inglese e irlandese: tutti avevano almeno un motivo per voler
morti quegli assassini. Ma un nostro agente ha riferito che prima di
sparire nel nulla, l’assassino ha detto: questa è
la nostra vendetta, purosangue.. O era una figura grammaticale, o deve
avere degli alleati da qualche parte ».
«Pensavo
avessimo fermato tutti gli invasati che volevano travestirsi da
vendicatori e farsi giustizia da soli » commentò
Cinnamon annoiata e lui annuì.
«A
quanto pare ce ne sono sfuggiti un paio..».
«Sei
conscio della gravità della situazione, vero?»
continuò la donna guardandolo dritto negli occhi e Harry
annuì, era il suo lavoro, certo che lo sapeva. Nella
migliore delle ipotesi avrebbero scoperto chi erano i responsabili e li
avrebbero arrestati, nella peggiore, e lui era un campione di
pessimismo, poteva anche iniziare una vera e propria persecuzione
contro gli ex-affiliati di Voldemort ancora in circolazione, sotto
falso nome o magari assolti al tempo del maxiprocesso tenutosi alla
fine della guerra: gli bastava pensare a Draco Malfoy e alla sua
famiglia per averne un esempio.
«Chiederai
in giro, Cinnamon?» chiese allora Harry e la donna
annuì spegnendo la sigaretta.
«Ti
farò sapere il prima possibile e prega che non sia niente di
grave, perché altrimenti ti ritroverai un bel
problema tra le mani ».
«Lo
so, grazie » rispose Harry Potter sprofondando ancora un
po’ nella poltrona: stava male solo a pensarci.
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Grifondoro, ore 17.54
«Allora
me la dai una mano con quell’incantesimo, Jamie?»
chiese di nuovo una ragazzina con dei fluenti capelli rossi, lunghi
fino alla vita e gli occhi di una delicata sfumatura castana- dorata,
perfettamente in tono con il viso tempestato da una fitta rete di
lentiggini. Indossava una gonna nera, a palloncino, e un paio di calze
di un fucsia persino accecante che, evidentemente, doveva richiamare le
righe del maglioncino che aveva addosso, ma che avevano il bizzarro
effetto di farla assomigliare allo stregatto in persona.
«Che
incantesimo?» sbadigliò James, facendo finta di
studiare sulla sua copia di Trasfiguarzione 7, doveva scrivere tre
pergamene per Dobrev e, a dire il vero, aveva scoperto di avere un
libro di testo solo cinque minuti prima e perché Ian glielo
aveva lanciato in testa: in definitiva non sapeva neanche da che parte
cominciare.
Magari avrebbe
chiesto una mano a Eva o Jade..
«Vedi
che non mi ascolti mai quando parlo?» sbuffò lei
incrociando le braccia al petto, con broncio da gattino arruffato che
metteva su quando suo fratello la ignorava.
«Sai,
sorellina, anch’io ho da fare » rispose indicando
la sua pergamena bianca, orribilmente bianca,
«Perché non chiedi all’altro tuo
fratello?».
Lily Potter
aspettò un secondo prima di abbassare lo sguardo sul
pavimento e bisbigliare qualcosa che arrivò a James come un
gliel’ho già chiesto e mi ha detto di arrangiarmi.
Al moro
scivolò una mezza risata, Albus avrebbe sbriciolato il mondo
per quello scricciolo, lo sapeva, chissà che cosa aveva
fatto la piccola per farlo arrabbiare.
Stava quasi per
chiederglielo quando dai dormitori femminili giunse un urlo
raccapricciante, come il ringhio assassino di una bestia assetata di
sangue, pronta a fare una strage.
Lily prima
guardò James, che scosse la testa, e poi Albus, seduto poco
distante, che fece spallucce: se loro due non sapevano cosa potesse
essere successo, allora..
«ELIJAH FARADAY IO TI
UCCIDO!» si sentì ululare dal piano
di sopra mentre James poteva sentire una porta sbattere e probabilmente
andare in pezzi, e i passi di un mago che cercava di salvarsi la vita
giù per le scale: Eli saltò gli ultimi tre
gradini che portavano ai dormitori e si lanciò in direzione
di James, seduto a terra.
«Ti
prego Jamie, salvami tu!» esclamò con il fiatone
lanciandosi con tuffo ad angelo dietro al divano su cui James aveva
appoggiato la schiena. I due Potter strizzarono gli occhi al suono
delle ossa del ragazzo che si schiantavano contro il pavimento di
pietra e James tappò preventivamente le orecchie alla
sorellina, quando Elijah si diede ad una sequela di imprecazioni molto
colorite che minacciavano di tirare giù maghi, streghe e
tutto il magico paradiso.
In quello,
dalle scale apparve anche la figura assatanata di Roxanne Weasley,
circondata da un’aura rossa come il sangue che probabilmente
sarebbe sgorgato di lì a poco, con indosso il pigiama e i
capelli di un tenero rosa confetto.
James e Lily si
scambiarono un lungo sguardo perplesso poi scoppiarono a ridere.
«James
Sirius Potter » chiamò lugubre Rox avanzando
lentamente verso di lui, «Dimmi
dov’è!».
«Qui
dietro » rispose allegramente il divano alle sue spalle e
subito dalla stoffa rossa sbucò la faccia terrorizzata di
Eli, pallida come se stesse davvero guardando in faccia la morte.
«Brutto
traditore..» riuscì a bisbigliare il ragazzo prima
che la Weasley gli saltasse letteralmente al collo con
l’intento di strangolarlo, facendo rovinare entrambi a terra
in una lotta di braccia e gambe, in cui Roxanne picchiava ed Eli subiva
in silenzio.
«Brutta
testa di Gargoyle con le piattole e le verruche! Come diavolo ti sei
permesso di manomettere la doccia!» sbraitò Roxie,
«Porca Morgana! Adesso ho i capelli rosa! ROSA!» e
la ragazza, rendendosene nuovamente conto, ricominciò a
strangolarlo.
James si
girò un secondo e vide tutta la Sala Comune che
rideva: Jade ed Eva che non riuscivano a stare in piedi, Lysander,
seduto davanti a lui, praticamente steso sul pavimento, come Ian e
Frank, Vanille che si teneva alla spalla di Albus e Rose che
probabilmente meditava di intervenire o meno, nella sua indole da
prefetta, adocchiò sulle labbra di Lucy e Louis un mezzo
sorriso.
Sorrise ancora,
guardando Elijah che lo implorava di staccargli quella beva di
dosso:adorava la sua famiglia.
Note dell'autrice:
Buongiorno a tutti :) oddio, non posso credere che per una
volta non sto aggiornando all'una di notte! Evidentemente sto
migliorando :)
Comincio con il chiedere scusa se sono così lenta ad
aggiornare, avevo in programma di farlo già due settimane
fa, visto che il capitolo è pronto da
un'eternità, ma non ne ho avuto il tempo... ok, non
è vero, è estate e io sostanzialemente non faccio
un bigolo dalla mattina alla sera.. In realtà, dopo lo
scorso capitolo, ho meditato di lasciar perdere, e quindi
avevo deciso di non postare più niente, poi però
mi sono detta che era un peccato, visto che la storia è
praticamente scritta e decisa almeno fino al capitolo quindici,
così ho deciso di riprovare e sono tornata con un capitolo
interamente dedicato ai Weasley-Potter, dove si capisce un po' come mi
piace immaginarli :)
Ringrazio, come sempre, chi ha letto questa storia e chi l'ha inserita
tra le seguite e le preferite, mi rende davvero felice veder crescere
quei numeretti :)
Sperando di non avervi annoiati troppo, mi piacerebbe davvero sapere
cosa ne pensate dei personaggi, sia quelli nuovi che i soliti, cosa ne
pensate della storia, se i capitoli sono troppo lunghi, se sono noiosi,
ecc...quindi LASCIATEMI UNA RECENSIONEEEEE!! Vi supplico :'(
Ora vi saluto, al prossimo capitolo (sperando che ci sia)
Bacibaci
Najla
ps: stavo meditando di lasciare uno spazio, in certi capitoli, per un
angolino sui retroscena della storia, in particolare per quanto
riguarda l'ideazione dei nuovi personaggi e della storia in
sè...cosa ne dite?? Potrebbe essere carino o lascio
perdere?? Fatemi sapere!!
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Capitolo 6 *** Trasforma quest'acqua, in Whiskey! Parte 1 ***
So che nello
scorso capitolo avevo detto che avrei pubblicato fino al capitolo
quindici, data la mancanza di recensioni, però, ho deciso
che se anche questo capitolo non riceverà un minimo di
feedback, lascerò la storia come incompleta. So che forse
è prematuro e quant'altro, ma non vedo troppe alternative.
Comunque il capitolo
è diviso in due parti, quindi sicuramente verrà
pubblicata la seconda, se presto o tardi non so dirlo.
Najla
Quinto Capitolo
Trasforma
quest’acqua, in Whiskey!
Parte 1
12 Ottobre XX
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Dormitorio femminile Grifondoro,
ore 19.45
Era tradizione,
da un po’ di anni a quella parte, che una volta formate
ufficialmente le quattro squadre di Quidditch che si sarebbero contese
la Coppa, una delle Case, a turno, organizzasse una festa per celebrare
l’inizio del campionato.
In
realtà era solo un buon modo per studiare la concorrenza: in
una scuola dove le notizie giravano più veloci di una
Windspirit mandata al massimo, tenere segrete le formazioni era
impossibile, tanto valeva sondare direttamente il campo.
La festa
d’Inizio, generalmente la prima festa dell’anno
scolastico, non era qualcosa a cui chiunque potesse partecipare, gli
inviti erano pochi e trovare qualcuno capace di farti entrare
praticamente impossibile; l’unico modo sicuro per esserci era
entrare in una delle quattro squadre, i cui membri venivano invitati di
diritto.
Quell’anno,
la festa, sarebbe stata a carico dei Corvonero, e come tutti gli anni,
prevedeva alcool e tutto ciò che generalmente tra quelle
mura non era concesso, e Lorcan Scamander, il capo di tutto il
teatrino, aveva promesso una serata indimenticabile.
«Eva,
mi passi le scarpe, per favore?» chiese Jade, stesa a pancia
in giù sulla trapunta scarlatta, con il viso mezzo affondato
nel cuscino di piume e la faccia di una persona che non ha davvero
voglia di andare ad una stupida festa.
«Guarda
che se stai così il vestito si rovina..» le fece
gentilmente notare Eva abbandonando ai piedi del letto della ragazza un
paio di alti tacchi in vernice nera, prima di sparire in bagno per la
terza volta consecutiva, probabilmente a sistemarsi, di nuovo, i
capelli.
«Ripetimi
perché tu mi abbandoni a questo stupido evento
sociale?» brontolò Jade all’indirizzo di
una Roxanne seduta con la schiena premuta contro la testiera e una
piuma in bilico dietro l’orecchio sinistro.
«Primo,
perché odio a prescindere le feste»
cominciò l’altra corrugando la fronte di fronte ad
una riga evidentemente incomprensibile del libro che aveva davanti,
«Secondo, perché per colpa di quella testa di
Troll di Faraday ho ancora dei capelli che sembrano usciti da un
distributore di zucchero filato.. Terzo, perché la festa
è organizzata da un idiota, biondo ed esaltato che risponde
al nome di Lorcan Scamander: non penso ti serva sapere altro».
Jade
inarcò appena un sopracciglio, indecisa se rispondere a tono
oppure lasciar stare perché Rox non sembrava
dell’umore, e dopo aver deciso per la seconda, si auto
costrinse a sedersi e cominciò a lavorare per mettersi su
quei dannati trampoli, che le aveva prestato la sorella.
Roxanne
alzò un secondo gli occhi dal libro di Babbanologia che
aveva sulle gambe e lanciò un’occhiata sottecchi
all’amica, trovandosi a concordare pienamente con quanto
diceva tutta la fauna maschile di Hogwarts: Jade Fyfield era davvero
una bella ragazza e non si stupiva che più di
metà scuola le facesse segretamente il filo.
Quella sera,
poi, aveva indosso un vestito verde bottiglia, di raso, senza spalline,
aderente alla figura ma ripreso su un fianco con una lavorazione di
perline e non sapeva quale altra diavoleria: avrebbe potuto conquistare
persino il bellissimo professor Dobrev se si fosse messa
d’impegno.
Ma la cosa che
preoccupava Roxanne non era il fatto che quella sera i ragazzi
avrebbero potuto sbranarla, quanto la luce strana, cupa, che le aveva
intravisto negli occhi chiari mentre allacciava la cinghietta delle
decolté, e che non era la prima volta che notava
dall’inizio dell’anno.
Stava quasi per
chiederle se non fosse successo qualcosa ,quando Eva uscì
dal bagno per andare ad aprire alla porta dove aspettavano, sistemate
di tutto punto, Rose e Vì: la prima con una smorfia
indofferente e l’altra con un sorriso gigantesco.
«Siete
pronte?» chiese impaziente Vanillle lanciando
un’occhiata a Jade che si stava alzando dal materasso,
cercando di trovare un precario equilibrio, il minimo per camminare.
«Andiamo»
annunciò la bionda con un sorriso che non avrebbe ingannato
nessuno, prendendo la borsetta nera da sopra il comodino mentre le
altre tre scendevano in sala comune.
«Buona
serata, Rox!» la saltò chiudendosi la porta alle
spalle e la ragazza si ritrovò da sola a fronteggiare il
complesso funzionamento di una dinamo, maledicendo tutte le cose a lei
conosciute.
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Grifondoro, ore 19.52
Quando Vanille
mise piede in Sala Comune, con una Rose tutt’altro che
entusiasta al suo seguito, si ritrovò indecisa se mettersi a
ridere come un’idiota oppure mettersi a piangere,
direttamente.
Perché
solo quelle due cose potevi fare di fronte ad Albus e James Potter che
si fissavano in cagnesco da una parte all’altra della Sala,
cercando sostanzialmente di uccidersi a colpi di sinapsi, sotto lo
sguardo candidamente seccato di Elijah Farday e Ian Clow.
Ed era certa al centoeunopercento,
che la colpa fosse tutta di quella stupida domenica mattina..
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Grande, ore 07.30
«James..
» cominciò Elijah con il tono di una persona che
sta per perdere definitivamente la pazienza, che è a tanto
così dall’esplodere peggio dei botti di capodanno,
«Ricordami perché stiamo facendo colazione alla
sette e mezza del mattino: alle sette e mazza di domenica mattina
».
James ebbe
almeno la decenza di alzare lo sguardo dal piatto stracolmo di
schifezze di ogni genere che aveva davanti, e guardarlo perplesso, come
se quella fosse una domanda davvero stupida.
«Il
Quidditch » rispose tranquillo trangugiando una fetta di
torta al cioccolato.
«Il
Quidditch?».
«Sì,
Eli, il Quidditch ».
Elijah si
guardò intorno e, appurato che insieme a loro ci fossero
solo quei poveri disgraziati che facevano parte della loro squadra, e
che quindi lo conoscevano, o volevano provare ad entrarci, e che quindi
erano coraggiosi Grifondoro perché il resto della scuola,
giustamente, era ancora a letto, decise di sfogare le sue mancate ore
di meritato riposo su quell’idiota del suo capitano.
«E
perché cavolo non ti ho schiantato stamattina quando mi hai
svegliato a quest’orario indecente di domenica per un
allenamento di Quidditch?!» sbraitò sbattendo un
pugno sul tavolo e per fortuna James fu così veloce da
alzare i loro calici dal tavolo altrimenti sarebbero finiti ricoperti
di latte e succo di zucca.
«Io
sono il tuo vice! Dovrei impedirti di fare certe cazzate!»
continuò incrociando le braccia al petto,
«Perché invece continuo ad
assecondarti?!».
James mise su
il più amabile dei sorrisi, con tanto di occhi da triglia
lessa, «Perché non resisti al mio fascino, Eli, lo
sanno tutti » sospirò, come se la cosa gli pesasse
e non poco, «Ma tranquillo, non ci riesce nessuno: quindi
puoi continuare ad adularmi senza preoccupartene ».
«Mi
spieghi come diavolo hai fatto ad uscire così?»
chiese il Faraday sinceramente sconvolto, «Voglio dire, i
tuoi genitori sono persone normali, i tuoi fratelli pure, i tuoi
parenti anche.. Per quale assurda legge magica tu sei diventato
così cretino? Sei caduto dal fasciatoio quando eri
piccolo?».
«Cosa
vuoi che ti dica » rispose fieramente l’altro,
«Non è colpa mia se solo io ho preso tutta la
classe, la bellezza e l’intelligenza presenti in famiglia:
vuoi farmene forse una colpa, mio caro amico?».
«Non
ho nemmeno la forza di risponderti, sul serio » concluse
Elijah scuotendo la testa, e proprio mentre stava per dedicarsi alla
sua colazione, dopo aver messo da parte la sua battaglia persa contro
quel caso clinico che era il suo migliore amico, James
scattò in piedi guardandolo sconcertato.
«Eli?
Muoviti! Abbiamo un allenamento che ci aspetta!» gli
ricordò canzonatorio il Potter strappandogli di mano una
fetta di pane grondante di cioccolato, «E dovresti smetterla
di mangiare queste cose ipercaloriche, sai quanto male fanno ad uno
sportivo come te?» dopodiché fece sparire anche
l’ultima traccia della colazione dell’amico,
semplicemente ingoiandola, e se ne andò ridendo.
«JAMES!».
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Campo da Quidditch, ore 08.00
«Questa
è una presa per il culo » chiarì James
Sirius Potter in piedi davanti ai nuovi candidati di
quell’anno, Elijah, alla sua destra, non cercava neanche di
mascherare troppo le risate, e Jade, alla sua sinistra, faceva
altrettanto.
Gran
belli amici..
Nonostante
fossero quasi a metà ottobre, nel campo non soffiava un filo
d’aria e il cielo era stranamente limpido, splendente di un
pallidissimo sole che si nascondeva appena dietro le alte torri degli
spalti. In altre occasioni James avrebbe ringraziato tutti i pochi
santi che conosceva per un tempo del genere, soprattutto per quel primo
allenamento della stagione, insomma: niente sole accecante, niente
pioggia scrosciante, niente vento capace di buttarti giù
dalla scopa con la forza di un ariete da sfondamento.
Il tempo ideale
per qualsiasi persona volesse volare in tranquillità.
Eppure, in quel
momento, quella mattina ad un orario indecente, perché
sì, doveva ammetterlo, era indecente, ma ad onor del vero
era stata tutta colpa di Lorcan che aveva prenotato il campo per tutto
il pomeriggio, si diede dello stupido per non aver interpretato quel
tempo meraviglioso come il più catastrofico degli auspici.
«Suvvia,
cugino » sentì ridere Roxanne alle sue spalle,
«Prendila con filosofia: almeno non c’è
Lily ».
James
sospirò indolente tornando a guardare i ragazzi davanti a
lui, soffermandosi con particolare enfasi su quell’idiota con
cui condivideva il cognome, non che tra loro due ci fossero altri
legami se non quello di parentela, sia chiaro, e sull’unica
persona che mai avrebbe dovuto avere l’ardire di presentarsi
al suo cospetto: il Malfoy.
Perché
per James Potter quel biondo platinato non aveva mai avuto un nome, e
dal suo secondo anno, quando l’aveva visto per la prima volta
alla stazione di King’s Cross, memore di tutte le storie di
suo zio Ron e dell’odio che gli aveva trasmesso per quel
particolare cognome, aveva sapientemente deciso che avrebbe cercato di
rendergli la vita un inferno: era una questione di principio.
I problemi
erano sorti quando Malfoy era diventato Grifondoro, nella sua profonda
indignazione, e quando, poi, era diventato amico di Albus, nel suo
profondo disgusto: insomma, non era uno stinco di santo, ma non poteva
proprio distruggere la vita al migliore amico di suo fratello e ad un
suo compagno di casa, andava contro ogni suo principio morale, se mai
ne avesse davvero avuto qualcuno.
Quindi, non
potendo distruggerlo e tormentarlo come avrebbe voluto, in quei sei
anni, si era limitato a dimostrare platealmente il suo astio
semplicemente facendo finta che non esistesse, ignorandolo
completamente: gli era sembrata la cosa più logica.
A questo punto
si può capire la sua totale indignazione nel trovarselo
davanti alle selezioni per la squadra dei Grifondoro: la sua squadra.
«Ha
ragione Roxanne » cercò di rassicurarlo Jade
riprendendo un minimo di contegno, «Poi non è
nemmeno detto che sceglieremo proprio loro due ».
Elijah diede
una gomitata al loro portiere, un colosso del quinto anno, troppo
grande per la sua età, di nome Adam McKenzie:
«Scommettiamo che alla fine prendiamo loro due? Un
galeone!».
In risposta gli
arrivò il manico di una scopa in testa, quello della
bellissima e curatissima scopa di Roxanne Weasley, con ancora i capelli
di un delizioso rosa, «Chiudi quella bocca,
Faraday» borbottò con gli occhi ridotti a due
fessure, in un vano tentativo di difendere la psiche già
provata di James che non li badava nemmeno, intento com’era
ad escogitare un modo per fare in modo che suo fratello e l’innominato, non
potessero più montare su di una scopa.
La prova era
semplice, almeno questo pensò Albus mentre prendeva quota al
fianco di Scorpius: insomma, provare a disarcionare Elijah Faraday e
Jade Fyfield non doveva essere così difficile, no?
Lui e Scorp si
erano allenati praticamente tutta l’estate, perfettamente
consapevoli del fatto che solo con la perfezione James li avrebbe
accettati, volente o nolente, in squadra: perché Albus era
giustamente convinto che suo fratello fosse un idiota con
l’acume di un ameba, ma sapeva benissimo che nel Quidditch, e
solo in quello, sapeva essere obiettivo ed era questo a renderlo un
ottimo capitano.
In definitiva,
se avessero superato tutti gli altri sarebbero entrati in squadra, che
a James Potter piacesse o meno, e Albus smaniava per indossare quella
divisa scarlatta: avrebbe venduto un rene pur di averla nel suo baule.
In tutto questo
suo stupendo e fattibilissimo progetto, però, non aveva
calcolato un piccolo particolare: i due cacciatore che doveva far
cadere dalla scopa per guadagnarsi quel maledetto posto.
In
verità, aveva sperato fino all’ultimo di trovarsi
davanti Roxanne, non per un bisogno sadico di martellarla di bolidi,
sia chiaro, ma perché, giocandoci insieme ogni estate, ogni
vacanza di sorta, sapeva a menadito il suo schema di gioco, sapeva
benissimo quali fossero i suoi punti deboli; non sarebbe stata comunque
una passeggiata, perché se sua cugina puntava a squadre
nazionali un motivo c’era, e Rox era brava, ma lui la vedeva
anche tremendamente prevedibile.
Purtroppo,
avrebbe dovuto immaginarlo, suo fratello aveva deciso di mettergli
contro gli altri due cacciatori della squadra: un modo gentile per
mettergli i bastoni tra le ruote, anche se la scusa ufficiale era che,
se avesse giocato Roxanne, ci sarebbe stato un conflitto di interessi
perché erano parenti.
Parenti un
cesto di castagne! Lo sapevano entrambi che Roxie non gli avrebbe mai
riservato un trattamento di favore!
Così,
sospeso a mezz’aria, con Elijah e Jade che si passavano la
pluffa volteggiando tranquilli, Scorp dall’altro lato del
campo con la mazza in mano e suo fratello che con un sorriso sadico
reggeva un fischietto tra le labbra, Albus strinse la presa sulla
mazza, pronto a combattere la sua guerra.
Al fischio i
bolidi schizzarono in aria.
Abbiamo appena
detto che ad Al quella prova era parsa, sommariamente facile, mentre
saliva tutto pieno di speranze: dopo quel fatidico fischio,
cambiò drasticamente idea.
Perché
un motivo, se la Fyfield ed Elijah erano in squadra, c’era.
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Spogliatoio maschile, ore 11.26
Elijah
guardò parecchio seccato l’orologio appeso alla
parete dello spogliatoio: ridendo e scherzando era già
passata un’ora.
«James..»
tentò per l’ennesima volta guardando un filino
preoccupato l’amico che intento a creare e ad incenerire una
sedia per la milionesima volta, in un bizzarro e stranamente silenzioso
modo per sfogare la sua, solitamente chiassosa, rabbia, non si era
nemmeno tolto la divisa.
«James,
mi senti?» erano rimasti solo loro a cercare di farlo
ragionare, lui, Ian e Jade, intrufolatasi lì dentro dopo
essersi cambiata, con ancora i capelli umidi dalla doccia, mentre
Roxanne aveva detto di non volersi immischiare ed era andata
direttamente al castello.
«Jam..sarebbe
anche passata un’ora..tra un po’ dobbiamo andare a
mangiare..» tentò l’unica ragazza con il
tono accondiscendente e comprensivo che usava per le grandi crisi delle
loro vite.
Ma James non
diede segno di averli sentiti, troppo preso ad incenerire quella povera
sedia sperando con tutta l'anima che si trsformanesse nella testa di
suo fratello, e perché no, magari anche in quella di quel
biondo insipido che portava il nome di Malfoy.
Al solo
ricordare le loro facce gli prudevano violentemente le mani.
Alla fine non
aveva potuto impedire a nessuno dei due di entrare in squadra, non era
uno stupido, e nonostante non fossero stati capaci di disarcionare ne
Jay ne tantomeno Eli, erano risultati, obiettivamente, i migliori
battitori presenti alle selezioni, avevano coordinazione, potenza,
precisione: avevano la stoffa per quel ruolo e a lui due battitori
così per vincere la Coppa servivano.
Quello che non
gli serviva era avere suo fratello tra i piedi anche nella sua squadra.
Perché
non bastava che Albus fosse il figlio perfetto, quello sempre attento
ad aiutare mamma, quello con gli occhi di papà, quello con i
voti migliori a scuola, quello che dava una mano a Lily nei compiti,
quello che era diventato prefetto, quello intelligente, quello
sensibile, quello posato, quello fottutamente meraviglioso.
No, non bastava.
Doveva anche
venire a rubargli la squadra, il Quidditch, le due cose che,
sostanzialmente, costituivano l’unica cosa in cui lui, James,
fosse più bravo del fratello.
Lui era
capitano da tre anni, non Albus.
Lui era il
cercatore migliore che Hogwarts avesse da venticinque anni, non Albus.
Lui,
non Al.
E il fatto che
adesso anche lui fosse entrato a sgomitare nel suo universo per
guadagnare l’ennesimo titolo che lo avrebbe avvicinato ancor
di più alla perfezione, lo mandava letteralmente in bestia!
La cosa triste
era che nessuno lo avrebbe capito: non i suoi genitori che di sicuro lo
avevano appoggiato nell’entrare in squadra, non Lily o i suoi
parenti che gli avrebbero dato dell’egocentrica primadonna,
nemmeno i suoi amici, ne era sicuro.
«James..mi
pare che tu ne stia facendo una tragedia..»
commentò Elijah, «Pensala così: ci
aiuteranno a vincere la Coppa anche quest’anno».
Ecco, non
avrebbero capito nemmeno loro.
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Serpeverde, ore 19.52
Joshua Nott,
come già detto, non era una persona troppo incline ad
interessarsi degli altri, tutto ciò che sapeva era un
riflesso incondizionato di quello che sapeva Damian Zabini: in
realtà, Nott, era una specie di lupo silenzioso e solitario,
e questo, se possibile, era uno dei motivi per cui stava tanto
simpatico a Mordecai Fraday, quanto antipatico a Katherine Wetmore.
«Wetmore,
la prossima volta, la gonna, lasciala a casa e vai via direttamente
nuda, tanto
è uguale » commentò
caustico guardando il vestito che aveva indosso la compagna di casa,
appoggiata al divano di velluto verde.
Un tubino nero
tremendamente corto.
«Nott,
prendere le tue considerazioni personali e ficcartele su per dove non
batte il sole, mai?»
rispose l’altra inclinando appena la testa verso destra, con
un sorrisetto talmente acido da risultare persino corrosivo.
L’unica
persona di tutto l’universo che Joshua Nott non poteva
proprio ignorare era la Wetmore, così dannatamente irritante
da doverle per forza lanciare una frecciatina almeno una volta al
giorno. Lo istigava con quel suo fare altezzoso, volutamente e
scontatamente provocante, con quella lingua biforcuta che non era
capace di tenere ferma un secondo, tanto che freddarla ogni tanto gli
provacava un sadico piacere.
«Dimmi,
Wetmore, preferisci rimanere a letto, stasera?» rispose
notando una luce assassina illuminarle gli occhi, appena le fu chiaro
dove voleva andare a parare, «Perché ti ricordo
che senza di me, dai Corvonero, non entri».
La faccia di
Katherine si accese di un rosso indignato e si fece talmente paonazza
che Joshua cominciò a chiedersi come gli occhi facessero a
restare al loro posto: sembravano dover schizzare fuori da un momento
all’altro.
Merlino e
Morgana, quanto avrebbe voluto scoppiarle a ridere in faccia.
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Corvonero, ore 20.00
Lorcan se ne
stava seduto su una delle poltrone, magicamente moltiplicate e
ammassate lungo le pareti della sala, godendosi il suo personale
capolavoro: ideato, progettato e in parte realizzato da lui.
Il soffitto era
stato stregato come quello della Sala Grande, merito di una Molly
Weasley piuttosto restia a collaborare, e ora era ricoperto da una
cupola stellata che da sola sarebbe bastata ad illuminare la stanza, il
bar, tutta opera sua, era stato sistemato in un angolo, ed erano
già d’accordo sul fatto che c’avrebbero
lavorato lui ed Oliver a turno, inutile elencare la meravigliosa scorta
di alcolici, magici e babbani, che aveva avuto in maniera piuttosto
illecita, per concludere con quella che lui definiva una chicca, i cubi
con incantesimo di levitazione: più ti muovevi e
più si alzavano, fino ad un’altezza di sicurezza,
ovvio. Non voleva mica avere gente con qualche gamba rotta, come era
successo alla festa d’Inizio organizzata dai Tassorosso
l’anno prima: la schiuma era stata un’idea
meravigliosa, fino a quando una cacciatrice di Tassorosso non era
scivolata, investendo la cercatrice di Serpeverde e suo fratello
Lysander.
La conclusione
era stata, una gamba rotta per la Tassorosso, un braccio crepato per la
Serpeverde e una spalla dislocata per suo fratello.
In compenso a
caduta a effetto domino era stata così esilarante che non
aveva smesso di ridere un secondo, nemmeno portando Lys in infermeria.
«Manca
solo la bava, Lorcan » gli fece notare una Rowena appena
apparsa dalle scale del dormitorio, con le braccia incrociate sotto il
seno e un mezzo sorriso a curvarle gentilmente le labbra.
«Ma
come siamo in ghingheri questa sera » sorrise, pronto a
rispondere alla frecciatina, «Per quale dei due ti sei data
tanta pena?».
Rowena lo
fulminò con un’occhiataccia prima di avvicinarsi e
sedergli accanto con un leggero sbuffo e gli occhi socchiusi.
«Mi
lascio il beneficio del dubbio, Lo » rispose curvando le
labbra in un discreto sorriso, «Ancora per un
po’».
Lorcan la
guardò inarcando un sopracciglio parecchio scettico, ma non
ebbe il tempo di rispondere che Oliver li raggiunse con un balzo,
dietro di lui gli altri Corvonero del settimo e del sesto anno, a cui
era permesso partecipare di diritto, e i pochi membri della squadra che
non rientravano nel primo gruppo.
«Allora,
Lo, quando si comincia?» chiese Oliver sistemandosi gli
occhiali squadrati sul naso, con un sorriso decisamente euforico.
In quel momento
sentirono un coro di voci, urlare da fuori: «Occhio di
coniglio! Rumore di fischi! Trasforma quest’acqua, in
Whiskey!».
Gli occhi di
Lorcan Scamander si accesero di una luce che non prometteva niente di
buono, un cocktail di malizia e pazzia davvero pericoloso.
«Adesso ».
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Capitolo 7 *** Trasforma quest'acqua, in Whiskey! Parte 2 ***
Le citazioni a lato,
sono tutte prese da canzoni che mi immagino come sottofondo nella
storia nel momento in cui si verificano i fatti della storia..
E’ un
ragionamento un po’ contorto ma spero sia chiaro..
Ah..piccola
precisazione, la maggior parte dei personaggi è sotto
effetto di alcool o sostanze stupefacenti, quindi se fanno cose che non
stanno da nessuna parte..beh, è normale..
Buona lettura..
Quinto Capitolo
Trasforma
quest’acqua, in Whisky!
Parte 2
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Corvonero, ore: non
interessa a nessuno, in questo momento.
Make me come alive
Come on turn me on
Touch me, save my life
Come on and turn me on
I’m too young
to die
Come on and turn me on
Turn me on
Turn me on
(Turn me on- David
Guetta ft. Nicki Minaj )
Non sapeva da
quanto tempo stava ballando.
Non sapeva di
chi erano le mani che sensuali le stringevano leggermente i fianchi,
cercando di arrivare sotto la gonna del vestito verde che indossava.
Non sapeva
nemmeno cosa stesse facendo esattamente il suo corpo.
Sentiva solo la
testa leggera, estranea a tutto e a tutti.
Sentiva solo il
cubo sotto ai piedi e il vuoto allo stomaco che le ricordava i voli sul
campo da Quidditch: una meravigliosa sensazione di vertigini mista ad
adrenalina.
Sentiva solo di
voler rimanere così per sempre.
Completamente
fuori controllo.
In un qualsiasi
altro istante della sua vita non si sarebbe mai sognata di fare una
cosa del genere: lasciarsi toccare in quel modo da uno sconosciuto, di
fronte a tutti i suoi amici, a tre metri dal pavimento.
Lasciarsi
andare in quella maniera non era decisamente nelle sue corde, anzi, lei
viveva da sempre in simbiosi con il proprio cervello, era una di quelle
persone a cui veniva naturale dire: tu pensi troppo.
Ma non quella
sera.
E
l’aveva deciso in una frazione di secondo, in
un’occhiata.
Era entrata con
Elijah e Ian, convinta che sarebbe rimasta tutta la sera a bere seduta
al bancone con Lorcan e la depressione di James per la faccenda di
Albus, e invece, quando aveva visto la piccola Gwen Shelley venirle
incontro sorridente, salutandoli, prima di appropriarsi in maniera
tutt’altro che casta e pudica della lingua di Ian, aveva
deciso che non sarebbe rimasta in disparte, quella sera.
Che senso aveva
rimanere platonicamente fedele ad uno che l’aveva, in fin dei
conti, solamente usata?
Ed era stato un
sguardo, quello di Ian, mentre ancora si lasciava baciare da quella
ragazzina, a convincerla che sì, quella sera, avrebbe spento
il cervello e si sarebbe fatta del male.
Sapeva di
piacere ai ragazzi, non era un mistero, Rox ed Eva glielo ripetevano
spesso ma lei non c’aveva mai dato troppo peso: quella sera
aveva deciso che ne avrebbe approfittato.
E quando un
Tassorosso le era venuto vicino chiedendole di ballare, lei aveva
lanciato uno sguardo a Ian, l’ultimo, e con un sorriso
malizioso che non le apparteneva si era allontanata dal bancone e
l’aveva seguito: il resto era un caos indistinto di luci e
suoni, ma non aveva importanza.
Mentre metteva
le braccia al collo di quel tipo, niente aveva importanza.
Mentre si
muoveva sensuale come mai in vita sua, niente aveva importanza.
Mentre Ian
svaniva nel baratro della sua memoria insieme alla rabbia, alla
delusione e alla lingua di Gwen Shelley: niente aveva importanza.
Che
vedesse bene cosa si era perso.
Per quella sera
voleva solo sentirsi dannatamente viva.
Oh yeah they tell me
I’m a Bad boy
All the Ladies look at
me and act coy
I just like to put my
hands up in the air
I want that girl
dancing over there.
(Little Bad Girl- David
Guetta ft. Taio Cruz & Ludacris )
Elijah non
sapeva esattamente cosa pensare, era solamente certo che quella festa
d’Inizio, la migliore mai realizzata, a suo parere, se la
sarebbero ricordati tutti i presenti fino alla fine delle loro brevi
vite: doveva ricordarsi di fare i complimenti a Lorcan.
«Sai
cosa prende alla Fyfield?» era finito con i gomiti appoggiati
sul bancone del bar, davanti al mitico alcolico babbano denominato
vodka, dopo aver goduto della compagnia di una Corvonero di cui non
conosceva nemmeno il nome, e quello che gli aveva parlato non era altro
che un esaltato Lorcan Scamader con una faccia stranamente sobria.
Eli
alzò lo sguardo vagamente annoiato verso quella che a tutti
gli effetti era la sua migliore amica, vedendola sopra quei cubi
volanti, illuminata a tratti dalle luci incantate, mentre portava le
braccia intorno al collo di Kyle Sanders, un Tassorosso
dell’ultimo anno, anche se era quasi certo che lei non avesse
la più pallida idea di chi lui fosse.
Jade aveva un
problema e avrebbe fatto una cavolata, ne era certo.
Ogni volta che
la ragazza aveva un problema faceva una cavolata.
Era matematico,
ormai.
«Non
ne ho la più pallida idea » rispose sinceramente
voltandosi verso la pista, mentre Lorcan faceva il giro del bancone e
gli si sedeva a fianco.
«Non
l’ho mai vista così » ragionò
ad alta voce lo Scamander, «A sapere che stasera si sarebbe
lasciata andare ne avrei approfittato io al posto di Sanders
».
Elijah
tornò a guardarla per una manciata di secondi prima di
annuire.
«Per
come è presa stasera, credo non si lascerebbe pregare
nemmeno troppo » constatò il Faraday con una
smorfia indecifrabile, «Ti basta farla scendere da
lì ».
«Vendermi
così la tua amica è vergognoso, Faraday
» osservò Lorcan con un ghigno ed Elijah si
limitò a scuotere la testa.
Lorcan non
aveva mai avuto granché rapporti con i Grifondoro, certo, li
conosceva tutti, e sarebbe stato difficile il contrario visto che uno
di questi era suo fratello, un altro James Potter, con cui era
praticamente cresciuto, un altro Frank Paciock, che conosceva da
sempre, e un’altra Roxanne Weasley, la sua amata nemesi. Gli
altri erano nomi con cui scambiare quattro chiacchiere ogni tanto,
giusto per passare il tempo, ma in sette anni, comunque,
un’idea su di loro se l’era fatta.
A dire il vero,
l’unico che non era riuscito del tutto ad inquadrare era
proprio Elijah Faraday, con quel suo fare perennemente insofferente e a
tratti menefreghista: non era mai riuscito a capire cosa nascondesse
sotto la sua maschera.
E Lorcan, di
maschere, era un esperto, sia a tenerle che a farle crollare.
Non per
doppiogiochismo, sia ben chiaro, solo, il ragazzo, era fermamente
convinto che spesso fosse più facile fingere che essere
davvero sé stessi: a suo parere si evitavano un sacco di
rogne.
Il Corvonero
seguì lo sguardo del coetaneo, finché non
incontrò la figura non troppo alta ma affusolata di Rowena
Dale, intenta a ballare e a ridere, in quel tubino blu scuro che la
faceva sembrare ancora più bella di quanto non fosse
normalmente, con Mordecai Faraday: cercatore di Serpeverde.
Lorcan si
ritrovò a pensare che doveva essere davvero strano per
Elijah guardare una figura identica in tutto e per tutto alla sua, ma
che non era la sua, stringere la ragazza che avrebbe voluto stringere
lui: come fare un salto nello specchio dei desideri.
Ringraziò
che Lys fosse troppo preso dagli animali di Hagrid per pensare alle
ragazze.
«Sai
Faraday » cominciò allora con il suo tono di falso
disinteresse, «Se vuoi che scelga te, devi impegnarti di
più: perché io non simpatizzo per tuo fratello,
ma lei è a tanto così dallo scegliere lui. Fossi
in te farei la mia mossa ».
Elijah sorrise
amaramente, curvando appena la linea dritta delle labbra: se persino
quel damerino da due soldi di Lorcan Scamander si metteva a dargli
consigli, allora era proprio messo male.
«Scamander
» ghignò alzandosi e Lorcan lo seguì
con uno sguardo vagamente curioso, «Chi ha detto che ho
bisogno di Rowena? Posso aver chiunque io desideri ».
Ed erano bugie,
enormi ed atroci bugie, lo sapeva Eli e lo sapeva anche Lorcan, ma per
il primo era confortante dirle ad alta voce e l’altro decise
che, anche se non erano in grandi rapporti, poteva lasciargli quella
piccola soddisfazione, quella sera.
«Come
vuoi Faraday » fece spallucce il biondino tornando rapido
dietro al bancone mentre Elijah svuotava in un sorso
l’ennesimo bicchiere.
«Bella
festa, Scamander ».
Oye
mami i like your mocha
come
get a little closer and
bite
me en la boca.
Oye
papi if you like it mocha
come
get a little closer
and
bite me en la boca.
(Rabiosa-
Shakira ft. Pitbull )
«Sono
spariti tutti » sbuffò Katherine Wetmore
lasciandosi cadere con poca grazia su una delle poltroncine blu
persiano raccolte in un angolo più intimo della stanza,
accavallando le gambe in modo tale che quella poca parte di mondo che
non aveva ancora avuto l’onore di vederle le mutande le
vedesse per bene. O almeno questa era la convinzione del povero Joshua
Nott, che aveva avuto la disgraziata idea di sedersi proprio in
quel’angolo dieci minuti prima della ragazza, e che ora se la
ritrovava a lato, di nuovo.
Spesso Joshua
si ritrovava a pensare che il fato dovesse per forza avere un sadico
senso dell’umorismo, anche se probabilmente si trattava solo
di un’indole profondamente bastarda. Insomma, lui e la
Wetmore si odiavano: si sarebbero accoltellati con una delle forbici
della serra di Erbologia, avrebbero fatto esplodere il calderone
dell’altro durante Pozioni solo per il piacere di vederlo
sfigurato da qualche scheggia assassina, Johua avrebbe persino
Trasfigurato la compagna in un sasso da gettare nel Lago Nero se solo
ne avesse avuta l’occasione, era escluso che Katherine
facesse lo stesso perché in Trasfigurazione faceva proprio
pena.
Eppure,
nonostante questo odio viscerale finivano sempre insieme: nella stessa
Casa, nello stesso gruppo di amici, in coppia a Pozioni, nello stesso
angolo di poltrone blu alla festa d’Inizio.
Sì,
il fato era o bastardo, o cercava di ucciderli.
«Non
sono spariti, Wetmore » rispose lui senza particolari
inflessioni, «Ti stanno lontani perché non ti
sopportano ».
«Non
è vero che non mi sopportano!» esclamò
come una bambina indispettita, mancava solo che si mettesse a battere i
pugni sulle poltroncine. Joshua la
guardò stupito: niente battuta caustica? Niente commento
acido?
La
osservò un attimo in più.
«Wetmore:
quanto hai bevuto?» la domanda gli era venuta spontanea e
quando lei lo aveva guardato cominciando a ridere come una
stupida, singhiozzando di tanto in tanto, non aveva davvero avuto
bisogno di risposta.
Almeno ha la
sbronza allegra, pensò il Serpeverde scuotendo la testa.
«Meglio
che vada a cercare Charity e le dica di portarti in dormitorio il prima
possibile » commentò Joshua provando ad alzarsi in
piedi: sperava solo che la ragazza non fosse con il suo migliore amico
imboscata dietro le tende a fare Merlino solo sapeva cosa,
perché lui, di fare da balia alla Wetmore non ne aveva
voglia.
Prima ancora
che potesse finire di formulare questo pensiero, tutt’altro
che piacevole, peraltro, si ritrovò il sedere di Katherine
sulle gambe.
E lì
le domande immediate furono due: quando diavolo si è mossa?!
E, perché diavolo mi si è seduta sopra?!
«Dove
vai?» gli chiese la ragazza appoggiandogli le mani sopra la
camicia, inclinando appena la testa verso destra, come per vederlo da
un’angolazione diversa.
Josh rimase a
guardarla per un po’ di tempo, mentre lei gli studiava ogni
centimetro di faccia disponibile.
Quella era
decisamente una situazione bizzarra.
Assurda.
Paranormale.
Joshua sentiva
il fiato caldo, l’aroma dolciastro dell’alcool,
soffiargli sul collo, le mani incredibilmente calde
dell’altra sul petto e sentiva i suoi propositi di levarsela
immediatamente di dosso svanire in una nuvola di fumo, insieme a un
sacco di altre belle cose, come la coerenza.
Perché
lui continuava ad odiare Katherine Wetmore, gli dava fastidio averla
così vicino, davvero, ma non riusciva nemmeno a negare a
sé stesso che quella ragazza, in quel momento, lo stesse
facendo andare su di giri mica da ridere. Insomma! Era pur sempre un
ragazzo di diciassette anni che sulle gambe aveva una compagna di Casa
decisamente appetibile, ubriaca fino al midollo..
Doveva.
Mantenere. La. Calma.
«Katherine
» cominciò prima di rendersi conto che
l’aveva davvero chiamata per nome: ma che cavolo stava
succedendo?! Appena tornato in sé sarebbe andato dallo
Scamander a denunciarlo per avergli drogato il drink:
perché, passi che nemmeno lui era del tutto sobrio, ma non
era nemmeno in palla come la Wetmore!
«Wetmore
» ricominciò allora più serio che mai,
«Scendi immediatamente da qui che ti porto in dormitorio
».
«No
no » fece lei con lo stesso tono da bambina, leggermente
pigolante, «Mi piace questa festa ».
«Sei
ubriaca » gli fece notare lui sperando di farla rinsavire un
poco.
«Hai
davvero dei begli occhi, Joshua, sono di un verde davvero scuro
» rispose lei ignorandolo, se volutamente o meno, nessuno
l’avrebbe capito, «Ho sempre pensato che fossero
semplicemente neri, e invece sono verdi..».
«Scendi
che ti porto in dormitorio » niente, stava raggiungendo il
limite massimo di sopportazione.
«Invece
credo che ti bacerò: hai proprio dei begli occhi, Joshua »
fu la risposta semplice, diretta, sconcertante, addirittura innocente
di una Katherine decisamente fuori fase, e il povero Nott non
riuscì a fare niente per impedire quanto successe in seguito.
Perché
cercò di respingerla quando le sue labbra si schiacciarono
sulle sue, ci mise persino impegno, ma quando una parte sadica del suo
cervello registrò che le labbra di Katherine erano morbide e
per qualche strano motivo sapevano di cioccolato, il suo cervello
semplicemente si spense, con un’ultima, crudele, nota.
E
adesso sono cavoli amari, Josh.
You
want to know how to make me smile
Take
control, own me just for the night
But
if I share my secret
You
gonna have to keep it
Nobody
else can see this.
(Moves
like Jagger- Maroon 5 ft. Christina Aguilera )
Oliver
guardò la testa rossa della piccola Weasley schiantata
contro il bancone del bar e sospirò, in un muto segno di
comprensione, della serie: non
so esattamente cosa tu abbia ma ti capisco.
Rose se ne
stava con la fronte contro il legno del bancone da ormai un quarto
d’ora abbondante: incurante della musica, delle luci, di
tutto, meno che della bottiglia di Whiskey Incendiario che aveva
chiesto ad Oliver di lascarle sul bancone.
Se solo suo
padre l’avesse vista!
Se
solo sua madre l’avesse vista!
Ringraziò
Merlino che suo fratello non avesse trovato un modo per imbucarsi alla
festa, come invece aveva fatto Lily nel totale disappunto di Albus e
James che non si parlavano mai, nemmeno per sbaglio, ma si erano
mostrati un fronte unito contro la sorellina quando l’avevano
vista varcare la porta con un vestito rosso tutto svolazzante.
Ovviamente lei
li aveva beatamente ignorati.
Lily restava
pur sempre Lily.
Ora, per
spiegare in breve il motivo per cui lei, l’ultima persona
sulla faccia dell’universo che ci si sarebbe aspettati di
vedere attaccata ad una bottiglia, si trovava invece abbandonata sul
bancone del bar di un festa proprio come sopra, sarebbero bastate due
parole.
Scorpius Malfoy.
Nome e cognome.
L’incarnazione
delle bibliche Sodoma e Gomorra.
La sua disfatta
di Caporetto.
E su questa
linea la ragazza avrebbe continuato per ore: in sei anni la fantasia si
era sbizzarrita.
In
realtà non era successo niente di che, o almeno, nulla di
così grave da spiegare la sua voglia di alcolismo. Scorpius
aveva semplicemente sparato l’ennesima frecciatina velenosa
verso di lei e lei c’era rimasta più male del
previsto.
Perché
sì, lei era una Weasley e sì, lui era un Malfoy e
sì, non andavano d’amore e d’accordo
come due normali amici del XXI secolo, ma non si odiavano, non si
volevano quel viscerale male che provavano, per esempio, la Wetmore e
Nott.
Litigavano, si
stuzzicavano, spesso volava qualcosa di più pesante ma si
risolveva tutto con un colpo di bacchetta: o Scorpius fuori dalla
finestra o Rose priva di corde vocali.
Niente di
così atroce.
Eppure quella
volta, a Rose, il colpo aveva fracassato le costole, non tanto da farla
piangere, ma da abbandonare i dispiaceri nell’alcool
decisamente sì.
La cosa triste
era che più ci pensava più si rendeva conto che
se l’era presa per niente, perché Scorpius che le
dice che finirà suora di clausura perché
è talmente frigida da non riuscire nemmeno a ballare ad una
festa, era davvero una cosa trascurabile.
E
più l’alcool andava giù, più
la sua mente si apriva, e più questo succedeva,
più si rendeva conto che non erano state le parole di
Scorpius in sé ad offenderla, quanto il fatto che il ragazzo
pensasse davvero una cosa del genere di lei.
Sapeva di non
essere una ragazza bellissima, sapeva anche di essere un pezzo di legno
quando si trattava di ballare e sapeva di essere troppo rigida con
chiunque: lo sapeva, maledizione! Ma il fatto che il biondo Malfoy
l’avesse detto così apertamente, con
così tanta convinzione, l’aveva lasciata
sanguinante..e l’aveva spinta all’alcolismo
giovanile.
Rose scosse
prepotentemente la testa: sei
ridicola, Rosie, datti una svegliata, per carità!
«Weasley,
ci diamo alla bottiglia?».
Maledetto
fato bastardo, lasciami morire in pace.
«No
Malfoy: leggevo gli ingredienti sull’etichetta » fu
la sua caustica risposta: decisamente poco credibile dal momento che si
stava versando l’ennesimo bicchiere di Whiskey.
«Ah
davvero?» chiese fintamente sorpreso il ragazzo poggiando un
gomito sul bancone, giusto per guardarla meglio, «Sei sicura
di voler cominciare uno scambio di battute con me, nello stato in cui
ti ritrovi? Sai, sarebbe una vittoria troppo facile e per te una
sconfitta eclatante: dubito ti riprenderesti mai ».
Rose
cercò di fulminarlo con lo sguardo, riducendo gli occhi a
due fessure così affilate che Oliver, muto spettatore,
poteva vedere la testa di Malfoy vacillare.
«Scorpius
» e pronunciare il suo nome fu una faticaccia: che cavolo!
Non potevano chiamarlo Joe?! «Prendi il tuo fondoschiena e
portalo lontano da me prima che ti mandi al creatore facendoti volare
fuori esattamente da quella finestra ».
«Wow,
Rosie » continuò lui mostrando, di nuovo, di
essere totalmente privo dell’istinto di autoconservazione,
«Riesci addirittura ad articolare una frase così
lunga? Evidentemente non hai bevuto abbastanza..».
La rossa
sbuffò sonoramente guardando Oliver.
«Cromwell,
non ho bevuto abbastanza, secondo te?» gli chiese indicandolo
con la bottiglia quasi vuota che il ragazzo si affrettò a
riafferrare per nasconderla dietro il bancone.
«Credimi,
hai bevuto troppo, Rose » rispose Oliver sistemando dei
bicchieri e la ragazza si voltò soddisfatta verso il biondo
Malfoy e i suoi occhi scuri.
Da chi cavolo
li avesse mai presi era un vero mistero.
Però
avevano un che di intrigante..
Oh.
Porca. Morgana.
«Sei
un disastro, Weasley » borbottò Malfoy passandole
un pollice sulla guancia, in maniera tanto delicata da sembrare quasi
una carezza, o almeno il cervello bacato e assuefatto di Rose la
registrò come tale, «Ti è colato un
po’ il trucco ».
«E da
quando ti interessi del mio trucco Malfoy?» chiese senza
riuscire a trattenersi prima di mordersi a sangue l’interno
guancia: possibile che non riuscisse mai a stare zitta?!
«Hai
visto Jade sul cubo?» la ignorò lui togliendole la
mano dalla guancia per indicarle con un cenno della testa la loro
Caposcuola avvinghiata a un Tassorosso ignoto.
Rose
pensò che quella ragazza, il giorno dopo, avrebbe avuto
più di una bella gatta da pelare.
«Dovresti
prendere spunto da lei » continuò Scorpius senza
guardarla e Rose inarcò un sopracciglio perplessa.
«Dovrei
farmi trascinare su uno di quei cosi volanti e dare spettacolo? No
grazie..» rispose scuotendo la testa.
«No,
Rosie, dovresti scioglierti un poco » e lo disse guardandola
negli occhi, con un sorriso gentile, quasi dolce, «Stasera
eri perfetta, se non ti fossi sdraiata qui ti avrei persino invitata a
ballare ».
E Rose rimase
imbambolata lì, con la faccia dello stesso colore dei
capelli e gli occhi spalancati dalla sorpresa, fissi in quelli di
Scorpius Hyperion Malfoy.
Took
my life from negative to positive
And
I just want y’all know that
And
tonight, let’s enjoy life
Com’è
che aveva detto Eli prima di farlo uscire dal loro dormitorio?
Ah
sì, ora James ricordava..
So
che ce l’hai con tuo fratello, ma ti prego, stasera, non fare
cazzate.
Il Potter
guardò il bicchiere di whiskey che teneva tra le mani e gli
venne persino da ridere: lui? Fare cazzate? Ma quando mai..
E poi
perché mai avrebbe dovuto fare cazzate: non c’era
nessuno motivo logico per comportarsi in modo disdicevole ad una festa
in cui suo fratello stava ballando con quella che, in quel momento, tra
i fumi del’alcool e di qualcosa che un Serpeverde gli aveva
spacciato come un’innocua canna ma che secondo lui non era
proprio una canna..
Comunque,
stavamo dicendo, perché mai lui avrebbe dovuto fare qualcosa
di sconsiderato di fronte alla donna della sua vita che ballava con il
suo fratellino perfetto e meraviglioso e scintillante che gli aveva
appena fregato il primato di figlio-di-Harry-Potter-bravo-a-Quidditch?
Questa volta
rise davvero tra sé e sé: stava cedendo al
sarcasmo come faceva sempre Elijah e più ci pensava
più gli veniva da ridere, e più gli veniva da
ridere più si sentiva pazzo, e più si sentiva
pazzo più la sua mente pericolosamente si svuotava..
Insomma,dai,
non c’erano davvero motivazioni plausibili perché
lui andasse lì, prendesse suo fratello e gli tirasse un
pugno, così, di punto in bianco, davanti a decine di
studenti che si stavano divertendo..
No,
non c’era un motivo..
E fu proprio
perché non c’era un motivo che ingoiò
in un sorso il contenuto di quel bicchierino che teneva tra le mani, si
alzò in piedi, e andò dritto da suo fratello.
Give
me everything tonight
«Ma
quello non è il tuo amico?» chiese Mordecai
vagamente incuriosito all’indirizzo del fratello, con cui si
era scontrato solo pochi minuti prima insieme a Rowena mentre si
avvicinavano al bar.
Elijah
alzò un sopracciglio perplesso prima di rivolgere lo sguardo
verso un James Potter che si dirigeva spedito verso il centro della
pista dove, intravide una coda di cavallo biondo paglierino.
«Maledizione,
James!» sputò come se si trattasse di un insulto
prima di lanciarsi nella piccola folla di studenti intenti a ballare,
per fermare il suo migliore amico dal combinare un disastro di cui si
sarebbe sicuramente pentito.
Rowena
guardò un istante Mordecai, con un lieve accenno di
preoccupazione e lui in risposta scosse la
testa:«L’ho sempre detto io che Potter non
ragiona..».
Give me everything
tonight
«Ehi,
Ian!» squittì Gwen Shelley staccandosi un secondo
dal suo collo solo per indicare il centro della pista.
«Cosa
c’è?» chiese lui distrattamente, troppo
attento a lanciare occhiate assassine a quell’idiota di un
Tassorosso che stava toccando la sua Jade.
Perché
sì, lui aveva scelto Gwen per pietà, ma non gli
andava giù vedere la compagna di casa tra le braccia di un
altro, non ancora almeno, e sospettava non gli sarebbe mai andato
troppo a genio.
«Ci
sono Albus Potter e la Hillyard che ballano insieme!».
«Buon
per loro..» tagliò corto lui: cosa poteva
interessargliene di quello che combinava Albus Potter?
«Ma
quello non è il tuo amico, James?»
continuò Gwen con quel suo fare leggermente pigolante e ad
Ian bastò un secondo di lucidità per capire cosa
sarebbe successo di lì ad una manciata di secondi, e quando
vide con la coda dell’occhio, Elijah staccarsi velocemente da
Rowena e Mordecai per andare a passo di marcia verso il loro amico
comune, capì anche che non avrebbe fatto in tempo.
«Maledizione..»
sibilò staccandosi da Gwen pronto ad intervenire.
Give
me everything tonight
Non le
servì molto per tornare al presente, in realtà.
Le
bastò sentire le urla sotto i suoi piedi.
Le
bastò capire che non avevano nulla a che fare con la musica.
Le
bastò la voce di Elijah che urlava a James di fermarsi.
Give
me everything tonight
E il pugno che
colpì la mascella di Albus Severus Potter, riuscì
a zittire persino la musica.
(Give me everything
tonight- Pitbull ft. Ne-Yo, Afrojack & Nayer )
Note
dell’Autrice:
Cosa
sarà successo dopo il pugno ad Albus? Questa Jade fuori di
testa sarà riuscita a scendere dal cubo volante? Katherine,
si ricorderà questa festa, la mattina seguente??
Tutto nella
prossima puntata!!
Bene, mi sono
appena resa conto di aver reso Hogwarts un covo di alcolizzati,
ahahah..
Beh, direi che
capita…u.u..
Comunque, io di
grandi chiarimenti non ne vedo, da dover fare, ma se non avete capito
qualcosa, avete voglia di dirmi quali personaggi vi piacciono e quali
meno, avete consigli, critiche o mele marce da tirare, sono qui
disponibile 24 ore 24 per qualsiasi cosa :)
Per quanto
riguarda la decisione del se continuare o meno questa storia, a onor
del vero sono ancora in dubbio perché ormai mi sono
affezionata a tutti i personaggi e lasciarli così, con una
storia a metà mi dispiacerebbe parecchio, ma credo
dipenderà tutto dalle recensioni di questo capitolo: insomma
SE LA STORIA VI PIACE FATEMELO SAPERE PERCHE’ IO,
DISGRAZIATAMENTE, NON LEGGO NEL PENSIERO!
Detto questo
ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo, probabilmente unico
motivo per cui c’è stato un seguito, e chi ha la
storia tra le preferite e le seguite.
Arrivederci
(speriamo) a presto,
Najla
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Capitolo 8 *** Un semplice groviglio di fili ***
Sesto Capitolo
Un semplice groviglio
di fili
But
just because it burns
Doesn’t
mean you’re gonna die
You’ve
gotta get up and try try try
Gotta
get up and try try try
You
gotta get up and try try try
(Try-
P!nk )
18 Ottobre XX
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, dormitorio femminile Grifondoro,
ore 16.25
Roxanne
lanciò la sacca con i libri in un punto imprecisato della
stanza con una violenza tale che qualsiasi fosse il pezzo di mobilio
vittima dello scontro con i suoi testi scolastici lo sentì
scricchiolare in segno di protesta, prima che il suono poco
rassicurante della porcellana che schianta a terra e si riduce ad un
cumulo di cocci le facesse appena strizzare gli occhi.
Con ogni
probabilità aveva colpito il comodino di Evangeline e quella
caduta a terra era la tazza di camomilla che la ragazza si era fatta
portare dagli elfi domestici la sera prima.
Poco importava,
comunque: un colpo di bacchetta e sarebbe tornata come nuova.
In quel momento
le sue priorità erano decisamente altre, come il bisogno
impellente di prendere a pugni qualcuno o qualcosa, per esempio.
Qualsiasi
cosa.
Si
guardò intorno nervosa, le mani che prudevano terribilmente,
cercando di convincersi che no, distruggere il suo materasso o
l’intero baldacchino a colpi di reducto non era un grande
idea, anche se dannatamente invitante, come non lo era quella di
lanciare tutti i libri che popolavano quella camera, solo per sentirne
il tonfo secco e rassicurante una volta caduti sul pavimento: Eva e
Jade l’avrebbero uccisa.
Quelle due
avevano una passione morbosa per quegli inutili pacchi di carta.
Combattuta sul
da farsi, decise che intanto poteva cominciare a togliersi quella
maledetta divisa, a cominciare dal cravattino rosso e oro che
minacciava di strangolarla, lanciandola con un gesto stizzito verso la
porta del bagno. In pochi secondi la seguirono anche il maglioncino, la
camicia già stropicciata e i pantaloni, perché
sì, Roxanne Weasley era l’unica ragazza che osasse
indossare i pantaloni della divisa maschile: non che sua madre o la
McGranitt fossero d’accordo, ma visto che ogni volta che
avevano provato a farle indossare una gonna lei l’aveva
abilmente trasfigurata in un paio di jeans e alla fine le due donne
avevano rinunciato e avevano deciso che se proprio non poteva indossare
la divisa femminile almeno avrebbe indossato quella maschile.
Alla fine
Roxanne era rimasta in biancheria intima e calzini, al centro della
stanza, incurante della porta ancora aperta alle sue spalle, e proprio
in mutande le era venuto il colpo di genio che le avrebbe permesso di
salvare libri e mobilio.
Con un colpo di
bacchetta appellò il cuscino di Jade e lo
trasfigurò in un pungiball con un aspetto involontariamente
ed orrendamente simile a quello di Lorcan Scamander che, anche se
quella volta centrava poco con la sua voglia di polverizzare il mondo,
di sicuro costituiva un incentivo per convincerla a prendersela con
quel coso.
Il primo pugno
partì come un riflesso incondizionato.
Era una persona
molto fisica, Roxie, lo era sempre stata, fin da bambina, o almeno
così dicevano i suoi genitori, come se per lei le parole non
fossero mai sufficienti ad esprimere quello che provava, che si
trattasse di rabbia o gioia o frustrazione o qualsiasi altra cosa.
Per lei un
grazie diventava un abbraccio tritaossa, una dimostrazione di affetto
la sua tendenza morbosa ad attaccarsi a qualcuno come una sanguisuga,
letteralmente: le parole ti voglio bene non le aveva mai pronunciate
seriamente in vita sua, quasi non sapeva che suono avessero con la sua
voce.
La rabbia,
invece, o in generale tutte le emozioni negative, si manifestavano con
la necessità di distruggere qualcosa. Non era facile ad urla
isteriche e assassine, piuttosto provava estremamente rilassante
lanciare centinaia di piatti contro il pavimento: sua madre non ne era
mai stata entusiasta ma alla fine si era rassegnata a nascondere il
servizio buono e usare piatti rigorosamente di plastica.
Il secondo
colpo fu una ginocchiata piazzata strategicamente tra le gambe del
Lorcan-pupazzo, Roxanne ghignò appena ricordando quando
quella stessa mazzata se l’era beccata il Lorcan reale per
aver provato a baciarla, al loro quarto anno.
Merlino quanto
era.. liberatorio!
Sentiva i nervi
fremere e rilassarsi, sciogliersi ad ogni pugno, calcio, testata,
sberla o qualsiasi altra cosa le venisse in mente di lanciare contro
quel dannato pupazzo e più lo colpiva, più la sua
mente si svuotava, e più si svuotava più si
sentiva leggera.
Era stata una
settimana orrenda, peggiore delle precedenti, e se possibile la
più schifosa che avesse mai passato tra quelle quattro
vecchie mura, e prendere a punti il cuscino trasfigurato di Jade era
solo un modo come un altro per punire la sua vita, colpevole di essere
maledettamente incasinata.
Guardò
un istante, il fiato corto per lo sforzo, il viso gonfiato di Lorcan e
gli assestò un pugno, all’altezza della mascella,
tanto forte che il sacco slittò di una ventina di centimetri
sul pavimento: lui e la sua maledetta festa!
Inizio
Flashback
13 Ottobre XX
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, dormitorio femminile Grifondoro,
ore 01.56
Evangeline
entrò in camera scura in volto, con le scarpe in una mano e
la borsetta di strass nell’altra, i capelli leggermente
spettinati e il trucco appena sbavato, come se si fosse strofinata a
lungo gli occhi o avesse versato qualche lacrima. Roxanne
scattò in piedi, pronta ad interrogarla per capire cosa,
esattamente, fosse andato tragicamente storto quella sera, ma non fu
necessario quando sentì delle voci concitate fuori dalla
stanza, la porta era rimasta aperta.
«James!
Santo Godric! » sentì la voce di Jade, tesa e
agitata che veniva dalla Sala Comune. «Metti via quella
bacchetta o ti schianto » il tono tetro ed esasperato di
Elijah era inconfondibile e Roxie lanciò
un’occhiata stranita ad Eva prima di vederla scuotere la
tasta sconsolata e precipitarsi giù per le scale di pietre,
incurante di essere scalza e in pigiama.
E tutto si era
aspettata di vedere, meno che la scena che le si presentò
davanti.
Sotto le luci
tenui di una Sala Comune risvegliata bruscamente nel cuore della notte
stavano suo cugino James, rosso di rabbia, con i capelli del tutto
fuori controllo e gli occhi che se avessero potuto avrebbero colpito
per uccidere, che impugnava la bacchetta puntata dritta alla testa di
suo fratello Albus, che invece se ne stava con le spalle curve in
avanti e la testa bassa, come intento a studiare le venature delle assi
di legno, senza nemmeno inscenare un tentativo di difesa. Alle sue
spalle Scorpius Malfoy era teso come una corda di violino e teneva la
propria bacchetta, pronto ad intervenire, da bravo amico, anche se con
mano leggermente tremante.
Roxanne lo
capiva: mettersi contro un James Potter incavolato nero non era facile,
ci voleva del fegato.
Dall’altra
parte c’erano: Jade, intenta a tenere il braccio con cui
James reggeva la bacchetta, nel vano tentativo di farlo desistere,
Elijah e Ian, che si guardavano indecisi se intervenire o meno. Poco
distante dal buco del ritratto, invece, Lysander se ne stava in piedi
oscillando uno sguardo parecchio seccato, sì, proprio
seccato, per quanto incredibile fosse, tra i due fratelli, la camicia
azzurrina che indossava era appena schizzata di sangue.
Che Roxanne
sapesse, di quelli che erano andati alla festa d’Inizio,
mancavano Frank, probabilmente già in camera, Rose e
Vanille, e anche la piccola Lily..
Si riscosse un
attimo, concentrandosi meglio su Lys.
Sangue?
Sangue?! Cosa diavolo era successo quella sera?!
«Ti
rendi conto di quello che hai fatto?!» urlò James
impedendole categoricamente di chiedere informazione ai presenti e
ignorando le minacce degli amici. Albus non aveva risposto, in una muta
ammissione di colpa a cui Roxanne non poteva credere: da quando Albus
combinava qualcosa per cui James, lo stesso James che aveva scontato
tutte le punizioni conosciute per le sue malefatte, potesse prendersi
la briga di rimproverarlo?
O il mondo si
stava capovolgendo o Al ne aveva combinata una tremenda.
«Non
dargli tutta la colpa, Potter » si intromise Malfoy con un
coraggio invidiabile, «Sei stato tu a cominciare ».
Jade si
voltò di scatto per fulminarlo con lo sguardo, intimandogli
silenziosamente di starsene zitto o in alternativa di mangiarsi la
lingua, ma Malfoy la ignorò bellamente, senza staccaro lo
sguardo da un James che pareva sempre più una belva pronta
ad azzannargli il collo.
«Malfoy,
fatti i cazzi tuoi! Sono affari di famiglia! »
ruggì con un tono di voce talmente freddo che Roxanne fu
scossa da un brivido.
Già
James lo tollerava poco in condizioni normali, figurarsi dover
discutere con Malfoy quando era incavolata nero e probabilmente con un
tasso alcolico non indifferente nel sangue: quel biondino era un vero
incosciente.
«Dovresti
prenderti le tue responsabilità, Potter » rispose
Scorpius per le rime, andandogli in contro di un passo, come a volerlo
ulteriormente sfidare, «Perché lo sanno tutti qui
dentro che se Lily è in infermeria è solo colpa
tua! Solo che io non sono uno dei tuoi tirapiedi e ho il coraggio di
dirtelo in faccia! ».
Per una
frazione di secondo Roxanne lo vide morto, davvero, davvero, morto.
Jade era sempre
più sconvolta, non sapeva se prendersela con Malfoy o con
James ed Ian ed Elijah sembravano indecisi sul da farsi: schiantare di
persona il biondino oppure lasciar fare a Jam?
In tutto
quello, Albus non aveva ancora mosso un muscolo.
Le parole di
James schioccarono come una frusta nell’allibito silenzio
generale e Roxanne, in piedi sull’ultimo gradino della scala,
sentì i fili che li legavano, che legavano tutti loro,
tendersi in maniera impossibile: perché non era difficile
immaginare dove James sarebbe andato a colpire per finire la sua
vittima, e non c’era modo di impedirlo.
«Senti
tu » sibilò con un fremito, «Chi cazzo
ti credi di essere, schifoso
Mangiamorte.. »
Un pugno
avrebbe fatto meno male.
Una
cristalliera infranta sul pavimento avrebbe fatto meno rumore.
Un paio di
cesoie avrebbero solo tagliato quei fili invisibili che li legavano.
Non li
avrebbero bruciati.
Fine
Flashback
Roxanne
colpì di nuovo il sacco con un pugno secco
all’altezza dello stomaco.
Amava i suoi
amici: avrebbe dato la vita per ciascuno di loro.
Nessuno
escluso.
Ma in quel
preciso istante, mezza nuda, dentro alla stanza di un castello
secolare, intenta a sfogarsi contro il pupazzo di
quell’idiota che la tormentava da quattro anni, li avrebbe
volentieri presi tutti a mazzate sui denti.
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, corridoio del terzo piano, ore 16.30
Ian Clow non
ricordava quando, esattamente, qualcuno lo avesse preposto ad ufficiale
pacificatore di litigi catastrofici, e se anche era successo, lui
sicuramente non era stato presente per obiettare. Perché
vada l’essere disponibili e servizievoli fino al midollo,
vada l’avere tre amici con un orgoglio grande quanto la Gran
Bretagna, vada persino il cercare di mediare le tensioni tra i tre
sopracitati: ma girare per un castello di non si sa bene quante stanze
alla disperata ricerca di uno di loro che da una settimana si rifiutava
categoricamente di rimanere nello stesso posto per più di
dieci secondi e si volatilizzava meglio di un boccino in mezzo alla
tormenta, questo no, non era disposto a farlo.
Insomma! Lui
aveva una vita, una ragazza a cui andare dietro ed un programma di
Storia della Magia da studiare che prendeva polvere sul comodino: non
poteva certo perdere il tempo a perlustrare i corridoi come un idiota
qualsiasi!
Si
ritrovò a sbuffare contrariato quando si rese tristemente
conto che era esattamente quello che stava facendo.
Un altro
grugnito gli uscì dalle labbra quando realizzò
che anche potendo essere altrove, si sarebbe comunque ritrovato a fare
quello che stava facendo, perché, Merlino, quei tre erano i
suoi migliori amici, non si parlavano da una settimana ed erano troppo
testardi per poterci pensare da soli, a sistemare le cose, e lui
così non li poteva vedere: tre zombie in decomposizione
avrebbero avuto un aspetto migliore, ne era certo.
Tutta colpa di
James Potter e della sua incapacità di non farsi prendere
dall’impeto.
Era impulsivo,
Jamie, troppo.
E quella volta,
per dirlo alla babbana, l’aveva, decisamente, fatta fuori dal
vaso.
Certo era che
nemmeno gli altri due erano stati da meno, Jade ed Eli, quando si
mettevano, picchiavano duro quanto James, se non di più, e
quella volta non avevano fatto sconti.
Diciamo che, se
Ian avesse dovuto assegnare le colpe, avrebbe dato un buon quaranta a
James e un bel trenta agli altri due.
In sintesi,
erano stati tre idioti.
Un rumore
insolito lo strappò alle sue elucubrazioni su quale dei suoi
amici avrebbe dovuto decapitare per primo, una volta che tutto quel
casino fosse finito, e fu costretto a bloccarsi parecchio perplesso al
centro del corridoio quando si rese conto che il suono proveniva da una
delle secolari armature di Hogwarts, riportate ai propri posti dopo la
guerra, e che dietro a questa, appiattita contro il muro in un vano
tentativo di mimetizzazione stava, niente popò di meno che
Jade Virginia Fyfield.
Un’insegna
luminosa si accese tra i neuroni di Ian lampeggiando ad intermittenza
un bel: beccata!!
«E tu
cosa ci fai dietro ad un’armatura?» chiese
incrociando le braccia al petto in una chiara espressione di
curiosità e disappunto.
La ragazza lo
guardò un filino depressa prima di sgusciare via dal suo
nascondiglio, lanciare uno sguardo all’altro capo del
corridoio, dove qualcuno di non meglio identificato stava arrivando, e
spingerlo con poco delicatezza dentro la prima aula disponibile,
barricandoli dentro con un colpo di bacchetta.
«Fa che non mi abbia vista, fa
che non mi abbia vista, fa che non mi abbia..»
cominciò a ripetere Jade con le mani giunte davanti al viso
e gli occhi chiusi, quasi stesse cercando di ottenere il favore di
chissà quale divinità.
Ian continuava
placido a guardarla confuso.
«Da
chi stai scappando?» decise di informarsi allora il ragazzo.
«Perché
ti interessa?» fu la risposta attenta dell’altra
che aveva deciso di scrutarlo aprendo un solo occhio, quel giorno,
azzurro.
Assoldato che
tra loro due le cose non erano ancora rose e fiori, anche se la
politica del facciamo
finta di niente stava procedendo discretamente, che lui
era stato uno stronzo e che gli serviva averla tranquilla per poterci
fare un discorso serio, Ian decise di affrontare la cosa con grande
calma e diplomazia.
«Ehm..c’hai
appena barricati dentro alla vecchia aula di Trasfigurazione..o un
Troll ci voleva uccidere e non me ne sono accorto, oppure tu stai
scappando da qualcuno ».
Jade fu
costretta a capitolare con un sospiro esausto.
«Kyle
Sanders ».
Oh. Il Tassorosso,
pensò Ian con una vena di amarezza e nausea che non seppe
definire.
«E tu
scappi da Kyle Sanders, sul serio?» il tutto aveva un che di
tragicomico, se non ci fossero stati i suoi buoni propositi, sarebbe
scoppiato a ridere.
«Ian,
taci ».
«No,
seriamente » continuò senza riuscire a trattenere
un sorriso, «Digli che il Whiskey Incendiario gioca brutti
scherzi e falla finita! ».
«Ma
non posso! » protestò sconsolata,
«E’ un Tassorosso! Approfittarsi di loro
è come accoltellare un cucciolo di foca! Non si dovrebbe
fare! ».
«Jay..l’hai
già fatto..».
«No..»
provò a difendersi, «Finché non glielo
dico è come se non l’avessi fatto..».
«Lo
eviti come il vaiolo di drago da una settimana, se non è
tonto se n’è accorto » le fece notare
Ian ma in risposta gli arrivò un’occhiataccia che
era tutto un programma.
«Ian:
mi pedina dal giorno della festa. Ti rendi conto che ci sono tredici
strade alternative per arrivare al nostro dormitorio? Tredici. E io le
ho scoperte in sei giorni..e vengo in questa scuola da sette anni!
».
Ian fu
costretto a darle ragione.
«Va
bene..certo che anche tu, però..uno un po’
più sveglio la prossima volta..»
commentò senza pensarci e per un secondo gli parve di
tornare indietro nel tempo, a un anno prima, quando, tra loro due,
ancora non c’era niente, e parlare tranquillamente come
stavano facendo in quel momento era la routine.
Godric,
quanto gli mancava parlarle.
«Cosa
vuoi che ti dica? Evidentemente non ho buoni gusti in fatto di uomini
» e Ian si accorse con stupore che non era una frecciatina
lanciata con cattiveria, era semplice autoironia, ma per qualche oscura
ragione gli pizzicò lo stesso il petto.
«Comunque,
si può sapere perché è una settimana
che provi ad intercettarmi?» continuò con il mezzo
sorriso di chi la sa lunga ma non vuole scoprirsi subito.
«James
» ok, magari così era troppo diretto.
«Ian..»
infatti Jade sembrava disposta a tutto meno che a sentir parlare di
James Sirius Potter che, Ian ne era sicuro, in quel momento si stava
auto flagellando da qualche parte, come sempre quando faceva una
cazzata.
«Ascoltami,
cinque minuti del tuo tempo: finché Sanders non lascia il
corridoio » appena la vide annuire, anche se controvoglia,
ripartì, «So che Jam è stato un idiota
e si è comportato al pari dello sterco di ippogrifo, lo so
io, lo sai tu, lo sa Eli e credimi, Jamie lo sa più di tutti
noi messi assieme: è una settimana che si rifiuta persino di
mangiare, non dorme, continua a ripetersi come un mantra che
è un deficiente.. Detto questo, nemmeno voi due siete stati
due stinchi di santo. Sul serio, ragazzi, lui l’ha fatto
sull’onda del momento, e tutti sappiamo che non pensa quando
è su di giri, ma voi due..e no » si
affrettò ad aggiungere vedendola accigliarsi, «Non
lo sto giustificando ».
Inizio Flashback
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Grifondoro, ore 01.58
L’ultima
parola pronunciata dalle labbra screpolate di James rimbombò
nelle orecchie di Ian per una manciata di secondi, il tempo necessario
perché tutti si rendessero conto di cosa, davvero, avesse
detto.
Mangiamorte.
Jade
spostò lo sguardo da Malfoy al suo amico, allibita,
lasciando che la mano che teneva sul suo braccio per impedirgli di fare
idiozie, scivolasse priva di nerbo lungo il suo fianco, amareggiata.
«James..»
boccheggiò come se qualcuno le avesse appena tirato uno
schiaffo, uno di quelli che bruciano le guancie perché sanno
di delusione e forse un po’ di vergogna.
«Che
vuoi?!» ringhiò l’altro guardandola
appena.
Certo, tutti se
n’erano resi conto: tutti tranne James.
Mangiamorte.
La bacchetta di
Elijah si abbassò lentamente, come se il braccio fosse
oppresso da un peso troppo grande da sopportare e Ian non
faticò a capirlo e a rendersi conto che probabilmente
avrebbe fatto la stessa identica cosa: perché continuare a
coprire le spalle ad un amico che insultava la tua famiglia?
Jade, invece,
si riprese velocemente dallo shock, come era solita fare, riacquistando
quel sangue freddo che sapeva renderla spietata e fece un passo
indietro, puntando gli occhi verdi, tinti del più torbido
disgusto, in quelli di un James ancora furente.
«Cosa
voglio?!» la ragazza stava velocemente cedendo alla rabbia, e
Ian lo sapeva per esperienza personale che Jade Fyfield arrabbiata non
era una bella visione e che sempre, il destinatario della sua ira,
finiva devastato almeno moralmente: sempre.
«Ma
ti rendi conto di quello che hai detto?! Cos’è
James?! Devo dedurre che consideri anche me ed Elijah due schifosi Mangiamorte,
eh?» non era un urlo, Jay non urlava mai, piuttosto sibilava,
come un serpente, certo, ma con l’intensità si un
grifone, «E non ti azzardare mai più ad insultare
la mia famiglia, sono stata chiara? O almeno abbi la decenza di non
farlo davanti a me ».
James si
limitò a guardala, stringendo le labbra per impedirsi di
urlare, con gli occhi praticamente fuori dalle orbite per la rabbia e
Ian poteva vedere a lettere cubitali le parole ALTO TRADIMENTO formarsi
nella sua testolina, segno inconfondibile che, ancora una volta, James
non aveva capito di aver fatto una cazzata.
Perché
sì, nella mente bacata del figlio di Harry Potter, se uno
dei suoi amici osava schierarsi dalla parte di Scorpius Malfoy durante
un litigio Potter-Malfoy, doveva essere marchiato ad eternum come
traditore: indipendentemente dal fatto che fosse stato James stesso ad
esagerare.
Per fortuna gli
ad eternum
di Jamie non duravano oltre le dodici ore e per fortuna uno dei tre a
turno si prendeva la briga di spiegargli che forse una parte di colpa
era anche sua.
Sì,
James Sirius Potter aveva una definizione tutta propria di amicizia, e
di per sé non prevedeva una cosa chiamata correzione
fraterna.
Eppure, quella
volta, Ian ne era certo, non sarebbero bastati i silenzi accusatori di
Jamie o il fargli una comprensiva ramanzina, perché quella
veramente rossa di rabbia e indignazione, lì dentro, era
Jade.
E gli “ad eternum”
di Jade duravano davvero un lasso di tempo indeterminato.
Preso da queste
tristi considerazioni, Ian non si rese conto che la ragazza, la postura
rigida di chi vorrebbe spaccare la testa a qualcuno ma cerca di
convincersi che sarebbe sbagliato farlo, si era allontanata ed era
arrivata ai piedi delle scale per i dormitori dove stava una Roxanne
scalza e allibita che non sapeva chi guardare per capirci qualcosa.
Quando la vide
fermarsi e girarsi verso James con una punta di veleno negli occhi, Ian
si rese conto che quello sarebbe stato il colpo di grazia.
«E
comunque, James » cominciò annoiata, come se la
cosa non la riguardasse, «Hai diciassette anni, non ne hai
tre, deciditi a crescere:
prendere a pugni tuo fratello o mio cugino non accrescerà
mai la tua autostima ».
Poi
sparì salendo le scale, superando una Roxanne sconvolta e
lasciandosi alle spalle il corpo metaforicamente sanguinante di James
Potter.
Fine
Flashback
«Non
doveva farlo e basta » rispose lei incrociando le braccia al
petto, senza smettere di guardarlo in faccia e Ian lo sapeva che stava
cercando di convincersi che quel peso sullo stomaco non era senso di
colpa ma indigestione: li conosceva i suoi polli e Jade non era capace
di far male a qualcuno senza pentirsene due secondi dopo.
Ma era
orgogliosa e quella volta aveva pure un po’ di ragione: non
avrebbe ceduto con difficoltà.
«Credimi
Ian, voglio a James un bene dell’anima, è uno dei
miei migliori amici e so che non voleva dire quello che ha detto,
ma..» scosse i riccioli un paio di volte,
«Mangiamorte, Ian? Ti rendi conto? Non gli ha detto che
è un idiota o qualche altra scemenza: ha usato la parola
Mangiamorte.. e non posso fare a meno di pensare che possa dire la
stessa cosa a me un giorno. Che differenza c’è tra
me e Scorpius, eh? E’ mio cugino e suo padre è mio
zio.. e suo nonno è mio nonno ed è lo stesso che
ha un marchio sul braccio..».
«James
non ti direbbe mai una cosa del genere..» le fece notare il
ragazzo sedendosi al suo fianco e lei annuì rilassando le
spalle e appoggiando la testa contro la porta: odiava dover essere
arrabbiata con qualcuno.
«Non
ho comunque intenzione di perdonarlo prima di un foglio in cui
certifica che è un deficiente e un discorso di scuse sentito
e trappa lacrime » concluse con un sospiro ed Ian si disse
pienamente soddisfatto.
«Adesso
mi manca solo Elijah » ragionò il moro con una
punta di depressione e Jade scoppiò a ridere.
«Vogliamo
la stessa cosa, Ian: un’ammissione di colpa da parte di Jamie
».
«Non
so se l’orgoglio di James reggerà a due botte del
genere..potrebbe preferire il suicidio ad ammettere che ha sbagliato
» ironizzò e lei fece spallucce.
«E’
stato bello conoscerlo, allora ».
«Ti
prego no.. le ragazze di questa scuola potrebbero dichiarare lutto
nazionale per una prematura dipartita di James Potter: sarebbe un
disastro ».
«Resterebbero
sempre Eli, Mord, Lorcan..anche Lys non è malvagio..per non
parlare di Damian Zabini o Joshua Nott: tutto sommato James non sarebbe
una grande perdita » parve pensarci seriamente per un
po’ di secondi, «Anche Charlie Bones è
appetibile.. certo, è impegnato, e Periwinkle ucciderebbe
chiunque ci provasse con lui..».
«Periwinkle
Gray uccidere qualcuno? » Ian si figurò il
prefetto Tassorosso con il viso tondo e gentile e i capelli castani
lunghi fino alla vita con un coltello grondante sangue in mano e scosse
la testa: la Gray non avrebbe fatto male nemmeno ad un ragno gigante
pronto a mangiarla.
«Guarda
che per essere Tassorosso è parecchio combattiva!
» si difese Jade, «Dico, ma l’hai mai
vista quando batte un bolide? Se si impegna fa paura..».
Finirono a
parlare delle code più assurde, di Lorcan che continuava ad
assillare Roxanne, di Evangeline e del suo assurdo desiderio di avere
al proprio matrimonio un coro di rospi giganti che cantassero la marcia
nuziale e di quanto fosse bravo Frank a sopportarla quando se usciva
con trovate tanto assurde e pretendeva di trovare qualcuno che le
condividesse.
Parlando e
ridendo, così semplicemente da non rendersene conto, come
erano soliti fare quando erano solo amici e non c’erano
stupidi esperimenti sentimentali di mezzo, finirono troppo vicini:
tanto da toccarsi, tanto che una mano di Ian finì sulla
gamba della ragazza, con l’intento di darle un pizzicotto,
tanto che una mano di Jade finì tra i suoi capelli con
l’intento di tirarglieli.
Non fecero
nessuna delle due cose.
Si limitarono a
guardarsi negli occhi e solo in quel momento Ian si rese conto che no,
la politica del facciamo
finta di niente, non funzionava proprio ed era anche colpa
sua perché, volendolo ammettere, stava meglio lì,
a scherzare innocentemente con la sua migliore amica, che non con la
sua fidanzata.
«Non
dovresti essere qui, Ian » mormorò lei con una
strana luce negli occhi: forse nostalgia.
«Qualcuno
li deve sistemare i vostri casini, no?» rispose con un filo
di voce, senza riuscire a smettere di guardarla negli occhi,
pateticamente vicino a fare un’idiozia.
«Non
te ne sei ricordato..» sembrava sinceramente stupita e Ian
non riusciva a capire perché: cosa poteva aver dimenticato?
«Di
cosa?».
«Oggi
è il 18 Ottobre, Ian » ma vedendo che ancora nulla
si accendeva nel cervello dell’amico, Jay si impose di
continuare, «Tu e Gwen, oggi, state insieme da un anno:
è il vostro anniversario..».
Ian
spalancò gli occhi realizzando solo in quel momento cosa
avesse catastroficamente dimenticato: Gwen, la sua fidanzata, Gwen.
«..e
tu te ne sei completamente dimenticato ».
Jade fece
scivolare via la mano dai suoi capelli e si alzò in piedi,
spolverando con scatti secchi e nervosi la gonna della divisa.
«Quando
ti ho chiesto di scegliere tra me e lei mi hai risposto che non te la
sentivi di farle del male..» non aveva il coraggio di
guardarla negli occhi mentre gli si parava davanti come lo specchio che
aveva cercato per oltre un mese di ignorare, «Io invece ho
voluto credere che avessi scelto lei perché, in fondo,
sentivi di amarla più di quanto amassi me: mi sono rifiutata
di pensare che avessi scelto lei per un motivo tanto pietoso e
vigliacco.
«Ora
non ne sono più sicura » mise una mano sulla
maniglia della porta e la tirò verso il basso,
«Sbaglio o non volevi farle del male? Cosa credi di star
facendo in questo preciso istante? Ragiona su questo, Ian » e
uscì da quella vecchia aula impolverata lasciando Ian seduto
a terra con una nuova scritta a lampeggiare tra i suoi neuroni e no,
non era per niente gentile.
Ministero
della Magia, Ufficio Auror, ore 21.30
Harry si
stiracchiò sulla poltrona che ormai occupava da,
gettò uno sguardo all’orologio poggiato sopra la
scrivania e mezzo coperto dalle scartoffie, ben otto ore consecutive e
si lasciò andare ad un liberatorio sbadiglio, incurante del
fatto che la sua squadra era tutta ammassata davanti a lui e forse,
avrebbe potuto considerarlo un gesto poco rispettoso.
In sua difesa
c’era da dire che nemmeno Ron, seduto sul divanetto vicino
alla porta, con la testa china nell’ennesimo fascicolo sulle
autopsie fatte sui detenuti di Azkaban, aveva avuto qualche remora di
mostrare ai presenti il contenuto della sua bocca ogni cinque minuti, e
che anche Susan, la posata e senza-mai-un-capello-fuori-posto Susan
Bones, era ceduta ad una serie di smorfie assonnate degne del primato e
quindi lui, Harry, capo di cotanta eleganza, si sentiva in pieno
diritto di imitare i suoi sottoposti.
La squadra
Auror, diretta personalmente dal Capo dell’intero ufficio,
Harry James Potter, era composta, in tutto, da sei persone, lui
compreso, e non era la prima volta, in quel periodo che se le ritrovava
chiuse nel proprio ufficio a dormire le une sulle altre.
Infatti, oltre
a Ron, che come già detto si era impossessato del divanetto
e probabilmente stava leggendo la stessa riga per la sesta volta senza
rendersene conto da quanto era stanco, e Susan, seduta a gambe
incrociate su di una delle due poltroncine, con i capelli stranamente
spettinati e due occhiaie da far paura, le altre superfici disponibili
erano occupate da Theodore Nott, che nonostante tutto rimaneva il
più composto dei presenti, salvo per la cravatta, tolta
quattro ore prima e finita chissà dove, e che occupava la
poltroncina rimanente, ed Ernie Mcmillan e la moglie, Natalie McDonald,
il primo disteso sul pavimento, e la seconda che aveva preso sonno da
tre quarti d’ora abbondanti e che nessuno aveva avuto cuore
di svegliare, distesa al suo fianco.
Harry
realizzò con orrore che quello non sembrava un ufficio di
un’alta carica del Ministero quanto un campo di sfollati e
decise di rimediare con effetto immediato alla situazione.
«Ragazzi,
per stasera basta..» disse battendo le mani per attirare
l’attenzione di tutti, esclusa Natalie che continuava a
dormire, «E domani non vi voglio vedere in ufficio: sono sei
giorni che stiamo qua a roderci il cervello e non siamo venuti a capo
di niente.. Dubito che un giorno di pausa possa cambiare
molto..».
«Come
vuoi, Harry » rispose Susan alzandosi e prendendo a
massaggiarsi il collo dolorante.
«Se
cambi idea basta che chiami, capo!» sorrise Ernie intento a
portare fuori dalla porta la moglie che si muoveva come un automa e
mormorava frasi sconnesse riguardo un letto e un cuscino.
Theodore se ne
uscì facendogli un semplice cenno del capo mentre Ron lo
lasciò borbottando frasi del tipo: non fare tardi che
altrimenti mia sorella se ne trova un altro che le tenga compagnia.
Harry trattenne
un sorriso: sì, Ginny lo avrebbe preso a calci seriamente se
avesse continuata a fare quegli orari assurdi a lavoro e no, non lo
voleva proprio: sua moglie furente e isterica era l’ultimo
problema che voleva gestire in quel momento.
Rimasto solo
nell’Ufficio, sistemò con un colpo di bacchetta
tutte i fascicoli e i blocchi ricoperti di appunti dentro un enorme
armadio e lo sigillò per sicurezza: non lo faceva mai, si
fidava dei membri del suo staff, ma dopo le ultime cose che aveva
scoperto era meglio essere prudenti.
Ed era ormai
pronto ad andarsene quando qualcuno aprì la porta del suo
ufficio con un macabro cigolio e i suoi riflessi da Auror fecero il
resto: il suono di una bacchetta che volava per l’ufficio e
crepitava a terra gli disse che doveva ringraziarli ancora prima di
vedere la figura vestita di nero farsi strada dal buio del corridoio
alla luce soffusa del suo ufficio.
«Buongiorno
anche a te, Potter » sibilò una voce gelida e
molto irritata.
«Problemi
al piano degli Indicibili, Malfoy?» chiese Harry appellando
la bacchetta di Malfoy per porgergliela.
Draco Malfoy,
il profilo rigido e vagamente spettrale nella luce della candele si
fece strada nell’ufficio, altero e un poco arrogante come
sempre, afferrando con le dita lunghe e magre la bacchetta per riporla
nella tasca interna del mantello, con un gesto rapido ma elegante: come
diamine facesse ad essere così dannatamente aristocratico
anche nel maneggiare una semplice bacchetta, per Harry, sarebbe sempre
rimasto un mistero.
«No,
Potter » sibilò acido, «Io i miei casini
li so gestire. Sei tu, qui, quello che ha un problema con i propri
sottoposti: di sicurezza, per la precisione ».
E vedendo che
Harry non capiva, provando una vaga pena per il suo inetto sistema
nervoso, tirò fuori dalla tasca una busta rossa e prese a
sventolargliela davanti al naso come se davvero avesse avuta a che fare
con un minorato mentale.
Harry la
guardò ipnotizzato per un paio di secondi prima di rendersi
conto che quella era davvero una busta rossa.
Una busta rossa
simile a quella che era arrivata a casa di Theodore Nott quella mattina.
Una busta rossa
che non sarebbe mai potuta arrivare a casa Malfoy senza essere passata
per le mani dei suoi agenti, perché il Manor era uno dei
luoghi più controllati della Gran Bretagna in quel momento..
Una
busta rossa che non doveva stare tra le mani di Draco Molfoy.
«Merda..»
si lasciò sfuggire mordendosi una guancia e vide
l’altro annuire concorde.
«Ovviamente
la tua scelta di termini è rozza, volgare e perfettamente
discutibile, ma sì, Potter..merda ».
Note dell'autrice:
Tadaaaaaaaaaaaan! Eccomi di nuovo qui con un capitolo che non so
definire, ma se non altro, qui, comincia a succedere qualcosa di
costruttivo il che mi rende fiera di me :)
Allora:
Punto primo!
Ho deciso che continuerò questa storia, principalmente
perché sono testarda e un filino masochista e sono convinta
che prima o poi riuscirò a farvela piecere, e magari,
perché no, recensire :)
Punto secondo!
Ringrazi di tutto cuore quell'anima pia e buona e misericordiosa che ha
recensito lo scorso capitolo: per lei la lettura nella mente non
servirà..per gli altri mi attrezzerò ;)
Punto terzo!
Per quanto riguarda il capitolo, ci sono un po' di cose che sembrano
sputate lì ma in realtà hanno un loro preciso
perché che verrà spiegato più avanti,
tipo Jade e Scorpius cugini..potrebbe sembrare bizzarro, ma ho deciso
che Daphne e Asteria hanno dei fratelli (mi serviva ai fini della trama
a lungo lungo termine): le dinamiche familiari dei Greengrass verranno
fuori tra un po'..ma casomai ci fosse qualcuno a cui interessano, non
ti preoccupare, caro il mio qualcuno, verrà rivelato tutto a
suo tempo!
Per tutti quelli che parteggiano per il povero James che in questo
capitolo fa decisamente una pessima figura...tranquillizzo anche voi,
verrà riscattato a tempo debito..
E per chi si sia chiesto, come mai Lily è finita in
infermeria dopo la festa...beh, lo saprete tra una settimana :)
Punto quarto!!!
Ho deciso di provare a darmi una certa regolarità con la
pubblicazione, nella speranza di favorire eventuali persone che
vorrebbero seguirla ma pensano: tanto questa posta un capitolo ogni
morte del papa, lasciamo perdere!
Non so se sarò capace di promettere un capitolo ogni
settimana ma intendo provarci :) (vi prego di apprezzare il
gesto...u.u..)
Quindi, anche se oggi è sabato, ci risentiamo domenica
prossima con il capitolo numero 7 :)
Mi raccomando: RECENSITE ANCHE SE SI TRATTA DI CRITICHE, E' TUTTO BEN
ACCETTO, COMPRESI POMODORI E OGNI GENERE DI ORTAGGIO DA LANCIO :)
Finite queste note chilometriche,
Tanti bacini a tutti,
Najla
ps: vi prego lasciatemi almeno una recensione!
pss: se poi sono due va bene comunque :)
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Capitolo 9 *** Di Serpeverdi mancati e biblioteche affollate ***
Settimo Capitolo
Di Serpeverdi mancati e
biblioteche affollate
Camminando,
tra la folla, alle partite di calcio e in guerra, i profili si fanno
vaghi; le cose reali divengono irreali e una nebbia si distende sul
cervello. Tensione ed eccitamento, stanchezza, movimento, tutto si
perde in un gran sogno grigio, così che, quando è
finito, è difficile ricordare come fu quando si sono uccisi
degli uomini o si è dato l'ordine di ucciderli. Quindi gli
altri che non c'erano vi dicono com'è andata e voi
rispondete vagamente:
«Già,
dev'essere proprio stato così »
(John
Steinbeck )
18 Ottobre XX
Ministero della Maga, Ufficio Auror, ore 22.21
«Versamene
un altro po’..» mormorò Draco con aria
pensierosa, sfiorando con la punta delle dita il bordo del bicchiere
che aveva davanti e che era appena stato svuotato con una
rapidità impressionante, per altro.
Harry, seduto
al lato opposto della scrivania, lanciò uno sguardo a quel
benedetto orologio che si ostinava a tenere davanti agli occhi come un
masochistico avvertimento e con un sospiro riempì prima il
bicchiere dell’altro uomo e poi il suo: Ginny lo avrebbe
ucciso, tanto valeva chiudere la sua vita con un bicchiere di buon
whiskey.
Malfoy
afferrò con delicatezza il bicchiere e trangugiò
il liquido ambrato in un unico lungo sorso, lo poggiò con un
leggero tintinnio sul tavolo e poi si portò sue dita a
tamburellare ritmicamente sulle labbra tese in una linea sottile, come
gli occhi chiari, persi in chissà quali pensieri e
meditazioni.
Harry, invece,
preferì gustarsi l’alcool con un paio di sorsi in
più, lasciando che scivolasse sulla lingua lentamente, come
se la lentezza di un movimento tanto basilare come deglutire, potesse,
in qualche misterioso modo, calmare anche l’ansia che gli
attorcigliava lo stomaco ormai da una settimana.
Dalla mattina
in cui, per la precisione, era andato ad Hogwarts per tirare le
orecchie ai suoi due figli e parlare con la professoressa di Difesa
Contro le Arti Oscure.
Quella sera,
quando si era visto Malfoy con una busta rossa in mano, aveva sentito
qualcosa di davvero spiacevole, un misto di consapevolezza, delusione e
rabbia, scorrergli nelle vene insieme al sangue e non aveva trovato
soluzione migliore che invitare Draco Malfoy a sedersi con lui, alla
sua scrivania, e tirare fuori la bottiglia che teneva nascosta per i
momenti di disperazione.
Poteva
tamponarci anche qualcos’altro, oltre alla disperazione, con
quella bottiglia, no?
«Allora,
fammi capire bene, giusto perché non ci siano
fraintendimenti » cominciò il biondo guardando un
punto non meglio identificato alle sue spalle ed Harry
cominciò a prevedere che presto delle urla isteriche gli
avrebbero sfondato i timpani, «Tu mi stai dicendo che un
gruppo di fanatici non meglio identificati, e con il tuo stesso malato
e non richiesto senso di giustizia, che rispondono agli ordini di un
certo idiota, ancor meno identificato dei succitati invasati, e che si
fa chiamare Tyr, hanno deciso di punto in bianco di purificare il mondo
magico in maniera radicale sterminando, sostanzialmente, tutte le
famiglie, i maghi e le streghe che nella loro vita hanno appoggiato il
regime dell’Oscuro Signore o che hanno aiutato e difeso
qualcuno che l’ha fatto..» fece una pausa di un
paio di secondi, «Ho capito bene, giusto?».
Harry trasse un
profondo respiro e si impose di ricordarsi di non perdere la calma
quando Malfoy si fosse messo a sbraitare.
«Sì,
a grandi linee è così »
annuì l’auror, dimenticano volutamente di
ricordargli che era il suo senso di giustizia a fargli occupare
così bene la sedia su cui stava, «Solo che i
fanatici, almeno da quello che dice Cinnamon, si fanno chiamare
Illuminati..».
«Non
ha importanza come si fanno chiamare!» esclamò
sbattendo un pugno sul piano di legno che li separava spalancando
improvvisamente gli occhi, non era solo arrabbiato, constatò
Harry, era furioso e la cosa triste, era che non riusciva nemmeno a
dargli torto.
«Voglio,
anzi, esigo sapere
come cazzo ha fatto quella lettera a finire sul tavolo di casa mia
stamattina!» continuò praticamente ringhiando,
«E pretendo anche che tu scopra come, per Salazar! Come
questi idioti abbiano fatto ad entrare in possesso di una foto di mia
madre! Che nel caso non l’avessi notato, non mette il naso in
un luogo pubblico da quando mio padre è morto, due anni fa!
».
«Malfoy,
è quello che sto cercando di fare da una settimana
» rispose pacato Harry, per niente sconvolto da una scenata
del genere, «Io e la mia squadra abbiamo setacciato tutta
Londra alla ricerca di un appiglio che ci permettesse anche solo di
trovare uno di questi illuminati, ma è come se non
esistessero! Nessuno sembra saperne niente: Cinnamon ha saputo qualcosa
da un suo vecchio amico a Nocturne Alley e ha dovuto pagarlo fior di
galeoni per ottenere solo il nome
dell’organizzazione..» scosse la testa sconsolato,
«Di chiunque si tratti ha sicuramente il favore di molti
membri della comunità magica e abbastanza soldi da comprare
il silenzio di quelli che potrebbero avere dei rimorsi di coscienza
».
«Vuoi
dirmi che hai intenzione di aspettare che riescano davvero ad uccidere
qualcuno, prima di fare qualcosa?!» Harry lo vide trattenere
un’imprecazione tra i denti prima di continuare,
«Sono entrati ad Azkaban, Potter, il luogo magico
più sicuro almeno della Gran Bretagna: quanto credi ci
impiegheranno a venire al Manor, uccidere i tuoi auror e cruciare mia
madre?».
«Stiamo
facendo il possibile..» provò a dire il moro ma
l’altro non voleva sentir ragioni ed Harry riuscì
anche a capirlo: aveva già pagato per quello che era
successo durante la guerra, mesi di carcere, anni per riscattare in
parte il nome dei Malfoy a cui teneva più della vita, ed ora
qualcuno se ne usciva pronto a far fuori lui e la sua famiglia,
compreso il figlio che non centrava assolutamente nulla, solo per un
ideale malato. E dopo quello che era successo ad Azkaban, la minaccia
non poteva essere considerata con leggerezza: era reale.
«Il
possibile?!» Harry pensò che stesse per
schiantarlo da quanto era fuori di sé, «Non ne
sapevo niente fino a un’ora fa! Com’è
che non ho visto schiere di voi maledetti auror a cercare di capire
cosa diavolo sta succedendo?!».
«Maledizione,
Malfoy!» esclamò zittendolo, «Come credi
che abbiano fatto ad arrivare ad Azkaban, eh? Nessuno sa che
c’è un modo per entrarvi tranne gli auror che ci
lavorano o c’hanno lavorato! » vide gli occhi di
Draco assottigliarsi: finalmente cominciava a capire, «Le
lettere che arrivano a casa tua vengono esaminate e controllate una ad
una dal mio ufficio, ok? Una
ad una. Esattamente come succede per la posta dei
Greengrass, degli Zabini, dei Parkinson, dei Nott e di tutte le altre
famiglie purosangue che potrebbero essere colpite! Eppure, stamattina,
in ogni casa c’era quella maledetta busta rossa! Persino dai
Lodge.. I Lodge, Malfoy, ti rendi conto?!».
«Saranno
dieci, in tutto, le persone che sanno che la moglie di Ezra Lodge
è la figlia di Dolohov..» biascicò
Draco cominciando finalmente a capire la portata di quanto stava
succedendo, cosa che, disgraziatamente, ad Harry era stata chiara fin
da quella mattina e che, disgraziatamente, aveva capito già
da quel primo attacco ad Azkaban.
Questa
è la nostra vendetta: Purosangue.
L’aveva
capito già allora che non si sarebbero limitati ad uccidere
quei pochi prigionieri ormai vicini a morire.
«Ora
capisci perché non ci sono squadre di auror che se ne vanno
in giro a parlare di illuminati?» sospirò
massaggiandosi le tempie: maledetto Malfoy e le sue urla,
«Perché non so di chi mi posso fidare, Draco: non
so di chi posso fidarmi nel mio ufficio e in tutto il ministero. Ma
possa assicurarti che la mia squadra sta facendo
l’impossibile per risolvere il prima possibile questo
casino..».
L’altro
trasse un profondo respiro e si rilassò un attimo sulla
poltroncina scura prima di guardarlo negli occhi, in un misto di
stanchezza ed esasperazione che Harry poteva immaginare speculare nei
suoi occhi. Perché sapevano entrambi che se le cose si
fossero evolute ancora, lo scontro sarebbe stato inevitabile.
«Flegias
Greengrass mi ha contattato stamattina » mormorò
Draco, con il tono atono che usava di solito per parlare con lui in
maniera civile, «Mi ha detto che gli era arrivata la stessa
lettera.. Non se ne staranno buoni e silenziosi, Harry: si difenderanno
e scoppierà una guerra ».
«Farò
il possibile » ribadì Harry mentre
l’altro si alzava e si metteva i mantello scuro sulle spalle.
«Credo
di essere costretto a fidarmi di te » sospirò il
biondo andando verso la porta, «Arrivederci, Potter
».
«E tu
pensi che io ti lasci andare così? » Malfoy lo
guardò vagamente perplesso mentre il Salvatore del Mondo
Magico si alzava e andava verso l’appendiabiti per prenderne
il mantello d’ordinanza e il borsello dove teneva quello
invisibile di suo padre.
«Non
ho bisogno della scorta, Potter. Ricordo dove abito » rispose
gelido mentre l’altro apriva lanciava gli ultimi incantesimi
per sigillare tutti gli armadietti e gli schedari presenti nella stanza.
«Nel
caso non l’avessi notato » ribatté a
tono Harry, «In quella busta c’era una tua foto con
una bella X rossa sopra: non ti lascerò girare da solo di
notte con il rischio che ti attacchino solo per preservare il tuo
orgoglio ».
«Sei
ancora così.. Grifondoro, Potter »
commentò Draco con una punta di vivo e sentito disgusto che
Harry ignorò.
«Non
lo faccio per salvarti la vita, Molfoy. Ma se ti attaccano ho qualche
possibilità di prendere uno di quei bastardi e risolvere un
minimo questo casino » rispose aprendo la porta
dell’ufficio.
«Questo
è molto Serpeverde, invece..» notò
Draco con una punta di sorpresa mentre Harry spariva nel corridoio.
«Datti
una mossa, Malfoy! Non ho tutta la notte! ».
22 Ottobre XX
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Biblioteca, ore 16.53
«Ho
davvero un brutto presentimento » mormorò Lorcan
reggendosi il mento con la punta degli indici giunti, «Ho
davvero un brutto, brutto, brutto
presentimento ».
Rowena, seduta
di fronte a lui, si prese tutta la libertà di ignorarlo
continuando a sfogliare il tomo di Trasfigurazione alto cinque dita che
aveva davanti: lo conosceva abbastanza da sapere che continuava a
ripetere quella frase da dieci minuti solo per sentirsi chiedere che
cosa mai fosse successo da sconvolgerlo a tal punto, e lei non voleva
dargli quel genere di soddisfazione.
«Un
brutto presentimento » continuò imperterrito e
Mordecai, seduto alla sinistra di Rowena, stanco di quel monologo che
gli impediva di scrivere il tema per Dobrev a cui stava lavorando da
un’ora abbondante, meditò l’idea di
lanciargli un incantesimo silenziante.
In
realtà, a sapere che in biblioteca a studiare, con Rowena,
sarebbe arrivato anche Lorcan Scamander, se ne sarebbe andato in sala
comune. Non che il Corvonero gli stesse antipatico o che altro, ma
sembrava incapace di stare zitto un secondo e lui, in biblioteca,
c’andava per il silenzio.
Anche per la
compagnia di Rowena, ma soprattutto per il silenzio.
«Proprio
brutto » no, Mordecai non ce la fece.
«Hai
scoperto che tuo fratello ha una cotta per Lily Potter, bene
» commentò alzando lo sguardo dalla
pergamena per rendere più chiaro il fatto che se
l’altro non si fosse deciso a star zitto lo avrebbe
trasfigurato in un chicco di riso, «Ora puoi tacere dieci
minuti? Io starei anche studiando ».
Rowena
alzò lo sguardo dalle righe tanto fitte e tanto
incomprensibili, da sembrare aramico, del libro solo per non perdere la
faccia sbigottita di Lorcan che guardava Mordecai in un misto di
sorpresa e terrore, con la bocca spalancata e gli
occhi sbarrati di uno che si è ritrovato steso a
terra senza capire cosa l’abbia fatto cadere.
Ed era davvero
difficile vedere un’espressione del genere sul volto di
Lorcan.
«Tu
come..?» boccheggiò sconvolto prima che il suo
cervello ricominciasse a funzionare con abbastanza efficienza da
permettergli di articolare una frase di senso compiuto, «Era
così evidente?».
«Beh..sì »
rispose Rowena, come sempre senza sconti, «Non capisco
perché dovrebbe essere una brutta cosa, però:
infondo Lily è una brava ragazza ».
«No..
tu non capisci!» esclamò Lorcan, mentre Mordecai,
capita l’antifona, aveva deciso che, il suo tema, non
l’avrebbe finito in biblioteca, e aveva preso a sfogliare
pigramente uno dei libri aperti sul tavolo, giusto per fare qualcosa
che gli permettesse di far vedere quanto poco tenesse a quella
conversazione.
«E’
stato un colpo! Ho sempre pensato che Lys fosse innamorato degli
animali di Hagrid o in alternativa che fosse gay!» Rowena
diede una gomitata a Mord per impedirgli di scoppiare a ridere in
faccia al povero Scamander, che probabilmente non era mai stato tanto
shockato in vita sua, «Insomma, viviamo insieme, ok? E non
l‘ho mai sentito parlare di una ragazza! Mai! E io provavo
anche a dirgli di uscire, a chiedergli se aveva qualcuna di cui non
sapevo nulla..ma lui niente! Che cosa dovevo pensare?!».
Rowena
sospirò appoggiando la schiena contro lo schienale della
sedia in legno massiccio su cui stava da un’oretta buona e si
maledisse per aver permesso a Lorcan di seguirla in biblioteca: lei
doveva studiare, aveva poco tempo per le sue fisime.
«Dovresti
essere doppiamente felice: gli piace una ragazza ed è la
graziosa Lily Potter. Smettila di consumare i tuoi neuroni su questo
discorso e vai avanti » rispose Mordecai cercando di non
mostrare quanto fosse seccato o Rowena si sarebbe arrabbiata con lui
per essere stato scortese con i suoi amici.
«Voi
non potete capire » ribadì Lorcan imperterrito,
«Lils è la figlioccia di mia madre..è
sempre stata come una sorellina per noi! Non capisco proprio come Lys
possa vedere in lei qualcosa di..».
«Hai
ragione, Lo » si inserì Row guardandolo come se si
fosse lasciato sfuggire qualcosa di lampante, «Roxanne invece
non era la figlia degli amici dei tuoi genitori, quella con cui sei
cresciuto e che consideravi come una sorella, no, decisamente no..».
E stava anche
per ribattere Lorcan, colpito in effetti sul vivo, quando da uno
scaffale sbucò la figura affusolata e caotica di Oliver
Cromwell, con la cravatta blu avvolta intorno i capelli ricci come una
fascia, la camicia fuori dai pantaloni e un pacco di pergamene
sottobraccio.
«E la
signorina Wilson ti ha fatto entrare in biblioteca conciato
così?» venne spontaneo chiedere a Lorcan mostrando
un sorriso complice al suo migliore amico che rispose ridendo e
mostrando i pollici alti, evidentemente fiero di sé, prima
di sparire di nuovo dietro lo scaffale e urlare: «Ragazze!
Sono qui! Li ho trovati! », incurante del fatto che quella
restava pur sempre una biblioteca e il silenzio era d’obbligo.
Mordecai, nel
frattempo, aveva guardato Rowena senza nascondere un filo di
incredulità, «La prossima volta che qualcuno mi
dice che voi Corvonero siete delle persone con la testa sulle spalle,
ligie alle regole e al dovere, potrò correggerlo».
«Mi
dispiace..troverò un modo per farci scappare, te lo prometto
» rispose lei in un sussurro cospiratore a cui
l’altro sorrise prima che le figure di Emma Nieri e Molly
Weasley, le altre due Corvonero del settimo anno, sbucassero al seguito
di un Oliver che, senza troppe cerimonie prese posto vicino a Lorcan,
trascinando la sedia sui lastroni di pietra del pavimento con un rumore
decisamente molesto.
«Vi
abbiamo cercato in tutta la scuola, poi siamo andati in Sala Comune e
Alex c’ha detto che vi aveva visti entrare in biblioteca
» si affrettò a spiegare Oliver per giustificare
la loro presenza e Rowena di ritrovò a maledire mentalmente
il povero Alexander Ollivander per aver portato quei tre da loro,
affondando anche la loro ultima possibilità di studio.
«Io
ho detto loro che forse volevate studiare da soli..»
cercò di dire Emma prendendo posto vicino a Rowena, nella
vana speranza di mitigare lo sguardo seccato della compagna di casa,
che non le era passato inosservato: non era un mistero che Rowena
andasse bene a scuola e volesse farlo, imponendosi un certo numero di
ore di studio al giorno e tutti avevano capito, che con loro tre
lì, nessuno avrebbe combinato niente.
«Tranquilla,
Nieri » si affrettò a risponderle Mordecai con una
punta di sarcasmo, «Non stavamo poi facendo un
granché..vero Lorcan?».
Il ragazzo
preso in considerazione, non lo badò nemmeno, troppo intento
a spiegare ad Oliver come mai nemmeno quella domenica si sarebbero
giocate partite di Quidditch.
«Ho
detto a Vitious che non saremmo stati pronti per domenica
perché McGregor è ancora in infermeria con la
dissenteria e non avrebbe potuto giocare » stava spiegando
con un sorrisetto vittorioso sulle labbra, «Così
lui ha informato gli altri professori per vedere se qualche squadra
avrebbe potuto sostituire Corvonero per la partita, ma Eastwood ha
detto che i Serpeverde non poteva essere pronti in così poco
tempo e lo stesso ha risposto la Hopkins per quanto riguarda i
Tassorosso. Così giocheremo dopo Halloween: Grifondoro-
Corvonero aprirà la stagione e, quest’anno, gli
faremo rimpiangere di essere capaci di stare su delle scope ».
«Dubito
fortemente che riuscirete a segnare più di trenta punti
contro i Grifondoro di quest’anno »
obiettò Mordecai, improvvisamente interessato e Rowena
scosse la testa in un muto segno di resa: gli uomini diventavano tutti
uguali quando si parlava di una pluffa e sette scope, «La
squadra di Potter è la migliore dopo quella di Lupin di nove
anni fa: hanno tre cacciatori abituati a lavorare insieme e capaci di
adattarsi a qualsiasi tipo di gioco, un cercatore che è un
Potter e tanto basta, un portiere che è un armadio e occupa
da solo lo spazio di due anelli, e due battitori che, lo sappiamo
tutti, se non fossero bravi, non sarebbero in squadra ».
«Ma
da quel che so » sorrise malizioso Lorcan, «Il caro
capitano si è attirato le ire di metà squadra:
dubito che saranno così uniti in campo, e se sono divisi,
vincere sarà un gioco da ragazzi ».
Inizio
Flashback
12 Ottobre XX
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Corvonero, ore 23.46
James non si
rese nemmeno conto che il resto della scuola presente a quella stupida
festa lo stava guardando sconvolta e aveva stretto un piccolo cerchio
intorno a lui ed Albus che, sorpreso si massaggiava la guancia destra,
dove il fratello lo aveva colpito con una tale violenza da farlo finire
per terra.
«Ma
si può sapere che cazzo ti prende?!»
esclamò il mezzano dei Potter rialzandosi in piedi, pronto a
restituire quanto ricevuto con gli interessi.
«A me
cosa prende?» rispose l’altro prima di cedere ad
una macabra risata, «Chissà
com’è che i problemi sono sempre miei e tu non
centri mai un cazzo! Merlino, Albus, perché non ti hanno
ancora fatto santo?».
«Va a
quel paese, James. Se hai problemi impara anche a risolverteli
» e Albus fece per andarsene: non avrebbe ingaggiato una
rissa con suo fratello sbronzo, per quanto gli prudessero le mani e
avesse voglia di fargli un occhio nero.
Si
sentì afferrare per la camicia e fu costretto a voltarsi,
solo per vedere suo fratello caricare un altro gancio e piantarglielo
nello stomaco, «Cos’è? Non sai nemmeno
come si tira un pugno, fratellino? ».
E Albus, che
non era impulsivo come il fratello ma poco ci mancava, gli
colpì la faccia con l’intenzione di rompergli
qualcosa.
Dopo una
manciata di minuti di calci e pugni privi di senso, con la folla che li
incitava a continuare mentre Scorpius ed Elijah cercavano di fermarli
con scarsi risultati i due passarono alle bacchette.
«Non
lo farai, Albus » sibilò James, abbastanza lucido
da sapere che se avessero cominciato a duellare non sarebbe finita per
niente bene.
«Oh
sì, invece » un lampo rosso guizzò
verso James infrangendosi sullo scudo evocato da quest’ultimo
appena un secondo prima.
Il tempo di due
colpi, di scaldare le braccia e prepararsi a fare sul serio che la voce
cristallina e autoritaria della piccola Lily sovrastò il
marasma creato dagli studenti, mentre una figura magra e minuta,
vestita di rosso si faceva avanti a bacchetta sguainata verso i due
fratelli.
«Volete
darvi una calmata?!» esclamò con il viso dello
stesso colore dei capelli, «Quanti anni credete di
avere?!».
«Stanne
fuori, Lily » le rispose Albus senza degnarsi neppure di
guardarla, «E’ una questione tra me e James
».
«Esatto:
stanne fuori » ribadì l’altro parando
l’ennesimo colpo.
«Smettetela,
dannazione!» e semplicemente, Lily si buttò tra i
due contendenti.
Nessuno avrebbe
potuto prevedere che Albus avesse un incantesimo sulla punta della
lingua e che non sarebbe riuscito a fermarsi in tempo.
Nessuno avrebbe
potuto prevedere che l’incantesimo avrebbe colpito la piccola
di casa Potter che non aveva avuto nemmeno il tempo di evocare un
blando scudo.
Nessuno avrebbe
potuto prevedere che Lily sarebbe stata sbalzata di un paio di metri e
che sarebbe caduta di faccia, rompendosi il naso.
Nessuno avrebbe
potuto prevederlo, ma nell’esatto istante in cui la ragazza
cominciò a lamentarsi per il dolore, la piccola bolla di
sapone in cui Albus e James si erano trovati fino a quel momento
esplose.
James si rese
conto che Elijah lo stava scrollando con violenza e gli stava urlando
in faccia che era un deficiente e qualche altro numero indecente di
improperi, che Ian e Jade lo guardavano in un misto di amara
comprensione e che Lorcan era corso a vedere cosa fosse successo e
probabilmente voleva persino ucciderlo, perché, di quel
casino, sarebbe stato ritenuto responsabile anche lui.
Albus, si
accorse che l’incantesimo che aveva fatto del male a Lily era
partito dalla sua bacchetta e quasi gli venne da vomitare: le persone
attorno a lui non avevano ancora, ne faccia ne nome.
Intanto, nel
caos generale, Lysander era corso a vedere come stesse Lily, che con i
capelli tutti arruffati e le mani ricoperte di sangue premute sul viso,
dove due occhi castani piangevano traditi, sembrava un piccolo
batuffolo rosso.
«Ehi,
Lily? » la chiamò piano prendendogli i polsi tre
le mani, con quella innocente gentilezza che gli era propria,
«Fammi vedere..».
Fine
Flashback
Appurato che il
naso era rotto e che Lysander non si fidava di lasciarglielo sistemare
da qualcuno dei presenti, l’aveva presa in braccio e
l’aveva portata in infermeria.
Lì
Lorcan si era accorto che suo fratello non era ne gay ne asessuale.
Poi era
arrivato Vitious, aveva mandato i Potter dalla preside e aveva
assegnato al capitano dei Corvonero una punizione di due settimane.
Ecco
perché nella squadra di Potter non correva buon sangue, in
quel momento.
«Secondo
me, per il giorno della partita, saranno tornati i soliti Grifondoro
» sospirò Oliver e Mordecai annuì,
pienamente d’accordo.
«Ho
sentito la parola partita? » si intromise la voce gioviale di
Damian Zabini, spuntato da un posto non meglio definito, con appresso
le costanti Charity Lodge e il suo rossetto rosso sangue, e Katherine
Wetmore, che non tardò a lanciare un’occhiataccia
a Rowena che la ignorò con naturalezza: chiudevano lo stormo
Joshua Nott e Xavier Knight, un Serpeverde del settimo anno, silenzioso
e riservato che non parlava quasi con nessuno all’infuori dei
suoi compagni di Casa.
Mordecai
alzò gli occhi al cielo in una muta e disperata preghiera: perché a me, Merlino,
perché a me?
«Zabini
» salutò Lorcan con un mezzo sorriso,
«Stavamo parlando dello stato dei Grifoni in questo momento:
io scommetto sulla mia vittoria mentre il tuo cercatore non
è d’accordo» disse accennando con la
testa a Mordecai.
«Potter
ha la squadra migliore, quest’anno, ormai l’hanno
capito tutti » rispose Damian sedendosi vicino a Mordecai,
«Come puoi sperare di batterlo?».
«Vuoi
dire che nemmeno voi di Serpeverde credete di avere una
possibilità? Ha dell’incredibile » si
inserì Oliver mentre il resto delle serpi prendeva posto
intorno a quel tavolo che ormai, notò tristemente Rowena,
era diventato un circo.
«Siamo
realisti, Cromwell » rispose Nott dall’altro capo
del tavolo, ignorando gli sguardi assassini che gli lanciava Kath sotto
gli occhi esasperati della bionda Charity, «Se Potter rimette
insieme tutti i pezzi della sua squadra non c’è
storia: vinceranno la coppa nemmeno il tempo che gli serve per prendere
un boccino » poi, con estrema nonchalance si voltò
a guardare Katherine, un sorrisetto saputo a curvargli le
labbra:«Wetmore, se mi guardi ancora un po’ rischi
di sciuparmi ».
«Fottiti Nott»
ringhiò la ragazza e Oliver, seduto di fronte a lei, avrebbe
giurato di aver visto un paio di zanne decorarle la cavità
orale, «Io e te avevamo un patto e tu non l’hai
rispettato ».
Damian
lanciò uno sguardo al suo migliore amico, non faticando ad
indovinare quanto si stesse divertendo in quel momento e trattenne una
risata solo perché Charity, seduta vicino a lui, gli pianto
un tallone sul piede con una violenza che nessuno si sarebbe aspettato
da una come lei.
«Wetmore,
sono a Serpeverde per un motivo » le fece notare Joshua,
«Se avessi voluto onorare ogni parola che mi fosse uscita
dalla bocca avrei chiesto il trasferimento a Tassorosso, non
credi?».
«Dimmi
cosa cazzo è successo a quella festa!»
sbraitò Katherine a tanto così
dall’azzannargli il collo, tanto che Oliver spostò
la sedia di un paio di centimetri indietro, per precauzione.
«Non
è successo niente, Kath, stai tranquilla »
cercò di rassicurarla Charity passandole una mano sul
braccio per calmarla ma l’altra la guardò ancora
fumante di rabbia.
«Cosa
vuoi saperne tu che stavi scopando chissà dove con quello
lì!» borbottò accennando a Damian che,
in maniera molto matura, le fece una linguaccia.
«Primo:
mi chiamo Damian e non quello lì. Secondo: con Charity ci
faccio quello che voglio, quando voglio » rispose il ragazzo
per nulla turbato suscitando le risate soffocate di tutta la tavola
meno che quelle di Molly Weasley, talmente schifata di essere
così vicina a dei Serpeverde che non aveva nemmeno la forza
di dimostrare il suo eterno e costante disappunto.
«Ha
ragione Charity, Wetmore..non è successo niente..»
buttò lì Nott con indifferenza e non appena la
vide trarre un sospiro di sollievo si affrettò ad
aggiungere, «..forse
».
«JOSHUA
NOTT! IO GIURO CHE TI AMMAZZO!» sbraitò peggio di
una iena e finalmente, dopo le molte preghiere di un Mordecai e di una
Rowena che erano gli unici lì dentro ad essere andati in
biblioteca per studiare e non per fare salotto, la nerboruta signorina
Wilson apparve in tutta la sua massa e barba di fronte al tavolo,
zittendo anche il minimo cigolio.
«FUORI
IMMEDIATAMENTE DA QUESTA BIBLIOTECA!».
E Lorcan ebbe
appena i tempo di notare quanto, effettivamente, la voce della
signorina Wilson assomigliasse a quella orrifica di una banshee, prima
di essere costretto, dallo spirito di sopravvivenza, a scappare lontano
da lì.
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, appena fuori dall’ufficio
della professoressa C. Hastings, ore 17.29
James, uscendo
a capo chino dall’ufficio dalla sua Capocasa, tutto si
sarebbe aspettato, meno che di trovarsi davanti la cugina Lucy.
Un
po’ perché spesso si dimenticava persino della sua
esistenza.
Un
po’ perché, alla fine, sua cugina, in giro, non si
vedeva mai.
«Lucy?
Cosa ci fai qui?» chiese senza provare a nascondere lo
stupore e la ragazza si prese il tempo di squadrarlo dalla testa ai
piedi prima di rispondere.
«Devo
parlare con la professoressa riguardo un approfondimento che volevo
fare..tu? Come mai sei qui?» e a James parve persino strano
sentir uscire dalla bocca della parente una frase così lunga
e priva di sarcasmo.
«Scusa
ma non mi va di parlarne..» mormorò sorpassandola
prima di girarsi e sorriderle, come per ringraziarla di quella
gentilezza che aveva avuto, per la prima volta in più di un
decennio, nei suoi confronti, «Ci si vede in giro,
Lucy!».
Non fece
nemmeno in tempo a fare cinque passi che si sentì di nuovo
chiamare.
«James
» e sì, quando vide che sua cugina, quella Lucy
cinica e gelida, sorridergli con un angolo delle labbra,
controllò che la terra sotto i suoi piedi fosse ancora dove
stava due secondi prima: magari il mondo aveva deciso di finire senza
avvisarlo, «Alla fine si risolve sempre tutto. Non dovresti
fare qualcosa di drastico solo perché il tuo orgoglio ti
impedisce di chiedere scusa: potresti pentirtene ».
E con questa
perla di saggezza, Lucy Weasley, sparì
nell’ufficio della professoressa di Difesa Contro le Arti
Oscure lasciandosi alle spalle un James Potter basito e intento ad
interrogarsi su quanto, effettivamente, al quinto anno si potesse
sapere di lettura del pensiero.
Note delll'Autrice:
Allora, per prima cosa, mi concedo un applauso per essere riuscita a
pubblicare entro la data che mi ero prestabilità
perchè sì, nonostante l'ra è ancora
domenica!!!! Viva meeee :)
Poi, che dire, è un capitolo semplice che non dovrebbe
richiedere troppe spiegazioni ma se non capite chiedete, mi fa sempre
tanto piacere rispondere ai miei lettori :) Per rispondere
però mi servono recensioni quindi....RECENSITE!!
Note molto importanti
delle note!
Per quanto riguarda un minimo di chiarezza sui nomi che appaiono nei
vari capitoli e che magari non sono così immediati, giusto
perché qualcuno mi ha fatto notare che chi legge non conosce
la storia come me, sostanzialmente ho eliminato tutti i vecchi
professori di Hogwarts meno la McGranitt, diventata preside, Vitious,
che però è prossimo alla pensione ma resta il
Capocasa di Corvonero, e Ruf che beh..è un fantasma quindi
sta bene dove sta.
Allora abbiamo, per ora: Hope
Harris, assistente di Vitious, prenderà il suo
posto se mai quest'ultimo andrà in pensione, William Dobrev,
Trasfigurazione, Josephine
Hopkins, Astronomia, Capocasa di Tassorosso, Cinnamon Hastings,
Difesa Contro le Arti Oscure, Capocasa di Grifondoro, Febos Eastwood,
Pozioni, Capocasa di Serpeverde, e Neville
Paciock che come sappiamo ha la cattedra di Erbologia, non
l'ho voluto mettere Capocasa perché presumo faccia la spola
casa-scuola visto che ha una moglie e quindi non poteva essere
onnipresente come, secondo me, un serio caposcuola dovrebbe essere.
Ah sì, in questo capitolo c'era anche la signorina Georgina Wilson,
mastodontica bibliotecaria che ringrazio per l'apparizzione :)
Credo
di aver finito :)
Baci a tutti e Buonanotte
Najla
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Capitolo 10 *** Challenge: uccidere è un reato Parte 1 ***
Ottavo Capitolo
Challenge: uccidere
è un reato
Parte 1
9
8
7
6
5
4
3
2
1
..
FUN
(Funhouse-
P!nk )
31 Ottobre XX
Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts, Sala Grande, ore 20.21
Evangeline lanciò uno sguardo di muto rimprovero a Roxanne
che, seduta alla sua sinistra, stentava a stare seduta sulla panca e
lanciava occhiate impazienti al tavolo degli insegnanti, in particolare
alla Preside che se ne stava tranquilla al centro della tavolata,
parlando animatamente con la professoressa Hastings e il professor
Vitious.
La mora la ignorò bellamente, prima di bere
l’ennesimo piccolo sorso di succo di zucca e sistemarsi i
capelli in un’alta coda di cavallo, in un gesto
così lento e preciso che aveva il sapore della calma statica
prima di una battaglia.
Eva sospirò alzando lo sguardo azzurro sui suoi amici,
trattenendo appena una smorfia rassegnata.
Non capiva come diavolo facessero ad essere così agitati e
frementi per quello stupido gioco quando le cose tra di loro non si
erano ancora risolte, quando Ian e James sedevano ad un capo della
tavolata ed Elijah e Jade dalla parte opposta.
Erano passate più di due settimane e ancora non si
parlavano, nonostante l’intercessione di tutti loro per
sistemare la faccenda: c’aveva provato persino Lysander a
farli ragionare, e lui non si intrometteva mai nei casini altrui per
principio.
La ragazza si passò una mano tra i capelli lunghi e chiuse
gli occhi per una manciata di secondi: possibile che dovessero essere
tutti così dannatamente testardi a quella tavola? Va bene
essere Grifondoro. Va bene essere orgogliosi. Ma lì stavano
tutti e quattro sfiorando il ridicolo!
Era arrivata a dubitare che persino i bambini sarebbero stati tanto
infantili.
«Se la risolveranno da soli, Eva: smettila di preoccuparti
» la voce pacata di Frank la riscosse dai suoi pensieri e la
costrinse a tornare alla realtà: la realtà
caotica e concitata della cena di Halloween, dove si faticava a sentire
le parole del proprio vicino.
«Non mi piace tutta questa tensione, Frank »
sospirò con un’aria stanca e sfibrata che usava di
rado, «Lo sai come sono fatta ».
Il ragazzo si lasciò sfuggire una mezza risata prima di
addentare l’ennesimo pezzo di sacher, gustandosela neanche si
trattasse di ambrosia, ed Eva si ritrovò ad alzare gli occhi
al cielo realizzando che, conoscendo la passione sconsiderata che Frank
nutriva nei confronti del cioccolato, quel pezzo di dolce non doveva
poi sembrargli troppo diverso dal vero nettare degli dei.
«Non voglio che ti rovinino la serata, tutto qui »
ribatté dopo un po’ lui, pulendosi la bocca
imbrattata di glassa al cioccolato, «E poi dovrebbero
arrivarci da soli, a chiarirsi ».
«Ammetti, piuttosto, che vuoi che quei quattro facciano pace
per vincere la gara » insinuò Eva guardandolo
saputa e Frank prese in seria considerazione l’idea di negare
tutto e preservare la sua facciata di bravo ragazzo che in
realtà cerca solo il bene dei suoi compagni di Casa, ma in
un nanosecondo realizzò che provare ad intortare la sua
fidanzata sarebbe stato uno spreco di tempo e di voce.
«E’ da sette anni che aspetto questa serata, va
bene? Non mi va di perdere contro le altre Case solo perché
James Potter è troppo orgoglioso per chiedere scusa ai
propri amici!» esclamò seccato e Roxanne
arrivò a dargli man forte.
«Io voglio Corvonero » dichiarò quasi
ringhiando, «Così posso fare il culo a strisce a
Lorcan».
«Ci stai mettendo un po’ troppa enfasi, Roxie
» le fece notare Evangeline, per nulla contagiata dallo
spirito competitivo che animava i suoi amici da che li conosceva: senza
bisogno di conferme, era abbastanza sicura che Roxanne, Elijah, James e
anche Frank, avrebbero volentieri staccato a morsi la testa di qualcuno
pur di vincere, «Alla fine è solo una
gara..» si morse la lingua rendendosi conto
dell’errore madornale che aveva appena fatto, cercando di non
essere uccisa dalle occhiatacce che le stavano lanciando allibiti i
suoi vicini e Lysander, seduto di fronte a lei.
«Una gara? Solo una gara?!» sbraitò
incredula la mora, «E’ il Challenge, Eva. Non una
gara qualsiasi: il Challenge. Per le mutande di Merlino! E’
l’unico motivo per arrivare fino al settimo anno in questa
scuola! ».
Eva sospirò, mordendosi di nuovo la lingua per evitare di
correggerla e farle notare che arrivare al settimo anno ad Hogwarts
aveva ben poco a che fare con una gara tra Case, e molto, invece, con
la sua istruzione e le sue prospettive lavorative.
Restò in silenzio solo perché la compagna aveva
troppi oggetti potenzialmente omicidi da lanciarle e lei voleva
arrivare incolume alla mattina successiva.
Tocca tutto ad uno
studente del settimo anno, ma lasciagli il Challenge, per la lode di
Merlino!
Il Challenge era una gara che si teneva la notte di Halloween e si
concludeva con il pranzo del giorno di Ognissanti ed era una
competizione a cui potevano partecipare solo ed esclusivamente gli
studenti dell’ultimo anno. Era stato proposto una ventina di
anni prima, come palliativo agli scontri tra gli studenti di Case
rivali, della serie:
picchiatevi e lanciatevi fatture finché vi pare per una
notte ma durante il resto dell’anno statevene tranquilli;
e aveva riscosso un tale successo da entrare a far parte delle
tradizioni della scuola stessa, come lo Smistamento, il Campionato
scolastico di Quidditch e il coro diretto dal professor Vitious, che
non ne voleva proprio sapere di andarsene in pensione.
La Sfida si teneva su un terreno di gioco immenso che comprendeva tutto
il castello, dai sotterranei alla torre di astronomia ed ogni angolo di
Hogwarts veniva stregato o popolato di assurde creature con
l’unico scopo di costringere gli studenti ad una sorta di
lotta per la sopravvivenza con in palio, oltre al gusto di aver
sconfitto e umiliato le altre Case, l’ammontare di ben
sessanta punti a riempire la propria clessidra.
Il tutto si sarebbe svolto, anche per quell’anno,
all’incirca così: finito il cenone di Halloween i
prefetti avrebbero accompagnato tutti gli studenti nei propri dormitori
che sarebbero stati sigillati fino al mezzogiorno successivo per
evitare spiacevoli incidenti come bambini del primo anno assaliti da
mollicci nascosti nelle armature o cose del genere, poi i ragazzi del
settimo anno sarebbero stati chiamati ad avvicinarsi al tavolo dei
professori, la McGranitt avrebbe chiamato da parte un componente di
ogni Casa, in genere si trattava dei capitani delle squadre di
Quidditch, perché, in linea di massima venivano
già ritenuti capaci di dirigere un gruppo di persone, e,
senza che gli altri tre sapessero nulla, avrebbe assegnato a ciascuno
una Casa rivale e una base che avrebbe fatto da punto di riferimento
per la propria squadra. Quando le squadre si dividevano aveva inizio la
prima parte della sfida: rapire un membro della squadra avversaria
assegnata e portarlo alla propria base. A questo punto, sembrava
piuttosto chiaro quale fosse l’obbiettivo della seconda parte
di una competizione del genere: la prima Casa che avrebbe salvato il
proprio compagno riportandolo alla propria base avrebbe vinto e.. onore e gloria a
volontà!
Evangeline proprio non capiva l’attrattiva di una
competizione del genere.
Viceversa, Roxanne, non riusciva a concepire il non eccitarsi per
un fenomeno di tale portata: si trattava di guerra, di battaglia, di
competizione, dell’adrenalina che ti scorre nelle vene ad
ogni angolo perché puoi trovare chiunque e nessuno pronto ad
attaccarti, si trattava di dimostrare di essere capaci di
cavarsela: di essere pronti ad affrontare qualsiasi cosa.
Ed era proprio questo il bello del Challenge:
l’imprevedibilità di ogni secondo.
«Si comincia » annunciò Lysander con gli
occhi puntati verso la McGranitt ed Evangeline ebbe appena il tempo di
vedere un sorriso diabolico sfiorare le labbra di Roxanne prima che la
voce forte e autoritaria della Preside sovrastasse il concitato
cicaleccio della Sala Grande.
«Sono costernata nel dover annunciare che i festeggiamenti si
fermeranno qui, per questa sera » cominciò
suscitando le proteste dei più piccoli, «Tra poco
si darà inizio alla ventunesima Sfida tra Case che
vedrà, come ogni anno, protagonisti gli studenti
dell’ultimo anno; invito quindi i Prefetti rimasti esclusi
dalla competizione a scortare gli altri studenti presso i dormitori:
tra mezz’ora passeranno gli insegnanti a chiudere gli accessi
ai dormitori e chiunque verrà trovato a gironzolare nei
corridoi sarà immediatamente espulso, e spero di essere
stata abbastanza chiara su questo punto » lanciò
uno sguardo di fuoco a tutta la Sala, giusto per sottolineare il
concetto prima di continuare, «Gli studenti del settimo anno
sono pregati, invece, di avvicinarsi al tavolo degli insegnanti per le
direttive che riguardano lo svolgimento di questa speciale notte
».
In una decina di minuti la Sala Grande si svuotò, in una
fiumana di studenti ancora festanti e con dolciumi nascosti in ogni
tasca: certi auguravano buona fortuna ai compagni, altri mugugnavano
indispettiti, rimpiangendo di non poter partecipare
all’evento, come tutti gli anni.
Roxanne si alzò dalla panca, lanciando occhiate
incandescenti a tutti i ragazzi che non fossero seduti al suo stesso
tavolo e in particolare alla testa di un Lorcan Scamander che le dava
le spalle e non poteva vedere quanto impegno ci stesse mettendo la
ragazza per fargliela saltare.
Evangeline sospirò sconsolata seguendola nella sua marcia
verso il tavolo degli insegnanti, neanche stesse davvero andando a
combattere al fronte.
Frank seguì la fidanzata con l’ennesimo dolce al
cioccolato tra i denti e Lysander finì di bere il suo succo
di zucca prima di accodarsi, senza troppa fretta.
Jade, Elijah ed Ian avevano un che di lugubre, mentre si muovevano
privi di quella frenesia che li avrebbe colti se solo non fossero stati
ancora in piena fase: se tu non parli a me io non parlo a te, tra di
loro.
James, invece, non sembrava lugubre, proprio per niente,
constatò con una punta di sarcasmo Eva, sembrava piuttosto
un povero ragazzo malconcio e malaticcio che sta per essere decapitato
o lapidato di fronte a un centinaio di persone e si trascina verso il
luogo dell’esecuzione per inerzia.
Per la prima volta da che lo conosceva, James Potter le face pena.
«Bene ragazzi » intonò la McGranitt con
aria solenne mentre i Direttori della quattro Case si disponevano ai
suoi lati, dritti e impettiti, e gli studenti le si paravano davanti in
una sorta di scomposto semicerchio, «Sono sicura che non sia
necessario, da parte mia, fare raccomandazioni sul come si deve tenere
lo svolgimento del Challenge: siete studenti dell’ultimo anno
e faccio affidamento sulla vostra ottemperanza alle regole e sulla
vostra capacità di giudizio, consci del fatto che, se mai
uno di voi dovesse trasgredire anche ad una sola delle regole imposte,
questo signore, o questa signorina, verrà immediatamente
rispedito a casa senza alcuna remora » e Frank
deglutì rumorosamente: come diavolo facesse quella donna a
incutere una tale stizza semplicemente con un’occhiata era
uno dei grandi misteri del mondo magico e dubitava che qualcuno sarebbe
mai riuscito a venirne a capo.
«Ora, giusto per essere certi che vi scolpiate in testa
ciò che non
potete assolutamente fare » continuò per lei la
Hastings e Frank convenne che, anche se in maniera meno..
destabilizzante, anche la professoressa di Difesa Contro le Arti Oscure
incuteva un certo terrore, «Durante lo svolgimento della
Sfida è severamente proibito: usare maledizioni senza
perdono, incantesimi oscuri di ogni sorta, l’uso di armi di
ogni genere, schiantesimi o incantesimi di memoria atti a cancellare o
modificare i ricordi dei vostri avversari: è inutile che vi
dica quali rischi comportino gli incantesimi appena citati e quali
siano le irreparabili conseguenze. A questo, ovviamente, si aggiunge
ogni forma di combattimento babbano che preveda il colpire, il lanciare
o il tramortire qualcuno ».
«Come sempre il terreno di gioco è
l’intero perimetro del castello, esclusa la biblioteca
» si aggiunse la voce sottile della Hopkins, una donna bassa
e con un paio di occhiali spessi quanto due fondi di bottiglia in
equilibrio sulla punta del naso, i capelli rossicci lunghi fino alle
spalle e l’aspetto di una cinquantenne nonostante, Roxanne e
gli altri ne erano rimasti sconvolti, avesse solo trentadue anni:
«Se mai doveste provare ad avvicinarvi, la signorina Wilson
è stata autorizzata a pietrificarvi. Lo stesso vale per le
zone dell’infermeria dove la signorina Talleyrand
è pronta ad accogliere solo ed esclusivamente gli studenti
che dovessero infortunarsi durante lo svolgimento della prova
».
«Detto questo » concluse Vitious scambiando un
cenno d’intesa con la McGranitt, «Invito i ragazzi
che si prenderanno l’onere e l’onore di guidare le
proprie Case in questa Sfida a seguire la Preside nella stanza qui a
sinistra per l’assegnazione delle Case rivali. Prego quindi i
signori: Zabini Damian, Scamander Lorcan, Bones Charles e Faraday
Elijah di avvicinarsi ».
Roxanne, finita per caso vicina a Jade, alzò lo sguardo dal
pavimento parecchio stupita e perplessa e guardò con tanto
d’occhi l’amica alla ricerca di una spiegazione:
checché ne sapesse lei il loro capitano era ancora James,
nonostante tutto.
«Forse per quello che è successo alla Festa
d’Inizio » ipotizzò Jade in un sussurro,
altrettanto stupita mentre Elijah seguiva la McGranitt con passo
incerto, spiazzato più di tutti loro dalla situazione.
Ian, intanto, si permise di lanciare un’occhiata a James,
appoggiato con le mani alla tavolata di Grifondoro, con le spalle
incassate e gli occhi intenti ad esaminare le crepe del pavimento, e
non poté trattenersi dal pensare che quello che aveva
davanti era proprio un idiota.
Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts, Aula di Incantesimi, ore 21.13
«Ma si può sapere cosa diavolo ti passa per quella
testa di cazzo che ti ritrovi?!» Elijah aveva afferrato James
per il colletto della camicia appena erano entrati nella loro base e
l’aveva spinto con poca delicatezza contro il muro suscitando
lo stupore generale.
Jade si avvicinò e strinse una mano introno ai polsi di Eli
per convincerlo a mollare la presa, «Mi vuoi spiegare che ti
prende?».
«Chiedilo a questo deficiente cosa mi prende!»
sbraitò l’altro mollando James per allontanarsi di
un metro, onde evitare di prenderlo a pugni.
Frank ed Eva si scambiarono un’occhiata saputa prima di
tornare a guardare gli altri: finalmente le cose si sarebbero risolte,
forse a suon di cazzotti e sangue, ma si sarebbero risolte.
«Di cosa sta parlando, James?» chiese Jade
guardandolo appena: già le sembrava strano avere di nuovo
quel nome sulla lingua dopo due settimane di silenzio, figurarsi
mantenere un minimo di arrabbiatura di fronte alla sua faccia da
cucciolo bistrattato e sanguinante. Ormai non era più
infuriata o che altro, le arrabbiature le costavano un eccessivo
dispendio di energia, il tutto si era trasformato in una logorante
questione di principio: finché Jamie non avesse chiesto
scusa, lei non avrebbe ceduto.
Il ragazzo si prese il privilegio di non rispondere e Jade non ebbe
altra scelta che chiedere informazioni ad un Elijah letteralmente
fumante.
«Sai perché Vitious ha chiamato me e non lui,
stasera?» esclamò tornando pericolosamente vicino
a James, «Perché il signorino qui presente ha
rinunciato al ruolo di capitano dei Grifondoro sul campo da Quidditch,
giusto James?!».
«Brutta testa
di Troll con le piattole e il cervello di uno schioppodo!
» Roxanne spinse di lato Elijah per guardare negli occhi
quell’idiota che si trovava come parente, «Che
cosa hai fatto tu?!».
«Non avevo alternative, Roxanne!» si difese James e
Ian fu lieto che finalmente si fosse deciso a reagire, «Non
so se te ne sei resa conto, ma una squadra che non ha fiducia nel
proprio capitano, non può vincere! Sarò anche un
egocentrico infantile egoista ma voglio quanto te che Grifondoro tenga
la coppa anche quest’anno! E’ la squadra per cui ho
lavorato anni e se darle una chance di dimostrare quanto vale vuol dire
rinunciare alla sua guida, ben venga!».
Roxanne si morse un labbro indecisa sul da farsi: se stenderlo con un
pugno per quanto fosse stato stupido, oppure accettare quella
confessione a cuore aperto e picchiarlo ugualmente mentre Elijah, alle
sue spalle alzava le mani in segno di resa, guardando Jade con il non
troppo sottinteso: occupatene
tu.
La ragazza trasse un profondo respiro e si posizionò davanti
al giovane Potter, le braccia incrociate al petto e un cipiglio che
prometteva un’epica ramanzina, di quelle subdole, che ti
costringono a riflettere.
«Sentimi bene, James Potter » cominciò
tranquilla, incurante delle occhiate risentite che gli stava lanciando
l’imputato: lui aveva fatto tutto per loro, aveva anche
deciso di rinunciare alla squadra, e ora gli urlavano contro?!
«Nessuno qui ti ha mai chiesto di smettere di essere il
nostro capitano e dubito fortemente che anche Albus o Scorpius lo
vogliano, per quanto tu possa pensare il contrario » la
ragazza trasse l’ennesimo profondissimo respiro prima di
continuare, «Quello che volevamo era che tu uccidessi il tuo
orgoglio cinque minuti e ci chiedessi scusa, James, solo una parola,
cinque lettere: scusa ».
Ian sorrise sornione: ormai era fatta.
James parve pensarci per una manciata di secondi, ancora indeciso se
abbassarsi a scusarsi davvero oppure votarsi nuovamente al mutismo, e
glielo si vedeva dipinto in faccia che il dissidio interiore era
piuttosto aspro, tanto che Eva alzò gli occhi al cielo
chiedendosi fino a che livelli potesse arrivare l’orgoglio
umano.
Per fortuna, dopo poco, lo sentì emettere un gemito
sofferente e ringraziò Merlino per aver dato a quel ragazzo
un briciolo, anche se insignificante, di umiltà.
«Scusa » mormorò come se ogni lettera
gli costasse una fatica inimmaginabile e un dolore altrettanto atroce,
« Mi dispiace per quello che è successo e non
pensavo davvero ciò che ho detto: non lo penserei mai e non
voglio che voi pensiate che io lo pensi perché non lo
penso.. ».
«James, ti prego fermati » lo bloccò
Elijah coprendosi gli occhi in maniera teatralmente disgustata,
«Non posso vederti così: riprendi il tuo orgoglio
dalle ortiche e rimettitelo addosso che così fai
senso!».
Ian e Roxanne scoppiarono a ridere e Frank si concesse un liberatorio alleluja!
Jade si limitò a sorridere dolcemente prima di circondare il
collo di James con un braccio e guardare gli altri Grifondoro.
«Sbaglio o abbiamo un Challenge da vincere?» poi si
rivolse direttamente all’amico che le stava a fianco,
«Facci strada, capitano ».
Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts, Aula di Pozioni, ore 23.45
Molly Weasley non era stupida, era tante cose negative, ma non era
stupida e se era a Corvonero un motivo c’era: aveva
un cervello pronto, acuto e anche se era dannatamente puntigliosa, e lo
riconosceva, sapeva valutare con estrema calma ogni situazione. Non
amava i colpi di testa e conoscendo Rowena ed Emma, che da questo punto
di vista le somigliavano, con il tempo si era convinta che la prudenza
fosse una caratteristica peculiare della sua Casa.
Guardò Lorcan e Oliver, pallidi come due spettri che
ricambiavano quell’occhiata assassina che gli stava
lanciando, implorandola di trovare una soluzione, e si
sistemò gli occhiali di corno sul naso: di fronte a quei due
idioti sentiva le sue certezze crollare inesorabilmente in un baratro.
Ormai non c’era niente da fare, la cavolata
l’avevano fatta e non c’era modo di rimediare: il
fischio che dava inizio alla seconda fase del Challenge si era sentito
in tutto il castello nell’esatto istante in cui Lorcan le
aveva fatto vedere chi avevano, genialmente, pensato di prendere in
ostaggio e lei si era trovata di fronte al fatto avvenuto.
Quando non avevano visto l’entusiasmo negli occhi dei
compagni, Lo e Oliver avevano cominciato a capire la portata
catastrofica del loro gesto.
Vada prendere un ostaggio.
Vada prendere un amico del capitano dei Serpeverde.
Ma stordire e legare Joshua Nott ad una sedia dell’aula di
Pozioni non andava proprio.
«Siete due idioti » constatò in una
chiara e limpida sottolineatura dell’ovvio.
«Lo sappiamo, Mols, ci dispiace »
mormorò Oliver sconsolato cercando di mitigare
l’amica perché, come già detto, solo
due persone avevano un qualche ascendente sulla donna
d’acciaio meglio nota come Molly Weasley: Oliver, che la
stava per l’appunto supplicando, ed Emma, che però
non se la sentiva proprio di difendere quei due.
Insomma, avevano scatenato Damian Zabini e l’ira funesta dei
Serpeverde contro di loro, gettando giù per un dirupo ogni
possibilità di vincere quella Sfida: ora che avevano Nott i
loro avversari si sarebbero impegnati almeno il doppio per
riprenderselo.
«No, non lo sapete!» lo spense lei puntando le mani
sui fianchi, «Ma si può sapere che diavolo avete
in quella testa? Folletti della Cornovaglia?! Come diavolo vi
è venuto in mente di rapire Joshua Nott?!».
«Credo sia inutile discuterne troppo, ora » si
intromise Rowena che, seduta su uno dei tavoli guardava il loro
ostaggio in attesa che si svegliasse, «Pensiamo piuttosto a
come trovare Alex: se vogliamo avere qualche speranza dobbiamo essere
veloci, ed esclusi i Serpeverde, che per regolamento non possono averlo
preso, ci restano Grifondoro e Tassorosso. Se sono questi ultimi
abbiamo ancora qualche possibilità: non ci sono grandi
duellanti del nostro anno in questa Casa, esclusi Bones, Sanders e la
Grey ».
«Esatto » si aggrappò immediatamente
Lorcan, alla disperata ricerca di un appiglio per fare in modo di non
essere ucciso dalla squadra che avrebbe dovuto guidare,
«Pensiamo a questo! E poi Zabini è una persona
ragionevole.. non la prenderà di certo sul personale,
no?».
E Molly stava per ribattere quando la risata cupa ma sinceramente
divertita di Nott fece gelare il sangue nelle vene a Cromwell e
Scamander: aveva un che di demoniaco, quella risata.
«Voi siete due idioti » ghignò Joshua
mentre la Weasley annuiva pienamente d’accordo,
«Dam la prenderà molto sul personale.. se aveste
preso la Lodge avreste fatto meno danni » trasse un teatrale
sospiro rassegnato, «E poi voi Corvonero sareste quelli
intelligenti.. ».
Rowena sospirò con noncuranza.
Molly li trucidò con lo sguardo nemmeno avesse il magico
potere di decapitarli, mostrando che la competitività era
tratto caratteristico di ogni Weasley degno di tale nome.
Emma scosse la testa desolata.
Gli altri due Corvonero, il capitano e il suo vice se lo sentivano
senza bisogno di guardarli, volevano la loro pelle per il pranzo del
giorno dopo.
Oliver e Lorcan si scambiarono un’occhiata terrorizzata: ora
sì che erano nello sterco di ippogrifo fino a sopra la
testa, ora
sì.
Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts, Aula di Trasfigurazione, ore 23.45
Ian non aveva la più pallida idea del perché la
testa gli pulsasse in quella maniera e nemmeno riusciva a capire come
mai non riuscisse a muovere le mani e le braccia. O meglio, un vago e
orrendo sentore ce l’aveva, ma era piuttosto insofferente
all’idea di aprire gli occhi e concretizzarlo.
Ricordava qualcosa che lo colpiva alla schiena e ricordava di aver
mugugnato un’imprecazione prima di sentire la pietra del
corridoio del secondo piano sotto la faccia.
Non riusciva a credere, però, che tra tutte le persone che
potevano beccare avessero scelto proprio lui!
Sperava almeno che non l’avessero preso i..
«Damian, datti una calmata: ce lo riprendiamo Josh
».
..Serpeverde.
Ian ebbe la bizzarra sensazione che la colpa di tutto fosse
da imputare al karma: fai
la cavolata di lasciarti scappare una ragazza meravigliosa che per
quanto tu sia un emerito coglione ti vuole lo stesso, e io ti faccio
rapire dai Serpeverde la sera del Challenge! Così resterai
più di tre ore ad annoiarti seduto su una sedia scomodissima
con i polsi legati, in compagnia di due Serpi e poi dovrai fare anche
la parte della donzella in difficoltà che ha bisogno di
essere salvata! E visto che sei stato così bravo da
innamorarti della tua migliore amica ma hai deciso di scegliere
un’altra, vedrai che, se mi riesce, mando Jade a salvarti!
Vedrai! Vedrai se non ne sono capace!
Nell’attimo di quella discussione, avvenuta tra le due
metà del suo cervello, in cui una delle due faceva una
vocina perfida e cospiratrice, Ian realizzò che il suo karma
era proprio un bastardo, non aveva nulla da rimproverargli,
perché aveva una ragione sfacciata, ma restava un bastardo.
«Scommetto che sono stati i Tassorosso! »
sbraitò la voce di Damian Zabini, «I Corvonero non
possono essere tanto stupidi da prendere Josh ».
«Sei così sicuro che Lorcan Scamander non sarebbe
capace di un tiro del genere?» Ian non faticò
a distinguere la voce di Mordecai: stesso timbro di quella di
Elijah ma decisamente più pacata e meno votata alle
imprecazioni.
«Comunque sia, di chiunque si tratti: me la pagheranno
» rispose il capitano con un tono che non prometteva bene e
l’ostaggio finalmente si decise ad aprire gli occhi.
«Accidenti, Clow, ce ne hai messo di tempo per risorgere
» commentò caustica al Wetmore e Ian si prese la
libertà di fulminarla con un’occhiataccia,
sfoggiando senza remore il suo scarso spirito di sopravvivenza
tipicamente Grifondoro.
«Ti prego, non dirmi che a guardia della base resterai tu,
perché giuro che mi suicido a suon di testate contro il
pavimento » rispose il ragazzo con altrettanta
acidità.
«Tranquillo, ciccio: io gioco in attacco » sorrise
maliziosa Katherine prima di puntargli contro la bacchetta e togliergli
definitivamente la voce, con somma indignazione del suo bersaglio.
«Farah, Gregory: rimanete a tenerlo d’occhio
» ordinò allora Damian impugnando la bacchetta,
con una tale enfasi che quasi sembrava si trattasse della falce della
mietitrice e non di un magico bastoncino, «Char e gli altri
con me: andiamo a riprenderci Josh ».
Note dell'autrice:
Salve a tutti e tanti auguri di Buon Natale a chiunque passi di qui,
anche se sono un po' in ritardo!!
E parlando di ritardo...credo di essere in ritardo di cinque giorni con
la pubblicazione e non sapete quanto mi senta in colpa per questo!
Giuro che non è dipeso dalla mia volontà! Il
fatto è che sono rimasta una settimana senza pc
perché il mio ha deciso di spirare (pace all'anima sua!) e
quindi ho dovuto aspettare Natale per poter usare quello nuovo...solo
che c'ho impiegato tre giorni per capire come funzionava e installare
tutti i programmi e poi, finalmente, riscrivere questo capitolo..
Chiedo umilmente venia ma spero mi scusiate: in fondo è
Natale e siamo tutti più buoni, no? :)
Ora passiamo alle note
sul capitolo, perché per questo, ci vogliono.
Come avete notato è diviso in due parti, anche se
originariamente dovevano essere due capitoli distinti e calibrati in
maniera leggermente diversa, per motivi di ordine mentale ho deciso di
far un solo capitolo e dividerlo, per quanto riguarda la seconda
parte..non so esattamente quando arriverà, sicuramente entro
il 4/01 perché per il 6 mi sono imposta la pubblicazione del
capitolo che ha dato inizio a tutta la storia e non voglio sgarrare.
Poi, riguardo l'idea del Challenge, beh, partiamo con il dire che sono
una scout e che mi sono sempre piaciuti un sacco gli eventi dove tanti
gruppi si sfidano gli uni contro gli altri in prove di
abilità, non so perché ma fanno emergere la mia
vena competitiva e provo un po' quello che prova Roxanne di fronte alla
Sfida (sì, quella parte è leggermente
autobiografica..u.u..) e quindi l'idea è stata quella di
portare il mio Challenge, che di per se è una manifestazione
di questo genere, ad Hogwarts, immaginandolo come una guerra in
miniatura e credo che questo paragone renda un po' il mio intento...
Mamma saura che spiegazione lunghissima, spero c'abbiate capito
qualcosa, se non dovesse essere così chiedete pure magari
lasciando anche una recensione :) :)
Detto questo, ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo, chi segue
la storia, chi l'ha inserita tra le preferite e anche chi è
semplicemente arrivato fino a qui :)
Ora vi lascio e spero di ritrovarvi al prossimo capitolo!
Tanti baci e ancora tanti auguri,
Najla
|
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Capitolo 11 *** Challenge: uccidere è un reato Parte 2 ***
Ottavo Capitolo
Challenge:
uccidere è un reato
Parte
2
There's
an old voice in my head
that's
holding me back
Well
tell her that I miss our little talks.
Soon it will be over and
buried with our past
We
used to play outside when we were young
and
full of life and full of love.
Some
days I don’t know if I am wrong or right.
Your
mind is playing tricks on you, my dear.
'Cause
though the truth may vary
This
ship will carry our bodies safe to shore
01 Novembre XX
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Corridoio del terzo piano, ore 01.34
Il clangore
delle armi che cozzavano contro il pavimento di marmo si era fatto
assordante, ridondante e tremendamente fastidioso. Si insinuava tra i
pensieri interrompendone il filo come una taglierina affilata,
calibrata per cadere ad intervalli di secondi: se fosse rimasta
lì ancora un po’ di sarebbe messa ad urlare e
avrebbe avuto una crisi isterica.
Già
faticava a seguire quello che le diceva la sua testa nel più
completo silenzio, figurarsi farlo in mezzo a quel caos.
Scivolò
lungo la parete fino a raggomitolarsi per terra, la bacchetta stretta
in una mano, pronta a qualsiasi evenienza e la testa appoggiata sulle
ginocchia, gli occhi chiusi per cercare di portare un po’ di
pace nella sua testa: se fosse riuscita ad escludere quel rumore di
ferraglia assassina forse sarebbe riuscita ad arrivare
dall’altra parte del corridoio con la testa ancora attaccata
al collo.
Cominciò
a battere i piedi a terra, frustrata: si sentiva una bambina.
Aveva
diciassette anni, era maggiorenne e si era sempre vantata di reggere
straordinariamente bene la pressione.
Ed ora, con la
testa tra le ginocchia per escludere il mondo che la circondava si
sentiva una bambina, e sotto la spinta di questa sensazione orrenda,
aveva faticato davvero tanto per diventare chi era, tutto stava
cominciando a sbriciolarsi lentamente sotto i suoi piedi: stava cedendo
ad un’insicurezza che non le era propria.
O almeno che
non credeva esserlo.
Non riusciva
nemmeno a capire davvero cosa le fosse preso. Lei era una Grifondoro,
erano davvero poche le cose capaci di spaventarla e tra queste era
sicura non rientrasse un corridoio pieno di armature incantate pronte a
tagliarle la testa: non che avesse mai pensato che si sarebbe mai,
davvero, trovata ad affrontare della lamiera killer, ma era sicura che
non l’avrebbe mai portata ad un tale sconforto.
Forse era colpa
del sonno.
Forse era colpa
della solitudine, si erano divisi al secondo piano davanti a dei mostri
che non aveva mai visto e che odoravano di letame: Frank aveva detto
che li avrebbe tenuti distanti lui mentre lei, Jade, Elijah e Jamie
andavano avanti a cercare Ian.
In
quell’istante si rese conto che non aveva ancora visto
Frankie e trattenne un’imprecazione: e se
l’avessero trovato i Tassorosso? Se l’avessero
costretto a dirgli dove si trovava la Grey? Era certa che Bones avrebbe
fatto di tutto per andare a riprendersi la fidanzata e non voleva
nemmeno immaginare Eva e Lysander che combattevano costretti a
difendere la loro base.
Si costrinse a
trarre un profondo respiro per non cedere all’ansia: infondo
era una notte sola e quella non era una guerra, anche se lo sembrava
davvero, e quello era solo un gioco.
Certo, un gioco
che lei non era disposta a perdere!
Ma allora, se
ne era così sicura, perché non riusciva a
sorpassare quel corridoio maledetto? Perché non era capace
di rialzarsi in piedi e riprovare ancora e ancora come era abituata a
fare? Gli altri contavano su di lei e lei aveva promesso che li avrebbe
raggiunti il prima possibile.
E invece se ne
stava lì seduta a rimuginare su quanto stupida e infantile
fosse in quel momento, senza riuscire a reagire.
Il fatto era
che le aveva provate davvero tutte per riuscire a fermare le armature,
ma quelle sembravano immuni a qualsiasi tipo di incantesimo e aveva
cominciato a convincersi che fossero frutto di una crisi premestruale
della Harris: solo lei poteva aver concepito
quell’affettatrice ambulante che era il corridoio del terzo
piano.
Merlino, si
sentiva sull’orlo di piangere sul serio: lo reggeva proprio da cani lo
stress.
Lorcan
girò l’angolo dopo aver ordinato a Oliver e Rowena
di andare a controllare al primo piano per vedere se qualche stanza
fosse stata scelta come base: magari l’aula di Storia della
Magia. Oliver l’aveva guardato perplesso pronto a ribattere
che non gli sembrava proprio la migliore delle idee, dividersi
all’inizio della gara, quando tutto era ancora in forse e le
informazioni per trovare Alex erano minime e ognuno di loro era
indispensabile, ma il capitano aveva detto che li avrebbe raggiunti
subito, voleva solo sapere a cosa era dovuto tutto il baccano che si
sentiva per le scale.
I due ragazzi,
allora, avevano annuito, anche se contrariati, ed erano tornati
indietro.
Fino a quel
momento, si rese conto, non aveva ancora incontrato nessuno delle altre
Case e davvero non sapeva se considerarlo un buon o un cattivo segno:
almeno non aveva incontrato Zabini pronto a fargli la pelle.
Per questo,
vedendo qualcuno raggomitolato vicino al muro adiacente
all’inizio del corridoio, quasi non gli venne un colpo e
alzò automaticamente la bacchetta pronto a disarmare il suo
avversario che, fortunatamente, sembrava non averlo notato.
Quando si rese
conto che quel mucchietto raggomitolato a terra era Roxanne Weasley, la
tensione abbandonò il braccio senza che lui potesse opporsi
e la bacchetta quasi non gli scivolò di mano, trattenuta
appena da una stretta che si era fatta flebile.
Cosa ci faceva
lei seduta lì durante il Challenge?
Che stesse male?
Che
l’avessero ferita?
No, anche in
quel caso l’avrebbe vista imprecare e tirare pugni alle
pareti senza che la sua vena combattiva si fosse smorzata minimamente.
Era un Grifone
vero, Roxie, ed era questo ad averlo sempre attirato: lei sarebbe
potuta essere quella sfida costante che gli avrebbe felicemente animato
la vita.
Lorcan lo aveva
sempre saputo che una donna qualunque, a lui, non sarebbe mai bastata,
che avrebbe finito per trovarla noiosa in maniera insopportabile: lui e
il suo cervello psicotico aveva bisogno di qualcosa che lo stuzzicasse
continuamente, che non perdesse mai attrattiva. E la Weasley, con il
tempo, era diventata proprio quello che lui stava cercando.
Che lei fosse
quello di cui lui aveva bisogno era ormai appurato: a questo punto
bastava convincere lei di tutta la faccenda, e quello sembrava essere
un nodo un po’ più ostico da sciogliere.
«Weasley?
Tutto bene? » chiese arrivatole ormai ad un metro di distanza.
La mora
alzò di scatto la testa e gli puntò contro la
bacchetta, pronta a far volar via qualsiasi avversario le si fosse
presentato davanti, ma quando si rese conto che i capelli biondi
sommati agli occhi grigi e alla faccia da ebete davano come risultato
lui, Lorcan, abbassò l’arma senza,
però, mollare la presa salda esattamente come prima.
«Non
è decisamente il momento, Scamander »
sibilò cercando di incenerirlo con lo sguardo e Lorcan si
ritrovò a sorridere tra sé e sé,
riconoscendo finalmente la sua nemesi.
Non era la
tipica bella ragazza, Roxanne, o almeno non era quel genere di ragazza
capace di attirare con disinvoltura l’attenzione
dell’altro sesso, come facevano fieramente la Wetmore e la
Lodge. Era una persona che doveva essere vista più volte per
poter esser apprezzata davvero. Perché in una sola occhiata
non si sarebbe mai potuta captare quella scintilla di assurda
determinazione che restava sempre accesa sul fondo di quegli occhi
scuri e profondi, e allo stesso modo sarebbe parsa infima la linea
morbida delle labbra e quella fossetta che si formava sotto lo zigomo
sinistro quando sorrideva.
Se non la si
osservava attentamente, certe cose non si potevano proprio notare e
Lorcan poteva vantarsi di conoscere ogni minimo dettaglio di Roxanne.
C’era
poi il fatto che la Weasley era l’unica ragazza che
conoscesse ad essere esattamente come sembrava: niente doppie facce di
cui aver paura, niente grandi segreti da nascondere dietro ad un
battito di ciglia, niente di niente.
Era rabbia,
gioia, delusione o una semplice risata in maniera persino disarmante.
Era
meravigliosamente limpida.
«Com’è
che proprio tu te ne stai qui a rimuginare? »
azzardò guardandola dall’alto in basso con le
braccia incrociate al petto e una faccia decisamente perplessa,
«Sono anni che dici di voler vincere il Challenge e invece ti
metti a dormire su un pavimento? Hai diciassette anni Weasley, non
ottanta: un po’ di resistenza! ».
La mora
incrociò le gambe, totalmente decisa a non muoversi di
lì almeno finché quell’idiota non se ne
fosse andato: giusto per sottolineare che lei non si faceva
condizionare da quello che usciva da quella bocca, «Ma non ti
avevo detto di sparire? ».
«Tecnicamente
no » rispose lui fingendosi pensieroso, «Mi hai
detto che il tuo umore non è dei migliori, e starei comunque
parafrasando ».
«Bene,
allora chiarisco il concetto » rispose lei stizzita,
«Evapora ».
«Per
quanto il mio corpo sia composto per la maggior parte di liquidi,
dubito fortemente di riuscire ad evaporare, Weasley »
continuò Lorcan ben consapevole che presto la ragazza
sarebbe esplosa: era così emotiva Roxanne.
«Scusa
ma.. tu non ce l’hai un compagno da salvare? Una stanza da
cercare? Una pluffa di meglio da fare che non sia stare qui a
torturarmi?» ribatté la ragazza ormai vicina
all’esasperazione o, in alternativa, al lanciargli una
fattura, e non era detto che una delle due cose escludesse
l’altra.
«Certo
» annuì l’altro spostandosi di qualche
passo per vedere a cosa fosse dovuto il baccano che proveniva dal
corridoio, «Passavo di qui proprio per questo.. quelle
armature le ha incantate la Harris, vero?».
«L’ho
ipotizzato anch’io » sospirò lei,
«Ma se stai cercando il tuo prigioniero: mi spieghi
perché non mi hai chiesto se ne so qualcosa? Sai che
l’obbiettivo del Challenge è trovarlo, il compagno
che ti hanno rubato, sì? Lo sai vero? ».
Lorcan le
lanciò un’occhiata indagatrice: tempo cinque
secondi e stava di nuovo osservando con occhio critico
l’interno del corridoio e Rox vedeva chiaramente, nella sua
testa, le rotelle girare ad una velocità impressionante.
«Non
l’hai preso tu » dichiarò dopo pochi
attimi, senza nemmeno guardarla, «E quindi non
l’hanno preso i Grifondoro.. meglio per me, presumo
».
«Come
fai a dire che non ho io il Corvonero? » Roxie pareva
piuttosto sorpresa da una deduzione così veloce e
sì, così giusta.
«Se
tu avessi Alex, a quest’ora mi avresti almeno stordito per
paura di poter tradire i tuoi amici e rivelarmi qualcosa, invece mi
pari piuttosto tranquilla, crisi di nervi a parte, si intende
» snocciolò velocemente agitando piano la
bacchetta per constatare che un incantesimo paralizzante, su quei cosi
in movimento, non funzionava: sembrava decisamente un sadico
incantesimo alla Harris.
«Io
non ho una crisi di nervi!» protestò la Weasley
spalancando gli occhi per l’indignazione, «Non so
come passare dall’altra parte del corridoio, è
diverso ».
«Non
può essere così difficile » rispose il
ragazzo sicuro provando con un altro incantesimo mormorato a fior di
labbra: ancora niente.
Al quinto
tentativo Roxanne decise di alzarsi, dimenticando i suoi buoni
propositi di fare la muffa su quel pavimento fino a che il tipo non si
fosse tolto dalle scatole, e gli si avvicinò tornando a
guardare il suo incubo dell’ultima mezz’ora.
«Ho
provato qualsiasi cosa » confessò lanciando un
bombarda tanto potente che avrebbe volentieri abbattuto un muro e che
invece si dissolse in una scintilla giallognola contro la corazza di
un’armatura bassa e tozza, «Ad una ho dato persino
fuoco: non ho nemmeno annerito il metallo ».
«Ma
è passato qualcuno per di qua, giusto? Presumo che James e
gli altri fossero con te..» buttò lì
Lorcan, «Come hanno fatto a passare in questo inferno senza
rimetterci un arto?».
«Eravamo
in quattro e con una fattura orcovolante, volendo, si riesce ad
allontanarle per sei secondi: loro tre andavano avanti a io continuavo
a colpire quelle dietro, ma da sola non posso arrivare
dall’altra parte ».
«Passare
da un’altra parte? Ci sono un sacco di modi per.. ».
«Ma
non esiste! » scosse la testa lei guardandolo come se fosse
pazzo, «Non mi farò mettere i piedi in testa da un
branco di ferraglia!».
«E
allora dobbiamo trovare un modo per fermare queste cose assassine
».
«Non
serve che tu stia qui, puoi tranquillamente seguire i tuoi amici al
primo piano » e Lorcan la guardò stupito: quindi
in realtà lo aveva sentito benissimo! Perché
accidenti aveva aspettato che andasse lì a parlarle?
«No
no.. ormai è diventata una questione di principio! Queste
armature stanno ferendo il mio orgoglio di mago » rispose
provando a bloccare uno di quei cosi con l’acqua.
«In
realtà, se riuscissimo anche solo a rallentarle, una persona
normale avrebbe il tempo di bloccarle e riuscirebbe a passare
» aggiunse sovrappensiero e Roxanne, come folgorata si sbatte
un cinquina sulla fronte, con tanta irruenza da rendere udibilissimo lo
schiocco del palmo contro la testa.
«Sei
masochista, Weasley? » azzardò Lorcan con un
ghigno e la ragazza lo guardò un attimo male prima di
sorridere entusiasta, dando vita a quella fossetta, proprio
lì, a sinistra…
«Rallentarle!
Basta rallentarle! » esclamò come se stesse
svelando la verità rivelata, ma Lorcan ancora non capiva,
«Cosa ferma il ferro? Cosa crea l’attrito in un
meccanismo? La ruggine! E’ così stupido che non
c’avevo pensato!».
«E
sei così sicura che un’idea così
stupida funzionerà perché..?» il
ragazzo sembrava piuttosto scettico e non lo dava per niente a
nascondere.
«Perché
è un’idea idiota e perché se non
dovesse essere così ho deciso che mi butterò
lì in mezzo e la farò finita » concluse
lei annuendo decisa e Lorcan cominciò a pensare ad un piano
efficace per impedirle il suicidio: quando Roxanne Weasley diceva una
cosa, poi la faceva, anche.
«Incrocia
le dita Scamander » mormorò prima di puntare la
bacchetta contro la prima statua, fare un grande cerchio con il polso e
poi dare un leggero colpo in direzione di quell’armatura
tozza contro cui non aveva potuto nulla prima.
Solo quando le
braccia di quella cosa cominciarono a rallentare e le gambe corte
cominciarono a inciampare su se stesse si permise di chiedersi come e
perché, esattamente, Roxie conoscesse un incantesimo per far
arrugginire il metallo, ed era certo che la spiegazione sarebbe stata
anche piuttosto interessante.
«Chiedimi
scusa » disse sicura Roxanne senza nascondere una nota di
compiacimento nella voce.
«Come
prego?».
«Hai
detto che la mia idea era idiota: chiedimi scusa ».
«Dai,
non era un’idea tanto intelligente, ammettilo ».
«Non
era solo intelligente, era persino geniale: ora chiedimi scusa
».
«Roxanne,
non ti chiederò scusa per aver detto la verità
».
«Io
ti do altri cinque secondi, poi, se non mi chiedi scusa, di addormento,
ti lego e ti trascinò esattamente lì in mezzo
» rispose tranquilla indicando il centro del corridoio dove i
colpi delle armature infuriavano ancora, totalmente fuori controllo.
«Io
non ti chiederò scusa ».
«Cinque..»
cominciò con semplicità.
«E tu
non stai facendo sul serio ».
«Quattro..»
Lorcan cominciò a dubitare che stesse scherzando.
«Ti
prego, Roxanne, non puoi davvero credere che io ti chieda scusa per una
scemenza del genere!».
«Tre..»
in fin dei conti quello che la Weasley diceva, poi, lo faceva, giusto?
«Oh
insomma! Non ti ho nemmeno narcotizzata quando potevo! Dovrei essermi
riconoscente!».
«Due..» e
Lorcan lo sapeva quanto quella ragazza fosse veloce a lanciare
incantesimi: non si sarebbe nemmeno accorto di cadere a terra come un
salame, poco ma sicuro.
«E va
bene! Non era un’idea idiota! Contenta?!»
esclamò alla fine e la ragazza scoppiò a ridere:
come conosceva bene i suoi polli.
Lorcan si
voltò a guardala con un’espressione ironicamente
sconfitta: quella fossetta era ancora lì.
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Scale tra piano terra e primo
piano, ore 03.00
Un lampo blu le
bruciò una ciocca di capelli prima che Mordecai potesse
trascinarla dietro ad una colonna: perché i Tassorosso
fossero strenuamente convinti che Periwinkle Grey l’avessero
presa loro era un mistero.
Riscossa dallo
scontro che la sua schiena aveva avuto con la colonna quando il
compagno di Casa l’aveva spinta lì dietro con poca
grazia, prese con due dita i capelli che ancora fumavano e sapevano di
un disgustoso aroma di pollo bruciato e impallidì:
quell’incantesimo le aveva mangiato sei centimetri di chioma
perfetta.
Maledetto
Bones!
«Brutto
deficiente! I miei capelli! » sbraitò, ormai
fumante quanto la sua testa, decisa più che mai a lanciarsi
su per le scale e cambiare i connotati a suon di bacchetta a
quell’inutile essere che aveva osato attentare ai suoi
capelli.
Fortunatamente
Mordecai intuite le sue intenzioni, appena la vide uscire dal loro
rifugio, la prese per la vita e la ritrascinò al sicuro,
giusto un secondo prima che un incantesimo simile al precedente le
mandasse davvero a fuoco tutta la testa.
«Katherine,
calmati, ora » la riprese il ragazzo cercando di inchiodarla
alla parete con la forza dei suoi occhi verdi, palesemente irritati:
lei smise di brontolare solo perché sperava che il compagno
se ne uscisse con un piano intelligente per permetterle di ottenere la
sua vendetta.
Lo vide
lanciare un’occhiata a Xavier Knight, acquattato dietro ad
una delle due teste del corrimano di marmo che stava ai lati delle
scale: per ora era in un punto cieco alla vista dei Tassi ma se le
scale avessero deciso di girare, come era successo già un
paio di volte dall’inizio di quello scontro, sarebbero stati
davvero nei guai.
La Wetmore si
ritrovò a pensare a quanto tutta quella maledetta situazione
fosse surreale: loro, tre Serpi decisamente propense alla violenza,
costrette dietro a dei blocchi di pietra da quattro Tassi che
sembravano assatanati, tra cui un Charles Bones deciso ad avere il loro
scalpo.
Quanto
melodramma solo perché gli avevano rapito la fidanzata!
«Allora,
l’unico modo di uscirne tutti e tre interi è
quello di scappare » concluse Mordecai dopo una breve
riflessione, «Loro hanno il vantaggio dell’altezza,
e possono prendere la mira con tutta la tranquillità che
vogliono, noi invece non possiamo nemmeno alzare la testa senza
rischiare che ce la prendano in pieno ».
«Tu
sei pazzo » brontolò Katherine sporgendosi appena
per lanciare uno scudo che potesse impedire a Xavier di essere colpito
da non voleva nemmeno più sapere cosa.
«Quello
lì mi ha bruciato i capelli: esigo vendetta,
chiaro?» continuò risoluta senza paura di
sostenere lo sguardo dell’altro.
A causa della
lingualunga di Katherine, tra loro due non scorreva buon sangue da un
po’ di tempo, e nessuno era stato entusiasta quanto Damian
aveva annunciato che lui e Charity avrebbero cercato da una parte e
loro tre sarebbero andati nella direzione opposta.
Ma erano una
squadra e volevano vincere: tanto bastava a legarli a dovere.
«Non
possiamo rischiare di starcene qui in eterno: dobbiamo cercare la base
dei Corvonero e potrebbe davvero essere uno qualsiasi degli antri di
questo castello, lo capisci, sì?» rispose
infastidito dall’infantilismo della compagna.
Kath non ebbe
il tempo di ribattere a tono che un gemito parecchio sofferente di
Xavier li costrinse a guardare oltre il profilo della colonna, giusto
in tempo per vedere le scale muoversi di nuovo e il corpo del loro
compagno di Casa volare giù dalla prima rampa per atterrare
con un tonfo poco rassicurante contro il pavimento: la ragazza
strizzò gli occhi al suono di ossa rotte e da come si era
spiaccicato poteva già fare una diagnosi.
Un braccio era
andato.
«E
adesso?» chiese Mordecai guardandola come a voler dire: contenta? Per colpa tua Xavier
è fuori uso!
Katherine,
stizzita da quel suo trattarla come una bambina di tre anni solo
perché il suo passatempo preferito era spettegolare
sull’amore della sua vita, gli fece una bella linguaccia.
Maledetto
Challenge.
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Corridoio del secondo piano, ore
04.23
«Porca
Morgana che schifo » la faccia disgustata e allibita di James
Potter era tutta un programma, di fronte ad un corridoio imbrattato di
letame con un Frank Paciock e un Oliver Cromwell ricoperti di
sterco dalla testa ai piedi.
Chi diamine
poteva essere tanto meschino da trasfigurare della cacca?!
«Fermi
lì » intimò Jade tappandosi il naso con
una mano quando i due accennarono ad avvicinarsi: puzzavano talmente
tanto da far lacrimare gli occhi e Roxanne era prossima a dare di
stomaco.
La ragazza
dovette ricorrere a sei gratta e netta di quelli potenti e un
incantesimo floreale per fargli assumere un odore vagamente accettabile
prima di permettergli di avvicinarsi senza rischiare o di accecarli o
di farli vomitare.
Che poi, le
sarebbe piaciuto sapere a chi, esattamente, dei due, era venuta
l’idea di bombardare un mostro fatto di letame!
«Tirando
le somme di questo schifo » disse Elijah incapace di staccare
gli occhi dallo stato pietoso in cui versavano le pareti del corridoio,
le finestre e tutto il resto, certo che alla McGranitt sarebbe venuto
un colpo di fronte a un tale disastro, «Ian l’hanno
preso i Serpeverde, giusto?».
Frank
annuì convinto e Rowena si affrettò a spiegare
davanti alla faccia un pochino perplessa di Oliver e Roxanne che ancora
non avevano capito.
«Allora,
se noi abbiamo Nott e voi non avete Alex, secondo logica, vuol dire che
ce l’hanno i Tassorosso. Ma se voi avete la Grey e noi non
abbiamo Clow, significa che ce l’hanno i Serpeverde.. Il che
vuol dire..».
«Ce
l’hanno i Tassi! » la fermò Lorcan
sbucando dalle scale tutto entusiasta prima di bloccarsi orripilato di
fronte ai suoi amici, «Mio..bleah! Che diamine è
successo qui?!».
«Facciamo
che te lo spiego dopo, eh, Lo?» rispose Oliver mettendosi a
pulire le lenti degli occhiali con l’orlo del maglione.
«Va
bene ma.. perché odori di rancido? » volle
comunque informarsi il biondo avvicinandolo e Cromwell
sospirò afflitto mimando con le labbra un dopo che voleva
porre fine a varie ed eventuali domande.
«Comunque,
cari Grifondoro, ho trovato Bones mezz’ora fa e credo voglia
appendervi per il collo da qualche parte » aggiunse lo
Scamander lasciando perdere il caos che li circondava.
«Charlie
non è una persona violenta » gli fece notare James
incrociando le braccia al petto, con una sicurezza mostruosa e a Lorcan
non servi nemmeno mezzo secondo per capire che le cose, tra i Grifoni,
si erano sistemate e che sì, la prima partita della stagione
di Quidditch che dovevano giocare quel week-end, l’avrebbe
persa miseramente.
«Tu
pensala come vuoi, ma io l’ho appena visto mandare a fuoco i
capelli della Wetmore » rispose il Corvonero tranquillo e
Roxanne scoppiò a ridere come un’ossessa seguita a
ruota da un Elijah a cui lacrimavano persino gli occhi.
«Ma..
hanno preso fuoco, fuoco?
» volle informarsi Jade lievemente preoccupata e Lorcan
annuì unendosi alla contagiosa risata degli altri due.
«Mordecai
ha spento subito le fiamme, ma credo che da oggi in poi vedremo una
Katherine Wetmore con un bel taglio a caschetto ».
«Andrà
fuori di testa.. » constatò Rowena per nulla
turbata, in una semplice constatazione, pensando a quanto, una Wetmore
arrabbiata, potesse provare a rovinarle la vita più di
quanto già non facesse quella normale, con tutti i capelli
stirati e perfettamente in ordine.
«Beh..
se non altro è un vantaggio per noi: con la Wetmore fuori
uso, abbiamo un problema in meno, no?» commentò
prontamente Elijah beccandosi un pugno sul braccio da Jade.
«Non
si marcia sulle disgrazie altrui » lo rimproverò
tra gli sbuffi di una Roxanne che le intimava di smettere di fare la
perbenista.
«Ora
ci manca solo trovare la base di Serpeverde »
sospirò Frank e Roxanne scosse la testa.
«Tu
con quell’odore osceno, con me, non vieni ».
«Roxie,
non puoi lasciarmi da solo!» protestò Paciock ed
Elijah si massaggiò le tempie pronto a sorbirsi la
discussione che avrebbe portato, nonostante quanto ne potesse pensare
la mora, quei due a lavorare insieme.
«E
allora togliti questo.. Merlino! Non è nemmeno un odore
è un insulto all’olfatto!».
Nel mentre che
i Grifondoro cercavano di mettersi d’accordo sul da farsi i
tre Corvonero cominciarono a dileguarsi silenziosamente, tirando
ciascuno un sospiro di sollievo: almeno la sorte aveva voluto dargli
una possibilità mettendoli contro i Tassorosso.
Forse, e solo forse,
Molly non avrebbe avuto alcun motivo per ucciderli.
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sotterranei, ore 06.16
Damian
costrinse Charity ad appiattirsi contro il muro bloccandola con un
braccio all’altezza delle spalle, intimandole di non fare
nessun rumore.
Avevano capito
che Joshua era stato preso dai Corvonero, con suo sommo stupore, quasi
due ore prima, e tutto il resto del tempo l’avevano perso per
cercare la base di quei maledetti sapientoni, con l’unico
risultato di aver trovato le postazioni di tutte le altre squadre meno
che di quella che serviva a loro: i Grifondoro nell’aula di
Incantesimi e i Tassorosso nell’osservatorio di Astronomia.
Quando aveva
capito che l’unico posto che non aveva ancora controllato era
l’aula di Pozioni, si era sentito un idiota: in fin dei conti
gli era sembrato ridicolo andare a cercare proprio lì, in
uno dei luoghi più cari a Serpeverde, sottoterra.
Charity si
guardò intorno attenta, con la bacchetta tenuta lungo il
fianco sinistro, giusto per non rischiare di colpire Damian per
sbaglio, in caso ci fosse stato il bisogno di difendersi.
Per quanto
paresse strano, fino a quel momento, non erano ancora venuti alle armi
con nessuno, nonostante Damian smaniasse ormai da ore per un
po’ di sana e liberatoria lotta, cosa che, al contrario, la
ragazza voleva in ogni modo evitare.
Erano due
persone agli antipodi, Charity Lodge e Damian Zabini: due persone che
in comune sembravano avere solo la divisa e lo stemma sul maglione, ben
meritato per altro, visto che erano, e ormai nessuno osava metterlo in
dubbio, due autentiche Serpi.
Eppure,
nonostante non avessero punti in comune, né fisicamente:
dove uno aveva la pelle scura l’altra ce l’aveva
chiarissima, dove uno aveva i capelli neri, l’altra li aveva
biondi e dove uno aveva gli occhi neri come il carbone,
l’altra li aveva azzurro cielo; né tantomeno
caratterialmente, perché tra la passione di Damian per
l’attività fisica e quella di Charity per la
manicure scorreva un abisso, quei due intrattenevano una sorte di
relazione da diversi anni.
E si parla di sorta di relazione
perché, sembrava brutto a dirsi, ma l’unica cosa
in grado di tenerli vicini pareva essere lo scopare come conigli.
Che poi, in
realtà, nemmeno loro due erano ancora riusciti a capire dove
finisse il loro patto di essere scopamici e dove cominciasse qualcosa
di più, perché dopo anni, qualcosa era anche
cominciato solo che nessuno dei due voleva interrogarsi su cosa,
esattamente, fosse.
Così,
schiacciati contro il muro, con i nervi tesi al massimo e un
incantesimo qualsiasi sulla punta della lingua, rimasero in silenzio
per un paio di minuti, il tempo di sentire dei passi rimbombare,
leggeri, tra le pareti e il soffitto di pietra.
Il primo lampo
partì dalla bacchetta di Damian non appena
un’ombra scuro girò l’angolo.
«Zabini,
abbassa il tiro: sono io » la voce atona di Mordecai Faraday
fece tirare a Charity un sospiro di sollievo e una mezza imprecazione
al fidanzato che sotto sotto sperava davvero che fosse finalmente
arrivato il momento di prendersela con qualcuno: magari uno di quei
Corvi che gli aveva così stupidamente rubato Josh.
«Mord,
dove sono Katherine e Xavier?» si informò
immediatamente Charity non vedendo la faccia insofferente della sua
migliore amica nei paraggi, e tantomeno quella del silenzioso Knight.
«Li
ho portati in Infermeria » e prima che Damian potesse
chiedere spiegazioni il ragazzo si affrettò a spiegare,
«Abbiamo incontrato i Tassorosso sulle scale tra il piano
terra e il primo piano e Bones era convinto che la Grey
l’avessimo presa noi, così ha cominciato ad
attaccarci senza riserve.. Xavier è caduto giù da
una rampa di scale e si è fratturato il braccio destro in
tre punti e Katherine.. » tentennò un paio di
secondi, indeciso se scoppiare a ridere o meno, perché, si
per sé, la scena era stata esilarante: optò per
la solita espressione neutrale mentre diceva, «A Katherine
hanno bruciato i capelli ».
Tempo di
realizzare cosa avesse detto e Damian stava già crepando dal
ridere lungo la parete mentre Charity sbiancava boccheggiando,
incredula.
«Ma
sta bene? » chiese con un filo di voce, tirando un calcio ben
piazzato sugli stinchi al capitano di Serpeverde che non la smetteva di
sganasciarsi.
«Sì
sì.. ho spento subito il falò.. aveva solo le
orecchie bruciacchiate ma la signorina Talleyrand ha detto che con una
pomata di iperico si sarebbe sistemato tutto nel giro di un paio
d’ore, disgraziatamene, però, non può
farle ricrescere i capelli con la stessa velocità
».
«Quanto
corti, i capelli? » azzardò la bionda pronta ad
avere un mancamento e Mordecai storse le labbra meditabondo.
«Appena
sotto le orecchie, mi pare.. ».
«Andrà
fuori di testa..» sospirò Charity prima di
voltarsi verso la porta dell’aula di Pozioni, a meno di
cinque metri da loro, «Andiamo a prenderci Joshua e
facciamola finita: Serpeverde non può farsi mettere sotto
dalle altre Case in questa maniera ».
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Aula di Trasfigurazione, ore 07.30
Ian si
ritrovò con la faccia schiacciata contro il pavimento per la
seconda volta in meno di dodici ore e si rese conto che quella,
decisamente, non era la sua giornata.
Come fosse
finito di nuovo in una posizione del genere, scomodissima per altro,
perché ancora legato ad una sedia che gli stava schiacciando
le costole e privo delle corde vocali, non sarebbe stato troppo
difficile indovinarlo.
Dopo ben.. no,
non sapeva le ore precise ma era certo fossero abbastanza, visto che il
sole baluginava già da un po’ nei finestroni alla
sua destra quando la porta dell’aula era saltata in aria,
scivolando giù dai cardini come se fossero stati ridotti a
burro: finalmente i suoi amici erano venuti a recuperarlo con un
assalto degno di un’armata.
Peccato solo
che Farah Akkarai e Gregory Hough non fossero esattamente due zollette
di zucchero e fossero stati ben pronti a far sputare sangue a chiunque
avesse osato passare la soglia della loro base.
Non sapeva come
se l’erano cavata le altre Serpi ma poteva dire con sicurezza
che in difesa erano messi proprio bene.
Il primo
affondo aveva fatto volare Roxanne fuori dalla porta in un battito di
ciglia, nemmeno il tempo che sarebbe servito alla ragazza, di per
sé velocissima, per difendersi ed evitare di finire gambe
all’aria.
Il secondo, ad
opera probabilmente di Elijah, non era riuscito a vedere bene, aveva
costretto Hough ad indietreggiare di solo mezzo metro.
Non sapeva
esattamente se il quinto o il sesto, ad opera, tra l’altro,
dei suoi salvatori, l’aveva costretto a spostarsi e gli aveva
fatto perdere l’equilibrio, costringendolo alla posa
indecente in cui stava in quel momento, guardando una Roxanne, tanto
simile al diavolo della Tasmania che quasi gli venne da ridere,
avventarsi su quella Serpeverde che impassibile le teneva testa da
dieci minuti buoni.
Ian
sbuffò cercando di smuovere i nodi che gli legavano i polsi:
se almeno quei tre idioti si fossero degnati di liberarlo forse avrebbe
anche potuto dare una mano,
forse.
Vedendo
comunque che nessuno lo badava, decise di sfoggiare tutta la sua
inventiva per cercare di prendere la bacchetta che teneva nella manica
del maglione: si sarebbe liberato da solo.
«Maledizione
James! Schiantalo! » sentì urlare Elijah mentre si
lanciava dietro la cattedra di Eastwood con un balzo disperato,
schivando una scia di origami pronti a mitragliarlo ma che,
fortunatamente scoppiarono contro la superficie scura della lavagna in
un puff.
«Non
posso, Eli! Mi piacerebbe ma non posso! » rispose provando a
colpirlo con una pastoia che fu abilmente deviata verso una Roxanne che
la schivò di un soffio e grazie ad una botta di fortuna.
Ian, intanto,
li sentiva sbraitare come indemoniati e no, non voleva credere che
stessero davvero perdendo in tre contro i Serpeverde: non lo voleva
nemmeno pensare!
Rischiando di
slogarsi una spalla, comunque, era riuscito a far scivolare la
bacchetta fino alle mani legate e a farla uscire dall’intoppo
fornito dalla stoffa del maglione e stava cercando di tagliare le corde
senza affettarsi i polsi.
«Rox!
Abbassati! » disse Elijah sbucando in un lampo dal suo
nascondiglio solo per provare a colpire la Akkarai, inutilmente, visto
che quella ragazza metteva su scudi con una velocità
indescrivibile e l’incantesimo non fece altro che andare a
schiantarsi, di nuovo contro la lavagna, incrinandone la superficie.
Ian si fece i
complimenti da solo quando fece addormentare la Serpeverde con un
semplice colpo di bacchetta e uno sguardo di rimprovero ai tre idioti
che, spaesati, stavano per essere narcotizzati con altrettanta
facilità da Hough.
Per fortuna,
Elijah reagì e lo disarmò prima che potesse
colpire.
«Ce
ne avete messo di tempo » borbottò Ian con la voce
roca per il troppo silenzio a cui era stata costretta, spolverandosi i
pantaloni.
«Abbiamo
avuto qualche, ehm.. contrattempo » provò a
giustificarsi James e Ian lo guardò interrogativo,
oscillando lo sguardo tra i tre Grifondoro, che guardavano ovunque meno
che nella sua direzione.
«Cosa
intendi per contrattempo, Jam?».
«Mah..
niente di che.. un corridoio di armature impazzite.. »
cominciò contando sulle dite tutte le disavventure che
avevano dovuto affrontare per arrivare fino a lì,
«Un mostro di letame impazzito.. Charlie Bones completamente
impazzito.. ».
«Un
trio di mollicci impazziti.. » aggiunse Roxanne
diligentemente e James annuì sorridendo al ricordo del
cavallo di Elijah che ballava la samba con un gonnellino
all’hawaiana.
«In
definitiva era tutto molto impazzito a questo Challenge »
concluse Eli battendogli una mano sulla schiena con lo scopo di fargli
sputare almeno un polmone,
«Ora,
caro il nostro ostaggio, dobbiamo riportarti alla base! Pronto a
fronteggiare una gigantesca mantide religiosa? » chiese James
spensierato scavalcando la porta, ancora a terra.
«Perché
una mantide religiosa? ».
«Perché
dubito che quando i mollicci vedranno Roxanne riusciranno a
trasformarsi in qualcos’altro » rispose James a
mezza bocca per non farsi sentire dalla cugina ed Ian scosse la testa
alzando gli occhi al cielo.
Se non altro il
suo karma si era risparmiato il colpo basso di mandare quella ragazza a
salvarlo..
«Tra
l’altro.. Jade dov’è? ».
«Dovrebbe
essere in giro con Frank.. non sapevamo se fossi qui o alla torre di
Astronomia e ci siamo divisi » rispose tranquilla Roxanne
mentre uscivano.
Direnzione:
aula di Incantesimi.
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Infermeria, ore 08.02
Jade trattenne
un gemito mentre la dolce signorina Talleyrand procedeva ad estrarre ad
uno ad uno le spine di quella pianta assassina che, molto probabilmente
il professor Paciock, aveva fatto crescere sotto le scale che
conducevano all’osservatorio e che le aveva stritolato il
braccio con cui teneva la bacchetta quando ormai di era ritrovata al
decimo scalino, costringendola ad avere altrettanti di quei cosi
piantati nelle gambe per poter scendere.
L’infermiera
le aveva detto che tutto sommato era stata anche fortunata ad arrivare
lì così velocemente, perché quel
genere di spine, nella fattispecie, avevano la caratteristica di
aprirsi nella carne dopo un’ora e allora toglierle le avrebbe
fatto ancora più male.
Come se quello
che le stavano facendo in quel momento non fosse già
abbastanza..
«Manca
ancora molto? » chiese con un filo di voce mentre la sentiva
armeggiare con la carne della spalla e le stava facendo davvero troppo
male rispetto al resto del corpo: che quei maledetti cosi si fossero
aperti?
No, non ci
voleva pensare.
«Abbiamo
quasi fatto, signorina » sorrise gentilmente la donna
strappandole un altro singhiozzo soffocato e dolorante, «Ma
non lo sapeva che per assopire l’Euphorbia aculea basta
cantare? ».
«No..
o almeno » lanciò un’occhiataccia a
Frank che sedeva davanti al suo letto con un’espressione
veramente dispiaciuta a decorargli la faccia, «Qualcuno si
è dimenticato di dirmelo ».
«Mi
dispiace » mugugnò Frank appoggiando il viso sulle
braccia incrociate sopra il fondo del letto: Evangeline gli avrebbe
fatto una ramanzina chilometrica per aver permesso a Jade di farsi male.
«Non
stia a cruciarsi, signor Paciock » sospirò la
donna prendendo a spalmare un unguento fresco al profumo di mirtillo
sui muscoli ancora tesi del braccio destro, così come aveva
fatto sulle gambe prima di fasciarle e Jade si permise di chiudere gli
occhi: la tortura era finita.
«Per
quanto riguarda lei, signorina » disse la Telleyrand
prendendo a scribacchiare qualcosa su un blocchetto che teneva in una
delle due enormi tasche del grembiule bianco che indossava,
«Sono spiacente di dirle che gambe e braccio vorrebbero
rimanere in osservazione da me fino a stasera, purtroppo
l’Euphorbia è una pianta che può
mostrare i suoi effetti a lungo termine e questi variano da individuo
ad individuo: non vorrei mai che entrasse in stato di shock o
cominciasse a diventare blu tra i corridoi del castello ».
«Ma
signorina! La premiazione del Challenge! »
protestò tirandosi a sedere con uno scatto, incurante della
spalla che le lanciava fitte piuttosto intense, «Non posso
perdermela! ».
«Suppongo
che il signor Paciock dovrà venire a raccontargliela
» concluse la donna sistemandosi i capelli argento nella
crocchia dove li teneva, «Mi dispiace, ma lei
occuperà stabilmente quel letto almeno fino a stasera
».
Detto fatto la
signorina Talleyrand si dileguò prima che potesse continuare
a protestare e andò verso un letto in fondo a destra, dove
una Tassorosso stava cercando di non cedere al pianto ma si limitava a
fissare il soffitto con due occhi grandi quanto le sfere di divinazione.
Da quel poco
che aveva capito un Corvonero le aveva fatto crescere i denti in
maniera spropositata e poi, un suo compagno di Casa, aveva provato a
farglieli tornare normali con l’unico risultato di farli
definitivamente sparire, i denti.
Ed ora il
processo di ricrescita doveva essere davvero doloroso.
Jade sospettava
che non urlasse solo per una questione di dignità.
«Mi
dispiace davvero tanto, Jay » biascicò di nuovo
Frank, «Non mi ero reso conto che fosse Euphorbia ».
«Non
importa, Frankie » sorrise appena, «Quanti possono
dire di essere stati assaliti da una pianta per non aver cantato una
stupidissima canzone? Sarà qualcosa di divertente da
raccontare ai miei nipoti ».
«Mi
farò perdonare, lo giuro » ridacchiò il
ragazzo alzandosi, «Ora vado.. vedo se
c’è ancora bisogno di una mano, va bene?
».
«Distruggete
chiunque vi capiti a tiro, Frank!» lo salutò lei
mentre spariva oltre i portoni si legno spessi almeno dieci centimetri.
Jade si
guardò intorno un attimo: non aveva mai visto
così tanta gente in infermeria in una volta sola.
Nemmeno quando
c’era stata l’epidemia di Influenza intestinale al
suo terzo anno.
E lei, giocando
a Quidditch, in infermeria, c’era stata davvero parecchie
volte.
Una volta,
prendendo un bolide dritto in faccia, avevano dovuto ricostruirle le
labbra e il naso: aveva anche una piccola cicatrice sopra il labbro,
piccola piccola, a dimostrarlo.
Poi
c’era stato il polso slogato.
La spalla
dislocata.
Il femore
crepato.
Insomma, i
lettini dell’infermeria erano stati casa sua per
più volte nel corso degli anni.
Eppure non
aveva mai visto un tale caos.
Oltre a lei,
c’erano anche: Xavier Knight, di Serpeverde, con un braccio
rotto, la Tassorosso di prima che, se non sbagliava, doveva essere
Diane Boot, Paul Jones, Corvonero, con la faccia ricoperta di
bruciatore e senza sopracciglia, il Kyle Sanders che Jade evitava da
due settimane ma che, per sua fortuna, dormiva profondamente, e infine
Katherine Wetmore, che ancora non aveva avuto occasione di vedere in
faccia perché nascosta dietro il rigido tessuto delle
tendine della lettiga di fronte alla sua.
Xavier, che per
essere un Serpeverde era stato piuttosto disponibile a spiegarle la
situazione, le aveva raccontato che Bones le aveva incendiato i capelli
e ora, la Wetmore, non voleva farsi vedere da nessuno.
Jade
sospirò lasciando che la testa bionda affondasse nei
cuscini: ridendo e scherzando, quel Challenge, si era dimostrato
un’ecatombe e lei non poteva fare a meno di sentirsi
tremendamente frustrata per essere finita lì, a fare il
vegetale su un lettino.
E faceva il
vegetale per colpa di un vegetale.
Scoppiò
a ridere senza nemmeno rendersene conto: benedetto Challenge.
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Infermeria, ore 20.09
Alla fine non
avevano vinto, nonostante le spine, il letame e le lacrime, non avevano
vinto ma avevano accusato il colpo con tutta la dignità di
un Grifondoro e la sicurezza che quei sessanta punti li avrebbero
recuperati con la Coppa del Quidditch e quella no, nessuno di loro, era
disposto a lasciarsela sfuggire.
Persino James
che, generalmente, non si esponeva mai troppo per scaramanzia, aveva
detto che se avessero mantenuto il gioco che gli aveva visto in
allenamento, non avrebbero avuto troppi problemi a vincere contro le
altre Case.
In compenso
prima era arrivata la Casa di Corvonero con un Lorcan Scamander che
andava a prendere in lacrime la coppa del Challenge e una Molly Weasley
che decideva di lasciarsi andare per la prima volta in tutta la sua
vita.
Loro erano
arrivati secondi per qualche minuto: tutta colpa della mantide
religiosa di Roxanne, aveva detto Elijah contrariato, ma nessuno ne
aveva fatto una colpa a nessuno.
Comunque, la
McGranitt, aveva deciso di assegnar loro quaranta punti e tutti
sapevano che avrebbero fatto comodo con la Harris che metteva Scorpius
in punizione un giorno sì e l’altro pure, con Hugo
Weasley che aveva il vizio di addormentarsi durante le lezioni di
Divinazione e James e Eli che avrebbero sicuramente fatto saltare in
aria qualcosa prima di Natale.
Il terzo posto
era spettato a Tassorosso e le avevano riferito lo sguardo trasognato
di Charlie Bones che per tutto il pranzo e la cena aveva tenuto stretta
la fidanzata, nemmeno fosse davvero scampata a morte certa.
Sui Serpeverde
ultimi in classifica non si era dilungato troppo nessuno, ma avevano
detto che Zabini aveva fatto esplodere più di qualche
bicchiere durante le premiazioni e se Jade lo conosceva abbastanza,
dubitava che gli sarebbe passata tanto presto.
Finì
di infilarsi le scarpe e ravvivò con una mano i capelli:
finalmente, dopo aver passato anche la cena in quella stanza asettica,
la Talleyrand le aveva dato il permesso di tornare al suo dormitorio e
lei non vedeva l’ora di farlo.
La spalla le
bruciava ancora un po’, ma almeno non le era venuta la febbre
o chissà che altro: alla fine era davvero stata fortunata a
liberarsi dei pungiglioni dell’Euphorbia senza nessun effetto
collaterale.
Avrebbe
comunque riscosso quel favore che Frank le aveva promesso
perché quei cosi nella carne le avevano fatto un male cane.
Era pronta ad
andarsene quando sulla soglia dell’infermeria vide un
ragazzo, alto, capelli scuri: Ian.
«Come
mai da queste parti? Pensavo fossi salito con gli altri in dormitorio
» mormorò Jade avvicinandosi e il ragazzo le
sorrise, tenendo le mani in tasca, il peso del corpo leggermente
spostato in avanti, come se dovesse cominciare a dondolare sui talloni
da un momento all’altro.
«Sono
venuto a prenderti, no? Non si lasciano da soli i degenti »
ghignò beccandosi un pizzicotto sul braccio.
«Non
sono degente, sono stata assalita da una pianta, è diverso
» volle sottolineare la ragazza e Ian si mise a ridacchiare,
piano, per non attirare l’attenzione
dell’infermiera che stava lavorando nel piccolo ufficio in
fondo alla stanza.
«Sarà
una cosa divertente da raccontare ai tuoi nipoti: cari, vi racconterà
di quella volta che la nonna è stata assalita da un
rampicante.. » la risata si fece appena
più forte, «Sai cosa avresti dovuto cantare? I will survive:
secondo me le piante avrebbero apprezzato almeno l’intenzione
».
«Di
un po’.. sei venuto qui per fare lo stronzo o per
accompagnarmi in dormitorio? » chiese lei puntando le mani
sui fianchi snelli.
«In
realtà sono venuto qui per dirti che mi dispiace »
mormorò guardandola finalmente negli occhi e Jade
capì che il momento degli scherzi era finito: la voce le
morì in gola insieme a quel velo di pace con cui era
riuscita ad avvolgersi.
«Mi
dispiace di aver scelto Gwen quando potevo scegliere te.. Mi dispiace
di aver avuto paura di scegliere te.. » no, Jade non ce la
faceva a staccare gli occhi dai suoi, non era più capace
già da un po’: «Ma mi manchi, Jay, mi
manca la mia migliore amica, mi manca la persona con cui potevo parlare
di tutto o niente per ore e non posso far finta di niente.. Credevo di
esserne capace, credevo fosse la cosa migliore ma.. non ci riesco.. e
mi manchi ».
Jade le
sentì le lacrime che premevano per uscire, le sentiva sul
serio, ma non le avrebbe fatte uscire: perché anche lui le
mancava terribilmente, maledizione, era sempre Ian, non avrebbe potuto
cancellarlo dalla sua vita neanche volendo.
Orami le era
entrato sotto la pelle.
«Non
tornerà tutto come prima, Ian » mormorò
con tutta la forza di volontà che possedeva in quel momento,
combattendo contro la forza di dirgli che non era cambiato niente, che
sarebbe andato tutto bene: perché alla fine non era vero, e
dicendolo avrebbe sofferto solo, di nuovo, lei.
«Ma
possiamo provare a ricominciare » aggiunse dopo un silenzio
che riuscì a farsi davvero sentire sulle spalle, sulle mani,
sulla testa che non era mai stata tanto pesante, «Possiamo
provare ad essere di nuovo semplici amici: alla fine non è
successo niente di così eclatante, no? ».
E’ successo che mi
sono innamorato di te, pensò Ian, ma si
trattenne bene dal dirlo perché sapeva che la risposta non
sarebbe piaciuta a nessuno dei due.
L’hai
detto troppe volte perché io possa crederti.
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Infermeria, ore 20.59
«Non
ti pare di esagerare? » la voce ironica e per nulla
comprensiva di Joshua Nott la costrinse a nascondersi ancora di
più sotto le coperte.
Non stava male,
le ustioni erano guarite alla perfezione, ma aveva implorano la
signorina Taleyrand di lasciarla lì almeno fino al giorno
successivo: doveva riuscire a scendere a patti con lo stato pietoso dei
suoi capelli prima di affrontare qualcuno.
L’infermiera
aveva acconsentito anche se con qualche parola poco gentile sui giovani
e sull’importanza dell’aspetto esteriore.
E lei avrebbe
voluto spiegarle che l’aspetto esteriore valeva parecchio nel
suo mondo, ma si era trattenuta per non finire fuori da quel letto e da
quelle tende.
E credeva
davvero di essersi salvata, almeno per quel primo giorno di Novembre,
dagli occhi di tutti.
Non aveva messo
nell’equazione Joshua Nott che probabilmente era arrivato
lì con l’intento tutt’altro che nobile
di infierire.
Dannata
Serpe..
«Dico
sul serio Wetmore: sono solo capelli » continuò e
Katherine lo sentì vicino, troppo vicino, mentre il
frusciò delle tende copriva i pochi passi che doveva aver
fatto per arrivare a lato del letto.
«Non
sono solo capelli.. Sono i miei capelli » borbottò
tenendo la testa nascosta tra i due cuscini: odiava troppo quel ragazzo
per riuscire a starsene lì buona e ignorarlo.
«Che
siano sulla tua testa o su quella di qualcun altro restano capelli
» sentì il materasso abbassarsi appena e le
coperte tendersi all’altezza delle gambe: quel disgraziato si
era pure preso il permesso di sedersi sul suo letto.
«Perché
sei qui? » stesso tono rantolante di prima e Nott
pensò che sì, Katherine sarebbe stata una grande
attrice melodrammatica, volendo.
«Mi
ha mandato Charity: lei è troppo impegnata a tenere
tranquillo Damian.. L’ultimo posto non gli è
proprio andato giù.. » sospirò il
ragazzo scuotendo la testa, rassegnato a tanta idiozia generale: tra
Dam che voleva far esplodere i tavoli delle altre Case, la Wetmore che
si rifiutava di alzarsi da quel letto per un taglio di capelli e
Charity che aveva chiesto proprio a lui di andare a recuperarla in
infermeria, proprio non sapeva chi salvare.
«Potevi
tenerlo tu Damian tranquillo » protestò
l’altra con la testa ben schiacciata tra le piume dei
guanciali e Josh si permise una smorfia disgustata.
«Di
un po’? Che rapporto credi abbia io con Damian? Certe cose le
lascio volentieri alla Lodge » sentì la risata
soffocata di Katherine emergere da sotto i cuscini.
«Adesso,
per favore, tirati su che ti porto in dormitorio » aggiunse
vagamente annoiato, «Non sopporto gli atti gratuiti di
vittimismo ».
«Io
non sto facendo la vittima! » e presa da uno scatto
d’ira si dimenticò per due nanosecondi dello stato
pietoso della sua testa e scatto a sedere, arrivando a venti centimetri
dal brutto muso e dagli occhi verdi di Nott.
Chissà
poi quando si era accorta che quegli occhi erano verdi..
«E se
provi a ridere ti sgozzo » aggiunse rendendosi conto
dell’errore madornale che aveva fatto e vedendo
l’ombra di un sorriso curvare le labbra di Joshua, che in
realtà era solo felice che avesse smesso di fare lo struzzo,
nascondendosi tra le lenzuola.
«Pensavo
molto peggio » constatò inclinando appena la testa
verso destra: la Talleyrand aveva fatto proprio un bel lavoro nel
regolarli e tutto sommato, così corti, non le stavano
nemmeno troppo male.
Chissà che
così non arrivi più ossigeno al cervello,
pensò Josh ma preferì tacere: doveva portarla in
dormitorio, non litigarci fino alla nausea.
«Non
è questione di meglio o peggio! »
pigolò lei sull’orlo delle lacrime,
«E’ una catastrofe! Sono i miei capelli, capisci?
Cosa faccio adesso con questo cespuglio, me lo spieghi?!».
«Adesso?
Adesso ti alzi da questo letto e mi segui fino in dormitorio
» rispose Nott tranquillo e lei sbuffò per niente
convinta.
«Ok,
mi alzo e torno in dormitorio.. E poi?».
E Joshua Nott
fece l’ultima cosa che chiunque sul pianeta si sarebbe
aspettato potesse fare in una situazione del genere, con una Katherine
Wetmore disperata davanti a lui: le scompiglio semplicemente i capelli
con una mano.
«E
poi i capelli ricrescono, Kath ».
Hey!
Don't
listen to a word I say
Hey!
The
screams all sound the same.
Hey!
Though
the truth may vary
this
ship will carry our bodies safe to shore.
(Little talks- Of Monsters and men )
Note di un'autrice sull'orlo di
una crisi di nervi:
Salve a tutti :) felice anno nuovo a tutti quelli che sono arrivati
fino a qui e hanno letto questo capitolo che beh..è
lunghissimo!
Sul serio! E' il più lungo che io abbia mai pubblicato
finora! E' che proprio non riuscivo a fare a meno di niente e mi stavo
divertendo così tanto a scriverlo e più scrivevo
e più mi venivano in mente dettagliuzzi da aggiungere e
beh... spero solo di non aver esagerato e che non vi abbia deluso, io
di mio c'ho messo l'impegno :) :)
Piccole
curiosità: la pianta di Euphorbia esiste
davvero, non è magica, non si muove, non è
velenosa e non è un rampicante, però ha le spine
:) in particolar modo mi riferisco all'Euphorbia milii, nota anche come
Spina di Cristo...u.u..
Lo stesso vale per l'iperico, è una pianta usata davvero per
le scottature e anche come antidepressivo..u.u..
Per quanto riguarda il mostro di letame..un ringraziamento speciale va
alla peste a cui faccio ripetizioni e che non ha fatto altro di
parlarmi di cacca per tutto lo scorso pomeriggio: se avete qualcosa da
ridire a tal proposito prendetevela con lui!
Bene, io direi pure che ho finito :) un ringraziamento speciale va a
chi ha recensito, a chi ha messo la storia tra le preferite e a chi tra
le seguite :) Vi Voglio Tanto Beneeeeeeeeeeeeeeee :)
Ovviamente ringrazio anche chi legge e basta :) Voglio bene anche a
voi!!
Detto fatto, ci vediamo domenica, se lo studio non mi uccide prima ;D
Tanti baciotti,
Najla
|
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Capitolo 12 *** Quando il mondo comincia a cadere ***
Note dell'autrice che
nonostante le avversitò, ce l'ha fatta!
Allora, le note sono all'inizio perché quando arriverete
alla fine di questo capitolo vorrete tutti/e uccidermi e ve ne
fregherete altamente delle note, credetemi..
Primo, ci tengo a precisare che se organizzate una spedizione di massa
e mi uccidete..beh, la storia non va avanti e non saprete mai come va a
finire..u.u...( pensate a questo prima di impugnare i forconi..)
Secondo, come avevo annunciato, questo è il capitolo che ha
dato inizio a How could
it be any other way?, cioè, non tutto il
capitolo, la fine..ebbene sì, in un momento di disperazione
mi è venuta in mente un'immagine così e puff!
Ricamiamoci sopra un pochino, ed eccomi qua :)
Terzo, un doveroso ringraziamento va a chi ha inserito la storia tra le
preferite, seguite e a chi legge, ma più di tutti a chi
recensisce!! (Tra l'altro, mi è un po' dispiaciuto che lo
scorso capitolo non abbia avuto più seguito, devo ammettere
che un pochino ci tenevo ma non importa :) ringrazio quella cara anima
che ha commentato!!!)
La morale è RECENSITEEEEEEEEEEE!! (anche perché,
se non vi smuove questo capitolo, mi do all'ippica..u.u..)
Ora sono distrutta e ho un tema di storia da fare (pregate per me ;) )
Tanti bacini,
Najla
Nono Capitolo
Quando il mondo
comincia a cadere
Step
out the door and it feels like rain,
That’s
the sound
That’s the
sound,
on
your window pane.
Take
to the streets but you can’t ignore,
That’s
the sound
That’s the
sound,
you’re
waiting for.
(All
fall down- One Republic )
5 Novembre XX
Ministero
della Magia, Sala Conferenze, ore 19.32
Harry odiava
profondamente i giornalisti da quando aveva quattordici anni circa e,
con il tempo, la sua opinione di quella classe sociale di sciacalli
stipendiati non era troppo cambiata: continuava a ritenerli
insopportabili, ma aveva imparato a distinguere quelli che davvero
volevano fare il loro lavoro e quelli che, invece, si divertivano a
vivere sulle disgrazie altrui.
Visto che sua
moglie era proprio una giornalista, sarebbe parso come minimo
incoerente fare di tutta l’erba un fascio e condannare
l’intera razza dedita all’informazione altrui:
qualcuno doveva riuscire a salvarlo, no?
«Harry?
Tra poco cominciamo: sei pronto? » la voce calda e tranquilla
di Hermione lo strappò a quel breve momento di riflessione,
volto unicamente a impedirgli di prendere la porta e andarsene
lasciando ad altri il compito di parlare di fronte a quella stanza
piena di macchine fotografiche, penne prendiappunti e uomini e donne
assettati di succose novità da storpiare in ogni maniera
possibile.
«Se
proprio è necessario.. Puoi dare inizio a questo circo
» sospirò massaggiandosi le tempie pensando che,
anche volendo, da lì, non poteva proprio andarsene: quella
conferenza l’aveva indetta proprio lui a nome del
Dipartimento Auror.
E lui era a
capo di quel dannato posto.
Per
l’ennesima volta nella sua vita si chiese perché,
santo Merlino perché, non avesse deciso di andare a lavorare
come netturbino, ventitré anni prima, anziché
diventare un membro della polizia magica: si sarebbe sicuramente
risparmiato un sacco di rogne.
E anche tutte
le conferenze con quelle sanguisughe assetate, nemmeno farlo di
proposito, quasi esclusivamente del suo sangue.
«Non
è la prima volta che parli di fronte ai giornali, Harry
» cercò di rassicurarlo lei stendendo
distrattamente il tessuto della gonna nera che indossava,
«Andrà tutto bene ».
«Serviva
proprio chiamarne così tanti? Non bastava il Profeta?
» rispose insofferente lanciando l’ennesima
occhiataccia alla sala, «Voglio dire:
c’è anche quella con i capelli verde acido di
“Vita da Strega!” ».
«Il
nostro Ufficio Stampa segue la politica della totale trasparenza, vuole
che tutta la comunità magica si renda conto del problema e
cominci a parlarne prima che sia troppo tardi: vogliono evitare il
dannoso silenzio che c’è stato durante
l’ultima guerra » spiegò, avvicinandosi
a lui di qualche centimetro per evitare che gli sciacalli in prima fila
riuscissero a leggere anche il labiale, «Si sono fatti
prendere un po’ dal panico ».
«Un
po’? » Harry si lasciò sfuggire una
risatina sarcastica, «Herm, “Vita da
Strega” è un giornale scandalistico: tutto quello
che tirerà fuori da questa conferenza sarà una
relazione tra me e chissà chi altro! Come fa, puntualmente,
almeno una volta al mese! Chi era l’ultima? Ah sì,
Cece, la mia segretaria.. ».
«Nemmeno
“Vita da Strega” potrà ignorare un
gruppo di terroristi che minaccia le famiglie più potenti
del mondo magico inglese.. ».
«Certo,
ne verrà fuori un articolo di dieci pagine in cui si
racconteranno le storie strappalacrime delle dinastie che hanno quasi
portato il mondo alla rovina e un mucchio di streghe impressionabili
comincerà a definire i dodici cadaveri di Azkaban dei
martiri.. » borbottò Harry incrociando le braccia
al petto, «Questo li costringerà a reagire,
Hermione, e non voglio un’altra strage, magari in una delle
case nello Shire ».
«Magari
la stai facendo più drammatica di quel che può
sembrare, no? » provò lei ma prima che
l’uomo potesse risponderle che, in tutti quegli anni, lui non
aveva mai fatto un dramma di un bel niente e che, se quella volta aveva
proprio una pessima sensazione e il suo istinto gli diceva che non
sarebbe finito tutto nel giro della prossima settimana, un motivo,
evidentemente, c’era, il Ministro le fece cenno di iniziare.
Harry si
concesse una lunga boccata d’aria prima di indossare la sua
neutrale maschera da conferenza stampa: sapere che l’amica
sarebbe stata la mediatrice per quella cosa che avevano messo su,
l’aveva subito rassicurato e averla vicina gli dava una
sicurezza che non era certo di avere davanti ai microfoni.
Hermione
Granger in Weasley era, senza troppi misteri, la donna più
potente di tutto il Ministero della Magia e l’ultima persona
che qualcuno avrebbe voluto sfidare pubblicamente.
Dopo la laurea
in Magisprudenza era entrata al Ministero per lavorare come assistente
di Cicerus McDawn, all’epoca giudice per il tribunale dei
reati di massimo grado, quali assassinio, uso di maledizioni senza
perdono e, in casi eccezionali, crimini ad opera di indicibili che, per
motivi di segretezza, non potevano essere sottoposti al giudizio di una
commissione ordinaria. Abituata ad entrare in contatto con informazioni
strettamente riservate e potenzialmente pericolose, grazie alla sua
tenacia e al suo acume, si era guadagnata in breve tempo la fiducia
dell’uomo, un affasciante cinquantenne molto stimato
nell’ambiente giuridico, che aveva deciso di portarla in
alto, destinandola alla via della grandezza.
Così
Hermione era riuscita a farsi un nome anche tra i vertici del potere
ministeriale, attirando l’attenzione di Tiberius Ross,
vice-ministro e capo del Wizengamot, che le aveva proposto di lasciare
il posto a fianco a McDawn e brillare finalmente da sola.
La ragazza non
aveva accettato, non subito almeno.
Il matrimonio,
la nascita di Rose e quella di Hugo avevano posto un freno a quella
carriera fulminante che l’aveva condotta così
lontano in poco tempo, mentre i suoi amici si spaccavano la schiena
nelle schiere Auror: Harry nella squadra dell’allora capo,
Jebediah York, e Ron nel team che si occupava di combattere la lunga ed
estenuante lotta contro il narcotraffico magico.
Quando Cicerus
McDawn era stato assassinato dalla fidanzata di un assassino che aveva
condannato a dodici ergastoli per aver ucciso una famiglia babbana in
un revival dei tempi del regime di Voldemort, Hermione aveva deciso di
accettare quella proposta fattale anni prima da Ross ed era entrata a
far parte del Wizengamot.
Ora,
all’età di trentanove anni, Hermione era il
sottosegretario anziano del più potente organo giuridico
magico e si occupava di proteggere legalmente tutta
l’élite ministeriale.
Harry James
Potter compreso.
In poche e
semplici parole, quella donna aveva le mani in pasta ovunque.
«Signore
e signori » cominciò Hermione zittendo in due
parole il cicaleccio generale, «Come ben sapete, il Ministero
ed il Dipartimento Auror hanno deciso di indire questa conferenza in
seguito ai recenti fatti che hanno visto protagonisti, rispettivamente,
la prigione di Azkaban e la tenuta invernale di Sybil Zabini, che
è stata vittima di un attacco la scorsa notte. Fino ad ora
la politica del Ministero è stata quella di tenere un
rigoroso silenzio su entrambe le faccende, ma visti gli ultimi risvolti
delle indagini è stato deciso di rendere noto
all’opinione pubblica quanto sta succedendo. Il capo del
Dipartimento Auror, il signor Potter, si è quindi reso
disponibile per dare ai media i contorni di quanto sta coinvolgendo
alcuni membri della nostra comunità e potrebbe, con lo
scorrere del tempo, nuocere ad un numero sempre maggiore di individui.
«Passo
ora la parola a chi di competenza e prego i signori di rivolgere le
domande alla fine: la vostra curiosità sarà
saziata a suo tempo » concluse la donna con un mezzo sorriso,
uno di quelli con cui era capace, ormai da tempo, di ingraziarsi
chiunque e mostrare, allo stesso tempo, che non era una donna con cui
scherzare.
Era cambiata,
Hermione, in quegli anni, ed Harry era giunto alla semplice conclusione
che finalmente si era resa conto di quanto fosse più in
gamba rispetto al resto del mondo.
Lanciò
uno sguardo alla sua squadra, in piedi sul fondo della sala: Ron gli
fece l’occhiolino, Susan mostrò i pollici in alto,
Ernie si sforzava di non sorridere come un ebete, la tensione la teneva
a bada con le risate, mentre Natalie bofonchiava qualcosa cercando di
smuovere un cristallizzato Nott, e probabilmente stava criticando il
vestito arancio mandarino di un mago in terza fila.
Inspirò
di nuovo e cominciò a parlare: era una stupida conferenza,
cosa poteva andare storto?
6 Novembre XX
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Grande, ore 08.12
Jade si
concesse di sbadigliare dentro alla tazza del the mentre nessuno la
vedeva: se il suo capitano avesse anche solo sospettato che non era
bella sveglia e pimpante, sarebbe andato fuori di testa.
E
già sembrava sulla buona strada per una sincope, visto come
sbraitava e gesticolava e sbatteva, con una cadenza di quaranta
secondi, i pugni sul tavolo.
Alla fine,
Elijah e James avevano spiegato alla Hastings che era stato tutto un
orrendo malinteso, e la donna si era mostrata ben felice di restituire
il titolo di capitano al suo legittimo ed isterico proprietario.
«Jamie!
» lo richiamò ad un certo punto Roxanne
esasperata, con somma gioia dei timpani dei presenti, prendendolo per
le spalle, «Respira. Calmati. E’ solo una partita!
».
Il maggiore dei
Potter sembrò sgonfiarsi come un palloncino davanti ai loro
occhi, mentre un ciuffo castano gli cadeva, esausto pure lui, sulla
fronte.
Jade
sospirò inzuppando un biscotto al cioccolato
all’arancia per poi gustarselo lentamente.
Era sempre
così, prima di ogni partita: lui, il loro prode capitano,
quello che aveva il compito di guidare i Grifoni attraverso le
avversità, dava letteralmente di matto, tanto da
costringerli, come era successo l’anno prima, a pietrificarlo
solo per potersi concedere una colazione in santa pace.
Le urla, quando
il principino era stato depietrificato, erano state quelle di una
bestia assatanata, ma in compenso: Jade era riuscita a bersi il suo the
nella tranquillità più assoluta, Elijah era
riuscito a mangiarsi un pezzo di torta al cioccolato senza che qualcuno
gli rubasse il cibo dalle mani e Roxanne non aveva preso a sberle il
cugino.
«Esatto,
Jam, è solo una partita » ribadì
Elijah, quella mattina emblema della tranquillità,
«E poi non perdiamo contro Corvonero da.. almeno sette anni
».
James lo
guardò pronto a ribattere che era sbagliatissimo
sottovalutare il proprio avversario in quella maniera, che Lorcan aveva
una squadra invidiabile, quell’anno, e che loro dovevano
davvero dare il massimo del loro massimo, ma si trattenne.
Si sentiva
strano e non riusciva a capire cosa ci fosse in lui che non andava.
Già
quella mattina, quando si era svegliato sotto le cuscinate di Ian, che
ormai da un paio di anni svolgeva per lui l’ingrato compito
di sveglia, e aveva guardato fuori dalla finestra, aveva sentito una
morsa spiacevolissima stritolargli lo stomaco e aveva sperato che a
colazione, la Hastings, gli dicesse che la partita sarebbe stata
nuovamente rimandata.
Era un pensiero
stupido, ma aveva la sensazione che quel giorno, non sarebbe proprio
dovuto salire su di una scopa.
Guardando di
nuovo fuori dai finestroni della Sala Grande, James sentì di
nuovo qualcosa di fastidioso occupargli la pancia ma anche questa volta
decise di ignorare il tutto: probabilmente era solo la tensione
pre-partita.
«Siete
sicuri che la McGranitt vi faccia giocare con questo tempo? »
chiese Evangeline innocentemente, osservando preoccupata la pioggia che
violenta sbatteva contro i vetri e incupiva il cielo stregato sopra le
loro teste: quello era un vero temporale coi fiocchi.
Uno di quei
fenomeni metereologici di cui aver paura.
«E’
solo un po’ di pioggia, Eva » la
rassicurò Roxanne con un sorrisone, «Abbiamo
giocato anche in condizioni peggiori.. cos’era? Quattro anni
fa, la bufera di neve? ».
«No,
tre » la corresse Jade sistemandosi una ciocca di capelli
dietro l’orecchio, «E’ stata la volta in
cui mi sono dislocata la spalla per colpa di quel Serpeverde..
».
«E’
vero! » annuì Elijah, «Merlino quanto
hai urlato, quella volta ».
«Tranquillo,
prima o poi capiterà anche a te, non temere »
rispose lei serafica e il ragazzo inarcò appena un
sopracciglio.
«E’
una minaccia? Devo preoccuparmi? ».
«Ti
lascio il beneficio del dubbio » concluse Jay prima di
tornare a concentrarsi sul suo the, mentre un barbagianni rossiccio
cadeva a capofitto nel piatto di Elijah, in uno svolazzio di penne.
«Ma
Porco Godric! » esclamò scacciando
l’animale per constatare, con una vena di amarezza, che quel
dolce al cioccolato che si era lasciato appositamente per ultimo, con
l’intenzione di gustarselo fino in fondo, era
irrimediabilmente immangiabile e per metà sul piumaggio del
pennuto.
«Oh,
finalmente » sorrise Eva prendendo il giornale che era
rimasto legato alle zampe dell’animale durante la caduta,
«Grazie Pirgopolinice, puoi andare » e il gufo se
ne andò tranquillo e placido, incurante del caos che si era
lasciato alle spalle.
«Da
quando tu hai un abbonamento al Profeta? » si
informò Jade sporgendosi verso l’amica per vedere
chi ci fosse in copertina quella mattina.
«Mio
padre ha deciso che ormai ho l’età giusta per
cominciare ad informarmi sul mondo che mi circonda e mi ha regalato
l’abbonamento, solo che per qualche disguido con la Gazzetta
l’hanno fatto partire da oggi invece che dai primi di
settembre.. » spiegò tranquilla sparendo dietro le
pagine del giornale.
«Ma
tuo padre non è un babbano? » si
informò Frank perplesso: aveva conosciuto i suoceri
l’estate precedente ed era piuttosto sicuro che Terence
Laurie non fosse un mago.
«Certo,
ma gli piace tenersi informato sia dei fatti del mondo babbano che di
quello magico, così ci siamo messi d’accordo: la
Gazzetta spedisce i giornali a casa mia e papà manda Pol al
castello con la mia copia ».
«Pol?
» Roxanne sembrava sempre più sconcertata.
«Pirgopolinice,
è il mio gufo.. papà insegna letteratura antica
all’università e Pirgopolinice è il
nome di un personaggio letterario.. » girò pagina
piuttosto assorta, «E’ un nome greco che significa
“conquistatore di torri e città”..
».
«Oddio..
» sospirò la mora incredula, «E io che
pensavo fosse strano il gatto di Jade.. ».
«Che
cos’hai tu contro Sharazad? » domandò
Jade piccata e Roxanne stava per rispondere, quando Eva stese il
giornale in mezzo al tavolo.
«Jamie,
tuo padre è sulla Gazzetta » annunciò
indicando con un dito una foto gigante dove Harry Potter parlava
animatamente seduto dietro ad un lungo tavolo insieme ad Hermione
Weasley e al Ministro Shacklebolt.
«Perché
lo zio Harry dovrebbe essere sul Profeta? »
mormorò Roxie avvicinandosi e Frank si affrettò a
leggere l’articolo che lo vedeva protagonista.
Harry
Potter dice no ai fanatismi
In
una conferenza stampa tenutasi ieri sera nella Sala Conferenze del
Ministero della Magia, il capo del Dipartimento Auror, il tanto amato e
acclamato Harry Potter, ha annunciato che una nuova minaccia sta
incombendo sul mondo magico senza che nessuno se ne sia accorto: un
nuovo gruppo terroristico che risponde al nome di Illuminati pare
essersi prefissato il compito di purificare la comunità
magica dagli ultimi strascichi del regime dell’ormai,
fortunatamente defunto e cremato, Lord Voldemort.
Sembrano
essere loro i responsabili della strage che ha avuto come protagonisti
i Magiamorte rinchiusi nella prigione di Azkaban, dove hanno perso la
vita i dodici maghi rinchiusi ed è stato ferito un giovane
Auror, e della spedizione punitiva che ha costretto ad una notte
insonne la ricca e conosciuta Sybil Zabini, già sotto la
protezione preventiva di una squadra della polizia magica. Harry Potter
ha chiarito che i possibili obbiettivi di questa nuova cellula di
giustizieri sono già tutti sotto stretto controllo del suo
Ufficio e che il Ministero è pronto a rispondere a qualsiasi
tipo di attacco, ma ha comunque esortato tutti quanti ad una vigilanza
costante e a contattare tranquillamente il suo dipartimento per
comunicare informazioni sugli Illuminati o avvistamenti sospetti nelle
zone di Londra e dintorni.
Quando
poi al nostro eroe è stato chiesto se fosse
d’accordo o meno con questo progetto di epurazione, Potter ha
risposto: «Giustizia è stata fatta a suo tempo e
non vedo il bisogno di sconvolgere di nuovo una comunità che
si è rialzata con tanta fatica da una guerra che non
l’ha solo piegata, l’ha proprio distrutta. Iniziare
una nuova e inutile battaglia contro persone che sono riuscite
finalmente a riscattarsi o che non centrano nulla con la strage di
ventiquattro anni fa, non farebbe altro che farci tornare indietro nel
tempo. Quindi no, non sono d’accordo con l’idea
malata e bislacca che portano avanti questi Illuminati e no, non
trovano oggi il mio appoggio come non lo troveranno mai: io una guerra
l’ho combattuta, come molti altri qui dentro, e posso
assicurare che è a questo che si giungerà se non
si riuscirà a porre fine a questa idiozia ».
Sono
quindi dure e ostili le parole con cui si chiude la conferenza al
Ministero, ma ora ci chiediamo: chi sono questi Illuminati? Come
reagiranno ad una simile provocazione?
Il
Direttore
S.
Finnegan
Foto
D.
Canon
«Ci
mancava solo un gruppo di idioti con manie di onnipotenza »
sbuffò Jade alzandosi in piedi ed Eva annuì
pensierosa.
«Speriamo
non sia niente di grave » sospirò Frank.
James non disse
niente mentre si alzava dalla panca dopo aver smangiucchiato appena una
fetta di pane, ma sapeva che suo padre odiava stare sotto i riflettori
e se davvero aveva indetto una conferenza stampa, la situazione doveva
essere ben più grave di quel che sembrava agli occhi di
tutti.
Ministero
della Magia, Ufficio Auror, ore 09.13
L’ufficio
di Harry era stato trasformato nella base operativa della squadra che
si occupava degli Illuminati, un totale di dieci Auror che lui
conosceva come le sue tasche e di cui si fidava ciecamente: non poteva
permettersi alcun tipo di errore e per precauzione, sotto consiglio del
viceministro Ross, li aveva sottoposti tutti quanti a veritaserum ed
erano risultati tutti puliti.
Per quanto
odiasse quella pratica, almeno ora poteva fare a meno di guardare male
chiunque entrasse nel suo ufficio, aspettando che facesse un passo
falso, e non rischiava più di diventare paranoico, oltre il
suo grado di paranoia standard, si intende.
La sua
scrivania era sparita, sostituita da un lungo tavolo centrale dove si
snodava una cartina della Gran Bretagna e dell’Irlanda
ricoperta da radi pallini rosso sangue e altri di un blu chiaro. Le
pareti erano state tappezzate di lavagne, cartelloni e foto con tanto
di un numero spropositato di linee nere e arancio a collegarle in
maniera apparentemente priva di qualsiasi connessione logica.
Harry
sospirò, non troppo apparentemente in realtà: a
intuito sapeva che a tutto quello c’era un senso, ma faticava
a trovarlo.
«E se
seguissero uno schema? » propose Ernie guardando la parte di
lavagna dedicata agli attacchi già avvenuti dove spiccavano
le foto dei detenuti di Azkaban e della Zabini.
«Secondo
me si stanno solo preparando » obiettò Susan ferma
intorno al tavolo, «Azkaban doveva attirare la nostra
attenzione, metterci in allerta: farci capire che possono essere una
minaccia. Mentre Sybil Zabini doveva solo testare le nostre difese..
Infondo, pensandoci bene, per quanto quella donna sia sinistra, non
è sicuramente più importante di Narcissa Malfoy,
per esempio: avrebbe avuto più senso attaccare lei
».
«Non
sono stupidi » sospirò Ron con le mani puntate sul
Canale della Manica, «Chiunque può facilmente
immaginare che le difese sul Malfoy Manor sono al massimo, in questo
momento: non vogliono rischiare con missioni suicide ».
«Ma
con la Zabini non è andata bene.. quindi: tenteranno ancora
un test o colpiranno un bersaglio serio? » riprese la donna e
Ron scosse la testa, non sapendo cosa rispondere: non avevano ancora
idea di quale sarebbe stato il loro modus operandi e non potevano
permettersi di escludere nulla.
«Dopo
quello che hanno pubblicato i giornali stamattina? Secondo me vorranno
sottolineare che sono decisi nella loro missione: punteranno a qualcosa
di abbastanza grosso da far capire che non hanno paura di nessuno
» rispose Natalie, «E mi dispiace sottolinearlo ma
nel mirino ci stanno i Greengrass e i Malfoy: alla fine sono le uniche
due famiglie che sono uscite pressoché intatte dalla guerra
e questo le ha rese antipatiche ad un sacco di gente ».
«Forse..
ma anche Nott non è da escludere »
buttò lì Ron prima di guardare l’uomo
seduto in fondo alla stanza con un paio di fascicoli in mano,
«Senza che tu te la prenda, amico, ma sei un Auror, che
lavora nella squadra di Harry Potter e tuo padre è Ajax
Nott, uno che Azkaban l’ha scampata per un soffio: sei un
bersaglio succoso anche tu ».
«Nessun
problema » fece spallucce Nott, «Ma casa mia
è sotto incanto fidelius e nessuno sa dove sia, quindi, per
ora, non è un problema: possiamo concentrarci sugli altri
».
La casa di
Theodore Nott era praticamente inespugnabile, nessuno sapeva dove fosse
e il suo proprietario si era tenuto ben lontano dal dirlo in giro con
facilità: col senno di poi, tanta discrezione, si era
persino rivelata utile.
«Eppure,
secondo me » si intromise Harry, «Non attaccheranno
né i Greengrass né i Malfoy.. mi sembrano due
bersagli troppo scontati ».
Ron era sul
punto di ribattere qualcosa quando una voce musicale e gentile si
insinuò da un altoparlante posto in un angolo della stanza.
«Signor
Potter, qui c’è un uomo che desidera vederla
» era Cece, la sua segretaria: piccolina e tutta curve, con
un cespuglio di capelli neri, «Dice che è stato
lei a dargli appuntamento ma non ce l’ho segnato
sull’agenda.. ».
Harry
sospirò afferrando un fascicolo pieno di fogli e fogliettini
vari, di tutti i colori.
«Sì,
scusami Cece, adesso arrivo » rispose all’aria
prima di avvicinarsi alla porta, pronto per uscire.
«Credi
sia una buona idea, capo? » gli chiese Ernie guardandolo
mettere mano alla maniglia.
«Peggio
di ora non potremmo stare: mal che vada farò un buco
nell’acqua » mormorò l’Auror
chiudendosi la porta alle spalle, il tempo di sentire Susan che
borbottava qualcosa e se la ritrovò di fianco dopo aver
mosso due passi nel corridoio di marmo rosa del dipartimento.
«Susan,
non mi serve la balia » protestò andando verso la
scrivania di Cece, dove un uomo non molto alto, con i capelli biondicci
e corti lo aspettava, tenendo stretto tra le mani il cappello, non
sembrava nervoso, solo leggermente a disagio.
«Non
sono la tua balia, non mi piace che tu faccia queste cose da solo:
quattro occhi sono meglio di due e non hai il sesto senso di una donna
» ribatté lei decisa e Harry si trovò a
capitolare, come ogni volta che aveva a che fare con le donne della sua
vita, anche con sua figlia non riusciva mai a spuntarla.
«Signor
Potter » lo salutò Cece, «Il signore,
qui, dice di essere un fotografo: io gli ho detto che in questa parte
del Ministero i fotografi non possono entrare, ma lui.. ».
«E’
tutto a posto » le sorrise Harry tranquillo pima di porgere
la mano al nuovo arrivato, «Dennis, sono felice che tu sia
venuto ».
«Potevo
rifiutare un invito del grande Harry Potter? »
scherzò l’uomo stringendogli la mano ed Harry si
lasciò contagiare dalla leggera risata.
«A
parte tutto, ti devo un favore » rispose prima di accennare
con la testa alla sua baby-sitter, «Lei è Susan
Bones, fa parte della mia squadra ».
«Tranquillo,
ci conosciamo: è un piacere vederla, signorina Bones
».
«Tutto
mio, signor Canon » la donna sorrise appena, più
per educazione che per altro, e Harry si convinse che doveva chiudere
quella faccenda il prima possibile.
«Dennis,
se vuoi seguirmi di qua, avrei del materiale da sottoporti »
quando lo vide annuire tranquillo, lo condusse in una della stanze
sulla destra, una di quelle che usavano per le deposizioni e
aspettò che Susan chiudesse la porta e schermasse la stanza
prima di sedersi e aprire il grosso plico che teneva sottobraccio.
Le foto
presenti nelle buste rosse di metà bersagli si sparsero sul
tavolo di vetro come tante tessere macchiate di rosso: alla luce fredda
e spietata di quella stanzetta le croci rosse sembravano brillare
ancora di più.
Canon ne prese
un paio e se le rigirò tra le mani grandi e callose,
osservandole con la fronte corrugata e l’occhio esperto di un
fotografo professionista.
Ad Harry,
l’idea, era venuta subito dopo la conferenza. Quando si era
accorto che Seamus, venuto a registrare le sue dichiarazione per il
Profeta, si era portato dietro quello che sapeva essere il miglior
fotografo in circolazione, Dennis Canon, il fratello di Colin, aveva
pensato che, forse, non sarebbe stato malvagio chiedere il parere di
una persona che scattava foto per professione.
Non che non si
fidasse della sua squadra scientifica, tutt’altro, quei
ragazzi erano fantastici, ma lui voleva avere l’assoluta
certezza che quelle foto non riuscissero proprio a dargli nessuna
informazione utile prima di metterle sottochiave.
«Vorrei
un tuo parere, Dennis » disse Harry sotto lo sguardo attento
di Susan, «Qualsiasi cosa tu possa dirmi su quelle foto o sul
fotografo ci sarà di grande aiuto ».
«E’
per la faccenda degli illuminati, vero? » chiese alzando la
testa, la fronte ancora aggrottata, «Questo sono foto
minatorie? ».
«In
realtà.. » stava per dire Harry quando Susan si
intromise, facendo un passo verso il tavolo.
«Sono
informazioni riservate » rispose neutra, «Se fosse
così gentile da dirci se quelle foto contengono informazioni
utili, gliene saremo riconoscenti, altrimenti, ci scusi per
averla scomodata ».
Canon prese
altre due foto e le mise controluce sospirando.
«Non
posso dirvi molto.. probabilmente non potrei fare niente nemmeno
analizzandole per giorni » commentò assottigliando
lo sguardo sulla foto che ritraeva Narcissa Malfoy, «Posso
dirvi che sono state scattate con un’istantanea e non hanno
mai visto la camera oscura: qui, in basso, su ogni foto, sul fondo
dell’immagine, c’è una linea nera
»spiegò mostrando ai due una piccolissima e
invisibile riga sullo scatto di Damian Zabini, «Succede solo
con le istantanee, quelle un po’ vecchiotte.. però
è comunque strano ».
«Cosa?
» si informò Susan avvicinandosi.
«Le
macchine vecchie tendono a non dare troppa fluidità
all’immagine.. Cioè, i soggetti, nelle foto
incantate, si muovo sempre perché sono frutto di una
sovrapposizione di diversi scatti fatti in sequenza: una volta
incantata la serie di foto si ottiene un movimento che sembra naturale.
Ma il moto dei soggetti, oltre ad essere dato
dall’abilità del fotografo nel lanciare questi
incantesimi, è dato molto dalla macchina che usa »
spiegò appoggiando gli scatti sul tavolo, «Con una
macchina vecchia, le immagine tendono ad incepparsi, bloccarsi a volte,
o muoversi solo in parte.. Chiunque abbia scattato queste conosce bene
la macchina che usa e non ha permesso ai meccanismi di usurarsi: un
lavoro invidiabile. Darei oro per un’istantanea che fa foto
del genere ».
«Quindi
abbiamo a che fare o con un fotografo o con un appassionato »
concluse Harry felice di aver ricavato qualcosa da
quell’incontro: era sempre come cercare un ago in un
pagliaio, ma inspiegabilmente il pagliaio sembrava un po’
più piccolo.
«Direi
di sì e a giudicare dalla grandezza delle foto direi che
cercate una macchina sullo stile della Flashing 23.5, una macchina per
istantanee degli anni sessanta, più tardi le istantanee le
facevano più piccole di almeno un pollice ».
Harry
guardò Susan, vittorioso.
Susan
guardò Harry, ancora poco convinta.
Adesso non
restava che cercare in tutte le case di Inghilterra, Scozia e dintorni
una Flashing 23.5 e chiedere informazioni al suo proprietario.
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Campo da Quidditch, ore 10.04
Roxanne
schizzò di lato appena in tempo per evitare uno di quei
maledetti bolidi che, per qualche astrusa ragione, sembravano avercela
con la sua faccia.
Pioveva tanto
violentemente che non riusciva quasi a tenere gli occhi aperti, era
talmente fradicia che qualcuno avrebbe potuto scambiarla per una rossa
pozzanghera volante ed era sicura di avere un principio di
assideramento alle dita delle mani e dei piedi.
Che tempo di merda,
si ritrovò a pensare per l’ennesima volta cercando
di individuare qualcuno che portasse la sua stessa divisa in mezzo a
quella nuvole di acqua gelida e piccola, some tanti aghi che le
colpivano tutto il corpo.
Oltre a non
riuscire a vedere niente di suo, per il diluvia che le stava cadendo in
testa, per qualche strana ed inspiegabile congiunzione astrale ad un
quarto d’ora dall’inizio della partita quella cosa
bianca, che non sapeva se era un cumulonembo o solo nebbia assassina,
aveva deciso di invadere il campo e d’un tratto non era
più riuscita né a sentire niente né,
tantomeno, a vedere qualcosa.
A voler essere
onesti, non sapeva nemmeno dove fossero gli anelli in cui doveva
lanciare una pluffa che, comunque, non sapeva se qualcuno aveva ancora
in mano o se era semplicemente andata persa.
«Ehi
Weasley! » urlò qualcuno affiancandola e Roxanne
capì che si trattava di quell’impiastro ambulante
di Lorcan solo perché distingueva i contorni di qualcosa di
blu, «Hai visto gli altri? ».
«E me
lo viene anche a chiedere? Cercateli, idiota! » rispose
cercando di sovrastare il rumore della pioggia scrosciante: non sentiva
nemmeno la cronaca della partita che era amplificata con un
incantesimo, figurarsi se potevano parlarsi loro due, in mezzo alla
tempesta.
«Scorbutica
come al solito, eh? » rise il biondo, che ormai era talmente
zuppo da essere quasi moro, o almeno così le pareva.
E Roxanne stava
per disarcionarlo quando vide qualcuno virare verso l’alto e
mancarla di una decina di centimetri, costringendola a reggersi sulla
scopa già instabile per la pioggia e il vento.
Era una macchia
rossa, appiattita sulla scopa: James.
Il maggiore dei
Potter si chiese come, esattamente avrebbe dovuto fare per trovare un
coso dorato e volante, grande quanto una noce, quando non riusciva
nemmeno a vedere la sua mano a dieci centimetri dalla faccia.
L’aveva
detto lui, che quella mattina non dovevano giocare!
Non sapendo
nemmeno dove fossero gli avversari e i suoi compagni di squadra, aveva
optato per la tattica ben poco ortodossa del: vaghiamo un po’
a caso e speriamo in una botta di fortuna.
Non ricordava
da quanto fosse cominciata la partita, forse un’oretta, ma la
sua tecnica non stava dando frutti e non sapeva davvero che pesci
pigliare: aveva meditato per sino di andare dalla McGranitt e
supplicarla di sospendere l’incontro.
Sarebbe bastato
trovare l’angolo di spalti dove stavano i professori..
Alla fine aveva
deciso di continuare ad andare a destra e a manca senza meta e aveva
deciso di puntare verso l’alto: magari sarebbe riuscito ad
uscire da quella maledetta nuvola.
Arrivato ad una
certa altezza, non sapeva nemmeno quale, si fermò e
provò a guardarsi intorno, cercando di rimanere immobile nel
temporale: concentrarsi, doveva solo concentrarsi.
Sentì
qualcosa colpirgli violentemente il petto prima che potesse rendersene
conto.
Quando
finalmente la nebbia si diradò, il tempo parve fermarsi.
Jade teneva la
pluffa tra le mani: le scivolò dalle dita fredde e si
infranse sulla sabbia del campo, dura di pioggia.
Elijah ed Albus
si lanciarono in picchiata verso il basso.
Scorpius rimase
pietrificato.
C’era
una macchia rossa, per terra, a metà tra l’erba e
la sabbia.
Era qualcosa di
informe ma sembrava una persona.
Una persona
messa in una posizione innaturale, come se qualcuno l’avesse
lanciata per vedere in quale posa fosse rimasta una volta toccato terra.
Si vedeva
qualcosa intorno al bel rosso fuoco della divisa di Grifondoro,
brillante anche sotto la pioggia, ed era di un rosso leggermente
più scuro.
L’ultima
cosa che si sentì, prima che qualsiasi cosa, la pioggia, le
urla sugli spalti e il megafono di Hugo Weasley fu l’urlo di
Roxanne.
Un urlo
agghiacciante, acuto, disperato, terrorizzato.
Perché
quello steso lì per terra, immobile, morto, era proprio lui..
«James!».
|
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Capitolo 13 *** Lacrime di pioggia ***
Decimo Capitolo
Lacrime di pioggia
Is
anybody out there?
Is
anybody listening?
Does
anybody really know
If it’s the
end of the beginning?
A
cry, a rush from one breath
Is
all we’re waiting for
Sometimes
the one we’re taking
Changes
every one before
6 Novembre XX
Londra, Ospedale magico
San Mungo, ore xx.xx
Era successo tutto troppo velocemente.
Dal momento in cui aveva toccato terra ogni secondo gli era scivolato
addosso senza che se ne rendesse nemmeno conto ed ora, davvero, non
sapeva spiegare come fosse arrivato lì, in un corridoio del
San Mungo, a Londra, a fissare la fiammella della candela posta sulla
parete di fronte a lui.
Lily non si era ancora staccata dal suo braccio da quando avevano
lasciato Hogwarts, non lo aveva lasciato mentre si smaterializzavano
con la McGranitt, non l’aveva fatto quando era arrivato
papà dal Ministero, nemmeno quando mamma era arrivata
dall’ufficio: in quel momento lo stava stringendo tanto da
fargli male, sentiva persino le unghie premere sulla stoffa pesante
della maglia e segnare la pelle.
Non l’aveva spostata.
Sua sorella stava solo cercando qualcosa che le impedisse di cedere a
quei singhiozzi che teneva bloccati a forza in gola, forse per non fare
troppo rumore: gli stringeva il braccio, si mordeva a sangue
l’interno delle guance e strizzava gli occhi, non sembrava
avere il coraggio di riaprirli, forse per non vedere qualcosa di
orribile, qualcosa che non era ancora capace di affrontare.
Suo padre se ne stava seduto rigido sulla sedia di fronte a lui, la
mascella tesa, gli occhi intenti a memorizzare ogni venatura del
pavimento intonso torturandosi inconsciamente le mani grandi e callose:
le spalle erano curve in avanti e Albus li aveva percepiti i lievi
tremiti che le scuotevano, quasi invisibili certo, ma presenti.
Gli erano parse scosse di terremoto.
Non aveva mai visto suo padre tremare, mai.
Sua madre sembrava incapace di stare ferma, troppo nervosa, camminava
su e giù per il corridoio accompagnata dal ticchettio delle
scarpe nere, quelle alte che portava solo quando doveva lavorare in
ufficio: sua madre era una persona semplice, non amava mettersi in
ghingheri. Si fermava a intervalli regolari per mordersi le pellicine
delle dita, un lungo istante di insopportabile silenzio, e poi
continuava a camminare, ed Al era convinto che se si fosse fermata del
tutto avrebbe cominciato ad urlare, magari piangere.
Aveva paura che si fermasse.
Non aveva mai visto sua madre piangere.
Teddy era arrivato per ultimo e lo sentiva seduto al suo fianco, si
teneva la testa tra le mani, le dita immerse nei capelli, quei capelli
di un orrendo grigio topo che sapeva di disperazione e di inevitabile e
che, forse, gli facevano più paura di sua madre immobile in mezzo a
tutto quell’asettico bianco.
Forse non era successo tutto troppo velocemente, forse era il suo
cervello che, semplicemente, aveva deciso di bloccare la mente ad un
momento preciso e lasciarla lì a vagare, a riempirsi di
niente.
Nonostante questo, Albus, davvero, non lo sapeva come c’era
finito lì, in quel punto della sua vita, a pregare un Dio
che non conosceva di tenere in piedi il suo mondo.
Non ne aveva proprio idea.
Ricordava solo..
..James sulla sabbia.
..James sotto la pioggia.
..James con uno squarcio nel petto.
..James con la divisa strappata dalle ossa uscite prepotentemente dalla
carne.
..James con le gambe distrutte, talmente disarticolate da farlo
sembrare una bambola rotta.
..James con il viso, il corpo, tutto, ricoperto di sangue.
..James che lo guardava ma non lo vedeva.
Al ricordo gli veniva ancora da vomitare.
..James che moriva.
Chiuse gli occhi, abbandonò la testa contro il muro e
cercò di ricordarsi come si respirava in silenzio, senza
correre il rischio di strozzarsi.
Dio, aiutami..
Sometimes
we're holding angels
And
we never even know
Don't
know if we'll make it
But
we know, we just can't let it show
Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts, bagno dei Caposcuola, ore xx.xx
Jade Fyfield non era mai stata una persona capace di mostrare
esattamente cosa le passasse per la testa, che fosse qualcosa di bello
o il più inquitante degli incubi, non era mai stata
abbastanza emotiva da sbilanciarsi e farlo sapere al mondo appena
questo si fosse degnato di guardarla in faccia.
Per qualche strano motivo aveva sempre saputo che le sarebbe stato
vitale mantenere una buona dose di equilibrio, nella sua vita.
Altrimenti si sarebbe sfasciata.
Sarebbe finita polvere in un battito di ciglia.
E niente riusciva a toglierle il respiro come l’idea di
ridursi a cenere fredda.
Forse perché, alla fine, non sarebbe stato tanto difficile
che accadesse..
Solo polvere..
Inizio Flashback
Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Grifondoro, ore xx.xx
Camminava spedita lungo le scale che conducevano al ritratto della
Signora Grassa: si sforzava di ignorare la nausea, si sforzava di
ignorare la voglia di sedersi per terra e piangere, si sforzava di
ignorare la voglia di urlare e di farsi sentire da tutto il castello.
Non poteva lasciarsi andare, non ancora.
Nonostante la bile che minacciava di bucargli lo stomaco e le lacrime
che stavano combattendo una battaglia persa contro il suo autocontrollo
e minacciavano di uscire.
L’unica cosa che le bastava fare era non chiudere gli occhi.
Non doveva farlo assolutamente.
O avrebbe rivisto tutto: James, il sangue, le ossa, il suo viso..
Dio, non se lo sarebbe mai tolto dalla mente.
«Aspidistra » mormorò senza azzardarsi a
guardare la donna dipinta sulla tela.
Non aveva ancora guardato in faccia nessuno, non era sicura di riuscire
a trattenere tutto guardando qualcuno negli occhi.
Gli occhi sono lo
specchio dell’anima, e la sua, in quel momento,
era lacerata, certo, ma non le aveva ancora permesso di cominciare a
sanguinare.
«E’ vero quello che si dice? Il figlio di Harry
Potter è morto? ».
Jade alzò lo sguardo stupita, alla fine, meditò,
guardare negli occhi un quadro non le avrebbe fatto male. La Signora
Grassa era pallida, sembrava sciupata, i colori leggermente sbiaditi,
come se a ricoprirli ci fosse una patina di qualcosa di opaco,
invisibile, triste: gli occhi spalancati e la bocca dischiusa, in
attesa.
Se lei che era solo un quadro, qualcosa che esisteva solo per grazia
del proprio creatore, qualcosa che un cuore pulsante, non ce
l’aveva, reagiva così, cosa la stava aspettando
oltre quella soglia?
«Non lo so, Signora, mi dispiace ma non so niente »
biascicò tornando a fissare i lastroni di pietra sotto i
suoi piedi, sentì il quadro spostarsi e passò
oltre.
La nausea sempre più forte.
Diede una veloce occhiata alla Sala Comune, nonostante si aspettasse il
contrario non c’era tanta gente, forse la maggior parte dei
ragazzi era salita già nei dormitori e li capiva fin troppo
bene, in quel momento l’unica cosa che lei avrebbe voluto
fare era andarsene a letto, chiudere gli occhi e sperare che tutto si
riducesse a un sogno: uno di quelli che ti lasciano
l’angoscia sul fondo dello stomaco per diversi giorni,
finché non realizzi che sono stati solo frutto di un cattivo
pensiero.
Magari svegliarsi di nuovo quella domenica mattina e impedire a James
di salire su quella dannata scopa, impedirgli di giocare in mezzo alla
nebbia, impedirgli di cadere.
«Jade.. » la chiamò Lysander alzandosi
dal divano, appena un sussurro, «Cosa..? ».
Cosa..?
Cosa succede?
Cosa è
successo?
Cosa è
successo a James?
Non lo lasciò finire, preferì lanciare
un’occhiata alla testa pettinata di Frank, vicino a quella
che doveva essere di Lorcan: non si chiese nemmeno cosa ci facesse un
Corvonero nella torre di Grifondoro.
«Frank, la Hastings mi ha chiesto di controllare che tutti i
ragazzi siano nei loro dormitori: puoi occuparti della parte maschile,
per piacere? Io penso alle ragazze.. » chiese piano, per
paura di fare troppo rumore, magari un rumore che avrebbe rotto
l’equilibrio precario che riusciva ancora a mantenere.
Era Caposcuola, doveva finire quel piccolo e semplice compito e poi
sarebbe potuta scoppiare, poi non avrebbe avuto nessun tipo di dovere e
avrebbe potuto cominciare ad essere la Jade che aveva un gran bisogno
di vomitare.
«Va bene, me ne occupo io » rispose Frank alzandosi
e voltandosi verso di lei: Jade abbassò prontamente lo
sguardo, niente occhi.
«Jade.. » la chiamò di nuovo Lysander
avvicinandosi ma ancora una volta non lo lasciò parlare, e Dio, era
così sbagliato
ignorare Lys in quel modo, mostrarsi una vigliacca con quel ragazzo che
era la creatura più semplice che conoscesse, ma qualsiasi
fosse la domanda, non aveva la risposta.
Ad essere onesti, in quel momento, non le sembrava di avere niente, si
sentiva svuotata degli organi, dei pensieri, della terra sotto i piedi
e dell’aria nei polmoni: percepiva appena la divisa da
Quidditch, che ancora indossava, sulle spalle, e non vedeva
l’ora di togliersela.
Era rossa.
Rossa come quella di James.
Rossa come il sangue.
Dio, non ne aveva mai
visto così tanto in vita sua.
«Roxanne dov’è? » chiese
piuttosto facendo vagare lo sguardo tra le poche teste presenti: solo
crani, capelli, spalle forse, niente occhi.
Mai gli occhi.
«Evangeline è con lei, credo l’abbia
portata in camera vostra: ha avuto una crisi di panico »
rispose lui e Jade sentiva che la stava guardando ma proprio non poteva
alzare la testa e affrontare quegli occhi pieni di domande, di
suppliche, di speranza.
Solo lei sapeva cosa, effettivamente fosse successo, come fosse ridotto
James: lei e Mardecai, ma lui, in quel momento, chissà
dov’era.
E lei non poteva rispondere a niente.
«Bene.. Eva è brava in queste cose » Eva è brava a non
cedere a crisi di pianto, a dispetto di quello che pensano tutti, Eva
sa resistere alle lacrime, pensò e tanto le
bastò per darsi coraggio: non poteva scoppiare li davanti a
tutti.
«Elijah? Pensavo che Ian lo avesse portato qui.. »
chiese ancora per non dargli il tempo di chiederle qualcosa.
Dio, Lys, mi dispiace ma
non posso risponderti.
«Sta distruggendo la nostra stanza.. » rispose con
un filo di voce Lysander, e continuava a sentirli i suoi occhi blu e
grandi perforarle il cranio, li sentiva e bruciavano, «Ian
è con lui.. hanno chiuso la stanza da dentro e abbiamo
preferito lasciar stare.. ».
Annuì e non disse altro: cosa avrebbe dovuto dire, poi? Meglio per loro? E’ un
bene che non siano da soli? Ian riuscirà a far ragionare Eli?
Non sapeva se doveva vomitare, ma voleva
farlo: sentire che quel buco nero che le stava demolendo
l’addome non era solo frutto della sua mente, ma anche
qualcosa di fisico, qualcosa di concreto.
«Jay.. ».
Non gli lasciò il tempo di continuare, ancora una volta, e
fece per andare verso le scale che portavano ai dormitori: le bastava
resistere ancora poco.
«Jade.. » a fermarla bastò una voce
tremula, appartenente ad ragazza che si era alzata lentamente dal
gruppo di poltrone sotto la finestra, tremando, e che
associò subito a Rose Weasley.
Jade sentì un brivido salirle lungo la schiena, dalle piante
dei piedi, ed esplodere in testa rovesciandole di nuovo lo stomaco.
«Tu sai cos’è successo? La Harris
c’ha portati qui e c’ha detto di non uscire ma..
non ha detto.. niente.. e io.. ho visto Roxanne e.. » si
fermò un secondo, la voce sempre più flebile,
ridotto ad un sussurro impalpabile, «Jamie.. James
è davvero.. ».
Non ebbe la forza per concludere.
E Jade si chiese se poteva trovare da qualche parte il coraggio di
alzare lo sguardo da terra e guardarla, almeno una volta, una manciata
di secondi: credeva di doverglielo, in fondo Rose era parte della
famiglia di Jamie, no? Meritavano di sapere cosa stava succedendo..
Ma lei non poteva
proprio.
«Non lo so, Rose » rispose allora, ma non
riuscì a guardarla negli occhi: era certa che vi si potesse
benissimo leggere la sentenza che aveva già preso forma
nella sua testa, ma non voleva che lei, loro, la sapessero
così, semplicemente guardandola, «Quando sono
arrivata in infermeria se ne stava occupando Madama Talleyrand e poi
Paciock ha attivato la passaporta e se ne sono andati.. la Hastings ha
detto che qualcuno l’ha colpito mentre era in volo e il vero
danno l’ha fatto la caduta.. ci avviseranno appena sapranno
qualcosa ».
«Ma era.. com’era quando stava in infermeria?
» insisté Hugo, il fratello di Rose, seduto sulla
poltrona rossa alle sue spalle: era alto e con le spalle larghe, Hugo
Weasley, i capelli di un rosso scuro, carico, e gli occhi azzurri.
Jade non ricordava d’averci mai parlato.
«Non lo so.. io non.. » si morse il labbro e scosse
la testa, gli occhi puntati sul pavimento, non aveva l’ardire
di chiuderli, «Respirava.. credo.. ».
«Cosa vuol dire credo?
» continuò Hugo imperterrito.
«Vuol dire che appena la Hastings ci dirà
qualcosa, sapremo cos’è successo »
tagliò corto Lorcan: erano tutti sconvolti lì
dentro, probabilmente anche allo stesso modo, e lo vedeva benissimo che
la Fyfield stava facendo di tutto per non crollare davanti a tutti
quanti e anche ammettendo che sapesse qualcosa, di sicuro non avrebbe
parlato.
Non ci voleva un genio a capire che sarebbe stato meglio lasciarla in
pace.
Jade non aspettò nemmeno che qualcuno ribattesse qualcosa,
scappò su per le scale, trattenendo il fiato, con
l’unico desiderio di voler sparire.
Fine Flashback
Alla fine si era nascosta nell’unico posto dove nessuno
sarebbe potuto andare a cercarla, anche volendo. Era arrivata sotto la
prima doccia, aveva aperto il getto d’acqua e ci aveva messo
la testa sotto.
Ricordava di aver urlato, di averle sentite, le lacrime che finalmente
sfondavano gli argini e le scaldavano le guance, in contrasto con
quell’acqua fredda che la bagnava ancora, come poche ore
prima.
Ed era stato così liberatorio esplodere.
Si rese conto di essere finita seduta sul piatto della doccia molto
tempo dopo.
Si rese conto che le gambe avevano smesso di reggerla senza che lei se
ne accorgesse.
Si rese conto che era finita vestita con la maglia che portava sotto la
divisa e le calze invernali, quelle pesanti che usava durante le
partite di inizio stagione, sotto il getto della doccia.
Se ne rese conto solo quando provò a raccogliere
l’acqua che le scivolava addosso, in un continuo e depresso
scrosciare che serviva solo a camuffare dei singhiozzi che non aveva la
forza di sentire, anche se erano i suoi.
Provò a raccogliere l’acqua con le dita e si rese
conto di non riuscirci.
Era una strega, era capace di cose che la gente normale sognava e non
riusciva a raccogliere della fottutissima acqua!
Come non era riuscita a frenare la caduta di James, a impedire che
smettesse di respirare e smettesse di vivere per pochi istanti sotto ai
suoi occhi.
Perché lei era lì.
Era lì, mentre Elijah urlava sotto la pioggia e si macchiava
le mani con il sangue del suo migliore amico.
Era lì mentre il cuore di Albus Potter perdeva un battito, e
poi due, tre, di fronte al corpo di suo fratello.
Ed era lì, maledizione, c’era in infermeria,
quando aveva sentito quello che non aveva avuto il coraggio di dire a
nessun altro.
« Cinnamon,
non respira, il ragazzo non respira »
« Fallo
respirare, Lucinda »
Ma “fallo respirare” non assomigliava per niente a
“respira” e Jade lo sapeva che gli incantesimi non
sono eterni, che prima o poi finiscono, e, Dio, quello che aveva visto
steso su un letto dell’infermeria, non era un ragazzo, era
James.
James Potter.
Jamie che aveva sempre la testa fra le nuvole.
Jamie che non si svegliava la mattina.
Jamie il ragazzino che aveva deciso che lei sarebbe entrata nel suo
gruppo senza chiederle se fosse d’accordo.
Jamie che per lei era come un fratello, più di Elijah e
sicuramente più di Ian.
Jamie che era il suo migliore amico.
Lasciò che un singhiozzo, l’ennesimo, le bruciasse
la gola e infiammasse le labbra per poi rovinarle addosso
insieme all’acqua gelida.
Jamie che adesso respirava con un incantesimo.
Come c’erano arrivati a quel punto?
Come era stato possibile?!
Lasciò che le mani provassero di nuovo ad afferrare il
liquido trasparente che le scorreva sul viso, sul collo, tra i vestiti,
dento l’anima e sentì il respiro mancarle: anche
quello per un singhiozzo disperato, anche quello per continuare a
piangere.
E se ne rese conto solo in quel momento, che era così facile
sgretolarsi.
Troppo facile, diventare davvero cenere..
Londra, Ospedale magico
San Mungo, ore xx.xx
Harry continuava a fissare il pavimento da quando era arrivato al San
Mungo.
Era arrivato di corsa: si era smaterializzato e poi aveva corso.
Dio, la prima volta che aveva corso in un ospedale era stato
perché Ginny era in travaglio e urlava come
un’indemoniata e stava nascendo James..
Stava nascendo James..
Quando il patronus di Cinnamon era arrivato nel suo ufficio, quella
domenica mattina, perché lui era in ufficio spendendo il suo
tempo lavorando con Susan e Nott mentre sarebbe dovuto essere a scuola,
a vedere la prima partita di Albus, a vedere James che sfrecciava
cercando il boccino, come faceva tutti gli anni.. Quando la pantera di
Cinnamon Hastings era sbucata dalla parete e aveva detto che James era
al San Mungo, che Albus e Lily erano già lì, che
Ginevra era stata avvisata, gli era mancata la terra sotto i piedi.
Poi aveva cominciato a correre.
E aveva continuato fino a quando non aveva visto Al e Lily, seduti su
un paio di scomode poltroncine addossate alla parete, con i volti
stravolti: la sua bambina non l’aveva nemmeno guardato, gli
occhi verdi di Albus erano bastati a bloccargli il fiato in gola.
Aveva provato a chiedere cosa fosse successo, ma nessuno dei due
sembrava avere voce per rispondere.
Non sappiamo come sia
stato possibile, Harry, sai benissimo anche tu che Hogwarts
è impenetrabile: le difese vengono controllate e rafforzate
ogni anno.. Anche il campo è protetto.. Non so come sia
stato.. Davvero non.. Qualcuno gli ha lanciato una maledizione,
l’ha colpito in pieno petto.. deve aver perso i sensi e..
c’era una tale nebbia che nessuno riusciva a vedere a un
palmo dal naso.. L’abbiamo portato qui subito ma.. Mi
dispiace Harry.. Me ne assumo ogni responsabilità..
Non ricordava di aver mai visto la McGranitt piangere, eppure, quel
giorno, l’aveva vista crollargli davanti, come una donna
qualunque preda del senso di colpa e di quel senso di impotenza
così simile al suo.
Perché oltre la porta alla sua destra stava suo figlio e
lui, che era suo padre, lui, che aveva giurato di proteggerlo, lui, che
l’aveva già visto grande nel momento in cui lo
aveva preso in braccio la prima volta: lui non poteva fare niente per
salvarlo, per aiutarlo.
Perché la realtà, orrenda, cruda ed ingiusta, era
che, forse, non lo avrebbe mai visto grande, suo figlio, e non aveva
mai avuto così tanta paura in vita sua.
Chiuse gli occhi, il grande Harry Potter, il Salvatore del Mondo Magico.
Perché in quel momento era solo un uomo qualunque.
E non poteva fare altro che pregare.
Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts, Dormitorio femminile Grifondoro, ore xx.xx
Di fronte al dolore e all’incertezza, di solito, le persone,
fanno due cose.
O resistono e crollano in silenzio.
O cadono e basta.
Vanille ci pensava, guardando il soffitto della sua stanza, e cercava
di capire in quale dei due gruppi collocarsi, ed era un modo come un
altro per tenere occupata la mente, ignorare il fatto che non sapeva
dove fosse Rose, e stranamente non le importava, ignorare il fatto che
Scorpius probabilmente era con lei, e soprattutto ignorare che Albus
non c’era perché era stato portato in ospedale per
assistere alla morte di suo fratello.
Trasse un profondo respiro e chiuse gli occhi.
Non sapeva quante ore prima, James Potter era caduto dalla scopa
durante la partita e tutta la scuola l’aveva visto ridotto a
un mucchio di briciole sul terreno del campo da Quidditch.
Pensò cinicamente che, se fosse successo a qualcun altro, ad
uno di quei ragazzi che hanno un volto ma non un nome, uno di quelli
che nessuno conosce, forse sarebbe stato tutto diverso: forse se la
sarebbero cavati con qualche espressione sinceramente addolorata e Rose
avrebbe pianto a prescindere.
Ma non era caduto un ragazzo qualsiasi, non era caduto solo un corpo.
Era caduto James Potter.
Il ragazzo.
Quello che conosceva e conoscevano tutti, di vista, di fama, per averci
scherzato insieme almeno una volta, per averci giocato contro, per
averlo ammirato, adulato, sognato, invidiato, e forse per questo,
l’intero castello sembrava sospeso, in attesa di notizie:
buone o cattive, ma notizie.
E lei non sapeva come sentirsi: non sapeva quanto dolore avrebbe dovuto
provare.
Die Vanille non aveva grandi rapporti con James Potter: ogni tanto
parlavano, ogni tanto scherzavano, ogni tanto si divertivano, insieme.
Nonostante James sembrasse provarci, lei l’aveva sempre
considerato un modo come un altro per prendersi un po’ in
giro a vicenda, non l’aveva mai preso sul serio:
perché lei, tra tutte le belle ragazze che c’erano
a scuola?
Eppure..
«Un ballo con
me, Vì, me lo concedi?».
«Va bene,
James, ma non aspettarti che io cada ai tuoi piedi come una pera cotta
».
«Vedremo, Die
Vanille.. So essere estremamente affascinante, sai?».
Era stata la Festa d’Inizio dell’anno prima, quando
era entrata in squadra come riserva, e allora avevano solo riso,
insieme.
Ed ora James stava morendo e lei non sapeva ancora se era stato tutto
un gioco o no..
Se avrebbe preferito che fosse tutto uno stupido gioco o ammettere che
forse, quella sera, aveva cominciato a cadere come una pera cotta senza
accorgersene.
Si rese conto di star piangendo quando le lacrime le si infilarono tra
i capelli.
Poi giunse, in silenzio, alla conclusione che chi era capace di
resistere senza incrinarsi o spezzarsi dovesse avere qualcosa di
invincibile incastrato tra il cuore e la testa.
E lei, di invincibile, non aveva proprio niente.
It's everything you wanted,
it's
everything you don't
It's one
door swinging open
and one
door swinging closed
Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Grifondoro, ore xx.xx
Sembrava che tutto si fosse fermato, cristallizzato.
Era seduta davanti al camino con indosso una tuta vecchia ma comoda, e
non riusciva a smettere di bruciarsi gli occhi tra le fiamme
incandescenti che, seppur vicinissime non riuscivano a riscaldarla.
Ian ed Elijah erano seduti con lei sul tappeto, uno alla sua destra,
uno alla sua sinistra.
Roxanne era raggomitolata su una poltrona, rigida come se avesse paura
di muovere un muscolo: aveva smesso di urlare sì, ma nessuno
l’aveva più sentita parlare.
Lorcan non se n’era andato, e sedeva per terra, la schiena
appoggiata contro la poltrona su cui stava la ragazza, le era vicino
nella maniera più discreta possibile, e giocava a scacchi
con il gemello, Lys, che guardava i pezzi bianchi e neri con sguardo
perso.
Frank se ne stava seduto sul divano e continuava ad accarezzare i
capelli lunghi di Evangeline che, appallottolata tra le sue braccia,
sembrava essersi addormentata, Vanille, stesa all’altro capo,
guardava il soffitto con aria assorta.
Molly Weasley, Jade non lo sapeva quando era arrivata, stava
compostamente sull’altro divano e leggeva, tenendo gli occhi
fissi sulla stessa pagina da più di un’ora, vicino
a lei Louis e Lucy sembravano analizzare lo stesso libro, mentre la
ragazza teneva la testa sulle gambe del cugino e le gambe a penzoloni
oltre il poggia gomiti scarlatto.
Rose guardava ancora fuori dalla finestra, mentre Hugo le dormiva sulla
spalla e Scorpius le faceva compagnia, seduto di fronte a lei.
L’unico distante era Mordecai che, dopo averla portata alla
Torre e averla rimessa un minimo in sesto, visto che tutti erano troppo
presi dai propri pensieri per occuparsi di lei che non stava nemmeno in
piedi dopo ore di doccia gelida, era rimasto lì e stava
seduto al tavolo sfogliando pigramente un paio di grossi volumi, per
occupare il tempo e non perdersi a fissare il vuoto come tutti loro.
Jade non ricordava di aver mai sentito così tanto silenzio
in vita sua: non in quel posto almeno, non a quell’ora, non
dopo una partita di Quidditch.
Era un silenzio teso, pieno di singhiozzi e sospiri, di parole lasciate
a fior di labbra per paura di essere dette.
Era un silenzio pesante, che schiacciava fastidiosamente il petto e
rendeva difficile respirare, non impossibile, solo più
faticoso.
Era un silenzio che li lasciava tutti sull’orlo del baratro,
a un soffio dalla caduta, a guardare il vuoto sotto di loro con lo
stomaco improvvisamente ridotto ad un bicchierino da caffè,
ma che comunque li teneva piantati con i piedi a terra.
Jade odiava il silenzio.
Londra, Ospedale magico
San Mungo, ore xx.xx
Albus continuava a non rendersi conto del tempo che passava, dei
secondi, dei minuti delle ore che erano sicuramente passate da quando
era arrivato lì.
E di nuovo accadde tutto troppo in fretta.
Troppo velocemente perché potesse prenderne coscienza.
Il ticchettio dei tacchi di sua madre cessò senza riprendere.
Le mani di suo padre smisero di darsi a vicenda il tormento.
Le dita di sua sorella abbandonarono il suo braccio.
Voltò la testa verso sinistra, verso la porta della sala
dove stavano tenendo James e sentì che finalmente il mondo
aveva ricominciato a muoversi: se stesse per crollare definitivamente o
rinsaldarsi un poco non era certo di volerlo sapere.
La fiammella tremula sopra la porta che ora tutti e cinque guardavano
si era spenta.
Semplicemente spenta.
Soffiata via da un alito magico che poteva sapere solo di due cose.
Vita o morte.
Ed Al trattenne il respiro.
Some
prayers find an answer
Some
prayers never know
We're
holding on and letting go
Yeah,
letting go
(Holding
on and letting go- Ross Copperman )
Note dell'autrice:
Salve a tutti, chiedo scusa per la settimana di ritardo, ma ho avuto
dei problemi in famiglia e un sacco di altri casini che mi hanno tenuta
forzatamente lontana dal pc, nemmeno qualcuno avesse deciso che questo
capitolo non si doveva fare.. spero mi perdonerete..
Comunque..parliamo di questo capitolino, vi va?? Allora, parto con il
dire una cosa che avrete capito tutti, si tratta di un mio blasfemo
tentativo di introspezione psicologica... ora, io preferisco le scene
comico, ironiche, d'azione, un po' movimentate e i dialoghi, ma dopo lo
scorso capitolo in cui il dolce Jamie è finito a fare la
parte della frittata, capirete anche voi che un minimo di riflessione e
depressione profonda ci voleva, no?? Quindi mi dispiace di avervi
propinato questa...cosa,
ma non ho proprio potuto farne a meno.
Nonostante questo: fatemi sapere cosa ne pensate e
RECENSITEEEEEEEEEEEEEE :) :)
Poi, giusto se qualcuno si stesse chiedendo chi sia Lucinda...beh,
è la signorina Talleyrand, la mia guaritrice ad Hogwarts,
così tanto per.. :)
Io non ho altro da aggiungere, se non che ringrazio le anime buone che
hanno recensito lo scorso capitolo e a cui devo ancora rispondere (lo
farò il prima possibile, promesso!!) e poi ci segue e
preferisce questo mio tentativo si scrittura creativa :) :)
Detto questo, tanti bacioni a tutti,
Najla
PS: Giusto per farmi perdonare della settimana di ritardo
e per risollevare qualche cuore dopo questo capitolo atroce... di norma
tendo a non
uccidere i miei personaggi, mi sembra di commettere un
omicidio e poi mi affeziono alle mie creaturine e sono una fan delle
Happy Ending quindi, non dico che non morirà nessuno prima
della fine...ma chi ha orecchie per intendere..intenda ;)
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Capitolo 14 *** Qui va sempre tutto bene ***
Note prelettura..
Giusto perché poi non si dica che inserisco personaggi a
caso di cui mi dimentico, ricordo ai miei lettori tre personaggi che ho
introdotto nel prologo “Perché
non bisognerebbe essere Auror” e poi nel terzo
capitolo, “Come
ci siamo arrivati”, e sono rispettivamente: Edward
Harker, amico e coetaneo di Teddy Lupin, è
l’Auror che viene ferito dal losco figuro che ha compiuto la
strage di Azkaban nel prologo, Nihila
Kaur, la medimaga che si è occupata di lui al
San Mungo e che è una vecchia compagna di scuola sia di
Edward che di Teddy (giusto per rispolverare antiche memorie: era la
fidanzata di Edward ad Hogwarts, l’ha lasciato senza
preavviso partendo per l’India a causa del matrimonio
combinato che le avevano organizzato i suoi genitori, liberatasi dai
legami familiari è tornata a Londra per riappacificarsi con
Edward, salvo poi sapere da Victoire che in quel periodo frequentava
un’altra ragazza, e rinunciare definitivamente a fare pace
con i suoi due amici, che hanno deciso di disconoscerla quando se
n’è andata), e infine Leigh Dale,
che viene citata nei pensieri di Nihila ( ..se Leigh l’avesse
vista in quello stato le avrebbe fatto una ramanzina infinita, ne era
certa. Cit. Terzo Capitolo ) e anche in quelli di Mirtilla
Malcontenta, nel Quarto Capitolo “Un’allegra
famiglia felice”.
Tutto questo per anticiparvi che si scoprirà chi
è Leigh (per chi non si fosse già costruito un
filmino mentale, ma dubito ), che legami ha con i personaggi e
perché Katherine Wetmore non insulta mai Rowena Dale di
fronte a Damian Zabini…
Buona lettura e ci rivediamo alla fineeee!!
Undicesimo Capitolo
Qui va sempre tutto bene
Quando
non vogliamo sapere una cosa – fingiamo di non saperla.
– E se la finzione è più per noi stessi
che per gli altri,
creda pure, è proprio, proprio come se non si
sapesse.
(Luigi
Pirandello )
12 Novembre XX
Londra, Ospedale magico
San Mungo, ore 12.13
Albus prese a massaggiarsi le palpebre, inspirando ed espirando
lentamente, neanche stesse provando qualche innovativa e miracolosa
tecnica di rilassamento che se proprio non doveva servire a fargli
raggiungere la pace interiore almeno avrebbe potuto salvargli le
sinapsi che non si erano bruciate nel vano tentativo di mantenere la
calma e non esplodere come uno dei botti di Capodanno.
Non sapeva esattamente se era pronto a fare una strage, no, la sua
pazienza era provata da anni e anni di convivenza con James Potter e
aveva raggiunto limiti sconosciuti all’animo umano, ma era
decisamente pronto a prendere a pugni qualcuno: magari quel qualcuno
che si era divertito a dire che il concetto di niente è
relativo. Perché, Porca Morgana, se ne stava pian piano
rendendo conto: non c’era niente di relativo
nel niente.
«Al, vai a dire all’infermiera che le carote non mi
piacciono.. voglio le zucchine ».
Niente
aveva un significato ben preciso, un irritante e ammorbante significato.
«Poi tira le tende: mi arriva il sole sugli occhi ».
Niente
aveva un tono non troppo velatamente altezzoso e giusto un filino
arrogante, giusto solo un po’.
«Quando vai dall’infermiera dille che a colazione
preferisco qualcosa che abbia la cioccolata: dille che se lo segni da
qualche parte ».
Niente si
stava comportando come un bambino viziato da tre giorni ed Al sentiva
il bisogno di togliergli la voce.
«Al, poi vai a cercare della pergamena: dobbiamo rispondere
alle mie ammiratrici ».
Niente
aveva ogni osso del corpo rotto ma l’ego integro e accecante
come non mai.
«Ah…Al, grattami il naso ».
Niente era
una catastrofe se collegato a James.
Albus trasse l’ennesimo, profondissimo, respiro, prima di
riaprire gli occhi e far leva su tutta la sua buona volontà
per non rispondere urlando al fratello, steso sul letto di fronte a lui.
Alla fine James non era morto, o meglio, i medimaghi gli aveva
aggiustato tutti i muscoli intercostali e riattivato il cuore in modo
che potesse respirare e continuare a funzionare come si deve, quindi,
sostanzialmente, lo avevano quasi resuscitato, ma comunque era ancora
vivo e vegeto.
Integro un po’ meno.
In realtà non c’era osso in James Potter che non
fosse lussato, incrinato, crepato, spezzato o microfratturato, e questo
era il vero problema.
Dopo le oltre sette ore di intervento a cui il ragazzo era stato
sottoposto appena arrivato al San Mungo, i medici avevano convenuto che
non fosse il caso di far subire al suo corpo già provato
ulteriori cure magiche con il rischio che le rigettasse, inoltre, aveva
perso talmente tanto sangue, che gli ci sarebbero voluti almeno tre o
quattro giorni di rimpolpasangue per tornare in forze abbastanza da
sostenere almeno una parte degli interventi necessari a ricostruire il
suo scheletro.
Quindi, finché i maghi del San Mungo non lo avessero
ritenuto pronto a sopportare un po’ dello stress
post-operatorio, James sarebbe stato costretto a letto, ingessato dal
collo in giù, incapacitato a fare anche i movimenti
più stupidi, tipo, per l’appunto, grattarsi il
naso.
Non poteva fare proprio niente,
niente.
«Albus, me lo gratti o no il naso? ».
E se James non poteva fare niente, qualcuno doveva sorvegliarlo ogni
secondo del giorno e assecondare tutte le sue richieste, no?
«Non te lo gratto il naso, James, fattela passare »
rispose tranquillo Albus infilzando una carota e ficcandogliela in
bocca con mala grazia, giusto per il gusto di farlo star zitto dieci
secondi.
James roteò gli occhi e ingoiò a forza la
rondella di vegetale prima di provare a incenerirlo con la forza del
pensiero: perché, tanto, altro non avrebbe potuto fare.
«Lo sai che non mi piacciono le carote »
sibilò con un che di oltraggiato che il fratello
ignorò senza troppi problemi.
«Ma ti fanno bene » rispose il moro con
semplicità, «E i medici hanno studiato di
proposito una dieta per permetterti di alzarti da lì il
prima possibile: il minimo che tu possa fare è stare zitto e
mangiare ».
Per quanto, all’esterno, potesse sembrare il contrario, Albus
era davvero grato al cielo che suo fratello non fosse più in
pericolo di vita, non sapeva dire quanto aveva pregato i due giorni
dopo l’operazione perché si svegliasse e fosse
tutto normale, quanto aveva implorato chiunque che non avesse una
ricaduta e tornasse in stato vegetativo, e nessuno sapeva, esclusa Lily
perché era con lui, quanto aveva pianto di sollievo quando
una settimana prima una medimaga era uscita dalla sala alla sua
sinistra e aveva detto loro che il cuore di James funzionava ancora, e
quanto lo aveva fatto quando suo fratello aveva aperto gli occhi,
confuso, stanco, dolorante, ma cosciente.
Checché se ne dicesse, Albus voleva un bene
dell’anima a James, ed era stato talmente felice che fosse
vivo, che si era reso disposto ad accudirlo senza batter ciglio: sua
madre non aveva avuto nemmeno il bisogno di chiederglielo.
Tuttalpiù che vedendola con le occhiaie da panda dopo sei
giorni di veglia ininterrotta, Al si era sentito in dovere morale di
mandarla a casa a riposarsi per una giornata e a prendersi
l’onere di sorvegliare il malato mentre suo padre era a
lavoro e Lily si occupava di rassicurare i mille amici e conoscenti
sulla situazione della povera vittima di tentato omicidio.
E sarebbe andato tutto più o meno civilmente se James non si
fosse svegliato, quella mattina, con il malsano proposito di essere più James
del solito.
Al non sapeva se stesse cercando di farlo impazzire per divertimento o
lo stesse punendo per qualcosa, magari non avergli impedito di fare la
fine della frittata, per esempio, ma si augurava davvero che non si
trattasse della seconda opzione: facile com’era a farsi
colpevole dei mali del mondo, era certo che suo fratello che cadeva da
una scopa sarebbe stato il suo incubo ricorrente per i prossimi dieci
anni, come minimo.
«Almeno mettici insieme un po’ di
carne..» ribatté James un po’
più mogio, sforzandosi di tirar su la testa per vedere cosa
stesse combinando il fratello con il piatto del pranzo.
Albus obbedì in silenzio: l’unica cosa che lo
consolava, era che se James era capace di rompere le pluffe in quella
maniera, sicuramente si stava riprendendo più che bene.
Non avrebbe voluto immaginarlo senza la flebo di antidolorifici che lo
teneva così tranquillo, appena infastidito da quello che era
di sicuro un dolore insopportabile: scosse la testa e cercò
di seppellire il pensiero di James che si contorceva urlando a pieni
polmoni.
«Noi domani torniamo a Hogwarts, te l’ha detto
papà? Mamma dice che non ha senso perdere ancora giorni di
scuola visto che non possiamo fare niente e che tu non sei
più a rischio » buttò lì
ignorando un brivido freddo: l’immagine di James spacciato
ancora troppo vivida, troppo reale.
«Ah..» fece l’altro rilassando il collo
contro il cuscino, masticando svogliatamente un pezzo di carne talmente
al naturale da sembrargli di mangiar aria, «Salutatemi gli
altri..».
Albus si mise a fissare il piatto e a giocherellare con i pezzetti di
carne, incastrandoli con le carote, giusto per evitare di dover
guardare l’altro in faccia, «Certo..».
James ruotò il capo in silenzio, ignorando il gesso che gli
dava un fastidio bestiale, e sopprimendo la tentazione di provare a
muoversi, alzarsi in piedi, prendere Al per le spalle e dargli una
bella scossa per farlo rinsavire un pochino.
Non era uno stupido, James, e se n’era accorto già
la prima volta che lo aveva intravisto, tra i fumi
dell’incoscienza e degli antidolorifici, quando aveva notato
gli occhi grandi e verdi di suo fratello gonfi come se non avesse fatto
altro che piangere per due giorni: non gli era nemmeno servito che Lily
gli dicesse che li aveva fatti spaventare a morte per capire che ad
Albus il cuore doveva aver giocato brutti scherzi fino a
martedì sera, quando si era svegliato.
Alla fine, per quanto si pestassero più o meno violentemente
ogni volta che ve n’era occasione, per quanto non fossero mai
andati troppo d’accordo in sedici anni, rimanevano sempre
fratelli e probabilmente l’unico loro problema era che erano
troppo diversamente uguali e testardi per riuscire a non tormentarsi un
pochino a vicenda: che poi a James la cosa venisse proprio spontanea,
era un altro discorso.
In definitiva, Jamie era convinto che se ad Al fosse successo qualcosa
di grave, avrebbe avuto un’espressione più o meno
simile a quella che l’altro aveva in quel momento: senso di
colpa, paura, la convinzione di essere inutili, fuori posto, un
incapace..
Continuò a guardarlo in silenzio, per un po’, poi,
visto che proprio non poteva vederlo fare la vittima quando era lui
quello moribondo, decise che avrebbe provato a parlarci: avrebbe
preferito qualcosa di più fisico, ma era momentaneamente
impossibilitato.
«Al.. smettila » lo richiamò pacato e lo
vide bloccare la mano che giocherellava con la forchetta, trattenendo
appena il fiato, «Non è colpa tua, ok? So che ti
ho fatto spaventare e tutto il resto, ma adesso smettila: sono vivo,
sto bene, relativamente, e rimetteranno tutti i pezzi insieme.. puoi
stare tranquillo..».
Albus lasciò cadere la forchetta sul piatto e
alzò lo sguardo verso di lui, gli occhi verdi decisamente
irritati: James cercò di capire dove avesse sbagliato, di
nuovo.
Era assurdo, anche con le migliori intenzioni di questo mondo, con
Albus lui sbagliava sempre.
«Tranquillo?» mormorò a denti stretti il
ragazzo, «Cristo, James! Ma sei deficiente o cosa?! Non so se
hai davvero realizzato che sei morto, ok? » e James
cominciò a capire quale fosse il problema, «Morto! Non
è una barzelletta, non è una botta in testa!
E’ il tuo fottutissimo cuore che smette di battere, ok? Come
puoi dirmi di star tranquillo dopo una cosa del genere?! Non
starò tranquillo per il resto della mia vita! Hai la minima
idea di cosa abbia voluto dire vederti lì, per terra?!
» James decise di lasciarlo sfogare, era la prima volta che
loro due rimanevano da soli, da quando si era svegliato, e forse suo
fratello sentiva solo il bisogno di urlargli contro come facevano di
solito, «Ho avuto una paura tremenda di doverti fare il
funerale: tu non ne hai nemmeno idea..».
Solo riprendendo fiato Albus si rese conto che la faccia di suo
fratello non aveva fatto una piega, nonostante lo guardasse con
qualcosa negli occhi che sembrava sincero affetto, e che non aveva
nemmeno provato a zittirlo: realizzandolo si sentì
improvvisamente più leggero.
Se stava urlando in faccia a James, doveva per forza essere vivo, no?
Se solo loro due fossero stati capaci di dirsi le due parole
più difficili del mondo abbastanza forte perché
anche l’altro potesse sentirle, il
“grazie” che sussurrava timidamente la mente di
Albus avrebbe preso forma anche sulle sue labbra.
«Mi vuoi proprio bene, eh?» ghignò
James, senza alcuna traccia di scherno nella voce, solo la voglia di
spezzare la tensione.
«Sei mio fratello »sospirò Al
allontanando il vassoio magico con una mano, stravaccandosi sulla
poltroncina dove stava, «Sei un idiota egocentrico e
mitomane, ma sei sempre mio fratello.. no? Presumo di doverti voler
bene per forza..».
James sorrise piano.
Forse era la prima conversazione civile che avevano da almeno un
decennio.
«Dai, dammi un’altra carota,
va’..».
Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts, davanti al portone d’Ingresso, ore
14.06
Dopo quanto successo a James Potter, quasi una settimana prima, il
Ministro e il Dipartimento Auror avevano deciso di stanziare una serie
di agenti della polizia magica lungo il perimetro della scuola, per
controllare la situazione finché non si fosse scoperto cosa
era successo durante quella partita di Quidditch, che, nonostante gli
sforzi, rimaneva avvolta nel mistero.
Erano stati interrogati tutti gli studenti presenti alla partita, gli
insegnanti, i giocatori, persino James aveva fornito una sua versione
dei fatti il giorno prima, ma ancora non erano venuti a capo di niente:
era come per Azkaban, qualcuno appariva magicamente e allo stesso modo
spariva, senza lasciare traccia e senza capire come diavolo avesse
fatto a trovarsi in quel posto in quel momento.
Sembrava di avere a che fare con un fantasma.
Un fantasma pluriomicida assetato di vendetta, ovviamente.
Teddy si guardò intorno nervoso, come se si trovasse in una
di quelle scomode situazioni in cui non voleva assolutamente stare,
tipo le cene con la madre di Victoire che gli chiedeva quando aveva
intenzione di sposare la sua bella figliola, anziché essere
all’entrata della scuola che aveva frequentato per sette anni.
Ed era universalmente riconosciuto che chiunque avesse passato degli
anni in quel posto lo considerasse alla stregua di una seconda casa, un
posto dove era bello e nostalgico fare ritorno: lo zio Harry ne parlava
ancora con sguardo trasognato, e lui lì dentro
c’aveva anche combattuto una guerra.
Ted, invece, non voleva proprio starci lì, dentro a quel
castello, sentiva persino prudergli la pelle, come una sorta di
orticaria o allergia, a stare lì. Se avesse saputo che il
Capo Auror l’avrebbe mandato a sorvegliare il perimetro della
scuola di magia insieme ad una squadra di sei membri della polizia
magica, tra cui Ed, intento a controllare la strada che portava al
campo da Quidditch, avrebbe educatamente rifiutato e sarebbe rimasto a
fare la guardia ai topi nella macabra e sudicia Azkaban.
Non che non avesse vissuto i migliori momenti della sua vita in quella
scuola, solo che tanti momenti portano con sé tanti ricordi,
spesso troppi, e i ricordi, Ted lo sapeva per esperienza, portano con
sé rimpianti, tanti e insormontabili rimpianti.
Tutta una serie di cose che si sarebbero dovute fare e che invece non
si sono fatte, una lunga catena di istanti che si possono solo
guardare, non cambiare, non modificare, solo osservare in silenzio e
riflettere: fondersi il cervello alla ricerca di una soluzione che, in
realtà, non esiste e non può esistere.
Nonostante tutto, quando aveva scoperto che suo zio lo avrebbe spedito
ad Hogwarts non aveva fiatato, non aveva protestato, anzi, si era
dimostrato ben determinato a svolgere al meglio il suo compito e la
ragione di tutto era James.
Aveva accettato di andare lì solo per tamponare quel vecchio
e nuovo senso di impotenza che lo aveva colto quando gli avevano detto
che Jamie, maledizione, lo stesso Jamie che gli stava incollato peggio
di una sanguisuga da quando aveva imparato a camminare, stava morendo.
Da bravo uomo che era, era andato a piangere da Nihila quando gli
avevano detto che se la sarebbe cavata.
Perché proprio lei?
Facile, perché lei, alla fine, poteva capire
perché quella situazione l’avesse terrorizzato
più di quanto non sarebbe successo normalmente.
Nemmeno fosse cresciuto collezionando traumi psicologici..
Sospirò di nuovo, guardandosi attorno con aria annoiata: il
suo turno era cominciato quella mattina ma, a parte gli studenti che
qualche minuto prima avevano preso le carrozze per andare ad Hogsmade,
non era successo niente di interessante e lui, sostanzialmente, si
stava rigirando i pollici da oltre sei ore.
Se non avesse avuto un’immagine da difendere, si sarebbe
persino messo a cantare, così, tanto per passare il tempo..
«Theodore Lupin? » una voce delicata, leggermente
stupita, lo costrinse a voltarsi verso la scala alle sue spalle, quella
che portava al primo piano del castello.
Una ragazza, probabilmente del settimo anno, anzi, sicuramente
dell’ultimo anno, stava in equilibrio sull’ultimo
gradino, i capelli castani fermati appena dietro alla testa e gli occhi
spalancati: indossava un mantello blu scuro, con gli almanacchi argento
e un paio di stivali alti.
Era veramente diventata una bella ragazza.
«Rowena Dale? » Ted sembrava ancora più
sconvolto nel vederla proprio lì, davanti a lui, dopo tanti
anni, nemmeno si fosse dimenticato che la piccola Row aveva
l’età di James e Roxanne.
«Sì.. Sei un Auror, adesso? » chiese
tranquilla raggiungendolo all’entrata, costretta a guardare
verso l’alto perché il ragazzo era un lampione e
lei, lo ammetteva senza problemi, era più bassa dei suoi
coetanei.
«A quanto pare.. » mormorò lui
incrociando le braccia al petto e guardando fuori dalla finestra: non
riusciva ancora a guardare quella ragazzina negli occhi dopo sei anni:
altro che Grifondoro, a Tassorosso lo dovevano smistare quella volta..
«Ti sei tagliato i capelli » osservò
innocentemente Rowena con un mezzo sorriso, «Ricordo che li
avevi molto più lunghi.. Una volta credo si averti visto
pure con le trecce.. ».
«Colpa di tua sorella, sarà stata »
bofonchiò al pensiero di quanto doveva esser stato ridicolo,
quella volta: ne aveva un vago ricordo e sperava che Leigh non avesse
scattato qualche foto compromettente..
Si bloccò seguendo il filo dei propri pensieri, rendendosi
conto solo in quell’istante di cosa avesse detto e pensato:
non poteva essere stato tanto idiota da nominarla di fronte alla
sorella.
Lanciò un’occhiata sottecchi a Rowena che lo
guardava con un sorriso amaro, gli occhi senza alcuna traccia di
rimprovero, solo.. più
tristi.
Si sentì un verme.
«Nonostante tutto sono certa che ti avrebbe preferito con i
capelli corti, credo approverebbe » disse tranquilla, come se
nulla fosse, solo gli occhi si erano incupiti, e Ted non
poté fare a meno di invidiarla: a lui veniva ancora da
piangere.
«Mi dispiace Rowena.. » mormorò a testa
bassa, da bravo vigliacco qual era.
«Non è colpa tua, Lupin » rispose lei in
un soffio, «Non è stata colpa di nessuno di
noi..».
Ted scosse la testa, erano le stesse parole che si ripeteva da circa
sei anni: peccato non c’avesse mai creduto.
Inizio Flashback
21 Dicembre 2016
Londra, Diagon Alley,
ore 16.32
Aveva nevicato tutta la mattina e le strade affollate del quartiere
magico di Londra erano occupate dai pochi maghi e dalle poche streghe
che avevano avuto il coraggio di sfidare il freddo e i pochi fiocchi
che leggeri cadevano ancora di tanto in tanto.
Se non ci fosse stato così abituato, ad un paesaggio da
cartolina come quello, con le vetrine illuminate, il vociare allegro di
sottofondo e i colori natalizi che decoravano le vie augurando buone
feste ai passanti, Ted ne sarebbe rimasto persino colpito, ne sarebbe
stato entusiasta.
In realtà, non riusciva a fare a meno di pensare che aveva
passato la mattina in una delle sale conferenze del Ministero a seguire
una noiosissima lezione, per lui del tutto inutile, c’era
andato per fare compagnia ad Ed, su tutti i modi possibili per
camuffare il proprio aspetto durante le indagini che avrebbero dovuto
compiere una volta diventati Auror, e che ora, dopo un pranzo al volo
al Paiolo con alcuni compagni di sventura, in aula insieme a lui, si
trovava a scorrazzare, con i piedi ridotti a due blocchi di ghiaccio e
i capelli umidi di nevischio, in giro per negozi.
E tutto solo perché Leigh gli aveva strappato la promessa di
andare a cercare il regalo per sua sorella insieme, come ogni anno. La
ragazza aveva strategicamente sostenuto che lui le portava fortuna, e
che senza di lui non sarebbe mai riuscita a trovare il regalo perfetto
per la sorellina: la piccola Rowena che quell’anno era andata
ad Hogwarts per la prima volta.
Ci voleva un regalo bello grande e speciale.
A Ted ormai veniva da piangere, stavano uscendo dal dodicesimo negozio,
di nuovo, a mani vuote.
«Sai che ti voglio bene, sul serio »
esordì lui prendendola a braccetto per dirottarla verso un
piccolo bar che avevano aperto vicino alla Gringott, nonostante lei
avesse stabilito che non ci sarebbero state pause caffè
nella loro giornata di shopping, «Ma non sento più
le dita dei piedi, quindi adesso, io e te, ci regaliamo una cioccolata
calda ed evitiamo l’ipotermia ».
«Ammetti che per te ogni scusa è buona per sederti
e poltrire » bofonchiò lei spingendo la porta
della caffetteria: il campanello sopra la porta trillò
allegro.
Presero posto ad un tavolino in fondo, vicino alla stufa accesa
perché Ted stava veramente morendo di freddo e Leigh
ordinò per tutti e due un the, affermando che sarebbero
ingrassati abbastanza con le vacanze di natale e non serviva a nessuno
dei due una cioccolata calda che finisse sui fianchi: Teddy
preferì non ricordarle che lui poteva cambiare il suo
aspetto e il grasso poteva nasconderlo a suo piacimento.
Aveva conosciuto Leigh Dale sul treno per Hogwarts sette anni prima:
lei era piombata senza chiedere niente nel suo scompartimento
trascinandosi dietro un Edward tutto impettito che non faceva altro che
lamentarsi e aveva deciso che sarebbero diventati amici, se non altro
perché i capelli di Ted che cambiavano colore la divertivano
un sacco.
Lui non aveva potuto farle cambiare idea, e lo dimostrava il fatto che
ora, a sette anni di differenza, con un’esistenza da
Grifondoro alle spalle e un futuro da Auror e Spezzaincantesimi
davanti, loro due si trovavano ancora insieme davanti ad una tazza di
the a DIagon Alley.
Leigh si tolse il mantello rosso scuro e lo appoggiò sullo
schienale della sedia prima di riportare distrattamente la lunga
treccia bionda sulla spalla sinistra e prendere a tamburellare le dita
sul legno scuro del tavolino, ansiosa.
«Non so cosa prendere a Row » ammise dopo un
po’ incrociando le braccia sopra il tavolo e nascondendoci in
mezzo la testa: Ted fu veloce nello spostare la tazza di the appena
arrivata per impedire che la ragazza ci andasse a sbattere con la
fronte.
Era sempre stata sbadata, Leigh.
«Tranquilla, è due ore che giriamo a vuoto ma non
lo aveva capito.. » ironizzò lui soffiando via il
vapore dalla sua tazza prima di prenderne un sorso bollente: finalmente
qualcosa che non era congelato.
«Al posto di infierire dammi una mano, no? Che razza di
brutta persona sei? » borbottò lei squadrandolo
con gli occhi verdi, sbucati a caso dalla stoffa blu del maglione che
aveva addosso.
«Mi spieghi perché ogni anno l’ultimo
regalo a cui pensi è quello per tua sorella? Sai che
è quello che ti impegna di più, pensati
prima..» la rimproverò bonariamente e lei si
rimise dritta sospirando.
«Lo so, lo so.. è che tutto mi sembra
“non abbastanza”, capisci? Insomma, è il
suo primo anno ad Hogwarts, deve essere qualcosa di speciale: voglio
che se lo ricordi questo natale..».
In quel momento Teddy realizzò una cosa sconcertante.
«Oddio..» mormorò di punto in bianco
appoggiando la tazza vicino a quella di Leigh, «Questo
è il nostro primo natale fuori da Hogwarts..».
«Wow.. che intuito.. e allora?» rispose lei
scaldandosi le mani con la tazza fumante.
«Siamo vecchi, Leigh!» esclamò con
orrore e la ragazza inclinò appena la testa verso destra,
per niente convinta.
«Tu sarai vecchio..» obiettò tranquilla,
«Io ho diciotto anni e tutta l’intenzione di
godermeli ».
«No no.. è tremendo.. comincio a sentire il peso
degli anni..».
«Teddy.. che peso vuoi sentire? Abbiamo la vita davanti! Se
dici che siamo vecchi adesso, a sessant’anni che dirai?
».
«Non capisci, è destabilizzante questa
cosa..» mormorò lui con una faccia sconvolta che
fece scoppiare a ridere la ragazza che gli stava davanti.
Era sempre stato un po’ melodrammatico, Teddy.
«Allora, facciamo che tu ti destabilizzi qui al caldo e io
faccio un salto al negozio qui davanti » sorrise finendo di
bere il suo the in un lungo e caldo sorso: aveva un sacco di cose da
fare, era quasi natale e lei adorava il natale.
Come ogni anno si era presa in ritardo e doveva ancora comprare tutto:
il regalo per suo padre l’avrebbe preso al Ghirigoro, aveva
già deciso, il mantello nuovo per la mamma era nascosto nel
suo armadio e il calderone nuovo per suo cugino Auggie sarebbe arrivato
entro il 25, glielo avevano promesso. Il regalo per Edward lo aveva
preso Ted, era un qualche aggeggio per la sua carriera da Auror di cui
lei non aveva capito niente, mentre per Nihila, beh, sperava solo che
la boccetta di profumo al calicanto che aveva trovato
nell’erboristeria girando quella mattina, non si rompesse con
il gufo intercontinentale: per quanto ne dicessero i ragazzi, lei
rimaneva la sua migliore amica ed era convinta che il ritorno in India
fosse stato un sacrificio più grande per lei che per loro.
Certo, avrebbe almeno potuto avvisare Edward e lei glielo aveva
ripetuto per più di un anno che quella di prendere e
andarsene non era una bella idea, ma Nihila era testarda e non era
riuscita a farle cambiare idea.
Se i ragazzi avessero saputo che lei sapeva tutto fin
dall’inizio, l’avrebbero disconosciuta, come
avevano fatto con la Kaur.
«Qui davanti c’è il negozio per il
Quidditch.. da quando alla piccola Row piace il Quidditch? »
chiese Ted meditabondo osservandola mentre si alzava e si rimetteva il
mantello sulle spalle: non era molto alta, Leigh, eppure nascondeva la
forza di un uragano.
«Mia sorella odia il Quidditch »
ridacchiò Leigh sistemandosi i capelli prima di afferrare la
borsa.
«E allora perché.. » provò a
dire Ted ma la ragazza fu più veloce, gli stampò
un bacio sulle labbra per zittirlo e gli sorrise scompigliandogli i
capelli.
«Perché il regalo di Row non è
l’unico che mi manca, ciccio » rispose andando
verso l’uscita, «E grazie per avermi offerto il
the! » aggiunse uscendo dal locale salutando con un cenno la
barista.
Ted continuò a sorridere come un ebete godendosi il suo the,
e doveva avere davvero la faccia di un idiota perché la
barista, asciugando due tazze lo guardò e scosse la testa.
Il ragazzo non se ne curò nemmeno, non sapeva quando le cose
tra lui e Leigh erano cambiate a tal punto da farli mettere assieme
come una coppia, ma era abbastanza sicuro di non essere mai stato
così stupidamente felice come in quel momento.
Quando Leigh uscì dal negozio di articoli per il Quidditch
era abbastanza sicura di trovarsi Teddy in piedi sulla porta, con un
sorriso enorme e tutte le intenzioni di scoprire cosa aveva comprato.
Invece constatò con uno sbuffo contrariato che quel cretino
del suo neo-fidanzato probabilmente era ancora incollato alla stufa di
quel bar, intento ad accumulare la maggior quantità di
calore possibile.
Sorrise appena nel rendersi conto che aveva definito Teddy il suo
fidanzato con una naturalezza tale da farle tenerezza.
Non avevano programmato nulla, loro due, era semplicemente successo,
una sera di quasi un mese prima in un locale, ed era stato
così naturale per lei girarsi e stampargli un bacio sulle
labbra che non se n’era nemmeno accorta: ad un certo punto
aveva inconsciamente deciso che era abbastanza grande per capire
ciò che voleva e prenderselo.
Ted non era sembrato per niente dispiaciuto.
Le veniva da ridere, come una stupida: lei, la Leigh Dale immune agli
uomini da sempre, che si scopriva innamorata del suo migliore amico! Ma
neanche in un romanzo rosa succedevano cretinate simili!
Lo schiocco prepotente di un incantesimo attirò la sua
attenzione verso le gradinate della Gringott in tempo per vedere una
strega andare a cozzare contro il selciato davanti alla banca,
rotolando per qualche metro, inerme.
«Signorina Eliza!» urlò una bambina
disperata e spaventata scalciando per liberarsi dalla presa di un uomo
che le teneva la testa, gli occhi grandi pieni di lacrime.
Leigh non ci pensò nemmeno: tirò fuori la
bacchetta dalla manica del maglione non appena vide un baluginio verde
illuminare la punta di quella che stava ad un soffio dai capelli di
quella bambina, talmente piccola da non portarli nemmeno, i suoi dieci
anni.
Provò a schiantarlo, solo per distrarlo dalla bambina: non
avrebbe lasciato che una vita innocente si spegnesse per colpa di un
pazzo.
«Sono il seme del male, i figli dei Mangiamorte »
ringhiò l’uomo lanciando la bambina alle sue
spalle mentre il lampo rosso si dissolveva rapido addosso allo scudo
che aveva evocato, «Devono morire tutti!».
Leigh non rispose, si limitò a tenere alta la bacchetta:
certi coglioni la facevano proprio incazzare.
Delle urla concitate costrinsero Ted ad uscire dal bar di corsa, la
bacchetta in pugno chiedendosi cosa mai potesse essere successo.
Il resto sarebbe rimasto per sempre confuso.
C’era una bambina che piangeva e una donna che cercava di
calmarla..
C’erano un gruppo di uomini che picchiavano un mago steso ai
piedi delle gradinate della banca magica..
C’era qualcuno che urlava di chiamare il San Mungo..
C’era qualcuno che diceva di avvisare gli Auror..
E urla, tante, troppe urla.
Indistinte, confuse, intrecciate..
Ma tutto, ogni dannato e fottuto respiro sulla faccia del pianeta, si
fece muto quando Teddy si rese conto che la figura stesa sulle
gradinate, in maniera così scomposta, aveva i capelli biondi
raccolti in una lunga treccia e indossava un mantello scarlatto.
Fine Falshback
Leigh Dale si era spenta sulle gradinate della Gringott quattro giorni
prima di Natale, sotto una neve che cadeva leggera, uscita da un
negozio per il Quidditch dove aveva comprato il regalo per il suo
fidanzato.
Leigh Dale, diciotto anni, due genitori e una sorella di undici anni
che era la sua vita, era morta per un motivo davvero stupido: aveva
battuto la testa troppo forte contro i gradini della banca di DIagon
Alley.
Leigh Dale era morta salvando la vita alla figlia minore di Blaise e
Daphne Zabini, la piccola Grathia che, in quel pomeriggio invernale era
a passaggio con la tata, la signorina Eliza Selwin.
Ted guardò Rowena negli occhi, rendendosi conto che non
sarebbe mai riuscito a perdonarsi per quel giorno, per quel the, per
averla lasciata andare da sola: sarebbe rimasta una cicatrice
indelebile sulla sua anima.
Per questo odiava i ricordi, Ted: ti mettono di fronte a cose che non
puoi cambiare.
«Row? » un ragazzo moro e alto arrivò
dal corridoio che portava ai sotterranei, «Sei pronta? La
prossima carrozza per Hogsmade parte tra cinque minuti..».
«Mord » lo salutò la ragazza sorridendo,
«Arrivo subito, aspettami qui fuori ».
Mordecai annuì lanciando un’occhiata furtiva
all’Auror in piedi davanti a Rowena e si affrettò
a stringersi nel mantello per affrontare il gelo e la neve.
Rowena mosse qualche passo verso la porta prima di voltarsi e sorridere
a Ted, in un modo comprensivo che gli ricordava tanto la sua Leigh..
«Portale anche quest’anno le fresie, a Leigh
» mormorò la ragazza con la stessa voce delicata
di poco prima, «Le piacciono tanto quei fiori..».
Ted non rispose nemmeno, si limitò ad osservare
Rowena mentre raggiungeva Mordecai, fuori, in mezzo alla neve.
Io non le voglio le
rose! Sono banali! Io mi sposo quell’uomo che mi porta le
fresie!
E la risata spensierata di Leigh si perse, di nuovo, come tanti anni
prima, tra i corridoio di quel castello.
Hogsamade, I Tre Manici
di Scopa, ore 15.43
Jade prese posto al banco con l’aria di una che ha solo
voglia di affondare i dispiaceri in qualcosa di caldo e possibilmente
ipercalorico, qualcosa che liberi endorfine e ti faccia sentire amata e
coccolata: maledetta quella volta che aveva deciso di assecondare
Elijah!
Quando, quella mattina le aveva chiesto di accompagnarlo ad Hogsmade
per fare una passeggiata e schiarirsi le idee dopo la brutta settimana
che avevano passato tutti quanti, lei non gli aveva creduto. Elijah era
un Grifondoro onesto e leale, ma sentiva che, per arrivare a proporle
un’uscita solo loro due doveva esserci qualcosa sotto.
Nonostante tutto, lei aveva accettato, provando a convincersi che
l’aria gelida di novembre l’avrebbe aiutata a
ricaricarsi: la preoccupazione per James non l’aveva ancora
abbandonata del tutto, nonostante persino sulla Gazzetta avessero
scritto che era fuori pericolo e la paura che da un momento
all’altro le cose potessero peggiorare persisteva.
Probabilmente avrebbe dovuto vederlo sano e sulle sue gambe per tirare
davvero un sospiro di sollievo.
Ovviamente, una volta arrivati al villaggio magico, Elijah, aveva ben
deciso di metterla a corrente dei suoi loschi piani per dirottare
l’uscita di suo fratello con Rowena: in mancanza di James
doveva pur fare qualcosa il povero Eli, e come avesse fatto a scoprire
che quei due sarebbero usciti insieme era ancora un mistero che lei non
voleva risolvere.
Temeva che le avrebbe bloccato la crescita.
Comunque, sta di fatto, che nel momento in cui li aveva visti per
Hogsmade l’aveva abbandonata a sé stessa per
pedinarli e ora lei si ritrovava da sola e un filino depressa.
«Una burrobirra bollente, grazie »
ordinò al barista che di spalle trafficava con delle
bottiglie, sfregandosi le mani tra di loro per scaldarle il
più possibile: non ricordava che potesse fare
così freddo già a novembre.
«Di un po’, piccoletta, non si saluta
più?» ridacchiò il giovane uomo davanti
a lei voltandosi con due boccali fumanti che Jade si permise di
guardare come se si trattasse della manna dal cielo.
«E io che ne sapevo che eri tornato da tua zia, Cal?
» ridacchiò la ragazza stringendo uno dei due
boccali con le mani infreddolite, gustando quel calore che lento le
risaliva le braccia e le scaldava, pian piano, anche il cuore.
L’altro rise di gusto.
Caleb McDuff era il nipote di Madama Rosmerta, figlio di non si era
capito bene quale fratellastro della donna, aveva quattro anni in
più di lei, i capelli rosso fuoco e gli occhi cristallini,
una figura dinoccolata ma soprattutto era stato il capitano pronto a
giocarsi la faccia facendo entrare la piccola Jqy nella squadra dei
Grifondoro al secondo anno.
Insomma, per Jade era stato una sorta di maestro del Quidditch.
«Mio padre dice che sono uno scansafatiche e mi ha mandato a
lavorare dalla zia » confessò il ragazzo,
«Dice che è vecchia e le serve qualcuno che la
tenga d’occhio..».
«Merta vecchia? » chiese Jade lanciando
un’occhiata alla donna che gesticola con uno dei clienti, i
capelli in disordine come sempre e una prosperosa scollatura sul
davanti: quella donna sembrava tutto meno che una cinquantenne suonata.
«Cosa vuoi che ti dica.. » sospirò
prendendo l’altro boccale che aveva preparato per lui e
bevendone un sorso, incurante del resto della clientela,
«Piuttosto, com’è che due bimbi sono
entrati lamentandosi perché la Caposcuola Fyfield li aveva
strigliati? Cosa mi sono perso? Hai messo la testa a posto? ».
Jade scoppiò a ridere, i capelli ricci un poco
più lunghi del solito ondeggiarono appena sfiorandole le
spalle: quanto aveva bisogno di parlare con qualcuno che non le
ricordasse costantemente i problemi della sua vita.
«Sì beh.. prenditela con la Hastings, ha fatto
tutto lei..» si giustificò la ragazza,
«Io non c’ho messo impegno per convincerla ad
indossare la spilla da Caposcuola, anzi.. i giri di ronda la notta sono
una piaga..».
«Merlino, devono essere cambiate un po’ di cose in
questi anni » ridacchiò Caleb finendo in un sorso
il contenuto del suo boccale, «E qualcosa mi dice che tu sei
persona informata sui fatti.. di un po’, e se ti proponessi
di raccontarmi cosa è successo da quando me ne sono andato?
» buttò lì con un ghigno e Jade lo
guardò sorridendo a mezza bocca.
«Ma non stavi lavorando, tu? ».
«Mi pare che la zietta se la cavi bene anche da sola, no?
» non le lasciò nemmeno il tempo di obiettare,
«Dai, piccoletta, finisci il tuo boccale e ti porto a fare un
giro: non preoccuparti di pagare, offre la casa!».
Jade lo vide avvicinarsi alla donna che parlottava ancora
all’altro lato del bancone e scosse la testa mentre la vocina
fastidiosa di Eva, nella sua testa, le diceva che quel ragazzo ci stava
provando con lei.
Perché, diciamocelo, per lui, lei era la piccola Jay, lo
scricciolo che stava su una scopa, non una ragazza con tutti i crismi:
era solo un’uscita innocente, no?
Hogsmade, Mielandia, ore
16.21
«Ma quella non è Jade Fyfield?» Josh
alzò gli occhi al cielo, chiedendosi perché,
santo Merlino, perché, si trovasse di nuovo in giro con
appresso la Wetmore: cosa aveva fatto di male per meritarsi una
punizione di tale portata?
Giusto per scrupolo lanciò un’occhiata fuori dalla
vetrina, per vedere la Caposcuola Grifondoro passeggiare ridendo con un
ragazzo rosso di capelli, dall’aspetto carismatico e
un’aria abbastanza familiare..
«Ma quello è Caleb McDuff! »
continuò Katherine premuta contro il vetro e Joshua
finalmente ricollegò quella testa in fiamme ad uno dei
vecchi capitani dei Grifondoro,
«Che cosa ci fanno la Fyfield e McDuff in giro per Hogsmade
insieme? ».
«E io che ne so, Wetmore? » rispose seccato il
ragazzo guardando con un misto di interesse e disgusto la
quantità spropositata di dolciumi che lo circondava, lui
odiava le cose dolci ma il compleanno di suo nonno era imminente e
aveva pensato che forse, le probabilità in effetti erano
piuttosto basse, una dose di zucchero avrebbe reso più
socievole quella vecchia e scorbutica cariatide.
Tanto valeva fare un tentativo, no?
Che poi, nel suo giro in solitaria avesse accidentalmente incontrato la
Wetmore, quella era stata tutta sfiga.
«Ma non la capisci la portata di una notizia
simile?» Katherine sembrava davvero sconvolta dalla mancanza
di interesse che stava mostrando il ragazzo di fronte a quella
situazione.
«Fammici pensare un attimo..» fece Josh grattandosi
il mento con aria assorta prima di guardarla dritta negli occhi,
l’irritazione per aver a che fare con una persona tanto
frivola scritta a lettere cubitali in faccia, «No e direi
pure che non mi interessa ».
Kath sbuffò rassegnata: per certe cose le serviva Charity.
Peccato solo che Damian l’avesse rapita, un’altra
volta..
«Piuttosto.. » riprese Nott dopo un po’,
con molta nonchalance, «Com’è che sei da
sola, ad Hogsmade? Nessuno ti vuole con quei capelli?».
La ragazza si lasciò andare ad una risata satura di sarcasmo
prima di muovere con un gesto elegante il corto caschetto che le
sfiorava le orecchie: non avrebbe dato a quel troglodita la
soddisfazione di vederla arrabbiata, nonostante l‘argomento
capelli fosse ancora piuttosto sensibile.
In realtà, dopo essersi vendicata ai danni di Bones e aver
capito che rimaneva comunque una delle ragazze più
desiderate in tutto il castello, a prescindere dai capelli, se ne era
fatta una ragione ed era ripartita alla carica, più sensuale
e stronza che mai.
«Sto aspettando Paul Jones » rispose felice di aver
spento Nott in quattro parole.
Peccato solo che il ragazzo non si facesse fregare con tanta
facilità.
«Jones, un Corvonero? » chiese Joshua palesando il
suo scetticismo, «Di un po’ Wetmore, non ti pare
una preda troppo sofisticata per i tuoi standard? Insomma, per passare
una giornata con uno così ci vuole un cervello che tu hai
lanciato alle ortiche un sacco di tempo fa..».
«E chi ti dice che con lui voglia farci una conversazione
intellettuale, Nott? Sei così ingenuo, a volte..»
e dentro la sua testa tappezzata di stendardi verde-argento un mini
Katherine ballava la conga inneggiando alla vittoria.
«Lo sai che sei una zoccola, sì? »
obiettò lui disgustato e lei rise maliziosa notando che il
suo accompagnatore stava facendo il suo ingresso nel negozio.
«Solo perché mi diverto? Almeno non sono triste e
acida come te..» concluse la ragazza andandosene ancheggiando
allegra verso quel bellimbusto con i capelli per aria.
Joshua la guardò andarsene e scosse la testa, concentrandosi
sulle caramelle davanti a lui: non sapeva perché ma
improvvisamente il suo mal di stomaco era aumentato esponenzialmente.
Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Grifondoro, ore 16.28
Rose prese posto al tavolo della Sala Comune con uno sbuffo che era
tutto un programma e voleva non troppo velatamente attirare
l’attenzione della cugina, Roxanne, intenta a far diventare
un sasso un pulcino azzurro, con scarsissimi risultati per altro, visto
che il sassolino non aveva proprio cambiato forma, ma era diventato
verde e pigolava.
A Rose pareva un pochino inquietante, in effetti.
«Cosa ti serve, Rosie?» chiese la mora lanciandole
un’occhiata veloce prima di tornare a puntare la bacchetta
contro il sasso pigolante, con l’unico risultata di fargli
sbucare un becco giallo.
Va bene, ora era davvero inquietante.
«Lo sai che questo incantesimo lo si impara al terzo
anno?» rispose la rossa ignorandola: vada che Rox non era una
cima a scuola, ma quella trasfigurazione era persino ridicola!
«Il problema non è l’incantesimo in
sé..» borbottò la mora irritata,
«E’ il non poter usare la voce, il problema
».
Rose sospirò, ignorando di nuovo l’occhiataccia
che le stava rifilando Roxie, tirò fuori dalla manica la
bacchetta e senza dire una parola che fosse una la puntò in
direzione di quella cosa verde, ruotò il polso in senso
antiorario, poi orario, e diede un leggerissimo colpetto al sasso con
la punta.
Quando un tenero pulcino cominciò a zampettare pigolante e
allegro tra le pergamene le orecchie di Roxanne presero a lanciare
sbuffi di fumo nero.
«Come diavolo..?!» esclamò la ragazza
indignata e Rose scacciò la domanda con un gesto leggero
della mano, come se non valesse nemmeno la pena perdere tempo a dare
una risposta tanto banale.
A Roxanne ogni tanto veniva voglia di picchiarla, un po’ per
il suo essere un genio, un po’ per il suo dare questo fatto
per scontato.
«Te lo spiego dopo.. piuttosto »
cominciò guardandola dritta negli occhi, «Ho un
problema ».
«Ma non mi dire? » fece l’altra
sarcastica accarezzando con un dito la testa del pulcino: a
ritrasfigurarlo in un sasso le avrebbe pianto il cuore, «Cosa
è successo? ».
«Vanille è impazzita »
annunciò lapidaria Rosie come se stesse annunciando la
venuta di un cataclisma.
«Impazzita?» Rox faticava a immaginare la solare
ragazza che si strappava i capelli inneggiando a satana,
perché sì, a causa di qualche brutto film
babbano, questa era la sua idea di pazzia..
«Sul serio! » annuì la rossa con gli
occhi spalancati, «Non so cosa fare! E’ in un altro
mondo, ultimamente! Cioè.. prima la potevo capire, insomma
per via di James e tutto il resto, capivo che ci fosse rimasta male
anche lei.. ma adesso, che c’hanno detto che sta bene..
» Roxanne cominciava a capirci sempre meno,
«Allora, l’altro giorno » e
l’altro giorno di Rose poteva essere anche quella stessa
mattina, «Dovevamo fare il tema di Astronomia, no? Bene,
allora siamo andate in biblioteca, no? E lei sembrava tranquilla.. poi,
dal niente, è scoppiata a piangere ed è corsa
via.. non mi ha voluto neanche dire cos’era successo! E poi,
l’altro giorno, sono rimasta a parlarle per un’ora,
no? Cioè, un’ora! E lei non mi ha neanche sentita!
Voglio dire.. Vì mi ascolta sempre! ».
«Quindi? » incalzò Roxanne
assottigliando gli occhi, come per vedere qualcosa di distante.
«Quindi ho chiesto a Faith se lei aveva sentito o capito
qualcosa, lei sta attenta sempre a tutto, e invece nemmeno lei riesce a
capirci niente e quindi ho capito cos’è
successo..».
«E cos’è successo? ».
«Te l’ho detto! E’ impazzita! »
concluse Rose pienamente convinta della sua incontestabile intuizione.
Roxanne scoppiò a ridere.
«Non è impazzita.. » commentò
la più grande con ancora il sorriso sulle labbra,
«Piuttosto, come mai non sei ad Hogsmade?».
«Perché di solito andiamo tutti insieme, io,
Vì, Al e Malfoy.. ma Al è a casa, Malfoy
è sparito e Vì dice che non si sente molto
bene..» borbottò Rosie ancora piuttosto perplessa,
«Quindi seconda te non è impazzita?».
«No, Rose.. » sospirò Rox,
«Secondo me è solo innamorata ».
Se solo la piccola Weasley dai capelli rossi avesse avuto qualcosa in
bocca in quel momento l’avrebbe sputato fuori con la potenza
di un geyser: Die Vanille innamorata? E di chi?
Ministero della Magia,
Ufficio Auror, ore 17.23
Harry chiuse con uno scatto secco l’ultima deposizione
lasciata dagli studenti di Hogwarts su quello che era diventato, con
suo sommo disgusto, il caso Potter.
La quasi morte di suo figlio era diventato uno dei casi del suo
ufficio, e quanto era vero che quel mondo lui l’aveva salvato
almeno due volte, avrebbe trovato quel bastardo che era riuscito ad
avvicinarsi alla sua famiglia e lo avrebbe cruciato fino ad ucciderlo.
Nessuno doveva permettersi di toccare la sua famiglia e questo doveva
essere ben chiaro a chiunque.
Susan lo guardò preoccupata: come madre riusciva a capire
come si doveva sentire il loro capo in quel momento, come Auror ci
stava mettendo l’anima per venire a capo di quanto stava
succedendo, come amica l’avrebbe aiutato nella sua vendetta,
ed era sicura lo avrebbero fatto tutti lì dentro: Hogwarts
era un nervo scoperto per tutta la squadra del Capo Potter.
Dentro quelle quattro mura c’era il suo Charlie,
c’erano Rose e Hugo, i figli di Ron, Joshua, il figlio di
Theo e infine il piccolo Andrew, il figlio di Ernie e Nata.
Li avrebbero trovati, quei bastardi che si facevano chiamare
Illuminati: ormai era diventata una questione personale.
Ed era chiaro che la colpa era loro, ormai, come era chiaro che James
lo volevano proprio uccidere come avvertimento per tutti loro: possiamo
arrivare anche qui, attenti a quello che dite in giro.
L’articolo sulla Gazzetta aveva sortito l’effetto
che i vertici avevano voluto, far succedere qualcosa di nuovo, peccato
solo che per poco non fosse sfociato tutto in tragedia.
Il gioco si stava facendo davvero pericoloso, per tutti.
«Tutti gli spettatori danno la stessa versione:
l’unica cosa che hanno visto è stata James a terra
» concluse Harry facendo leva su tutta la sua pazienza per
non far esplodere qualcosa, «Nessuno ha visto quando e come
è stato colpito.. James non ha nemmeno visto chi ha
scagliato la maledizione.. di nuovo, non abbiamo niente in
mano..».
Ron lo guardò un secondo prima di volgere gli occhi agli
altri seduti a quel tavolo: la risposta era una sola, lo sapevano, solo
che nessuno di loro voleva ammetterlo.
Farlo significava considerare l’idea di essere scoperti, di
dover diffidare davvero di chiunque: significava ricadere
nell’incertezza costante che avevano scacciato con i ricordi
della guerra.
Ma non aveva senso illudersi ancora.
«Quel castello è impenetrabile, Harry »
cominciò tenendo la voce bassa, conscio che comunque quanto
stava per dire li avrebbe colpiti lo stesso come se l’avesse
gridato, «Nessuno poteva entrarci, ora come ora, ancor meno
che negli anni passati: le difese le abbiamo alzate io e te dopo
l’attacco alla Zabini. Questo può voler dire
solamente che non è stato qualcuno da fuori ad attaccare
James, è stato qualcuno della scuola: uno studente, uno del
personale, un insegnante.. ».
«Hogwarts non è più un luogo sicuro
» concluse per lui Nott, gelido, come sempre, «E
non possiamo nemmeno avvisare i professori che dovrebbero proteggere i
ragazzi perché tra di loro c’è il
probabile colpevole.. ».
«Che situazione di merda » commentò
Ernie passandosi una mano tra i capelli corti, Natalie, al suo fianco
prese a torturarsi le mani, nervosa.
«Bene » dichiarò Harry guardandoli uno
ad uno, «Allora sarà il caso di dire ai nostri
Auror di investigare meglio, al castello, chissà che non
scoprano qualcosa ».
Susan sospirò: il suo capo così tranquillo, non
le piaceva proprio per niente.
Hogsmade, I Tre Manici
di Scopa, ore 23.01
Caleb si passò una mano sulla faccia, stanco: sua zia lo
aveva fatto sgobbare parecchio quella sera, per averla lasciata sola
quel pomeriggio.
Che poi, quanto era stato via? Due ore? Meno?
Sorrise al pensiero della piccola Jay, anche se forse avrebbe dovuto
cominciare a togliere quel piccola: era una ragazza fatta e finita
ormai, una bella ragazza, semplice e simpatica.
Alla fine, nonostante tutto, era stato un pomeriggio piacevole: era
stato fortunato ad aver trovato proprio Jade Fyfield.
«Non mi piace per niente quello che hai fatto oggi, Cal
» mormorò sua zia seduta sulla poltrona vicino
alla sua, di fronte al camino acceso, «Sono sicura che tuo
padre non ti abbia cresciuto così ».
Caleb sospirò, sciogliendo i capelli rossi dalla coda bassa
che usava quando doveva lavorare al pub: ormai il locale era chiuso e
lui, finalmente poteva rilassarsi e smettere di tenere quella maschera
da allegro ragazzo scansafatiche.
Una volta non l’avrebbe detto, ma era stancante sorridere
sempre.
«Mio padre sarebbe stato stranamente orgoglioso di quello che
ho fatto oggi » commentò sedendosi di fronte al
camino, le braci riflesse negli occhi chiari, «Ed
è il mio lavoro, lo sai anche tu..».
«Io so che quella lì, la Fyfield, è una
cara ragazza e tu la stai usando » rispose a tono la donna,
«Te la stai facendo buona per poter spiare
all’interno del castello ed è veramente disgustoso
».
«Ma come sei moralista stasera, zietta »
ridacchiò Caleb, «E comunque non la sto usando, mi
servono degli occhi all’interno della scuola e lei
è abbastanza sveglia da potermi dare una mano: ora ti prego
di tacere finché faccio rapporto ».
«Come se il nostro Salvatore non gradisse salutare la donna
che sta rischiando la pelle per tenerti al sicuro »
borbottò Rosmerta mentre il nipote puttava una manciata di
polvere dentro al camino.
«Godric’s Hollow numero 32 »
mormorò Caleb mentre la polvere sfregolava tra le fiamme e
le braci, colorandole di una lieve tinta violacea.
«Noto con piacere che sei puntuale, McDuff »
sorrise amabilmente un uomo mentre il suo volto prendeva forma tra i
tizzoni del vecchio caminetto.
«Non potrebbe essere altrimenti, signore » rispose
Caleb alla faccia, ora seria e scura, del suo capo.
Godric’s
Hollow numero 32, Salotto, ore 23.52
Harry guardò un istante il fuoco del camino tiprendere a
muoversi scostante tra i ceppi di legna, ora che la conversazione era
finita e sospirò pensieroso.
Non gli piaceva fare le cose all’insaputa del ministero: era
una persona onesta, lui.
«Ora non ci resta che sperare che la cara Cece abbia
spifferato tutto al capo degli invasati e che quei bastardi si
concetrino su Hogwarts, no? » la voce bassa e ironica di
Draco lo costrinse a voltarsi verso gli altri ospiti di casa Potter.
Non gli piaceva proprio per niente, fare le cose di nascosto, ma quando
aveva scoperto che persino la sua segretaria, Cece, era stata
avvicinata e corrotta dagli illuminati non aveva visto alternative: da
quando sapeva della loro esistenza, cominciava a riconoscerli ovunque,
intorno a loro.
«Speriamo solo che l’Harker e Teddy riescano a
mantenere la situazione sottocontrollo » sospirò
apprensiva Hermione, «Non mi piace per niente questa storia,
Harry, te l’ho già detto.. ».
«Non piace nemmeno a noi, Hermione » rispose Susan
pacata, «Ma non abbiamo visto alternative, se sono ad
Hogwarts, ad Azkaban, sono ovunque ».
Harry si rimise in piedi e incrociò le braccia al petto
guardandoli di nuovo, uno ad uno: le uniche persone di cui poteva
fidarsi davvero, oltre alla sua famiglia, erano lì, sedute
nel salotto di casa sua, a progettare segretamente e illegalmente una
difesa per poter sconfiggere quei bastardi che, senza che nessuno se ne
rendesse conto, erano arrivati davvero dappertutto.
Susan, Ernie, Nata,
Draco, Theo, Ginny, Ron, Hermione, Neville, Hannah, Seamus, Dean..
Se quei bastardi avevano le orecchie e gli occhi ovunque, loro
sarebbero riusciti a fare altrettanto.
Harry guardò Ginny dritta negli occhi, quella sera non era
con James solo perché Lily e Albus avevano insistito per
passare la notte con il fratello e Nihila aveva promesso di tenerli
d’occhio.
«D’ora in avanti ci sarà una sola regola
» annunciò greve, «Non fidarsi di
nessuno ».
E Ginny non voleva immaginare che quelle fossero le basi per una nuova
guerra, ma per qualche strano motivo sentiva in bocca lo stesso sapore
di tanti anni prima.
Note
di un'autrice che non vuole essere uccisa anche se sa di meritarlo:
Allora, credo di essere un po' in ritardo, anzi, ritengo che l'un po'
sia un eufemismo bello e buono, quante settimane fa doveva arrivare
questo capitolo tre?
Chiedo scusa a tutti, avevo promesso un aggiornamento regolare e invece
non ce l'ho fatta: mi manda in bestia questa cosa! So che sembrano
scuse, ma sul serio è un periodo infernale, tra la scuola,
il lavoro, gli impegni, la tesina e la maturità,
perché sì, i miei cari prof me lo ricordano ogni
giorno che ho la maturità quest'anno come se non lo sapessi
da me! Non ce l'ho fatta a concetrarmi abbastanza per scrivere, o se
scrivevo non mi convinceva niente e di postare un capitolo che non mi
convinceva non mi andava, preferisco essere sicura quando aggiungo
qualcosa in questa storia: non c'è cosa che mi terrorizzi di
più di deludere i miei lettori...
Per questo il capitolo arriva solo oggi, e dovete ringraziare sul serio
le vacanze di carnevale, perché è frutto di
quattro gioni di lavoro pressoché ininterrotto: l'unica cosa
che mi consola è che è bello lunghetto e un
pochino mi soddisfa...mi direte cosa ve ne pare :) :)
Sul capitolo, di mio, non ho niente da dire, se non una precisazione
sul pezzo in cui si parla di Leigh. Per chi non l'avesse capito lei
è la prima vittima degli illuminati, si capirà
poi perché la strage di Azkaban si è compiuta sei
anni dopo, anche se non è difficile arrivarci, e ho deiso di
metterla comunque, anche se all'epoca degli avvenimenti è
morta, perché ormai mi ci era affezionata e volerlo
lasciarle un po' di spazio..tutto qui e spero di non aver creato troppa
confusione ai miei lettori..
Ringrazio di cuore le persone che hanno messo questo storia tra le
seguite, e chi l'ha inserita tra le preferite.
Ringrazio chi legge e non dice niente e mando un bacio a quelle anime
pie che spero continueranno a recensire, magari lasciandomi un parere
anche su questo capitolo: non mi stuferò mai di dirlo, siete
l'energia di questa storia!!!
Io vi saluterei anche con la buonanotte perché ormai il mio
cervello si è fuso del tutto,
tanti bacini,
Najla
ps: è
da un po' che medito di inserire, all'inizio della storia un capitolo
con tutti i nomi dei personaggi che ci sono, perché mi rendo
conto che sono troppi da seguire e se non riesco a mantenermi regolare
diventa ancora più difficile ricordarli tutti, voi che ne
dite? Potrebbe esservi utile?? Fatemi sapere e io mi attivo!!
pss: fatemi
sapere, però :)
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Capitolo 15 *** Di distrazioni e gufi inquietanti ***
Dodicesimo capitolo
Di
distrazioni e gufi inquietanti
23 Novembre XX
Scuola di Magia e
stregoneria di Hogwarts, Sala Grande, ore 07.53
«Ma se io fingessi un attacco di dissenteria? »
propose di punto in bianco Roxanne svaccata sulla panca e sul tavolo,
in modo tale da occupare almeno tre posti: uno per sé, uno
per la sua poca voglia e uno per la sua avversione allo studio.
Evangeline non commentò nemmeno la sua mancanza di
femminilità e lasciò ad Elijah il compito di
mettere su una faccia talmente disgustata da risultare comica.
«Senti, Weasley, immaginarti chiusa in un cesso sommersa
dalla tua.. Merlino mi fa schifo solo a pensarci! Non mi concilia la
giornata » borbottò il ragazzo con il naso
infilato tra le pagine del tomo di pozioni, alto almeno tre pollici: a
pensare che era il libro più fino che avevano, Rox si
sentì male.
«E da quando tu hai bisogno di conciliarti con la giornata,
Faraday? » sbadigliò la ragazza senza nemmeno la
grazia di coprirsi la bocca così che Eli, che le sedeva
davanti, fu costretto a vedere quanto di masticato aveva ancora
incastrato tra i denti.
«Da quando Eastwood ha deciso di fare test di pozioni a
sorpresa, direi » brontolò il moro sparendo di
nuovo in quel coso abnorme che aveva dieci minuti per imparare o, in
alternativa, sperare di finire nello stesso tavolo di Jade che
manteneva sia lui che James nelle ore di pozioni, ormai da sei anni
abbondanti.
Peccato solo che Jade, negli ultimi tempi fosse un pochino.. distratta.
Come in quel momento, ad esempio, troppo intenta a ridacchiare sotto i
baffi e scrivere velocemente poche righe su una pergamena prima di
afferrare il calice pieno di succo, continuando a fissare impaziente
quel frammento di carta da cui non si separava da circa una settimana.
In pratica, da quando quel brandello di pagina aveva fatto la sua
apparizione lei aveva smesso di calcolarli anche di striscio, o meglio,
faceva finta di starli a sentire annuendo di tanto in tanto, il che, se
possibile, era ancora più irritante.
Elijah la osservò sinceramente preoccupato: cosa poteva
avere una così cattiva influenza sulla sua Jade da renderla
tanto simile ad un’oca sghignazzante?
Glielo aveva persino chiesto, qualche giorno prima, ma lei, da brava
ragazza con un talento per il raccontare balle, aveva glissato con
molta nonchalance spostando il centro della loro conversazione su
Rowena e Mordecai, ben consapevole di quale fosse il suo punto debole.
A pensarci a posteri, era stata proprio subdola.
Eli non era stato l’unico ad accorgersi che qualcosa, o per
meglio dire qualcuno, teneva occupata quasi ventiquattro ore su
ventiquattro la mente della loro Caposcuola, anche Eva la guardava
sottecchi di tanto in tanto, con un sorriso consapevole sulle labbra,
ma non aveva ne commentato ne chiesto spiegazioni, si era limitata ad
essere semplicemente felice per la sua amica che, finalmente, sembrava
più serena di come l’aveva vista
all’inizio dell’anno. Persino Roxanne si era resa
conto che qualcosa non andava e aveva provato a buttarla lì,
chiedendo spiegazioni distratte alla compagna di squadra che, attenta,
aveva svicolato prendendo a parlare di come avrebbero fatto a trovare
un cercatore ora che James era impossibilitato a giocare e Rox, che non
era decisamente stupida e aveva capito che non le voleva rispondere,
l’aveva assecondata. Disgraziatamente, un’altra
persona che si era accorta del suo insolito comportamento era stata Ian
e lui, il boccone amaro, non lo aveva digerito proprio: a chi diavolo
scriveva ogni minuto la sua Jade?
Nome e cognome, solo per incontrarlo e cruciarlo..
Perché, per quanto fosse del tutto insensato e fuori luogo,
non riusciva a non essere geloso, per quanto lei fosse Jade e non fosse
Gwen, non riusciva ad impedire ad una morsa sgradevole di stritolargli
lo stomaco con sadico piacere.
Perché sì, una parte del suo cervello gongolava
soddisfatta al pensiero che Jade si stesse facendo una vita fuori da
quella che, in fin dei conti, era stata una storiella estiva, e se ne
rallegrava solo per ricordargli quanto era stato cretino a preferire
Gwen.
Quando si rese conto che stava sostanzialmente intrattenendo un
discorso a tre con il suo stesso cervello che lo insultava, lo
consolava e blaterava frasi a caso contemporaneamente, Ian
realizzò che forse, ma solo forse, stava impazzendo e,
indeciso sul da farsi, lasciò che la fronte sbattesse contro
il legno della tavolata in un chiaro segno di resa.
Elijah lo guardò con un sopracciglio inarcato: che Ian
avesse dei problemi era risaputo, infondo stava con una Tassorosso
tanto dolce da risultare diabetica, ma che tendesse ad atti
autolesionistici di prima mattina, questa gli era nuova.
Ciononostante, decise che, nella pazzia generale, con Roxanne che
blaterava di malattie infettive, Jade che rideva da sola rinchiusa nel
suo mondo che, Eli ne aveva la vaga sensazione, doveva essere
costellato di cuori e arcobaleni in quel momento, e Ian che,
evidentemente, aveva un problema e non voleva parlarne, lui si sarebbe
saggiamente fatto gli affaracci propri finché qualcuno non
fosse esploso in una crisi di qualsiasi tipo e gli avesse spiegato cosa
stava succedendo.
Il ruolo della comare impicciona, di solito, lo faceva James, non lui.
Sospirò sconsolato: più il tempo passava
più sentiva di aver bisogno di quell’idiota per
sopravvivere..
«A chi scrivi, Jay?» la voce di Frank si fece
innocentemente largo tra il vaneggiare di Rox e un pezzo di torta al
cioccolato che il ragazzo stava divorando con gusto: come diavolo
facesse a non diventare una palla di lardo con tutto il cioccolato che
mangiava era un mistero, o meglio, Eli, Ian e Jamie qualche teoria
avevano provato a formularla, ma si erano fermati
all’immagine pornografica che le loro bacate menti avevano
partorito di Eva e Frankie nello stesso letto.
Per i loro poveri cervelli era stato davvero troppo e non avevano avuto
il coraggio di guardare in faccia i due per almeno una settimana.
Elijah rabbrividì al ricordo.
A quelle parole Jade arrossì di botto, arrivando a sfiorare
il rosso cuore di drago in tre secondi netti, e nascose il pezzetto di
pergamena dentro al libro di pozioni appoggiato lì vicino.
Elijah vide con la coda dell’occhio la testa di Ian
sollevarsi magicamente, con un bel segno rosso in fronte, stranamente
interessata a quanto stava succedendo.
«Io.. no.. non è niente.. cioè.. io..
ma no..» balbettò la Caposcuola scostandosi un
ricciolo ribelle dalla fronte. Rox ridacchiò compiaciuta:
era davvero difficile vedere quella ragazza agitarsi per niente, era
troppo equilibrata e posata per cedere a certi inutili nervosismi.
«Suvvia, Jade, di ai tuoi amici con chi messaggi tanto
intensamente » rincarò sadico Elijah e Jade lo
fulminò con un’occhiataccia, ben consapevole che
quel colpo basso era la vendetta per la loro ultima conversazione, dove
se l’era rigirato a suo piacimento.
C’era poco da fare, loro due avevano sangue Serpeverde nelle
vene e ogni tanto, in qualche modo, doveva pur venire fuori.
La ragazza, messa all’angolo e senza vie d’uscita
era vicina a confessare, sotto gli occhi accesi di aspettativa e sangue
di Ian, quando, per volere di Merlino, un gufo reale planò
sul tavolo atterrando con eleganza vicino a Jade che, di nuovo, si
salvò miracolosamente dall’ennesimo terzo grado.
L’animale, molto più composto del barbagianni di
Eva, rimase a fissare la grifondoro con quegli occhi gialli e
supponenti, come a chiedersi cosa diavolo stesse aspettando a prendere
la lettera che teneva legata con un nastro di raso verde alla zampa,
quasi avesse di meglio da fare che starsene in mezzo a tutte quelle
brutte facce che lo fissavano.
Pur essendo un semplice pennuto, a Roxanne quel coso parve avere un ego
mica da ridere e proprio per questo prese a fissarlo con astio a
braccia conserte.
Aveva un rapporto tutto particolare con gli animali, Roxie Weasley.
«Che esemplare meraviglioso! » esclamò
Lysander estatico avvicinandosi per guardare meglio il coso con le
piume e l’aria arrogante, «E’ tuo Jade?
Posso toccarlo? ».
La ragazza rimase a fissare l’animale sospettosa per alcuni
secondi, allontanando il busto per non stargli a portata di becco:
qualcosa le diceva che quel gufo aveva un pessimo carattere e lei
voleva conservare tutte le dita almeno fino alla maggiore
età.
«Non mi pare propenso a farsi coccolare, Lys » lo
frenò saggiamente Frank osservando incuriosito quel coso che
continuava a fissare Jade senza degnare gli altri di particolare
attenzione, altero come quei purosangue dannatamente pieni di
sé.
Non appena questo pensiero prese forma nella mente della Caposcuola, la
ragazza perse almeno sette tonalità di colore, arrivando ad
una sfumatura di verdastro malato che fece temere ad Eva che avrebbe
dato di stomaco lì davanti a tutti.
«Questo è uno scherzo »
dichiarò guardando il pennuto nervosa, ora che aveva capito
da dove proveniva, la presenza di quel pennuto le pareva insopportabile.
«Hai capito chi te l’ha mandato? » chiese
Evangeline osservando che anche la busta era di un bel verde smeraldo,
a voler essere precisi, un bel verde Serpeverde.
Qualche sospetto nacque anche nella testa del loro piccolo topo di
biblioteca, ma davvero, non poteva essere che..
Jade stava quasi per decidere di ignorare quel gufo aspettando che
levasse le tende, per niente intenzionata anche solo a sfiorarlo,
quando una voce familiare e stranamente afflitta la invitò a
riconsiderare la sua decisione.
«Quello è Leodegrance, Jade, non se ne
andrà di lì neanche dovesse morire di fame
» sospirò Scorpius apparendo alle spalle di
Roxanne con una faccia leggermente funerea, che non presagiva niente di
buono.
«Non mi interessa sapere chi è, non voglio averci
niente a che fare » chiarì la ragazza risoluta
mentre l’animale si rifiutava categoricamente di toglierle
gli occhi di dosso: era davvero un essere inquietante.
«Credimi, Jay, ti hanno mandato Leodegrance per non darti
possibilità di scelta » continuò Scorp
sventolando una busta identica a quella legata alla zampa del gufo,
dello stesso sfavillante verde, «Galahad ha recapitato questa
a me, pochi secondi fa ».
Jade sospirò sconfitta e tornò a guardare
l’animale: quel coso, solo ora se ne rendeva conto, le
ricordava almeno la metà dei suoi parenti, quelli che
cercava di dimenticarsi di avere, quelli che potevano permettersi una
schiera di gufi reali addestrati come cani da guardia.
La famiglia della mamma..
«Non mi piace questa storia, Scorp, sappilo »
decise comunque di chiarire la bionda all’indirizzo del
cugino che rispose semplicemente annuendo, «E non sono
d’accordo con qualunque cosa sia ».
Pazientemente sciolse la ciocca di raso e liberò la busta,
rigirandosela fra le mani, un nome brillava d’argento sulla
carta pregiata: Virginia
Greengrass.
Jade trattenne una smorfia di disappunto nel notare che i suoi nonni
ancora si ostinavano a non voler riconoscere il nome e il cognome che i
suoi genitori avevano deciso per lei: non le sembrava così
difficile! Jade era un nome normalissimo e Fyfield era il cognome di
suo padre, ne andava fiera e non l’avrebbe mai cambiato con
Greengrass neanche se i suoi nonni avessero pagato il suo peso in oro:
loro e il loro malato orgoglio da purosangue del cavolo!
L’animale spiccò nuovamente il volo, dileguandosi
nell’esatto istante in cui la ragazza aprì la
busta, rivelando un cartoncino d’argento, dove il verde
dell’inchiostro spiccava come a voler sottolineare la
ricercatezza di una semplice e innocua missiva.
Esaltati,
pensò Jade cercando di capire perché cavolo le
fosse arrivato un gufo della famiglia Greengrass di lunedì
mattina.
Signorina
Virginia
Greengrass,
il
signor Greengrass
e consorte
la invitano
calorosamente al cenone
che si
terrà la notte della vigilia di Natale
presso il Greengrass
Manor.
Ulteriori
informazioni verranno divulgate in seguito,
facendo
affidamento sulla sua sicura presenza,
le
augurano una buona giornata,
Flegias
ed Electra
Greengrass
Jade alzò gli occhi sconcertati verso Scorpius che la
guardava torturandosi il labbro inferiore con i denti, pronto a vederla
stracciare quel pregiato rettangolino di costosissima carta o magargli
dargli fuoco, forse entrambe.
Invece la vide alzarsi, prendere la borsa dei libri e infilare la busta
tra le pergamene, con una compostezza che non prometteva niente di
buono.
«Scorp, la seconda ora hai lezione? » chiese
improvvisamente seria.
«No, ho un’ora buca.. ».
«Bene, recupera Grathia e fatti trovare al terzo piano: ci
sono un sacco di aule vuote » afferrò anche il
libro di pozioni, ormai dimentica del frammento di pergamena che vi
aveva nascosto dentro e tornò a rivolgersi al cugino,
«Questa storia non mi convince proprio per niente ».
Londra, Ospedale magico
San Mungo, ore 9.01
Edward Harker si lasciò sfuggire un sonoro sbadiglio prima
di sistemarsi meglio sulla poltroncina dove stava da un po’ e
continuare a spiare dalle palpebre socchiuse la figura ancora per lo
più ingessata di James Potter.
Quel bimbo doveva avere una buona stella da qualche parte per essere
ancora vivo, vegeto e senza il cervello in pappa.
Sbadigliò di nuovo, grattandosi una guancia.
Lui era una Auror, era fatto per un minimo di azione, non per fare da
balia a un degente bloccato a letto, per la miseria!
Per quanto fosse un po’ burbero, però, Ed aveva un
cuore tenero come il burro e quando Teddy gli aveva chiesto se, molto
gentilmente e cortesemente, avesse potuto tenere d’occhio
Jamie quella mattina, perché il poverino non poteva stare da
solo e l’alternativa era chiamare la nonna Molly, il ragazzo
aveva deciso di fare del bene al prossimo e tenere compagnia alla pulce
per non lasciarlo tra le grinfie della dolce nonnina, che era una
bravissima donna ma un filino pesante da sopportare per quattro ore di
fila: tutt’al più che James aveva insistito per
vedere una faccia nuova.
In realtà, quel giorno, non avrebbe avuto comunque niente di
meglio da fare, quindi si era detto: perché no?
Dopo una settimana di ispezioni e sorveglianza ad Hogwarts, il
Ministero aveva deciso di richiamarli tutti a Londra: visto che non
erano riusciti a trovare un indizio che fosse uno, tanto valeva che la
smettessero di bighellonare e si mettessero a fare qualcosa di utile.
Lui, per rendersi utile, aveva deciso di prendersi una settimana di
ferie.
Stare in ufficio a guardare sempre le stesse foto, sempre le stesse
cartine, sempre le stesse linee magiche tracciate tra punti che in
comune non avevano praticamente niente, stava portando tutta la squadra
preposta al caso degli Illuminati sull’orlo di una crisi di
nervi, e visto che si trattava dei migliori agenti del Ministero la
situazione rasentava la catastrofe.
Da quando, poi, il figlio del signor Potter era stato colpito,
quell’uomo passava più tempo in ufficio che da
qualsiasi altra parte, Edward supponeva facesse la spola dal lavoro
all’ospedale e che non vedesse il proprio letto da parecchio
tempo. E con un capo ridotto in uno stato del genere, si poteva
immaginare lo stato degli altri elementi: gli unici che sembravano
capaci di reggere lo stress senza risentirne troppo sembravano la
signora Bones e il signor Nott, sempre e comunque impeccabili e
puntuali, senza occhiaie da paura e mani tremanti a causa del sonno,
del caffè o di qualche pozione per mantenere la
concentrazione.
Lui, da bravo Auror praticamente alle prime armi, aveva deciso che non
si sarebbe ridotto in quella maniera, anche perché sentiva
che c’era qualcosa che tutti i pezzi grossi
dell’operazione nascondevano a loro povere pedine ignoranti,
e la cosa non gli piaceva per niente.
Che avessero attaccato James per quello che il Capo
dell’Ufficio Auror aveva affermato durante la conferenza
stampa, era parso palese a tutti.
Che il gioco si fosse fatto dieci volte più pericoloso ora
che sapevano che gli Illuminati potevano spingersi fin dentro ad
Hogwarts, dove stavano i figli di tutto il Ministero, Edward poteva
capirlo.
Quello che non comprendeva era perché il signor Potter lo
avesse sottoposto al Veritaserum prima di accettarlo in una delle
squadre che rispondeva a lui personalmente, per esempio. O
perché sigillasse il suo ufficio con almeno una decina di
incantesimi e maledizioni prima di andare a trovare il figlio in
ospedale.
C’era qualcosa di sbagliato nel modo in cui il signor Potter
stava gestendola faccenda Illuminati, qualcosa che la faceva sembrare
una bomba pronta ad esplodere da un momento all’altro, e la
cosa ad Ed non piaceva: gli sembrava di essere solo una stupida pedina.
Erano dei pazzi come ce n’erano tanti in giro:
perché tutta quella riservatezza?
«Hai deciso cosa fare con Nihila? » la voce
incuriosita di James lo fece quasi cadere con il culo per terra: preso
com’era dalle sue elucubrazioni su tutta quella faccenda non
si era nemmeno accorto che la pulce si era voltata e lo stava fissando
da una buona manciata di minuti.
«Come scusa? » chiese con un colpo di tosse per
nascondere la sorpresa.
«Nihila.. cosa credi di fare con lei? »
ripeté Jamie accondiscendente ed Edward si prese tutta la
libertà di guardarlo in tralice, prima di assottigliare
maggiormente lo sguardo, indagatore.
«E tu come diavolo fai a sapere di me e Nihila?» se
fosse stata colpa della bocca larga di Ted questa volto lo avreb..
«Teddy » rispose semplicemente prima che le labbra
si curvassero in un ghigno malandrino, «Sai Ed, io per lui
sono come un piccolo e innocente fratellino.. voleva tanto tenermi
compagnia.. ».
«Dimmi pulce, quando mai tu sei stato innocente? »
chiese scettico l’Auror e James arricciò le labbra
pensieroso.
«Mamma dice fino a che non ho imparato a parlare..
» rispose incerto, «Ma non ricordo molto di quel
periodo, quindi può essere che si sia sbagliata..».
Edward scosse la testa stendendo le gambe in avanti e intrecciando le
caviglie: conosceva Jamie da quando aveva tre anni, ovvero da quando
lui e Ted erano diventati amici, e dubitava che la sua anima avesse mai
presentato qualche traccia di innocenza.
«Sul serio, Ed » riprese Jamie serio da far paura,
«Sono bloccato in questo letto da tre settimane, non mi posso
neanche soffiare il naso senza l’aiuto di qualcuno ed espello
in un sacchetto! Distraimi!! ».
L’altro ci provò davvero a stare serio, ma non ci
fu nulla da fare, la risata gli salì alle labbra
già fuori controllo.
«Hai davvero detto “espello”?».
«Ora capisci come sono ridotto? » pigolò
James con tutta l’intenzione di muovere la compassione del
suo interlocutore: aveva sempre avuto un talento particolare
nell’ottenere quello che voleva, «Mi devi aiutare!
».
«Anche volendo non saprei che risponderti, James ».
«Dai su, è il mio medimago, la vedo tutti i
giorni..» commentò Jamie: la sua indole ficcanaso
sentiva il bisogno di farsi gli affari di qualcun altro a qualsiasi
costo. Insomma! Eli non gli scriveva niente di quello che stava
succedendo ad Hogwarts! Di qualcosa doveva pur vivere! «Ho
capito che se n’è andata lasciandoti a fare la
figura del pezzente..».
«Grazie, James.. » rantolò Edward
alzando gli occhi al cielo di fronte a tanta sensibilità.
«..ma adesso è qui, è molto appetibile
e mi sembrava avesse anche molti buoni propositi di riappacificazione
quando ti ha chiesto di incontrarvi in quel bar, no?».
«Esattamente, cosa ti ha detto Ted? » decise di
informarsi corrugando la fronte: quel ragazzino ne sapeva fin troppo
della sua vita, a suo parere.
«Mi vuole troppo bene, Ed » rispose
l’altro con espressione angelica e ad Edward non
restò che schiaffarsi una mano in faccia.
Avrebbe trovato Ted e lo avrebbe disintegrato.
«E’ una storia complicata.. »
provò a glissare il ragazzo ma James non era tipo da farsi
fregare in questa maniera o meglio, c’era un’altra
cosa che voleva e per quella sarebbe stato ben disposto a lasciare la
vita del giovane Harker al suo legittimo proprietario.
«C’è un’altra cosa di cui
potremmo parlare, se proprio non vuoi raccontarmi perché ti
stai intestardendo a non dare al grande amore della tua vita una
seconda possibilità ».
Edward sorvolò con una certa fatica sulla definizione
“grande amore della tua vita” e decise che forse
gli conveniva assecondarlo: niente poteva essere peggio che parlare
della proprio vita privata e del proprio dissidio interiore ad una
pulce che si sarebbe di sicuro divertita a psicanalizzarlo.
Non lo sapeva perché si stava ostinando a voler far finta
che Nihila non esistesse! Proprio non ne aveva idea! Eppure era
così! A qualcuno creava forse problemi?!
«Di cosa vuoi parlare, pulce? » sospirò
cedendo: alla fine con Jamie capitolavano tutti.
Il volto del ragazzo si oscurò appena, le labbra si tesero,
come se stesse soppesando con cautela cosa dire e come farlo,
ricordando ad Edward, solo in quel momento da quando era entrato in
quella stanza un’ora prima, che non si trovava davanti ad un
bambino, ma a qualcuno che stava imparando a ragionare come un uomo:
qualcuno a cui le favole non sarebbero bastate ancora per molto.
E in quell’attimo di attesa, Edward ricordò anche
che James, in tutto il tempo che aveva passato in ospedale, non aveva
mai chiesto a nessuno cosa fosse successo quella domenica mattina, se
avessero scoperto qualcosa sul suo incidente. Ted glielo aveva
confessato un po’ preoccupato: vada che James era solito
sottovalutare ogni cosa, qualsiasi genere di catastrofe, ma gli era
sembrato impossibile che potesse passare sopra al suo quasi trapasso
con tanta facilità.
In un attimo Edward capì perché non aveva ancora
detto una parola.
Ted.
Sua madre.
Suo padre.
Sua nonna.
Tutti adulti che lo avrebbero protetto, che non gli avrebbero risposto
davvero.
..tutt’al
più che James aveva insistito per vedere una faccia nuova..
E James era troppo grande per le favole.
«Sono quasi morto » cominciò lentamente,
tastando il peso di ogni suono, di ogni lettera, «Ero
cosciente, so che non è stato un incidente: mi hanno puntato
contro una bacchetta con l’intenzione di uccidermi
» d’un tratto Edward si ritrovò a
pensare che non avrebbe dovuto scartare la proposta di farsi
psicanalizzare da un diciasettenne.
«Lo so che è così »
continuò con lo stesso tono distaccato ma incredibilmente
attento, «Ho letto quello che ha detto mio padre riguardo
agli Illuminati un paio d’ore prima della partita: non ci
vuole un genio per capire che hanno colpito me per colpire mio padre e
tutti gli Auror che al Ministero lavorano sul caso » Ed si
chiese come la maggior parte del mondo potesse credere James un idiota,
«Mio padre odia i giornalisti, potendo non ci parlerebbe mai,
e so per certo che non avrebbe chiamato il Profeta per un caso comune,
non avrebbe convocato una conferenza stampa se non ve ne fosse stata la
necessità.. » passò la lingua sulle
labbra un attimo, per dare nuovo ordine ai pensieri, «Mio
padre, poi, è una persona previdente, non fa mai il passo
più lungo della gamba, non è facile agli
allarmismi, non rischia mai, se può evitarlo.. forse pensava
che avrebbero colpito lui, sicuramente non si aspettava arrivassero
fino ad Hogwarts.. ma se sono arrivati lì.. sono sicuramente
più potenti di quanto si fosse aspettato..
oppure..» si fermò un attimo, lo sguardo perso per
una manciata di secondi.
No, si
disse Edward sospirando, James
Potter non era decisamente uno stupido ragazzino.
«Chi sono davvero gli Illuminati, Ed? » chiese alla
fine guardandolo dritto negli occhi e l’altro si
ritrovò di nuovo a grattarsi una guancia, cercando le parole
con cui rispondere ad una domanda del genere.
Alla fine scelse quelle più semplici.
«E’ quello che si stanno chiedendo tutti, James
».
Ed era fottutamente vero.
Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts, corridoio del secondo piano, ore 9.16
Damian uscì dall’aula di Incantesimi sbadigliando:
da quando Vitious dedicava un’ora alla settimana a riempirli
di nomi di incantesimi impronunciabili senza fargli nemmeno sfiorare la
bacchetta, il Serpeverde aveva promosso quell’ora al periodo
più appetibile, nella sua vita scolastica, per un sano
sonnellino.
Seriamente, un effetto soporifero di quella portata credeva potesse
crearlo solo Storia della Magia!
Per fortuna c’era Josh che prendeva appunti anche per lui,
altrimenti sarebbe rimasto a fare il settimo anno per il prossimo
decennio.
«Dovresti cercare di non dormire, Dam..» lo
rimproverò Charity arrivandogli a fianco con estrema
disinvoltura, un paio di libri tra le braccia e i capelli raccolti in
una coda alta, «Hai il brutto vizio di russare, di tanto in
tanto ».
Damian la guardò strizzando appena gli occhi, aggrottando le
sopracciglia scure: «Io non russo » ci tenne a
puntualizzare e Char scoppiò in una risatina di scherno, un
po’ troppo acuta per le sue orecchie ancora sonnecchianti.
«Credimi, tesoro » sorrise maliziosa, parlandogli a
pochi centimetri dall’orecchio, con un tono
tutt’altro che casto, «Tu russi, fidati ».
Il ragazzo si voltò di scatto e la afferrò per la
vita, costringendola a stargli praticamente incollata, con le labbra a
pochi centimetri dalle sue e il suo respiro sul collo.
«Passi molto tempo a guardarmi dormire, Char?»
insinuò con un ghignò divertito sulle labbra: non
si stupì molto nel vederla avvicinare le labbra alle sue con
un sorrisetto saputo sulle labbra rosse di trucco.
«Solo quello che non passo con qualcun altro »
rispose mordendogli il labbro inferiore con lo scopo di fargli male,
come sempre.
Damian c’aveva impiegato un po’ di tempo per capire
cosa lo attirasse di quella ragazza ad una prima occhiata priva di
cervello e con una cultura sui prodotti di bellezza che avrebbe fatto
invidia ad un centro estetico. All’inizio era stato un
passatempo, lei era un po’ zoccola, un po’ troppo,
e lui voleva qualcosa di non impegnativo: nessuno dei due voleva legami
e si erano trovati d’accordo sul fatto che no, mantenersi
puri e casti, non faceva per loro.
Poi però l’aveva conosciuta un po’
meglio, aveva preso a parlarci e aveva cominciato a scoprire che sotto
quella massa di perfetti capelli biondi c’era una persona
vera, forse non brillante come Josh, ad esempio, ma sicuramente
abbastanza furba da non farsi fregare o farsi illusioni. La prima volta
che Dam l’aveva tradita, se così si poteva dire,
visto che la loro non era un relazione, non glielo aveva detto, nemmeno
la seconda o la terza. Poi ad un certo punto, mentre la baciava
nascosti non si ricordava nemmeno dove, lei gli aveva preso il mento
con una mano, le unghie rosse e perfette in contrasto con la pelle
scura di lui e quella chiara di lei, e l’aveva guardato
dritto negli occhi :«Non voglio sapere con chi vai o chi ti
porti a letto, ma ti prego, per il senso della comune decenza, togliti
il loro profumo di dosso quando vuoi vedere me » Damian aveva
provato ad obbiettare ma lei l’aveva fermato riprendendo a
parlare, «Io, con te, lo faccio » poi aveva ripreso
da dove si era interrotta, come se niente fosse.
E lì Zabini aveva capito due cose: primo, Charity Lodge
aveva tanti ragazzi oltre a lui e lui non se n’era mai
accorto, tanto che il suo orgoglio maschile aveva persino preso a
gongolare, convinto com’era che lei gli fosse assolutamente
fedele; secondo, non era lui ad usare Charity, si stavano usando a
vicenda e in maniera così premurosa da apparire persino
dolce.
Con il tempo, poi, si era accorto di tante piccole cose che avevano
trasformato la Lodge nella sua donna ideale. Ad esempio, Charity non
arrossiva mai, non c’era modo di colpirla in contropiede e
metterla in imbarazzo, non c’era la possibilità di
metterla con le spalle al muro, Charity non avrebbe mai fatto una
scenata isterica beccandolo con qualcun'altra, ed era successo, non
avrebbe urlato, non avrebbe pianto, Charity, infatti, non piangeva e
Damian dubitava che l’avesse mai fatto da che erano a scuola
insieme.
Stare con lei non era come stare con una ragazzina in preda agli ormoni
che vede rosa da tutte le parti, era come avere la libertà e
un posto a cui essere legati allo stesso tempo: come avere delle catene
e avere anche le chiavi per aprirle.
Che con questo loro prendersi e mollarsi si facessero solo male a
vicenda, lo sapevano entrambi, ma chiarire la situazione una volta per
tutte non interessava a nessuno dei due.
«Char, coso:
siamo in un ambiente scolastico dove potreste bloccare la crescita a
dei poveri bambini innocenti » Kath li guardava persino
schifata, «Scollatevi o a me verrà il diabete
».
Charity si allontanò ridendo e Dam fece una smorfia
contrariata: perché diamine la Wetmore non era in grado di
farsi gli affaracci propri?!
«Addirittura il diabete, Kath? Non siamo mica Paciock e la
Laurie » ironizzò la bionda inclinando appena la
testa.
«E io mi chiamo Damian, Wetmore, non coso »
puntualizzò il ragazzo incrociando le braccia al petto.
«Finché stai con lei tu sei coso »
decretò Katherine risoluta ravvivandosi i capelli corti con
una mano: non le andava proprio giù che la sua migliore
amica fosse diventata bigama per colpa di quell’idiota e
quindi non le andava giù l’idiota a prescindere.
«Non ragionarci insieme, Dam » commentò
Josh apparendo come per magia, «Potresti finire in una
spirale senza fine di idiozia e lacca per capelli ».
«Che cosa dovrei mettere io sui miei capelli?!»
cominciò la mora sul piede di guerra e Joshua sembrava pure
pronto a risponderle quando una testa riccia e un passo deciso
attirarono la loro attenzione.
La Caposcuola Grifondoro, meglio nota come Jade-non si capisce
perché quella volta non si sia tenuta Potter- Fyfield,
avanzava verso di loro come se fosse la cosa più naturale
del mondo, e non era mai stato naturale che un Grifone cercasse di
propria spontanea volontà una Serpe, anche se forse, la
Fyfield, costituiva un’eccezione alla regola..
Non si fermò nemmeno a salutarli, afferrò Damian
per un braccio e se lo trascinò dietro nello stupore
generale, esordendo con un semplice e conciso, «Dobbiamo
parlare » che non ammetteva obiezioni di sorta.
Damian l’aveva guardata stranito per un paio di secondi
mentre si allontanavano dagli altri, poi, con un sospiro sconfitto
aveva urlato a Josh di seguirli, «Qualcosa mi dice che la
cosa interessa anche te » aveva detto e l’altro si
era affrettato a seguire Jade che procedeva a passo di marcia e spariva
su per le scale che portavano al terzo piano.
Kath e Char, rimaste sole, si guardarono negli occhi parecchio
perplesse.
«Tu hai capito cos’è successo?
» chiese Katherine dopo un po’ e in tutta risposta
Charity scosse la testa.
«Di gente strana ce n’è tanta, nel mondo
» concluse la bionda prima di incamminarsi verso i
sotterranei: avevano un’ora buca e lei doveva cambiare lo
smalto.
Meglio rosa cipria o un
bel corallo acceso?
Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts, un’aula del terzo piano, ore 09.22
«Questo si chiama rapimento, lo sai? » chiese
Damian guardando la bionda che frugava nella borsa prima di rivolgersi
alla sorella che se ne stava seduta su un banco con le gambe
accavallate e la faccia di una persona che è stata costretta
a rinunciare a qualcosa di spiacevole senza un perché,
«Ha prelevato anche te? ».
«No, sono stata obbligata a seguire questo qui »
rispose Grathia leggermente seccata accennando a Scorpius che se ne
stava in piedi, appoggiato alla cattedra, le mani in tasca e
l’aria di uno che non ne sa niente.
Joshua sbuffò contrariato.
«Bene » cominciò Jade riemergendo dalla
propria sacca con una busta verde in mano, una busta finemente
lavorata, «Qualcuno di voi mi fa la grazia di spiegarmi
perché stamattina un pennuto con due occhi gialli grandi
così mi ha consegnato questa? ».
Damian e Grathia strabuzzarono gli occhi neanche avessero appena saputo
che il mondo stava crollando e loro non se ne erano resi ancora conto.
Scoapius si limitò a sospirare, pronto ad un’ora
di dibattito in cui avrebbe dovuto impedire a Jade di dare di matto.
E Joshua sbuffò, di nuovo: quanto odiava le riunioni di
famiglia, davvero non lo sapeva nessuno.
Forse le odiava anche
più della Wetmore.
Note dell’autrice:
salve a tutti, disgraziatamente non ho tempo quindi un apio di cose
veloci veloci e poi me ne vado. Capitolo di transizione, quindi un
po’ inutile, però mi serviva quindi eccolo qui.
Questo non vuol dire che toglierò l’avviso o che
la storia verrà aggiornata tanto presto o che altro, vuol
dire che ho sistemato un attimo questo capitolo e ho deciso di
pubblicarlo, giusto per farvi un po’ contenti.. (almeno lo
spero…)
Ringrazio, perché è doveroso, chi legge, chi
segue, chi preferisce e chi ricorda la storia, un ringraziamento
speciale va a chi recensisce!! Io lo dico sempre, ma nessuno mi
ascolta, quindi lo ripeto: l’unico modo per convincermi a
perdere ore di sonno e continuare a pubblicare capitoli di questa
storia è sapere che vi piace, che la leggete e che non
scrivo solo per me, quindi RECENSITE
CHE FA BENE A ME E A VOI :)
Detto questo, vi saluto.
Alla prossima con tanti baci,
Najla
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Capitolo 16 *** Quando la pazzia dilaga ***
Tredicesimo Capitolo
Quando la pazzia dilaga
Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts, un’aula del terzo piano, ore 09.22
«Qualcuno di
voi mi fa la grazia di spiegarmi perché stamattina un
pennuto con due occhi gialli grandi così mi ha consegnato
questa? ».
Tutte le famiglie hanno dei problemi, è come una grande
legge universale, e le famiglie magiche purosangue con un ego che
permette loro di camminare almeno a sette metri da terra non fanno
alcuna eccezione. Per quanto si ostinino a sostenere il contrario, sono
pur sempre normalissime persone fatte di carne ed ossa, e in quanto
tali può capitare che vengano coinvolte, o generino,
situazioni problematiche.
I Greengrass e il loro conto indecente alla Gringott non facevano
nessuna eccezione, anzi, erano una rosa infinita di casini di ogni
genere.
Che Jay, sua sorella Ellie, Dam, Gracie, Scorp e Josh ci fossero finiti
proprio in mezzo, beh, quella era stata tutta sfiga: una sfiga
colossale avrebbe sottolineato ben volentieri Nott.
«La nonna le ha mandato Leodegrance » ci tenne a
puntualizzare Scorpius a quel punto, solo per vedere gli occhi verdi di
Grathia spalancarsi ancora un po’.
«Leodegrance? A lei? Perché? » Jade
studiò la sua espressione sconvolta per una manciata di
secondi, poi decise che non le interessava cosa diavolo avesse quel
maledetto gufo per suscitare una reazione del genere e tornò
a rivolgersi a Damian.
«Capisco che Grathia non ne sappia nulla »
cominciò appoggiando la busta sul banco dove stava seduta la
serpeverde, «Ma tu sei maggiorenne e sono abbastanza sicura
che il nonno abbia cominciato a metterti al corrente di determinate
informazioni: non dirmi che non sapevi niente di quell’invito
perché non ti crederei ».
Il ragazzo prese a massaggiarsi il collo nervoso, conosceva Jade
abbastanza da sapere che non li avrebbe lasciati andare prima di aver
ottenuto una risposta che la convincesse abbastanza e lui, la risposta,
anche ce l’avrebbe avuta, solo era piuttosto sicuro che alla
cugina non sarebbe andata per niente a genio.
«Non può essere che i tuoi nonni abbiamo deciso di
invitarti a cena perché sei la loro cara nipotina, vero?
» fece sarcastico Joshua sperando di chiudere quella
conversazione il prima possibile, certo che sarebbero finiti a parlare
di argomenti che non gli piacevano.
«Josh, ti prego » Jade gli rivolse
un’occhiata densa del più profondo scetticismo,
«Anche ammettendo che si ricordino della mia esistenza nel
loro albero genealogico, si rifiutano ancora di chiamarmi con il mio
nome, non si fanno sentire da sei anni, salvo qualche compleanno, e uno
dei loro migliori amici medita di uccidermi da quando avevo undici
anni. Deve esserci un motivo piuttosto serio per mandarmi un invito con
il loro miglior gufo, a scuola » si fermò un
istante, «Non volevo offendere tuo nonno dicendo che mi
preferirebbe morta, ma è la verità, Josh
».
Nott si limitò a fare spallucce, indifferente, suo nonno non
piaceva troppo nemmeno a lui: l’unico motivo per cui lo
frequentava era suo padre che lo obbligava a fargli visita ogni tanto.
Non aveva mai capito come, da un uomo austero e cinico come suo nonno,
il vecchio Ajax Nott, fosse potuta uscire una persona sommariamente
equilibrata e di larghe vedute come suo padre.
Il sospiro di Damian attirò di nuovo la loro attenzione.
«So per esperienza che non sei stupida » disse il
ragazzo guardandola serio, «Qualcosa devi aver pur pensato
quando hai visto quella busta, stamattina ».
Jade si morse l’interno della guancia senza smettere di
sostenere lo sguardo pesante e indagatore del cugino, «Certo
che ho pensato a qualcosa ma non può essere che sia per..
» non si prese nemmeno la briga di continuare
quando sul viso di Damian si dipinse una smorfia piuttosto eloquente.
«Vedi che c’eri arrivata? » le rispose
lui e Jade spostò gli occhi oltre le sue spalle, pensierosa,
continuando a torturarsi l’interno della guancia con i denti:
l’aveva detto lei che quella situazione non le piaceva per
niente.
«Ma non ha comunque senso! Come possono pensare che io decida
di assecondarli? E’ ridicolo » protestò
scuotendo la testa e Dam scrollò le spalle come se la cosa
contasse davvero poco.
«Sei sempre parte della famiglia, Jade, che ti piaccia oppure
no tua madre è una Greengrass e quindi, per metà,
lo sei anche tu » concluse lui e Jade gli riservò
un’occhiata bieca, le braccia incrociate al petto e la punta
della scarpa destra che batteva nervosa sul pavimento di lastroni.
In effetti, per quanto si sforzasse di pensare il contrario, Jade
faceva parte della famiglia Greengrass a tutti gli effetti e anzi,
volendo rivendicare qualcosa in quella gabbia di matti, lei e sua
sorella, avrebbero potuto scavalcare i cugini senza
difficoltà, essendo le figlie della primogenita.
La madre di Jade, infatti, era la prima figlia dell’attuale
capo del clan Greengrass, il vecchio Flegias, e di una delle figlie del
clan Moon, Electra. Entrambi aperti sostenitori dell’Oscuro
Signore e tra i suoi più appassionati seguaci, erano
riusciti a scampare ad Azkaban, dopo la fine della prima guerra magica
e anche alla seconda, solo perché ricchi sfondati e con dei
cognomi altisonanti alle spalle: insomma avevano fatto lo stesso gioco
di potere di Lucius Malfoy e ne erano usciti pressoché
puliti.
Dall’unione di due personaggi così sfacciatamente
purosangue e fierissimi di esserlo erano nati quattro figli: la madre
di Jade, Erinna, venuta al mondo cinque anni prima della fine della
prima guerra, Daphne, la madre di Damian e Grathia, Astoria, la madre
di Scorpius, e Castor, unico erede maschio della famiglia e
probabilmente il meno adatto a portare avanti il cognome dei Greengrass.
Spiegare, invece, come Joshua Nott si fosse trovato invischiato negli
intrighi familiari di quella casata era un po’ più
complesso: basti sapere che una cugina di secondo grado del vecchio
Greengrass aveva preso in marito, al tempo che fu, Ajax Nott, per altro
amico di lunga data di Flegias stesso, e quindi il nonno, il figlio e
il nipote si erano trovati impelagati in tutti i loro casini.
Per somma gioia di Josh,
ovviamente..
«Qualcuno vuole spiegarci cosa sta succedendo? » si
fece sentire Grathia alzandosi in piedi: non le piaceva essere tenuta
all’oscuro delle cose, lo odiava e il fatto che persino Jade,
la stessa Jade che evitava di far sapere in giro che erano parenti
neanche avessero la peste, sapesse qualcosa in più di lei,
la mandava in bestia.
Scorpius, invece, era giunto alla saggia conclusione che meno ne sapeva
degli affari della famiglia di suo padre e di quella di sua madre,
meglio avrebbe vissuto la sua giovinezza e quindi pareva
l’unico, lì dentro, a voler ignorare qualsiasi
cosa riguardasse buste, inviti e gufi.
«Loro dovevano rimanerne fuori » la
ignorò Damian rivolgendosi a Jade, «Non credo sia
una buona idea coinvolgerli ».
«Non penso ci siano alternative, Dam »
sospirò Josh leggermente annoiato, «Punto primo,
sono qua anche loro. Punto secondo, la lettera è arrivata
anche a loro, nonostante non fosse nei piani: tanto vale chiarire
questa faccenda ».
Damian prese un respiro profondo, facendo oscillare lo sguardo tra
Scorp e sua sorella: già che la frittata era fatta, tanto
valeva continuare.
Suo padre lo avrebbe come minimo ucciso ma amen, non dire niente a tua sorella,
Damian, è ancora troppo piccola, devi tenerla al sicuro
gli aveva detto e lui aveva risposto convinto: sì, padre, nessun
problema..
Certo, sì
padre, nessun problema se la cugina grifondoro non da di matto e non ci
rinchiude in una stanza per sapere cosa sta succedendo..
Sì, avrebbe dovuto decisamente specificare.
«Lo hai letto un giornale dal 5 di Ottobre ad oggi, Gracie?
» chiese alla sorella, come sperando che magicamente ci
arrivasse da sola, ma quando la vide scuotere la testa in segno di
diniego anche quell’ultima speranza di aggirare la promessa
che aveva fatto a suo padre svanì miseramente,
«Sai che delle persone hanno cercato di entrare in casa della
nonna, vero? Questo almeno l’hai sentito? ».
«Non trattarmi da stupida, Dam, è ovvio che
l’ho sentito » ribatté stizzita e Josh
non si trattenne dal mormorare qualcosa che appariva molto come un non
c’è niente di ovvio, con te, che a Grathia parve
molto un insulto alla sua non trascurabile intelligenza, ma decise di
sorvolare.
«Bene » annuì piantando le mani nelle
tasche dei pantaloni, «La nonna non è stata
l’unica sostenitrice dell’Oscuro Signore ad essere
vittima di aggressioni, nell’ultimo periodo. La strage di
Azkaban in cui sono stati sterminati tutti i Mangiamorte ne
è l’esempio più eclatante, se poi
volessimo elencare le lettere minatorie, le minacce e tutto il resto
non si finirebbe più.. li chiamano Illuminati e il loro
unico scopo sembra quello di sterminare tutti i clan purosangue che
hanno sostenuto Voldemort » Damian fece una pausa per
saggiare l’espressione di Grathia, apparentemente neutra, e
continuò, «Fino ad ora le famiglie purosangue non
hanno mosso un muscolo per il semplice motivo che credevano che le
istituzioni magiche le avrebbero difese o meglio, sarebbero state
capaci di proteggerle da questi fanatici ma quello che è
successo a James Potter ha dimostrato esattamente il contrario: se
Hogwarts non è sicura, nessun posto lo è
».
«Quindi » continuò Josh al posto suo, il
tono noncurante come al solito, «Flegias ha deciso che
è ora di fare qualcosa e si può ben immaginare
cosa possa intendere con il suo fare
qualcosa »
«Vuole avvertire la famiglia del pericolo e raccogliere
più appoggio possibile: per questo sono stati invitati anche
Jade e la sua famiglia » concluse Dam, «Per quanto
a lei piaccia pensare il contrario, è pur sempre la nipote
di due Mangiamorte: è a rischio quanto noi ».
«Non puoi essere serio » mormorò
Scorpius cogliendo immediatamente le implicazioni di tutta quella
faccenda, non voleva nemmeno sapere perché, ma tutto aveva
un che di già visto e già vissuto.
«Ti sembra che io stia ridendo, Scorp?».
Jade smise di ascoltarli quando il biondino cominciò a
protestare cercando di evidenziare l’idiozia di
un’idea del genere più di quanto non fosse
già evidente a tutti i presenti.
L’aveva capito già quella mattina che quella busta
e quel gufo avrebbero portato solo guai, un mare di guai, ma in un
angolo della sua testa doveva ammettere di aver sperato fino
all’ultimo in qualcosa di meno catastrofico di una riunione
per vedere quanti erano a favore e quanti contro sulla proposta:
torniamo o meno ad indossare maschere e cappucci per difendere dalle
avversità il nostro sangue purissimo! Inoltre sembrava che
nemmeno Damian avesse dubbi sul fatto che nessuno si sarebbe limitato a
difendersi in un’eventuale schermaglia e l’ultimo
cosa di cui il mondo aveva bisogno, a suo parare, era un nuovo periodo
del terrore in cui i figli dei babbani e i babbanofili dovessero temere
per la propria vita, anche perché, dopo la guerra, le
politiche per agevolare i rapporti con i babbani avevano avuto un
così largo successo che ormai quasi ogni mago
dell’Inghilterra simpatizzava per le persone prive di magia:
non sarebbe stata una caccia all’uomo, sarebbe stata una
roulette russa di stragi!
«Da una parte quelli che vogliono ammazzare i mezzosangue e
dall’altra quelli che vogliono ammazzare i purosangue
» ricapitolò Jade passandosi una mano sulla
fronte, «Se dovesse davvero finire in questo modo, dubito che
il Ministero riuscirebbe a fare qualcosa di utile ».
«A quel punto » la corresse Josh con una nota
sardonica, «Il Ministero non potrebbe fare proprio niente
».
Godric’s
Hollow numero 25, Cucina, ore 9.23
Nonostante fosse passata una discreta quantità di tempo ed
Hermione fosse davvero sicura di aver sepolto tutte le vicende
spiacevoli che la collegavano in un modo o nell’altro alla
figura altezzosa di Malfoy, ancora non riusciva a farselo andare a
genio del tutto.
Soprattutto quando si presentava a casa sua nella sua mattinata di
riposo buttandole quasi giù la porta a suon di imprecazioni
tra le più varie e la sorprendeva con indosso una vecchia
tuta e il capelli bagnati dalla doccia tenuti legati con un elastico a
fiori di sua figlia: per le mutande di Merlino! Ormai era un pezzo
grosso del Ministero! Aveva una reputazione da difendere! Non poteva
farsi vedere, davvero, da qualcuno in quello stato, soprattutto se quel
qualcuno era Draco
Malfoy!
«Ripetimi perché sei qui »
sbadigliò contrariata prima di affondare il viso in una
tazza di tisana rilassante: se voleva affrontare una conversazione con
quell’uomo doveva rimanere calma.
Ogni tanto se lo chiedeva seriamente, se Scorpius fosse un corno o
meno, perché non aveva mai visto traccia del cipiglio
indisponente di Malfoy in quel ragazzo..
«Perché mi pareva avessimo concordato un piano
d’azione, Granger » sbottò lui, seduto
di fronte a lei, con le gambe accavallate e una palese espressione
disgustata al pensiero di ritrovarsi nella cucina di una sanguesporco
di fronte a qualcosa di assolutamente non magico come un
caffè.
Già, quando Harry non poteva essere raggiungibile
perché era insieme agli altri in ufficio a lavorare sugli
illuminati, era la sua la casa sicura dove andare per riferire
eventuali informazioni: una sorta di seconda base, quando la casa dei
Potter era vuota, per chi stava cercando di capirci qualcosa di
illuminati e affini.
«Weasley » lo corresse esasperata Hermione,
«Mi sono sposata più di diciassette anni fa,
Malfoy ».
«Non è rilevante » fu la risposta secca
e concisa dell’altro, «Stamattina ho ricevuto
questa» lasciò scivolare sul tavolo una busta
verde smeraldo, «E’ da parte di Flegias Greengrass,
e se l’ho ricevuta io, so per certo che è arrivata
anche a Theo, Blaise e i fratelli di Asteria ».
Hermione si raddrizzò istantaneamente, mise da parte la
tazza sbeccata e prese tra le mani quella filigrana pregiatissima con
incisi i nomi di Draco e di sua moglie: sempre così
sfarzosi, i purosangue.
«E’ un invito al cenone della vigilia »
chiarì seguendo con lo sguardo le dita della donna mentre
aprivano la busta ed estraevano il biglietto,
«L’avevo detto a Potter che non se ne sarebbero
stati buoni..».
«Come fai ad essere sicuro che non sia solo un innocuo invito
per Natale?».
«Perché lo stesso invito è arrivato
anche ad Ellison Fyfield, mia nipote » sospirò
rilassando appena le spalle, «La figlia maggiore di Erinna
Greengrass ».
«Credevo che i Greengrass non parlassero con la figlia e la
sua famiglia da anni, ormai » commentò Hermione
aggrottando le sopracciglia pensierosa, «Da quel che ricordo
solo le due ragazze abitano in Inghilterra, Erinna e il marito si sono
trasferiti in.. ».
«…Spagna, sì »
annuì Malfoy, «Novak ha chiesto il pensionamento
anticipato dopo aver perso una gamba in un attentato ai danni della
delegazione magica inglese in Russia.. Non è normale che
Flegias abbia deciso di coinvolgere anche loro in una riunione di
famiglia ».
«Sta raccogliendo il consenso » dedusse Hermione
con semplicità, «Speravamo succedesse
più avanti , speravamo di riuscire ad arginare gli
Illuminati ».
«Evidentemente l’attacco al figlio di Potter li ha
spinti a dubitare delle rassicurazioni del Ministero, dovevamo
prevederlo: le famiglie purosangue non si fidano delle istituzioni
magiche, sono zeppe di babbanofili e mezzosangue, di questi tempi
».
«L’unica cosa che possiamo fare è
cercare di tener buoni Flegias e quelli che hanno intenzione di
seguirli finché non capiamo qualcosa in più di
questi illuminati » sospirò lei passando
elegantemente sopra al velato insulto nei confronti dei nati babbani,
«Non ci sono i presupposti per agire legalmente, anche se
sappiamo quanto tragiche potrebbero essere le conseguenze di una nuova
adunata di Mangiamorte, non stanno facendo nulla di illegale.. Tu e
Nott dovete monitorare la situazione e tenere calme le acque
finché non troviamo una soluzione: in molti seguono il nome
dei Greengrass, con un po’ di fortuna controllandolo,
riusciremo a manovrare anche le altre famiglie ».
«Avete avuto notizie da McDuff? ».
«Si sta lavorando la Fyfield » rispose pacata
Hermione accettando il suo desiderio di cambiare argomento: non sapeva
cosa avesse spinto Draco a schierarsi dalla loro parte, questa volta,
ma riusciva a capire quanto quella decisione dovesse costargli, anche
senza Voldemort, fare la spia nelle antiche famiglie magiche era molto
rischioso. Ci voleva la massima prudenza quando si aveva a che fare con
persone diffidenti per natura e per loro fortuna, sia Malfoy che Nott,
erano esperti nel non fare mai il passo più lungo della
gamba.
«Non fare quella faccia » continuò la
donna di fronte alla sua smorfia di disappunto, «Sei stato tu
a consigliarci di usare tua nipote ».
«Certo, Jade è una grifondoro, è
conosciuta e conosce un sacco di persone, non ha difficoltà
a trovare informazioni senza destare sospetti, è una
Caposcuola, quindi ha un maggiore raggio d’azione rispetto
agli altri studenti, e nel momento in cui McDuff le dirà
cosa ci serve sapere e perché saprà tenere la
bocca chiusa » commentò Draco incrociando le
braccia al petto, «Il fatto che fosse la scelta migliore, non
significa che mi debba piacere per forza ».
Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts, Sala Grande, ore 10.25
Elijah si sentiva come un uovo sbattuto mentre, steso su una delle
panche al tavolo dei Grifondoro nella sua ora libera del
lunedì, guardava il soffitto stregato e la neve che cadeva a
fiocchi senza mai toccare terra sgranocchiando quei meravigliosi
stuzzichini croccanti e salatissimi che sua madre gli spediva una volta
alla settimana via camino.
Non che avesse mai provato l’esperienza di essere un uovo e
di essere sbattuto da qualche parte, ma era abbastanza sicuro che la
sensazione fosse quella: una sorta di inspiegabile e pesante sensazione
di bleah.
Da quando James era stato ricoverato al San Mungo, Eli si era ritrovato
a vivere la propria routine con una noia tale da tediarlo persino
alzarsi dal letto: Ian era sempre con Gwen, con quella svampita della
Shelley che ancora si rifiutava di capire che il ragazzo ormai stava
con lei per inerzia ed era troppo buono per scaricarla da un giorno
all’altro quindi continuava a sopportarla in silenzio.
Già, Ian aveva sempre avuto la brutta inclinazione a fare la
cosa sbagliata per lui ma giusta per gli altri: aveva un po’
l’indole del martire. Jade, invece, viveva a metà
strada tra il suo mondo e i mille impegni che continuava a prendersi,
patologicamente incapace di dire di no alla gente, il che la rendeva
off limits tutto il giorno meno che a pranzo e a cena, dove Eli aveva
comunque tutta la tavolata Grifondoro a fargli compagnia.
Era dura da ammettere, per un ragazzo con una certa reputazione da
menefreghista cosmico come lui da difendere, ma si sentiva
tremendamente solo senza uno dei suoi tre amici a tenergli compagnia.
«Potresti essere l’incarnazione
dell’indolenza, sai? » una voce vagamente divertita
lo risollevò dalla sua spirale di pensieri negativi.
Si stupì non poco nel riconoscere, voltando la testa verso
la tavolata deserta dei Tassorosso, la figura di Rowena, seduta sulla
panca parallela alla sua con le gamba accavallate e i gomiti appoggiati
sul tavolo.
«E’ strano vederti senza quella piaga ambulante di
mio fratello » rispose con un ghigno, «Avete
divorziato? ».
«Io e Mord siamo solo buoni amici »
precisò la ragazza alzando gli occhi scuri verso il soffitto
stregato, «Sta poco bene, ha preferito tornare in dormitorio
a riposare ».
«E lo Scamader? ».
«Lorcan ha Babbanologia ».
«Cromwell? La Nieri? Molly Weasley? ».
«Oliver è con una certa Judith Swift, si sono
imbucati non so dove, Emma è con Xavier Knight e se Molly lo
scopre potrebbe decidere di disconoscerla, ma per fortuna di Emm sta
studiando in biblioteca » rispose tranquilla, «Ma
se ti do tanto fastidio me ne vado ».
«La Nieri e Knight? Sul serio? »
commentò Elijah esterrefatto, gli occhi verdi appena appena
più grandi, «Da quando in qua? ».
«Non credo lo vogliano far sapere in giro: Emma teme molto il
giudizio di Molly e sa che non ama le Serpi » fece spallucce
prima di sorridere con un angolo della bocca, accorta, «Te
l’hanno mai detto che hai la stoffa della vecchia comare?
Sono convinta che, se fossi una donna, saresti la migliore amica della
Wetmore e della Lodge ».
Elijah sospirò pesantemente contrariato ma decise di non
ribattere. Anche con un paio di tette non sarebbe mai diventato amico
di quelle due oche: il suo disgusto nei confronti della casata
verdeargento era troppo ben radicato nel suo animo per permettergli
anche solo di respirare la loro aria.
Il fatto che a Serpeverde ci fosse anche il fratello che gli impediva
di prendersi l’unica ragazza che davvero volesse e che gli
stava seduta davanti, non centrava assolutamente nulla..
Rimasero in silenzio per un po’, entrambi troppo presi a
seguire il filo incasinato dei propri pensieri e a cercare di dargli
ordine guardando il cielo plumbeo sopra le loro teste per decidere di
dire qualcosa. Non era un silenzio scomodo, anzi, era quasi caldo:
aveva il sapore di un’intimità che non aveva
bisogno di spiegarsi e che, da che Elijah ricordasse, c’era
sempre stata tra di loro.
«Cos’aveva Mord? » chiese ad un certo
punto Eli, la voce appena più bassa, come se avesse paura di
farsi sentire seriamente da qualcuno: alesava talmente tanto
l’odio per il suo gemello che c’avrebbe perso la
faccia se qualcuno avesse scoperto che nonostante tutto si preoccupava
comunque per lui.
Rowena sorrise appena, inclinando leggermente la testa verso destra,
gli occhi si colorarono di una sfumatura appena più dolce e
meno impenetrabile del solito.
«Credo si sia preso l’influenza » rispose
lei con un sospiro, «Sai che in questo periodo si ammala
sempre.. Ti farò sapere se peggiora: credo avrò
bisogno del tuo aiuto per trascinarlo in infermeria, a quel punto..
».
«Come l’anno scorso » annuì
Elijah alzando gli occhi al cielo: solo lui poteva avere un fratello
talmente idiota da rifiutarsi di andare dalla Talleyrand a chiedere una
semplice pozione per far abbassare la febbre.
«O l’anno prima » annuì
distrattamente Rowena continuando a studiarlo con quel modo attento ma
discreto mentre Eli continuava, ignaro, a sgranocchiare salatini
fissando la neve che cadeva, come ipnotizzato.
La ragazza si ritrovò ancora a riflettere sul legame
impalpabile che teneva una parte del suo cervello incatenata ad Elijah
Faraday, in maniera irrazionale e totalmente insensata, per altro, e
trattenne un sospiro.
La prima volta che aveva incontrato Mordecai, era stato in biblioteca,
al primo anno, un mese dopo la morte di sua sorella, nel periodo in cui
si teneva distante persino da Lorcan: lo stesso Lorcan che era
diventato la sua ombra dal primo giorno di scuola.
Non avevano parlato un granché, a dir la verità
erano semplicemente finiti a sedere allo stesso tavolo con un numero
indecente di libri e avevano scoperto ciascuno l’esistenza
dell’altro, senza imbarazzanti presentazioni o cose del
genere, solo con qualche veloce e pacato scambio di battute: stai
facendo il tema per Eastwood? Cosa hai risposto alla domanda numero
quattro? Cose così..
Quando poi Mordecai si era alzato e aveva raccolto le sue cose
salutandola, Rowena aveva alzato la testa e lo aveva ringraziato: era
stato il primo a non mostrarle una pietà che non voleva, per
la morte di sua sorella, il primo a non fermarla per i corridoi
facendole le condoglianze, il primo che l’aveva trattata come
una coetanea e non come un caso sociale.
Il primo a trattarla come Rowena Dale e non come la sorella della
ragazza assassinata a Diagon Alley.
La risposta di un dodicenne già piuttosto cinico era stata,
«Che senso avrebbe avuto dirti che mi dispiace? Non conoscevo
tua sorella, non conosco davvero nemmeno te.. Meglio stare in silenzio
che essere ipocriti, non credi? ».
Da lì in avanti Rowena aveva continuata a cercare il tavolo
dove quel ragazzino si sedeva per studiare, in biblioteca e a sedergli
accanto, in silenzio, usandolo egoisticamente come balsamo per quando
il ricordo del funerale di sua sorella si faceva troppo pressante, o
gli sguardi di tutti si facevano incredibilmente pesanti,
perché il freddo che percepiva nei gesti e nelle parole di
Mord anestetizzava il dolore, le ricordava che il mondo continuava ad
andare avanti comunque, indipendentemente dalle sue lacrime.
E mano a mano che se ne rendeva conto, sentiva scemar piano il bisogno
di piangere, sentiva il dolore diventare nostalgia.
Erano passati dall’essere semplici conoscenti ad amici,
perché sì, Mord faceva una distinzione piuttosto
netta tra le due categorie, una sera di Ottobre, durante il loro
secondo anno, quando il ragazzo, alzandosi dal loro solito tavolo in
biblioteca per tornarsene nei sotterranei aveva mormorato, la voce
ridotta ad un fiato incerto il “mi dispiace” che
non aveva voluto dirle tanti mesi prima e Rowena aveva sorriso,
ringraziandolo ancora una volta.
Sotteso a quel “mi dispiace” c’erano
talmente tante cose che Row c’avrebbe impiegato anni per
capirle tutte: anni per capire come trattare il carattere diffidente di
Mordecai, anni per conquistare la sua fiducia, anni perché
le concedesse di psicoanalizzarlo come faceva con Lorcan, anni
perché andasse a parlare a lei dei suoi problemi prima che a
chiunque altro.
Rowena aveva capito che Mordecai era innamorato di lei solo quando
aveva incontrato Elijah e aveva afferrato quanto quei due si
assomigliassero nel profondo: nonostante i diversi colori della divisa
scolastica, nonostante sostenessero di volersi seppellire a vicenda,
nonostante litigassero persino su chi dei due dovesse entrare per primo
in una stanza.
La consapevolezza di essersi infatuata di Elijah era arrivata solo
molto tempo dopo, passeggiando con i due gemelli per le vie della
Londra babbana, vedendoli vicini, identici eppure agli antipodi: capaci
di dare allo stesso sentimento una forma totalmente distinta.
E Row aveva capito di amare le forme che creava Elijah, di esserne
attratta pericolosamente, più di quanto non apprezzasse
già quelle familiare e un po’ spigolose di
Mordecai.
«Siete uguali, tu e Mord » disse allora, come se
fosse una riflessione nata da un’illuminazione piuttosto che
da anni di analisi, riuscendo comunque a guadagnarsi
un’occhiataccia scettica da parte degli occhi verdi e
brillanti di Elijah.
«Lo so che siamo uguali » borbottò come
se il solo dirlo gli facesse venire l’orticaria,
«Siamo gemelli omozigoti, sarebbe strano il contrario..
gentile a ricordarmelo, comunque ».
Sarcasmo: smorzato da una risata se veniva da Elijah, affilato da una
smorfia se veniva da Mordecai.
«Siete davvero più simili di quanto pensiate
» concluse alzandosi in piedi e lasciandolo lì, di
nuovo da solo, con i suoi salatini e i suoi pensieri persi in una
bufera di neve.
Eli spostò lo sguardo dal cielo sopra la sua testa solo per
vederla andarsene ancheggiando appena e sospirò sconfitto.
Niente da fare: aveva bisogno di James.
Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts, Sala Grande, ore 19.23
Ian aveva solo ceduto ad un momento di stanchezza, non
c’aveva messo cattiveria: non aveva pensato proprio a niente
quando aveva risposto alla sua ragazza di star zitta cinque secondi,
nel bel mezzo della Sala Grande e sotto lo sguardo di tutta la scuola.
Non aveva pensato che si trovava davanti quello zucchero di Gwen, non
aveva pensato che si stava comportando da stronzo, non aveva pensato
nemmeno che l’avrebbe fatta arrabbiare, ad essere sinceri.
Sicuramente non pensava che la ragazza sarebbe esplosa in una scenata
al limite della psicosi.
E pensare che lui voleva semplicemente cinque minuti di silenzio dopo
aver litigato di nuovo con Jade in corridoio, nascosti dietro ad una
colonna, per una cosa talmente stupida da farlo vergognare di
sé stesso.
«A chi scrivi?
».
«Un amico
».
«Non credo sia
un amico.. ».
«La mia vita
privata non ti riguarda, Ian ».
«Ero curioso
».
«Non
è vero, tu sei geloso e non ne hai alcun diritto. Stanne
fuori ».
Lì avevano cominciato ad urlarsi contro perché
era successo esattamente quello che succede quando dici ad una persona
nervosa che è nervosa, quella si innervosisce ancora di
più e raggiunge il limite peggio del fuoco a contatto con la
benzina.
Boom!
E quando aveva zittito Gwen, con quel tono sicuramente troppo brusco,
non aveva pensato: onestamente, Ian se ne rendeva conto solo ora,
mentre la fidanzata gli urlava addosso, era da un po’ che non
pensava.
Forse era per questo che, di recente, era capace solo di produrre
casini su casini.
«Gwen, santo Merlino, calmati » mormorò
puntandole addosso lo sguardo scuro: non la stava nemmeno ascoltando..
Non l’ascoltava più da tanto tempo,
«Stai dando spettacolo ».
La ragazza gli puntò contro l’indice, il peso del
corpo spostato leggermente in avanti e tutta l’intenzione di
sventrargli a morsi la carotide: se non fosse stato sicuro che i
Tassorosso erano quasi incapaci di fare del male al prossimo si sarebbe
preoccupato.
Intravide la faccia incuriosita di Bones seduto poco distante da dove
si trovavano loro e gli tornarono in mente i capelli della Wetmore:
forse avrebbe fatto bene a preoccuparsi comunque.
Una donna incazzata
rimaneva tale in qualsiasi Casa si trovasse.
«Io non sto dando spettacolo, cazzo! »
esclamò indignata, «Sono mesi che non mi consideri
nemmeno! Mesi che inventi scuse sopra scuse per evitare di vedermi! Ti
sei dimenticato il nostro anniversario e io cosa ho fatto?! Niente!
Pensavo fosse un periodo! Pensavo…ero convinta ti sarebbe
passata! E invece?! Invece è andata sempre
peggio!» Ian sapeva che la voce di Gwen era leggermente
acuta, un po’ pigolante ma, dannazione, gli stava
polverizzando i timpani.
La vide guardare alle sue spalle, individuare una persona tra gli
studenti che stavano entrando per la Cena e vide i suoi occhi
accendersi di un nuovo barlume assassino.
Ora, se avesse anche solo potuto prevedere quanto stava per accadere
sarebbe andato dal platano picchiatore e l’avrebbe supplicato
di ucciderlo seduta stante, con una scarica di cazzotti di legno e li
avrebbe accettati tutti senza lamentarsi perché, Merlino, se
li meritava dal primo all’ultimo tanto era un coglione
patentato.
Ma le cose non vanno mai come uno vorrebbe, anzi, se possono andare
peggio lo fanno sempre e lui se le meritava tutte le disgrazie del
mondo, dalla prima all’ultima.
«E io lo sapevo! Io lo sapevo che quella lì era
una troia! Lo sapevo che c’avrebbe diviso! Anche se tu
continuavi a dirmi che eravate solo amici.. »
sibilò Gwen abbastanza forte perché la potessero
sentire quasi tutti gli studenti, «Io lo sapevo che ti sbattevi quella puttana della
Fyfield! Lo sapevo che sarebbe stata tutta colpa sua!
».
Non ci volle un genio, a quel punto, per capire che Gwen stava fissando
Jade, in piedi sulla porta della Sala Grande, gli occhi spalancati e la
bocca socchiusa, che lo guardava come a chiedergli cosa stesse
succedendo, perché, esattamente, tutta la Sala Grande la
stesse fissando in un misto di disgusto e sorpresa.
Ian si voltò in tempo per incrociare il suo sguardo una
manciata di secondi e sentirsi mancare il respiro: rabbia, delusione, paura.
La vide mormorare qualcosa ad Evangeline, sconvolta quasi quanto lei, e
dileguarsi il più velocemente possibile mentre Gwen
continuava la sua crociata di pura isteria.
Un coglione, Ian, sei
proprio un coglione.
Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts, Dormitorio femminile Grifonforo, ore 20.02
Elijah non bussò nemmeno, giunto davanti alla porta di legno
spessa almeno cinque pollici, la spinse e rimase fermo sulla soglia, le
mani infilate nelle tasche dei pantaloni neri della divisa, gli occhi
verdi fissi, in un misto di tristezza e compassione, sulla figura
rannicchiata su uno dei tre letti.
Jade se ne stava immobile, scossa appena dai singhiozzi, il viso
incastrato tra le ginocchia e i capelli spettinati: Elijah non
ricordava di averla mai vista così fragile, piccola nel
rosso del copriletto e delle tende del baldacchino.
Sospirò appena e le si avvicinò, senza dire
niente, prese posto vicino a lei sul letto e la strinse, accarezzandole
dolcemente i capelli mentre lei gli si stringeva addosso, aggrappandosi
al suo maglione come ad un’ancora di salvezza.
Non c’erano parole e di sicuro, ogni spiegazione, avrebbe
potuto aspettare il giorno dopo, perché Eli era
l’indifferenza fatta persona ma davvero, ad avere Ian
sottomano in quel momento l’avrebbe cruciato.
Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Serpeverde, ore 23.56
Joshua sbadigliò sonoramente, scendendo gli ultimi gradini
che separavano il suo dormitorio dalla Sala Comune, immersa nel buio
salvo per una candela solitaria, accesa sul tavolino alla destra del
divano.
Alzò un sopracciglio cercando di capire chi ci fosse ancora
sveglio, steso sul velluto verde del divano e si stupì non
poco nel distinguere Katherine, con la vestaglia di raso aperta sul
pigiama tinta panna, e un libro troppo grosso per il suo quoziente
intellettivo tra le mani.
Non pensava ci fossero altri Serpeverde che soffrissero
d’insonnia, o meglio, non pensava che proprio la Wetmore
potesse avere un motivo per non dormire sonni tranquilli: chi
più di lei aveva una vita perfetta? Che problemi poteva
avere una come Katherine Wetmore per non chiudere gli occhi la notte?
«Sicura che quel volume non sia troppo per i tuoi standard?
» chiese caustico prendendo posto sulla poltrona vicina al
caminetto, in modo da poterla guardare in faccia attraverso la fioca
luce della candela, «Non so se l’hai notato ma non
è il Settimanale della Strega ».
«Lo so, Nott » replicò lei tranquilla,
voltando l’ennesima pagina senza degnarlo di troppa
attenzione, «Infatti è un libro di incantesimi per
l’’edilizia magica ».
«Ripeto, non ti sembra sia troppo per i tuoi standard?
» rincarò sperando di farla arrabbiare almeno un
po’: la discussione con Jade di quella mattina gli aveva
messo in testa tanti di quei disastrosi scenari di morte che aveva
bisogno del pensiero felice di aver fatto infuriare la Wetmore per
dormire almeno un paio d’ore.
Ma la ragazza non fece una piega, non lo guardò nemmeno,
concentrata nell’analisi di chissà cosa e Nott si
sentì un po’ offeso, quasi trascurato.
«Perché ti dai ad una lettura tanto impegnativa?
» riprovò: Kath silenziosa lo metteva
tremendamente a disagio, solo ora che, per una volta in sette anni, non
la sentiva fiatare se ne rendeva davvero conto.
«Mio padre vuole che vada a lavorare per il suo studio di
magiarchitettura ad Edimburgo una volta presi i MAGO.. Mi sto solo
documentando.. » rispose con noncuranza e Josh si
trovò a ghignare sornione.
«Leggi libri importanti, ti documenti, difendi Jade di fronte
a tutti nella Sala Grande.. » elencò
distrattamente, accavallando le gambe prima di intrecciare le dita
sotto al mento, indagatore, «Sembri proprio una Grifondoro
diligente, sai? ».
«Non dire idiozie, Nott. Sono tutte cose che faccio
perché mi servono » commentò
distaccata, l’ennesima pagina che seguiva le altre
già lette.
«Anche difendere Jade, ti serviva? ».
«No, ma la Shelley era davvero una presenza molesta, questa
sera: non mi andava che mi rovinasse la cena ».
Josh sospirò e si piegò in avanti: non credeva ad
una delle parole di Katherine e lo sapevano entrambi.
Studiava
magiarchitettura perché suo padre
l’avrebbe obbligata a lavorare con lui ad Edimburgo,
probabilmente lo dava talmente per scontato che non glielo aveva
nemmeno chiesto.
Aveva difeso Jade
di fronte a tutti perché, in fondo in fondo, non la odiava
come odiava il resto delle oche di Hogwarts: era stato un atto di
solidarietà femminile alla Wetmore, ma non avrebbe mai
ammesso di averlo fatto per buon cuore.
«Attenta a non diventarmi una brava ragazza, Katherine
» mormorò alzandosi per tornare in camera a
fissare di nuovo il soffitto, «Questo non è il
posto per gente del genere ».
Di nuovo non gli rispose, assorta nelle righe fitte di quel volume che
la teneva sveglia insieme a mille altri pensieri e Joshua era ormai, di
nuovo, su quegli ultimi gradini che aveva sceso prima, quando lo
sentì, appena sussurrato.
«Buonanotte,
Josh ».
E Nott non sapeva perché ma si trovò a sorridere
a mezza bocca come un ebete.
Quando odiava la
Wetmore, non lo sapeva più nemmeno lui.
Note di un'autrice un po' depressa:
Allora, buonasera a tutti :) vi lascio questo capitolo veloce
veloce perché devo preparare la valigia per Vienna e non ho
idea di cosa metterci dentro: capitemi sono nel panico più
totale!!! @.@
Detto questo, visto che ho pochissimo tempo, vi imploro di recensire,
vi prego gente, se davvero questa storia vi piace, la preferite, la
seguite e la ricordate, vi prego: LASCIATEMI UNA
RECENSIONEEEEEEEEEE!!! Ne ho davvero bisogno: almeno voi
tiratemi su una costola che fino a luglio prevendo tempeste un gionro
sì e lìaltro pure...
FIduciosa nel fatto che mi farete questo enorme piacere e ringraziando
chi legge, segue, preferisce, ricorda e recensisce la storia (Vi voglio
tanto bene :D ) vi saluto e vi aspetto al prosismo capitoletto che
è già in cantiere ( ma l'avviso resta
lì ancora un po', per sicurezza.. )
Tanti bacini,
Najla :)
|
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Capitolo 17 *** C'era una volta, qualche errore fa.. ***
Quattordicesimo Capitolo
C'era una volta,
qualche errore fa..
Sperare
che domani arrivi in fretta
e che
svanisca ogni pensiero.
Lasciare
che lo scorrere del tempo
renda
tutto un po' più chiaro.
( Sono
solo parole- Noemi )
27
Novembre XX
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Biblioteca, ore 14.12
Jade si sentiva
vagamente osservata mentre, seduta in uno dei tavoli più
isolati di tutta la biblioteca già di per sé
deserta, come quasi ogni domenica pomeriggio, insieme ad una pila di
libri a nasconderla dal mondo e il naso a pochi centimetri dalla
pergamena, scriveva un tema di Pozioni che doveva essere il migliore
mai scritto in tutta la sua carriera scolastica, visto quanto si stava
impegnando per stenderlo soppesando e valutando ogni parola, ogni
stramaledetto punto.
Non credeva
fosse possibile trovare qualcosa di apprezzabile nella brutta,
orrifica, svolta che aveva preso la sua vita da pochi giorni a quella
parte, ma era costretta ad ammettere che la sua media scolastica ne
avrebbe sicuramente tratto vantaggio.
Da cosa?
Ma dal suo
progetto di isolarsi dal mondo e intraprendere la via della privazione
per raggiungere l’ascesi e trovare un senso a tutte le
disgrazie che l’avevano colpita di recente, ovviamente.
Progettino un
filino ostico, ma Jade era ben decisa a realizzarlo prima delle vacanze
di Natale, anche se qualcuno non era della sua stessa idea.
«Elijah,
se continui a fissarmi, mi brucerai come minimo i capelli»
commentò a mezza bocca rileggendo il breve paragrafo che
aveva scritto nell’ultimo quarto d’ora: pura poesia
su pergamena, un’opera degna di un alchimista.
Eli se ne stava
in piedi di fronte a lei, le braccia incrociate al petto e il cipiglio
spazientito di chi ne ha davvero abbastanza di un po’ tutto
ma è troppo equilibrato per esplodere e distruggere
qualcosa, magari la testa della propria migliore amica sul tavolo della
biblioteca.
Giusto per fare
un esempio.
«Ti
cerco dal dopo partita » borbottò lui acido: si
era preoccupato come un idiota e lei invece se ne stava a fare la muffa
in biblioteca!
«Ah
già.. » fece l’altra poco interessata,
non degnandosi nemmeno di guardarlo in faccia, concentrata sul suo
importantissimo tema, «Chi ha vinto? Charlie o Lorcan?
».
«Lorcan
» rispose asciutto, prima di aggiungere in tono accusatorio,
«Perché non eri a pranzo? ».
Lei
sospirò pesantemente, stringendosi appena nelle spalle,
«Non mi sono accorta del tempo che passava, tutto qui, poi
era troppo tardi e.. ».
«Non
hai fatto nemmeno colazione: mi hai detto che avresti mangiato qualcosa
con Eva ma lei non ti ha vista ».
«Non
mi sto lasciando morire di fame, Elijah » ribatté
spazientita, «Ora, se non ti dispiace, io starei studiando
».
«No,
tu stai cercando di sparire, è diverso »
insinuò il ragazzo continuando a guardarla, «Devi
mangiare ».
«Merlino,
Eli! » esclamò facendo roteare gli occhi seccata,
«Cosa sei diventato? L’inquisizione spagnola?
Quando avrò fame mangerò, quando avrò
voglia di stare in compagnia di qualcuno te lo farò sapere:
ora devo studiare ».
Elijah
l’avrebbe volentieri presa a sberle, giusto per provare
l’efficacia di una terapia d’urto, ma
cercò di ricordarsi che non era un bel momento, non era un
bel periodo, che la sua amica aveva bisogno di sostegno morale e non di
una persona che la facesse rinsavire a suon di schiaffoni e soprattutto
cercò di scolpirsi a lettere cubitali tra i neuroni che, con
James all’ospedale e l’Innominabile che era, per
l’appunto, escluso per ovvie ragioni, a Jade rimanevano lui
e, beh, lui.
A voler essere
proprio onesti, anche Eva e Roxanne avrebbero potuto provare a farla
ragionare, ma Eva era troppo buona per farle la giusta pressione e Rox
aveva chiesto espressamente di rimanerne fuori perché
altrimenti si sarebbe convinta che strangolare Ian e seppellirne il
cadavere da qualche parte nel cuore della notte, fosse una buona e
attuabilissima idea.
E quello che
Roxanne Weasley dice, Roxanne Weasley fa.
Ora, se Jade
fosse stata una normalissima ragazzina con il cuore spezzato per colpa
di un bastardo, Elijah avrebbe fatto semplicemente due cose: primo,
l’avrebbe consolata, secondo, sarebbe andato dal sopraccitato
bastardo e lo avrebbe castrato, all’apice di
quell’istinto protettivo che mostrava solo verso tre donne,
Jade, Rowena e sua madre.
Peccato solo
che la situazione fosse ben diversa.
Perché
Jade non era mai stata una normalissima ragazzina.
Perché
il problema non era che avesse o meno il cuore ridotto in tanti
pezzetti con cui avrebbe potuto giocare come con un tangram.
Perché
il bastardo non era un semplice bastardo ma Ian.
E soprattutto
perché lui, nonostante tutto, non se la sentiva proprio di
castrare Ian: presupponeva che la colpa fosse da imputarsi ad una sorta
di innato cameratismo maschile, ma era sicuro che poi si sarebbe
sentito in colpa.
«Non
sono l’Inquisizione, credo solo che non sia una buona idea
quella di fondersi con i libri della biblioteca » disse Eli
sedendole di fronte con un sorrisetto ironico e anche se Jade non lo
stava guardando in faccia lo sapeva che aveva messo su quel suo odioso
ghigno sarcastico, «Puzzano e non se li fila nessuno:
è davvero questa la fine che vuoi fare? ».
«Non
è che ad ora la mia situazione sia poi tanto diversa, sai?
» commentò con un filo di voce, come quando hai
davanti una persona che non sopporti e non riesci a trattenere un
insulto che se ne sta a fior di labbra, ti viene semplicemente fuori e
sei costretto a sibilare per non farti sentire.
«Oddio..
ancora non puzzi » la contraddisse prontamente Eli con
un’alzatina di spalle, riuscendo però a strappare
a Jade un mezzo sorriso e a farle finalmente posare la piuma vicino al
calamaio.
«Cosa
vuoi, Eli? » chiese con un sospiro esasperato la
bionda e l’altro si fermò a guardarla un istante.
Indossava una
felpa troppo grande, forse di suo padre, che riusciva solo a farla
sembrare ancora più fragile, i capelli erano raccolti
malamente sopra la testa, in una crocchia davvero improbabile, e
sembrava un po’ più pallida del solito, ma forse
erano le occhiaie e la sua aria stanca a restituirgli
quell’impressione.
Era brutto
vedere Jade ridotta in quello stato, senza la sua energia, senza
quell’energia che le permetteva di tener testa a tutta la
scuola senza problemi: senza la proverbiale energia che metteva un
freno a James Sirius Potter.. ed era tutto dire.
Forse poteva
sguinzagliare davvero Roxanne e lasciare che uccidesse Ian.
«Voglio
che tu prenda i tuoi libri, venga in dormitorio con me »
cominciò tranquillo, «E voglio che tu ti sieda sul
nostro divano in Sala Comune, facendomi compagnia mentre beviamo una
cioccolata calda, credi di potercela fare? Per me?».
Jade
sospirò pesantemente, chiudendo la boccetta
d’inchiostro.
«Eli,
non sono depressa, ho solo bisogno di rimanere da sola per un
po’.. ».
«Il
tuo da sola dura quasi da una settimana, Jay » le fece notare
con tutto il suo tatto, «E noi siamo un po’
preoccupati, un po’ tanto, in effetti ».
La ragazza
sorrise appena riponendo le pergamene nella sacca di tela prima di
alzarsi in piedi e prendere un paio di libri tra le braccia, sapeva per
esperienza che Eli non l’avrebbe lasciata in pace
finché fosse rimasta lì e lei davvero non voleva
affrontare ancora nessuno.
Gli bastavano
gli sguardi di rimprovero di tutti, non voleva sommarci anche quelli
dei suoi amici, non avrebbe retto il colpo.
«Non
c’è niente che non vada, Eli, sul serio
» lo rassicurò arrivandogli di fronte, con quel
sorriso spento ancora sulle labbra, «Voglio solo stare da
sola..».
«Non
è importante che sia Ian, lo sai vero? »
provò Elijah guardandola in viso, era così
pallida, «Non sono dalla sua parte solo perché
è lui, e non è nemmeno importante che tu non mi
abbia detto niente.. solo.. sono sempre Eli, no? Con me puoi parlare
quanto e come vuoi.. ».
Il sorriso
sincero ma rassegnato che lei gli rivolse lo colpì come un
pugno nello stomaco, insieme alla consapevolezza che in qualche modo,
dopo tutto quello, Jade si sarebbe allontanata da loro, avrebbe cercato
di sparire come faceva quando le veniva il malato pensiero di essere di
troppo.
Quando la
sentì baciargli la testa ebbe solo una gran voglia di
urlare: non doveva finire così! Potevano risolvere tutto,
potevano..
«Grazie,
Eli, davvero » mormorò Jade prima di andarsene e
lasciarlo lì da solo, in mezzo a tutta
quell’irritante cultura.
Strinse i pugni
desiderando di prendere a testate il muro o a cazzotti Ian,
perfettamente consapevole che su di lui non avrebbe alzato un dito
perché era abbastanza sicuro che non se la passasse bene.
Aveva persino
provato a litigarci, con Ian, la sera in cui Gwenlapazza era
scoppiata.
«Tu sei un cretino!
» gli aveva ringhiato contro sbattendosi la
porta alle spalle, incurante di Lys e Frank, già a letto.
«Lo so.. » gli
aveva risposto atono Ian, seduto per terra, vicino alla porta del bagno.
«Porco
Merlino.. Tu devi solo ringraziare che James sia bloccato a kilometri
da qui! Sai che per lui Jade è come una sorella! Santo
Empedocle, Ian!! Ti sei fatto la sorella di James!! ».
«Jay
non è la sorella di James ».
«E tu
l’hai.. l’hai.. Dio!! Non ho neanche una
definizione per quello che hai fatto! » l’aveva
ignorato mettendosi le mani tra i capelli per non stringergliele
intorno al collo: ma perché gli amici deficienti li aveva
tutti lui, eh? Cos’era? Un radar per i menomati mentali?!
Ian non gli
aveva più risposto e a quel punto aveva provato a calmarsi,
almeno un po’.
«Se non ti conoscessi
davvero e non sapessi che stai soffrendo come un cane ti sparerei.. e
io sono un purosangue, ok? Ho un rifiuto genetico per le armi da
fuoco!! » aveva aggiunto mettendosi in piedi di
fronte a lui: aveva preso a massaggiarsi il collo senza accorgersene,
con un mal di testa di proporzioni cosmiche pronto a sfondargli la
fronte come un ariete.
«Mi spieghi che
diavolo ti è saltato in mente, Ian? Sono anni che mi fai la
morale e poi…Jade? Tra tutte perché lei?
» gli aveva chiesto esasperato e
l’altro l’aveva guardato senza vederlo,
completamente perso.
«Perché
è Jay » aveva risposto con una
semplicità che gridava “Ian” da tutti i
pori e lì Eli aveva capito due o tre cose: primo, Ian era
più simile a lui e a James di quanto potesse sembrare e
aveva una vita sentimentale incasinata quanto la loro, secondo, lui,
Elijah, avrebbe dovuto risolvere il problema Ian-Jade prima del ritorno
alla vita di James e terzo, era convinto che, saputo quanto era
successo, a Jamie sarebbe partito un embolo.
Espirò
arrabbiato con se stesso e ringraziò, di nuovo, che, al
momento, il piccolo infermo fosse circondato da medimaghi.
Ospedale
San Mungo di Londra, camera di James S. Potter, ore 16.12
«Che cosa?! »
l’acuto vagamente stridulo di James costrinse Lily a fare una
smorfia infastidita mentre, in piedi a lato del letto con Teddy al suo
fianco, aspettava che suo fratello la smettesse di sbraitare e
dimenarsi come un ossesso con il solo risultato di sembrare una
tartaruga che cerca di tornare con le zampe a terra dopo essere stata
crudelmente girata sul carapace.
Tutt’al
più che, conciato com’era, con mezzo busto ancora
bloccato e l’unico vantaggio di muovere il braccio sinistro,
il destro avrebbe avuto bisogno di un altro intervento, stava facendo
una ben misera figura.
Lily
inclinò appena la testa verso Ted, tenendo gli occhi puntati
sul fratello: «Non glielo dovevo dire, vero? ».
«No,
non glielo dovevi dire » sospirò il più
grande nel momento in cui partirono tutti i sensori magici che
controllavano i parametri vitali di James, producendo un fischio tanto
forte che li costrinse a strizzare gli occhi per il fastidio.
Lily
alzò gli occhi al cielo mentre un’infermiera
entrava tutta trafelata nella camera con la bacchetta già
sguainata, pronta ad intervenire e la piccola Potter si
immaginò lo stress a cui doveva essere sottoposta quella
poveretta: rischiare di far morire il figlio del grande Harry Potter!
Santo Merlino!! Probabilmente, fosse successo, si sarebbe suicidata con
una fiala di Belladonna per i sensi di colpa.
Teddy la
bloccò sulla porta cercando con pazienza infinita di
tranquillizzarla mentre Jam continuava a sbraitare minacce di morte
contro Ian Clow e le ordinava di prendere carta e penna: «Io
lo strangolo! Io lo.. Lils! Una strillettera! Esigo una.. Io lo
uccido!».
«Jamie
» lo richiamò autoritaria di fronte a quel caos di
frasi senza senso logico, «Datti una calmata ».
«No!
» rispose l’altro sfidandola con lo sguardo e Lily
si inalberò esattamente come la madre quando doveva
strigliare uno dei due figli, con i capelli che si gonfiavano
leggermente e le braccia serrate al petto.
«James!
O ti calmi o dico all’infermiera di tenerti a digiuno di
dolci, chiaro?! » lo minacciò tenendo lo stesso
sguardo di sfida del fratello.
Ted, ancora
fermo sulla porta dopo esser riuscito nell’impresa titanica
di calmare quel donnone di infermiera che voleva a tutti i costi
controllare James, guardò i due fratelli e si chiese come
zia Ginny e zio Harry fossero riusciti a sopravvivere con tre elementi
del genere in casa, perché alla fine i tre piccoli Potter
sembravano fatti con lo stampino. Poi si rese conto che anche lui era
cresciuto insieme a loro e si sentì un po’ in
colpa all’idea di aver contribuito al marasma generale.
Avrebbe
regalato una pianta a zia Gin per scusarsi.
James, nel
frattempo, aveva assottigliato lo sguardo, come a saggiare la
veridicità delle parole dell’altra e alla fine
aveva sbuffato calmandosi un po’: fumava ancora dal naso e
dalle orecchie ma almeno non rischiava più di cadere dal
letto muovendosi.
«Spiegami,
esattamente, cosa è successo » le
ordinò a quel punto facendole segno con la testa di sedersi
sul letto e Lily obbedì con un sorrisetto vittorioso,
prendendo posto vicino alle gambe steccate del fratello.
«Jamie,
sembri una vecchia comare, lo sai vero? »
ridacchiò Ted sedendosi sulla seggiola vicino ai due.
«Oh
ma sta’ zitto. Sono bloccato qui e ho bisogno di sapere come
va avanti il mondo in mia assenza » rispose piccato.
Lily stava per
parlare quando dalla porta sbucò la testa spettinata di
Albus.
«Si
può sapere cosa sta succedendo? L’infermiera
sembrava.. » fece per dire ma James lo bloccò con
un gesto secco della mano.
«Dopo.
Ora abbiamo cose più importanti di cui discutere »
tagliò corto tornando a guardare Lily, regalandole tutta la
sua attenzione e ignorando bellamente il nuovo arrivato.
Al
sospirò prendendo l’altra sedia per accomodarsi
vicino a Ted.
«Allora
» cominciò Lily sistemandosi meglio sul materasso,
le mani che fremevano dall’insana voglia di gesticolare,
«Era l’ora di cena, giusto Al? Insomma, la Shelley,
di punto in bianco, ha dato di matto, così dal niente..
anche se poi sono andata ad informarmi da Wisteria Grey, la sorella di
Periwinkle, che sta a Tassorosso, e mi ha detto che Gwen è
esplosa perché era un po’ che le cose andavano
male, no? E lui deve averle risposto male.. insomma, ha cominciato a
urlargli contro che era un pezzo di merda.. ».
«Lily..
» la riprese Ted ma la ragazza fece finta di niente: Lily e
James avevano un talento tutto particolare quando si trattava di
ignorare qualcuno o qualcosa.
«..che
era uno schifoso.. che l’aveva presa in giro, che.. insomma
si è messa ad insultarlo e ti giuro, James, ti giuro,
pensavo che le sarebbe esplosa la testa da quanto era rossa in viso!
Sputacchiava persino da quanto urlava! Vero, Al?».
«Oddio,
non credo che.. » fece per dire lui ma la ragazzina non si
prese nemmeno la briga di lasciarlo finire.
«Comunque
» riprese gesticolando vivacemente, «Ad un certo
punto è entrata Jade e.. Santo Merlino, James, una scena..
In pratica l’ha accusata di essere andata con Ian! Ti giuro,
James, ci sono rimasta male anche io quando le ha urlato contro che era
una puttana! ».
«Lily!
» riprovò Teddy ma Lils fece di nuovo la gnorri e
lui e Al si scambiarono uno sguardo di muta rassegnazione.
«È
stata una cosa così squallida! Voglio dire, sai chi
è quella che se la fa con il tuo ragazzo? La prendi da parte
e la cruci, non fai la figura della sclerotica di fronte a tutta la
scuola! È stata proprio una cosa orrenda da vedere.. Jade
poi è sbiancata ed è sparita.. povera, non so
cosa ci sia stato tra lei e Ian ma non deve essere stata solo una
sveltina.. ».
«Quel
coglione » ringhiò James, «Aspetta che
mi capiti a tiro di bacchetta e gli faccio pentire di essere un mago..
Ma Jade? Come sta? Cosa è successo dopo che se
n’è andata?».
«Se
mi lasciassi finire » borbottò Lily prima di
scuotere i capelli rossi e sporgersi appena in avanti,
«TI giuro che non credevo ai miei occhi, Jamie! Neanche alle
mie orecchie! Non ho mai stimato Katherine Wetmore come in quel
momento..».
«E
cosa centra ora la Wetmore?».
«In
pratica, dopo che Jade se n’è andata, Gwen non ha
comunque smesso di urlare e.. Santa Morgana che figura di
merda..».
«Lily!!
».
«..ti
dirò, non sono riuscita a capire perché
l’abbia fatto, ma è stata una grande! In pratica
lei e Nott erano vicino al tavolo di Serpeverde quando Jade
è scappata e la Wetmore ha lasciato Nott ed è
andata tranquilla verso Ian e Gwen, all’inizio non
c’avevo fatto nemmeno caso ma poi..».
«Lils,
sei lenta » la bloccò Al prendendo in mano le
redini del racconto, «In poche parole la Wetmore ha
silenziato Gwen con un incantesimo e le ha detto di fronte a tutti di
smetterla di comportarsi come una bambina..».
«..che
stava facendo la figura della pazza..» aggiunse svelta Lily.
«..che
era ridicola..».
«…che
se Ian aveva preferito un’altra ragazza a lei la colpa era
solo sua..».
«..che
Ian aveva fatto bene a tradirla perché era
insopportabile..».
«…e
che se lui aveva preferito Jade, era evidentemente perché
lei non era isterica..».
«..poi
se n’è andata dicendole che non voleva
più sentire la sua voce per il resto della serata,
perché lei e il resto del mondo meritavano di mangiare in
pace senza tutti i suoi problemi a disturbarli » concluse Al
mentre Lily annuiva concorde.
«Tu
non sai quanta stima nutro nei confronti di quella ragazza..»
disse con aria sognante e James si limitò a fare una smorfia
tra l’incredulo e lo sconvolto.
«Va
bene ma.. Jade come sta? ».
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Guferia, ore 16.12
Roxanne
squadrò il becco giallo della piccola civetta nana che le
stava appollaiata sul braccio con sguardo innocente.
Prova a beccarmi e ti cucino,
pensò sperando che la piccola palla di piume riuscisse a
leggerle nel pensiero e si astenesse dal fare movimenti bruschi mentre
le legava alla zampa una busta, tutta schizzata d’inchiostro
e su cui si leggeva a malapena il nome di sua madre.
L’animaletto
non si mosse di un centimetro durante tutta l’operazione e
Rox gliene fu veramente grata: odiava i gufi, le civette, i piccioni e
tutti gli animali da posta possibili.
Come tante cose
nella sua vita, la ragazza non sapeva nemmeno da dove nascesse una tale
avversione per quegli esserini piumati, ma sua madre, per sottolineare
quanto quest’odio fosse radicato in lei, le raccontava da
sempre che la prima volta che un gufo le si era avvicinato, lei aveva
tentato di sopprimerlo tirandogli in testa il manico della sua scopa
giocattolo. Per dividere lei e il gufo, che dopo quella mazzata voleva
solo staccarle gli occhi, erano dovuti intervenire George e Angelina,
gli stessi genitori talmente responsabili che ogni tanto ancora si
chiedevano chi avrebbe vinto lo scontro se avessero lasciato la
figlioletta di tre anni tra le grinfie del pennuto.
Non che le cose
fossero poi migliorate con il passare del tempo, ovviamente se Roxanne
decideva che una cosa non le piaceva, non c’era verso di
farle cambiare idea, ed era stata veramente una fortuna che Camomilla,
la piccola civetta che lei e suo fratello usavano quando erano a
Hogwarts, fosse l’animale più buono e innocuo del
pianeta, perché altrimenti la Weasley non avrebbe mai
mandato una lettera ai suoi genitori.
Brava Milla,
pensò allegramente mentre l’animaletto se ne
andava svolazzando nella gelida aria di Novembre: faceva quasi
tenerezza quella pallina con le ali che spariva in lontananza.
Certo, faceva
tenerezza se ci si dimenticava degli artigli, del becco assassino,
delle ali e del fatto che era una civetta..
«Weasley?»
una voce familiare la costrinse a distogliere lo sguardo dal cielo
plumbeo che sovrastava la guferia.
«E tu
cosa ci fai qui?» chiese con sguardo indagatore mentre Lorcan
allentava la sciarpa avvolta intorno al collo e stringeva le spalle
sotto il mantello nero, con estrema noncuranza.
«Ciao
anche a te, comunque » continuò Roxanne come un
mezzo rimprovero mentre lo vedeva avvicinarsi tranquillo ai gufi
più grossi, quelli con lo sguardo giallo e assassino da cui
lei si teneva ad una ragionevole distanza.
«Ciao
Roxanne » rispose distrattamente l’altro facendo un
fischio ad uno di quei cosi: un gufo reale con gli occhi arancioni che
si artigliò al suo braccio andando subito alla ricerca di
coccole.
Lorcan aveva
decisamente più feeling con gli animali di lei, era
così da quando erano bambini e a lei aveva sempre dato un
fastidio tremendo.
«Scrivi
a tua madre? » chiese curiosa vedendolo legare una busta alla
zampa dell’animale prima di accarezzargli la testa e
lasciarlo volare fuori all’aria aperta.
«Da
quando ti interessi tanto della mia vita? » chiese il
biondino con un ghigno sarcastico, voltandosi finalmente a guardarla,
con quella faccia da schiaffi che Roxanne avrebbe volentieri spedito a
schiantarsi contro la neve fuori dalla guferia.
«Cafone
» masticò senza rendersi conto di essere diventata
rossa come un peperone, «Era tanto per chiedere ma
tranquillo! Non succederà più!» lo
rassicurò prima di fare dietrofront e uscire di
lì sbattendo i piedi per terra, come una bambina.
Non sapeva bene
perché, ma quando era con quell’essere tirava
fuori il peggio di sé.
Era.. era.. bah!
Non fece in
tempo a scendere sei gradini che si sentì afferrare per un
polso e per la sorpresa quasi non scivolò giù per
il resto delle scale di pietra, che, ghiacciate, costituivano una sorta
di trappola mortale per la sua rabbia maldestra.
Il primo
istinto fu ovviamente quello di liberarsi da quella stretta molesta con
uno strattone ma si trattene: il movimento brusco avrebbe potuto farla
rotolare giù e non voleva dare motivo a quel cretino di
ridere di lei, non che allo Scamander servisse un vero pretesto per
farlo, ovviamente.
«Mollami
» scandì imperativa fulminandolo con
un’occhiataccia, e pensare che si era svegliata tutta
contenta, quella mattina. Era andata a vedersi una bella partita di
Quidditch, quell’anno c’erano proprio delle squadre
interessanti, aveva mangiato con Eva, Frank e Lys, aveva riso come una
stupida quando Lys si era quasi strozzato con un ossicino del pollo, e
poi aveva giocato a scacchi con Rose, ancora in crisi perché
Vanille sembrava aver preso la residenza in un altro mondo, Scorpius
era in infermeria con l’influenza, e Albus era andato con
Lily a trovare il malato.
James in crisi
di noia era una piaga non indifferente, e che zia Gin avesse supplicato
la McGranitt per fargli fare un po’ di compagnia dai fratelli
così da lasciarlo a qualcun altro per qualche ora, era
più che comprensibile.
Adempiuti i
suoi doveri di cugina, Rox aveva deciso di scrivere alla sua mamma per
assicurarle che stava andando meglio a scuola e tutto il resto ed era
andata in guferia con indosso le vecchie converse rosse e la felpa
grigia in cui stava dentro almeno tre volte, quella che aveva rubato a
suo fratello prima di partire: era talmente spensierata quando era
uscita dalla torre di Grifondoro che non si era nemmeno legata i
capelli come al solito, li aveva lasciati sciolti.
Metà
del castello non l’aveva nemmeno riconosciuta, con il
mantello addosso.
«Roxanne,
stavo scherzando » cercò di rabbonirla con quel
suo sorrisino un filino accondiscendente, «Stavo mandando un
gufo a mio padre, domani parte per il Nepal ».
«Nepal?
E cosa ci va a fare in Nepal? » chiese stupita, quasi
dimenticandosi della mano che le stringeva il polso.
Sapeva che il
padre dei gemelli Scamander aveva visto quasi tutto il mondo, le aveva
raccontato delle storie incredibili sui suoi viaggi, ma sua madre le
aveva anche detto che da quando loro avevano cominciato la scuola, non
aveva più preso in mano la valigia, per non lasciare la
moglie da sola a casa. Non che Luna avesse mai avuto problemi con la
solitudine, ovviamente, ma Rolf era sempre stato molto protettivo nei
suoi confronti e non si era permesso di anteporle il suo lavoro.
«A
quanto pare il Ministero ha avviato un progetto per lo studio di alcune
comunità magiche nepalesi e visto che mio padre ha diverse
conoscenze da quelle parti, gli hanno chiesto se può
accompagnare la prima spedizione » rispose con un sospiro e
Roxanne notò subito quanto poco sembrasse convinto della
faccenda, «Sono gruppi molto chiusi e diffidenti, non
accettano volentieri gli stranieri e si vorrebbero evitare incidenti
diplomatici con il Ministero nepalese ».
«Pensavo
che tuo padre non accettasse più lavori del genere
» commentò la ragazza e il viso di Lorcan si
aprì in una smorfia.
«È
quello che pensavo anch’io, ma a quanto pare sentiva la
mancanza di vivere per qualche mese nel bel mezzo del nulla.. non che
io ne capisca l’attrattiva, ma Lys era entusiasta almeno
quanto lui, quindi immagino ci sia una ragione a questa
idiozia..» borbottò sarcastico e Roxanne
aggrottò la fronte pensierosa.
«Perché
sei così preoccupato? Tuo padre sa quello che fa, no?
».
«E
chi dice che io sia preoccupato.. » obiettò il
Corvonero e Roxanne fece spallucce.
«Intuito,
immagino » rispose tranquilla.
«E da
quando tu intuisci qualcosa? » ghignò ironico il
ragazzo e la ragazza meditò di stordirlo e andarsene:
possibile che riuscisse sempre ad essere così dannatamente
insopportabile anche quando riuscivano a fare un discorso civile?
Poi la gente si
chiedeva perché fosse una persona tanto violenta, era quel
tipo a istigarla!
Lorcan dovette
leggerle in faccia quanto stava pensando perché si
affrettò a ritrattare.
«Non
è che sono preoccupato, però non è
più abituato a viaggi così faticosi e non
è nemmeno così giovane.. poi non mi piace
l’idea di lasciare mamma da sola a casa per quattro mesi..
Quella donna ha bisogno di essere controllata ».
«Tua
madre non è una bambina » gli fece notare con un
mezzo sorriso perché, in effetti, Luna sembrava decisamente
una persona da tenere d’occhio per evitare che facesse
qualche catastrofica pazzia.
«Io
ci vivo insieme.. ti assicuro che non è nemmeno tanto adulta
».
Roxanne
ridacchiò della sua faccia estremamente seria e per qualche
motivo si ritrovò a condividere il suo pensiero.
«Mio
padre ancora si diverte a far esplodere le cose per fare uno scherzo a
mia madre, come vedi non sei l’unico ad avere almeno un
genitore che non dimostra i suoi anni » cercò di
consolarlo..
Un attimo, lei
stava consolando Lorcan Scamander?
«Almeno
sappiamo perché vanno tanto d’accordo,
no?» commentò prima di sbuffare grattandosi la
testa, «Che poi io non lo capisco! Voglio dire, di tutti i
periodi dell’anno, proprio questo? Non poteva partire dopo
Natale? Che poi ha avuto anche il coraggio di chiedermi se volevo
raggiungerlo in Nepal.. io, in Nepal.. per me fa troppo freddo a
Londra, che cavolo vuoi che faccia in Nepal! E per fortuna che ho
fermato Lys! Fosse per lui avremmo già una passaporta
prenotata per Kathmandu! E non parliamo di mia madre.. ».
Mentre Lorcan
si dava ai suoi sproloqui inveendo contro tutta la sua famiglia e
Roxanne lo guardava a metà tra il perplesso e il rassegnato,
aveva ricominciato a nevicare e tanti piccoli fiocchi bianchi si
stavano posando su di loro senza che il Corvonero se ne rendesse
minimamente conto.
Peccato solo
che la Grifondoro non avesse la minima intenzione di prendersi una
polmonite o qualcosa del genere.
«Ehm..
Lorcan?» provò ad attirare la sua attenzione
sventolandogli una mano davanti alla faccia e il ragazzo si
zittì guardandola interrogativo, «Nevica
» disse indicando il cielo sopra di loro, «E io non
mi voglio ammalare, quindi, visto che non mi vuoi lasciare, possiamo
almeno spostarci dentro al castello? ».
E chiunque
avrebbe capito che quello era un modo gentile per farsi liberare il
polso, ancora stretto tra le dita dello Scamander, chiunque ci sarebbe
arrivato e Roxanne era abbastanza sicura che anche lui se ne fosse reso
conto.
Maledizione,
era finito a Corvonero perché era sveglio, no?
«Sì,
hai ragione, scusa » disse sinceramente dispiaciuto e Roxanne
annuì certa della sua prossima libertà.
Di sicuro non
si aspettava di sentirsi trascinare giù per le scale a passo
di marcia.
«Mi
spieghi che stai facendo?» gli chiese vagamente irritata, non
gli piaceva sentirsi trascinare da qualche parte, non era mica un
cagnolino, lei!
«Ti
porto al coperto, no? L’hai detto anche tu che
nevica..» le rispose lui come se fosse ovvio e Roxie
desiderò tanto avere la forza necessario per liberarsi da
quella stretta da sola, non che fosse una ragazzina, ovviamente, aveva
picchiato più di qualche ragazzo, nella sua vita, a
cominciare dai suoi cugini, ma per qualche motivo la stretta di Lorcan
sembrava la cosa più forte contro cui si fosse scontrata
fino a quel momento.
«Va
bene ma mollami!» protestò cercando di puntare i
piedi per costringerlo a fermarsi, mossa del tutto inutile, le sembrava
di stare aggrappata ad un treno in corsa.
«Non
credo lo farò » ghignò sincero
l’altro e la ragazza alzò gli occhi al cielo
vicina all’esasperazione.
«Non
era una domanda, cretino! Era un ordine! Mollami! »
sbraitò ed era talmente presa dal maledirlo nelle poche
lingue che conosceva che quando lui inchiodò per voltarsi e
guardarla, lei gli andò a sbattere addosso, tanto vicina da
essere costretta ad alzare la testa per guardarlo negli occhi.
Merlino che
voglia non aveva di prenderlo a schiaffi quel faccino supponente..
«Sai
potrei anche decidere di lasciarti, sarebbe più facile, ma..
» e Roxanne era sicura di aver pronto un pugno che sarebbe
partito da solo, «No, non credo succederà tanto
presto ».
La ragazza lo
guardò interdetta per una manciata di secondi prima di
sentirsi di nuovo strattonare. Per qualche strano motivo, evidentemente
quella era la giornata delle intuizioni geniali, era sicura che quel non credo succederà
tanto presto non si riferisse solo al fatto che la stava
trattando come un cucciolo da compagnia da scorrazzare dove
più gli andava a genio, ma a qualcosa di più
generale e non sapeva se interpretarlo come una promessa o come una
minaccia.
Guardò
un attimo le dita chiare del ragazzo che le camminava davanti strette
saldamente intorno al suo polso decisamente più scuro e
sbuffò: non era riuscita a liberarsi di lui in tutta una
vita, come aveva anche solo potuto illudersi di riuscire a farlo in due
minuti?
«Lorcan..».
«Dimmi,
Roxanne ».
«Mollami
subito!».
Hogsmade,
una panchina da qualche parte, ore 17.16
Aveva ripreso a
nevicare quasi un’ora prima, eppure non le interessava
minimamente. Seduta da qualche parte, in mezzo a tutto quel bianco, si
sentiva quasi al sicuro, a casa, ed era giunta alla conclusione che non
ci fosse niente di più rassicurante di quella magra
sensazione.
Se non altro
non c’era nessuno che la guardava male quando camminava nei
corridoi, o sparlava di lei convinto che fosse tanto stupida da avere
le orecchie otturate per magia, oppure la insultava gratuitamente.
E lei avrebbe
tanto voluto voltarsi guardarli dritti negli occhi e chiedere a ognuno
di loro chi cazzo si credessero per pensare di poter giudicare la sua
vita.
Era strano
rendersi conto di quanto l’opinione pubblica fosse volubile e
impicciona, realizzare quanto il mondo sentisse lo spasmodico bisogno
di vomitare cattiveria su qualcuno, che fosse lei o qualcun altro non
aveva importanza. Superbamente aveva sempre pensato che non si sarebbe
mai trovata al centro delle frecciatine malvagie dei suoi compagni di
scuola, soprattutto si era convinta che non avrebbe mai dato motivo a
nessuno di metterla in quella posizione dolorosa e difficile da
lasciare.
Non avrebbe
augurato la sua vita a nessuno, in quel momento, ma era certa che
qualcuno riuscisse ad invidiargliela comunque: brava a scuola, nella
squadra Quidditch dal secondo anno, Caposcuola, una discreta duellante,
consulente privata di James Potter e Elijah Faraday, amica del resto
del mondo..
Si era
impegnata così tanto per non farsi odiare da nessuno, non le
piaceva essere guardata storto per chissà quale motivo, e
ora..
Porca Morgana!
Lei non era una puttana!
Alzò
il viso verso il cielo gonfio di neve e chiuse gli occhi, ormai non
sentiva più né il viso né il collo, le
sembrava di avere anche un principio di ipotermia ai piedi ma non ci
voleva pensare: l’idea di rimanere lì e diventare
una statua di ghiaccio le piaceva troppo per rinunciarci.
Lei non era una
facile, lo sapeva chiunque la conoscesse abbastanza bene da non
chiamarla solo la Fyfield o la Caposcuola Grifondoro e lo avrebbe
capito chiunque con un briciolo di cervello.
Aveva quanti
anni? Diciassette? Bene..
In diciassette
anni di vita aveva avuto solo un paio di ragazzi e uno di loro era
stato James, quindi nella sua testa non contava: erano piccoli e si
volevano solo un gran bene, lo attestava il fatto che ora si
consideravano fratello e sorella.
Aveva baciato
quattro ragazzi diversi, James lo si poteva anche cancellare dalla
lista, era stato un bacetto che era più un esperimento che
altro, con Kyle invece andava ricordato che era decisamente ubriaca e
si stava vendicando di Ian, quindi anche lui contava poco, dal suo
punto di vista, il che riduceva la lista a due.
Ed era andata a
letto con uno solo di loro.
Una volta sola,
per altro.
Forse non era
Roxanne, a cui gli uomini servivano solo come punching-ball, e non era
Evangeline che aveva avuto la fortuna di innamorarsi del ragazzo
giusto, nel momento giusto, ma non era una puttana.
Certo non era
una santa, ma era così sbagliato pretendere che la gente si
facesse un po’ più gli affari propri e un
po’ meno i suoi?!
Inspirò
una boccata d’aria gelida.
Aveva bisogno
di qualcuno che le dicesse che andare a scuola faceva schifo, che i
ragazzi prima di vedere come funziona davvero il mondo sono
estremamente perfidi, anche se non è che più
avanti la situazione migliori, aveva bisogno di qualcuno che le dicesse
che sarebbe passata.
Sostanzialmente
aveva bisogno di Ellie, sua sorella, quella che le sistemava i casini.
Solo che lei si trovava a Londra, al Ministero, a lavorare come
psicomaga per il dipartimento Auror e lei non se l’era
sentita di disturbarla.
Infondo non era
come se stesse cercando di morire sotto la neve che cadeva su Hogsmade,
no, non era decisamente così..
Si sentiva un
po’ una bambina di tre anni persa in un parco divertimenti
che vede tanta gente più alta di lei spingerla e farla
cadere senza neanche guardarla, e vuole la mamma che la aiuti e
comincia a chiamarla piangendo anche se sa che nessuno la sente. La
differenza stava nel fatto che lei non aveva tre anni, non stava
piangendo e non voleva sua madre, voleva Ellie.
Assorta
com’era nel suo bisogno di affetto non si accorse dei passi
che le si avvicinavano tranquilli schiacciando la neve appena caduta.
«La
piccola Fyfield qui quando dovrebbe essere al castello?»
ghignò qualcuno davanti a lei, «Ora sì
che ti riconosco ».
Jade
abbassò appena gli occhi e davvero, avrebbe voluto sorridere
vedendo il viso allegro di Caleb McDuff e i suoi capelli rossi
schiacciati sotto un baschetto grigio e sdrucito, ma non ce la fece.
Lo
guardò un attimo sentendo il nodo che aveva in gola farsi
sempre più pressante senza capirne esattamente il motivo.
O forse un
perché c’era, ma era talmente frammentato che non
sarebbe riuscita a riassumerlo, sapeva solo che le sembrava di aver
perso tutto, di essere da sola e di non sapere da che parte girarsi per
uscirne.
E sapeva che
aveva una gran voglia di piangere.
«Ehi,
che c’è?» le chiese Caleb
inginocchiandosi davanti a lei, mettendole una mano sul ginocchio per
attirare la sua attenzione, la stoffa dei jeans scuri era ghiacciata e
si chiese con una certa preoccupazione da quanto tempo fosse
lì fuori.
«Jade?
Ti senti bene?» e l’unica cosa che la ragazza
riuscì a fare fu piegarsi in avanti e appoggiare la fronte
sulle ginocchia. I capelli scivolarono ai lati del viso, i riccioli
smorti, umidi di neve, e lei si permise di scoppiare a piangere.
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, dormitorio maschile Grifonforo, ore
17.20
Frank, seduto a
gambe incrociate sul suo letto, si grattò pensieroso il
mento osservando la sua ragazza che sbuffava irritata, in piedi al
centro della stanza.
Si era
innamorato di lei la prima volta che l’aveva vista, quella
bambina con le trecce lunghissime e gli occhi azzurri grandi e curiosi
gli era stata subito simpatica, senza neanche averci parlato. Era una
nata babbana, non sapeva come muoversi nel loro mondo, non capiva la
maggior parte delle cose che le stavano intorno, però era
troppo orgogliosa per chiedere a qualcuno di aiutarla, quindi
continuava a girare nel castello spaesata ma con grande
dignità. Frank aveva deciso di darle semplicemente una mano.
Insomma, loro
due erano i classici amici che poi diventavano qualcosa di
più, erano un cliché vivente, ma a Frank non
dispiaceva per niente.
Amava quella
ragazza con gli occhi da cerbiatto e lo spirito di un leone
più di ogni altra cosa e non pensava che fosse sdolcinato
ammetterlo a se stesso, era solo la verità.
E la amava
ancor di più mentre la guardava risolvere i problemi del
loro microcosmo.
«Io
non posso credere che tu abbia fatto una cosa del genere »
disse Eva guardando Ian, seduto per terra, le gambe stese a terra e gli
occhi pesti, reduce di una sbornia colossale.
Quasi gli
dispiaceva per lui.
«L’abbiamo
fatto in due..» rettificò l’accusato con
un sospiro e la ragazza alzò gli occhi al cielo.
«Infatti
siete due cretini! » esclamò, ed Eva non insultava
mai nessuno, «Ma ci sei tu davanti a me, non lei, quindi mi
concentro su di te. Sapevo che c’era qualcosa che non andava,
lo sapevo! TI ammazzerei! Vi ammazzerei tutti e due! ».
«Sul
serio, Ian » si intromise Elijah in piedi vicino ad Eva,
«Ti conosco meglio di chiunque altro qua dentro, no? So tutto
di te come so tutto di James e tu queste cose non le fai.. non usi le
altre persone, non illudi le ragazze, non.. Santo Merlino, sei il bravo
ragazzo, sei quello con la relazione stabile.. ».
«Era quello con la
relazione stabile » puntualizzò Roxanne
giocherellando con il cuscino di James, «Ora è
quello con la merda fin sopra la testa ».
«Rox,
non aiuti » commentò Eva lanciandole
un’occhiataccia.
La Weasley fece
spallucce.
Ian era stanco,
così stanco da non essere sicuro di avere due gambe capaci
di reggerlo e portarlo a stendersi sul letto alle sue spalle, luogo
dove avrebbe cercato di suicidarsi affondando il viso nel cuscino
perché davvero non ne poteva più.
Non ne poteva
più di Gwen, di Jade, di Eli, di Eva, delle sue scelte
sbagliate.. Non ne poteva più nemmeno di se stesso!
Così
la sera prima aveva provato a risolvere la faccenda rubando alcolici
dalle cucine, perché qualcuno gli aveva detto che si beve
per dimenticare, ma in cambio aveva ottenuto una mattinata con la testa
nel water con Elijah che gli teneva la fronte, un’emicrania
di proporzioni bibliche e una crisi depressiva da adolescente
disadattato, cosa che non gli era mai capitata nemmeno quando un
adolescente disadattato poteva davvero convincersi di esserlo.
«Sentite,
abbiamo sbagliato, ok? Io ho sbagliato più di lei
sicuramente » cominciò chiudendo gli occhi, vedere
tutto offuscato era tremendamente fastidioso, «Sì
sono un idiota, sì sono un coglione, sì meriterei
di essere castrato.. » non si voltò nemmeno quando
sentì Roxanne fare un verso di assenso, quella ragazza era
entrata lì dentro con l’intenzione di tagliargli
le palle per vendicare la sua amica e non doveva ancora aver
abbandonato l’idea, «..e sì merito anche
tutta questa cosa che avete messo su sullo stile del tribunale
dell’Inquisizione.. » prese un profondo respiro,
«Ma davvero, io non ce l’ho una soluzione a tutto
questo, ok? Non ce l’ho! Non ce l’avevo prima e non
ce l’ho nemmeno ora ed è inutile che stiate qui a
urlarmi contro.. io non.. ».
Si
zittì improvvisamente quando sentì una mano
tirargli via i capelli dagli occhi. Alzò le palpebre
lentamente trovandosi a pochi centimetri dal viso di Evangeline che,
china su di lui, lo studiava attentamente con gli occhi azzurri ridotti
a due fessure.
«Immagino
che lei abbia avuto paura di rischiare, conoscendola si sarà
convinta che era il male minore scegliere quando e come soffrire per
essersi innamorata di te ma tu?» mormorò con un
tono che non era accusatorio o arrabbiato, ma solo curioso, il tono di
chi cerca di capire qualcosa e ragiona ad alta voce con se stesso,
«Tu perché hai scelto Gwen? E non rispondere per
amore, perché tradirla e avere la faccia tosta di far finta
di niente non è amore, è vigliaccheria
».
Ian non
rispose, non ne ebbe la forza ed era abbastanza sicuro che non ce ne
fosse nemmeno bisogno. L’aveva capito anche lui che era
successo tutto perché aveva avuto paura di rischiare con
Jade, aveva temuto di perdere la sua amica senza rendersi conto che
avrebbe fatto peggio.. non amava i cambiamenti, lui, e Jay.. lei poteva
essere un uragano se solo avesse voluto ammettere che
quell’estate non era stata solo il togliersi uno sfizio.
Jade non era
uno sfizio, non lo era mai stata.
«Respira,
adesso, e dormi, hai una faccia orribile » sospirò
Eva rimettendosi dritta e per un istante Ian si chiese cosa fosse
riuscita a leggere nei suoi occhi semplicemente guardandoli,
«E stai tranquillo, una soluzione ti diamo noi una mano a
trovarla.. ».
Frank sorrise
senza nemmeno rendersene conto e si sporse appena verso Lys, sdraiato
sul suo stesso letto con tutto l’intenzione di parlargli, lo
Scamander lo bloccò alzando gli occhi al cielo.
«Lo
so, Frank » commentò sbadigliando,
«Quella è la tua ragazza ».
E Frankie
sorrise ancora, forse più di prima.
Quanto era
felice che quella fosse la sua ragazza..
Hogsmade,
I Tre Manici di Scopa, ore 17.53
Il piacere di
una burrobirra bollente, il fuoco nel camino a riscaldare
l’ambiente familiare e spensierato di quel locale dove aveva
riso con i suoi amici e un tavolo lasciato in un angolo, nascosto da un
grande albero di Natale su cui brillavano centinaia di luci magiche di
tutti i colori, blu, giallo, rosso, bianco..
Jade
soffiò sopra il boccale e lo strinse forte tra le mani, le
dita gonfie per l’improvviso calore dopo il freddo della neve
all’esterno pizzicavano terribilmente contro il vetro
smerigliato ma non aveva la minima intenzione di lamentarsi. Alla fine
tutti i brividi che la scuotevano, nonostante il fuoco che le
scoppiettava affianco e la coperta che le copriva le spalle, erano
colpa sua e, come le aveva insegnato la sua mamma, non aveva senso
pianger sulle conseguenze dei propri sbagli. Diceva che era un modo di
prendersi le proprie responsabilità, soffrire in silenzio e
ingoiare il rospo.
Se sua madre
l’avesse vista in quel momento le avrebbe come minimo tirato
uno scappellotto poi l’avrebbe spronata ad alzare il mento e
andare avanti, come faceva ogni volta che lei o sua sorella provavano
ad abbattersi per qualcosa. Erinna Greengrass era una donna
instancabile, letteralmente, fiera e pragmatica fino
all’esasperazione e abituata a puntare sempre e comunque alla
realizzazione dei propri obbiettivi, per lei i problemi erano solo
qualcosa a cui bisognava trovare una soluzione e non ammetteva mai la
sconfitta.
Tutti
possono fare tutto, basta volerlo.
Anche Jade la
pensava così, in fondo era certa che se avesse davvero
voluto non rischiare l’assideramento seduta su una panchina
di Hogsmade l’avrebbe potuto fare, era convinta che se
davvero non avesse voluto abbattersi per lo stato pietoso in cui
versava la sua vita, avrebbe potuto farlo senza problemi.
Ma era depressa
e non aveva la forza per imporsi di voler affrontare le sue disgrazie a
muso duro.
Così
si era lasciata raccattare da un vecchio compagno di scuola che
conosceva distrattamente, alla fine, ma che le aveva sorriso
gentilmente, che le aveva scritto usando una pergamena magica e che la
distraeva dal chiodo fisso che erano diventati Ian, Gwen e il suo
essere una sanguisuga sotto spoglie umane. Lo ammetteva tranquillamente
anche con se stessa, quando quel pomeriggio di due settimane prima
Caleb McDuff le aveva proposto di fare un giro insieme, lei
l’aveva visto subito come un tenero e illusorio ripiego. Era
simpatico Cal, in un certo senso le piaceva, la faceva ridere, anche se
non era Ian.
Soffiò
di nuovo sulla schiuma bianca della sua burrobirra e
continuò a far vagare gli occhi sulle venature del legno
scuro e consumato su cui teneva appoggiati i gomiti. Sentiva Caleb
seduto davanti a lei, sentiva i suoi occhi chiari guardarla un
po’ preoccupati e sentiva il suo respiro lento e regolare
inframezzato dai sorsi di burrobirra che beveva di tanto in tanto.
Si sentiva una
bambina beccata a fare qualcosa di estremamente riprovevole, come
rompere un vaso della nonna o mangiarsi un vasetto di marmellata con le
dita.
Si vergognava delle sue occhiaie, della sua faccia da disperata, dei
suoi capelli scompigliati..
Non era quello
il modo di farsi vedere in giro.
«Mi
vuoi spiegare che è successo?» lo sentì
chiederle ad un certo punto, con una convinzione così scarsa
da far intendere che non si aspettava davvero una risposta, infatti
Jade non aprì bocca.
Lo
sentì sospirare.
«Ascolta,
lo so che non sono uno dei tuoi grandi amici o cose di questo
genere» cominciò pacato, «Ma ho qualche
anno in più di te e forse, se mi dici cosa è
successo, possiamo provare a trovare una soluzione.. così
evito di ritrovarti a fare la statua di ghiaccio, cosa ne
pensi?».
Jade sorrise
appena a quella nota ironica e si decise ad alzare gli occhi: che male
poteva farle parlare con lui? Poteva essere un surrogato di Ellie,
l’opinione esterna e più obiettiva di cui aveva
bisogno.
«Ho
fatto una cosa che non si dovrebbe fare» mormorò
facendo vagare lo sguardo fuori dalla finestra, «E ora ho
l’autostima a pezzi, mezza scuola che mi considera una
zoccola e non voglio nemmeno sapere cosa pensino i miei amici.. il mio
mondo è crollato e io vorrei sparire tra le macerie ma,
ops!» concluse con un certo sarcasmo, «Il mio
spirito di sopravvivenza non me lo lascia fare!».
«Mi
sembri un po’ fatalista, sai?».
«Non
sono fatalista, il mio è realismo ».
«Mi
spieghi cosa hai fatto di tanto grave per meritarti il titolo di
zoccola? Sai, non sembri quel tipo di ragazza.. ti ricordavo un
po’ più giudiziosa in fatto di uomini..».
«Ed
è così!» esclamò Jade
guardandolo frustrata, «Solo che gli errori li fanno tutti e
io.. non so nemmeno se considerarlo un errore solo che.. ad ora sono
nella merda e non so cosa fare per uscirne».
«Esattamente,
cosa hai combinato?» indagò Caleb assottigliando
gli occhi chiari.
«Ho
avuto una storia.. con uno dei miei amici solo che.. » si
morse il labbro indecisa sul da farsi.
«..solo
che..?» la incitò lui e lei lo guardò
un istante capitolando, tanto valeva sputtanarsi fino alla fine, no?
Già
che abbiamo fatto trenta..
«Solo
che lui aveva la fidanzata. Il che » si affrettò
ad aggiungere prima che lui potesse dire qualsiasi cosa, «Fa
di me l’amante e forse un po’ la zoccola.. ma
diciamocelo, la colpa non è stata solo mia, anche Ian
c’ha messo del suo! Sicuramente non sono andata da lui e gli
ho stampato un bacio in bocca! Ho una morale.. forse sarebbe meglio
dire che ce l’avevo, ma comunque non l’avrei mai
fatto!».
«Aspetta..
il problema è Ian Clow?».
«Sì..
o meglio.. il problema è che la sua ragazza abbia avuto una
scenata isterica nel bel mezzo della Sala Grande e abbia detto davanti
a tutti che la loro crisi è tutta colpa mia»
sospirò Jade bevendo un sorso dal suo boccale, era
così liberatorio parlare di tutto quello con qualcuno di
estraneo ai fatti che sentiva i nervi sciogliersi pian piano.
«Ma
questa cosa da quanto andava avanti? Tu e Ian, intendo..».
«È
stata solo un’estate poi abbiamo deciso di farla finita.. io
non volevo essere l’amante e lui non voleva tenere il piede
in due scarpe. Gli ho chiesto di scegliere e lui ha scelto la fidanzata
» la voce si affievolì appena, «Ci sono
rimasta male, parecchio male.. non mi aspettavo che finisse
così ed ero convinta che Ian non mi avrebbe mai ferita
volontariamente. Comunque ho accettato la sua decisione e mi sono fatta
da parte ma le cose non potevano essere come prima, siamo stati stupidi
anche solo a pensarlo..».
«Ma
tu sei ancora presa da lui? Sentimentalmente parlando..».
«No..
non come prima, almeno. Dopo tutto questo, non potrei..»
biascicò Jade sconsolata, convincendosi che quello che aveva
provato non era stato altro che delusione, risentimento, amarezza,
tutto nato dal fatto che a farle male era stata una persona di cui si
fidava.
Caleb non
rispose subito, appoggiò la guancia su una mano e la
guardò per un po’, studiandola in silenzio. Jade
si sentì arrossire.
«Io
credo che dovresti dare meno peso a quello che ti dice la gente nei
corridoi e un po’ di più a quello che pensi tu di
tutta questa faccenda» disse dopo un po’
raddrizzando la schiena, «Dal canto mio, per quel che ti
conosco, non me la sento di giudicare così male quello che
hai fatto.. certo, non è moralmente corretto e se fossi la
fidanzata del tuo amico ti vorrei morta, ma la colpa non è
esclusivamente tua e se fossi in lei, prima di prendermela con te, me
la prenderei con Ian, è lui che l’ha tradita, non
tu» prese un profondo respiro e sorrise, «E ti
dirò un’altra cosa, non so chi sia questa
fidanzata cornificata ma se lui si è lasciato scappare una
ragazza come te è proprio un cretino e può valere
qualche lacrima, certo, ma non merita una crisi depressiva, te lo
assicuro».
Jade sorrise un
po’ di più questa volta, e affondò il
naso nella burrobirra ancora calda. Caleb non le aveva detto niente di
cui non fosse già consapevole ma sentirlo dalla bocca di
qualcun altro era comunque rassicurante.
Finì
il suo boccale con un lungo sorso rendendosi conto che fuori ormai era
buio e realizzò con uno sbuffo che presto sarebbe dovuta
tornare al castello, a Ian e a tutta la sua incasinata vita. Ma il
pensiero questa volta, invece di abbatterla, la infastidì e
basta, come il beccone di una zanzara. Alla fine il problema sarebbe
rimasto lì che lei l’avesse ignorato o meno, tanto
valeva andare avanti a testa alta come le aveva insegnato la mamma.
Caleb la
osservò un istante, il viso nascosto un poco dai capelli
spettinati. Nonostante l’aspetto disastrato, Jade rimaneva
molto bella, lei e quella luce di tenacia che le brillava negli occhi
anche quando era pericolosamente vicina al crollo, come se fosse
incapace di arrendersi davvero. Per questo l’aveva accolta in
squadra anni prima, quando era solo una bambina, e per questo sentiva
il suo lavoro, agganciarla per conto dell’Ordine e farsi
passare informazioni dal castello, sempre meno come un peso e sempre
più come un piacere.
Forse, alla
fine, si sarebbe davvero innamorato di lei e per questo, quando lei lo
ringraziò con un sorriso, ormai sulla porta del locale,
l’unica cosa che fece Caleb fu dirle che l’avrebbe
aspettata la settimana successiva, all’entrata del villaggio
magico, e che sì, poteva tranquillamente considerarlo un
appuntamento.
Note dell'autrice:
Buonasera a tutti!!! Ebbene sì, sono ancora viva e mi
piacerebbe rimanere tale ancora per un po', quindi vi prego, non
linciatemi!! So che sono stata latitante per parecchio tempo e mi
dispiace.. tra la poca voglia, il non riuscire a far andare avanti
questa storia e le poche recensioni devo dire che mi ero un po'
arenata, ma ho promesso che questa storia avrebbe visto la fine e come
direbbe Roxanne: quello che dico, poi lo faccio! Quindi eccomi ancora
qui con un capitolo che se non altro è bello lungo e spero
vi piaccia :)
Come sempre ringrazio chi segue, preferisce e ricorda la storia e
soprattutto chi l'ha recensita e mi scriverà qualcosa anche
su questo capitolo!!
Ricordo poi che la storia è ancora da definirsi
completamente quindi, se c'è qualcosa che vi piacerebbe
vedere, se ci sono personaggi di cui vorreste sapere di più
o vorreste sapere più spesso DITEMELOOOOO!!! Sono sempre
qui!! QUIIIIIIIIIIIIIIIII!!!
Ok, ora smetto di delirare...
Soprattutto mi piacerebbe sapere cosa ne pensate di Jade e Ian.
Vi confesserò che sono i personaggi, secondo me,
più umani tra tutti quelli che ho presentato
perché non aderiscono proprio ad uno stereotipo sociale, non
sono statici, sono un insieme di contraddizioni assurde, il che li
rende estremamente difficili da muovere nella storia, ma credo che
proprio in questo stia la loro normalità. Insomma, nessuno
agisce sempre bene, sempre male, sempre in maniera impulsiva, sempre
contando fino a dieci prima di fare qualcosa.. Ma proprio per il loro
essere così instabili sto meditando di non farli finire
insieme, come invece era nel mio progetto iniziale, come si
sarà capito. Credo siano tra i miei preferiti anche per
questo e mi piacerebbe sapere cosa ne pensate: sono veramente indecisa
e ho bisogno di un parere esterno che solo voi che avete letto la
storia potete darmi!
Bene, credo di aver finito :)
Tanti baci,
Najla
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Capitolo 18 *** Al ritmo di una danza ***
Quindicesimo
Capitolo
Al ritmo di una danza
17 Dicembre XX
Ministero Auror, Cella
numero 21, ore 20.02
Natalie McDonald non amava particolarmente gli interrogatori, un
po’ perché non era mai stata capace di condurne
uno decente, un po’ perché quando lavorava nel
dipartimento che si occupava del narcotraffico magico, dove aveva per
altro conosciuto Ron, le avevano insegnato che per condurre un buon
interrogatorio bisognava sempre essere pronti a chiudere un occhio, se
non tutti e due.
Ricordava ancora il volto sfigurato di un ragazzo che i suoi colleghi
avevano picchiato a sangue, affinché confessasse dove aveva
nascosto una partita di pozioni allucinogene.
Lei, non condividendo certi tipi di violenza, soprattutto fisica, aveva
ben presto chiesto il trasferimento ad un’altra divisione.
Poi Harry l’aveva reclutata nella sua squadra, aveva
conosciuto Ernie, si era sposata e tutto il resto, ma questa era
un’altra storia.
Guardò oltre il vetro a specchio che dava sulla piccola sala
interrogatori e osservò il giovane mago che avevano legato
con un incantesimo ad una delle sedie scassate abbandonate intorno ad
un tavolo altrettanto malandato. Non doveva avere più di
venticinque anni, i capelli scuri e gli occhi verdi, un po’
di barba e il segno di un taglio in via di guarigione sul mento
squadrato.
Non aveva l’aria di un criminale e se lo avesse visto sulle
strade di Londra l’avrebbe detto un giovane qualsiasi. E lei,
nella squadra di Potter, si occupava di tracciare i profili degli
indiziati, quindi ne sapeva qualcosa.
L’aveva catturato la squadra di Nott quando ormai stava per
salpare per la Francia, appena un paio d’ore prima, e quando
la notizia era giunta all’ufficio di Londra, era
letteralmente scoppiato il putiferio. Lei, che in quel momento si stava
facendo un bagno a casa, aveva visto apparire un cervo grande quanto un
cavallo dentro alla vasca piena di schiuma e quasi le era preso un
infarto. Inutile dire che aveva mandato a quel paese la voce profonda
di Harry che le chiedeva se per caso non potesse tornare in ufficio
immediatamente.
Dopo mesi, finalmente ce l’avevano fatta: avevano preso un
illuminato.
«Si chiama Elias Martin » le rispose uno degli
Auror di guardia alla cella, Harker, se la memoria non la ingannava,
quando si decise a chiedere informazioni sul sospettato «Ha
ventiquattro anni e lavora per un cartificio magico in Galles. Non ha
mai avuto problemi con il Ministero, vive da solo ».
Natalie guardò un istante l’Auror, notò
la mascella tesa, gli occhi ridotti a due fessure e le mani strette a
pugno nelle tasche dei pantaloni. Era turbato, più
probabilmente arrabbiato.
«Lo conosci? » chiese Natalie abbastanza sicura
della risposta. L’Harker sbarrò gli occhi, prima
di rilassare appena le spalle e guardarla finalmente in faccia.
«Eravamo a scuola insieme, lui era a Corvonero, io a
Grifondoro » mormorò il ragazzo, «Non
avrei mai pensato che potesse essere invischiato in questa faccenda
».
Natalie annuì, non sapendo esattamente cosa ribattere, per
poi voltarsi verso il rumore di passi veloci che rimbombava nel
corridoio stretto e claustrofobico con cui si accedeva alle prigioni
ministeriali.
Harry Potter avanzava deciso, seguito da Susan Bones e Theodore Nott, e
nonostante fosse il più basso dei tre, dava comunque
l’idea di essere quello più grande, con il
mantello ancora addosso e lo sguardo di chi ha intenzione di ottenere
immediatamente delle risposte, a qualsiasi costo.
Era sempre stata una persona diplomatica, il suo capo.
«Nata, scusa se ti ho fatta venire qui così dal
nulla ma vorrei che tu assistessi all’interrogatorio
» disse asciutto Harry, togliendosi il mantello mentre una
mano già correva alla maniglia della porta,
«Disgraziatamente non possiamo usare il veritaserum, per cui
ho bisogno che tu tragga dalle mie domande quante più
informazioni possibili, va bene? Frugagli nella testa quanto vuoi..
».
Natalie annuì con un sospiro sommesso, e Susan le strinse
una spalla, comprensiva.
«Purtroppo non abbiamo molto scelta, Nata » le
disse con un mezzo sorriso, «Non possiamo tenerlo qui in
eterno senza prove che lo colleghino palesemente agli Illuminati, per
ora è lì dentro perché ha provato a
schiantare Nott ».
«Cosa vi fa pensare che abbia a che fare con gli Illuminati,
allora? » chiese prima di tornare a guardare il ragazzo oltre
il vetro, sembrava così tranquillo.
«Oltre al fatto che quando mi ha visto ha urlato: morirete tutti, Purosangue?»
rispose ironico Nott, «La traccia magica della sua bacchetta
è una di quelle rinvenute fuori dalla casa di Sybil Zabini,
la stanno analizzando ora nei laboratori per vedere se riescono a
scoprire qualcos’altro».
«E non è sufficiente per tenerlo qui almeno una
notte? » chiese la donna incrociando le braccia al petto.
«Disgraziatamente no» commentò Harry,
«Abbiamo al massimo un paio d’ore, prima che venga
giù Hermione a dirmi di lasciarlo andare. Dobbiamo farlo
parlare, quindi: Theo, condurrai l’interrogatorio, Susan e io
ci divideremo i ruoli dell’Auror buono e di quello cattivo,
Nata, puoi anche rimanere qui fuori, se vuoi.. Eddy, vai da Ron, ha un
lavoretto per te » concluse rivolto al giovane Auror con cui
Natalie aveva parlato.
Edward annuì appena, quasi sollevato di non dover assistere
al tutto e prese la via per i piani alti.
«Ha detto qualcosa mentre lo portavate qui? »
chiese la McDonald meditabonda e Nott scosse la testa in segno di
diniego, e per qualche motivo la donna capì che qualche
tentativo di fargli aprire la bocca c’era stato. Non
commentò, gli invasati sicuri dei propri ideali erano sempre
i più duri a cedere, in fin dei conti.
«Facciamolo parlare » disse infine Harry aprendo la
porta e Natalie dal vetro rimase ad osservare il volto di Elias Martin
mostrare un vago stupore, i tratti così anonimi e innocui
non lasciavano trasparire nemmeno un briciolo di timore.
Il Tyr ve la
farà pagare, vi eliminerà tutti,
pensò il giovane Elias concentrando l’attenzione
sulla figura del capo del dipartimento Auror che si toglieva il
mantello e lo lasciava cadere su una sedia a caso, finalmente ci sarà la
giustizia che tu non hai saputo darci.
Natalie sentì quelle parole rimbombare tra i suoi stessi
pensieri e assottigliò lo sguardo mentre Nott cominciava a
fare le solite domande: dov’eri?
Cosa facevi? Perché? C’è qualcuno che
può confermarlo?
Aveva sempre trovato quella sua particolare capacità
piuttosto subdola, ma doveva ammettere anche con se stessa che poter
sentire i pensieri delle persone senza bisogno di qualsivoglia
incantesimo, si poteva rivelare davvero utile.
Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts, Dormitorio Maschile Grifondoro, ore 20.52
Quando Jade entrò nella stanza dei ragazzi quasi
scoppiò a ridere nel vedere Elijah e Ian davanti allo
specchio del bagno armeggiare con le rispettive cravatte nel disperato
tentativo di annodarle. Si limitò a sorridere dolcemente,
osservando rapita i suoi ragazzi agghindarsi per il loro ultimo ballo
d’Inverno, come una madre guarderebbe i propri figli
prepararsi per un’importante cerimonia, con un pizzico di
orgoglio e tanto affetto.
Studiò la piega del pantalone elegante, le maniche delle
camicie arrotolate, le scarpe in vernice e sorrise ancora quando
arrivò ai capelli pieni di gel.
Le sembrava di rivederli al quarto anno, quando avevano avuto anche
loro il permesso di partecipare al ballo che chiudeva le lezioni prima
delle vacanze di Natale, di rivedere quell’accenno di barba
ispida e i capelli tagliati in maniera improbabile per seguire la moda
del momento, ricordava ancora le fisime di James di fronte al grosso
brufolo che gli era spuntato sul mento e dovette mettersi una mano di
fronte alla bocca per trattenere le risa.
Quella volta aveva rimediato lei con un incantesimo.
«Volete decidervi a chiedere aiuto o devo rimanere a
guardarvi perdere di fronte ad una cravatta?» si risolse a
chiedere avvicinandosi, una mano a reggere la gonna del vestito e
l’altra a stringere la pochette dove teneva la bacchetta e
poche altre cose.
«Jay!» esclamò Eli sorpreso prima di
guardarsi allo specchio e tornare a rivolgersi all’amica con
sguardo supplicante, «Non ce la posso fare..».
«Eli, sei una delusione per l’intero genere
maschile, sappilo » commentò Ian continuando
testardamente a stropicciare la seta azzurra della cravatta.
Jade rise scuotendo la testa mentre sistemava il colletto della camicia
candida di Elijah con le dita sottili, lasciandole poi scivolare sulle
spalle larghe e forti.
«Tua madre ha azzeccato anche il colore » disse la
ragazza indicando il proprio vestito con una mezza giravolta ed Eijah
annuì orgoglioso, come se fosse stato lui a scegliere il
grigio perlaceo della cravatta, e non il gusto e la ricercatezza
impeccabili di sua madre.
Ian sbuffò infastidito a quel commento e sciolse
l’ennesimo groviglio informe, sentendosi a un passo dal dar
fuoco a qualcosa.
Per essere quello, dei tre, che vantava la fama di persona paziente,
Ian sapeva perdere le staffe con sorprendente facilità.
«Guarda che disastro » commentò Jade
fermando le sue mani dall’ennesimo tentativo di annodare
quella inerme striscia di tessuto, «La stai stropicciando
tutta, ti ricordo che Vanille si è raccomandata, ti vuole
solo se sei impeccabile ».
Ian sorrise debolmente mentre la ragazza trafficava con il suo collo
per poi sistemare anche a lui la camicia, soffermandosi appena sulla
piega rigida della spalle prima di appoggiare i palmi sul suo petto e
guardarlo dritto negli occhi, per una volta alla stessa altezza, un
sorriso sincero anche se appena malinconico a curvarle le labbra rosse
di trucco.
«Perfetto » disse Jade e Ian ci mise tutta la buona
volontà del mondo e tutto il suo rinomato autocontrollo per
non fare il mezzo passo che li separava e baciarla.
Era sorprendente pensare a come le situazioni potessero cambiare
nell’arco di un mese, se non avesse passato una tempesta come
quella in cui era finito, Ian non l’avrebbe mai creduto
possibile.
Dalla domenica in cui Evangeline l’aveva deliberatamente
messo alle strette, dal giorno in cui Elijah aveva trovato Jade a fare
la muffa in biblioteca, la loro vita aveva preso una piega del tutto
diversa, un po’ meno tragica.
Un lunedì mattina, Jade si era alzata presto e si era fatta
crescere i capelli con un colpo di bacchetta, poi li aveva raccolti, si
era infilata la divisa, aveva preso la sacca con i libri ed era uscita
con il mento alto e le spalle dritte. Roxanne si era convinta che fosse
definitivamente impazzita mentre Eva affermava che non era il caso di
preoccuparsi, e in quel momento, con il supporto di Frank, ogni cosa
che usciva dalla sua bocca suonava come un pronostico molto affidabile.
A pranzo Jay si era seduta alla destra di Ian, come se niente fosse, e
lo stesso aveva fatto a cena, nello scalpore generale per quanto
tutti loro cercassero di non farci caso. Jade era stata
latitante per quasi due settimane e nessuno di loro aveva voglia di
sparire di nuovo, quindi se la ragazza aveva deciso di far finta di
niente, loro l’avrebbero assecondata.
Paradossalmente Ian e Jade avevano ricominciato a parlarsi davvero
civilmente con un semplicissimo puoi
passarmi il succo di zucca?
C’era stata anche una serata che li aveva visti sparire dalle
parti della Torre di Astronomia ed Elijah supponeva che con quella
avessero messo una pietra sopra a tutto quel casino, ma non aveva
voluto saperne nulla.
I giorni successivi la routine che li aveva abituati in quei sei anni
era ripresa quasi magicamente: Roxanne aveva qualche buona parola per
Lorcan almeno una volta al giorno, Jade e Ian avevano ripreso a
gironzolare insieme ad Elijah scrivendo di tanto in tanto una lettera a
James per rallegrare la sua convalescenza, Eva e Frank continuavano a
tubare come colombi mentre Lysander aveva arricchito i suoi discorsi
smozzicando il nome di Lily Potter qua e la, con grande gioia del
fratello gemello che non perdeva mai l’occasione di tirargli
una gomitata sulle costole quando vedevano passare la rossa del quarto
anno.
Così tutto era andato splendidamente bene almeno fino a
quando Jade, Ian ed Eli non avevano incrociato Gwen Shelley in
corridoio e la Caposcuola Grifondoro aveva deciso di far valere la
propria autorità di fronte all’ennesimo insulto:
quindici punti in meno a Tassorosso e un viaggio di sola andata in
infermeria per una fattura mangialumache erano stati l’esito
della giornata. Anche se la faccia schifata di Gwen mentre vomitava
lumache sulla schiena del ragazzo che le stava di fronte era stata
impagabile.
Quando James aveva letto l’accaduto via gufo aveva riso per
dieci minuti buoni, sotto lo sguardo dell’infermiera che
meditava di trasferirlo nel reparto psichiatrico.
Dopo questo fatto persino le voci sul conto di Jade si erano quietate,
probabilmente, pensava Elijah, c’era ancora qualche focolaio
di pettegolezzo qua e la, ma nessuno aveva avuto più il
fegato di darle contro pubblicamente, nemmeno e soprattutto Gwen.
Alcuni, come Vanille, tornata alla vita dopo esser stata chiusa in uno
sgabuzzino da una Rose ben decisa ad avere le coordinate dei suoi
recenti viaggi mentali, erano convinti che passato l’uragano Gwen
Ian e Jade si sarebbero messi insieme e avrebbero vissuto spruzzando
amore e cuoricini da tutti i pori, ma non era stato così.
Non lo era stato per niente ed Elijah non sapeva dire se fosse stato
meglio o peggio, meglio perché ora poteva godersi i suoi
amici senza sentirsi il terzo in comodo e finalmente li vedeva andare
d’accordo come una volta, peggio perché mentre era
palese che Ian fosse ancora cotto di Jade si vociferava che la ragazza
avesse una storiella con Caleb McDuff, il barista dei Tre Manici di
Scopa. E a nulla erano valse le risposte sempre negative di Jay al
riguardo di fronte ad un Ian che bruciava come ardemonio dalla gelosia.
Fortunatamente, se c’era una decisione sensata che Ian avesse
preso alla fine di tutto, era stata quella di non impicciarsi
più nella vita privata di Jade, visto che non ne aveva alcun
diritto, non più almeno.
Elijah si era trovato cinicamente d’accordo.
I giorni avevano preso a scorrere rapidi tra i MAGO che diventavano un
pensiero sempre più concreto e i professori che li
tartassavano di compiti, test ed esercitazioni con l’evidente
proposito di portarli alle soglie del Natale con il cervello ridotto a
una poltiglia informe, tralasciando il pensiero altrettanto pressante
che recitava più o meno per tutti: cosa farò
della mia vita quando sarò uscito da qui?
E anche se Frank continuava a sostenere che di tempo ne avevano in
abbondanza per decidere, Roxanne aveva avuto una mezza crisi di panico
quando si era resa conto che nel disgraziato caso in cui nessuna
squadra di Quidditch l’avesse reclutata avrebbe dovuto
trovare qualcos’altro da fare.
Fino a quel momento gli unici sicuri del proprio futuro erano
Evangeline, che studiava come una matta da anni per essere ammessa ai
corsi per diventare Medimago, Roxanne, che salvo imprevisti avrebbe
tenuto il culo su una scopa per il resto dei suoi giorni, e Lysander,
che avrebbe raggiunto Charlie Weasley in Romania per vivere un
po’ con i draghi, dire che c’era già una
passaporta con su scritto il suo nome era un eufemismo.
Ian, Jade ed Elijah evitavano di spendere troppe energie alla ricerca
della carriera perfetta.
«Vanille ci aspetta in Sala Comune insieme agli altri
» disse Jade staccandosi da Ian con lo sguardo puntato a
terra prima di voltarsi verso Eli che si infilava la giacca del
completo, «Dovreste vedere la faccia di Roxanne, non ha
smesso di sbuffare da che Evangeline le ha infilato il vestito e ha
preso a sistemarle i capelli ».
«La Weasley con un vestito? » chiese Elijah
sorpreso, la bacchetta infilata nella manica della camicia, pronta
all’uso, «Siete riuscite ad infilarle una gonna?
Sul serio? ».
«Beh, non è che avesse molta scelta »
ghignò Jade, «La Wetmore ha detto che vuole solo
vestiti da sera e caviglie coperte ».
Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts, Ingresso della Sala Grande, ore 21.02
«Cos’è Zabini? Non ti sei pulita le
orecchie di recente? » sbottò Katherine
squadrandola e studiando irritata ogni centimetro del suo abitino da
cocktail, «Quando ho detto caviglie coperte intendevo con un
vestito non con quelle cose inesistenti che dovrebbero essere calze
».
Grathia Zabini roteò gli occhi esasperata, «Santo
Merlino, Katherine, è un vestito! Cosa vuoi che sia se non
è lungo fino ai piedi?!».
Josh, appoggiato al muro a meno di un passo dalle due compagne di Casa,
se la rideva allegramente sotto i baffi. Non aveva ancora capito come
mai la Wetmore si fosse presa l’onere di organizzare il Ballo
d’Inverno, ma alla fine avrebbe dovuto ringraziarla per
quella masochistica idea, perché mentre lei si inalberava a
causa di idiozie come la lunghezza del vestito della sorella di Damian,
lui poteva godersela sadicamente alle sue spalle.
«Allora io e te non ci siamo capite » rispose la
Wetmore puntandole contro la piuma che usava per segnare i presenti in
una lista che alla meglio era lunga più di un metro,
«Questo è il Ballo d’Inverno, non un
sabba fatto intorno ad un falò con qualche bottiglia di
whiskey incendiario. È un evento nato per essere elegante e
di classe, ma soprattutto è un evento che
quest’anno ho organizzato io e non permetterò che
tu e questo vestito che ti copre a malapena il culo entriate qui
dentro, sono stata chiara? Quindi le opzioni sono due, o allunghi
quella gonna, o allunghi i tuoi tacchi a spillo verso il dormitorio
».
Nonostante la faccia paonazza di Grathia promettesse futura vendetta,
alla fine la ragazza fu costretta a capitolare e a lasciare che
l’altra le allungasse il vestito fino a terra.
«Benvenuta al Ballo d’Inverno » le
sorrise amabilmente Katherine invitandola ad entrare in Sala Grande con
un cenno della mano.
Josh non si sorprese troppo del gesto molto volgare e poco femminile
che Grathia le rivolse.
«Mi spieghi perché continui a startene
lì a fare l’avvoltoio? Non hai niente di meglio da
fare? » berciò Kath fulminandolo con
un’occhiataccia e Joshua si scostò dal muro
arrivandole a fianco, le mani in tasca, una papillon verde scuro e un
sorrisetto saputo dipinto in faccia.
«Sto aspettando la mia dama, Wetmore, è
elegantemente in ritardo » rispose con nonchalance e lei
ghignò divertita depennando l’ennesimo nome dalla
lista.
«Sempre se esiste ».
«Fossi in te mi fiderei.. » sorrise malizioso prima
di alzare una mano in cenno di saluto, «Buonasera Caroline
».
Katherine si voltò di scatto, inspiegabilmente curiosa di
vedere chi fosse riuscito a rimorchiare quella piaga di Nott, e quasi
si strozzò con la saliva quando vide Caroline Zane avanzare
sorridente verso di lui, il vestito verde che le fluttuava intorno alle
gambe, impalpabile, e i capelli castano chiaro lasciati sciolti sulla
schiena.
«Scusa il ritardo, Joshua » disse prendendo il
braccio che lui le stava cortesemente porgendo, «Aspetti da
molto? ».
«Non ti preoccupare » le sorrise educato prima di
rivolgersi a Katherine con una punta di perversa soddisfazione nella
voce, «Wetmore, se volessi segnarci, Joshua Nott e Caroline
Zane ».
«Benvenuti al Ballo d’Inverno » quasi
ringhiò la Serpeverde invitandoli ad entrare mentre Josh la
ignorava ridendo allegramente con la sua dama.
Per qualche strano motivo, Katherine sentì il desiderio di
colpirli in testa con un oggetto contundente. Si era convinta che
Joshua non sarebbe nemmeno venuto al Ballo d’Inverno e che
nessuna ragazza della scuola avrebbe sopportato l’idea di
passare la serata con una persona irritante come lui, e vederlo a
braccetto con Caroline Zane, Corvonero, con due chilometri di gambe e i
capelli più belli di tutta Hogwarts, dopo i suoi ovviamente,
l’aveva lasciata un filino interdetta.
Che poi, come diavolo aveva fatto Nott a convincerla ad accettare il
suo invito?!
Quella Serpe malefica..
«Ehi, Kath » la chiamò Charity
raggiungendola da dentro la Sala, «Hai visto con chi
è entrato Josh? ».
«Sì.. » smozzicò a malapena
segnando l’ennesima coppia felice e con gli abiti in
coordinato. Era stata precisa anche su quello, non voleva che la sua
sala fosse un’accozzaglia di colori improbabili.
«Ti sei resa conto che è Caroline Zane, vero?
».
«Sì.. ».
«Damian mi aveva detto che ci avrebbe sorpreso, stasera, ma
non pensavo che fosse lei..».
«Già.. ».
«Però sono una bella copp.. ».
«No » la spense Katherine puntandole contro la
piuma che stava stritolando inconsciamente tra le dita, «Non
sono un bel niente. Come abbia fatto quello sgorbio a convincerla ad
accompagnarlo è un mistero. Lei deve essere sotto Imperius o
qualcosa del genere, non c’è altra spiegazione
».
Charity fece mezzo passo indietro fissando la penna di pavone
pensierosa prima di guardare l’amica negli occhi e scoppiare
a ridere.
«Non ci posso credere! Tu sei gelosa di Josh!».
Katherine ci mise qualche secondo per metabolizzare quanto era uscito
dalla bocca di quella testa cotonata poi le sue labbra si curvarono in
una smorfia schifata.
«Ma hai bevuto qualche pozione delirante, per caso? Santa
Atena quanto sei cretina.. ».
«Non posso credere che tu sia gelosa di Josh »
continuò a ridacchiare Charity mollando la presa sulla
stoffa bianca del vestito per portarsi le mani di fronte alla bocca e
ridere un po’ più sguaiatamente.
«Charity, continua così e ti faccio ingoiare le
paillette del corpetto..».
Un colpo di tosse le forò un timpano.
«Aspetta che lo sappia Damian ».
«..ad una ad una.. ».
Un altro colpo di tosse, persino più forte del precedente.
«..ma si può sapere che cavolo vuoi?!»
esclamò voltandosi verso la fonte di quel rumore molesto.
Lorcan Scamander le sorrideva estatico, vestito di nero dalla testa ai
piedi, mentre alla sua destra Roxanne Weasley sbuffava stizzita.
«Devi segnarci su quella maledetta lista per poter entrare,
Wetmore » le disse la Grifondoro seccata, alzando gli occhi
al cielo.
Un momento.. la Weasley-mora al Ballo? Cioè, al Ballo
vestita persino da donna?!
Ma cosa stava succedendo?! Il mondo aveva deciso di ruotare nel senso
opposto senza avvisarla?!
Katherine ebbe la forza di riprendersi solo sentendo la gomitata di
Charity sfondarle la cassa toracica.
«Certo.. Benvenuti.. » biascicò mentre
anche loro due la sorpassavano prima di perdersi tra gli studenti.
Le due Serpi li guardarono sparire con la bocca spalancata e gli occhi
fuori dalle orbite, palesemente e a ragione, sconvolte. Insomma,
andavano a scuola con Roxanne Weasley da sette anni e non
l’avevano mai vista con una gonna figurarsi sistemata per una
serata come quella, con Lorcan, poi, lo stesso Lorcan che professava di
odiare da che avevano memoria..
Il loro cuore da pettegole navigate stava per collassare a causa dello
shock.
«Ma quella era.. ».
«Sì ».
«Ed era con.. ».
«Sì ».
«E aveva indosso un.. ».
«A giudicare dall’altezza anche dei tacchi
».
«E hai visto che fisico che.. ».
«Purtroppo sì ».
«E i capelli, quelli li hai.. ».
«Già ».
«Porca Morgana ».
«Sarà una serata divertente »
ghignò Katherine maliziosa prima di lasciare Charity alle
sue elucubrazioni per accogliere l’ennesima, felicissima,
coppia.
«Benvenuti al Ballo d’Inverno ».
Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts, Sala Grande, ore 22.01
Mordecai se ne stava in piedi vicino al tavolo ricoperto di decine di
ciotole piene di liquidi dei colori più vari, circondate da
centinaia di bicchieri che apparivano di continuo, sempre pieni, sempre
desiderosi di essere bevuti. Lui aveva deciso di attaccarsi alla
ciotola bianca, per il momento, e si sentiva pienamente soddisfatto
della scelta mentre osservava la sua accompagnatrice ballare con suo
fratello, la sua copia meno intelligente.
Vedendo Rowena ridere mentre Eli la faceva volteggiare in quel vestito
violetto che per una volta non la faceva sembrare ancora più
bassa, Mord cominciò a chiedersi perché alla fine
la lasciasse sempre nelle mani del gemello quando era lui a invitarla,
lui a passare più tempo con lei, lui a cercare di farle
capire quanto fosse importante utilizzando la sua limitata e alquanto
scadente capacità di manifestare affetto ed empatia.
Era sempre stata una cosa più forte di lui, non era
affabile, non era carismatico, non era un gran conversatore e in
realtà non era nemmeno tanto paziente da potersi applicare
per migliorare un qualsiasi aspetto del suo carattere, però
quando decideva di voler qualcosa, generalmente faceva carte false per
ottenerla, di questo era piuttosto sicuro.
Allora perché non riusciva a tenersi stretta Rowena Dale?
Trangugiò l’ennesimo bicchiere di quel liquido
latteo che bruciava in gola come lo zenzero e si convinse che forse il
suo fosse semplice masochismo, o magari forza dell’abitudine
visto che alla fine le aveva sempre date vinte ad Elijah, in un modo o
nell’altro.
Quando erano piccoli e andavano nella casa al mare finiva sempre con il
concedergli di dormire sopra nel letto a castello mentre lui soffocava
nella polvere in quello sottostante, quando erano andati a Diagon Alley
per comprare la loro prima bacchetta, lo aveva lasciato scegliere per
primo, finendo ignorato dalla madre mentre in silenzio sceglieva la
propria. Nel dargliela Olivander lo aveva guardato sottecchi,
studiandolo un istante prima di ridacchiare allegro e borbottare
qualcosa di incomprensibile sui gemelli.
Noce nero, crine di
unicorno, 12 pollici, non flessibile.
Poi c’erano state tutte le volte in cui Elijah aveva fatto i
capricci per una qualsiasi cosa, come giocare con la neve, cosa che lui
invece odiava, oppure aprire per primo i regali di Natale, o ancora
salire con il padre sulla scopa nonostante la loro madre si opponesse
fermamente. Alla fine Eli faceva sempre quello che voleva mentre Mord
aveva imparato a starsene a guardare e sospirare in silenzio,
controllandolo di tanto in tanto.
Poi erano arrivati a scuola ed erano finiti nelle due Case che stavano
agli antipodi in qualsiasi cosa ed Elijah aveva cominciato a non
sopportarlo, a lamentarsi di quel fratello che in realtà
faceva ben poco per dargli fastidio, ma la situazione, Mordecai se ne
rendeva conto di tanto in tanto, non era cambiata, Eli continuava a
vincere sempre.
«Tu non eri venuto qui con la Dale? » chiese una
voce corrucciata alla sua sinistra e il Serpeverde voltò
appena la testa verso quella direzione, giusto per scorgere il profilo
di Katherine, intenta a sorseggiare qualcosa di rosa.
Mordecai non rispose subito, probabilmente sorpreso dal fatto che la
Wetmore gli rivolgesse la parola in maniera così spontanea e
senza sputare qualche cattiveria su Rowena, come accadeva spesso e
volentieri. Bevve un altro sorso di non sapeva cosa e la
guardò di nuovo meditando sul fatto che solo lei sarebbe mai
potuta star bene con un abito arancione come quello che aveva indosso.
«Sta ballando con mio fratello » rispose incolore
osservando distrattamente le labbra della compagna di Casa arricciarsi.
«Perché?» chiese contrariata.
«Ma che razza di domande fai? Perché lui
gliel’ha chiesto ».
«No.. perché tu glielo hai permesso? È
venuta con te, stasera, non con lui ».
Mordecai non aveva una risposta. Masochismo? Abitudine? Era un discorso
troppo complesso perché la Wetmore potesse capirlo.
«Sai, Mordecai, non tifo per nessuno in questa sorta
triangolo ma come ho avuto la lungimiranza di far notare un
po’ di anni fa, la Dale è la ragazza dei Faraday
» disse Katherine pronta a raggiungere di nuovo il suo
accompagnatore, «Quindi è anche tua, vai e
prenditela ».
Detto questo sparì tra i vestiti svolazzanti che affollavano
la pista da ballo.
«Pensavo che Molly sarebbe venuta con Alexander, questa sera
» disse Roxanne rendendosi conto della mancanza della cugina
mentre Lorcan le passava un bicchiere di sidro, rabbuiandosi appena.
«Diciamo che ci sono stati diversi problemi, oggi »
rispose spicciò guardandosi attorno.
La Weasley lo squadrò inarcando un sopracciglio poco
convinta. Se davvero quel biondino pensava di potersela cavare
così con lei non aveva capito proprio niente.
«Mi hai convinta a venire qui con te ricattandomi, mi sono
dovuta infilare questo coso insopportabile e cammino su un paio di
trampoli, per non parlare del male che ho patito quando Evangeline ha
deciso di conciarmi la testa in questa maniera »
esordì puntandogli addosso gli occhi scuri, «Come
minimo, ora, mi spiegherai cosa è successo nella Sala Comune
dei Corvonero senza che io ti cavi le parole di bocca ».
Lorcan alzò gli occhi al cielo. Dire che l’aveva
portata lì con un ricatto era una vera esagerazione, sarebbe
stato più corretto affermare che aveva usato le sue innate
doti persuasive e la sua perseveranza, se non altro gli avrebbe fatto
più onore di un blando ricatto. Anche se rubarle da sotto il
naso la busta in cui le dicevano che era stata invitata a partecipare
ai provini dei Ballycastle Bats prima che lei potesse aprirla e dirle
che gliel’avrebbe restituita solo in cambio di un
sì al suo invito, era stato un po’ subdolo.
Approfittare del fattore impazienza mischiato all’ansia era
stato un colpo basso, ma in quel momento la Weasley se ne stava in
piedi davanti a lui con indosso un vestito da sera e le labbra colorate
di rosso, quindi non riusciva a sentirsi davvero in colpa.
«Potevi sempre cruciarmi e riprenderti la lettera »
obiettò cercando di cambiare argomento.
«Allora considera la mia presenza qui il regalo di Natale che
non ti avrei mai voluto fare » rispose veloce,
«Stavamo parlando di Molly.. ».
«Tu stavi parlando della quattrocchi, io stavo.. ».
«Lorcan, piantala » disse spegnendo definitivamente
ogni suo futuro tentativo di svicolare.
Lo Scamander si grattò la testa capitolando.
«È una storia lunga.. ».
«Hai tutto il tempo che vuoi, ballare non è tra i
miei passatempi preferiti ».
Così lui le raccontò a grandi linee quello che
era successo quel pomeriggio, sperando che Roxanne non decidesse di
prendere le parti della cugina, perché altrimenti la serata
avrebbe avuto un esito tutt’altro che piacevole.
Come si sarebbe potuto facilmente immaginare, Molly Weasley non era
esattamente la ragazza che nella scuola poteva vantare la
più vasta gamma di pretendenti pronti ad invitarla a una
qualsivoglia festa, così i suoi compagni di Casa, meglio
identificabili con i nomi di Emma Nieri e Oliver Cromwell, si erano
messi d’impegno e avevano cercato qualcuno disposto a passare
una serata con lei, o quanto meno ad accompagnarla fino
all’ingresso. Katherine era stata chiara, si accettavano solo
coppie vestite in coordinato.
Alla fine la scelta era ricaduta su Alex Olivander, un giovane
allampanato con dei grandi occhiali quadrati e il naso sempre infilato
saggiamente tra le pagine di un libro.
Molly ovviamente non era stata entusiasta della cosa e Lorcan aveva
avuto l’accortezza di farle notare che nessun altro si era
mostrato disposto a passare del tempo con lei, quindi si sarebbe dovuta
accontentare.
Forse aveva esagerato, lo ammetteva, ma non sopportava malamente Molly
Weasley e vederla lamentarsi dopo che Oliver aveva perso ore del suo
tempo a convincere Alex pur di non lasciarla chiusa in camera anche il
suo ultimo Ballo d’Inverno, l’aveva fatto sbottare.
Oliver era intervenuto cercando di calmarli, Molly era sempre
più rossa in viso e, come succedeva di tanto in tanto alle
Weasley, che non erano esattamente maestre
dell’autocontrollo, era esplosa con un commento velenoso su
Judith Swift, la ragazza che Oliver aveva invitato. Non ricordava
esattamente le parole ma sapeva che erano state parecchio pesanti,
visto che persino Emma l’aveva richiamata
all’ordine sconvolta.
Oliver a quel punto aveva preso la porta e se n’era andato,
lui fuori dalla Sala Camune e Molly verso il dormitorio. Quando Emma
aveva cercato di fermarla, l’altra l’aveva scansata
in malo modo sibilando: «Xavier Knight, eh? Quando avevi
intenzione di dirmelo?» ed era sparita.
Emma era scoppiata a piangere, Lorcan aveva rincorso Oliver e Alex
aveva deciso che al Ballo ci sarebbe andato con una ragazza di qualche
anno più piccola di loro che aveva conosciuto in Biblioteca.
«So che è tua cugina, Rox » concluse
infilando le mani in tasca, «Ma non aveva alcun diritto di
trattare così Oliver, quel ragazzo le vuole bene, per
qualche motivo, e invece lei si comporta come se tutti stessero un paio
di gradini sotto di lei. Dovevi vedere la faccia di Oliver, sembrava lo
avessero pugnalato alle spalle.. Non parliamo poi di Emma, abbiamo
dovuto trascinarla fuori dal dormitorio stasera, si sente talmente in
colpa per quello che è successo che voleva rimanere a
piangere su una poltrona ».
«Diciamo che non ha fatto una bella figura nel non dire a
Molly di Knight » commentò Roxanne, Lorcan scosse
la testa.
«Io invece la capisco, Emma stravede per Molly e lei odia i
Serpeverde, aveva paura della sua reazione, pensava che
l’avrebbe.. boh.. disconosciuta ».
«Secondo me si è sentita presa in giro ».
«Indubbiamente, però poteva reagire in un altro
modo ».
«Ad esempio? Non è che tu sia la persona
più diplomatica su questo pianeta, Scamander. Mi tormenti da
anni e non hai mai pensato di cambiare atteggiamento ».
«Adesso sei qui.. » ci tenne a sottolineare facendo
spallucce.
«Ma questo non ha diminuito la mia voglia di darti in pasto
al cane a tre teste di Hagrid, o ad un Tranello del diavolo.. le
possibilità sono infinite in una scuola di magia ».
«Sei sempre così carina con me »
ghignò sarcastico e Roxanne ricambiò
sorridendo sardonica.
«Sono anni che cerco di trovare un modo per farti sparire e
ho molta inventiva » mentre parlava, la voce autoritaria
della McGranitt annunciava che stavano per avere inizio le danze che
avrebbero ufficialmente aperto il Ballo d’Inverno,
così Roxanne gli afferrò un braccio e lo
trascinò verso il centro della pista.
«Se vuoi che ti segua, Weasley, non hai che da chiedere
» mormorò Lorcan una volta fermi e Roxanne
inclinò di lato la testa pensierosa, prima di tirargli un
pugno sul braccio.
«Ahia! ».
«Zitto e concentrati, non sono brava in queste cose e vorrei
evitare di schiantarmi contro il pavimento »
borbottò la ragazza appoggiandogli una mano sulla spalla
mentre sentiva quella di Lorcan stringerle il fianco, «Quindi
vedi di non farmi inciampare ».
«Se ti chiedessi di darmi fiducia lo faresti? »
chiese allora guardandola dritto negli occhi, Roxie non
abbassò lo sguardo per puro orgoglio.
«Probabilmente no » rispose curvando un angolo
delle labbra, mostrando quella fossetta che la rendeva molto
più la Roxanne che a lui piaceva tormentare.
La prima nota si diffuse nell’aria, un tono incredibilmente
caldo.
Rox sentì un brivido scorrerle lungo la schiena e trattenne
il fiato quando la voce di Lorcan le sfiorò
l’orecchio.
«Al mio tre, Weasley, prova a fidarti di me ».
Uno.
Due.
«So che non volevi venire qui con me, mi dispiace »
mormorò Ian muovendo il primo passo, gli occhi puntati oltre
le spalle dritte di Vanille, verso la testa bionda di Jade.
La ragazza sorrise appena, lasciandosi guidare, lo sguardo perso di
fronte a lei, verso la i capelli leggermente spettinati di Albus che
ballava con Faith McBride.
«L’alternativa era leggere in Sala Comune
circondata dai bambini » rispose tranquilla,
«Preferisco la tua buona compagnia
all’autocommiserazione ».
«Grazie, non sono molte le ragazze che la pensano
così al momento » commentò Ian con una
punta di ironia, Vì si lasciò sfuggire un accenno
di risata.
«Inoltre » continuò la bionda dopo una
giravolta, «Visto che nessuno di noi due può stare
con la persona con cui vorrebbe, tanto vale che stiamo da soli insieme,
non credi? ».
«Hai sistemato le cose con Albus? » chiese Ian
guardandola con la coda dell’occhio, lei scosse la testa con
gli occhi lucidi.
«Di solito a questo genere di feste veniamo sempre insieme
» disse con un filo di voce, «Non mi parla da quasi
una settimana ».
Ian non disse niente, si limitò a stringere la mano che
teneva stretta nella propria mentre l’ennesima giravolta li
separava. Non aveva un gran rapporto con Die Vanille ma gli capitava
spesso di chiacchierarci insieme, quando andava a vedere gli
allenamenti di Quidditch e lei restava in panchina, quando si trovavano
in Sala Comune e chiedevano ad un elfo di portar loro delle cioccolate
calde, quando si ritrovavano a mangiare in Sala Grande, quando James
voleva infastidire il fratello parlandole.
«Hai fatto la cosa giusto, Vanille »
cercò di confortarla e lei riportò gli occhi
sulla testa di Albus, quasi inconsapevolmente.
«Lo so.. razionalmente parlando » prese un respiro
profondo, «Ma non cambia il fatto che io gli abbia spezzato
il cuore. So che sentimenti lo legano a sua fratello,
rivalità, desiderio di primeggiare, spesso invidia ma..
penso a come deve essersi sentito quando gli ho detto che non posso
corrispondere i suoi sentimenti a causa di Jamie. L’ho ferito
e non riesco a perdonarmelo ».
«Se ti può consolare in qualche modo, di recente
ho scoperto che ogni cosa si sistema a modo suo » disse
guardandola rassicurante, «Dagli tempo, una volta compreso
che a prescindere da James non l’avresti ricambiato, se ne
farà una ragione ».
«Non voglio perderlo, Ian » confessò.
«Purtroppo, Vì, non dipende più da te
ormai ».
«Sei proprio bella, questa sera » sorrise Frank
guardandola in faccia solo per lo sfizio di vederla arrossire, era
così carina quando arrossiva.
«Con questa, me l’hai già detto dieci
volte » rispose sorridendo a sua volta imbarazzata, ben
consapevole di avere le guance come due pomodori e di quanto il suo
ragazzo fosse tremendamente entusiasta di quello scomodo dettaglio.
Non amava stare al centro dell’attenzione e lui lo sapeva, quel perfido Grifondoro.
«Era vero anche le nove precedenti » disse
tranquillo guidandola ad indietreggiare di qualche passo mentre
danzavano in tondo e il vestito blu di Evangeline si muoveva sinuoso
con loro.
Eva gli pizzicò la spalla inclinando appena la testa verso
destra in un ammonimento che di serio aveva poco o niente. Frank
ridacchiò appena prima di alzare la testa e guardare alle
spalle della sua compagna una testa bionda che parlava a bassa voce ad
una testa rossa e un poco più bassa.
Sospirò appena, corrugando la fronte pensieroso e un
po’ preoccupato.
Evangeline alzò lo sguardo verso l’alto,
esasperata, prima di pizzicarlo di nuovo, questa volta un poco
più forte.
«Smettila di controllarlo, non è un bambino, sa
cavarsela perfettamente da solo » mormorò
guardandolo dritto negli occhi, cercando di rassicurarlo anche in quel
modo, ma il suo ragazzo era entrato in modalità mamma chioccia e
non ne sarebbe uscito se non a serata conclusa.
Frankie arricciò le labbra piuttosto scettico.
«È la prima volta che lo vedo con una ragazza,
scusa se preferisco tenerlo d’occhio »
borbottò indispettito, ma lei decise di non dargli corda.
«Ne parli come se Lily potesse decidere di dare di matto e
staccargli la testa ».
«Non è quello.. è solo che non voglio
ci resti troppo male se le cose non dovessero andare bene come spera
» disse il Grifondoro.
«Ha diciassette anni Frank, non due, se le cose dovessero
andare male sarai lì per consolarlo e spiegargli che non
è una tragedia » rispose lei, «Deve
imparare a camminare con le sue gambe, altrimenti passerà la
sua vita tra noi e tutte le bestiole che gli piacciono tanto
».
Frank la guardò ancora poco convinto, non sapendo
esattamente se e cosa ribattere. Non era figlio unico, aveva ben due
sorelle più piccole di cui preoccuparsi ma Alice aveva otto
anni e Amanda solo sei, quindi era cresciuto praticamente come tale.
Questo aveva fatto sì che i gemelli Scamander diventassero
un po’ come i suoi fratelli acquisiti, in particolare il
piccolo Lysander, con quegli occhi grandi e blu, i capelli chiarissimi
e l’aspetto gracilino, gli era sempre sembrato qualcosa di
fragile, una specie di fratellino.
E i fratelli minori vanno protetti, quindi lui difendeva il piccolo, ingenuo e dolce Lys.
Evangeline continuava ad osservarlo sottecchi, l’aveva fatto
da quando Lysander aveva offerto il braccio a Lily Potter per
accompagnarla fuori dalla Sala Comune e non aveva smesso nemmeno quando
erano arrivati in Sala Grande e avevano cominciato a danzare. Frank gli
aveva staccato gli occhi di dosso solo quando doveva guardare lei o
evitare di andare a sbattere addosso a qualcuno. Le sembrava di avere a
che fare con una madre apprensiva e per quanto capisse le sue ragioni
era anche del parere che Lys dovesse fare tutto questo da solo, senza
la loro presenza invadente. Per questo si era rifiutata di andare a
parlargli e aveva trattenuto Frank quando aveva deciso di andarci da
solo.
«Tu non capisci.. sai che vuole invitare Lily al Ballo dalla
Feste d’Inizio? Voglio dire, sono mesi che ci rimugina sopra!
Tralasciando il fatto che quando si è reso conto che non
avrebbe potuto chiedere direttamente a James il permesso di invitarla
qui stasera è andato nel panico! È ancora
convinto di aver fatto un gesto riprovevole nel non ricevere la sua
approvazione ».
«Come se Lily avesse bisogno dell’approvazione di
Jamie » ridacchiò Evangeline immaginando Lysander
che camminava su e giù per la stanza mugugnando frasi
sconnesse con le mani nei capelli, era una scena molto plausibile, in
effetti.
«Eh, io e te lo sappiamo, lui un po’ meno
» sospirò Frank continuando a guardarlo mentre
parlava con la piccola di casa Potter e anche questa volta ad Eva
quell’occhiata non sfuggì.
«Lily è una brava ragazza, è carina,
disponibile e sono sicura che non illuderebbe mai Lys in nessun modo
» lo rassicurò alla fine, convinta che tra lo
Scamander e Frank fosse quest’ultimo quello più in
ansia, «È il nostro ultimo Ballo
d’Inverno, Frank, tu non indosserai mai più un
frac e io non indosserò mai più un vestito come
questo, non cammineremo più su una neve incantata che non
bagna i vestiti e non balleremo più un ballo
così in questa sala. Godiamocelo e basta ».
Il ragazzo la guardò regalandole un sorriso di scuse
perché onestamente a tutto quello non aveva pensato e un
po’gli dispiacque aver dedicato tutto il suo tempo a tenere
sotto controllo Lysander quando aveva Evangeline davanti.
«Te l’ho mai detto che ti amo? » le disse
facendole fare una giravolta e lei rise lasciando che la mano che aveva
poggiato sulla sua spalla salisse fino ad accarezzargli dolcemente la
nuca.
«Almeno un migliaio di volte » rispose e lui
sorrise ancora un po’.
«Ed era vero anche tutte le volte precedenti ».
«Dovresti smettere di venire a queste feste con me, Louis,
prima o poi qualcuno comincerà a pensar male, molto male
» mormorò Lucy con il suo solito tono di voce,
tranquillo e privo di particolari inflessioni, come se stesse parlando
del tempo.
Louis curvo un angolo delle labbra, così tipico che si
preoccupasse per lui.
«Non è importante quello che gli altri pensano
» rispose pacato, «Ricordi cosa ha detto la
Wetmore? Serviva un’accompagnatrice per entrare in sala,
questa sera, e sei la migliore che potessi desiderare ».
«Lusingata » rispose tenendo gli occhi fissi
davanti a sé, la fronte appena increspata da qualche
pensiero di troppo, «Ma non mi farai cambiare idea al
riguardo ».
«Cosa guardi? » le chiese allora nella speranza di
cambiare discorso.
«I nostri parenti.. » mormorò
distrattamente, quasi non lo stesse davvero ascoltando, «Sono
persone estremamente incasinate ».
«Davvero? » rise sarcastico Louis.
«Albus si muove come se si stesse trattenendo dal fare
qualcosa di stupido » spiegò meditabonda,
«Probabile che la Hillyard si sia decisa a far crollare tutte
le sue speranze su un possibile futuro insieme. Rose continua a
lanciare occhiate di sottecchi a Malfoy, probabilmente è
gelosa della sua nuova fidanzata. Mia sorella non è venuta e
a giudicare dallo sguardo della Nieri e di Cromwell i tre devono aver
discusso, mi spiace per Judith, teneva particolarmente al buon esito di
questa serata.. Non capisco ancora come Lorcan abbia convinto Roxanne a
seguirlo, stasera, ma sono soddisfatta che almeno Lysander abbia
trovato il coraggio di invitare Lily, spero ne nasca qualcosa di buono
».
«Tu che auguri qualcosa di buono ad uno qualsiasi dei tuoi
parenti? » commentò Louis stupito,
«Senti lo spirito natalizio, Lucy? ».
«No, per niente » rispose piatta,
«Sottolineavo quanto la nostra sia una famiglia piena di
problemi ».
«Tutte le famiglie ne hanno, Lucy, noi siamo solo in tanti
quindi il numero dei problemi aumenta esponenzialmente ».
«Io non ho alcun problema » chiarì
guardandolo negli occhi, «Nemmeno tu, sono gli altri a
preoccuparmi ».
«Più che preoccuparti mi pare ti infastidiscano
».
«Credo facciano entrambe le cose » rispose pacata,
«Sono tutti così caotici ».
«Avresti bisogno di un uomo, sai? » le disse ad un
certo punto il cugino con un sorriso malizioso, «Di questo
passo diventerai sempre più acida ».
«Eppure continui a gradire la mia compagnia, mi pare
» borbottò guardando le loro mani intrecciate.
«Perché so che in fondo sei una persona
estremamente buona, Lucy, mi piacerebbe che lo scoprissero anche gli
altri, non sanno cosa si perdono » rispose con un riso che
lei ricambiò apertamente, come capitava rare volte.
«Mi basta che lo sappia tu » rispose continuando a
sorridere, «In fondo quello che pensano gli altri non
è poi così importante, no? ».
«Credo che ora l’intera scuola ti odi sul serio,
sai? » ghignò Elijah facendole fare
un’ultima giravolta.
«Tu dici? » rispose ridendo Jade e lui
annuì fingendosi terribilmente dispiaciuto.
«Ti sei appena presa anche l’ultimo dei tuoi amici,
di questo passo si comincerà a vociferare che facciamo cose
a quattro nelle aule vuote del terzo piano »
spiegò Eli aggrottando le sopracciglia, «Che poi,
cosa passano fare tre uomini con una sola donna.. è qualcosa
che dà da pensare, non credi? ».
«Solo tu ci puoi pensare » commentò,
«Tu e James, probabilmente, è incredibile quanto
male vi siate fatti a vicenda in questi anni ».
«Io direi che ci siamo migliorati vicendevolmente »
la corresse con ghigno malandrino.
«Certo, avete raggiunto livelli di depravazione inconcepibili
».
«Qualcuno doveva bilanciare la presenza tua e di Ian
» disse come se fosse ovvio, «Per ogni santo
c’è bisogno di un peccatore e io e Jam ci siamo
offerti volontari per questo ingrato compito ».
«Mai stata una santa » scosse la testa Jade,
«Mai in tutta la mia vita, ne sono assolutamente certa
».
«Forse, ma il moralismo tuo e di quell’altro
rischiava di farci diventare vecchi prima del tempo, la nostra immagine
ne avrebbe risentito, e poi non dire che non ti stai divertendo
perché non ti crederei ».
«Ballare ti fa decisamente male, Eli » rise mentre
la musica andava pian piano spegnendosi e loro due erano costretti a
staccarsi per l’inchino di rito che decretava
l’ufficiale fine della danza d’apertura.
Il resto della serata sarebbe stato all’insegna di
bicchierini colorati e musica di ben altro genere, con tanti saluti
all’eleganza e alla pomposità a cui ambiva la
Wetmore.
«Vuoi bere qualcosa? » le chiese a quel punto
mettendole un braccio intorno alle spalle per farsi reggere mentre le
si accasciava praticamente addosso, «Queste danze
così complicate mi sfiancano ».
Jade scoppiò nuovamente a ridere, «In
realtà mi chiedevo se volessi accompagnarmi un secondo
fuori, ho bisogno di una boccata d’aria prima di
sprofondare definitivamente nel delirio di questa sera.. ti ricordo che
hai promesso di farmi ubriacare ed è l’unico
motivo per cui ho accettato il tuo invito ».
«Tranquilla, non l’ho dimenticato »
rispose facendole l’occhiolino, «Bene, usciamo e
poi ci diamo alla pazza gioia, ho contato un sacco di colori sul tavolo
quest’anno e spero vivamente che la Wetmore non abbia messo
solo succo di zucca e burrobirra in quei cosi, perché
altrimenti la mia vendetta potrebbe essere piuttosto violenta
».
«Scemo.. » sorrise Jade mentre lui la prendeva
sottobraccio per condurla verso l’uscita della Sala Grande.
Elijah non ricordava di essersi divertito così tanto da
prima dell’incidente di James e, pensò con un
certo rammarico, era assurdo perché un tempo loro quattro si
divertivano sempre in quel modo, indipendentemente da chi fosse con
chi. Era questo il bello del loro gruppo, non c’era veramente
una personalità che dominasse sulle altre, certamente lui e
James erano più estroversi ma non era davvero importante
quando erano solo loro, senza nessun altro. Sperava davvero che le cose
potessero rimanere così, senza subire altri bruschi
cambiamenti di rotta.
Non era un amante dei cambiamenti ed era il tipo di persona abbastanza
saggia da non voler tensioni tra le persone che lo circondavano.
Mentre pensava a tutto questo, spensierato come non gli capiva da un
po’, lui e Jade si erano spinti oltre l’ingresso
della scuola e per qualche strano motivo erano finiti a camminare
vicino all’ingresso ai sotterranei.
«Ehi, Jay, sei già ubriaca? »
scherzò allegro, «Pensavo volessi prendere un
po’ d’aria ».
Quando non gli giunse nessuna risposta si voltò verso di lei
perplesso e un po’ preoccupato, che si sentisse poco bene?
La ragazza teneva lo sguardo basso, gli occhi chiari socchiusi e le
labbra tese in una linea dritta e per un attimo vide
l’indecisione sporcarle i tratti del viso, ma fu solo un
istante, poi alzò la testa e si voltò verso di
lui. Lo guardò sinceramente dispiaciuta prima di
appoggiargli una mano sulla guancia. Elijah non capiva cosa stesse
succedendo, continuava solo a guardarla confuso, aspettando che dicesse
qualcosa per spiegarsi o che gli chiedesse di tornare al ballo, ma lei
sembrava non aver alcuna intenzione di fare nessuna delle due cose,
rimaneva solo lì a guardarlo veramente dispiaciuta. Come se
stesse per fare qualcosa di estremamente deplorevole.
«Jade.. cosa..? » stava per chiedere ma non ebbe
nemmeno il tempo di finire.
«Mi dispiace tanto Elijah » disse in un sussurro
prima che il corpo dell’amico diventasse duro come la pietra
e si schiantasse contro il pavimento dei sotterranei con un tonfo
sordo. Nessuno lo avrebbe sentito, erano abbastanza lontani dalla Sala
Grande e dalle stanze del professor Eastwood o dal dormitorio
Serpeverde.
Eli continuava a guardarla, pietrificato con ancora
quell’espressione confusa a deformargli il viso, non si era
nemmeno reso conto che avesse tirato fuori la bacchetta dalla borsa.
Continuava a non capire cosa stesse succedendo, era tutto
così privo di logica, surreale.. perché mai Jade
avrebbe dovuto lanciargli contro un incantesimo del genere? Cosa stava
succedendo? Voleva delle spiegazioni ma non poteva muoversi e non
sapeva cosa fare..
«Prometto che ti spiegherò tutto, Eli, lo giuro
» disse la ragazza chinandosi vicino a lui, la mano che
ancora stringeva la bacchetta d’ebano, «Ma adesso
non posso e mi dispiace così tanto che sia finita in questo
modo, era il nostro ultimo Ballo d’Inverno, in fin dei
conti.. mi dispiace tanto ».
«Sei in perfetto orario, piccola Jay »
ghignò una voce alle sue spalle e Jade si voltò
di scatto fulminando il suo interlocutore con un’occhiata di
disappunto.
«Cosa ti aspettavi? » rispose alzandosi in piedi,
una mano corse subito a sistemare la gonna del vestito, «Non
sono d’accordo con tutta questa faccenda ma non ho
alternative, giusto? In più me l’ha chiesto lo zio
Draco.. vediamo di muoverci almeno ».
«Sei ancora arrabbiata con me, vero? » chiese
l’altro con una punta di rammarico e Jade sbuffò
infastidita.
«Non sono arrabbiata, sono solo delusa » rispose
fredda, «Ma a quanto pare è un vizio degli uomini
farmi tante moine solo per chiedermi qualcosa in cambio ».
«Dovevo guadagnarmi la tua collaborazione, era il modo
più semplice, altrimenti non mi avresti nemmeno ascoltato. E
non erano solo moine, te l’ho già detto ma tu
continui a non credermi.. ».
«Lasciamo perdere questo discorso, sa di vecchio ormai
» lo bloccò con un gesto secco della mano,
«Devi solo bere la polisucco e metterti i suoi vestiti poi
potremo andare ».
«Hai notato qualcosa di strano? » chiese il mago
bevendo un sorso di pozione con una faccia decisamente schifata.
«Se tralasciamo la Harris che sembra non aver intenzione di
accanirsi contro Scorpius almeno per questa sera direi di no, le ha
accidentalmente pestato l’orlo del vestito e lei non ha fatto
niente » spiegò Jade con noncuranza,
«Sarà lo spirito natalizio o qualcosa di simile
».
Intanto Elijah continuava a starsene immobile sul pavimento freddo,
sempre più confuso, chiedendosi perché Caleb
McDuff avesse preso il suo aspetto davanti ai suoi occhi e meditasse di
rubargli i vestiti.
Che diamine stava
succedendo?!
Note dell'autrice:
Buonasera a tutti!!
Allora, il capitolo finisce oscenamente, lo so.. e questo succede
perché si presuppone un seguito che giuro
arriverà prima della fine dell'anno, e visto che siamo a
gennaio credo di potercela fare :) Sul capitolo non ho niente da dire
se non che inspiegabilmente il mio amore per Katherine Wetmore continua
a crescere di giorno in giorno, per lei e per Joshua che sono gli unici
due personaggi che si scrivono praticamente da soli, credo potrei anche
scrivere una storia solo su di loro e mi divertirei comunque un sacco :)
Dopo queste blande considerazioni, ci tengo a ringraziare di cuore chi
segue, preferisce e ricorda la storia, chi semplicemente la legge e chi
mi grazia con una recensione, prima o poi risponderò, lo
prometto!! Sono un'autrice pessima ma amen..sopportatemi
finchè potete ;)
Tanti baci,
Najla
|
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Capitolo 19 *** Falsi sorrisi e piani di omicidio ***
Sedicesimo
Capitolo
Falsi
sorrisi e piani di omicidio
Parte 1
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Grande, ore 22.51
Jade si
bloccò di fronte al tavolo degli alcolici indecisa sul da
farsi ma assolutamente certa della necessità di qualcosa di
forte, agguantò un bicchierino arancione e lasciò
che il contenuto le bagnasse le labbra e le bruciasse in gola. Grazie
al cielo aveva trovato il whiskey incendiario.
«Sei
più brava di quel che pensassi, sai? » disse il
ragazzo che se ne stava alla sua destra, con le braccia incrociate al
petto e il corpo rivolto verso la pista da ballo, gli occhi verdi
osservavano attenti tutto ciò che li circondava,
«Mi aspettavo di doverti dire di rilassarti, di stare
tranquilla, di comportarti normalmente.. e invece sembri del tutto a
tuo agio ».
Lei fece una
smorfia seccata lanciandogli un’occhiataccia. Non era a suo
agio, proprio per niente. Sentiva lo stomaco sottosopra per
l’ansia e non aveva fatto altro che sentirsi in colpa per
quello che aveva fatto a Elijah da che lo avevano spogliato e chiuso
nello stanzino delle scope.
C’erano
talmente tante cose che potevano andare storte nel loro piano e lei
continuava a ripetersele come un mantra all’apice
dell’autolesionismo: qualcuno poteva trovare Eli, qualcun
altro poteva rendersi conto che il ragazzo che le stava a fianco era un
intruso, la polisucco poteva smettere di fare effetto prima del
previsto e a quel punto mascherare Caleb di fronte a tutta la scuola
sarebbe stato impossibile, lei sarebbe stata espulsa e sua madre
l’avrebbe disconosciuta.
Perché
finiva sempre in mezzo ai casini?!
Avrebbe dovuto
rifiutare quando Caleb, poco più di una settimana prima le
aveva spiegato perché, esattamente, fosse finito a lavorare
dalla zia Rosmerta, allegando una lettera in cui lo zio Draco
confermava tutte le fesserie che si era sorbita per una buona
mezz’ora e la pregava di assecondare il vecchio compagno di
scuola. Visto che il mittente era lo zio non si era trattata nemmeno di
una vera richiesta quanto di un diplomatico ordine.
Prese un altro
bicchierino di liquore e lo mandò giù in un
sorso. Non avrebbe detto di no a prescindere da suo zio, era una
ragazza sveglia e sapeva che le parole strage di innocenti e guerra non
venivano mai pronunciate con leggerezza in tempo di pace, e se lei
poteva dare una mano facendo entrare un giovane agente del Ministero
nella scuola per permettergli di indagare in incognito,
l’avrebbe fatto senza problemi.
Ci
pensò per un secondo con il bicchiere ancora in mano e
sgranò gli occhi quando la consapevolezza di quel pensiero
la colpì come un treno in corsa. Lo zio Draco sapeva
benissimo che non avrebbe mai rifiutato. Sapeva che la sua indole da
Grifondoro non l’avrebbe fatta esitare troppo..
A Natale
c’avrebbe fatto due chiacchere, poco ma sicuro.
Maledetta
Serpe..
«Cosa
devo dirti? » commentò caustica, ben attenta a non
farsi sentire da orecchie indiscrete, «Avrò un
talento naturale nel raccontare balle, forse sono un’attrice
mancata».
Caleb
ridacchiò di gusto, «Questo sicuramente, staresti
bene nella squadra di Spionaggio del Ministero, pensaci ».
«Ingannare
le persone e usarle a mio piacimento? » insinuò
voltandosi per guardare i suoi compagni di scuola divertirsi
spensierati, «Non credo sia la vita che fa per me ».
«È
per un fine più alto, Jay, pensa a questo ».
«Nessun
fine vale quello che ho fatto stasera » rispose seccata
correndo con il pensiero ad Eli. L’ennesima fitta allo
stomaco le fece storcere il naso.
«Eppure
questo non ti ha fermata. Certe volte qualcosa va sacrificato, per
ottenere una vittoria ».
«Comincerò
a considerarla una vittoria quando troveremo qualcuno di abbastanza
sospetto da essere ricollegato agli Illuminati. Fino ad allora
sarà solo un grande errore
».
Caleb non
ribatté nulla, infilando le mani in tasca ed evitando di
smontare tutte le convinzioni di quella ragazzina ancora convinta che
il mondo si potesse aggiustare con onestà e buone azioni.
«Visto
qualcosa di interessante fino ad ora? » chiese allora Jay,
impaziente di mettere la parola fine a quella serata.
«Per
ora no.. » rispose meditabondo, «Siamo abbastanza
sicuri che chiunque si sia infiltrato qui per conto del Tyr sia
estremamente versato negli incantesimi, quindi abbiamo escluso tutti
gli studenti al di sotto del livello GUFO. Terrei d’occhio
gli studenti del sesto e settimo anno, e gli insegnanti ovviamente..
c’è qualcuno di assente, questa sera? ».
«Molly
Weasley è l’unica a mancare dell’ultimo
anno.. del sesto credo di averli visti tutti, esclusi un Tassorosso,
che sono sicura sia in infermeria e la ragazza che doveva venire qui
questa sera, anche lei a Tassorosso. Ma ho sentito spesso Rose
lamentarsi di quanto sia incapace, quindi dubito possa essere la pedina
che stiamo cercando ».
«Manca
Eastwood o mi sbaglio? » buttò lì
osservando la Harris che se ne stava in piedi in un angolo, smozzicando
qualche parola con Dobrev, il professore di Trasfigurazione.
«Pare
che si sentisse poco bene, per questo motivo la Hastings ha chiesto a
me e a Mordecai di dare una mano a controllare chi entra ed esce dalla
Sala.. mancava un supervisore e noi siamo i Caposcuola ».
«Adesso
c’è Mordecai alla porta, quindi »
concluse adocchiando il gemello dell’aspetto che aveva preso.
Da quando erano entrati aveva evitato accuratamente di avvicinarsi sia
a lui che a Ian. Jade era convinta che si sarebbero accorti
dell’inganno semplicemente guardandolo, per quanto Caleb
fosse un attore pressoché impeccabile.
«In
realtà adesso sarebbe il momento di dargli il cambio
» sospirò controllando l’orologio da
taschino che teneva nella borsetta prima di rivolgere al suo
accompagnatore un sorriso tanto falso da farle male alle guance.
«Vuoi
seguirmi, Elijah?
».
«Faith
è carina stasera, non pensi? » Albus si
voltò confuso. Che Rose se ne uscisse dal nulla con un
discorso a caso era normale amministrazione, eppure questa volta aveva
la sensazione che la casualità centrasse ben poco.
Sua cugina
aveva la mente di uno stratega e la parlantina di un magiavvocato, un
mix micidiale. In definitiva, se Rosie voleva qualcosa difficilmente
non la otteneva e la fortuna di tutti stava nel fatto che normalmente
non volesse niente.
«Sì,
è molto graziosa » rispose offrendole un bicchiere
pieno di un liquido verde acido che sapeva di finocchio,
«Vuoi? ».
«No,
grazie » disse storcendo il naso disgustata, «Ho
smesso con quelle cose, d’ora in avanti solo acqua e succo di
zucca ».
Albus
scoppiò a ridere, «Non berrai mai più,
vero? ».
«Esattamente
» annuì convinta, «La mia storia con il
whiskey è stata breve ma sufficientemente intensa da farmene
pentire ».
«Era
solo la Festa d’Inizio.. ».
«
…e mi sono svegliata in mutande sul pavimento del bagno.
Sorvoliamo ».
«Ti
dirò che a Scorpius non è dispiaciuto per niente
» commentò ridacchiando e Rose gli tirò
un pugno sul braccio arrossendo fino a diventare del colore dei capelli
e del vestito.
«Sei
simpatico come una bacchetta in un occhio »
smozzicò cercando di tornare di un colorito normale. Era
abbastanza sicura di aver inventato una nuova tonalità di
rosso quando Scorpius si era preso la briga di svegliarla entrando
abusivamente nella loro camera.
Non si era mai
vergognata tanto in vita sua, in mutande, con una guancia sporca di
bava, un alito da tramortire un gigante e la faccia perplessa e un
po’ preoccupata di Scorpius Malfoy a un soffio dalla sua. Il
troglodita aveva avuto pure il coraggio di dire: «Weasley,
non sapevo avessi tutte queste tette ».
Lei
l’aveva guardato confusa, chiedendosi cosa centrassero in
quel momento le sue tette e lui aveva accennato con un ghigno
smaliziato al suo petto.
Era
letteralmente morta di vergogna.
Per fortuna
Malfoy non aveva fatto troppo il bastardo, aveva riso, le aveva
lanciato una vestaglia e aveva promesso che non avrebbe detto niente a
nessuno.
Ovviamente
Albus non era incluso nel suo concetto di nessuno.
«Weasley,
ci siamo mascherate da fragola, questa sera? Non ti hanno detto che
Halloween è passato da un pezzo? ».
Parli
del diavolo..
«Disse
quello che si è fatto leccare i capelli da una mandria di
vacche prima di uscire » rispose piccata lanciando
un’occhiata bieca ai suoi capelli lucidi di brillantina.
«Come
sei sboccata, Weasley » la rimproverò e Rosie
sorrise meditando di togliergli definitivamente le corde vocali.
«Non
vuoi davvero una risposta ».
«No,
infatti.. di cosa stavate parlando? » chiese impossessandosi
di una ciotolina piena di nocciole ricoperte di cioccolato,
«Adoro questi cosi.. ».
«Di
quanto Faith sia carina, questa sera » rispose prontamente
Rose prima che il cugino potesse dire qualsiasi cosa.
«Volevi
farlo parlare di Vanille, vero? » il biondo si mise in bocca
altre due noccioline e la guardò alla ricerca di una
conferma.
«Non
credere di poterti estraniare da questa conversazione
» rimbeccò lei incrociando le braccia al
petto, «Vi state comportando come due bambini ».
«Io
non ho fatto niente! » protestò Malfoy.
Rosie roteò gli occhi spazientita.
«Ah
no, certo, la trattate come un’appestata! ».
«Beh..
ha ammesso che le piace James Potter, qualche problema deve averlo
davvero ».
Albus
alzò gli occhi al cielo, combattuto tra la naturale voglia
di scoppiare a ridere come un isterico e quella di scoppiare a piangere.
Pensandoci a
posteri non poteva fare altro che darsi del cretino.
Non aveva
ancora ben capito come gli fosse venuta l’idea di invitare
Vanille a Hogsmade, spiattellarle tutti i suoi sentimenti e invitarla
al Ballo d’Inverno, mandando a farsi benedire anni di
amicizia e auto ramanzine sulla falsariga di non con Vì, mai con
Vì, Vanille no.
Forse era stata
la sensazione che in un qualche modo lei si stesse allontanando a
convincerlo a farsi avanti, o forse era stato solo un colpo di testa.
Alla fine era un Potter anche lui, no? Poteva permettersi di fare
qualcosa di impulsivo e avventato ogni tanto, giusto? James faceva
sempre la prima cosa che gli veniva in mente e gli andava sempre bene..
Peccato solo
che lui non fosse suo fratello.
Peccato su un
sacco di fronti, vista la situazione. Se fosse stato suo fratello si
sarebbe risparmiato la faccia da ebete stordito che sicuramente aveva
fatto quando Vì gli era arrossita davanti e aveva mugugnato
sinceramente dispiaciuta "credo
di essermi presa una cotta per James.. ".
Quella sarebbe
rimasta impressa nella sua memoria come la più grande delle
sue figure di…
«Santo
Merlino! Le piace James, e allora? Tu sei venuto qui con Myra Wade!
» rispose Rose pronunciando il nome della nuova fiamma di
Scorpius con un tale disgusto che ad Albus venne quasi da pensare che
il discorso fosse magicamente virato su pustole e verruche.
«È
la mia ragazza, Weasley, con chi sarei dovuto venire? Con te? ».
Per qualche
motivo sia a Rose che ad Al quello parve decisamente un colpo basso.
«Con
qualcuno che abbia un quoziente intellettivo superiore a quello di una
patata. Sarebbe stato apprezzabile » ribatté
seccata e Scorpius si accigliò parecchio.
«Non
mi va che tu offenda la mia ragazza, Weasley, non la conosci nemmeno
».
«So
che puoi aspirare a qualcosa di meglio ».
Albus sapeva
che Scorpius non sarebbe riuscito a stare zitto nemmeno quella volta,
ma sperava almeno che Rose non lo spedisse in infermeria con qualche
osso rotto o senza bocca, come era già successo.
Aveva
dell’incredibile che Rosie Weasley fosse un passo avanti a
tutti sempre e comunque, tranne quando si ritrovava a discutere con
Scorpius Malfoy.
«Almeno
io una ragazza ce l’ho, tu cosa hai promesso a Cole Thomas
per convincerlo ad accompagnarti stasera? Perché io ti ho
vista nuda e.. ».
Il suono di uno
schiaffo costrinse Albus a voltarsi di scatto verso i due. La mano di
Rose era ancora alta e sulla guancia bianca di Scorpius si stava
delineando il segno rosso di una cinquina coi fiocchi.
«Sei
uno stronzo » sibilò furiosa e amareggiata prima
di lanciare un’occhiata ad Albus, «Vanille
è una tua amica, lo era anche prima che ti innamorassi di
lei, non vuoi davvero tagliarla fuori dalla tua vita e lo sappiamo
tutti e due. La cosa giusta da fare sarebbe parlarle, ma se vuoi
continuare a comportarti come un bambino non sarò certo io
ad impedirtelo ».
Detto questo se
ne andò diventando un puntino rosso nella folla.
«Mi
ha tirato una sberla » biascicò Scorpius ancora
sotto shock, Albus bevve un sorso di quell’orribile sostanza
verde prima di rispondergli.
«Questa
volta te la sei meritata ».
«Dovresti
stare dalla mia parte! Io ti difendo sempre! ».
«Non
è vero, mi difendi quando ho ragione »
precisò il ragazzo infilando le mani nelle tasche,
«E questa volta hai torto. Mi spieghi perché hai
dovuto tirar fuori la faccenda del bagno? A volte sei proprio uno
stronzo ».
«Ma
è Rose! » rispose come se quella fosse la
giustificazione ad ogni suo commento bastardo o l’unico modo
che conosceva per parlare con la compagna.
«Sarà
anche Rose ma non è fatta di pietra ».
«Ti
odio quando fai così » borbottò il
biondo massaggiandosi la guancia lesa, «Io non ho commentato
quello che è successo con Vanille, ti ho supportato e basta
».
«Ma
io ho ragione con Vanille. Tu invece hai torto con Rose » gli
fece notare come se gli stesse sfuggendo qualcosa di fondamentale.
Scorpius gli
rivolse uno sguardo scettico.
«Sei
così sicuro di avere ragione? ».
Albus lo
guardò indeciso ma alla fine non rispose.
Katherine prese
a massaggiarsi le tempie con un certo vigore mentre guardava irritata
la faccia da babbeo di Josh, seduto a terra e circondato da uno
sterminio di bicchierini vuoti.
Lo stava
odiando con ogni fibra del suo essere.
Quel maledetto
aveva osato ubriacarsi al suo meraviglioso ballo ed ora la fissava come
se provenisse da Saturno. La sua accompagnatrice sembrava essere
sparita chissà dove, Damian, neanche a porsi il problema,
era imbucato con Charity a fare Merlino solo sapeva cosa, e lei era
convinta che se anche avesse chiesto a qualcuno di portare quel demente
in un bagno per farlo rinsavire, come minimo si sarebbe vomitato sulle
scarpe.
Era sicura al milleeunopercento
che quell’idiota si fosse ubriacato di proposito per
rovinarle la festa. Guardandolo lo sentiva. Istintivamente sapeva che
dare fondo alle ciotole di liquore era stata una cosa premeditata.
Lo avrebbe
ucciso, ma avrebbe aspettato che fosse sobrio e si sarebbe goduta ogni
istante delle orrende torture con cui stava progettando di spedirlo
all’inferno.
«Buonasera,
Wetmore » sorrise il beota, il farfallino verde storto quasi
quanto gli occhiali, «Anche tu qui? ».
«Te
la farò pagare » rispose serissima meditando di
portarlo fuori di lì a suon di calci in culo.
«Oddio..
sembri una zucca di Halloween » prese a ridere lui
ignorandola e Kath era anche piuttosto sicura che non
l’avesse nemmeno sentita, «Come cavolo ti
è venuto di vestirti di arancione! ».
«È
un vestito bellissimo, mi sta divinamente e tu sei un ignorante
» rispose acida incrociando le braccia sotto il seno.
«Infatti
sei una zucca molto sexy » disse quello ammiccando. Con quel
gesto Katherine ebbe la certezza che fosse definitivamente sbronzo.
«Tu
devi andare a morire da un’altra parte, lo capisci? Stai
rovinando l’atmosfera » disse con tutto il falso
dispiacere di cui disponeva, tendendogli una mano, «Adesso
verrai con me, ti scaricherò in dormitorio e poi
farò finta che tu sia già finito dieci metri
sotto terra, così questa tornerà ad essere una
serata perfetta ».
«Sei
un angelo, Kath » afferrò incerto la mano della
compagna e si appoggiò al muro per tirarsi su, non sapeva
perché ma gli girava la testa.
«Wetmore,
per te » abbaiò tenendolo in piedi quando
cominciò a pendere verso sinistra, «Vedi di non
allargarti troppo, Nott ».
Josh non
rispose, rimase solo a guardarla imbambolato, con la bocca dischiusa e
gli occhi sbarrati, tanto che per un attimo Kath pensò che
l’alcool gli avesse davvero fritto il cervello.
«Cammini
o devo trovare qualcuno che ti prenda in braccio? »
brecciò seccata, ma ancora una volta Joshua non
reagì, troppo concentrato a fissarla come se la vedesse per
la prima volta. Aveva proprio un bel viso, Katherine, e soprattutto
aveva delle bellissime labbra.. sembravano così morbide..
anzi, a voler essere precisi lui sapeva che erano davvero tanto morb..
«Nott?
Ti senti bene? » chiese attenta, preoccupata che le vomitasse
in faccia, più che altro.
«No..
» rispose lui dopo un po’ spostando lo sguardo
dalla sua bocca a un punto indefinito alle sue spalle, «Credo
che vomiterò.. ».
La Wetmore
sbarrò gli occhi allibita.
«Che cosa vuoi fare tu?
Scordatelo! » esclamò afferrandolo per trascinarlo
verso l’uscita, «Tu stringerai i denti
finché non saremo fuori di qui. Giuro su Merlino, Nott, se
ti azzardi a dare di stomaco prima che io ti abbia chiuso in bagno ti
ammazzo sul serio.. ti trucido.. ti scuoio, mi hai capita?! ».
«Agli
ordini.. » riprese a ridere seguendola diligente e Katherine
sentì le corde dell’omicidio vibrare
pericolosamente.
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Terrazza, ore 22.57
Non era brava a
gestire determinate situazioni, semplicemente non le veniva naturale e
davvero non era colpa sua. Forse il problema era il suo codice genetico
o il fatto di essere cresciuta con la compagnia di un elemento come
Fred Weasley, o forse era proprio una questione di spirito e lei non
era fatta per confrontarsi con gli uomini in un campo diverso da quello
da Quidditch.
Sua nonna
cercava di consolarla dicendole che non era colpa sua, era solo che non aveva ancora trovato quello
giusto. Sua madre, che sapeva perfettamente che non
c’era nessuno da consolare perché Rox non sentiva
la situazione come qualcosa di negativo, le aveva detto che
evidentemente era capacissima di bastarsi da sola senza il bisogno di
interventi esterni, e suo padre si era detto pienamente soddisfatto
della prospettiva di vederla sempre sola soletta a vagare per il mondo,
senza cattivi figuri a corromperla.
Fred, invece, da bravo fratello maggiore qual era, le aveva fatto
notare che forse un uomo avrebbe potuto aiutarla a moderare la sua
acidità innata con tante fantasiose pratiche.
Inutile dire che a Roxanne l’allusione non era piaciuta per
niente e ne era uscita una zuffa alla babbana, cominciata con un pugno
sulla spalla e conclusasi con un pacco di ghiaccio sugli zebedei di
Fred e un cerotto grande come il loro appartamento sulla fronte di
Roxie. La combinazione fratelli Weasley-mobili del salotto si era
rivelata più disastrosa del previsto e alla piccola di casa
era toccato un sfregio che la madre si era preoccupata di cancellare
con un colpo di bacchetta solo parecchi giorni dopo, come punizione.
La conclusione
era rimasta comunque la stessa: non era colpa sua se non era capace di
avere quel tipo di
rapporto con un ragazzo, non era nel sua DNA.
Volendoci
pensare davvero, si rendeva conto che probabilmente quello era uno dei
motivi per cui odiava tanto la presenza ingombrante di Lorcan nella sua
vita. Tralasciando il fatto che la sua avversione per il biondino
nascesse dal suo essere un presuntuoso, irrecuperabile pallone
gonfiato, Roxanne si rendeva conto che parte del motivo per cui
rifiutava così strenuamente le attenzioni del Corvonero era
da imputarsi al suo sentirsi inadeguata ogni volta che
c’aveva a che fare. Semplicemente non era capace di
assecondarlo, e per quanto lo ritenesse un pensiero estremamente
stupido, almeno una volta le sarebbe piaciuto esserne in grado, giusto
per vedere come sarebbe andata a finire. Non che credesse a tutte le
moine che quel demente le faceva. Era perfettamente consapevole che
fosse tutta una grande presa per il culo giocata sul fatto che lei
quelle situazioni non le sapesse proprio gestire, ma le sarebbe
piaciuto davvero tanto riuscire a capire fino a dove Lorcan fosse
disposto a spingersi con quello scherzo che durava ormai da troppi
anni.
Diciamocelo,
Lorcan Scamander non poteva provare nessun tipo di sentimento romantico
nei suoi confronti, sarebbe stato troppo anche per il loro mondo, in
cui le scale cambiavano direzione e le scope volavano al posto di
spazzare il pavimento.
Lorcan era
carismatico, disgraziatamente intelligente, e avrebbe potuto avere ogni
cosa dal mondo, mentre lei era solo Roxie. La Roxie che bastava a se
stessa senza essere una cima a scuola, senza la necessità di
piacere per forza a qualcuno e con l’unica certezza di fare
meraviglie su una scopa. Lei era lei e si andava benissimo
così, ma era impossibile che potesse andare bene a uno come
Lorcan.
Era talmente
lineare il discorso e nella sua mente filava così bene che
non aveva mai pensato a una conclusione diversa, a qualche variante. Se
ad esempio qualcuno le avesse detto che Lorcan era davvero innamorato
di lei, probabilmente sarebbe morta dal ridere.
Per questo non
si era mostrata troppo insofferente quando si era resa conto di aver
detto sì all’invito al ballo, un sì
magico, tra l’altro, uno di quelli vincolanti. Ad essere
onesta l’aveva visto come un modo per sbloccare
quell’ultimo taboo. Sia mai che Roxanne Weasley si spaventi
di fronte ad un ballo a coppie e si era calata talmente tanto
nell’impresa da indossare persino una gonna e un paio di
trampoli. Aveva decisamente superato se stessa, e probabilmente sua
madre e la McGranitt vedendola quella sera sarebbero scoppiate a
piangere commosse: non erano mai riuscite a farle infilare la gonna
della divisa, figurarsi un intero vestito!
«Mi
spieghi perché siamo qui? » si risolse a chiedere
accarezzando distrattamente una delle fiammelle che Lorcan aveva fatto
apparire per scaldarli. Il disgraziato era riuscito nella malsana
impresa di convincerla ad accompagnarlo fuori per prendere una boccata
d’aria, e i due si erano ritrovati sulla piccola terrazza
sopra la porta principale del castello a guardare la neve e il ghiaccio
che avevano ricoperto ormai ogni cosa.
«Avevo
bisogno di un po’ d’aria fresca » rispose
lui scrollando le spalle e Roxanne gli lanciò
un’occhiata in tralice.
«La
tua aria fresca ci ghiaccerà i polmoni se ne respiriamo
ancora un po’ » gli fece notare, «E poi
tu saresti quello intelligente.. ».
«Qualcuno
dei due deve esserlo. Tu sei quella violenta e irascibile, io quello
bello e intelligente » commentò Lorcan piuttosto
sicuro delle proprie idee, «Se fossimo stati tutti e due
brillanti saremmo stati una coppia mal assortita, non credi?
».
«Primo,
noi non siamo una coppia » ribatté a tono Roxanne
con una vena d’irritazione pulsante minacciosa sulla fronte
scoperta, «Secondo, sono violenta solo con te quindi, fossi
nei tuoi panni, userei quel cervellino tanto sveglio per farmi qualche
domanda ».
«Ammettilo
Weasley, senza di me la tua vita sarebbe davvero noiosa ».
«Forse,
ma i miei nervi farebbero festa ».
Lorcan
annuì con il solito ghigno e si girò verso di
lei, appoggiando i gomiti e la schiena alla balaustra. La
guardò un po’ prima di cambiare totalmente
discorso.
«Ho
deciso cosa fare quando finirò la scuola » disse e
Roxanne corrugò la fronte a metà tra un tacito
invito a proseguire e un ben meno educato cosa dovrebbe importarmene,
ma aspettò di sentirlo continuare prima di parlare.
«Ho
inviato una lettera all’Ufficio per la Cooperazione Magica
Internazionale, dicendogli che ero interessato ai loro stage estivi e
loro hanno risposto offrendomi di affiancare l’equipe
dell’ambasciatore inglese a Parigi, se dovessi completare i
miei MAGO con dei buoni voti ».
Roxanne
sgranò gli occhi sorpresa e l’unica cosa coerente
che riuscì a pensare fu che Parigi non era in Gran Bretagna
ma in Francia, in un altro Stato, distante.
Non le
piacevano i cambiamenti e per quanto odiasse Lorcan non era sicura di
volerlo veder sparire così dal nulla, ma cercò di
tenersi le proprie fisime per sé. Sia mai che qualcuno potesse
insinuare che ci teneva.
«Beh,
ben per te, immagino » spiaccicò non sapendo bene
cosa dire. Lorcan annuì di nuovo ma a Roxanne parve poco
convinto.
«Già,
vuol dire che i tuoi nervi presto potranno riposare »
buttò lì e Rox lo vide come un buon appiglio per
alleggerire un clima che non le piaceva particolarmente.
«Dovrò
sopportarti ancora sei mesi, Lorcan. Avrai centinaia di occasioni per
darmi fastidio prima di partire per Parigi, non devi disperarti
» ironizzò puntando una mano sul fianco, ma Lorcan
non sembrò disposto a darle corda.
«Mi
piacerebbe fare qualcos’altro piuttosto che darti fastidio,
in questi sei mesi » ammise in quella che alle orecchie sorde
di Roxanne suonò come l’ennesima presa per il culo.
«Se
non coinvolge la mia persona puoi fare quello che vuoi ».
«E se
invece nei miei progetti ci fossi anche tu? ».
«Sono
sicura saprai attrezzarti diversamente » concluse con
un’alzatina di spalle poi, deciso che i discorsi di quel
biondino le piacevano sempre meno, lo salutò lamentandosi
del freddo e girando i tacchi verso la porta da cui erano arrivati.
Non ci fu una
frase ad effetto. Niente risposta sicura e convinta sulla falsariga di non voglio attrezzarmi
diversamente o qualcosa di simile, non ci fu nemmeno un
discorso sentito e romantico sul perché esattamente solo lei
andasse bene per lui. Pensandoci a posteri, Roxanne avrebbe voluto un
po’ di teatralità in più per il suo
primo bacio. Che cavolo, lo aveva aspettato diciassette anni e glielo
stava deliberatamente rubando Lorcan, un minimo di.. di qualcosa le era
dovuto!
Si
sentì afferrare per un braccio e quasi perse
l’equilibrio, già precario per colpa di quelle
cose infernali che teneva ai piedi. Si tenne in piedi solo stringendo
una mano sulla spalla di Lorcan e probabilmente non si rese conto di
quel che stava per succedere solo perché era troppo
impegnata a cercare l’insulto giusto con cui cominciare la
sequela.
Non
c’era stato nemmeno quell’incrocio di sguardi
tipico dei film.
Registrò
le labbra di Lorcan premute contro le sue con qualche secondo di
ritardo e percepì la mano stretta attorno al suo polso
allentare la presa per risalire fino alla base del collo come qualcosa
di incredibilmente distante.
Alla sorpresa
seguì immediatamente il panico perché, come
già detto, lei queste cose non sapeva nemmeno da che parte
prenderle, e quando il ragazzo si staccò sentendola
irrigidirsi, al panico si sostituì la rabbia. Non tanto
rivolta verso di lui, che aveva avuto l’unica colpa di
essersi comportato da demente, come sempre, quanto rivolta verso se
stessa, perché si era distratta e non gli aveva tirato un
pugno sul muso quando ne aveva avuto la possibilità.
«Vaffanculo,
Scamander » le uscì in un sibilo mentre lo
spingeva il più distante possibile, «Questo
è troppo ».
Lorcan
sbarrò gli occhi confuso ma Roxanne non se ne accorse. Lo
guardò disgustata prima di girarsi di nuovo e lasciarlo
lì con la bocca dischiusa e l’espressione di chi
non ha capito niente.
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Scale verso il Piano Piano, ore
23.12
«Ma
quanto ho bevuto? » biascicò Elijah sentendo la
bocca tremendamente impastata, una sensazione molto simile a quella che
provava dopo aver dormito per troppo tempo.
Jade
sospirò tenendolo a braccetto mentre salivano le scale verso
il dormitorio. Alla fine era andato tutto bene, Caleb era tornato se
stesso, Elijah era stato obliviato e depietrificato e, se si escludeva
un naturale senso di confusione generale che Jay aveva deciso di
imputare all’alcol, stava una favola. Lei si sentiva ancora
una persona orribile, soprattutto alla luce del fatto che, al contrario
delle previsioni ministeriali, quella notte non era ancora successo
nulla che avesse a che fare con gli Illuminati, quindi lei aveva chiuso
il suo migliore amico in uno sgabuzzino per niente. Avrebbe trovato il
modo di farsi perdonare anche se Elijah non avrebbe mai saputo per cosa.
«Parecchio,
Eli » rispose, «Possibile che non te ne ricordi?
». Mentire in quel modo le veniva decisamente troppo naturale
e non era una cosa per niente buona.
«Merlino,
Jay.. non ricordo niente.. » Elijah portò una mano
a massaggiarsi le tempie perché la testa gli stava
letteralmente esplodendo.
«Mi
spiace costringerti ad andare via così presto »
disse dopo qualche scalino e Jade si sentì morire dentro.
Morse a sangue l’interno della guancia per impedirsi di
spiattellare tutto quello che era successo. Eli non meritava quello che
gli aveva fatto e nascondersi dietro al fatto che in fin dei conti non
aveva avuto alternative, che era tutto per un fine effettivamente
più grande, non sembrava nemmeno lontanamente sufficiente.
«Ti
riaccompagno su e poi devo tornare giù per la sorveglianza,
quindi in realtà mi sto solo prendendo una pausa dalla
festa, non ti preoccupare ».
«Ma
mi spiace lo stesso.. te l’avevo promesso.. ».
«Eli..
» cominciò cercando di dirigere la conversazione
in altri lidi, perché se l’avesse sentito scusarsi
un’altra volta non avrebbe più risposto della
propria capacità di volere e si sarebbe sputtanata in tempo
zero. Poi intravide la figura di Roxanne venir loro incontro
dall’altro capo della scalinata e le sembrò un bel
modo per distrarre Eli.
«Rox?
E tu che ci fai qui? » chiese sinceramente incuriosita nel
vedere l’amica con la testa bassa e le mani nelle tasche del
vestito. Sembrava quasi.. triste?
Non ricordava
di aver mai visto Roxanne solamente triste, era un’emozione
troppo semplice per un’estremista come lei, che o era
euforica o era disperata, quasi le vie di mezzo non sapesse nemmeno
come fossero fatte.
«Sono
andata un attimo in bagno.. tra l’altro lì dentro
c’è Nott che sta vomitando l’anima
» spiegò mogia, «E la Wetmore sta dando
i numeri come un’isterica ».
«La
Wetmore? » si inserì Eli perplesso, Roxanne
annuì appena inclinando la testa di lato, per guardarlo
meglio in faccia.
«Non
so cosa sia successo, ma pare che Nott si sia ubriacato per farle un
dispetto e lei lo abbia trascinato in bagno per impedirgli di rigettare
direttamente nella Sala Grande. Perché poi non
l’abbia lasciato a se stesso non l’ho capito
».
«Quei
due non dovrebbero bere.. finisce sempre male.. »
ridacchiò Faraday e di fronte allo sguardo interrogativo
delle due ragazze si decise a continuare, «Alla Festa
d’Inizio si sono baciati approfonditamente e a quanto pare
Katherine se n’è completamente scordata.. Josh ci
marcia sopra da allora e lei non lo sopporta ».
«Oddio..
Josh e la Wetmore? Insieme? » sgranò gli occhi
Jade sconvolta, Roxanne si irrigidì appena, non era
decisamente serata per parlare di baci e coppie improbabili.
«Avevano
bevuto » ci tenne a ricordare il ragazzo come se questo
bastasse a scusare ogni cosa.
«Ho
capito ma.. Si detestano da anni! Pensa lo scandalo se si sapesse in
giro.. a te chi l’ha detto? ».
«Rowena,
ha detto di averli visti ».
«Non
posso credere che la Dale spettegoli con te della Wetmore ».
«Non
ci credere » concesse Elijah con un ghigno, Jade
alzò gli occhi al cielo conscia che se avessero continuato a
parlare di Rowena sarebbero rimasti lì tutta la notte,
così deviò nuovamente l’attenzione su
Roxanne.
«E
Lorcan dov’è? Non l’ho visto in Sala
» chiese aspettandosi di vederla dare in escandescenze come
ogni volta in cui il nome dello Scamander sbucava in un discorso.
Invece questa volta la Weasley si oscurò ancora di
più, abbassando di nuovo lo sguardo a terra.
«Non
ne ho idea e non mi interessa.. può morire per quel che mi
riguarda » rispose lapidaria e persino ad Eli quel tono
suonò un po’ troppo duro.
«Ma
che diavolo ha combinato? ».
«Non
è importante » tagliò corto
insospettendo Jade ancora di più, «State andando
in dormitorio, vero? Posso venire con voi? Non penso di aver voglia di
tornare giù ».
«Roxanne,
ma cosa.. » provò a dire Jay prima che un urlo
riecheggiasse nel corridoio a pochi gradini da loro.
Roxanne
spalancò gli occhi voltandosi mentre Jade mollava la presa
sul braccio di Elijah e afferrava velocemente la bacchetta, il
compagno, quasi in sincrono, fece altrettanto.
«Che
cavolo è stato? » mormorò Roxie
mettendo mano alla bacchetta e apprestandosi a salire le scale. Nessuno
dei due rispose, ma di tacito accordo la seguirono e cominciarono a
percorrere il corridoio in direzione dei bagni, l’unico posto
dove potesse esserci qualcuno a quell’ora e da quelle parti.
Jade
sentì il cuore accelerare i battiti mentre il ticchettare
della scarpe si faceva sempre più veloce sul pavimento di
pietra. In fondo poteva essere anche solo un urlo della Wetmore che era
definitivamente andata fuori di testa, era perfettamente plausibile:
Katherine non sembrava una persona molto stabile, magari Josh le aveva
semplicemente vomitato sul vestito e lei aveva dato di matto urlando.
L’intuito
le diceva che non era così, che c’era qualcosa di
profondamente sbagliato nel loro incedere così veloci nei
corridoi del castello, lo spettro delle urla durante la partita in cui
James era caduto proprio sopra le loro teste.
Svoltarono
l’angolo con le bacchette alte e Jade finì dritta
addosso alla schiena di Roxanne, bloccata in mezzo al corridoio con gli
occhi sbarrati.
«Eli,
corri a chiamare la McGranitt » biascicò Jade
perdendo qualche tono di colore mentre Katherine si voltava a guardarla
con le mani sporche di sangue.
Note dell'Autrice:
Buonasera mondo! Allora, passate bene le feste? Spero vivamente di
sì :)
Ora, non mi è bastato un anno per pubblicare il seguito di
quel capitolo dove lasciavamo Elijah pietrificato su un pavimento ma
c'ho lavorato e alla fine ce l'ho fatta, erano una ventina di pagine
quindi ho deciso di dividerlo in due parti. Non preoccupatevi, la parte
mancante verrà pubblicata a breve, due settimane
probabilmente.. è già tutto scritto ma voglio
prendermi un po' di tempo per valutare le vostre reazioni a questa
prima parte, per quelle di cui mi arriverà testimonianza,
ovviamente..
Detto questo voglio dedicare questo capitolo alle due anime pie che
hanno recensito lo scorso capitolo, soprattutto a
B r e e e alla sua
bellissima recensione, senza la quale probabilmente non ci sarebbe
stata nessun'altra pubblicazione. Il grazie che ti devo è
immenso ma immagino tu lo sappia già. L'introspezione non
è il mio forte ma cercherò di impegnarmi come ho
sempre fatto ;)
Ringrazio ancora chi segue la mia storiella e tutti quelli che usano il
proprio tempo per leggerla. Siete stati silenziosi e avrei voluto
sentirvi un po' di più ma va bene anche così :)
Buonanotte a tutti e al porssimo capitolo,
Najla
|
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Capitolo 20 *** Falsi sorrisi e piani di omicidio. Parte 2 ***
Diciassettesimo
Capitolo
Falsi sorrisi e piani di
omicidio
Parte 2
Londra,
Ministero della Magia, Ufficio del Sottosegretario Weasley, ore 23.12
«Io
non posso credere che tu l’abbia davvero lasciato uscire dal
Ministero! » esclamò Harry seguendo Hermione
all’interno dell’ufficio. Ron alle sue spalle si
occupò di chiudere la porta e sigillarla per evitare che
tutti quelli che ancora occupavano le stanze all’ultimo piano
godessero dello spettacolo del Capo Auror e del Sottosegretario del
Wizengamot che si urlavano contro come ragazzini. Era incredibile come
il tempo avesse ridefinito i ruoli del loro indistruttibile trio
rendendo lui quello più calmo e ragionevole.
«La
legge è la legge, Harry, mi pareva di averlo già
chiarito davanti agli altri » rispose la donna piccata
puntando una mano sulla scrivania, «Vorrei sapere come
diavolo ti è saltato in mente di tenere quel ragazzo chiuso
qui dentro per più di due ore! Potrebbe farci causa!
Potremmo perdere ogni possibilità di incastrarlo e tutto
perché tu sei la solita testa calda! ».
Ron decise di
mettersi comodo, stendendo le gambe in avanti e rilassandosi contro lo
schienale in pelle di una delle poltrone, sospirando internamente di
fronte a quella che sarebbe stata una serata interminabile, mentre
vedeva le orecchie di Harry fumare.
Quando aveva
visto la moglie presentarsi alla porta del suo ufficio con un fascicolo
bianco in mano e lo sguardo accigliato di chi sa di aver capito bene ma
spera vivamente di essersi sbagliato, Ron sapeva già che le
cose sarebbero andate male. Quando poi l’aveva sentita
chiedere dove fossero Harry, Susan, Theo e il sospettato che avevano
catturato, gli sarebbe tanto piaciuto dire che Elias Martin era stato
rilasciato come da protocollo, che Harry era a casa da Ginny, che Theo
era a casa da Olivia e che Susan stava dormendo nel proprio letto.
Inutile dire che ad Hermione era bastato un nanosecondo per capire ogni
cosa e procedere di gran carriera verso l’ascensore per
scendere al piano delle celle.
Ron
l’aveva seguita veloce sperando di calmarla e Ted, che non
aveva nessuna intenzione di perdersi lo spettacolo, lo aveva imitato
altrettanto celere.
Tutto sommato,
una volta arrivati alla porta della cella numero 2, Harry si era
mostrato abbastanza ragionevole. Aveva rilasciato Martin senza una
parola e si era sorbito la ramanzina di Hermione sul perché esiste la
Legge magica davanti a tutta la sua squadra senza battere
ciglio e li aveva congedati affermando che si sarebbero visti alle 9.00
della mattina dopo, per la gioia di Susan che non dormiva da un paio di
giorni.
Il fatto che avesse fatto tutto ciò guardando Hermione come
se provasse l’impellente bisogno di staccarle la testa era un
dettaglio decisamente trascurabile.
«Era
uno di loro Hermione! Era fottutamente uno di loro e
l’abbiamo lasciato andare! » quasi
ringhiò Harry puntandole un dito contro. La donna si
accigliò ancora di più chinando il busto in
avanti, quasi volesse staccargli quel sacrosanto dito con un morso.
«Abbiamo
solo prove indiziarie, lo vuoi capire o no?! Non abbiamo neanche quello
che serve per portarlo di fronte ad una corte normale, figurarsi per
portarlo di fronte al Wizengamot! Una traccia magica a casa di Sybil
Zabini e qualche insulto non fanno di lui un criminale ».
«Nata..
» provò a protestare lui e lei
ricominciò a scuotere la testa.
«Natalie
è una strega con una dote straordinaria ma servono le prove
Harry, o quelle o una confessione e noi non abbiamo nessuna delle due.
Persino la sua bacchetta era pulita, Harry, più pulita di
una bacchetta appena uscita dal negozio di Olivander.. non so come
abbia fatto ma non c’era un incantesimo sospetto che fosse
uno, l’hanno controllata in tutte le maniere possibili
» sospirò Hermione, aggrottando la fronte,
«Non c’era modo di tenerlo qui, mi sono limitata
a.. ».
«Lo
so, maledizione lo so! » sbottò massaggiandosi gli
occhi stanchi, «Poteva portarci a chi ha attaccato James,
Hermione, magari sapeva chi c’è dentro Hogwarts,
magari.. ».
«Lo
terremo d’occhio, Harry, al primo passo falso ti giuro che lo
scorterò personalmente ad Azkaban ma
c’è un protocollo da rispettare ».
«Potremmo
anche decidere di aggirarlo e occuparcene in un altro modo..
» azzardò il Salvatore del Mondo Magico preso
dallo sconforto ma Hermione uccise subito qualsiasi implicazione
più o meno illegale quella frase potesse avere.
«No,
non possiamo » rispose pratica riordinando alcuni documenti
sulla scrivania solo per tenere le mani occupate, «Siamo
figure importanti per tutta la comunità magica, siamo
osservati ora come mai e se qualcuno dovesse cogliere uno di noi a fare
un passo falso finiremo nel mirino, non solo della stampa, ma anche di
tutti gli uffici ministeriali » alzò lo sguardo su
Harry per sottolineare quanto fosse seria al riguardo, «Non
costringermi a fermarti dal fare qualcosa di stupido, potrebbe non
piacerti il modo in cui intendo farlo ».
«È
inutile che lo minacci, Mione » si intromise Ron intrecciando
le mani in grembo, «Non è uno dei tuoi
lacchè e nemmeno un politico senza spina dorsale come la
maggior parte dei tuoi colleghi.. Se ha intenzione di fare qualcosa di
insensato lo farà comunque, come ha sempre fatto ».
«Ci
sono modi diversi di guardargli le spalle »
commentò Hermione tornando con gli occhi truccati su Harry,
«Ti voglio bene, sei il mio migliore amico e ho dimostrato
più volte che non c’è niente che non
farei per te come per la mia famiglia, ma non ti permetterò
di mandare all’aria tutto quello che abbiamo costruito qui al
Ministero ».
«Non
lo farò.. » si arrese lasciandosi cadere
sull’altra poltrone con uno sbuffò rassegnato,
«Non guardarmi così, Hermione! Ho detto che non
farò niente e non farò niente ».
La donna lo
studiò ancora un po’, cercando di capire se la
stesse prendendo in giro o meno e decise che questa volta poteva
fidarsi, si accomodò sulla grande poltrona rossa dal suo
lato della scrivania e prese a tamburellare sul legno con le dita.
«Bene,
visto che Martin è stato una tomba vi farà senza
dubbio piacere sapere che Caleb questa sera non ha scoperto niente di
particolare » cominciò sarcastica sorvolando sopra
alle imprecazioni dei due uomini, «Ha fatto rapporto poco
prima che scendessi a cercarvi ma ha detto che per qualche motivo la
Fyfield è convinta si tratti di uno degli insegnanti.. non
ha spiegato il perché, ma ritiene improbabile che uno
studente possa creare tanto scompiglio senza lasciare tracce
».
«Giusto,
non è come se nessuno fosse mai riuscito a combinare qualche
casino in quella scuola e poi fosse riuscito a cavarsela senza nessuna
ripercussione » borbottò Ron sarcastico,
«Forse dovremmo chiedere a Mirtilla Malcontenta che ne pensa
di questa grande intuizione ».
«Comunque
sembra che almeno per questa sera si possa stare tranquilli »
continuò la donna intrecciando le dita a reggere il mento,
«Pensavamo che avrebbero scelto di colpire un altro grande
evento ad Hogwarts, e invece non si sono mossi.. Forse gli Illuminati
hanno cambiato bersaglio ».
«O
forse si preparano a fare qualcosa di veramente or.. » il
bussare fremente alla porta dell’ufficio bloccò
Harry e attirò l’attenzione degli altri due che
per un attimo guardarono l’entrata piuttosto perplessi.
«Signora
Weasley, signora! » esclamò la riconoscibilissima
voce di Philips, il povero mago che faceva sempre la spola
dagli Auror ad Hermione e viceversa, «So che è
tardi ma c’è qui la Professoressa Hastings, viene
direttamente da Hogwarts! ».
Ron si
alzò già agitato e aprì
l’uscio con un colpo di bacchetta.
La faccia scura
della docente di Difesa contro le Arti Oscure fece capolino nella
cornice della porta appena sopra i capelli ben pettinati di Philips.
Indossava ancora il vestito della festa e a nessuno dei tre
servì chiedere conferma di quanto doveva essere successo.
Harry
sperò che non fosse un altro dei suoi figli.
«Chi?
» esalò un’Hermione già
pallida.
«Due
ragazzi » rispose la donna guardandola con un velo di rabbia
a colorare le iridi ambrate, «Uno siamo riusciti a tenerlo al
castello, l’altro è al San Mungo e non sanno se
arriverà a domani ».
Il pugno di Ron
si abbatté sulla scrivania con la potenza di un tuono nel
silenzio della notte.
Rabbia,
frustrazione..
Ancora.
18 Dicembre XX
Londra,
Ospedale magico San Mungo, ore 00.43
«È
tardi, James » disse una voce risvegliandolo dai suo
pensieri, «Dovresti riposare, domani sarà una
giornata impegnativa ».
Jamie la
ignorò come aveva fatto tutte le volte precedenti e tenne
gli occhi fissi sul numero dorato affisso ad una porta identica in
tutto e per tutto a quella della sua stanza, solo che questa stava su
un altro piano, in un altro reparto, uno di quelli che di solito
precedono l’obitorio. Per arrivarci aveva dovuto scendere due
piani, quattro rampe di scale, perché se si fosse avvicinato
agli ascensori l’infermiera di turno lo avrebbe beccato, e
aveva quasi rischiato di rompersi l’osso del collo
perché non sapeva ancora usare le stampelle che Nihila aveva
avuto la gentilezza di procurargli dopo l’ultimo intervento.
La sua guarigione stava procedendo talmente bene che i medimaghi si
erano detti disposti a mandarlo a casa per le vacanze di Natale, a
patto che tornasse a farsi controllare almeno un paio di volte alla
settimana.
James non sapeva dire se tanta attenzione fosse dovuta al fatto che
potesse peggiorare di nuovo da un momento all’altro o
all’essere il figlio di Harry Potter.
«Pulce,
ascolta i grandi per una volta » disse qualcun altro,
«Già dovresti essere a letto e sei qui, non tirare
troppo la corda.. ».
James avrebbe
tanto voluto sputare nell’occhio della sua balia bionda,
perché definire quello che stava facendo un capriccio era
quanto di più insensibile si potesse fare, ma non sarebbe
riuscito a staccare gli occhi da quella porta nemmeno volendo.
La notizia che
qualcuno ad Hogwarts era stato aggredito era arrivata alla sua stanza
per un catastrofico sbaglio mentre giocava a scacchi con la sua nuova
guardia del corpo, Edward Harker, spedito lì dallo zio Ron
poche ore prima. Il primo pensiero era andato a Lily e Albus, il
secondo ai suoi amici e il terzo a tutti i suoi parenti e affini.
Stupido a dirsi ma solo in quel momento si era reso conto di quanta
gente importante per lui ci fosse in quella scuola. Era scattato in
piedi prima che Ed potesse fermarlo e aveva zoppicato velocemente verso
la porta, appena in tempo per vedere dei medimaghi correre insieme ad
una brandina volante, poi l’Harker lo aveva preso per la
maglia del pigiama e lo aveva trascinato di nuovo dentro sbarrando
l’unico collegamento tra quella stanza e il resto
dell’ospedale.
Nel giro di un
quarto d’ora avevano scoperto cos’era successo e
nel primo e unico attimo di distrazione della sua balia, James ne aveva
approfittato per scappare e andare a vedere con i suoi occhi. A
posteri, vista la facilità con cui il suo bodyguard e il suo
medico l’avevano trovato, era parecchio sicuro che glielo
avessero lasciato fare.
«James..
» riprovò Nihila ma il ragazzo si
limitò ad intrecciare le mani in grembo, gli occhi sempre
fissi davanti a sé.
«C’ero
io dietro quella porta poco più di un mese fa »
esalò sperando che gli altri due capissero qual era il vero
problema, il motivo per cui non poteva andarsene,
«C’era la mia famiglia nella stanzetta in fondo al
corridoio.. c’era mia sorella che piangeva, mia madre che..
».
Deglutì
sentendo il naso pizzicare.
«Non
è giusto che adesso ci sia un bambino.. ha solo undici anni
e sta come stavo io un mese e mezzo fa.. ma lui ha undici anni
».
Nella sua testa
il fatto che Matthew Lodge fosse solo al primo anno aveva
un’importanza fondamentale, forse più del fatto
che fosse finito in ospedale perché le cruciatus
l’avevano portato a un passo dalla morte. Figurarsi che James
non lo sapeva nemmeno che si potesse morire a causa della cruciatus,
era convinto si impazzisse soltanto. Nihila gli aveva spiegato che se
fosse stato di qualche anno più grande probabilmente i danni
sarebbero stati minori e forse per questo il fatto che fosse un bambino
nella sua testa aveva una rilevanza cruciale.
Prendersela con
un innocente era di per sé un atto ignobile, se poi
l’innocente era un bambino che sapeva a malapena tenere in
mano una bacchetta..
«È
orribile, James, hai ragione.. » rispose Nihila con il tono
conciliante che usava quando aveva a che fare con i propri pazienti,
quello calmo e attento di quando simpatizzava per i mali della gente.
«Non
riesco a capire perché » continuò il
ragazzo prima di voltarsi finalmente verso di loro.
Nihila avrebbe
ricordato lo sguardo negli occhi di James per tutta la vita. Sapeva di
disillusione, paura e disperazione, lo stesso sentimento non eclatante
ma amaro che coglie di fronte a quegli eventi che non si possono
cambiare, che bisogna accettare per forza, anche se non piacciono per
niente. Quelli di Jamie erano gli occhi di un adulto che ha capito che
niente è eterno, che la vita finirà anche per lui
e non sa come gestire questa nuova consapevolezza, se ne sente solo
schiacciato.
La medimaga
ricordò quando lo stesso pensiero aveva colpito lei, forte
come una cannonata, e agì d’istinto, lo
abbracciò forte sperando di tenerlo un bambino spensierato
ancora per qualche istante.
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Ufficio della Preside McGranitt,
ore 00.43
Jade si permise
di sprofondare meglio nella poltrona tenendo gli occhi ben fissi nel
liquido ambrato del the che la McGranitt aveva fatto apparire tra le
sue mani quasi mezz’ora prima. Poco importava che fosse ormai
tiepido e che non avesse nessuna voglia di berlo, tenere qualcosa tra
le dita le dava un senso di stabilità e sicurezza che in
mezzo a tutto quel caos non credeva di poter sentire.
L’ufficio
della Preside era sorprendentemente affollato considerando che il
pendolo nell’angolo avrebbe battuto a minuti l’una
di notte e che la maggior parte degli studenti sarebbe tornata a casa
di lì a una decina di ore. Il signor Potter sbraitava da un
buon quarto d’oro sbuffando come una teiera, gli occhi
furiosi dietro alle lenti degli occhiali rotondi e le mani intente a
indicare a intervalli regolari la porta alle loro spalle, probabilmente
riferendosi a qualcuno ancora assente. I signori Weasley, che Jade non
aveva mai visto ma che sapeva essere i genitori di Rose, lo
spalleggiavano un po’ più composti, uno seduto
sulla poltrona gemella a quella dove si era accomodata lei, e
l’altra passandosi continuamente una mano tra i capelli che
ormai avevano rinunciato ad una qualsiasi parvenza di ordine. Jade non
li avrebbe detti tranquilli, ma rispetto al signor Potter quei due
parevano l’incarnazione della calma.
La McGranitt
sedeva oltre la scrivania che la divideva dal padre di James con
un’espressione imperscrutabile, le dita lunghe e raggrinzite
tamburellavano piano contro il legno scuro del piano e sembravano dare
un ritmo a tutti i pensieri che dovevano affollarle la mente, incurante
dell’uomo che le sbraitava di fronte e totalmente estranea al
resto degli ospiti che la osservavano. La Hastings, viceversa, sembrava
sul punto di staccare il collo a qualcuno e per questo, secondo Jade,
si teneva impegnata fumando come un camino in pieno inverno, da che
erano entrati aveva acceso già quattro sigarette e il suo
angolo di stanza odorava di tabacco e cannella in una maniera
impressionante. Caleb le faceva compagnia con gli occhi puntati fuori
da una delle piccole finestre e una mano lasciata mollemente in tasca.
Jade non avrebbe saputo dire a cosa stesse pensando, forse
all’attacco di quella notte, forse si sentiva in colpa per
non essere riuscito a fare niente, ma se doveva essere onesta non ne
era del tutto sicura. Caleb era diventato una persona sfuggevole, non
era più il ragazzo socievole che l’aveva presa in
squadra anni prima, e ogni tanto, quando parlavano, le sembrava di
avere a che fare con un filo di fumo, pronto a cambiare ad ogni minimo
soffio d’aria.
Le sarebbe
piaciuto sapere cosa lo aveva cambiato tanto e si annotò
mentalmente di chiederglielo alla prima occasione.
Lei dal canto
suo sarebbe solo voluta andare in dormitorio per stendersi a letto,
dubitava che sarebbe riuscita ad addormentarsi o anche semplicemente a
chiudere gli occhi senza avere degli incubi, ma avrebbe gradito tanto
un po’ di silenzio.
Da quando lei,
Rox ed Elijah aveva trovato i corpi privi di sensi di Lorcan e Matthew
Lodge, tutto era stato un continuo urlare e gridare e imprecare.
Jade non aveva
saputo da che parte girarsi.
Aveva tenuto le
mani strette attorno alle braccia di Roxanne, bloccata in un mutismo
sconvolto, gli occhi scuri puntati sulla testa di Lorcan e sulle mani
di Katherine che rifiutava di smettere di piangere. Nemmeno Joshua era
riuscito a schiodarla da lì, nemmeno quando barcollando le
aveva stretto le spalle con un braccio e aveva cominciato a sussurrarle
qualcosa contro il collo.
Non avrebbe
detto che era stato come tornare al giorno della partita
perché era stato molto peggio. Ricordava che quando James
era caduto tutto era stato molto più dinamico. Aveva detto a
Ian di stare con Eli, aveva visto Evangeline avvicinarsi a Roxanne e
poi aveva seguito la McGranitt, il fiato bloccato in gola e la mente
impegnata a percorrere pensieri pragmatici, concreti. Cosa fare, come fare,
perché, cosa era successo..
Sapeva di
essere crollata nella doccia, più tardi, ma fino a quel
momento era stata l’adrenalina a reggerla, a tenerla in
piedi, a farle fare qualcosa, qualsiasi cosa.
Davanti a
quella scena, invece, la paura aveva bloccato il mondo mentre
l’immagine del corpo di James prendeva il posto di quella di
Lorcan Scamander e il volto pallido di Matthew Lodge che le guardava
con le palpebre abbassate sembrava ripetere “Non respira, non
respira”.
L’urlo
di Charity le aveva gelato il sangue ma aveva avuto l’effetto
di riscuoterla come una cannonata nella calma dell’alba.
Aveva mollato la presa sulle braccia di Roxanne che continuava a
guardare di fronte a sé nel pieno di un attacco di panico e
aveva bloccato Charity dall’avvicinarsi al fratello fino a
quando Damian non l’aveva sostituita agguantando la ragazza
per la vita per avvicinarsela al petto.
«Mollami!
Matt! Cazzo Damian mollami! È mio fratello! MATT!
».
L’aveva
ripetuto così tante volte e con un tono sempre
più acuto e disperato che Jade aveva provato il naturale
istinto di guardare da un’altra parte per non dover
affrontare i suoi occhi sgranati e le sue labbra tremule.
Poi era
arrivato anche Lysander ma lui non aveva urlato, non aveva
sbraitato, aveva cominciato a balbettare frasi sconnesse e Jade si era
sentita davvero come il giorno della partita. Questa volta
però aveva deciso di guardarlo negli occhi, anche se la
paura gli stava scolorando il viso con una sincerità
disarmante.
«Lys,
sono sicura che sta bene » aveva detto mettendogli una mano
sul braccio coperto dal vestito della festa, «Sono sicura che
non è niente ».
«Jade,
cosa è successo? » aveva continuato a chiederle
Evangeline e lei non aveva saputo darle una risposta perché
onestamente non ce l’aveva.
«Eva,
non è importante adesso » le aveva risposto ad un
certo punto Ian. Jade lo aveva guardato con tutta la gratitudine di cui
disponeva e lui aveva scosso la testa come a dire che non
c’era nulla di cui ringraziare.
La confusione
era continuata in un crescendo fino a quando la McGranitt non aveva
ordinato ai Prefetti di riportare gli studenti in Sala Grande e a
Mordaci di prepararsi a controllare che tutti fossero presenti
all’appello mentre gli insegnanti cominciavano a perlustrare
i corridoi alla ricerca di un colpevole che sicuramente era
già sparito.
Alla fine nel
corridoio, erano rimasti solo Charity Lodge, a cui era stato concesso
di seguire il fratello al San Mungo, Lys che invece aveva chiesto di
poter accompagnare il gemello in infermeria per accertarsi che stesse
davvero bene, la Hastings, che si era smaterializzata diretta al
Ministero, e Jade, che non si era stupita troppo quando la Preside
l’aveva invitata a seguirla nel proprio ufficio.
Il maleficio della conoscenza,
aveva pensato mentre camminava in silenzio dietro alla McGranitt.
A distanza di
quasi un’ora, seduta e impegnata ad ignorare quello che le
succedeva intorno, si rendeva conto di aver una gran voglia di
piangere. Un ragazzino stava morendo, Lorcan era in infermeria e
nessuno sapeva con certezza come si sarebbe svegliato viste le
condizioni della sua testa, e lei era chiusa nell’ufficio
della Preside con una tazza di the in mano.
Era stanca, si
sentiva furiosa non sapeva bene con chi e voleva andare a morire sotto
le coperte.
Un
atteggiamento molto poco da Grifondoro ma poco le importava.
«Dovresti
berlo finché è ancora tiepido » la voce
del signor Weasley la riscosse appena. Si voltò in silenzio
verso di lui e doveva avere un’espressione particolarmente
stravolta perché lo vide curvare le labbra in un sorriso
incoraggiante e comprensivo.
«Lei
è il padre di Rose » biascicò Jade
prima di prendere un sorso dalla tazza. L’uomo sorrise
passandosi una mano sulla barba corta.
«Già..
anche se in pochi lo direbbero, quella ragazzina è tutta sua
madre » rispose con un certo orgoglio, «E tu invece
devi essere Jade Fyfield, è un piacere fare finalmente la
tua conoscenza.. a dispetto delle circostanze, ovviamente ».
Jade
annuì in silenzio e appoggiò la tazza ancora
piena per metà sul tavolino scuro che li separava.
Lanciò uno sguardo allo sbraitante signor Potter e decise
che anche se aveva sempre straveduto per lui da quando aveva undici
anni, al momento il padre di Rose le stava molto più
simpatico.
«Smetterà
di urlare ad un certo punto » continuò lui
abbassando il tono con fare cospiratorio, «Purtroppo la
diplomazia non è mai stata il suo forte ».
«Penso
non sia il forte di nessuno dei Potter » si permise di dire
lei. Si guardarono e sorrisero disgraziatamente consapevoli di quanto
quell’affermazione fosse vera.
«Ti
dirò, non è il punto forte nemmeno di mia sorella
quindi poveretti.. i ragazzi non hanno proprio avuto scampo ».
Jade
ridacchiò un po’ più liberamente e Ron
scosse la testa.
«Hai
idea di quante volte abbiano litigato e poi lui abbia dormito sul
nostro divano da quando è sposato con Ginny? Io ho perso il
conto. E farli riappacificare, poi.. Per le mutande di Merlino! Come
posso scegliere se dare ragione a mia sorella o al mio migliore amico?
».
Sentendoli
ridere il signor Potter si zittì oltraggiato e
incrociò le braccia al petto fulminando il cognato con
un’occhiataccia. Aveva la stessa teatralità di suo
figlio James quando doveva far sapere al mondo di essere indispettito.
Jade lo vide
aprire la bocca per dire qualcosa quando la Hastings lo
bloccò scostandosi dalla finestra, le mani infilate
pigramente nelle tasche del vestito rosso scuro che aveva indosso alla
festa.
«Per
come la vedo io stiamo solo perdendo tempo, Potter. Continuare ad
incolpare chicchessia per quello che è successo stanotte non
ci porterà da nessuna parte » disse prima di
spostare lo sguardo sull’allieva, «Abbiamo
coinvolto la signorina Fyfield in questa storia per un motivo o
sbaglio? Già che è qui facciamola parlare e
partiamo da quello che ha da dirci ».
«Non
vi dirà più di quello che ho già
riferito io » si intromise Caleb e Jade si voltò
appena per vederlo avvicinarsi allo schienale della sua poltrona e
fermarsi proprio alle sue spalle, «Non ci siamo mai divisi
stasera e non.. ».
«Ma
non era con lei quando ha ritrovato il signor Scamander e il signor
Lodge in corridoio, signor McDuff » lo interruppe la Hastings
senza staccare gli occhi ambrati da quelli di Jade,
«Signorina, può raccontarci cosa ha visto
esattamente prima che il signor Faraday corresse a chiamarci?
».
Jade si
sentì in soggezione ma continuò a guardare la
professoressa dritta negli occhi mentre prendeva un respiro profondo.
Il racconto non
durò molto, anche perché non ci sarebbe stato
molto da raccontare. Aveva salito le scale, aveva visto i due corpi sul
pavimento, aveva mandato Elijah a chiamare la McGranitt e il resto lo
sapevano tutti. Confusione, grida, pianti.. Non era davvero una delle
cose che avrebbe voluto descrivere nel dettaglio in quel momento, o
più in generale in tutta la sua vita.
«Quindi
le uniche persone presenti sulla scena prima del tuo arrivo erano la
signorina Wetmore e il signor Nott, esatto? » a Jade non
piacque per niente l’insinuazione sottesa alla domanda del
signor Potter.
«Sì,
ma non li considererei dei sospettati » rispose per niente
spaventata dal cipiglio intimidatorio dell’uomo,
l’aveva visto tante di quelle volte in James che ormai se ne
sentiva immune.
«Perché?
» si intromise la signora Weasley incrociando le braccia al
petto.
Jade la
guardò perplessa, come se la domanda fosse troppo stupida
per essere posta.
«Josh
è il nipote di un Mangiamorte, probabilmente è un
bersaglio, non uno dei colpevoli. Non simpatizza per le idee di suo
nonno ma sicuramente non si metterebbe a sterminare tutti i purosangue.
Suo padre è un purosangue, che senso avrebbe? ».
«E la
signorina Wetmore? ».
«Non
ne sarebbe capace ».
«Non
mi sembra un granché come risposta » fece notare
il signor Potter e Jade sbuffò sentendo
l’irritazione salire.
«Sentite,
voi mi avete chiesto un parere, voi mi avete chiesto di guardarmi
intorno alla ricerca di qualcosa di sospetto. Conosco quasi tutti in
questa scuola e posso assicurarvi che se dovessi stillare una lista di
possibili Illuminati non ci inserirei Joshua e la Wetmore ».
«Forse
sono intervenuti per aiutare Matthew Lodge »
ipotizzò Caleb, «Forse è lo Scamader il
colpevole. Stava torturando il ragazzino, gli altri due
l’hanno sentito e si sono messi in mezzo per fermarlo, la
cosa è sfuggita di mano e gli hanno spaccato la testa
».
Jade
sgranò gli occhi sconvolta, come diavolo poteva passargli
per l’anticamera del cervello una teoria del genere? Lorcan un Illuminato?
«Per
come la vedo io il figlio di Luna è stato solo un danno
collaterale » disse il signor Potter sospirando,
«Probabilmente ha visto qualcosa che non doveva vedere e
chiunque sia stato ad aggredire il piccolo Lodge ha pensato fosse
saggio zittirlo ».
«Ma
non sono stati Josh e Katherine » ci tenne a precisare Jade.
«Le
persone non sono sempre quel che sembrano, signorina Fyfield
» commentò la Hastings.
Jade
provò il malsano desiderio di ridere istericamente.
«Ma
non sono loro due, ci scommetterei la testa! ».
«Una
tale convinzione deve avere le proprie basi da qualche parte
».
Jade si
voltò di nuovo verso il signor Potter.
«Non
ho delle basi, lo so e basta » tagliò corto prima
di rivolgersi alla McGranitt che fino a quel momento era rimasta in
silenzio, «La prego, professoressa, ora posso andare a
dormire? Vi ho detto tutto quello che sapevo ».
Con la coda
dell’occhio vide Caleb rivolgerle un sorrisetto divertito e
istintivamente seppe di aver usato un tono molto più
indolente di quanto non fosse sua intenzione. Si morse la lingua
socchiudendo gli occhi. La diplomazia non era nemmeno il suo, di forte.
«Ancora
qualche minuto, signorina Fyfield, poi potrà andarsene
» rispose pacata la Preside e Jade alzò gli occhi
al cielo.
Il minuto
durò più di mezz’ora e Jade si chiese
se quella notte sarebbe mai finita.
Scuola
di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Grifondoro, ore 01.31
Ian non si
svegliò quando sentì il ritratto della Signora
Grassa spostarsi per liberare l’ingresso alla Sala Comune.
Non si svegliò anche se era steso sul divano con sopra una
coperta e gli occhi arrossati dal sonno per il semplice motivo che non
stava dormendo, se ne stava a fissare il soffitto in attesa, pensando a
che fine potesse aver fatto la sua migliore amica, ormai latitante da
ore, in una notte in cui avrebbe di gran lunga preferito avere tutte le
persone a lui care a portata di sguardo.
Quando al
frusciare della tela si aggiunse un leggero ticchettio si decise a dare
un’occhiata al nuovo arrivato sbucando dalla sagoma rossa del
divano solo con la testa.
Jade stava
cercando di togliersi le scarpe in precario equilibrio su una gamba
sola, la bacchetta appoggiata sul tavolo vicino all’ingresso
e i capelli ricci e gonfi come il pelo di un gatto incattivito.
Sembrava strano ma ogni volta che quella ragazza era stressata o
arrabbiata con qualcuno i suoi ricci si gonfiavano facendola
assomigliare molto ad una paziente psichiatrica reduce da un
elettroshock. Lui e i ragazzi l’avevano presa in giro anni
per questo fatto.
«Che
fine avevi fatto? » chiese dopo un po’ con il tono
più disinvolto che gli fosse mai riuscito, come a voler
sottolineare che no, lui non la stava fissando da quando era entrata, no no.
Lei si
voltò di scatto verso i divani, una mano premuta
all’altezza del cuore e l’altra pronta a lanciare
le scarpe con il tacco in testa all’idiota che le aveva
appena accorciato la vita di una decina d’anni. Ian avrebbe
tanto voluto ridere ma si trattenne.
«E tu
che ci fai qui? Perché non sei a letto? » chiese
poi passandosi una mano tra i capelli nel blando tentativo di
appiattirli un poco.
«Non
si risponde ad una domanda con una domanda, sai? È
maleducazione » commentò lui mettendosi a sedere e
facendole segno di fargli compagnia sul divano.
Jade
acconsentì con un sospiro sfinito, appoggiò la
testa contro lo schienale, il viso rivolto verso il suo, e chiuse gli
occhi.
«Sembri
distrutta » mormorò portando il volto parallelo al
suo. Erano amici da anni, non era la prima volta che si trovavano su
quel divano a parlare e visto che avevano decretato di comune accordo
di comportarsi come avevano sempre fatto, Ian non si sentì
minimamente in colpa per essersi avvicinato in quel modo. Anche se
farlo gli fece tremare la gola.
«Penso
che distrutta non renda bene l’idea » sorrise
appena lei strofinando la guancia contro il velluto rosso,
«Non mi hai ancora detto cosa ci fai qui ».
«Ero
preoccupato per te, non arrivavi più » Ian
sbadigliò vistosamente e Jade storse il naso.
«E
poi parli a me di educazione.. ti ho appena ispezionato le tonsille. E
comunque so come tornare al mio dormitorio, non serve che tu perda ore
di sonno preoccupandoti. Ricordi? Conosco tutte e tredici le strade
».
Ian
ridacchiò appena.
«Lorcan
è in infermeria, Il fratello della Lodge è al San
Mungo, è stato un po’ difficile non farlo..
Roxanne si era proposta di rimanere qui finché non fossi
arrivata ma l’ho mandata a letto, era stravolta e continuava
a far esplodere cose.. Penso si senta in colpa per quello che
è successo a Lorcan ».
«Penso
le abbia ricordato quello che è successo a James »
sospirò Jade guardandosi le mani.
«E a
chi non l’ha ricordato? » sussurrò Ian
mentre i loro sguardi si incrociavano.
Dopo alcuni
secondi le labbra di Ian si curvarono in un sorriso consapevole
lasciando la ragazza piuttosto interdetta.
«Quando
nascondi qualcosa te lo si legge negli occhi, è come se
implorassero le persone di farti domande, di costringerti a parlare..
» spiegò sottovoce, era difficile usare un altro
tono nel piccolo silenzio che li divideva.
Jade non si
mosse, rimase lì, accoccolata contro lo schienale del
divano, immobile. Ian la sentì trattenere il fiato e si
disse che nonostante tutto poteva ancora vantarsi di conoscerla come
pochi.
«Perché
sei arrivata così tardi? » chiese cercando di
suonare calmo, quando invece sentiva una preoccupazione crescente e
inspiegabile attanagliargli lo stomaco.
Jade lo
guardò con gli occhi sgranati e lucidi prima di scoppiare a
piangere senza una vera ragione e Ian fece l’unica cosa che
gli venne in mente. La abbracciò prendendo ad accarezzarle
la schiena, in silenzio, lasciandola sfogare. Non sapeva se a renderla
così era stato il ricordo di quello che era successo a
James, o forse vedere quei due ragazzi sul pavimento del corridoio o
addirittura qualcos’altro ma non aveva molta importanza.
A lui bastava
che smettesse di piangere.
Più
tardi, in quella notte che pareva non conoscere fine, Jade avrebbe
alzato gli occhi al soffitto e gli avrebbe raccontato ogni cosa, senza
una ragione apparente. Entrambi sapevano che se lei non avesse voluto
dire niente, lui non avrebbe insistito, sapeva per esperienza personale
che spingere Jade a fare qualcosa equivaleva ad ottenere
istantaneamente la reazione contraria.
Più
tardi, Ian avrebbe deciso di non chiederle cosa le avesse fatto
cambiare idea, cosa l’avesse convinta ad aprirsi in quel
modo, consapevole del fatto che doveva esserle costato un coraggio
infinito mostrarsi tanto vulnerabile, regalargli di nuovo la sua
fiducia.
L’unica
cosa che avrebbe fatto sarebbe stato ascoltarla in silenzio fino ad
addormentarsi, alle quattro del mattino, con la testa appoggiata alla
sua.
Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Serpeverde, ore 01.33.
Josh osservò Damian agitare la bacchetta con un colpo secco
del polso e percepì il calore delle fiamme nuovamente
ravvivate nel vuoto del camino scaldargli una guancia, illuminando un
poco l’oscurità verdastra che li avvolgeva. Non si
mosse per constatare l’ovvio, come avrebbe fatto solitamente
sovrappensiero, ma rimase con gli occhi fissi sul volto del suo
migliore amico. Era talmente concentrato nello studio della sua figura
apparentemente immobile che ogni altra sensazione passava
inesorabilmente in secondo piano. Studiò con attenzione la
curva rigida della mandibola e la linea tesa delle labbra sigillate,
vide che inspirava ed espirava a fondo con il naso e teneva gli occhi,
ridotti a due fessure, fissi nel fuoco.
Ad alcuni sarebbe potuto sembrare semplicemente immerso nei propri
pensieri, ma Josh sapeva che dentro a quel corpo statico si stavano
agitando sensazioni forti e contrastanti, e sapeva, sopra ogni cosa,
che Damian non era semplicemente arrabbiato o preoccupato, era
letteralmente furioso.
Furioso del tipo di furia che ti porta a compiere un omicidio godendone
sul serio.
Se doveva essere onesto, Josh se ne sentiva vagamente intimorito. Solo
vagamente, però, perché conosceva Damian da
diversi anni e sapeva come tenergli testa, anche a costo di fargli male
sul serio. Era capitato in passato e non escludeva che potesse
ricapitare nell’immediato futuro.
L’unica cosa su cui non si sentiva sicuro era il
perché di tutta quell’ira. Forse perché
era stato attaccato un Serpeverde? Forse perché si era
trattato del fratello di Charity?
Josh si convinse che doveva essere una commistione di entrambe le cose.
Quello e il fatto che con l’attacco ai parenti di Dolohov
tutta la sua famiglia sarebbe stata sul piede di guerra.
Non aveva mai pensato alla guerra vera, prima di quella sera, nemmeno
quando Jade li aveva chiusi in una stanza per discuterne. Gli era parsa
una cosa così distante e sfocata da non meritare la sua
attenzione, Nott era uno che tendeva a preoccuparsi dei problemi solo
quando gli si spiaccicavano sulle lenti degli occhiali, prima di
allora, non erano affar suo.
A voler essere sinceri, anche pensandoci non avrebbe saputo da che
parte schierarsi, non avrebbe nemmeno saputo dire se si sarebbe
schierato da qualche parte: non condivideva le idee degli Illuminati,
questo era certo, farlo sarebbe equivalso a sterminare quasi tutta la
sua famiglia, ma non si sentiva nemmeno pronto a spargere sangue per
difendere un’idea di vero mago che nemmeno capiva. Lui era un
mezzosangue, figlio di una babbana e di un purosangue, il che lo
rendeva un papabile bersaglio per chiunque allo stato attuale delle
cose.
Ecco, se ci fosse stato un partito che si fosse opposto ad entrambe le
idiozie si sarebbe certamente unito a quello. Filosoficamente parlando,
Josh si sarebbe volentieri visto come una macchina grigia tra il nero
dei Mangiamorte e il bianco degli Illuminati, impegnato strenuamente
nella salvaguardia del suo essere un colore di confine.
Ma non era un ragazzo pieno di ideali con cui colorare il mondo, Josh,
quindi sapeva con assoluta certezza che, se la guerra fosse arrivata,
Damian non avrebbe fatto il puntino grigio con lui.
No, Damian aveva già addosso un mantello nero e una maschera
da assassino pronte ad aspettarlo fuori dalle porte del castello e Josh
sapeva che le avrebbe indossate entrambe senza esitazione. Non
perché credesse a cazzate come la purezza del lignaggio e
affini, Damian non era così stupido, ma perché
farlo avrebbe significato avere vendetta per cose che forse non erano
ancora accadute, ma lo avrebbero fatto prima o poi.
E Damian amava l’idea della vendetta più di ogni
altra cosa.
Josh lo capiva, perché era un ragazzo intelligente e acuto e
capiva sempre tutto, anche se fingeva il contrario, e non si sentiva
deluso all’idea che il suo migliore amico potesse scegliere
una strada del genere. Non si sentiva deluso e non sentiva il desiderio
di fargli cambiare idea, erano entrambi adulti di fronte alla legge
magica e consapevoli delle proprie scelte, ma sapeva che ci sarebbe
stato un giorno in cui Damian gli avrebbe chiesto di seguirlo e lui
avrebbe dovuto augurargli buona fortuna, prendendo la strada
opposta.
L’idea gli metteva addosso una tristezza indescrivibile.
Voltò appena il capo per guardarsi alle spalle, scrutando la
figura di Katherine raggomitolata sotto ad una coperta, con gli occhi
chiusi e una mano stretta a pugno vicino al viso. Sembrava una bambina.
Quando era uscito dal bagno, quella sera, dopo averla sentita urlare,
mentre appoggiato contro la parete fredda del bagno cercava di non
rigettare anche l’anima, si era ritrovato per un attimo senza
saper cosa fare. Probabilmente per la prima volta in tutta la sua vita,
la sua mente si era scoperta sgombra di qualsiasi pensiero intelligente
e lo aveva lasciato lì a boccheggiare come un idiota, e no,
i postumi dell’alcol non centravano niente.
Aveva visto le mani di Kath sporche di sangue, ancor prima di
realizzare che quello a terra era Lorcan Scamander e che a pochi passi
c’era il corpo di Matt. Aveva solo visto il sangue su quel
ridicolo vestito arancione e il suo cervello era andato nel pallone.
Era stato l’istante più brutto della sua vita.
Poi aveva visto Jade e Roxanne Weasley in piedi lì vicino e
il tempo aveva ripreso a scorrere, insieme alla sua attività
cerebrale. Più tardi avrebbe realizzato che quel momento di
vuoto era dovuto alla paura che quella stupida della sua compagna di
Casa fosse ferita in qualche modo, ma non l’avrebbe ammesso
ad anima viva nemmeno sotto le più atroci torture.
Accompagnarla in Sala Grande quando la McGranitt aveva ordinato a tutti
di andarsene da quel diavolo di corridoio era stato quasi surreale,
aveva tenuto un braccio ancorato a quelle spalle esili come se da
quello dipendesse la stabilità del mondo mentre lei si
lasciava scortare in silenzio, gli occhi spalancati e le mani sporche
abbandonate sui fianchi, come appendici inutili.
Katherine era stata l’immagine della desolazione fino a
quando non si era addormentata su quel divano, implorandolo di rimanere
con lei perché era spaventata a morte.
Per una volta Josh non aveva risposto con un commento ironico o
sarcastico, aveva solo annuito, si era infilato il pigiama, aveva
portato una coperta e si era seduto ai piedi del divano, vicino al
caminetto, il fiato caldo di Katherine che gli solleticava il collo e
un libro aperto sulle ginocchia.
Damian, apparentemente vittima della sua stessa insonnia, aveva deciso
di fargli compagnia poco dopo e si era seduto di fronte a lui sul
pavimento, in silenzio. Un silenzio furioso che Josh non aveva avuto
voglia di spezzare per non doverne affrontare le conseguenze.
«Credi che Matt si riprenderà? » si
sentì chiedere con un filo di voce, un suono a
metà strada tra un ringhio e un sussurro.
Joshua si voltò verso Damian. Non si era mosso, non lo stava
guardando e per un istante il ragazzo temette di aver avuto
un’allucinazione uditiva.
«Non ne ho idea, Dam » rispose togliendo gli
occhiali per pulirli con un angolo del pigiama, giusto per avere
qualcosa da fare e non guardare l’amico in faccia. Sapeva che
c’avrebbe visto qualcosa di rabbioso e oscuro ed era
decisamente troppo stanco per affrontare anche quello.
Infilate nuovamente le lenti sulla punta del naso, spostò lo
sguardo sul soffitto della Sala Comune, sperando di vedere al
più presto l’alba specchiarsi nell’acqua
del lago.
Aveva bisogno dell'inizio di un nuovo giorno.
Note dell'autrice:
Buonasera a tutti! Allora, comincio con il ringraziare di cuore Roxy_14
e B
r e e che hanno
così gentilmente recensito lo scorso capitolo, non vi
conosco ma questo capitoletto lo dedico a voi!!
Poi ringrazio anche chi ha solo letto la storia, nonostante fosse
passato un anno dall'ultimo capitolo. Non siete state proprio due
persone, il che mi ha sollevato incredibilmente il morale, quindi
GRAZIE davvero! Se la prossima volta volete anche
recensire, non mi dispiace per niente :)
Non ho molto da dire su questo capitolo, se non che è stato
riscritto almeno venti volte, se ne sono andati tanti pezzi e altri
invece sono cambiati, insomma, quando avevo pensato alla conclusione
del Ballo d'Inverno, non avevo sicuramente pensato a questo, tranne per
il piccolo Matthew Lodge, lui era destinato ad essere steso su un
pavimento fin da quando questa storia è cominciata.. povero
Matt..
Comunque, questo voleva essere un capitolo pieno di umanità
e spero si sia percepita tutta, dalla rabbia di Harry Potter che vede
la situazione sempre sfuggirgli di mano, a James che sperimenta
concretamente cosa significhi aver paura della morte, a Jade che cerca
di tirare fuori un po' di palle ma alla fine crolla miseramente quando
se ne presenta l'occasione, a Ian che ascolta in silenzio, senza troppi
pensieri, perché a volte basta ascoltare e guardare per
capire le cose, non servono ore di riflessioni, a katherine che
nonostante sia una vipera, va nel ballone, per finire con Josh che
pensa al futuro con il suo occhio disilluso e ci vede già la
guerra.
Quando ho cominciato a scrivere questa storia avevo ben chiara l'idea
che i personaggi non sarebbero stati santi, non avrebbero fatto sempre
le scelte giuste e non avrebbero mai frequentato tutto a testa alta,
indipendentemente dalla Casa di appartenenza, perché
diciamocelo, le scelte giuste nella vita sono rare e spesso ci si
arriva perché prima si ha fatto tutte quelle sbagliate.
Sarebbe molto più semplice scrivere di persone statiche che
agiscono sempre per il bene, o sempre per il male, o che sono sempre
impavide e coraggiose di fronte ad ogni situazione, e forse potrei
farlo se James e combriccola fossero dei bambini che non sono mai
caduti e quindi non hanno paura di farsi male, ma come si rendono conto
un po' tutti, non sono più bambini, sono giovani adulti e mi
piace farli comportare come tali, con tutte le sfumature e le
contraddizioni che questo può comportare.
Bene, detto questo ci sono un paio di cosette da chiarire, giusto
perché, in effetti, non aggiorno da un anno:
1- Quando Jade dice che la faccia di Matthew Lodge sembra ripeterle "Non respira, non respira " è
un riferimento a quando James cade dalla scopa durante la partita e
l'infermiera della scuola dice alla Hastings, "Cinnamon, non respira, il
ragazzo non respira". In pratica Jade vede il ragazzino
già morto, come James il giorno della caduta. (Cap. Lacrime di Pioggia )
2- Quando Harry e Hermione stanno parlando del dono di Natalie, si
riferiscono al fatto che possa scegliere di frugare nella mente della
gente senza l'ausilio di una bacchetta. (Cap. Al ritmo di una danza
)
3- Nonostante James paragoni Lily che piangeva mentre lui era sotto i
ferri a Charity, questo non significa che la ragazza stia
effettivamente piangendo. Nemmeno quando vede suo fratello al castello
sta effettivamente piangendo. Come ho già detto, Charity non
piange. (Cap. Di
distrazioni e gufi inquietanti )
4- Non so se si è pienamente percepito ma io nutro un amore
spropositato nei confronti di quella ciminiera ambulante della Hastings
e del pragmatismo cinico di Joshua Nott, per cui Cinnamon Hastings
avrà sempre in mano una sigaretta e Josh reagirà
sempre in maniera molto calma, anche di fronte all'apocalisse.
Penso di aver detto abbastanza, forse troppo, quindi vi saluto :)
Il prossimo aggiornamente non so quando sarà ma credo in
due/tre settimane, tempo di dare un po' di esami universitari. Anche
quello è già scritto, quindi devo solo
convincermi che possa essere pubblicato e mi permetto uno spoiler: i
nostri eroi torneranno a casa per Natale e ci saranno le loro dolci
famiglie ad attenderli, quanto saranno contenti da 1 a 10 di questa
cosa? Lascio a voi qualsiasi speculazione in merito!
Ancora buona serata a tutti,
Najla
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