Amnesia - Diario di pensieri perduti

di stefania1977
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'aptx4869 ***
Capitolo 2: *** La trappola ***
Capitolo 3: *** L'ultimo saluto ***
Capitolo 4: *** Il rapimento di Ai ***
Capitolo 5: *** Una nuova speranza ***
Capitolo 6: *** Superiamo la tristezza ***
Capitolo 7: *** Verso una nuova destinazione ***



Capitolo 1
*** L'aptx4869 ***


Conan si appisolò con la testa appoggiata al finestrino dell’auto del dottor Agasa. La gita al lago insieme ai Detective Boys lo aveva privato di tutte le energie. Ai, seduta sul sedile posteriore, si sporse in avanti e guardò il piccolo detective con aria intenerita.
“Shinichi è davvero carino quando dorme, ha davvero un’espressione angelica, non trovi anche tu?” Ammiccò il dottore rivolgendo alla ragazzina un'occhiata significativa.
Un sussulto involontario e un lieve rossore sulle guance della scienziatina tradirono quelli che erano i suoi veri pensieri; una negligenza che cercò di coprire sfoderando una delle sue solite caustiche battute:
“Già, solo quando dorme però.” Distolse lo sguardo con una smorfia, il naso in aria, ostentando indifferenza. Dopo poco, però, tornò nuovamente a posare lo sguardo sul giovane detective. “La gita di oggi deve averlo davvero stancato.”
“Povero Shinichi! Genta e gli altri gli hanno prosciugato tutte le sue energie.”fu il commento laconico di Agasa.
“Ho notato, però, che in questi ultimi tempi il nostro detective ha cambiato atteggiamento, soprattutto nei confronti dei bambini.”
“Tu dici?” il dottore rimase lì per lì un po' perplesso da quell'affermazione, ma poi, ripensando a come l'aveva visto giocare con Genta e gli altri non poteva non dare ragione ad Ai. Negli ultimi tempi Conan sembrava avesse perso quella sua aria da saccentone e si era calato nella parte che avrebbe sempre dovuto sostenere quella di un bambino di sette anni.
“Oggi l’ho visto divertirsi come non aveva mai fatto...” concluse la scienziata con un sorriso bonario.
“Mi stupisco che dopo tutto questo tempo tu non abbia ancora imparato a conoscerlo. Shinichi è un ragazzo particolare…”
“Su questo non ho alcun dubbio.” Concluse Ai in tono velatamente sarcastico.
“Sei sempre la solita…” l’ammonì il dottore con tono paterno. “Dovresti cambiare atteggiamento anche tu e sforzarti di andarci d’accordo.”
“Impossibile!” fu la risposta secca della ragazza. “è così insopportabile, presuntuoso, altezzoso...” sottolineò ogni attributo con stizza.
“Si inizia sempre così…e poi, si finisce per innamorarsi. Mentre l’osservava dallo specchietto retrovisore vide l’espressione di Ai mutare repentinamente.
“Innamorata?” Esclamò sdegnata. “La prego dottore non mi faccia ridere! Come potrebbe una ragazza di buonsenso come me innamorarsi, di un tipo simile e poi…”
“Io avrei da obiettare sulla ragazza di buonsenso….” Una voce roca zittì la bambina prima che potesse finire di parlare.
Il dottore volse lo sguardo verso la figura rannicchiata sul sedile al suo fianco. “Bene Shinichi, vedo che sei già sveglio.”
Kudo si stiracchiò, sbadigliando. “Come potevo riuscire a dormire con voi due che parlate a voce così alta, anche un sordo vi avrebbe sentito!”
“Ci dispiace di averti disturbato…” Agasa assunse un’espressione contrita.
“Non si dispiaccia dottore, in realtà non stavo per nulla dormendo…”
Ai poggiò il viso sul palmo della mano e lo fissò con aria divertita “…Beh, era di certo una buona imitazione, visto come russavi.” Gli angoli della bocca le si incurvarono leggermente in un lieve sorriso.
"Ha! Ha! Sempre spiritosa...Haibara!” Proprio in quel momento il telefono di Conan prese a squillare. Il ragazzino lo estrasse dalla tasca e rispose.
“Si...”
“Sono io...Rena…” la donna aveva un tono insolito e piuttosto sbrigativo.
“Oh! Dimmi pure!”vista la situazione anche Conan assunse lo stesso atteggiamento, non voleva far insospettire i suoi amici.
“Ho ottime notizie, sono riuscita a mettere le mani sulla formula del farmaco Aptx4869,”
un lampo baluginò negli occhi del giovane detective.
“Purtroppo non posso trattenermi troppo al telefono...se ti interessa entrare in possesso del dischetto vieni al porto stanotte a mezzanotte, ti aspetterò nel magazzino 18, lì ti consegnerò quello che stai cercando. Dopo questo, considera pure rotto il nostro accordo e mi raccomando...”
lo ammonì in tono grave. “vieni da solo, e soprattutto non dire a nessuno della mia telefonata. E' molto importante e fai molta attenzione." Detto ciò, riagganciò
“Qualche brutta notizia Shinichi?” chiese il dottore notando l'espressione turbata del ragazzo.
"Era Kogoro, quello stupido va tutti i venerdì sera a giocare a majhong, stavolta però è talmente ubriaco da non avere nemmeno la forza per reggersi in piedi, mi ha pregato di raggiungerlo con un taxi per riportarlo a casa senza che Ran se ne accorga, altrimenti sia che sfuriata gli tocca subire?"
"Se vuoi, ti accompagno io, dimmi solo dove dobbiamo andare!"
"Non serve dottore, la ringrazio ugualmente, userò lo skateboard per raggiungerlo, prenderemo un taxi solo per il ritorno. Si fermi pure qui!"
Agasa seppur recalcitrante, obbedì. Fermò l'auto a pochi isolati dal suo laboratorio. "Sei sicuro che non vuoi che ti accompagni?" lo incalzò, mal celando una certa ansietà nel tono della voce. Sentiva che il ragazzo gli stava mentendo, ma non sapeva se fosse il caso di insistere, conosceva bene Shinichi era fortemente testardo e sopratutto non avrebbe permesso che altre persone corressero dei rischi per causa sua.
"Non si preoccupi, me la caverò.” Aggiunse il ragazzino scendendo agilmente dall'auto. "Andate pure a casa ci vediamo domani." chiuse la portiera, salì sullo skateboard e sparì veloce come un razzo nell'oscurità di una stradina.
Mentre lo osservava allontanarsi Ai si rivolse al dottore con espressione preoccupata.
"Neanche lei gli crede, vero?"la voce le tremò impercettibilmente.
"So che ci ha mentito, mi chiedo solo con chi abbia davvero appuntamento."
"Credo di immaginarlo, deve trattarsi certamente di quella giornalista: Rena Mizunashi"
"Allora la telefonata che ha ricevuto ha a che fare con l'organizzazione?"
"Purtroppo." Disse continuando a fissare il volto agitato del vecchio scienziato. "Spero di sbagliarmi ma ho la netta sensazione che quest’appuntamento non porterà proprio nulla di buono!"
 

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Capitolo 2
*** La trappola ***


L'aria satura della notte era più soffocante nei pressi del porto, lì l'eccessiva umidità creava una specie di spessa cortina che impediva a chi si aggirava per quella squallida e imponente schiera di capannoni di riuscire a vedere a un palmo dal proprio naso. Il rumore delle onde che si infrangevano sul molo facevano da sottofondo a un'atmosfera altrimenti desolata fatta di enormi casse e mezzi da lavoro abbandonati a stessi, degni dello squallore che regnava lì intorno. Conan passò a rassegna i magazzini cercando quello indicatogli da Rena; qualcosa in lui, gli imponeva di agire in maniera oculata, forse era l'istinto del detective o più semplicemente il buonsenso, era per questo che da quando era arrivato sul luogo dell'appuntamento non aveva mai smesso di guardarsi d' intorno circospetto, cercando di carpire qualsiasi rumore che potesse avvisarlo per tempo, di un imminente pericolo.
Mentre continuava ad aggirarsi per il porto Conan ebbe la netta sensazione di sentirsi osservato e questo non lo rendeva del tutto tranquillo. C'era qualcosa in quella situazione che non lo convinceva affatto, tuttavia, era ansioso di mettere le mani sulla formula dell'APTX4869: entrarne in possesso voleva dire tornare a essere Shinichi Kudo, il detective liceale famoso per le sue brillanti deduzioni, ma ciò che gli premeva di più era ben altro. Il suo cuore ebbe un lieve sussulto, quando il pensiero corse alla persona che aveva amato da sempre e dalla quale finalmente, sarebbe potuto ritornare: Ran. Non ci sarebbero stati più ostacoli fra loro e nemmeno l'organizzazione avrebbe rappresentato più un problema: tutte le informazioni che Rena gli aveva fornito erano sufficienti per liberarsi di loro una volta per sempre.
Trovare il magazzino non fu difficile. Il deposito numero 18 al contrario degli altri capannoni era un imponente container, quello vero era stato distrutto da un incendio solo pochi mesi prima, dopo una breve indagine e con non poche polemiche la questione fu archiviata dalla polizia come incidente, dovuto alla negligenza di uno degli addetti che aveva acceso una sigaretta in un ambiente saturo di gas metano. Tuttavia fu quantomeno strano che in seguito alla sciagura nessuna ditta si fosse fatta avanti per richiedere un risarcimento per l'accaduto. Conan fece scorrere l'enorme e pensante porta che chiudeva l'entrata quel tanto che bastava per sgattaiolare all'interno. Una volta dentro, fu subito colto dall'odore di stantio e di umido, un effluvio sgradevole che quasi gli impediva di respirare. Prese ad aggirarsi fra i numerosi oggetti posti qua e là disordinatamente a volte persino sovrapposti gli uni agli altri, rimase del tutto stupito quando si accorse di essere finito in una specie di grosso ripostiglio dove erano conservati i più svariati oggetti: vecchi mobili, alcuni bauli, c'era persino una vecchia radio e poi quadri, suppellettili, libri… quel posto gli riportò alla mente uno di quei mercatini di oggetti usati dove a poco prezzo si può acquistare qualunque tipo di arnese. Mentre allungava la mano per prendere una tazza di ceramica probabilmente fatta a mano udì la porta alle sue spalle stridere sulle guide, le luci dei fari proveniente dall'esterno irruppero nel magazzino e due ombre si stagliarono nette davanti al giovane detective, che per un breve attimo ebbe la sensazione che il suo cuore avesse smesso di pulsare.
Non servì una grande immaginazione per ravvisare una certa familiarità nell'ombra scura dai lunghi capelli che si muoveva a passo sostenuto verso di lui. Conan avrebbe voluto muoversi, fuggire, ma un terrore improvviso gli impedì qualsiasi movimento. Quando l'ombra nera si accovacciò alle sue spalle poggiandogli pesantemente le mani sulle spalle, il piccolo detective chiuse gli occhi e deglutì a vuoto. Una voce fredda e crudele gli soffiò maligna in un orecchio.
"È quasi un piacere per me, poter constatare che sei tornato vivo dall'inferno, Shinichi Kudo! Perché così avrò l'immensa gioia di potertici rimandare nuovamente!"
Conan aprì e richiuse la bocca senza che ne uscisse neppure un suono. Era una trappola e lui c'era finito dentro come un idiota, ma come aveva fatto l'organizzazione a scoprire chi era e dov'era finita Rena Mizunashi?
"Sembra che il piccoletto abbia perso la parola capo." disse un'altra voce stavolta più aspra.
"Già, pare proprio che il nostro giovane detective, abbia d'improvviso smarrito tutta la sua baldanza!"
Conan fece scattare il quadrante dell'orologio, poi con un gesto repentino piroettò su se stesso, ma non ebbe il tempo di fare nulla, la bocca di una pistola gli finì proprio sotto la gola.
"Io non lo farei se fossi in te!" un ghigno baluginò nell'ombra, gli occhi sottili e maligni di Gin lo fissavano assetati di vendetta. Conan serrò la mascella.
"Sappi ragazzino che nessuno è mai sopravvissuto dopo avermi incontrato e tu non sarai da meno!"
"Spariamogli un colpo in testa capo e facciamola finita!" suggerì Vodka che cominciava a diventare stranamente inquieto.
Gin si levò in piedi in tutta la sua imponente figura, aveva afferrato il bambino per la gola con la mano sinistra mentre con la destra continuava a puntargli addosso l'arma.
"Voglio che abbia una fine degna di questo nome, che sia da monito per coloro che tradiscono l'organizzazione… e tu sai bene a chi mi riferisco vero?"
Nei grandi occhi azzurri del giovane detective, Gin colse, con sadico piacere, un'espressione di vivo terrore: sapevano tutto, di lui come di Ai, e ora anche lei era in pericolo. La sensazione di impotenza fece accrescere la rabbia che Conan aveva iniziato a provare verso se stesso. Si era comportato da stupido, si era lasciato abbindolare mandando al macero tutto quello che aveva fatto, stava per morire e senza poter nemmeno rivedere un'ultima volta la sua Ran. Mentre quei pensieri attraversavano la mente di Conan, il killer fece scivolare la pistola lungo il corpo inerme del ragazzino, ma si fermò quasi subito all'altezza della scapola destra, tirò indietro il cane e poi premette il grilletto. Il proiettile attraversò la carne e i muscoli e si fermò nell'osso. I bambino tentò di urlare ma Gin aumentò la stretta al collo così che il suo urlo divenne un rantolo.
"Sarebbe divertente ucciderti un po' per volta" disse con tono sadicamente sarcastico. "Peccato che non io abbia tutto questo tempo!" fece un rapido cenno di intesa al suo assistente il quale uscì di corsa dal container per poi tornare qualche istante dopo con un pacchetto in mano.
"Mettila lì su quel mobile." ordinò Gin senza distogliere lo sguardo dalla sua preda.
Di nuovo abbassò la pistola, questa volta all'altezza della gamba, e lasciò partire un altro colpo. Stavolta l'urlo del bambino fu straziante.
"Questo per essere sicuro che non riesca ancora a fuggire. Poi lasciò la presa e il ragazzino cadde a terra con un tonfo sordo.
Con un enorme sforzo Conan sollevò la testa, rivolse qualche frase ingiuriosa fra i denti, poi la vista cominciò a offuscarsi e un senso di torpore gli invase le membra, l'ultima cosa che udì prima di svenire fu un rumore metallico e lo scatto di una serratura… poi, il nulla.

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Capitolo 3
*** L'ultimo saluto ***


Da questo capitolo in poi questa ff sarà scritta in collaborazione con un'altra persona: Aruka il capitolo che segue è stato scritto proprio da lei. Colgo l'occasione per ringraziarla vivamente per il prezioso aiuto.  
 Silenzio.
Nella stanza c’era un gran silenzio.
Dolore.
Un piccolo senso di dolore lo stava cominciando a percepire, insieme alla coscienza e alla consapevolezza di quanto era accaduto. Pian piano Conan si svegliò e il senso di rabbia verso se stesso, per essere caduto così ingenuamente nella trappola iniziò a farsi strada nelle viscere. Sapevano tutto.
Ai!
Ai è in pericolo! Doveva fare qualcosa…Cercò di alzarsi, ma una fitta alla spalla laddove Gin gli aveva sparato gli bloccò per qualche secondo il fiato. Aprì gli occhi e all’inizio vide tutto appannato, poi gradualmente cominciò a vedere meglio. La stanza era come l’aveva lasciata, ormai deserta.
‘se ne sono andati…’
 Si guardò e con grande orrore vide una chiazza di sangue estendersi sotto la gamba e l’addome feriti.
Cercò ancora una volta di alzarsi e con grande fatica, ci riuscì.
Il suo respiro era irregolare, gli girava la testa, ma non gli importava.
Si appoggiò ad un mobile dietro di lui e cercò di raggiungere la porta, trascinando la gamba ferita e cercando di zoppicare. Dopo i primi tre passi, il bambino cadde a terra. Le ferite gli dolevano, così si trascinò disperato. Imprecando contro quegli uomini e contro se stesso. Si alzò nuovamente con fatica e cercò di aprire la porta, ma era chiusa a chiave. Con uno scatto d’ira tirò un calcio con tutta la rabbia che aveva in corpo e urlò un “maledizione!!” si appoggiò alla porta per riprendere fiato, alzando lo sguardo per cercare un’altra via di fuga.
D’un tratto la vide. Vide un pacchettino strano, un sacchetto semi-trasparente con una lucetta rossa lampeggiare.
Un pensiero che sperò non fosse quello, s’insinuò nella sua mente. cercò un appiglio per arrivare al mobile e notò che di fianco c’erano impilate delle vecchie sedie di plastica.
Con grande sforzo si arrampicò e subito altre fitte gli fecero mancare il fiato.
Gli sembrò di aver scavalcato una montagna,dato il grande sforzo compiuto, quando finalmente arrivò in cima al mobile. Si mise seduto qualche secondo per riprendere fiato, mettendosi una mano sulla ferita.
‘forza…non è tanto grave…’ cercò di rincuorarsi, ma vide la scia di sangue lasciata dietro di se.
Si avvicinò al sacchetto e con cautela lo srotolò per rivelarne il contenuto. Gli occhiali scintillarono e un sorriso amaro si dipinse sul suo volto.
Una bomba. Una piccola bomba con timer che segnava 05.33 stava lentamente scorrendo il suo tempo.
Conan prese dalla tasca interna dei pantaloni il suo coltellino svizzero, lo aprì e svitò subito la scatola. Prima vite…seconda vite…terza vite…quarta vite.
Aprì il contenuto che rivelò un meccanismo complesso e una serie di fili…con suo terrore, tutti dello stesso colore. Come faceva a disinnescarla se i fili erano tutti uguali?
Rimase qualche secondo immobile a fissare quella scatoletta nera, così innocua, ma dal potere devastante.
Se non poteva salvare se stesso, doveva provare almeno a salvare Ai, la piccola scienziatina.
Prese il cellulare e digitò con mani tremanti, il numero del dottor Agasa.
Il telefono iniziò a squillare, mentre il timer scorreva, inesorabile, a ricordargli quando tempo avesse.
04:12
“pronto..” rispose un Agasa assonnato.
“Dottore, sono Io!” urlò Conan
“..Shinici?” il dottore allibito guardò l’ora e gli chiese cos era accaduto. Accese la luce nel comodino e si alzò, la scientiatina si svegliò sentendo quel baccano.
“mi passi Ai per favore..”
 Agasa si volse e vide che era già sveglia, così gli diede il telefono.
“si?” chiese con voce assonnata ma preoccupata.
“Ai…siamo stati scoperti…”
Lei rimase paralizzata e il volto malefico di Gin gli si parò davanti, come se fosse realmente di fronte a lei, il suo ghigno malefico e la pistola puntata contro di lei.
“dove sei, Kudo?” chiese cercando di riprendere calma e lucidità.
“sono intrappolato nel magazzino 18…sai,vicino a dov’era avvenuta la sparatoia mesi fa.” Il suo tono di voce era sempre quello, calmo e rassegnato.
“cosa ci fai li?” chiese rimproverandolo.
Ora la voce del bambino diventò più triste, un sorriso amaro e sarcastico gli si dipinse sul volto
“sai, ci credevo davvero…per un attimo ho creduto di poter mettere le mani sull’APTX e tornare finalmente com’ero,poter finalmente…tornare da lei..”
“Kudo…veniamo a prenderti immediatamente!” disse con determinazione, facendo cenni al Dottore di preparare la macchina.
“non disturbatevi. Esattamente tra 3 minuti e 9 secondi sarà tutto finito..” il suo tono si fece più amaro e triste.
“cosa?…una bomba?” chiese lei spaventata.
“Già. L’ultimo regalo dell’organizzazione, oltre a due pallottole conficcate nelle ossa.” Disse in tono quasi ironico.
La situazione era più grave di quanto pensasse. Gli faceva male e strano sentire Kudo con quella voce, pacata, rassegnata…
Poi la voce del bambino riprese a parlare
“tra poco il sipario calerà sul grande Detective liceale, Shinici Kudo.
Lo sai Ai? Io…volevo diventare un grande Detective…ci credevo. Tutti questi mesi di indagini per niente, mesi sprecati ad essere Conan Edogawa, un bambino delle elementari, costretto a mentire a tutti,ma soprattutto a mentire a Ran…ormai è la fine per me.”
Senza accorgersene, piccole lacrime cominciarono a rigargli le sue piccole guance calde da bambino.
“non ho potuto confessarle i miei reali sentimenti e ogni volta che ne avevo l’occasione…non l’ho fatto. Che stupido.”
Ai non poteva credere a quelle parole, dette con quel tono piatto. Lui, il grande Shinici che se la cavava sempre, che non si arrendeva mai, che trovava sempre un modo per fuggire ai guai.
“Hei, Kudo!! Che ne è stato del grande Detective che non si arrende mai e trova sempre una soluzione a tutto!? Reagisci ed esci di li!!” urlò disperata. Anche a lei caddero le prima lacrime. Cosa mai poteva fare? Cosa poteva dire? Non era lei la persona a cui doveva dire quelle cose, non era lei la persona giusta per farlo tornare normale.
No.
Quella persona era Ran.
“spiegherai tu a Ran il motivo per cui Shinici non farà mai più ritorno…” disse queste parole come se fosse il suo ultimo desiderio.
Il suo cervello non si rifiutava di capire. Quelle parole dette con tanto strazio dal piccolo detective.
I due salirono in macchina, e Ai senza farsi vedere versò altre lacrime, girandosi dalla parte del finestrino.
“reagisci…Kudo…”
Conan guardò il timer.
02:01
“scappa Shio. Scappa, salvati…”
Ai non riuscì a rispondergli
“Addio…”  chiuse il cellulare
“pronto? Shinici??” cercò di urlare disperatamente, sapendo che era inutile.
“Dottore, vada più veloce!” urlò la bambina sull’orlo della disperazione. Si mise con le ginocchia vicino al mento, le mani tra i capelli e tremava.
Anche Agasa aveva il magone, avendo sentito più o meno la conversazione, così accelerò e pregava ripetendo a sé stesso che non poteva finire così.
Conan, schiena appoggiata alla miriade di scaffali impilati sul magazzino, era fermo, immobile. Inerme.
Già sentiva su si sé la mano fredda della morte che bramava la sua vita. Gli era sfuggito troppe volte e ora, finalmente era ad un passo da lei, il suo sguardo sorridente e maligno.
Qualche lacrima gli rigava ancora in viso, ma a lui non importava.
Era la prima in assoluto che piangeva. Il destino era stato crudele con lui, si sentiva vuoto dentro, si vergognava…come un bambino che ha appena ricevuto uno schiaffo dalla mamma e il bambino rimane lì, fermo, incapace di reagire. Se ne corre in camera, al buio, e piange in silenzio cercando di non farsi sentire perché si vergogna. Ecco, si sentiva così.
Il timer segnava 01:15
Trasse un profondo respiro, e alzò la testa, per non dover vedere quel coso esplodere al momento opportuno.
Un riverbero, un raggio lunare entrava da qualche parte, come una striscia e finiva contro il pavimento. Conan si girò per capire da dove provenisse e…la vide. Una finestrella leggermente dischiusa…sì, era aperta.
Un piccolo barlume di speranza si accese nei suoi occhioni azzurri, rossi per le lacrime.
Fu un attimo. Con le ultime forze che gli rimanevano, tentò di arrampicarsi sulla pila di mobili,sedie, poste dietro di lui.
09.00
La sua scalata contro il tempo ebbe inizio. La fatica nell’arrampicarsi era enorme, ma voleva provarci ugualmente.
07:00
Le ferite gli dolevano e ad ogni passo il dolore si rinnovava, avvertiva il sangue, il respiro affannoso, la fronte imperlata di sudore.
06:00
La vista iniziò ad annebbiarsi, le forze pian piano gli mancavano. Mancava troppo e il tempo era troppo poco.
 
03:00
 
02:00
 
01:00
 
L’esplosione fu devastante. Tutto s’incendiò in un secondo, il terreno vibrò sotto quell’esplosione. Una nuvola di fumo nero dall’odore acre si propagò per tutto il quartiere, l’onda d’urto spazzò via i magazzini lì vicini, rendendo tutto poltiglia.
Fuoco, polvere, ammassi di macerie.
Da lontano, in una macchina gialla che correva disperata, i due videro la catastrofe e capirono.
Un urlo straziante di una bambina arrivò fino al magazzino.
Poi, più nulla.

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Capitolo 4
*** Il rapimento di Ai ***


4° Capitolo

"Voglio sapere che cosa ci faceva Conan in quel magazzino." la voce di Megure tuonò per l'intero ufficio, l'uomo corpulento seduto davanti a lui ebbe un piccolo sussulto sulla sedia, ma non osò muovere neppure un dito, rimase immobile davanti al suo interlocutore, cercando di dominare le proprie emozioni, fermo in una posizione rigida, con la fronte leggermente imperlata di sudore e un'espressione alquanto turbata: nessuno in tutto il dipartimento aveva mai visto l'ispettore così fuori di sé: il volto era livido di rabbia e le vene delle tempie gli pulsavano convulsamente.

"Le ho già detto tutto quello che so." affermò nuovamente l'uomo grassottello, stavolta con tono meno incisivo rispetto alle altre volte in cui aveva dovuto rispondere alla medesima domanda.

"Sono certo, invece, che lei sappia molte più cose di quanto voglia farmi credere dottor Agasa" aggiunse l'altro ostentando sicurezza. "le risposte che mi ha dato fin ora sono state troppo vaghe e inconcludenti, evidentemente non si rende conto della sua posizione." proseguì Megure con una sfumatura velatamente minacciosa nella voce. "Conan era con lei quando si è allontanato, quindi è responsabile di quanto, gli è accaduto."

"A… aspetti un attimo… di che cosa mi sta accusando…"farfugliò lo scienziato che iniziava con sconcerto a comprendere dove il poliziotto voleva andare a parare.

"Lei potrebbe essere accusato di negligenza…"

"Ma… ma Conan si è allontanato di sua volontà subito dopo aver ricevuto la chiamata di Kogoro."

"Già la famosa telefonata che non è mai stata fatta!"

"Forse Conan ha mentito, forse non si trattava di Kogoro, ma è questo, ciò che mi ha riferito prima di andare via."

"Dottore, spero che lei si renda conto della grande responsabilità di cui sono, mio malgrado, investito." fece una breve pausa durante la quale non smise mai di fissare il volto rubicondo dello scienziato. "Fra poco Kogoro e Ran saranno qui e a me spetterà l'ingrato compito di doverli informare che il ragazzino che viveva in casa loro e gli hanno affidato con tanta solerzia per fare una gita al lago, probabilmente è morto nell'esplosione di un magazzino al porto, può per un attimo riuscire a immaginare la loro reazione?”

Morto. Quella parola fece sussultare la figura minuta rannicchiata sul divanetto, come se fosse stata colpita all'improvviso da uno schiaffo, un brivido di terrore le attraversò la schiena costringendola finalmente a uscire dall'isolamento in cui si era chiusa e che, fino a quel momento, le era servito da protezione: un mezzo per estraniarsi dalla verità, ma anche da sé stessa e dai sentimenti confusi che in quel momento la stavano tormentando.

Ai era seduta sul quel sofà da diverse ore: teneva le ginocchia piegate al petto e il viso sprofondato nelle braccia, non aveva proferito nemmeno una parola da quando gli agenti l'avevano scortata, insieme al dottor Agasa, fino alla centrale, nemmeno i tentativi discreti fatti dall'ispettrice Sato avevano dato alcun riscontro, Imprigionata in quello stato di stordimento non riusciva a riprendersi: il boato causato dall'esplosione continuava a rimbombarle nelle orecchie e se chiudeva gli occhi riusciva ancora a vedere le fiamme che si levano alte verso il cielo e a sentire l'odore acre di fumo che le toglieva il respiro. Sollevò piano la testa e prese a guardarsi intorno, aveva la stessa espressione di una che si è appena svegliata da un lungo sogno; ed proprio in questo che aveva sperato, di trovarsi in un sogno, un brutto sogno, ma non era così, l'ambiente, i visi contriti delle persone, i discorsi sommessi, le occhiate lanciate in tralice tutto ciò che la circondavano non lasciava alcun dubbio sul fatto che quella fosse suo malgrado la realtà. Sentì gli occhi bruciare, ma cercò di resistere, non poteva e non voleva lasciarsi sopraffare dai sentimenti, altrimenti sarebbe nuovamente scoppiata a piangere. Seppur a fatica riprese il controllo di sé stessa, Shinichi non era morto non era stata trovata alcuna prova che potesse confermare questa ipotesi; poteva anche darsi che fosse riuscito a fuggire dal magazzino prima dell'esplosione. Un'eventualità remota, ma era comunque una possibilità. Nascose nuovamente il viso fra le braccia e si aggrappò a quella speranza con tutte le sue forze, si sentiva responsabile di quanto accaduto, era più che mai convinta che tramite lei, l'organizzazione, fosse risalita fino a Kudo. Quel pensiero continuava a tormentarla, al punto da non dare più importanza al fatto che fosse lei il prossimo obiettivo dei Mib; era stanca di fuggire, presto o tardi quel gioco sarebbe finito, tanto valeva regolare subito i conti in sospeso, non desiderava che altre persone ci andassero di mezzo. Il suo pensiero corse al dottore. Se Gin fosse andato a cercarla per ucciderla anche lo scienziato l'avrebbe seguita subito dopo e questo non doveva accadere. Maturò una scelta difficile, ma necessaria: abbandonare per sempre la casa di Agasa

 

Un forte tramestio di passi rimbombò nel corridoio della centrale, poco dopo la porta dell'ufficio si spalancò e un uomo dall'aspetto imponente, con il viso scarno e un paio di baffi neri entrò nella stanza seguito a breve distanza da una giovane ragazza.

Si avvicinò alla scrivania di Megure a passo sostenuto, evidentemente seccato di essere stato disturbato a quell'ora.

"Insomma Ispettore vuole spiegarmi perché ci ha fatto venire fino a qui nel cuore della notte?" Megure stava per rispondere, quando lo sguardo di Kogoro cadde proprio su Agasa, un secondo dopo fu colto da uno dei suoi strampalati deliri. "Ho capito! Scommetto che quella piccola peste di Conan insieme ai suoi amichetti ha fatto qualche danno, vero? Rivolse un'occhiataccia accusatoria nei confronti del vecchio scienziato. "Se è così, non appena lo trovo avrà ciò che merita e per avvalorare le sue parole vibrò un pugno con la mano destra sul palmo della mano sinistra e poi lo fece roteare su sé stesso."

"Sta calmo Kogoro non è accaduto nulla di simile, tuttavia, quello che devo dirti riguarda proprio Conan; forse è meglio che vi sediate." fece un cenno a entrambi di accomodarsi sulle sedie, ma l'investigatore privato rifiutò categoricamente. C'era una cosa che odiava a morte, era la gente che tergiversava.

"Allora ispettore si decide a parlare oppure no!"

"Come ti ho anticipato prima hai asserito una mezza verità in merito al ragazzino che viveva con voi!"

"ahhhhhh! Lo sapevo." urlò con un'espressione tronfia… "Sapevo che alla fine quel moccioso mi avrebbe messo nei guai…" Si guardò intorno freneticamente cercando ovunque con lo occhi quel piccolo monello. "Si è nascosto vero? Ma se lo trovo stavolta una bella dose di sculacciate non gliele toglie nessuno." e mentre lo diceva, si chinò per cercarlo sotto la scrivania di Megure.

"Conan non è qui!" Cantilenò l'ispettore in tono grave, non lo troverai nemmeno mettendo a soqquadro l'intero dipartimento."

Il volto di Kogoro riaffiorò da sotto la scrivania con espressione piuttosto ebete così buffa che strappò un mezzo sorriso anche a Megure.

Tutta quella storia stava cominciando a dargli sui nervi"Non capisco… insomma ispettore si può sapere a che gioco sta giocando."

"Non sto giocando Mouri." soggiunse il poliziotto evidentemente seccato da quella conversazione sterile. Poi si rivolse a Ran. È meglio che ti sieda le notizie che devo darvi non sono delle migliori."

Ran trasalì, lesse qualcosa nell'espressione enigmatica dell'ispettore, qualcosa che non le piacque per nulla.

"Non sarà mica successo qualcosa al piccolo Conan, vero?" La voce gli tremò appena.

La faccia di Megure si fece nuovamente seria. L'intero ufficio cadde in un religioso quanto snervante silenzio, Ran avanzò tremante verso la scrivania, nei suoi occhi una supplica; scrutò attentamente il viso dell'ispettore alla spasmodica ricerca un segno, una speranza che ciò che in quel momento stava pensando non corrispondesse alla realtà.

Un lieve accenno fatto col capo, smorzò ogni sua speranza.

"Sta tranquilla figliola deve trattarsi di qualche lieve ferita, lo sai come sono i bambini… non è vero ispettore?" Megure alzò nuovamente lo sguardo sul detective ma la sua bocca restò serrata.

"Insomma vuole dirci che diavolo gli è successo?" gridò Kogoro in un eccesso di rabbia.

"Ecco… purtroppo, si tratta di una cosa più grave… di qualche ferita!"

"Quanto più grave?"

"C'è stata un'esplosione in un magazzino e crediamo che il ragazzino sia rimasto coinvolto…"

Non appena l'ispettore ebbe terminato di parlare si udì un tonfo sordo. Kogoro si voltò atterrito verso sua figlia e la vide riversa a terra priva di sensi.

 

Fuggire.

Non pensava ad altro, non riusciva quasi a dormire, non mangiava, aveva persino interrotto le sue ricerche sull'Aptx. Andava in giro per la casa come uno zombie. Era viva, ma si sentita svuotata, continuamente imprigionata in quello stato di stordimento che dal giorno dell'incidente non l'aveva mai abbandonata. Aveva sperato tanto che Conan si facesse vivo, teneva il cellulare sempre vicino sperando che potesse chiamarla, ma non era accaduto… Spesso durante la notte si svegliava urlando, dopo l'ennesimo spaventoso sogno.

Non erano serviti tutti i tentativi del professore per cercare di consolarla, era responsabile di quanto accaduto.

I giornale avevano dedicato alla notizia un piccolo spazio in seconda pagina…

 

Esplosione in un magazzino al porto, un morto.

 

L'articolo non faceva alcun riferimento a possibili congetture su attentati terroristici, né sulla possibilità di collegamenti a qualche organizzazione criminale, soprattutto perché in quel deposito, vi era solo della chincaglieria, roba che non dava adito ad altri ipotesi se non quella di un gioco finito tragicamente.

La bocca della polizia poi, era più cucita che mai, per giorni non era trapelata nessuna informazione e nemmeno Kogoro era riuscito ad avvicinare Megure per avere chiarimenti sull'esatta dinamica dell'incidente. Tutti al dipartimento si guardavano bene dal divulgare notizie e fare dichiarazioni pubbliche, nel più assoluto rispetto per il dolore che la perdita di una vita così giovane aveva scatenato i tutte le persone che lo conoscevano.

Erano già trascorsi tre giorni, da quell'evento drammatico, da allora Ai non era più andata a scuola, Ayumi le aveva telefonato in mattinata, con la voce roca, tirava di continuo su con il naso segno che aveva pianto e non poco, voleva avvertirla che la loro classe avrebbe tenuto una cerimonia commemorativa speciale nella palestra a ricordo del loro piccolo amico scomparso, ma quella proposta fece letteralmente indignare la piccola scienziata che ancora rifiutava categoricamente di credere che Shinichi fosse morto, Era certa che quello scavezzacollo fosse ancora vivo, ferito certo, ma vivo, sarebbe spuntato fuori all'improvviso, con il suo solito sorrisetto da saccentone e quello sguardo accattivante, scusandosi per aver fatto venire i capelli bianchi a tutti quanti.

Il telefono sulla scrivania squillò. Ai rimase a fissarlo inebetita, un'ondata di panico le attraversò le membra. Quel maledetto affare squillava tutti i giorni a quell'ora dal momento dell'incidente, non sapeva chi fosse a chiamarla perché dall'altra parte l'interlocutore non aveva mai proferito parola. Ai era più che mai convinta che si trattasse di loro: gli uomini nero, Conan avevano ragione, sapevano dove trovarla, quelle telefonate, volevano significare che stavano arrivando, si divertivano sadicamente a torturarla, volevano portarla sull'orlo della follia e poi l'avrebbero ammazzata come un cane. Doveva fuggire, per evitare di coinvolger Agasa in questa maledetta storia; il dottore era fuori per fare compere Doveva approfittarne ora. Ai scese dal letto, si infilò un paio di jeans e una casacca con il cappuccio con la quale si coprì il capo, allacciò le scarpe da tennis, inforcò un paio di occhiali scuri e un giubbotto, non avrebbe portato altro con sé non né aveva bisogno. Scese i gradini che portavano all'ingresso secondario, sul mobile all'entrata lasciò il biglietto che aveva preparato precedentemente in cui si scusava con il dottore e gli spiegava le ragioni del suo gesto. Un breve messaggio senza inutili convenevoli, né frasi stucchevoli, non era nella sua natura perdersi in smielati sentimentalismi. Girò la maniglia e aprì la porta, uscì nell'atrio e sollevò la testa per rivolgere un ultimo saluto a quella casa che l'aveva accolta e protetta per tanto tempo, fece un profondo sospiro… era pronta, ora poteva andare via. Piroettò su sé stessa ma non appena lo fece si trovò faccia a faccia con un tipo losco dall'aspetto imponente, completamente vestito di nero. Il sangue le si gelò nelle vene, fu colta da un folle terrore. Erano arrivati, il momento era giunto. Fece un passo indietro, ma urtò contro qualcosa o meglio qualcuno. Un altro uomo era comparso alle sue spalle e incombeva su di lei pronto ad afferrarla. Ai si guardò attorno, tentare di fuggire era inutile, abbandonò le braccia lungo i fianchi e aspettò: avvertì una presa forte, bocca e naso affondarono in un fazzoletto intriso di cloroformio, tentò un’ estrema reazione ma fu inutile, quasi subito si sentì avvolgere da uno strano torpore e tutto divenne confuso infine perse i sensi definitivamente.

I due uomini vestiti di nero la caricarono in auto e poi ripartirono a gran velocità.

 

La voce automatica ripeteva da tre giorni a questa parte lo stesso messaggio: il telefono dell'utente chiamato era irraggiungibile. Stizzita Ran chiuse il cellulare e lo scaraventò ai piedi del letto, possibile che quando serviva Shinichi non era mai presente? In una situazione di questo genere, non poteva contare su di lui neppure per una parola di conforto. Sonoko aveva ragione, era solo uno stupido egoista, insensibile.

Si alzò dal letto e si diresse verso la finestra, il cielo era grigio e le nuvole cariche di pioggia, Ran sentì gli occhi inumidirsi, quella giornata così cupa acuiva il suo dolore.

Ran-neechan.

Appena un sussurro, una voce familiare ma lontana.

Ran-neechan

Di nuovo. Era un sogno, la mente a volte fa brutti scherzi. Conan era morto e non sarebbe più tornato, rimase con il viso rivolto alla finestra dando le spalle alla porta, doveva smettere di illudersi.

La maniglia scattò la porta si aprì, udì qualcuno entrò nella camera, un lieve frusciò di pantofole, una lacrima le scivolò sulla guancia.

Sua madre Eri aveva appena varcato la soglia di camera sua, aveva un'espressione affettuosa, gli angoli della bocca leggermente incurvati in un tenero sorriso.

"Vieni Ran-neechan vieni, la cena è pronta!"

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Capitolo 5
*** Una nuova speranza ***


5 CAPITOLO

 
Era come se un'altra parte di lei se ne fosse andata.
Aveva appena finito di farsi una doccia calda, l'asciugamano umido ancora avvolto nel suo corpo sinuoso, Jodie era seduta sul divano, intenta a rimuginare sugli ultimi avvenimenti. Non poteva credere che anche quel bambino fosse stato fatto fuori dall'organizzazione. Ne era rimasta sconvolta, tanto da cominciare a credere che non sarebbero mai riusciti a liberarsi di loro. Non solo Shu, il suo Shu, ma ora anche Shinichi. Due elementi indispensabili e ottimi elementi della loro squadra, ora non c'erano più… anche se ovviamente una piccolissima parte di lei credeva che Shu fosse ancora vivo. Più volte le era sembrato di incrociarlo per le vie di Tokyo, ma sapeva che era solo una pia illusione, era inutile continuare a sperare, era vano attaccarsi a quella piccola speranza. Perché non farsi vivo? Perché non contattarla? No, chi aveva visto era solo qualcuno che gli somigliava.
BipBip! Il suo cellulare la stava avvisando di un messaggio in entrata.
Svogliatamente lo prese, con l'indice aprì lo sportellino e ciccò il tastino per leggere il messaggio.
Il suo contenuto la sconvolse come un fulmine nel ciel sereno. Jodie si alzò di scatto e iniziò a tremare, non sapendo se per l'emozione o l'agitazione… continuò a rileggere quel messaggio inviato da un numero anonimo. Poche, chiare semplici parole.
Si vestì in fretta con i primi abiti che trovò buttati sul letto, prese le chiavi della macchina e uscì di corsa dal suo appartamento.
Doveva chiamare Lui…
Non fu facile per lei raggiungere la macchina, mentre cercava di comporre Quel numero… le mani le tremavano e fu costretta a rifare il numero ben tre volte.
'sta calma…' si ripeteva.
Entrò in macchina, mise le chiavi nel cruscotto e accese il motore, allacciò la cintura, si mise l'auricolare e partì a tutta velocità. Il telefono squillava e ancora non rispondeva.
"rispondi rispondi rispondi!"
"pronto?" finalmente la voce dall'altro capo aveva risposto.
 
Il buio pian piano divenne luce.
Ai socchiuse gli occhi e fissò dapprima il soffitto, poi lentamente e con gran fatica reclinò leggermente la testa da un lato, cercando di guardarsi intorno, tutto all'inizio le apparve indistinto, i suoi occhi dovevano ancora abituarsi a quella semioscurità.
La piccola sentiva le membra intorpidite, sollevare un braccio era quasi un utopia, nei minuti successivi, l'effetto del anestetico diminuì, i suoi sensi acquistarono nuovamente vigore e i ricordi iniziarono a riaffiorargli nella mente… rivide i volti dei due uomini che l'avevano rapita è un brivido di terrore le attraversò la schiena temendo di doversi trovare faccia a faccia con Gin o, addirittura il Boss in persona, ma poi si accorse di essere sdraiata su un divano, la porta che dava su un'altra camera era semiaperta e dallo spiraglio un piccolo fiotto di luce illuminava appena, la stanza dove si trovava, niente corde a legarla o altro.
Perché?
D'un tratto udì delle voci provenire dalla camera attigua, c'erano due uomini nella stanza accanto e discutevano animatamente.
"No, non adesso! Prima voglio tutte le informazioni…"
"ma perché aspettare? Facciamolo!"
"No! Prima è toccato a quel bambino…"
"appunto!" lo interruppe l'altro.
Silenzio.
Ai era terrorizzata. Cercava di respirare piano in modo da non farsi sentire e tremava. Si era rannicchiata come meglio poteva, sperando di scomparire, ma nel muoversi aveva urtato qualcosa che era poi caduto a terra producendo un suono argentino.
"aspetta…" disse uno dei due uomini
La bambina udì dei passi, la porta si aprì lentamente facendo entrare altra luce. C'era un uomo fermo sulla soglia era alto e robusto, ma a parte questo la ragazzina non poté scorgere altro visto che la figura era completamente avvolta nel penombra, l'uomo avanzò a passi decisi verso il divano. Ai fu presa dal panico, più si quell'individuo si avvicinava più il cuore le batteva forte, sudava e tremava. Quando il misterioso uomo fu a un passo da lei. Ai si premette i pugni sugli occhi convinta oramai di essere giunta alla fine.
"Ti sei svegliata…" disse una voce tutt'altro che nemica. Lei rimase immobile, almeno per quanto il tremore lo consentiva.
L'altro uomo accese la luce e finalmente Ai vide il volto del tizio che le stava di fronte e con suo grande stupore scoprì che si trattava dell'ultima persona che si sarebbe aspettata: James Black, capo dell'FBI.
"Lei?!" disse scioccata
"perdona i miei modi poco ortodossi nel condurti qui…" si scusò. Mettendosi a sedere sul divanetto vicino a lei, le gambe accavallate e le mani appoggiate al mento, fece cenno al suo collega di uscire e lui obbedì.
Ora erano rimasti soli
"… non erano Loro?" chiese con gran sollievo. Il tremore sparì d'improvviso e si mise a sedere anche lei, tranquilla.
"ho ordinato di portarti qui da me per un semplice motivo: la tua incolumità."
Ai lo stette a sentire, sollevata nel sapere che non erano stati i MIB a catturarla, bensì l'Fbi certo avrebbe potuto essere un po'più gentili.
"ma… perché? Non potevate semplicemente…" Black la interruppe bruscamente
"perché sapevo che non avresti accettato." Si alzò e andò verso la finestra aprì le imposte lasciando entrare il calore di un sole splendente.
Ai non capì.
L'uomo di Chicago si girò verso la bambina e la fissò con tanta intensità, che lei si sentì a disagio, cosicché prese a fissarsi le scarpe.
"da questo momento in poi verrai inserita nel Programma Protezione Testimoni" gli disse con fermezza
"cosa? Sta scherzando?" quell'affermazione la costrinse ad alzare nuovamente lo sguardo su James, uno sguardo deciso e risoluto che non accettava replica.
No, no, no. Ho già rifiutato di aderire al programma, voi non potete costringermi a…"
Lo sguardo di Black si fece duro.
"sei in grave pericolo, se torni dov'eri e non accetti la nostra protezione quelli dell'organizzazione tenteranno di eliminarti esattamente come è hanno tentato di uccidere il tuo piccolo amico Conan e io non permetterò che qualcun altro rischi la vita!" gli urlò quelle parole veritiere con una tale determinazione e fermezza che Ai non riuscì a controbattere subito.
"io… non voglio più scappare." Mormorò. Poi si accese un lampo nella sua mente
"cosa intende con "hanno tentato?"
calò un silenzio carico di significato, Ai si alzò e guardo Black attraverso le sue lenti e vide una luce strana nei suoi occhi. No, non era vero, non doveva cascarci.
"vuole dire che Shinichi…" Un magone le strozzò le parole in gola e le lacrime cominciarono a inumidire i suoi occhioni da bambina.
A quel punto Black si avvicinò alla ragazzina con fare paterno, si inchinò affinché i loro visi potessero essere l'uno davanti all'altro, le mise una mano sulla spalla e sussurrò
"Sì, Conan è vivo."
 
Jodie correva per quell'edificio immenso. Perché diamine esistevano tutti quei reparti?
Un infermiera, molto gentile vide quella poveretta correre con un' espressione terrorizzata, così la fermò
"scusi, sta cercando qualcuno?"
Jodie col fiatone si fermò all'istante e cercò il fiato per parlare "devo… trovare il reparto rianimazione…" il cuore le batteva più che mai.
L'infermiera l'accompagnò fino al terzo piano. Salirono in l'ascensore, pochi istanti, che parvero un'eternità. L'infermeria le diede indicazioni per arrivare fino bancone dove avrebbe trovato un'infermiera che avrebbe certamente saputo darle l'informazione che cercava. Jodie la ringraziò con un breve inchino e poi si avviò lungo il corridoio. Il reparto era immerso nel più assoluto silenzio. L'agente dell'Fbi attraversò a passi veloci quella lunga corsia bianca guardandosi intorno, di tanto in tanto qualche infermiere le passava accanto trafelato. Raggiunse il bancone che le era stato indicato; lì vi trovò una donna corpulenta intenta a scrivere al computer. Si schiarì la voce per attirarne l'attenzione poi con fare gentile le chiese di un bambino, sui sette anni e lo descrisse.
L'infermiera annuì e a sua volta la condusse in una stanza dove Jodie poté fare la conoscenza del medico del reparto: un uomo trasandato con i capelli grigi, alto, dalle membra ossute e lunghe, gli occhi di un colore azzurro sbiadito. Accolse la giovane donna con un sorriso cordiale e una breve stretta di mano, poi si accodarono alla scrivania.
"sì, l'hanno portato qui due giorni fa." annuì l'uomo rispondendo alla domanda di Jodie. L'espressione era grave come il tono della voce e non lasciavano presagire niente di buono. "purtroppo pero…" il dottore fece una breve pausa cercando mentalmente le parole giuste per dare quella notizia così spiacevole. "… il bambino è in coma da quando è arrivato qui e devi dire che è già un miracolo il fatto che sia arrivato vivo. Era in uno stato… pietoso" l'unico aggettivo che trovò per descriverlo.
"La prognosi è ancora riservata, ma… dubito che si risveglierà… ha perso parecchio sangue, aveva due pallottole conficcate nelle ossa, per fortuna non hanno toccato organi vitali, ma è in cattivissime condizioni.
La sua vita è appesa a un filo." Jodie ascoltò con attenzione e pensava a quante ne avesse dovute passare quel povero bambino.
"Posso vederlo?"
"Al momento non è possibile, è comunque come le ho già spiegato versa in stato comatoso… ma lei per caso lo conosce? È per caso una sua parente?"
"Beh, sì, diciamo, così."
"Allora può darci qualche informazione, vede fino a ora non sapevamo chi fosse, la persona che lo ha portato qui non ha lasciato detto nulla, lei mi capisce non avendo generalità non ci è nemmeno stato possibile rintracciare i suoi parenti"
Jodie sorvolò sull'ultima frase, era più interessata a sapere chi avesse trasportato in ospedale il ragazzino. "Cosa può dirmi della persona che lo ha portato qui?"
"Io non l'ho visto, ma l'infermiera che era di turno ha detto che era un tipo strano, subito dopo aver lasciato il bambino è andato via in tutta fretta.
"se fosse possibile, avrei bisogno di una descrizione accurata di quest'uomo." Jodie accavallò le game e assunse un'aria professionale. "Non avete notato niente altro che possa aiutarmi a identificarlo?"
"Come le ho detto io non l'ho visto dovrebbe parlare direttamente con l'interessata, se vuole le scrivo il suo nome e cognome…" prese un foglio di carta e una penna, poi scarabocchiò velocemente qualcosa: Midori Yamano. Infine lo consegnò a Jodie. "Stanotte dovrebbe essere di turno, consultò rapidamente l'orario, "sì dovrebbe attaccare alle 21.00.
"La ringrazio per l'informazione dottore." Jodie di alzò e si avviò verso la porta.
"Lei ha tutta l'aria di una poliziotta…" le disse il medico in tono sarcastico.
Jodie si portò un dito sulle labbra e fece l'occhiolino, il dottore la fisso con un'aria piuttosto sorpresa "A secret makes a woman." Poi uscì dalla stanza lasciando l'uomo inebetito, si mise a sedere su una delle panchine e attese, non poteva vedere Conan, tuttavia sapere che era ancora vivo, la fece sentire un po' meglio.
Si sentiva in colpa per tutto l'accaduto e pregava perché si risvegliasse presto.
Sì, Shinichi c'è l 'avrebbe fatta. Era sopravissuto a quell'esplosione, poteva farcela. Eppure…
Le parole del medico, la sua espressione vuota non lasciava spazio alla speranza. Ma lei voleva credere il Conan, voleva crede che potesse guarire.
Guardò il foglietto che il dottore le aveva dato e che stringeva ancora in mano. Chi aveva portato il bambino in ospedale? È perché era praticamente fuggito subito dopo? Di cosa aveva paura?
 
Ai era senza parole. Incapace di respirare quasi, continuava a guardare James come pietrificata. Lacrime continuavano a sgorgare dai suoi occhi e d'un tratto un desiderio enorme la avvolse
"voglio vederlo subito!"
"Mi dispiace, ma…"
"la prego!" lo sguardo della bambina era supplichevole, piangeva disperata e si aggrappò alla sua giacca dalla disperazione.
Black, commossa dai suoi sentimenti, decise di acconsentire.
Un nuovo barlume di speranza si destò nella piccola scienziatina e nell'FBI.
 

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Capitolo 6
*** Superiamo la tristezza ***


6 capitolo

Jodie Starling si mise ad aspettare carica di nervosismo nella hall dell'ospedale, fissando il banco accettazione. Ai era riuscita a ottenere il permesso di poter vedere Conan, anche se solo per pochi minuti.
L'ultimo bollettino dei medici non era incoraggiante, il piccolo detective versava ancora in stato d'incoscienza, il suo corpo non rispondeva a nessuna sollecitazione, se questa situazione si fosse potratta ancora, il dottore aveva sentenziato senza mezzi termini che avrebbe dichiarato la morte celebrale del paziente e fatto staccare le macchine che lo tenevano in vita.
Gli occhi della donna si riempirono di lacrime, il cuore le si strinse in una morsa dolorosa. Come avrebbe potuto dirlo ad Ai?
"Jodie" l'agente trasalì udendo pronunciare il suo nome. Un uomo alto, robusto, dal viso squadrato e senza sopracciglia le si era avvicinato e le aveva poggiato una mano sulla spalla con gentilezza.
André Camel era un buon agente dell'Fbi, nonostante due anni prima avesse mandato a monte un'operazione contro l'organizzazione, un errore che aveva fatto fallire l'infiltrazione di Shu all'interno dei Mib ed era costato indirettamente la vita ad Akemi Miyano fidanzata di Akai: un errore che non si era mai perdonato.
"Allora che dicono i medici?"
Jodie non rispose si limitò ad abbassare lo sguardo. Andre scorse negli occhi azzurri della sua collega un' espressione straziante, uno sguardo carico di dolore e di rabbia allo stesso tempo a cui non serviva aggiungere parole.
"Mi spiace." Fu tutto quello che riuscì a dire.
Jodie non si voltò, non proferì parola, si limitò semplicemente a fissare il vuoto.
"James ha parlato con il direttore sanitario e sta predispondendo affinché il ragazzino venga trasferito a New York. C'è un ospedale che forse può fare qualcosa per lui. In ogni caso non consigliabile che i due testimoni restino qui troppo a lungo, quelli dell'organizzazione potrebbero trovarli, sono certo che sono già al corrente della sparizione di quella Sherry e si saranno subito attivati per rintracciarla."
"Perché doveva accadere proprio a lui?" chiese Jodie in tono afono.
Andre si lasciò cadere su una poltroncina. "Sapevamo che prima o poi sarebbe successo, avremmo dovuto inserire prima quei due nel programma testimoni, ora avremmo in mano tutte le informazioni per mettere fine all'organizzazione."
Jodie non stava ascoltando la sua mente aveva un filo di pensieri tutto suo:"Non so proprio come farò a dirlo a quella ragazzina…" soggiunse infine.
"Avanti cerca di non abbatterti, potrebbe anche essere che i medici si siano sbagliati, James ne è convinto, vuole sentire un'altra campana per questo trasferirà il ragazzino."
Jodie si voltò lentamente, respirò a fondo e guardò verso Camel, poi si avviò agli ascensori premette il pulsante e attese.
 
Ai stava guardando Shinichi dalla soglia della porta, ma tutto ciò che riuscì a vedere nella semioscurità della stanza fu un fagottino sdraiato supino, a cui erano collegati un mucchio di elettrodi. I bip cadenzati della macchina che registrava continuamente il battito cardiaco e il respiro irregolare del bambino che poteva respirare solo grazie all'ausilio della maschera a ossigeno riempivano una camera altrimenti silenziosa.
Non era stato semplice ottenere quel permesso, aveva dovuto ricorrere a tutte le sue abili doti persuasive: fingendo addirittura di piangere come una fontana pur di smuovere a pietà il cuore dell'infermiera che subito si era lasciata intenerire dal sincero dolore della piccola.
Dalla sua posizione la scienziata non era riusciva a vederlo bene, ma quando si avvicinò al letto, dovette fare uno sforzo per controllare le sue emozioni.
Ciò che vide davanti a sé fu un ragazzino esile, pallido, che non dimostrava affatto la sua età. La spalla destra era fasciata, così come la testa. Le braccia nude giacevano abbandonate lungo il corpo. Il volto era deformato da un lieve gonfiore e da qualche ammaccatura violacea, gli stessi segni erano presenti sul collo come se qualcuno avesse tentato di strangolarlo.
"Shinichi?" La voce di Ai era quasi un sussurro, gli sfiorò appena la mano, ma il piccolo continuò a restare immobile. Due grossi lacrimoni le scivolarono lungo le guance e caddero sulla mano che stringeva quella del suo piccolo amico.
"Non farmi brutti scherzi Shinichi…" pensò trattenendo a stento le lacrime. "Sei proprio uno stupido!" disse in una sorta di velato e accorato rimprovero."se solo mi avessi dato retta ora non staresti sdraitato in questo letto a lottare fra la vita e la morte. Perché, perché hai voluto fare di testa tua!" Ai strinse più forte al mano di Conan, due rivoli ininterrotti di lacrime gli scivolarono sulle guance.
Un rumore di passi, la fece trasalire, si asciugò subito gli occhi sulla manica della maglietta e poi fissò la figura che era appena entrata nella stanza. Una donna alta, bionda con due immensi occhi azzurri dietro un paio di occhiali bordati di nero.
"Dobbiamo andare…" disse Jodie lentamente.
Ai scosse piano la testa.
"Voglio restare qui e occuparmi di lui."
"Non puoi fare niente…" azzardò la donna, ma si trattenne dal continuare.
Ai ondeggiò nuovamente il capo.
"Si sbaglia." La voce della piccola scienziata suonava come un amminimento."Recenti studi, hanno dimostrato che le persone in stato vegetativo sono in grado di comprendere e con il tempo rispondere agli stimoli esterni che provengono dalle persone a cui erano legate in vita! Io sono sicura che Shinichi può sentirmi, le dirò di più sono certa che si riprenderà, presto riaprirà gli occhi, in quel caso, voglio essere la prima persona che vedrà al suo fianco. "
Jodie avrebbe voluto raccontarle la verità: dirle che secondo i medici non c'era alcuna speranza che Conan si svegliasse dal coma, ma non ne ebbe il coraggio. Si sfilò gli occhiali e premette sugli occhi cercando di soffocare le lacrime. Fece un enorme sforzo per cercare di trattenere le proprie emozioni, poi riprese a parlare, cercando di dominare il tono di voce:
"Non so se ti consentiranno di restare, a tutti gli effetti sei solo una bambina…"
"Sono certa che se parla con il direttore sanitario non ci saranno problemi." rispose la ragazzina con tono risoluto.
La fermezza dimostrata da Ai lasciò l'agente dell'Fbi interdetta ma nello stesso tempo la intenerì poteva comprendere fin troppo bene quali erano i sentimenti che la bambina stava provando, perché erano gli stessi che lei aveva provato e provava ancora per Shu.
"È va bene." sospirò infine. "Si dice tentar non nuoce… proverò a parlare con il direttore, ma posso assicurarti che riuscirò a ottenere quello che vuoi!"
Ai fece spallucce. "Qualunque cosa dirà, non mi muoverò da qui." ma quelle parole la donna non le poté udire, erano un sussurro, una rassicurazione che la scienziata aveva voluto dare al piccolo detective.
Jodie uscì dalla stanza…
Ai resto lì immobile a fissare il volto del ragazzino che amava con occhi pieni di dolcezza mentre con le mani gli accarezzava i capelli. "Non ti lascerò solo, resterò qui accanto a te e farò tutto ciò che è nelle mie possibilità, affinché tu guarisca presto Shinichi!"
 
"Ci sono brutte notizie capo." annunciò Vodka subito dopo aver chiuso la telefonata.
"Avanti che cosa è successo adesso?" l'uomo biondo rimase impassibile, continuò a tenere lo sguardo fisso sulla strada e non girò neppure la testa verso il suo complice, stava finalmente per mettere le mani sulla sua preda più ambita, niente avrebbe potuto rovinare quel momento.
"Beh, ecco…" Vodka tergiversò prima di rispondere, temeva la reazione di Gin, era un tipo che non amava perdere, sapeva che si sarebbe infuriato.
"Si tratta di lei…" fece un'altra pausa, cercando mentalmente le parole più giuste per potergli dare la notizia.
"Che cos'altro ha fatto la nostra Sherry stavolta…"
"… la nostra spia mi ha appena comunicato che è sparita, sembra sia andata via, che abbia abbandonato il posto in cui era…"
Gin premette con tutta la forza che aveva sul pedale del freno, inchiodando l'auto proprio al centro della strada e lasciando sull'asfalto due lunga scie nera e un terribile odore di gomma bruciata. Vodka era pallido come un cencio.
"Che diavolo vuol dire sparita." Adesso l'uomo dal volto di ghiaccio guardava il suo compare con un'espressione assassina.
"Non prendertela con me capo, io ti sto solo riportando quando mi è stato comunicato." La voce di Vodka tremò debolmente.
Gin afferrò il telefono compose un numero e poi restò in attesa. Dopo qualche squillo dall'altra parte rispose una voce maschile.
"Che diavolo mi combini Bourbon? Che vuol dire… sparita?" attaccò subito senza tanti preamboli
"Mi spiace Gin." si giustificò l'uomo dall'altro capo del telefono, ma non mi sono accorto di nulla, sembra che la ragazza sia andata via stamani di sua spontanea volontà, ha persino lasciato un biglietto…"
"Non mi interessa come abbia fatto, il tuo compito era quello di sorvegliarla e invece te la sei fatta scappare sotto il naso! Al capo non piacerà!"
"non ti scaldare Gin, non credo che possa essersi allontanata troppo è pur sempre una bambina, conto di poterla ritrovare presto!"
"Me lo auguro davvero!"
"non preoccuparti, sono certo di sapere dov'è, non ci sono molti posti in cui possa essersi nascosta."sospirò. "Mi rifaccio vivo io appena ho qualche novità." detto ciò attaccò.
Dall'altro capo Gin cominciò a imprecare, non amava che qualcuno lo liquidasse in quel modo, non aveva mai visto di buon occhi quel Bourbon se solo avesse potuto gli avrebbe sparato un colpo in mezzo agli occhi, ma il capo lo aveva scelto come spia e lui non aveva potuto opporsi.
"Che cosa ti ha detto!"
Gin era furente, Vodka percepì distintamente l'istinto omicida che pervadeva l'animo del suo compagno.
"Vorrei poterlo ammazzarlo come un cane quel maledetto farabutto!" ringhiò fra i denti. "Avrebbero dovuto dare a me l'incarico di trovare Sherry."
"Non prendertela così, vedrai che prima o poi la prenderemo non può continuare a sfuggirci per sempre."
"Già e quando l'avrò fra le mani, le farò rimpiangere amaramente di essersi presa gioco dell'organizzazione." Focalizzò nella sua mente l'immagine di Shiho e un ghigno malefico brillò nell'oscurità.
Voglio vedere i tuoi bei occhioni, fremere di terrore e il tuo volto impallidire, mi supplicherai di risparmiarti ma io non avrò alcuna pietà di te!"
Rimise in moto l'auto e ripartì facendo fischiare le gomme.
 
 

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Capitolo 7
*** Verso una nuova destinazione ***


7 Capitolo

Una volta in clinica Conan venne sistemato in una stanza, chiusa a chiave sorvegliata da Camel e da altri uomini. Anche Ai volle restare in clinica nonostante le vivide proteste di Jodie. La bambina si sedette davanti alla sua stanza e restò in attesa. I suoi pensieri erano tutti rivolti a Shinici, sperando da un momento all’altro si svegliasse.
Una parte di lei avrebbe voluto prenderlo a schiaffi per il suo comportamento impulsivo ed inconscente.
L’altra invece…
Desiderava tanto abbracciarlo. Quanto avrebbe voluto potergli confidare i suoi veri sentimenti.
Ma conosceva già la risposta. Lui amava Ran, la sua vecchia amica d’infanzia. Sapeva che niente e nessuno avrebbe potuto sostituirla.
E allora i sentì una stupida per aver pensato anche solo un momento di potergli confessare i suoi sentimenti.
Una piccola lacrima gli rigò il volto da bambina e strinse ancora di più i suoi piccoli pugni.
 
Jodie intanto ne approffitò per andare a parlare col dottore Simpsons. Percorse il corridoio e andò nel suo ufficio. La porta della stanza era aperta. La donna oltrepassò silenziosamente la soglia. Peter era intento a consultare la cartella clinica di Conan proveniente dall’altro ospedale, era una lettura attenta e assorta che di tanto in tanto gli faceva corrugare la fronte e arricciare le labbra. Jodie palesò la sua presenza con un leggero colpo di tosse. L’uomo sollevò immediatamente lo sguardo, si alzò dalla scrivania e con fare molto elegante si diresse verso la donna stendendo la mano. Peter era un uomo molto avvenente, un tipo atletico, dal sorriso smagliante e dai modi gentili.
“Salve mi chiamo Jodie starling.”
“So chi è, James mi ha parlato di lei. Prego si accomodi.” Prese una sedia e la posizionò davanti alla sua scrivania, poi con accompagnando il gesto con un sorriso fece cenno ad Jodie di sedersi.
 “vorrei sapere qual è la sua opinione dottore, ha visitato il bambino, ha letto la sua cartella clinica: che idea si è fatto?” chiese la donna senza tanti preamboli.
L’uomo appoggiò i gomiti sulla scrivania e poi fissò pensieroso la relazione che aveva davanti. ”Senza dubbio la situazione è critica e sicuramente dovranno essere effettuati altri esami, tuttavia credo che alcune considerazione dei miei colleghi siano state fatte in modo troppo frettoloso e poco professionale. Con questo non voglio creare nessuna falsa speranza,  prima di poter dire qualcosa di certo dovrò fare altri controlli.
“Quindi non tutto è perduto dottore?”
“Diciamo che esiste una piccola possibilità che il bambino possa riprendersi, ma qui lo dico e qui lo nego, lei capisce...”
Jodie non poteva credere a quello che sentiva, anche se il condizionale era d’obbligo, forse non era tutto perduto, esisteva una flebile, piccola speranza che Conan potesse salvarsi, rimase per un attimo interdetta, combattuta dalla voglia di non lasciarsi prendere da vane speranze  e quella di correre da  Ai per raccontarle quello che aveva saputo, ma poi ripensò alle parole del medico, in fondo non c’era ancora nulla di certo e illuderla inutilmente sarebbe stato crudele,   il dottore non si era sbilanciato in una diagnosi sicura, forse per il momento era meglio aspettare che venissero fatti altri controlli almeno avrebbe potuto dare alla bambina una risposta esauriente. Si alzò in piedi, salutò il dottore con una vigorosa stretta di mano e uscì dalla stanza. Si sentiva un po’ pià sollevata. Andò in bagno per ricomporsi, la sua immagine davanti allo specchio la fece rabbrividire sembrava invecchiata di almeno dieci anni: occhiaie viola e infossate, occhi rossi dalla stanchezze e il viso pallido, come quello di uno zombie. Ecco cosa sembrava, uno zombie. Uscì dal bagno e appena ne varcò la soglia, senti i nuovo lo strano presagio:
due occhi che la fissavano.
Si girò di scatto,ma non c’era nessuno.
Eppure gli era sembrato di aver visto di nuovo quella figura nera.
Andò da Ai, la quale non mosse un muscolo, sembrava una statua. Si sedette accanto e insieme rimasero lì, una di fianco all’altra, ognuna immersa nei proprio pensieri.
 
 
I giorni successivi furono frenetici, tutti gli esami svolti diedero esito negativo, e persino l’ematoma che premeva sul cervello si stava riassorbendo in modo veloce, il dottore era certo che esisteva una possibilità che Conan sopravvivesse, tutto dipendeva dal ragazzo e da quanta ostinazione dimostrasse nel voler continuare a vivere.
Ai e Jodie si sentirono rincuorate ora dovevano semplicemente aspettare, aspettare e  sperare.
 

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