And I swear that I don't have a gun.

di Michelle Guns
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 Aprile 1994. ***
Capitolo 2: *** "Courtney? Kurt è scomparso." ***
Capitolo 3: *** Mi chiamo Alyson Steward e nel 1995 avevo 26 anni. ***



Capitolo 1
*** 1 Aprile 1994. ***


Dico subito, questa sarà una FF piuttosto corta, avrà pochi capitoli ed è venuta fuori da una piccola idea che ho avuto, un pomeriggio...spero vi piaccia, e mi farebbe piacere ricevere delle vostre recensioni :)


- "Sto per diventare padre!" Mi disse lui, seduto sul mio letto sorridendo. Avevo ancora l'immagine fresca nella mia mente, come se fosse successo ieri. I capelli biondi gli cadevano leggermente davanti al viso, e il suo sorriso era pieni di gioia. Lo abbracciai forte, mi piaceva vederlo felice.

Ormai erano passati più due anni da quel giorno. Ripensando a quella scena mi infilai il cappotto, presi le chiavi ed uscii di casa. L'aria di quella sera aveva qualcosa di strano. Era il 1° Aprile 1994, eppure faceva freddo, lo stesso freddo che si percepisce alla fine di Febbraio. Erano le 23.50 circa, e il cielo nero ed era illuminato solo dai lampioni scintillanti del mio quartiere di Seattle. Non c'era un'anima in giro, ma non ero preoccupata, non era un posto pericoloso, quello lì. A differenza del mio migliore amico Kurt, io avevo sempre abitato in una zona di Seattle piuttosto tranquilla, quella in cui di solito ci abitano i ricconi snob insieme ai loro cani fastidiosi. Non fraintendetemi, amo gli animali, ma quando il barboncino della tua vicina inizia ad abbaiare alle 2 di notte e smette alle 5 di mattino beh, non è una cosa poi così piacevole. Comunque, stavo dicendo...mi ero trasferita a Seattle in primo superiore, poiché mio padre aveva voglia di un cambiamento, e diceva che Federal Way ormai gli stava stretta. Ci era cresciuto in quella città, gli piaceva, ma era ora di staccarsi dalle radici e crearsi una nuova vita. All'inizio non ero per niente contenta, avrei dovuto lasciare tutti i miei amici, cambiare scuola e mi sarei ritrovata in un posto nuovo, nel quale non conoscevo nessuno. Ricordo che il primo giorno di scuola fu un incubo. Io ero la nuova arrivata, quella che tutti guardano strano perché arriva da un'altra città, non sa come funzionano le cose a Seattle, e non ha amici, perciò se ne va in giro da sola come una depressa. Sì, depressa...Avrei voluto vedere loro nella mia situazione, le cose non erano così facili come sembravano. Dopo due giorni conobbi in una pizzeria un ragazzo di due anni più grande di me, che frequentava un'altra scuola. Mi si avvicinò vedendomi seduta da sola a un tavolo e iniziò a parlarmi. Mi sembrò così gentile, non capivo perché volesse tirarmi su di morale, ma non importava, perché ci stava riuscendo. E quel ragazzo non mi abbandonò mai, neanche dopo 10 anni, lui era ancora il mio migliore amico, nonostante le cose fossero cambiate parecchio. Nel 1987 mia madre si ammalò di Tubercolosi, e la malattia se la portò via in poco tempo. Mio padre dovette quindi provvedere da solo a me e a mia sorella Jennifer, di due anni più grande di me. Da qualche anno si era poi traferito in una città vicino a Seattle per motivi di lavoro, lasciando me e mia sorella a casa, da sole. Lo aveva fatto per noi, ci spediva quasi tutto ciò che guadagnava, e per lui teneva solo i soldi per l'affitto, le bollette e lo stretto necessario per vivere. Mi sembrava egoista lasciare tutta la fatica a lui, così mi cercai un lavoro come cameriera al Vincent Restourant, a pochi chilometri da casa, mentre mia sorella riteneva che i soldi che io e mio padre guadagnavamo sufficienti, e ciò la spinse a non cercare lavoro. Mio padre non le faceva pesare la situazione, ma Jennifer ormai aveva 27 anni, era grande ed era ora che iniziasse a lavorare. Inutile dire che mi ignorasse ogni volta che glielo dicevo. Quella sera c'era lo sciopero dei pullman, perciò invece che aspettare alla fermata più vicina, proseguii dritto, verso casa del mio migliore amico Kurt, quello del quale vi stavo parlando prima. Era divertente vedere le reazioni delle persone quando dicevo "Sì, lo conosco, è il mio migliore amico!" quando in TV appariva qualche video dei Nirvana. Kurt infatti era il cantante e chitarrista di una delle band più famose di quel tempo, e io ero così orgogliosa di lui...l'avevo visto diventare grande, fare carriera, salire su palchi con migliaia di persone davanti ad acclamarlo, e io ero felice...ero felice perché se lo meritava. Ma ultimamente non era più lo stesso...quando avevo 19 anni, e lui 21, iniziammo a farci la nostra dose giornaliera, e non potevamo farne più a meno. Non passò molto tempo quando mi accorsi che tutto quello che stavo facendo mi portava solo danni, così smisi. Provai a far smettere anche lui, ma la cosa fu molto difficile. Ormai era diventata un ossessione, si sa, la droga fa questo effetto, così lasciai perdere, ma ogni tanto cercavo ancora di persuaderlo. Da qualche mese si era trasferito a Seattle, di nuovo, perché aveva avuto problemi con la moglie, così decise di tornare nella sua città, ma non puntò in alto, non volle prendere un appartamento in un quartiere come il mio, si accontentò di una piccola mansarda in una zona piuttosto malfamata, in un palazzo cadente. E più i pensieri scorrevano nella mia mente, più le mie gambe accelleravano il passo. Ancora poche centinai di metri e sarei arrivata a casa di Kurt, il ché un po' mi rassicurava, ma un po' mi metteva paura, perché sapevo di trovarmi in un quartiere pericoloso, e tutto ciò che volevo era andare a casa del mio migliore amico, dove sarei sicuramente stata al sicuro. Passai davanti a un Motel malandato, con l'insegna luminosa alla quale mancavano alcune lettere. "Ci sono quasi..." mi ripetevo mentalmente, mentre contavo i palazzi che mi separavano dalla mia destinazione. Avevo fatto quella strada talmente tante volte che ormai quelle case erano ben impresse nella mia mente. Infilai una mano nella tasca del giubbetto ed estrassi la copia che possedevo delle chiavi dell'appartamento di Kurt. Mi aveva fatto fare un duplicato perché, come diceva lui, così avevo piena libertà di entrare in casa sua per qualsiasi mio bisogno, ma in realtà ho sempre pensato che lo fece per paura. Era ridotto piuttosto male negli ultimi tempi, e non era difficile credere che gli sarebbe potuto succedere qualcosa in casa, mentre era da solo. Così io, avendo le chiavi, sarei potuta andare a controllare in qualsiasi momento. Era stata una grande idea, e almeno così stavo più tranquilla. Aprii il portone d'ingresso e iniziai a salire le scale, fino ad arrivare all'ultimo piano. Infilai le chiavi nella serratura, e appena entrai in casa sentì subito una puzza di chiuso e di fumo.

- "Kurt? Hey, dove sei? Sono Alyson!"

Niente, nessuna risposta. Entrai in salotto, ma ancora niente, lui non c'era. In compenso però c'erano oggetti sparsi per tutto il pavimento, vestiti sporchi e piatti da lavare. Dio mio, quella casa era ridotta ancora peggio dell'ultima volta. Continuai a chiamarlo, senza ricevere una risposta, finché non entrai in camera e lo vidi. Seduto in un angolo, testa appoggiata al muro, occhi chiusi e una siringa a terra. Si era drogato, di nuovo. Non ne potevo più, non riuscivo più ad entrare in quella casa e vederlo in quelle condizioni, non capiva che si stava facendo solo del male? Mi avvicinai a lui con l'aria di chi ha appena visto ciò che più non voleva vedere, lo scossi un po', giusto quel che bastava per fargli aprire gli occhi, poi sussurrò "Oh, Alyson...sei qui...!"

- "Sì, Kurt, sono qui. Ti ho anche chiamato, ma ovviamente non mi hai risposto..." dissi, afferrando la siringa e gettandola in un sacchetto. "Non credi che sia ora di smettere?"

- "Sai che non ci riesco..."

Aveva ragione, ci aveva provato, ma aveva fallito. Lo guardai attentamente, e, come la casa, era messo peggio dell'ultima volta. Gli occhi rossi, i capelli biondi scompigliati, la barba ispida. Indossava dei jeans stracciato e una canottiera bianca, ai piedi delle pantofole blu.

- "Da quanto ti sei fatto?" chiesi.

- "Mezz'ora, credo...no...di più...un paio d'ore..." mi guardò con sguardo supplicante. "Ho finito l'Eroina..."

- "No, Kurt, NO. Io non andrò a comprartela, sia chiaro! Devi smetterla!!"

- "Per favore...ne ho bisogno..."

- "No, ti stai distruggendo con le tue stesse mani, e io non ti aiuterò a farlo!" Sbottai.

Lui continuava a guardarmi con uno sguardo rassegnato. Sapeva che avevo ragione, era grato per quello che stavo facendo, ma non poteva comunque farne a meno. mi alzai in piedi e lo osservai dall'alto. "Da quanto non mangi?"

- "non lo so...non mi ricordo..."

Sbuffai. Raccolsi il sacchetto nel quale avevo buttato la siringa e iniziai a gettarci dentro ogni tipo di scartoffia che trovavo sul pavimento. Ci misi venti minuti buoni, ma almeno ora si riusciva a camminare. Aprii una finestra per far ossigenare la casa. Non usciva da giorni ormai, e dal momento in cui si chiuse la porta, le finestre non erano mai state aperte. Poi mi riavvicinai a lui e gli tesi entrambe le mani, aiutandolo ad alzarsi.

- "Rimani qui a dormire?" Mi chiese con un filo di voce.

- "Sì, Kurt. Non ti lascio da solo in queste condizioni." poi mi diressi verso la cucina per preparargli qualcosa da mangiare. Il frigo era praticamente vuoto, non c'era niente degno di un pasto fatto bene. Solo della birra, un po' di Coca Cola, qualche yogurt e della frutta andata a male. "Perfetto..." pensai. "Ora che gli faccio mangiare?". Girata verso il lavandino non mi accorsi che Kurt si stava avvicinando a me. Mi cinse i fianchi con le mani e mi diede un bacio sulla guancia. In quel momento mi parve di tornare a quando lui ancora non aveva sua figlia Frances, quando stava tutto il tempo a casa mia e la gente ci scambiava per una coppia per quanto eravamo affiatati. Poi era arrivata quella Courtney, che piano piano lo allontanò sempre di più da me, e lo portò all'autodistruzione. Non dico che fossi gelosa, anche se, lo ammetto, ero innamorata di lui, ma lei non era affatto il tipo di donna che doveva stare al suo fianco. Kurt meritava di più, meritava di essere veramente amato, e meritava qualcuno che gli facesse capire che ci sono cose al mondo per le quali vale la pena vivere. Ma lei non era così, no, gli aveva anche portato via Frances così, da un giorno all'altro, e lui quella sera venne da me quasi piangendo. Fu in quel momento che decise di tornare a Seattle. Mi voltai verso di lui, che accennava un sorriso, poi mi disse "Lascia, faccio io..." aprendo degli sportelli in alto, nei quali si trovavano un po' di barattoli con del cibo. Io intanto andai in salotto, dove trovai alcuni fogli scritti. Sì, giusto, lui scriveva sempre. Sfacciatamente mi permisi di leggerne uno.

"Non ce la posso più fare, sono due giorni che la chiamo, e la risposta è sempre quella: Non ho tempo. Non ho tempo...lei non ha mai tempo, non l'ha mai avuto, specialmente per me. Se morissi non avrebbe tempo per venire al mio funerale, come ora che ho bisogno di lei, non ha tempo per stare con me. Che stronza...ho bisogno di aiuto, e sono qui, solo, senza nessuno che riesca a capirmi..."

Leggere quelle parole mi fece male. Com'era possibile, si sentiva così e non mi aveva avvisato? Perché? Cos'è, aveva paura di disturbarmi? Non potevo crederci, avevo visto la sua vita arrivare al top, e l'avevo anche vista cadere velocemente, e tutto ciò era inaccettabile. Sentii il rumore dei suoi passi, così mi alzai e tornai in cucina. Lui mi spostò indietro una sedia facendomi sedere, poi si sistemò davanti a me. Mi porse un piatto.

- "Tieni, prendi anche tu..." mi disse con fare premuroso.

Gli sorrisi teneramente, vedendo in lui un padre ancora bambino. "No, mangia, ne hai più bisogno di me."

Mi guardò dritto negli occhi, poi mi sorrise e iniziò a mangiare. Sembrava essersi ripreso, ma sapevo che non era così. Aveva bisogno di altre ore per riprendersi del tutto, ma avrebbe continuato a cercare la droga...a meno che io non glielo avessi impedito... Con aria sognante, poggiai la mia testa tra le mie mani, e cominciai a pensare ai bei vecchi tempi, quando ancora il mio migliore amico aveva il pieno controllo delle sue azioni...

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Capitolo 2
*** "Courtney? Kurt è scomparso." ***


23 Dicembre 1988.

Era sera, probabilmente. O forse era notte? Non capivo più cosa stesse succedendo intorno a me. Avevo 19 anni, come ho detto l'altra volta, quando iniziai a farmi. Sapete, la droga è qualcosa che ti prende completamente, non puoi farne a meno una volta che inizi, e piano piano ti porta via le funzioni vitali, ti porta via la capacità di gestire il tuo corpo, il tuo pensiero, le tue azioni, e non ti fa capire più niente. Proprio come mi accadde quella sera. O forse era notte? Chi lo sa. Mi voltai, stavo ridendo. E quanto stavo ridendo! Forse più di quanto avessi mai fatto in vita mia, e anche Kurt stava ridendo. Le serrande erano abbassate, o forse era semplicemente notte, ed era buio. L'unica luce che illuminava la stanza era quella piccola lampada sopra al mobile del salotto. Seduti sul divano, con ancora le siringhe in mano, continuavamo a ripetere cose strane, senza senso, e lì per lì sembrava bello. Ovvio, tutto sembra bello quando sei sotto l'effetto. Poi ad un tratto Kurt mi cinse la vita, portandomi a sdraiarmi sopra di lui. I nostri volti separati da pochi centimetri. Lui sorrideva, si comportava sempre così con me. Era il mio migliore amico, lo faceva con affetto, certamente non per provarci. Lo faceva da amico, e basta. Era così, lui in ogni cosa che faceva ci metteva tutto l'amore possibile, nella musica, nelle relazioni, nell'amicizia... Continuava a ripetermi cose come "se non ci fossi tu probabilmente ora mi sarei già fatto fuori da solo" e io non ci credevo. Perché avrebbe dovuto farlo? A quel tempo non sospettavo minimamente quanto potesse essere autodistruttivo il mio migliore amico, e non sospettavo neanche che sarei rimasta senza di lui, così presto. Ad un tratto ricordo che sentii un rumore, poi la voce di mia sorella Jennifer. "Dio mio, per favore, se proprio dovete farlo, non sul divano! Io ci passo ore seduta, non potrei più farlo se sapessi che voi ci fate le cose vostre!" disse, con aria disgustata. Sì, chissà che aveva pensato. Mi stava solo abbracciando. Ero sopra di lui, ma era solamente un abbraccio. Almeno questo è quello che ricordo. Eravamo davvero felici in quel periodo. Lui passava giornate intere in casa mia, e nonostante mia sorella ci venisse a rompere le scatole ogni singola volta, le cose funzionavano bene. Ormai sia lui che io avevamo capito che Jennifer non lo sopportava, e lei si era rassegnata al fatto che l'avrebbe comunque visto in casa nostra ancora per molto tempo.

Ad un tratto qualcosa disturbò i miei pensieri, o meglio, il mio sonno. Oddio, mi ero addormentata! Come avevo potuto? Il mio migliore amico era in condizioni indecenti, capace di fare qualsiasi cosa possibile e immaginabile, e io mi ero addormentata?! Mi alzai di scatto.

- "KUUUUUURT!! KUUUUUURT!! DOVE SEI?!" Iniziai ad urlare in preda al panico. Avevo paura che fosse uscito, magari a cercare uno spacciatore, o magari solo per fare un giro. Ma era prudente lasciarlo andare in giro da solo così, ancora sotto effetto della droga e completamente depresso? No, non lo era. Iniziarono a venirmi i sensi di colpa, iniziai a maledirmi, non avrei dovuto addormentarmi, cominciai a pensare al peggio, come ero solita a fare. Ogni cosa diventava un disastro per me. Così afferrai il mio cappotto, appoggiato con cura su una sedia in camera di Kurt, e mi diressi verso la porta, quando qualcosa mi venne addosso frettolosamente.

- "KURT! CAZZO! PERCHE' NON MI HAI RISPOSTO?"

- "Scusa, non ti avevo sentito...è successo qualcosa?" mi chiese con la solita calma che lo caratterizzava. O forse era solo merito della droga.

- "Sì!! Cioè...no... no, tranquillo, non è successo niente...è solo che...mi sono spaventata, non ti vedevo, non rispondevi...avevo paura che fossi uscito a cercare uno spacciatore..."

Mi sorrise, per poi stringermi in un abbraccio.

- "sei sempre la solita...sei carina a preoccuparti per me..."

- "vuoi che dopo 10 anni io non mi preoccupi per te? Dovresti seriamente smettere di farti." Dissi seria.

Lui sciolse l'abbraccio che ci univa, per guardarmi dritto negli occhi, senza dire una parola. Poi abbassò lo sguardo. E fu lì che probabilmente feci l'errore più grande della mia vita. "Ok...io vado in bagno..." perché? Perché dico? PERCHE'?! Perché proprio in quel momento? Avevo davvero così bisogno di andare in bagno? Sì, è facile parlare ora che è successo tutto...in quel momento non avrei mai immaginato cosa avrei potuto scatenare solo "andando in bagno". Ci rimasi 5 minuti, forse pochi più, e quando uscii lui non c'era più. Se n'era andato, ma quella volta non bastò chiamarlo due o tre volte per farlo riapparire. No, quella volta non tornò. controllai bene in ogni stanza, poi indossai in fretta il mio cappotto per poi correre in strada, chiedendo ai passanti se avessero visto "un ragazzo biondo, alto più o meno così...dai cavolo, Kurt Cobain! Hai visto Kurt Cobain?" Ma niente, ovviamente mi prendevano per pazza. Una tipa che va in giro a chiedere se per caso hai visto Kurt Cobain, il cantante dei Nirvana, in un quartiere malfamato come quello, cosa vuole essere se non una pazza? Così mi fiondai nella prima cabina telefonica che il mio campo visivo riuscì ad intercettare, e chiamai tutte le persone che andavano avvisate.

- "Krist! Non riesco più a trovare Kurt! E' uscito di casa, e non mi ha detto nulla!"

- "Dave! Hai visto Kurt? E' uscito di casa senza avvisare, sono spaventata!"

E infine lei...oh, lei...inserii la moneta, poi feci quel numero che tanto odiavo. Dall'altra parte mi rispose una voce troppo infantile per essere la persona che cercavo.

- "Frances! Tesoro! Sono zia Alyson! C'è la mamma?" mi sforzai per tenere un tono allegro, che non lasciasse trapassare le mie emozioni. Pochi secondi, poi ecco che sentii quella voce...

- "Che c'è?"

- "Courtney...Kurt è uscito di casa senza avvisare..."

- "E allora? Che è, un bambino? E' la prima volta che esce di casa senza avvisare?"

-"Non hai capito, questa notte sono rimasta da lui. Era sconvolto, sta sempre peggio. Sono stata 5 minuti in bagno e lui è scomparso...mi sto preoccupando, e credo che dovresti farlo anc..."

- "Senti, tesoro, è successo altre volte. Tornerà. Domani, tra due giorni, questo pomeriggio, tra 10 minuti...tornerà. E non chiamarmi più per queste cose, è uno spreco di soldi, e poi la storia è sempre quella." riattaccò.

Uno spreco di soldi...sì, quella era la sua unica preoccupazione. Suo marito era scomparso, e lei pensava ai pochi spiccioli che avrebbe potuto perdere. Ok, era mezz'ora che non lo vedevo, forse ero troppo agitata, ma solo io so in che condizioni era, se ero così spaventata c'era un motivo, e anche molto valido.

Sconvolta dalla conversazione che avevo appena avuto, mi diressi lentamente verso casa, mentre pensavo alla povera Frances, ignara di tutto ciò che stava accadendo.

Controllai l'orologio per la prima volta quella mattina. Erano le 11.07, più tardi di quel che pensavo, e in strada c'erano già decine di persone immerse nella loro routine. Uscire, prendere il giornale, bere un caffè, andare in ufficio, tornare a casa per pranzo. Poi i soliti ragazzi che marinavano la scuola, zaini in spalle, sorriso smagliante nel volto e tanta voglia di divertirsi. Mi ricordavano quando lo facevo anche io. Continuavo a camminare lentamente, mentre mi tornavano in mente tutte le canzoni dei Nirvana. Continuavo a canticchiare "I'm so happy because today I've found my friends ... They're in my head, I'm so ugly, but that's okay, cause so are you.." e poi "Grandma take me home, Grandma take me home..." e ancora " He's the one who likes all the pretty songs. And he likes to sing along. And he likes to shoot his gun." e per ultima, ma più insistente "And I swear that I don't have a gun...no, I don't have a gun..."

Come As You Are era forse una delle canzoni che preferivo dei Nirvana, amavo ascoltare Kurt mentre la cantava, e amavo anche il testo...ma non sapevo che quel testo da lì in poi mi avrebbe perseguitata così tanto... presi le chiavi di casa e le inserii nel portone. Salii le scale, per poi aprire la porta e sbatterla dietro di me.

- "Jennifer! Sono a casa!" Nessuna risposta. Oh santo Dio, possibile? Tutti scomparsi? Svogliatamente mi diressi verso il salotto e la beccai sul divano con un tizio.

- "Ah, bene, io e Kurt non possiamo abbracciarci sul divano mentre tu puoi scoparci tutte le volte che vuoi?!"

- "Alyson! Che ti prende?" Chiese agitata mentre recuperava sia i suoi vestiti che quelli del ragazzo.

- "Niente, non succede niente. A parte il fatto che Kurt è sparito mentre era in uno stato indecente nel quale potrebbe fare qualsiasi cosa, ma non è successo niente. Almeno per te, perché tanto non ti interessa se sta bene, se sta male, se è vivo o no. Non ti è mai interessato!" Dissi, con quelle che sembravano lacrime, che piano piano mi salivano verso gli occhi. Jennifer rimase stupita. Guardò il ragazzo e lo invitò ad andarsene.

Poi si avvicinò a me. - "Aly, è già successo che sparisse per qualche giorno, ma è sempre tornato..." Mi disse, stringendomi in un abbraccio di consolazione.

- "Sì, è vero, ma questa volta è diverso...questa volta ho veramente paura..."

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Capitolo 3
*** Mi chiamo Alyson Steward e nel 1995 avevo 26 anni. ***


Eccoci qua, all'ultimo capitolo di questa corta Fan Fiction. Spero vi piaccia, recensite :)

8 Aprile 1994, ore 13.24.

Ormai erano giorni che non riuscivo a dormire più di 3 ore a notte, perciò il mio sistema nervoso era piuttosto compromesso. Mi alzai percorrendo a piccoli passi tutta la mia stanza. Con una mano sfiorai le tende dall'effetto stropicciato che mi avevano accompagnato negli ultimi 10 anni, per poi afferrare un portafoto appoggiato nel mio comodino. C'era una foto di me e mia madre, prima che lei si ammalasse. Aveva dei lunghi capelli dorati, ricci, dei grandi occhi verdi e un bellissimo sorriso. Era alta, più di me, e aveva il fisico atletico. Amava lo sport, andava spesso a giocare a tennis. Dio, quant'era bella...ed era anche più forte di me caratterialmente. La invidiavo così tanto... Avrei voluto essere coraggiosa come lei, che anche nella sua malattia continuò a fare la vita di sempre, regalando momenti meravigliosi sia a me che a Jennifer. Ma non ero come lei, non ero così bella, non ero così forte... Io per esempio non avrei mai affrontato in quel modo la malattia, sarei caduta in depressione, avrei cambiato totalmente il mio stile di vita... Magari ero io ad essere troppo debole. Probabilmente era così, altrimenti perché trasformavo in catastrofe ogni singola cosa? Non ce n'era motivo. Posai con delicatezza il portafoto accennando un sorriso, poi mi diressi in salotto, afferai un 45 giri di mio padre e iniziai ad ascoltarlo. La sua musica mi portava indietro nel tempo, ed era l'unico modo per fuggire dalla realtà, anche solo per pochi istanti. Lentamente iniziai a sorseggiare della birra. Ero sola in casa, e non capivo se fosse un bene o un male. Magari la compagnia di qualcuno mi avrebbe distratta, sarebbe riuscita a farmi pensare ad altro. Però non c'era nessuno, e a meno che non facessi resuscitare il mio vecchio amico immaginario, beh, sarei rimasta sola. Mi diressi in cucina per prepararmi qualcosa da mettere sotto ai denti, ma non c'era niente che mi ispirasse, così uscii di casa per dirigermi al McDonald's più vicino e prendermi un bell'hamburger con delle patatine. Ultimamente cercavo ogni tipo di scusa per distrarmi, pensare a Kurt mi faceva stare male, e non volevo, perciò ogni piccola cosa era buona per pensare ad altro. Ma i minuti trascorrevano  in fretta e nello stesso tempo troppo lentamente. Senza che me ne accorgessi i giorni passavano e noi non avevamo sue notizie, ma l'agonia era lenta, anzi, lentissima. Tornai subito a casa e poggiai il mio pasto sul tavolo, poi presi il mio vecchio diario delle medie e mi misi a rileggere tutte le dediche che i miei amici di Federal Way mi avevano scritto. Ce n'erano tante di Jessie, la mia migliore amica dell'epoca. Era una ragazza simpatica, non molto alta, con i capelli liscissimi, neri. La conoscevo da qualche anno, e credevo sarebbe rimasta per sempre la mia migliore amica, ma le cose cambiano, a volte per decisione che neanche hai preso tu...poi c'era una foto mia con Eric, il mio ragazzo di Federal Way. Capelli color nocciola, occhi scuri e profondi, bello, dolce...sì, ok, perfetto, ma non all'altezza di Kurt. Strano a dirsi, ma lui in pochi giorni era riuscito a farmi cambiare idea su Seattle, sulla mia nuova vita, sulle persone in generale...e in fondo quei 10 anni passati a lì non erano stati poi così male...

- "Alyson!! Sono tornata!" La voce di Jennifer mi distrasse da quelli che a breve sarebbero diventati pensieri deprimenti. Oh, meno male era tornata.

- "Notizie?" Chiese.

- "non ancora..."

- "Vabbè, è questione di poco tempo."

- "Speriamo..."

- "E non deprimerti, prima o poi torna! Vado in doccia!"

Wow, era così brava a tirarmi sù il morale! Mi sedetti sul divano del salotto, ma non feci in tempo a sistemarmi che qualcuno suonò alla porta. Sbuffando mi alzai per controllare chi fosse, poi aprii.

- "Dave! Che fai qui?"

- "Alyson...posso entrare?"

- "Certo!"

Il suo volto sconvolto e i suoi occhi rossi mi lasciavano pensare al peggio, ma non volevo, non potevo...Mantenevo ancora viva quella speranza, anche se più passava il tempo più si faceva opaca.

- "Senti...Alyson...è meglio se ti siedi..."

E' meglio se ti siedi? Cosa significa? Cos'è successo? Di solito questa frase si dice quando è accaduto qualcosa di drammatico, ma non è questo il caso, vero?

- "ascoltami...è...è così difficile da dire..."

Lo fissavo senza battere ciglio, volevo sapere, ma non volevo.

- "io...non vorrei mai dir..."

- "Dave. Dave. Cos'è successo?"

Alzò lo sguardo che fino a quel momento aveva mantenuto basso, poi estrasse un foglio dalla giacca e me lo porse.

- "Leggila...l'ha scritta Kurt..."

Afferrai il foglio, e con delicatezza lo aprii, per poi leggere il contenuto. Dio, era proprio la sua scrittura...

"A Boddah.

Vi parlo dal punto di vista di un sempliciotto un po' vissuto che preferirebbe essere uno snervante bimbo lamentoso. Questa lettera dovrebbe essere abbastanza semplice da capire. Tutti gli avvertimenti della scuola base del punk-rock che mi sono stati dati nel corso degli anni, dai miei esordi, intendo dire, l'etica dell'indipendenza e di abbracciare la vostra comunità si sono rivelati esatti. Io non provo più emozioni nell'ascoltare musica e nemmeno nel crearla nel leggere e nello scrivere da troppi anni ormai. Questo mi fa sentire terribilmente colpevole. Per esempio quando siamo nel backstage e le luci si spengono e sento il maniacale urlo della folla cominciare, non ha nessun effetto su di me, non è come era per Freddie Mercury, a lui la folla lo inebriava, ne ritraeva energia e io l'ho sempre invidiato per questo, ma per me non è così. Il fatto è che io non posso imbrogliarvi, nessuno di voi. Semplicemente non sarebbe giusto nei vostri confronti né nei miei. Il peggior crimine che mi possa venire in mente è quello di fingere e far credere che io mi stia divertendo al 100%. A volte mi sento come se dovessi timbrare il cartellino ogni volta che salgo sul palco. Ho provato tutto quello che è in mio potere per apprezzare questo.

 

Ho apprezzato il fatto che io e gli altri abbiamo colpito e intrattenuto tutta questa gente. Ma devo essere uno di quei narcisisti che apprezzano le cose solo quando non ci sono più. Io sono troppo sensibile. Ho bisogno di essere un po' stordito per ritrovare l'entusiasmo che avevo da bambino. Durante gli ultimi tre nostri tour sono riuscito ad apprezzare molto di più le persone che conoscevo personalmente e i fans della nostra musica, ma ancora non riesco a superare la frustrazione, il senso di colpa e l'empatia che ho per tutti. C'è del buono in ognuno di noi e penso che io amo troppo la gente, così tanto che mi sento troppo fottutamente triste. Il piccolo triste, sensibile...! Perché non ti diverti e basta? Non lo so! Ho una moglie divina che trasuda ambizione e empatia e una figlia che mi ricorda troppo di quando ero come lei, pieno di amore e gioia.

 

Bacia tutte le persone che incontra perché tutti sono buoni e nessuno può farle del male. E questo mi terrorizza a tal punto che perdo le mie funzioni vitali. Non posso sopportare l'idea che Frances diventi una miserabile, autodistruttiva rocker come me. Mi è andata bene, molto bene durante questi anni, e ne sono grato, ma è dall'età di sette anni che sono avverso al genere umano. Solo perché a tutti sembra così facile tirare avanti ed essere empatici. Penso sia solo perché io amo troppo e mi rammarico troppo per la gente. Grazie a tutti voi dal fondo del mio bruciante, nauseato stomaco per le vostre lettere e il supporto che mi avete dato negli anni passati. Io sono troppo un bambino incostante, lunatico! E non ho più nessuna emozione, e ricordate, è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente.

 

Pace, Amore, Empatia.

 

Kurt Cobain

 

Frances e Courtney, io sarò al vostro altare. Ti prego Courtney continua così, per Frances. Per la sua vita, che sarà molto più felice senza di me. Vi amo. Vi amo! Kurt"

Alzai lo sguardo e fissai Dave, ormai in lacrime.

- "C...cosa significa??"

- "Alyson...hanno ritrovato Kurt..."

- "E dov'è ora?" chiesi in preda al panico, come una bambina che non vuole accettare la realtà.

- "E' a casa sua...l'hanno ritrovato, in una delle sue case...ma non potremo più abbracciarlo, non potremo più stare con Kurt..." dovevo sembrare davvero fragile, mi stava parlando davvero come se fossi una piccola bambina indifesa...

Continuavo a fissarlo, il cuore a mille, senza mostrare una reazione.

- "Alyson, l'ha ritrovato un elettricista...era nella sua serra, è lì da circa 3 giorni...è sempre stato a casa sua, e se solo lo avessimo saputo avremmo potuto salvarlo...Aly...si è sparato..."

E' lì da circa 3 giorni...avremmo potuto salvarlo...si è sparato...queste frasi mi rimbombavano nella mente, mentre la mia vista si faceva sempre più appannata. Prima che me ne potessi accorgere mi ritrovavo tra le braccia di Dave, che ormai aveva smesso di piangere, ma che ora stava consolando me, accarezzandomi dolcemente i lunghi capelli rossi.

Jennifer entrò in salotto.

- "Ma che sta succeden..." si bloccò appena vide la scena. Rimase immobile, poi si avvicinò a noi.

- "E' uno scherzo...vero...?" chiese con voce tremolante. Dave scosse la testa.

- "O...o...no...non è possibile..." in quel momento mi parve come se mia sorella, la persona che aveva sempre odiato Kurt, stesse per avere la mia stessa reazione. Forse non accettava il cambiamento così radicale, o forse era davvero dispiaciuta. Il mio pianto disperato non trovò pace, finché non ebbi più lacrime da versare.

In pochi minuti la mia realtà era crollata, lasciando spazio solo alla malinconia e al dolore. Lui non c'era più, il mio migliore amico non c'era più, l'unica persona per la quale andavo ancora avanti, giorno per giorno. E' strano come da un momento all'altro le cose possano cambiare, in meglio, o in peggio. Puoi essere ricco e in un istante perdere tutto, o puoi essere povero, e diventare milionario solo grattando una schedina. Puoi avere una vita perfetta, ma in pochi attimi tutto può precipitare.

 

5 Aprile 1995.

Mi alzai dal letto, e il primo pensiero che mi venne a trovare fu "è già passato un anno...". Camminando per casa, osservavo attentamente tutto ciò che mi circondava. Aprii un baule, nel quale custodivo i miei ricordi più preziosi. Una collana di mia madre, un disegno che mia cugina Sarah, di soli 4 anni, mi aveva regalato, e delle foto...ne afferai una, fissandola con attenzione. C'eravamo io e Kurt, rispettivamente all'età di 21 e 23 anni. Lui mi aveva afferrata e ora mi teneva sulla schiena, facendo attenzione a non farmi cadere. Eravamo così belli...Continuai a fissare la foto, incredula per tutto quello che era successo. Era già passato un anno, un anno senza di lui, e non mi ero ancora ripresa. Mi mancava terribilmente. Una lacrima bagnò la foto e lo sguardo mi cadde su qualcosa di strano, dentro al mio baule. spostai i miei vecchi diari e quello che vidi fu una pistola. Era di mio padre, ma come c'era finita lì? Pensavo l'avesse portata con lui... Senza pensare a cosa stavo facendo, la presi in mano e la osservai...c'era ancora un proiettile dentro, uno solo...

Mi chiamo Alyson Steward, e avevo 26 anni quando, dopo precisamente un anno, raggiunsi Kurt nel suo Cielo.

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