Origins

di verichan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Torre del Circolo ***
Capitolo 2: *** Oblio ***
Capitolo 3: *** Torre del Circolo ***
Capitolo 4: *** - ***
Capitolo 5: *** - ***
Capitolo 6: *** - ***
Capitolo 7: *** - ***
Capitolo 8: *** - ***
Capitolo 9: *** Verso Orzammar ***
Capitolo 10: *** Orzammar ***
Capitolo 11: *** - ***
Capitolo 12: *** - ***
Capitolo 13: *** - ***
Capitolo 14: *** - ***
Capitolo 15: *** - ***
Capitolo 16: *** Fuori Orzammar ***
Capitolo 17: *** Redcliffe ***
Capitolo 18: *** - ***
Capitolo 19: *** Lothering ***
Capitolo 20: *** Ostagar ***
Capitolo 21: *** - ***
Capitolo 22: *** - ***
Capitolo 23: *** Selve Korcari ***
Capitolo 24: *** Lothering ***
Capitolo 25: *** Picco del Soldato ***
Capitolo 26: *** - ***
Capitolo 27: *** Lago Calenhad ***
Capitolo 28: *** Torre del Circolo / Fine ***



Capitolo 1
*** Torre del Circolo ***


'Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di BioWare, EA; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro'

TORRE DEL CIRCOLO

Fu una cosa piuttosto veloce: il giorno prima completavo il mio Tormento, il giorno dopo lasciavo il Circolo. Ero quasi deluso, tanta fatica per togliermi di dosso il titolo di apprendista e nemmeno ventiquattro ore per godermi i vantaggi. Peccato.

Ma partiamo dal principio.

***

 

Tutto iniziò a sette anni... con una bella fiammata di cui l'adorabile bambino dai capelli neri, gli occhi viola e la carnagione olivastra non si rese nemmeno conto. Dopo quella, il suo vedovo padre scappò a gambe levate chiudendolo nella piccola fucina di cui era proprietario e la sera stessa i templari erano alla porta.

Dopo un viaggio snervante il pargoletto arrivò alla torre dove tra false carinerie da parte del Primo Incantatore Irving e una faccia intransigente del Comandante Templare Greagoir gli venne detto che sarebbe rimasto lì per il resto dei suoi giorni come un condannato all'ergastolo.

Visse un periodo inizialmente orribile poi si aprì un po' con i compagni di sventura, si affezionò a una mammoletta di nome Jowan che senza di lui non avrebbe mai combinato nulla nella vita, divenne un arrampicatore sociale di discreto talento, leggermente egocentrico, poco paziente con chi gli stava tra i piedi e non mostrava un briciolo di cervello, e un appassionato di letteratura di ogni genere con l'hobby della citazione.

 

E ora, dopo sedici lunghi anni di condivisione degli spazi e privacy zero, Irving gli aveva comunicato che era giunto il momento di affrontare il Tormento, il timore profondo di ogni apprendista, il culmine dei suoi sforzi che gli avrebbe permesso di salire nella scala sociale. Finalmente.

Sicuro delle sue capacità, era tempo di togliersi quella seccante spina nel fianco; era pronto ad essere qualcuno, ad innalzarsi nella catena alimentare che vigeva in quel minuscolo angolo di mondo di cinque piani. Questa volta però non riusciva a contare sulla sua solita baldanza. Teoricamente e praticamente c'erano due possibilità, vivere o morire, e, sebbene lui contasse di sopravvivere, non bisognava dimenticare che esisteva una percentuale di maghi che non ce l'aveva fatta. Doveva per forza avere successo, non c'era altro modo: non poteva sbagliare un colpo, doveva rimanere concentrato e vigile.

Non era particolarmente credente però si ritagliò qualche istante per una preghierina ad Andraste e al Creatore. Va bene, un bel po' di preghierine, male di certo non faceva.

«Oh, eccoti. Cominciavamo a temere che ti fosse accaduto qualcosa per le scale.»

Il malriuscito tentativo di Irving di fare dell'umorismo era totalmente fuori luogo quindi poteva togliersi quel sorriso dalla faccia. Da parte sua invece non c'era alcuna voglia di fare conversazione quindi tenne chiusa la ciabatta.

«Ti stavamo per venire a prendere.»

Ser Greagoir poteva starsene zitto. Almeno non aveva cominciato con la solita pappardella “la tua magia è un dono ma anche una maledizione”, ormai la sapevano a memoria persino i muri. Da quando aveva cominciato a dimostrare attivamente di avere un cervello funzionante e una propensione politica verso i Liberalisti, il vecchio templare lo guardava male, definendolo dapprima un piccolo combinaguai, in seguito un ragazzo problematico. O forse l'antipatia dipendeva più dal fatto che a dieci anni gli aveva riempito l'armatura di polvere urticante. Naaa.

Esclusi Greagoir e Irving, c'erano una mezza dozzina di templari, incluso il ragazzo di Neria, e tre maghi anziani. Chiese cosa dovesse fare e in cosa consistesse la prova, tenuta segreta a tutti gli apprendisti. Irving gli spiegò che doveva andare verso la fonte in mezzo alla sala e toccare il lyrium per passare attraverso il Velo, da lì sarebbe dovuto tornare indietro tutto intero e sano di mente dopo aver affrontato una sfida di volontà sconfiggendo il demone che l'avrebbe tentato.

Un demone tenuto prigioniero in un posticino appartato di Oblio solo per loro, fantastico. Nemmeno nel terzo volume della serie Resuscitati con l'inganno si arrivava a certi livelli di sevizia contro i protagonisti, e l'antagonista principale era una demone! La vita reale a volte faceva davvero schifo se paragonata alla letteratura.

Il Comandante Greagoir ci tenne a fargli sapere che se al suo posto fosse tornato un abominio i templari avrebbero risolto la situazione. Sempre il solito dolce e compassionevole Greagoir. Voleva davvero vederlo morto oppure era solo un modo per dimostrare il suo affetto con dello humor macabro? Mah.

Con una smorfia e la gola strozzata, sollevato di aver deciso di saltare la cena quella sera, non disse una parola mentre si avviava verso il suo destino.

«Elmer.» Sentendo chiamare il suo nome, Elmer si voltò per l'ultima volta verso il Primo Incantatore. «Ricorda che l'Oblio è un reame di sogni: gli spiriti potranno anche controllarlo ma la tua volontà è reale. Abbi fiducia in te stesso, hai tutte le capacità necessarie per superare questa prova.»

Un mezzo sorriso gli increspò le labbra mentre nel retroscena il Comandante dei templari alzava gli occhi al cielo con fare esasperato. Non gli interessava molto il consiglio preso pari pari dal libro di testo, ma era uno degli apprendisti più promettenti, un augurio da parte del capo era scontato: prendi e porta a casa, Greagoir, prendi e porta a casa e stai m-u-t-o!

«L'apprendista deve svolgere il suo compito da solo, Primo Incantatore.»

No, non si poteva proprio tappargli la bocca a quel vecchio impossibile.

Seccato dal comportamento del templare che mai in vita sua sarebbe riuscito a sopportare, si girò deciso e allungò le mani verso il lyrium luminoso: come disse Ruty in Gatta da pelare, primo volume, capitolo quattro, “è tempo di prendere a calci qualche creatura dell'Oblio, ragazzi!”.



Note dell'autore
Prima di tutto un appunto per farvi conoscere il mio modo di scrivere: veloce e, in generale, con descrizioni essenziali. Questo perché io per prima prediligo questo stile quando leggo qualcosa. Perciò non rimaneteci male davanti ai miei capitoli abbastanza corti ^^' La serietà è un altro mio problema; se trovate qualcosa di stupido è normale... Non è proprio una cosa voluta, è più un fatto di idiozia naturale, ma sto imparando.
In secondo luogo (non so se è un tipo di avvertimento presente nella compilazione della scheda della storia, se c'è non l'ho riconosciuto) ci tengo a precisare che la storia non segue esattamente il gioco anche se gli avvenimenti principali sono quelli.
Infine, il disclaimer l'ho messo e non credo manchi nulla. Devo soltanto imparare a usare l'html perché prima dei dialoghi dovrebbe esserci uno spazio. Ho visto altre fanfiction dove lo spazio viene rispettato, quindi, se non riesco a cavarmela da sola, perdonatemi già da ora quando invierò messaggi per chiedere informazioni XD

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Capitolo 2
*** Oblio ***


OBLIO


“Mani? C'è. Braccia? C'è. Tutto il resto? C'è. Faccia...? C'è. Uh, meno male.”

Una cosa era entrare nell'Oblio attraverso i sogni, un'altra era usare il rituale con il lyrium. Questa era la sua prima volta e smaniava nell'assicurarsi di avere tutte le parti del corpo al posto giusto. Una preoccupazione idiota, sì, però ci teneva. Entrare in quel modo era diverso, sia fisicamente che psicologicamente, ma questo non lo aveva reso meno determinato: aveva un lavoro da fare, preferibilmente in fretta.

«Piuttosto spoglio come paesaggio...» fu il suo primo commento guardandosi intorno, che era anche una battuta di Gioia da vendere, capitolo quarantatré.

La tattica dei demoni consisteva nel copiare l'ambiente in cui viveva la vittima, per metterla a suo agio e poter agire con più sicurezza, perciò rimase confuso nel vedere che il suo Tormento era invece un ambiente che con lui non c'entrava nulla, una landa desolata costellata di vecchie rovine, colline, salite e discese, percorsi senza senso che, scoprì, non portavano in nessun posto. Aveva la netta impressione di non fare progressi né a camminare, né a stare fermo. Tipico.

“Se fossi un demone in attesa di agguantare il prossimo pasto, dove mi nasconderei?”

Si era fatto due calcoli ed era giunto alla logica conclusione che sarebbe stato il suo avversario ad apparire e dare inizio alle danze, non che toccasse a lui la fatica di andarlo a cercare. Okay che se si voleva fare le cose bene era sempre meglio farsele da sé, però ribaltare i canoni gli sembrava un pochino esagerato.

Aveva una gran voglia di finirla, lì, adesso, ed era tentato di castare qualcosa di grandioso per attirare l'attenzione e spaccargli il muso a suon di palle di fuoco e il resto del repertorio. Non aveva mai affrontato un demone, ma era certo all'ottanta per cento di poterci riuscire senza nemmeno sudare.

“Che cazzo, se ci è riuscito Finn...”

Stizzito dalla perdita di tempo, diede un calcio ad un sasso accanto ai suoi piedi che andò a schiantarsi contro una parete giallognola che era un insulto all'estetica, poi alzò in alto la testa: in lontananza, proprio al limite del suo campo visivo, si stagliava una costruzione scura conosciuta, la Città Nera. L'ex residenza del Creatore era un punto comune sempre presente in ogni visita oltre il Velo, una costante più o meno rassicurante. Non che ci volesse andare. Se nemmeno i demoni volevano visitarla doveva esserci un valido motivo.

Era immerso in queste inutili considerazioni quando notò del movimento; qualcosa di minuscolo aveva trottato giù da un rilievo ed era sparito dietro il profilo di un'altra altura.

“Il demone?”

Le creature di quel regno metafisico erano in grado di prendere qualsiasi forma, bisognava diffidare di ogni cosa ti si parasse davanti; che fosse grande o piccolo non aveva importanza, era consigliabile partire dal presupposto che il demone del Tormento dovesse per forza essere un osso duro se l'avevano usato come test mortale. Comunque se era un esserino microscopico avrebbe avuto piacere a schiacciarlo sotto la scarpa. Non era un violento (no, assolutamente), però se l'ostacolo che aveva davanti era più debole, non vedeva il motivo per cui dovesse andarci piano quando poteva approfittarsi della situazione.

Strinse le mani a pugno un paio di volte allentando la tensione nelle dita, preparato a varie possibilità di scontro, e dopo un bel respiro profondo prese un'andatura rapida e andò in quella direzione, rallentando prudentemente una volta giunto sul posto dove l'imprevisto lo attendeva: un sorcio dalla parlantina sciolta con problemi di vittimismo.

Era davvero roba da Oblio questa, del genere che non ci credevi finché non ci sbattevi contro il muso. O da Amore diverso, dal capitolo dieci al capitolo ottantatré. Non gli era piaciuto molto come romanzo, aveva un finale insulso e grazie ad esso aveva scoperto che gli animali parlanti gli facevano senso.

«Un altro mandato attraverso il Velo, ingenuo e impreparato. Non è giusto che i templari facciano questo a te, a me e a tutti gli altri.»

«Ciao anche a te.» replicò con irritata ironia che riuscì a nascondere a malapena.

Ingenuo e impreparato? L'aveva scambiato per Jowan? Ma soprattutto, tra tutte le specie mammifere di questo mondo, perché proprio un maledetto sorcio? Erano quegli schifosi mostriciattoli a rosicchiare i vestiti nella lavanderia, per colpa loro era stato costretto a indossare calzini forati e tuniche bucherellate!

Il suo primo istinto fu quello di sbarazzarsene seduta stante: esistevano casi documentati di spiriti benigni ma quante probabilità c'erano di incontrarne in un Tormento?

«Scusa le mie maniere, non riesco più a sopportare...» emise un sospiro sofferto. «Anche tu sei rimasto intrappolato qui?»

«No, sono appena arrivato. Credo.» gli diede corda.

Chissà quanto tempo era passato in realtà. Lo avevano chiamato in piena notte, un templare era venuto a svegliarlo in dormitorio. Non lo aveva disturbato più di tanto dato che non era riuscito a chiudere occhio da quando quella mattina gli era arrivato l'avviso di tenersi pronto, e un'agitazione adrenalinica mista ad ansia lo aveva tenuto sull'attenti per tutto il giorno.

«Anche io come te ho affrontato la prova del Tormento, e guarda che fine ho fatto!»

«Com'è essere un topo?»

Domanda stupida ma era curioso e non ce la faceva proprio a tenere conto del giusto tatto verso un ratto.

Una persona normale affetta da complesso di superiorità quale lui era si sarebbe messa a ridere, Elmer non si azzardava a farlo poiché prima voleva avere la certezza che l'animale fosse innocuo come in Amore diverso piuttosto che una bestia feroce sotto mentite spoglie.

“Ucciso per aver ferito i sentimenti di un sorcio, l'apprendista Elmer muore con disonore accompagnato da una sonora risata collettiva nel momento dell'elogio funebre. Allettante.” si disse col sarcasmo che gli colava dal cervello.

«Non è che io sia esattamente un topo... Avevo paura, non sono riuscito a sconfiggere il demone della mia prova e sono scappato. Quando ti nascondi dalle cose grandi, impari da quelle più piccole.» L'ennesimo sospiro, l'animaletto pareva essere parecchio preso dai suoi crucci personali. «Non sono più riuscito a tornare indietro.»

«Mi spiace.» disse con compassione.

“Ma chissenefrega.”

«Perlomeno ho imparato a nascondermi, ci sono posti in cui solo creature piccole come queste riescono a passare! D'altra parte ormai sono condannato a rimanere qui in eterno, meglio adattarsi il prima possibile...»

«Nh-nh.» annuì, mostrando quella che secondo la sua esperienza era la giusta dose di partecipazione per questi casi specifici.

“Bla, bla, bla. Andraste quanto odio la gente che si piange addosso, è cinquanta volte peggio di Jowan.”

«Dove vuoi che vada?» continuò l'altro col suo monologo. «È passato troppo tempo e i templari hanno distrutto il mio corpo per assicurarsi che attraverso di esso non passasse qualche abominevole creatura.»

“Ehm, avrei da fare.”

Se non era lui il demone, allora doveva scrollarselo di dosso e andare avanti, non poteva sprecare tempo prezioso.

«Quando tornerò indietro chiederò al Primo Incantatore se c'è un modo per aiutarti.»

Non poteva offrirgli molto altro, ne sapeva quanto lui, e comunque era meglio essere carino e gentile con quella punta di compassione nella voce per non correre rischi. Era una cosina triste e addolorata... almeno lo sembrava. Normalmente i morti andavano in un reame oltre l'Oblio e se malauguratamente ci rimanevano imprigionati dentro c'era sempre dietro una motivazione di qualche tipo. Quindi, anche se non era il fottutissimo demone, poteva essere un problema.

«Grazie, è gentile da parte tua. Lascia che venga con te e ti aiuti in qualche modo, è il minimo che possa fare. Non sarò esattamente un sostegno schiacciante... diciamo sostegno morale, eh?»

Tsk, sostegno morale non credeva proprio di averne bisogno, si vedeva chiaramente che aveva più carattere di quella mammoletta a quattro zampe, tuttavia i suoi insegnanti, che difficilmente sarebbero stati d'accordo nel vedere le loro parole sfruttate in un simile contesto, gli avevano inculcato in testa che si doveva fare tesoro anche delle occasioni più piccole, così acconsentì.

“Mal che vada lo disintegro. O lo lancio addosso al demone come distrazione.” pensò sicuro di sé.

 

Camminarono uno di fianco all'altro senza una meta precisa, con Elmer che ci buttava un occhio ogni tre per due.

Lo mise alla prova: i demoni non sapevano veramente tantissimo del mondo reale, non per niente l'aspetto dell'Oblio era il loro tentativo di imitazione della realtà vista attraverso i sogni dei mortali, così gli chiese chi era, quando aveva sostenuto la sua prova, se aveva solo quella forma, com'era quando aveva un corpo umano, nomi di persone che aveva conosciuto. Per la maggiore il topo non ricordava nulla del suo passato, nemmeno il proprio nome, a causa, secondo lui, della lunghissima prigionia in quella dimensione. Gli disse che per semplicità poteva chiamarlo Topo, e, per il suo aspetto umano, si trasformò davanti ai suoi occhi apparendo come un apprendista come tanti. Dunque sembrava dicesse il vero, però... C'era un particolare che stonava: i colori e i dettagli della tunica, elemento lampante esattamente come in Gira che ti rigira, capitolo nove, a riprova che leggere testi di fantasia ti insegnava sul serio qualcosa della vita, al contrario di come la pensava il fratello.

“O quello che vuole raggirarmi è un demone idiota, o qui non sono aggiornati su regolamenti stilistici secolari.”

Possibile che Topo non avesse mai visto la tunica di un apprendista? Per il momento decise di non commentare seguendo l'esempio del protagonista del libro, il quale faceva credere al suo nemico di non sospettare nulla per poi fargliela sotto al naso. Voleva vedere dove andava a parare con la sua recita da roditore indifeso, e, più avanti, quando Topo gli fece notare una luce poco lontana su una collinetta dove sostava un essere in armatura da templare che secondo lui poteva assisterlo, volle testare la veridicità del suo consiglio.

Il mago si avvicinò con cautela mentre il suo compagno aspettava ad una distanza di sicurezza.

“Ma non era benigno questo spirito? E quanta cavolo di gente c'è in 'sto Tormento? Pensavo fosse una faccenda privata.”

La fifa di Topo gli fece sospettare di essere davvero finito in una trappola, nonostante tutti i suoi pensieri paranoici, a riprova, questa volta, di quanto pensi inutilmente di sapercela lunga e poi ti fai fregare lo stesso. Si strofinò le dita pronunciando sottovoce un incantesimo elettrico, pronto a rispondere all'eventuale offensiva.

Con sua sorpresa l'entità sconosciuta fu la prima a parlare.

«Salve mortale. Vedo che di nuovo i maghi lasciano i loro simili nelle mani di una prova di codardia. Dovreste combattere gli uni contro gli altri per testare le vostre capacità invece di venire gettati disarmati contro un demone. Noto che il tuo cacciatore non è ancora venuto a reclamarti; ti auguro di uscire vincitore dalla tua battaglia.»

Perlomeno era uno spirito educato, sebbene pieno di tante belle opinioni personali che apparentemente godeva nel condividere con ogni persona di passaggio. Magari prima di farlo a fette con quelle armi luminescenti accatastate lì accanto glielo avrebbe gentilmente comunicato. La cosa stava diventando ridicola e la serietà gli stava sfuggendo di mano, ma optò lo stesso per un civile tentativo di dialogo.

«Salve spirito.» Spirito, non demone, non ancora. «Mi chiedevo...» Scartabellò in fretta nel suo cervello per un argomento. «... cosa stessi facendo. Le hai forgiate tu queste armi?»

«Sono lo spirito del Valore e sì, le ho generate tutte io attraverso la mia sola forza di volontà. Attraverso di esse desidero creare l'espressione perfetta del combattimento!» annunciò fiero.

“Vantiamoci, eh.”

«Dica, signor spirito del Valore, non è che da qualche parte ne avrebbe una che non le serve? Sempre se non le dispiace prestarmela.»

“Si sa mai che è uno di quegli artisti fuori di melone con l'ossessione per le proprie creazioni.”

«Non sei il primo che mi richiede assistenza. Potrei creartene una...»

“Evva-”

«... tuttavia per ottenerla dovrai darmi prova del tuo valore: sfidami, e quando sarò soddisfatto del valore che mi dimostrerai nel duello avrai ciò che desideri, in caso contrario perirai per mia mano.»

“-iii che maroni!”

Ci pensò su un attimo: la proposta non era male, le creature dell'Oblio non erano invincibili ed Elmer era fiducioso delle proprie capacità, tuttavia non aveva idea di quanto effettivamente forte fosse uno spirito che giocava in casa e, se possibile, preferiva conservare le energie contro il vero nemico. No, non voleva rischiare, meglio giocare d'astuzia come la pirata Shelly di Incubo tra le onde, e se alla fine si fossero scontrati, perlomeno avrebbe saputo se era o no il demone.

«E io come faccio a sapere che questo non sia un tranello per togliermi di mezzo tu stesso?»

«Cosa? Come osi! Io sono lo spirito del Valore!»

«E io solo un povero mortale. Se davvero il tuo intento è benevolo allora dimostra di essere lo spirito del Valore: cedimi un'arma per permettermi di testare me stesso nella mia prova e di conseguenza proverai ciò che sei ed io sarò certo che il tuo non sia uno sleale inganno.»

Sconvolto, lo spirito balbettò alla ricerca di epiteti poco carini ma doveva essere sul serio uno spirito con una morale perché non ne trovò di granché offensivi. Ah, avrebbe dovuto farsi un giro per le stanze degli apprendisti, i suoi colleghi se n'erano inventate di cotte e di crude. Le esclamazioni blasfeme erano quelle più carine, la sua preferita era “per le tette di Andraste”.

«I tuoi modi sono più che discutibili ma è indubbia la dimostrazione di determinazione. Ti darò questo bastone magico, fanne buon uso. Ora va', ho molto da fare.»

Bella scusa. Comunque ora aveva un bel bastoncino, una versione più semplice dei bastoni veri e propri usati dai maghi, rimaneva da sperare che fosse ugualmente utile.

“Me l'ha dato apposta così poco appariscente?” si chiese lanciando un ultimo sguardo alle lame molto fiche che sostavano nella catasta luminosa.

Tornò da Topo che questa volta oltre alla fifa dimostrò di possedere una certa dose di “lecchinaggio” ma Elmer non era tipo da lamentarsi per queste cosucce, adorava i complimenti.

«Però non capisco, Topo. Ci sei tu, c'è quel vanesio con una perversione per le armi... Dov'è il mio avversario?» si lamentò. «Devo trovare il demone giusto da uccidere? Perché non può venire lui così la facciamo finita?»

«Mi dispiace, non so cosa risponderti. Non ricordo com'è andato il mio Tormento.»

“Insomma non servi a un cazzo.” pensò rabbioso costringendosi a tacere.

Non gli piaceva quando le cose non andavano come desiderava lui; poteva passarci sopra e fregarsene se si trattava di cose poco importanti o inevitabili, ma se c'era in gioco il suo futuro... E il fottuto sorcio continuava a ciarlare!

Non gli piacevano i templari, non gli piaceva la Chiesa, e i maghi dovevano essere indipendenti, e il rito del Tormento e della Calma dovevano sparire, eccetera eccetera. Ma non doveva avere un'amnesia questo? Lo squadrò con sospetto. Era possibile che le anime intrappolate nell'Oblio potessero impossessarsi di corpi che non fossero il loro? Per quanto ne sapeva il piccolo roditore poteva benissimo sperare di sgattaiolare via da lì attraverso di lui, una volta che Elmer fosse stato divorato dal demone della prova.

 

Arrivarono ad un punto dove un grosso orso, o qualcosa che gli assomigliava, stava schiacciando un pisolino.

«È un demone della Pigrizia» gli comunicò Topo. «Non credo ci aiuterà.»

“A questo punto sono pronto a uccidere chiunque mi capiti a tiro.”

E invece, dopo tre ridicoli indovinelli che persino sua nonna avrebbe potuto risolvere, la creatura assonnata insegnò a Topo una nuova trasformazione. Gli seccò alquanto che il vantaggio fosse andato a quell'esserino inutile e non a lui. E aveva pure il coraggio di fare lo spavaldo ora che poteva diventare una specie di orso. Ma per favore.

«È magnifico, ora posso davvero aiutarti! Chissà, forse se sconfiggeremo questo demone anche io potrò essere libero. Mi aiuterai, vero?»

Fece buon viso a cattivo gioco e gli promise che sì, l'avrebbe aiutato al meglio delle sue possibilità mentre interiormente sperava crepasse al più presto. Era il suo Tormento, suo! Doveva essere lui il protagonista, anche nella realtà questo doveva pur valere qualcosa, no?! Si sorbì le sue chiacchiere, sbuffando e facendogli le boccacce senza farsi scoprire, e infine giunsero in un vasto spazio, un vicolo cieco.

«E ora?» chiese spazientito.

Aveva appena finito di formulare la domanda che ruggendo dal terreno si fece strada un essere di lava che si erse alto e minaccioso.

“Scommetto le scarpe che è quello che devo fare fuori. Finalmente!”

«Il demone dell'Ira.» Topo lo disse con sfida e poca sorpresa.

No, non ci credeva che non avesse un minimo di paura. Dal canto suo Elmer era piuttosto sicuro di vincere, anzi, era quasi deluso si trattasse soltanto di un demone dell'Ira, dotato di ovvi punti deboli; non aveva passato ore, giorni e anni a studiare mica per nulla, tsk. Con un sorrisetto saccente brandì il bastone magico.

«Finalmente mi hai raggiunto. Presto osserverò il regno dei vivi con i tuoi occhi, creatura. Sarai mio, anima e corpo.» disse il suo nemico con voce aliena.

«Provaci se ne sei capace.»

Troppa baldanza? Forse, però così era un figo come i protagonisti dei libri di cui era osses- ehm, a cui era moderatamente affezionato.

«È tenace l'offerta che mi hai portato, Topo.»

Sorpreso ma di certo non sconvolto dalla rivelazione del tradimento del compagno di viaggio come aveva letto in altri romanzi, Elmer lanciò un'occhiata omicida verso il sorcio al suo fianco, contento di avere una scusa per esplicitare i suoi sentimenti, tuttavia venne ignorato.

«Non ti sto offrendo niente, i nostri accordi sono terminati.»

“Guarda guarda il piccolo traditore schifoso.” pensò rimanendo zitto ad ascoltare lo scambio.

Strinse le dita sul bastone incanalando energia; sentì la magia fluire e rifluire di nuovo verso di lui e, pieno di potere, si immaginò con cosa iniziare mentre i due pirla, così sicuri di averlo in pugno, non lo degnavano di uno sguardo. Sembrava che Topo si volesse mettersi in proprio dopo aver intrapreso un'attività lavorativa piuttosto fruttuosa con il suo compare. Il perché volesse lasciare un business così redditizio gli sfuggiva: era chiaramente più debole del collega, cosa credeva di fare da solo?

«Vedremo, Topo, vedremo.» finì l'infuocato.

E con questo si concluse la loro conversazione. Senza aggiungere altro il demone si scagliò sul moro apprendista.

Elmer puntò bastone e mano libera sull'avversario ed evocò un cono di freddo che fu tremendamente efficace; lentamente il demone di fuoco si stava cristallizzando, eppure la creatura riuscì a rimodellarsi e appiattirsi al terreno con quel suo corpo molliccio e disossato e si mosse con velocità sfuggendo al suo attacco. Nessun problema, aveva pronto sulla lingua un altro incantesimo primordiale, delle saette che partirono dalla punta del bastone in rapida successione. Il demone ne evitò la maggior parte con maestria rimanendo colpito soltanto due volte; una la fece finire addosso a Topo che intanto si era trasformato nella forma d'orso e aveva cominciato a rincorrerlo e ad usare i suoi artigli per acchiapparlo. La saetta che lo colpì lo fece finire disteso privo di sensi a pochi metri da lui. Elmer imprecò: non si sentiva affatto in colpa ma la bestiaccia era stata utile a tenere lontano l'entità. Considerando che voleva il roditore vivo per farci due parole, piantò il bastone a terra e recitò un glifo per tenere lontano il nemico da entrambi.

Ma non fece in tempo.

L'apprendista si vide arrivare addosso un getto di fuoco dalla bocca della creatura ed ebbe solo l'accortezza di proteggersi con le braccia prima di venire buttato giù, con il peso del demone a schiacciarlo. Il bastone era incastrato di traverso nelle fauci del mostro, salvandolo dal divenire pappa di demone, purtroppo l'arma si stava facendo bollente ustionandogli le mani, le spalle erano preda della presa ferrea e fiammeggiante degli artigli infuocati: sentiva la pelle scaldarsi e il bruciore divenire insostenibile, i suoi vestiti prendevano fuoco e l'unica cosa che il suo cervello riusciva a distinguere era il tormento delle sue carni che venivano cotte a puntino strappandogli urla sofferenti.

Non era molto abituato al dolore fisico. Non l'aveva previsto.

«Tenace solo a parole a quanto pare.» comunicò il demone senza l'uso della bocca.

La risata denigratoria che seguì lo riscosse. Odiava quando qualcuno lo prendeva in giro. Usò la rabbia come fonte di energia per distrarsi dal dolore; lo guardò in faccia e desiderò con tutte le sue forze di farlo fuori. La sua forza di volontà era reale, queste erano state le parole di Irving, doveva solo concentrarsi e tenere a bada le sensazioni fisiche del suo corpo come gli era stato insegnato e incanalare le emozioni nella sua magia.

E poi, senza che se ne accorgesse, la rabbia aumentò e la concentrazione si frammentò fino a perdere il suo centro. Vide Greagoir, le sue parole, le sue espressioni, e sentì l'improvvisa voglia abissale di spaccargli la faccia; vide il vecchio volto sporco di sangue distrutto dai suoi pugni. Poi Irving con quel suo eterno sorriso paterno; voleva fargli da padre quando lui un padre ce l'aveva già, un padre con i suoi stessi occhi che lo guardava camminare via rimanendo là a fissarlo sulla porta senza fare niente, niente! Vide suo padre davanti a sé e se stesso allungare mani infuocate verso di lui intrappolandolo in un abbraccio infernale. Suo padre cominciò a gridare.

«NO!»

Scosse la testa, sconvolto, tentando di ripulirla da quella violenza cieca, boccheggiando per ritrovare ossigeno, e impose alla sua mente di focalizzarsi: il demone cercava di distrarlo con illusioni, non doveva capitolare proprio ora! Si fece forza, chiuse gli occhi e mantenne la calma, e più rimaneva saldo più il dolore diminuiva, rendendo tutto più chiaro. Era il momento di usare il cervello.

Ricoprì il bastone dell'elemento ghiaccio, sentì le mani rinfrescarsi e il demone allontanarsi con un ringhio. Non aspettò che si riprendesse e attaccò nuovamente con il ghiaccio. Il demone dell'Ira barcollò e Elmer gli scoccò il colpo finale con una sfera di energia che mise fine al combattimento. La creatura urlò in modo disumano e si insabbiò nella terra.

Ecco fatto. Finito. Vittoria. C'era quasi da chiedersi “tutto qui? Già fatto?”.

Allora perché sentiva di aver dato uno spettacolo al di sotto della sua preparazione?

Con un grugnito si tirò su a fatica e tastò le parti del corpo ustionate. Le ferite non erano miracolosamente guarite, aveva la veste bruciata, le spalle che erano una visione orripilante, le mani ridotte a un macello, eppure non perdeva sangue e il dolore stava diventando un distante pulsare; incredibile quanto la forza di volontà fosse utile nell'Oblio. Per curiosità provò a concentrarsi sulla propria forma per ripristinare il suo aspetto iniziale.

«Ce l'hai fatta, ce l'hai davvero fatta!»

La voce squillante e gioiosa di Topo quasi gli fece venire un infarto.

“Il fottuto sorcio!”

S'era dimenticato del fottuto roditore. Come aveva potuto dimenticarsi del fottuto roditore?!

Si girò lentamente, i denti digrignati, una faccia da spavento, fissandolo con uno sguardo da killer: lui era appena scampato ad una possessione e ad una morte per carbonizzazione ed ecco quest'altro fresco come una rosa senza la minima traccia di sofferenza. La vita era ingiusta, ma adesso toccava a quella piccola feccia, oh se gli toccava.

«Già, evviva me.» replicò con astio stringendo il bastone e facendo mentalmente scorrere senza fretta la lista di incantesimi mortali che avrebbe potuto usare per l'occasione.

Credeva di avere a che fare con uno dalla memoria a breve termine? Oltre al fatto che, se non si fosse stupidamente curato di Topo, non si sarebbe disturbato con un glifo e avrebbe attaccato immediatamente con incantesimi primordiali che gli venivano decisamente più veloci.

«Ora però, piccola schifosa feccia di Oblio, voglio sentire la vera storia dietro quella tua faccia da ratto, se non ti dispiace. Quanti ne hai venduti prima di me? Sei mai stato un apprendista? Sei mai stato umano?»

«Di cosa parli? Certo che sono un apprendista! O almeno credo, io... non ricordo... non so più nemmeno il mio nome... L'Oblio, è questo luogo che ci cambia, che ci consuma dentro! Hai forse dimenticato che i templari hanno distrutto il mio corpo? Come credi mi sia sentito? Hanno ucciso me come hanno fatto con te!»

«Fino a prova contraria io sono ancora vivo, e ne ho abbastanza della tua parte da povera vittima con conveniente amnesia. Che mi dici della tua tunica?»

«Che vuoi dire?»

«Quella che indossi è la tunica dei maghi anziani, non degli apprendisti.»

“Pirla.” aggiunse gongolante tra sé.

Silenzio. Topo lentamente sorrise e il suo sguardo si fece scaltro e superbo. Non rispose e cambiò argomento. Iniziò a camminare attorno al giovane come il gatto che passeggia beffardo attorno al topolino, la sua voce, il suo atteggiamento erano completamente diversi.

“Aspetta un attimo, che sta succedendo?” si chiese mettendosi sulla difensiva.

«Hai sconfitto il demone, hai completato la tua prova. Con le tue capacità col tempo diverrai un maestro incantatore senza eguali. L'ho capito subito.» sussurrò suadente dandogli i brividi. «E forse, in tutta quella grandezza, c'è un piccolo spazio per qualcuno di piccolo e... dimenticato come il sottoscritto. È l'unico modo per me di uscire da qui. Passeremo insieme il confine del Velo, devi solamente permettermelo. Me l'hai promesso.»

«Non credo proprio. Comincio a pensare che quello non fosse il vero demone da affrontare...»

E questa volta non si vergognava di ammettere a se stesso di star cominciando a preoccuparsi sul serio. Il ratto aveva fatto la parte del debole fino a poco fa, ora se ne usciva con un ghigno malvagio e una scaltrezza pericolosa.

«Non essere stupido. Non senti la lama sul tuo collo? Stanno per ammazzarti alla stregua di una carogna! Per i templari sei già morto.» lo incalzò.

«Basta con queste stronzate! Non mi fiderò di te e non ti permetterò mai di oltrepassare il Velo attraverso di me!»

Alzò il bastone pronto a castare un incantesimo, incurante della fatica: secondo il suo modesto parere, la miglior difesa era l'attacco.

«Ah, ragazzo mio.» La voce di Topo cambiò nettamente assumendo una tonalità simile a quella dell'altro demone, un'aura maestosa e schiacciante si irradiò da lui. «Dov'è la tua voglia di schiacciare chi ti è inferiore e ti controlla? Dov'è il tuo orgoglio?»

Sotto i suoi occhi Topo si illuminò e cambiò forma divenendo un essere spaventoso dalla pelle violacea, il volto indefinito e scavato, le orbite luminose di un viola intenso che gli tolsero il fiato e lo lasciarono a bocca aperta per il terrore.

«Tieniti stretto il tuo acume, mago, perché le vere prove non hanno mai fine.»

Quello che prima era stato il sudicio roditore scomparve teletrasportandosi altrove mentre Elmer si sentì improvvisamente svenire.




Note dell'autore
E questo è uno dei capitoli più lunghi che vedrete XD
Non ho voluto suddividerlo perché volevo togliermi dai piedi in fretta questa parte, dato che l'ho fatta molto fedele a quello che accade in gioco e chiunque abbia fatto l'origine da mago la sa a memoria.
Come potete vedere ho cercato di sintetizzare al massimo i dialoghi predefiniti del gioco, che tanto li sappiamo più o meno tutti e rileggerli, beh, sarebbe abbastanza noioso, giusto? Questo è uno dei pezzi dove trovate il maggior numero di frasi prese dal gioco, tranquilli ^^
Approfitto per ringraziare ancora Mikoru per il codice html *-*

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Capitolo 3
*** Torre del Circolo ***


TORRE DEL CIRCOLO


«Elmer stai bene? Di' qualcosa, ti prego.»

Una voce ovattata arrivò alle sue orecchie, fastidiosa. C'era calma attorno a lui e l'aria era quella stantia che respirava dall'età di sette anni; persino quel piagnucolare gli era famigliare. Aprì lentamente gli occhi sbattendo le palpebre per mettere a fuoco.

«Jowan.» salutò con la gola sgradevolmente secca.

«Elmer, meno male! Ti hanno portato qui questa mattina dopo che hai passato tutta la notte... nel Tormento, suppongo?»

Il moro lo ignorò. Si guardò attorno: era nel dormitorio degli apprendisti, vivo e vegeto. Osservò le sue mani e le sue braccia e si toccò il viso in cerca di bruciature ma niente era rimasto della sua esperienza nell'Oblio a parte i ricordi ed una certa spossatezza fisica e mentale che ora stava pian piano svanendo.

«Com'è stato, Elmer?»

“Lo sai benissimo che non si può dire.” commentò acido tra sé mentre sbocciava in lui il fiore dell'irritazione: svegliarsi di fronte alle idiozie di Jowan non era più facile come una volta, tanto più che il sottoscritto la mattina non era per natura un adorabile bocciolo di rosa.

«Lo sai che non posso dirtelo, Jowan. È proibito parlarne con chi non ha ancora sostenuto la prova.» disse, e si complimentò per non aver perso le staffe.

Di recente il fratellino sparava un po' troppe cazzate e il livello di sopportazione cominciava ad abbassarsi inesorabilmente, così che le questioni più sciocche per cui prendersela divenivano dei drammi. Da mesi gli arrivavano critiche e piagnistei su questo e quello e su come il suo atteggiamento non fosse bello e di come amasse esageratamente i suoi romanzi, eccetera eccetera. Ci trovava gusto a criticarlo? Bel gesto dopo che gli aveva coperto le spalle per tutti questi anni.

«Alla faccia dell'amicizia.» si lagnò l'altro, e già lì avrebbe voluto strangolarlo. «Ti lascerò da solo, allora. Devi fare i bagagli per trasferirti nelle belle stanze al piano di sopra mentre io rimarrò qui ad aspettare che si degnino di chiamarmi per il mio Tormento. Se mi chiameranno.»

«Ti chiameranno quando sarai pronto, Jowan.» brontolò.

Lo sapeva che c'era una scaletta da rispettare, cosa si lamentava a fare?

“Io voglio bene a mio fratello, nonostante sembra abbia il ciclo mestruale perenne.” si ripeté come un mantra, magari faceva effetto.

«Sono qui da più tempo di te, certe volte penso che non abbiano per nulla intenzione di mettermi alla prova...»

“Invidioso?” pensò sprezzante.

Come se quei mesi in più che aveva trascorso lì dentro valessero qualcosa. Elmer si era sempre fatto il culo ed era giunto dov'era grazie alla tenacia; se Jowan preferiva piangere doveva solo incolpare se stesso.

«Prima o poi arriverà il tuo turno, tutti dobbiamo affrontare il Tormento.» replicò con sufficienza, strofinandosi il viso con le mani.

“Sarà rimasto qualcosa per colazione?”

«Gli adepti della Calma non affrontano il Tormento.»

A questa affermazione Elmer fissò allarmato l'amico. Stava insinuando quello che credeva stesse insinuando?

“Lo fa apposta per farmi incazzare?”

«Non vorrai insinuare che...»

«O affronti il Tormento o ti sottoponi al Rito della Calma o muori. Non ci sono altre vie.»

Ucciderlo, sì, non c'erano altre soluzioni. E se nessuno era disposto a compiere quell'atto di carità verso il mondo, il qui presente mago di grande talento si sarebbe offerto di buon grado come volontario.

«Jowan, per favore,» disse facendo ricorso alle briciole di pazienza di cui disponeva al momento, «mi sono appena svegliato e ho la testa ancora sottosopra; potresti essere così gentile da non comportarti da stronzo e avere pietà di me?»

Era il minimo!

Jowan sospirò e perse il broncio. Appena sveglio Elmer non era il più dolce degli individui: per circa una mezz'ora rimaneva irritabile, arrogante e sboccato (più del normale, si intende), poi, per grazia di Andraste, cominciava a riacquistare il senno. L'apprendista smise di passeggiare nervosamente avanti e indietro e andò a sedersi accanto al nuovo mago che, stizzito, si chiedeva perché ogni santa volta il fratellino tirava dritto verso l'eventualità più schifosa tra tutte quelle presenti.

Jowan non poteva sottoporsi al Rito della Calma, era semplicemente sbagliato. Suo fratello non aveva le caratteristiche necessarie: nonostante il carattere capriccioso e irresoluto non era così debole di volontà e non era un mago sospettato di costituire un pericolo per il Circolo.

Gli Adepti, poi, erano inquietanti, silenziosi, parlavano esclusivamente se interpellati; niente gioia, niente affetti, nessuno scopo se non quello che ti viene assegnato e altro la tua mente libera e sgombra non si spreca di considerare. Non erano più umani e Jowan la pensava come lui se non peggio, gli mettevano proprio i brividi, perciò era enormemente seccante notare come apparentemente godeva nell'auto infliggersi pensieri allegri di questo tipo.

«Mi dispiace, non volevo essere brusco, è solo che...» si interruppe, indeciso. «Senti ne parliamo dopo. Mi hanno mandato a dirti che Irving ti vuole vedere. Va' da lui appena ti senti di alzarti.»

«Sei venuto solo per dirmi questo?»

Normalmente avrebbe tirato fuori la voce ferita e l'espressione da cucciolo che gli erano sempre uscite bene (era di bell'aspetto, in fin dei conti, perché negarlo), al momento gli uscì soltanto un tono indignato per la mancanza di attenzioni dopo essersi sbattuto un sacco in quella maledetta prova. Abituato a tali atteggiamenti, l'altro sorrise e lo abbracciò raccomandandogli di riposare. Nella sua infinita magnanimità Elmer evitò di rimproverarlo per le stupidaggini che gli erano uscite di bocca e lo strinse forte, sperando in qualche modo il fratello capisse. Di rimando Jowan intuì il Tormento dovesse essere stato proprio pesante, il suo fratellone non era tipo da gesti fisici, li trovava appiccicosi, così gli diede qualche incoraggiante pacca sulla schiena e stette lì qualche secondo in più prima di lasciarlo.

“Non ha capito un tubo.” si disse sconfitto il mago guardandolo allontanarsi.

Perché quei contatti fisici e giochi di sguardi chiarificatori funzionavano solo nei libri?

Prima di uscire dalla porta Jowan gli fece i complimenti per il superamento del suo Tormento e di nuovo, con una lieve ansia, disse che avrebbe avuto piacere di parlargli più tardi. Il moro annuì, sorvolò sull'inquietudine dell'altro moro perché tanto si sapeva che Jowan era in grado di farsi seghe mentali sulle più piccole cose, e si distese ancora sul letto aspettando di essere abbastanza in forma per compiere la lunga camminata verso l'ufficio di Irving: non si poteva dire che i maghi del Circolo non facessero esercizio fisico quotidianamente con tutti quei dannati gradini.

Distrattamente sentì delle voci femminili in sottofondo. Le riconobbe, Clarissa e Marla, le due amiche inseparabili con cui studiava spesso, soprattutto con Clarissa che nervosamente chiese delle sue condizioni di salute. Marla la prese in giro insinuando una cotta che secondo lui c'era eccome, ma furono le parole di Clarissa a dargli involontariamente da riflettere.

«Cosa dici?! È solo perché quel templare ha detto che è stato uno dei Tormenti più brevi degli ultimi tempi!»

Uno dei più brevi degli ultimi tempi. Sorrise sornione. Ah, non vedeva l'ora di uscire di lì e accettare con un sorriso e parole modeste tutte le lodi per il suo successo! Un'ombra però oscurò il suo idillio. Si sentiva orgoglioso del suo trionfo. Orgoglioso. Orgoglio. Solo a pronunciare mentalmente quel vocabolo gli salì la nausea. Cosa c'era da essere orgogliosi?

In un lampo la sua prova gli scorse davanti agli occhi: la sua mente aveva resistito e si era dimostrata forte, una qualità importantissima per ogni mago che si rispetti e che vuole arrivare da qualche parte nella vita, tuttavia il fatto che fosse cascato nella trappola più scontata gli metteva addosso una certa incazzatura. Aveva studiato sodo per poi mettersi in ridicolo così? Maledizione, valeva cento volte più di molti apprendisti che giravano tra quelle mura di pietra e poi... poi... Fottuti demoni! Fottuto roditore!

“Sì, quel maledetto sorcio...” ricordò con desiderio omicida.

Il demone dell'Ira era stato soltanto una pagliacciata, se il demone dell'Orgoglio avesse voluto ucciderlo ci sarebbe riuscito facilmente. Allora per quale motivo non l'aveva fatto? Forse credeva di poter tornare un giorno a fargli visita e riuscire a sedurlo con le sue belle parole? Non poteva predire il futuro, comunque, se ciò fosse successo, avrebbe nuovamente combattuto la minaccia con tutto quello che aveva a disposizione e gli avrebbe fatto vedere chi comandava, hmph! Era un mago orgoglioso, così orgoglioso da rifiutare qualsiasi scorciatoia offerta dagli abitanti dell'Oblio e così incazzoso da spaccare il muso a chiunque avesse la malsana idea di venire a rompergli i maroni.

Suo padre si affacciò nei suoi pensieri, urlante nelle fiamme del suo abbraccio, un'immagine sgradita che di solito era costretto a sorbirsi nei suoi sporadici incubi notturni. Non c'era da sorprendersi, ognuno aveva il suo trauma al Circolo, il suo era l'abbandono di paparino. Nella sua immaginazione onirica raramente il suo unico genitore era felice di vederlo.

Sospirò, chiedendosi se quella notte l'avrebbe sognato dato che il suo inconscio era stato sballottato bruscamente. Dopo qualche secondo si annoiò di pensarci; perché crearsi problemi quando non ce n'erano? Si alzò, si diede una sistemata e si diresse verso i piani superiori. Ringraziò chi gli faceva i complimenti per il suo Tormento fermandosi a chiacchierare, crogiolandosi nella sua rinnovata popolarità, e con calma arrivò a destinazione.




Note dell'autore
Rieccoci tornati alla torre. Urge una spiegazione dei titoli dei capitoli: non ho grande fantasia per i nomi, figuriamoci per ogni capitolo XD Così ho deciso di mettere il nome del luogo. Nel primo si era alla torre, nel secondo nell'Oblio, nel terzo siamo tornati al punto di partenza. Quando i capitoli sono ambientati nello stesso luogo, come titolo vedrete questo trattino "-" (perciò non fatevi ingannare, non è un avviso o roba del genere).

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Capitolo 4
*** - ***


Nello studio oltre al Primo Incantatore c'erano Greagoir e un uomo sconosciuto, probabilmente il famigerato Custode Grigio di cui gli avevano accennato durante la breve camminata (impossibile evitare il gossip nella torre). Mentre faceva il suo ingresso ascoltò gli ultimi pezzi di una discussione che doveva essere iniziata da un po'.

«Già molti sono andati a Ostagar, Wynne, Uldred e parecchi dei maghi anziani: non manderemo nessun altro dei nostri laggiù!»

«Nostri? Da quando ci consideri una famiglia, Greagoir? O temi di lasciare troppi maghi al di fuori della supervisione della Chiesa permettendo loro di usare finalmente il dono concessogli dal Creatore?»

«Come osi-»

«Signori, per favore. Irving, qualcuno è qui per vederti.»

Il Custode aveva interrotto l'ennesima potenziale lite tra i due vecchi spostando l'attenzione su di lui.

«Avete chiesto di me?» disse con garbo, dimostrando il solito bon ton.

«Ah, il nostro nuovo fratello del Circolo. Vieni ragazzo.» lo accolse con calore il vecchio.

«Lui è...» iniziò il Custode.

«Sì. È lui.» finì il Primo Incantatore.

Inquietante. Perché Irving e il Custode si completavano le frasi a vicenda con argomento centrale proprio lui? Forse Greagoir non doveva essere a conoscenza di qualcosa in particolare? Ma dettaglio più importante: Irving alla sua età faceva ancora questi giochetti? Quel vecchio faceva tenerezza alle volte. Poche volte. Comunque gli fece piacere essere chiamato ufficialmente fratello, sebbene non fosse un titolo molto usato né preso in grande considerazione. Secondo Elmer il nomignolo di fratello era un modo per prendere in giro la Chiesa che usava lo stesso appellativo nei suoi ranghi; per il resto, la cosa della famiglia tra maghi non funzionava granché bene: erano un'accozzaglia di gente costretta a condividere uno stesso spazio; c'era chi si adeguava, chi si adeguava meno, e chi non si adeguava affatto. L'unica cosa che avevano in comune era la rottura di maroni (per non dire sofferenza) che il dono del Creatore aveva portato con sé, e legare sul dolore non era esattamente salutare. Potevi conoscere gli altri e instaurare rapporti di fiducia, certo, ma non potevi andare d'accordo con tutti, era statisticamente impossibile. Non per niente c'era più di una fazione politica nei Circoli del Thedas.

«Bene Irving, siete chiaramente occupato, discuteremo più tardi.» concesse contrariato il templare.

«Ma certo.» replicò con tutta calma il vecchio mago.

Oh, si prevedevano urla e strilli! Le loro proverbiali discussioni arrivavano fino al primo piano. Greagoir uscì dall'ufficio lanciandogli un'occhiataccia ma Elmer ormai aveva fatto il callo a certe frecciatine e lo ignorò.

«Dov'ero? Ah sì: Elmer questo è Duncan, Comandante dei Custodi Grigi del Ferelden.»

«Lieto di conoscervi.»

“Addirittura un comandante.”

«Elmer, suppongo tu sia a conoscenza del fatto che la Prole Oscura abbia fatto breccia nel mondo di superficie. Duncan sta reclutando altri maghi per l'esercito del Re a Ostagar.»

“Quindi?”

Senza conoscerne la ragione, il moro fu trascinato in una discussione sulla Prole Oscura, sulle Vie profonde dei nani, sui Flagelli e sui Custodi Grigi stessi. Duncan gli ricordava Irving, gli stessi modi pacati, ma c'era qualcosa di diverso, nel portamento, se non errava. Quando la cosa si fece lunga, l'anziano mago prese la scusa del suo recente successo per cambiare discorso. Non sapeva se fosse una tattica per farlo interessare di più a Duncan e alla sua preoccupazione per il Flagello o se Irving volesse effettivamente proteggerlo dalla violenza esterna al Circolo; era tanto dolce quanto contorto.

Gli venne comunicato che, avendo ora titolo di mago, il suo filatterio era stato spedito a Denerim; curiosamente il Custode non sapeva cosa fosse un filatterio e con un sorriso birichino nascosto dietro ad uno più comprensivo la vecchia volpe glielo spiegò.

“No, Irving, non te la tiri affatto, figuriamoci.”

 

Prima di andare a chiacchierare amabilmente con Greagoir l'incantatore anziano gli lasciò la nuova tunica, il suo primo bastone magico (che faceva veramente schifo, precisiamo) e l'anello con l'insegna del Circolo dei Maghi, e gli venne chiesto di accompagnare Duncan nei suoi alloggi dato che per quella notte sarebbe rimasto ospite presso di loro. Durante il tragitto l'uomo volle sapere cosa ne pensava della guerra imminente e se gli sarebbe piaciuto mettere a disposizione il suo potere per il bene del Ferelden.

Okay, era abbastanza chiaro che qualcuno lo volesse arruolare ma non vedeva come lui rientrasse nell'equazione dato che non aveva il titolo per uscire da lì. E non aveva mai avuto alcun senso patriottico dato che nessun potere regio aveva impedito a un culto religioso di rinchiudere un onesto cittadino di minore età in una torre, tuttavia gli sarebbe piaciuto passare da insetti della dispensa a soldati mostruosi della Prole Oscura per testare le sue abilità. Con leggerezza si dichiarò pronto a partire se le sue capacità si fossero rivelate necessarie, non era tipo da tirarsi indietro. Duncan sembrò compiaciuto dalla risposta e lo salutò una volta giunti.

Quando uscì dalla stanza incontrò il fidanzato segreto-non-esattamente-segreto di Neria, presente al suo Tormento.

«Elmer!»

«Cullen.» salutò cordiale.

Elmer provava una discreta quantità di stima e rispetto nei suoi confronti, una cosa piuttosto rara tra mago e templare. Cullen era lì da meno di un anno, capelli corti castano chiaro con riflessi rossicci, occhi nocciola. Era una persona gentile ed educata, sensibile, eppure quando parlava di ciò a cui teneva la sua fermezza e la sua forza erano palpabili. Era onesto e leale, uno dei motivi per cui Neria aveva scelto di rischiare una relazione con lui. Non erano in tanti a saperlo, la vecchia volpe di certo ne era a conoscenza, ma era meglio Cullen imparasse alla svelta a nascondere le proprie emozioni se non voleva essere trasferito o vedere Neria spedita in un altro Circolo per ordine di Greagoir.

Era una maga alla sua altezza, la preferita di Wynne, gli sarebbe dispiaciuto non avere più qualcuno con cui competere.

«Come stai?» volle sapere accorato.

“Sei troppo ovvio, Cullen.” pensò per quella che doveva essere la centesima volta.

«Bene, grazie. Non ho ancora avuto occasione di chiederlo: che è successo dopo il Tormento?»

«Dopo meno di un'ora sei svenuto a terra. Il Comandante Greagoir pensava fossi morto... o peggio. Ma respiravi ancora. Il Primo Incantatore ti ha esaminato e ha detto che eri fuori pericolo e che avevi superato la prova.»

«Capisco.»

«Mi avevano assegnato il compito di infliggere il colpo finale nel caso...» si interruppe, palesemente a disagio. «Non è niente di personale, lo giuro! Non ho mai affrontato un abominio in tutta la mia vita e... credo che vedere una persona che conosco trasformarsi in uno di quei mostri ed essere costretto a... Ecco, sono lieto di vederti sano e salvo, volevo dire solo questo.» finì con un sospiro insoddisfatto per essersi perso in un inutile e inappropriato giro di parole.

«Non preoccuparti, Cullen, e grazie per il pensiero.» rassicurò nascondendo un sorriso divertito.

Il solito vecchio Cullen balbettante. Ma il tema abomini era da concludere con una nota positiva, altrimenti scommetteva che il poveretto ci avrebbe pensato per tutta la giornata.

«Ci hanno insegnato a temerli e a combatterli. Sia maghi che templari, quando verrà il momento saremo pronti.» disse alzando le spalle con finta indifferenza ripetendo ciò che era stato loro insegnato. «Non sono più quello che erano, non sono le stesse persone che hai conosciuto; ricordalo quando accadrà.»

“Perché fare la persona matura e controllata mi fa figo.” pensò con modica presunzione.

Non erano pensieri felici, bisognava prenderli con filosofia.

Non aveva dubbi che Cullen prima o poi avrebbe avuto il suo bel daffare, era un templare, era il suo lavoro. Per quanto riguardava lui invece, nella sua vita, nella vita di ogni singolo mago, il rischio di diventare una creatura mostruosa e sanguinaria sarebbe stato sempre presente. Personalmente aveva poca paura di diventare uno scherzo della natura, era forte, mica debole come gli sfigati che si facevano possedere.

Stavano per separarsi ognuno per la propria strada quando Elmer si voltò un'ultima volta chiamandolo. Non era contento delle frasi didattiche pronunciate; sentiva ci voleva qualcosa di più significativo questa volta, qualcosa di umano, qualcosa, insomma, che lo distinguesse dalla massa come i protagonisti dei suoi romanzi.

«Per quello che vale, se io mai diventassi un abominio, sapere che ci sarà qualcuno a impedire ad un mostro di ferire le persone a cui tengo tramite il mio corpo sarebbe l'unica mia consolazione e speranza.»

Dopo un attimo di intensa pausa Cullen annuì solennemente.

 

Arrivato al suo nuovo alloggio Elmer l'osservò con occhio critico. Se gli apprendisti dormivano in un'unica vasta sala stretti e appiccicati su letti a castello e brandine, usavano comodini e piccoli armadi sparsi a casaccio e usufruivano di servizi igienici comuni, i maghi si trattavano bene, ciascuno con un intero spazio di quattro metri quadrati. Tanti cubicoli in serie separati da un muro sottile. C'era un letto singolo con un vero materasso, lenzuola e coperte decenti, un armadio per il guardaroba inesistente, l'immancabile scrivania, una libreria stracolma di testi relativi ai suoi studi, separata da una tenda c'era la piccolissima zona bagno con catino e toilette. Ed era tutto suo, indipendente, privato. Se si escludeva il templare di guardia e il fatto che non ci fossero porta e finestre.

“È questa la ricompensa per il mio Tormento?” pensò rancoroso.

Il rancore però fece presto spazio ad un più raro sconforto. Quello che aveva ricevuto in cambio dei suoi sforzi non era equo. Che ironia, nell'Oblio la sua determinazione contava qualcosa, nel mondo terreno... Niente era cambiato veramente. E niente sarebbe mai cambiato in futuro, per quanto grandi fossero la sua volontà, la sua bravura, i suoi traguardi. In quel cubicolo ci avrebbe vissuto e ci sarebbe pure morto.

Si batté con forza le mani sulle guance. Pensieri del genere erano pericolosi, ti portavano a fare cose stupide come un noto mago delle Anderfels.

Considerò di trovarsi un altro hobby, uno impegnativo... magari il disegno. No, per carità, l'ultima volta si era imbestialito e aveva incenerito il foglio macchiato dell'obbrobrio imbarazzante. Forse poteva rileggere qualche libro, ormai aveva trangugiato la maggior parte della biblioteca e i racconti erano finiti, ci sarebbe voluto qualche tempo per i seguiti delle collane che seguiva. Bah, qualcosa avrebbe trovato. Al momento doveva solo sentirsi in pensiero per Milly: da chi sarebbe andata ad accucciarsi la piccola Milly dopo uno dei suoi incubi? Lo avrebbe fatto presente a Jowan e agli altri, qualcuno doveva occuparsi di lei.

A proposito di Jowan...

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Capitolo 5
*** - ***


Lasciò la camera e cercò Jowan, trovandolo in biblioteca a sfogliare noiosamente un libro sul cucito. Il fratello si decise a parlargli, ma non lì. Questa segretezza lo lasciò perplesso.

Andarono nella cappella della torre dove ad accoglierli c'era Lily, una graziosa iniziata della Chiesa, al cui fianco si mise Jowan, guardandola con affetto.

«Ehm, credo di avere diritto a qualche spiegazione?»

In realtà sapeva già della loro relazione, lo aveva scoperto settimane fa quando, preso da una ventata di noia fresca, aveva deciso di svelare il mistero, però, dati i recenti screzi tra lui e il fratellino, era opportuno non vantarsi troppo delle proprie capacità investigative apprese da anni di letture di gialli e thriller.

“Che carino a mettermi finalmente al corrente delle sue sdolcinatezze.” sorrise tra sé.

«Ecco, Elmer, hai presente la ragazza di cui ti ho parlato?» fece timido il moro dagli occhioni blu.

«La misteriosa ragazza di cui ti sei innamorato e di cui non hai mai voluto rivelarmi l'identità al punto che io ho cominciato a prenderti in giro dicendoti che te l'eri inventata per invidia nei miei confronti? Sì, ricordo perfettamente. Le mie condoglianze, Lily.»

Non aveva bisogno di commentare la scelta amorosa di Jowan, gli intrallazzi tra maghi e chierici non erano una novità, nonostante il chiaro divieto. Se Jowan aveva deciso di correre il rischio doveva avere una valida ragione, oltre al farsela. Magari era davvero cotto.

“Il gusto del proibito...” suppose.

Fin da quando aveva raggiunto la pubertà e provato i piaceri della carne non aveva mai avuto problemi a mettere l'istinto di conservazione sopra i capricci del corpo: c'erano cose ben più importanti del sesso, per esempio la posizione sociale e le ore di allenamento per raggiungere un grado di potenza al di sopra della marmaglia. Inoltre il concetto di amore, a lui sconosciuto nonostante le tante letture sull'argomento, non era un tema molto sostenuto tra i maghi che, a causa delle condizioni in cui versavano, preferivano la classica botta e via (e pure quella era una fortuna averla).

«Potevi rispondere semplicemente con un sì.»

«Non quando me la servi su un piatto d'argento. Comunque, se te lo stai chiedendo, hai il mio benestare. Tanto lo sanno tutti che certi divieti prima o poi vengono infranti.» disse con leggerezza.

Sapeva già che la loro storia non sarebbe durata quindi perché fare l'uccello del malaugurio.

«Se voi due ragazzini avete finito di battibeccare, avremmo faccende più urgenti di cui discutere.»

“Ma chi ti credi di essere?” fu la risposta interna automatica.

Non l'aveva mai notata più di tanto, vuoi perché era un'iniziata, vuoi perché... No, era solo per quello. La voce di Lily era chiara e soffice, in quel momento leggermente indispettita, ma un sacco di gente ignorante aveva una bella voce. Era carina di viso, il resto, sempre coperto dalla tunica clericale, era per lui un mistero. Si chiese se Jowan ne sapesse qualcosa e il pensiero che suo fratello avesse perso la verginità senza dirgli nulla lo mandò in tilt.

«Aspetta: Jowan l'avete fatto?»

«C-cosa?!» balbettarono entrambi.

«Io te l'ho detto quando l'ho fatto, con tanto di dettagli! Come puoi averlo fatto e non avermelo detto? Sono tuo fratello!»

«No! Non l'abbiamo fatto! Te l'avrei detto!»

«Per il Creatore! Abbassate il tono, siamo in una chiesa! E che vuol dire che glielo avresti detto?»

«Ecco, Lily, io e Elmer ci diciamo tutto... anche questo genere di cose...»

«Ti proibisco di farlo! È imbarazzante oltre a essere decisamente inappropriato!»

«Ehi, ehi, queste sono cose da fratelli, voi che non siete della famiglia non potete capire. Vedi? Sta già cominciando a mettere i paletti: oggi le normali confidenze tra amici, domani il modo in cui ti vesti! Bella fidanzata che ti sei scelto.»

«Sssshhh!»

I tre si azzittirono di colpo; gli occhi spalancati si fissarono su Keili la Pazza inginocchiata davanti alla statua di Andraste che li squadrò torva prima di tornare alle sue preghiere e chiedere perdono al Creatore per il solo fatto di esistere. Tsk. Non gli era mai piaciuta, aveva le rotelle fuori posto: si sentiva così in colpa di essere una maga che dire che si comportasse come il templare di se stessa era un eufemismo. Non sapeva quali traumi avesse subito ma era così da quando era arrivata sette anni prima, una bambina di circa tredici anni con gli occhi spiritati.

«Perché dobbiamo parlare proprio qui?» bisbigliò riprendendo il discorso iniziale.

«Perché ho scoperto che il Comandante Greagoir vuole sottoporre Jowan al Rito della Calma. L'ho letto in un documento lasciato sopra la scrivania nel suo ufficio. Credono che Jowan sia un mago del sangue!»

Silenzio. Allora era questo di cui volevano parlare, non la relazione. Ed ecco perché quelle idiozie al dormitorio! Non spiegava affatto il perché dovessero parlarne in chiesa, ma va beh.

Lo stupì la sola ipotesi che Jowan potesse essere un mago del sangue. Era ridicolo. Jowan era- suo fratello era come un orsacchiotto di peluche, dai.

«Un mago del sangue?» ripeté scettico, quasi divertito.

«Io non sono un mago del sangue, lo giuro! Non so perché lo pensino ma a questo punto non posso più rimanere alla torre: tra qualche giorno mi costringeranno al Rito della Calma e io... io non posso smettere di amare Lily, te e gli altri! Non voglio diventare un guscio vuoto, non voglio perdere me stesso.»

«Hai provato a parlarne con Irving?»

«Sul documento c'era anche la sua firma.»

L'affermazione scoraggiata di Lily ebbe l'effetto di un macigno. Irving era la persona che si faceva garante dell'innocenza altrui, lui correggeva i torti, lui metteva pace nelle dispute. Soprattutto lui stava sempre dalla parte giusta, dalla loro, anche se se la tirava. Che cosa diamine gli era saltato in testa? Perché concordava con Greagoir sul fatto che Jowan fosse un maleficar quando era ovvio non fosse così?

«Non è possibile...» mormorò confuso cercando una qualche spiegazione razionale.

«Sono disperato, Elmer.» riprese l'altro. «Per questo... per questo io sto chiedendo il tuo aiuto. Siamo amici, fratelli. Tu ci sei sempre stato per me come io per te. Io e Lily vogliamo fuggire insieme. Aiutaci, ti prego.»

“Oh, adesso si ricorda di quanto sono utile.” fu il primo pensiero sprizzante indignazione, seguito subito dopo da “Fuggire insieme?”

Lo fissò incredulo con un sopracciglio per aria. Ubriaco non poteva essere, perciò o ci teneva così tanto a quella ragazza da tentare l'impossibile oppure era irrimediabilmente uscito di senno. Il piccolo Jowan, il dolce, indeciso, piagnucolante Jowan che pensava d'un tratto alla fuga? Aveva tutta l'aria di un uomo determinato e se non lo avesse conosciuto da quando era uno scriccioletto con il moccio al naso forse ci sarebbe pure cascato; purtroppo o per fortuna lo conosceva bene.

Tralasciando questo dettaglio, c'era un punto ben più reale su cui riflettere e cioè che i tentativi di fuga da quelle parti erano famosi per una cosa: le loro fini tragiche. A dispetto della buffa immagine di Jowan che scalava mari e monti per fuggire di lì urlando “Lily ti amooooo!”, la realtà era letale, e non poteva permettere che finisse ammazzato per un sogno. Era sua responsabilità vegliare su di lui, come sempre, soprattutto quando si faceva prendere da idee strampalate.

«Ti aiuterò in qualunque modo, di questo non dubitare mai. Solo che non ho la più pallida idea di cosa fare, a meno che non vi facciate spuntare delle ali.» disse, convinto che non avessero idea di dove cominciare.

«Lily ha un piano.» affermò Jowan con un certo orgoglio.

“E ti pareva.”

La figura di Lily diventava ogni secondo più tediosa.

«Creerò un diversivo; ci introdurremo nel deposito dei sotterranei e distruggeremo il filatterio di Jowan così che non possano rintracciarlo. Fatto questo lo aiuterò a nascondersi in una delle imbarcazioni che vengono a rifornire di provviste la torre.»

«Questa notte, dunque.» Così presto? Da quanto ci stavano pensando? «Come faremo ad entrare?» chiese invece, dando per il momento corda a quel piccolo complotto.

«Posso introdurmi facilmente nei sotterranei, ma c'è un problema: ci sono due chiavi per la porta del deposito dei filatteri, conosciute solo dal Primo Incantatore e dal Comandante Templare.»

«Non possiamo sapere quali siano» intervenne Jowan, «ma è solo una porta, dopotutto, e qui ci sono abbastanza poteri e incanti per ridurre in briciole un impero. Cos'è una porta per i maghi?»

Da dove veniva fuori questa sua sicurezza interiore? Roba da matti!

«Se è solo una porta, cosa di cui dubito,» ci tenne a precisare, «allora basterà una verga di fuoco per sciogliere la serratura e il gioco è fatto.» asserì Elmer con un sorriso malandrino.

L'avevano già fatto in passato per sbocconcellare cibo dalla cucina. Bei ricordi.

«Soltanto una persona con il permesso scritto di un mago anziano può avere accesso alla merce in magazzino. Se ci andassi io potrei dare nell'occhio dato che sono già sospettato, mentre Lily non avrebbe alcun motivo per richiederlo.»

«Chiederò alla nuova maga anziana Leorah, è da poco stata incaricata di occuparsi della dispensa del Circolo e l'ho già aiutata a disinfestare la zona. Le dirò che mi serve la sua firma per una ricerca, sono sicuro che non avrà da obbiettare.»

Discussero ancora definendo gli ultimi dettagli, in seguito Elmer si diresse alla dispensa dove chiese il documento firmato alla maga elfa che glielo concesse con un sorriso. Facile.

Tornando, passò davanti all'ufficio di Irving e fu tentato di parlargli subito di Jowan, invece di aspettare il dopo-fuga. Perché pensava fosse un mago del sangue? Quali erano le prove a suo carico? Tuttavia non avrebbe potuto parlare senza rivelare il ridicolo piano destinato al fallimento, dato che le carte viste da Lily erano confidenziali e una tale diceria nella torre non si era mai udita, e la vecchia volpe era troppo perspicace per cascare in una conversazione a fini di raccolta informazioni. Sospirò e continuò a camminare.

Se si escludeva l'eventualità che Lily si fosse inventata tutto per fuggire insieme al suo innamorato, c'era da sentirsi traditi da colui che proteggeva i maghi dalla maggior parte delle stupidità della Chiesa. Chiariamoci, non si era mai aspettato i salti mortali dal vecchio, non aveva una fede cieca in lui, non accettava tutte le decisioni da lui prese senza farsi domande, non era un burattino nelle sue mani, non era una mente manipolabile, non era un Adepto della Calma con il cervello lobotomizzato, però... Che fosse davvero un uomo astuto, come dicevano le voci maligne, arrivato alla carica di Primo Incantatore per il prestigio che rappresentava e il potere che esercitava? L'unica cosa certa era che Irving ricopriva un ruolo importante per ogni mago, un punto di riferimento, aveva delle responsabilità a cui adempiere. Da alcuni Irving era considerato un padre amorevole, da altri un bastardo scaltro. Qual'era la verità?

Sentendosi stressato come Billy in Tu sai che io so, si allontanò dall'ufficio arrivando al magazzino e parlando con Owain.

«Benvenuto al magazzino di articoli magici del Circolo. Il mio nome è Owain, come posso aiutarvi?»

La voce piatta e senza vita dell'Adepto della Calma lo innervosì e non poté fare a meno di pensare che Jowan, per nessuna ragione comprensibile, avrebbe presto potuto entrare nei loro ranghi. Aveva visto gli amici di Owain piangere quando dopo molti tentativi si erano rassegnati di averlo perso per sempre. Se interrogati, gli Adepti rispondevano che il Rito non era stato affatto doloroso e ogni cosa e aspetto della vita era più chiaro e limpido senza le emozioni ad appannare la loro capacità di giudizio. Affermavano di stare bene.

Come fa uno che non sente niente a sapere di stare bene?




Note dell'autore:
Non so voi ma a me Lily ha sempre dato sui nervi è_é
I pensieri di Elmer sul piano saranno più chiari in seguito, ovviamente ^^ Nel frattempo spero si sia capito cosa prova nei confronti di Irving!

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Capitolo 6
*** - ***


Sistemò la verga nella sua nuova stanza e visto che mancava un bel po' prima di entrare in azione decise di andare da Jowan che aveva detto si sarebbe rintanato di nuovo in biblioteca. Sul suo cammino incontrò Neria, la dolce elfa dai lunghi e ricci capelli biondi e gli occhi verde smeraldo.

«Elmer!»

«Ehi, Neria. Finito di studiare per il test di pozioni?»

«Sì, torno adesso dalla biblioteca. Jowan è lì, se lo stai cercando.»

«Grazie. Ho visto il tuo cucciolotto, prima.» punzecchiò guadagnandosi un'espressione imbronciata e imbarazzata. «Dovresti costringerlo a non indossare quella faccia da tenerone in pubblico.»

«Ci sto provando.»

«Insisti. È un tipo simpatico, sarebbe un peccato non averlo più intorno.»

«Lo so...» rispose lei perdendo l'amabile cipiglio e distogliendo lo sguardo.

«Non intendevo rattristarti, è che è troppo evidente se fa così.»

«Lo so, Elmer, lo so. Come vanno le cose con Jowan?»

«Sempre uguali.» sbuffò, imperturbato dal cambio di discorso.

«Vedrai che è solo una fase passeggera. L'hai sempre protetto, è normale che ora che è cresciuto desideri un po' di indipendenza.» gli disse con la consueta delicatezza.

«Gli do tutta l'indipendenza che vuole, è lui che non sa cosa farsene e viene da me a lamentarsi.» ribatté facendola ridere.

«Sii paziente, tutto si sistemerà.»

«Quanta saggezza nelle tue parole, mia signora.»

«Non sei affatto spiritoso!» rise. «Ah, dimenticavo. Anders-»

«Creatore, com'è tardi! Arrivederci, Neria.»

Allungò il passo in tutta fretta ma la donna non lo mollava; il corridoio non gli era mai parso così interminabile. Aveva tutte le ragioni per svignarsela, perché il Creatore non era dalla sua parte?

Il mago delle Anderfels era considerato una specie di mina vagante, ingiustamente, avrebbe aggiunto; dopotutto le sue fughe non causavano problemi ai maghi ma soltanto ai templari di guardia. Tuttavia aveva un caratterino poco tranquillo ed era difficile non perdere la pazienza con un tale soggetto, per questo trovare qualcuno che si offrisse spontaneamente di fargli compagnia era un'impresa ardua (a meno che non si trattasse di sesso). Solitamente il peso spettava a Wynne, quindi non vedeva il problema, di certo sarebbe tornata prima del suo rilascio; eppure erano ben sei giorni che Neria, non ricevendo notizie dall'anziana incantatrice, si adoperava per assicurarsi che il bel guaritore non restasse sotto la sorveglianza speciale dei templari.

«Comprendo il tuo entusiasmo,» disse caparbia sbarrandogli la strada, «però dobbiamo ancora trovare qualcuno che si prenda cura di lui.»

«Che lo sorvegli, vorrai dire. Uscirà tra mesi, Neria! Perché pensarci adesso?»

«Perché nessuno sembra intenzionato ad accollarsi questa responsabilità e non si sa quando Wynne rientrerà. Lo farei io, ma Wynne mi ha lasciato del lavoro e-»

«E tra quello e il tuo cucciolotto non avresti tempo per stargli dietro.»

«Oh, sta' zitto.»

Da persona matura quale era l'elfa gli rifilò una linguaccia.

“Ah, ti brucia che ti si facciano notare i tuoi scopi personali, eh Miss Perfettina?” si dilettò tra sé.

Ma Neria non era tipo da scoraggiarsi per queste piccole battute a cuor leggero e tempo di riprendere fiato ricominciò.

«Non so quanto starà via Wynne e il lavoro è un progetto a lungo termine, perciò, visto che adesso non sei più un apprendista, se lei non torna in tempo potresti occupartene tu? Come soluzione provvisoria, ovviamente.»

Provvisoria, certo. Non aveva niente contro Anders, le poche volte che aveva interagito con lui erano state per rifiutare prestazioni sessuali, niente di che; il punto era che si era fatto dei piani, piani che prevedevano la collaborazione con almeno due incantatori anziani per ricerche che gli avrebbero assicurato prestigio tra quelle grige mura. Non aveva tempo per badare al fuggiasco arrapato.

E stava proprio per dirle questo quando la sua attenzione venne catturata dal quel volto corrucciato e gli occhioni scintillanti.

“Maledizione...”

«Non c'è nessun altro?» chiese sconfitto, anche se sapeva già la risposta.

«Non si è fatto avanti nessuno.» disse infatti la ragazza. «Allora? Sei disponibile?»

Beh, la sua carriera non sarebbe scappata da nessuna parte, aveva tutta la vita per dedicarcisi, invece, se era fortunato, Anders avrebbe tentato la fuga per la settima volta lasciandolo libero da ogni incombenza.

«Se prima non mi sbattono in cella per l'omicidio di Jowan...» scherzò, calcolando che comunque con tutta probabilità la vecchiaccia sarebbe tornata per tempo.

Si salutarono, Elmer verso la biblioteca con la prima e forse unica buona azione della giornata sulle spalle, Neria verso... come minimo andava a infilarsi in qualche sgabuzzino con Cullen. Eh, l'amore. Rendeva le persone stupide, nel migliore dei casi. C'era solo da sperare che Neria fosse immune al veleno; era troppo intelligente per essere stupida, sarebbe stato un vero spreco.

Giunto a destinazione sorvegliò la sala principale fino a individuare una figura conosciuta. Eccolo là, il fulcro della frivola storia d'amore di oggi, questa volta seduto in un angolo solitario a sfogliare un libro d'avventura che riconobbe immediatamente.

«Ciondoli magici nascosti nella pancia di animali strabici e montagne che diventano fucsia con uno schiocco di dita: da quando ti piace la serie di Lilibeth?» chiese divertito sedendosi accanto a lui.

«Da quando hai cominciato ad usare il verbo redigere al posto di scrivere in ogni singola frase.» sbuffò l'amico senza alzare lo sguardo.

«Dai, poi ho smesso.»

«Sì, dopo un mese, Elmer, un mese. Sei ossessionato da questi libri.» gli fece notare con una punta d'asprezza.

«Non è vero.» disse con semplicità, sottraendogli il libro e andando a pagina trecentoquarantacinque.

«Sì, invece. Ti ricordi tutti i titoli, i nomi, perfino il numero delle pagine!»

Ancora con quella storia? Il fratello aveva una passione per insudiciare i suoi amati racconti. Perché? Perché ce l'aveva con loro? Che cosa gli avevano fatto?!

«Non è ossessione, si chiama “memoria di ferro”.» scandì saccente.

«Scommetto che mi stai aiutando con... la pozione solo perché... assomiglia alle entusiasmanti pozioni che hai letto in questi stupidi romanzi.» disse lanciando occhiate in giro per assicurarsi nessuno stesse origliando.

«Va bene, lo ammetto, in parte hai ragione. Lo sai che mi piacciono le avventure e lo sai che fin da piccolo leggo questa roba e sogno un giorno di viaggiare in lungo e in largo per il Thedas in groppa ad un simpatico mabari parlante.» fece sarcastico. «Ma lo sto facendo soprattutto perché ti voglio bene e non voglio che tu finisca nelle celle di sotto.»

“Per quanto tu sia adorabilmente cretino.” aggiunse tra sé.

Era la verità, l'insindacabile e pura verità. Nonostante i loro dissapori di certo sapeva che gli voleva bene, no? Altrimenti non l'avrebbe più chiamato fratello, non l'avrebbe più cagato, eccetera eccetera, era ovvio.

«Il piano di Lily funzionerà, Elmer!» affermò fiducioso dimenticando di sostituire i nomi con qualcos'altro.

Il piano di Lily, il piano di Lily, tsk. Com'era che Lily era così fantastica e intelligente?

«Senti, non sto mettendo in dubbio le strabilianti capacità intellettive della tua “fidanzata”,» sottolineò cinico, «sto solo cercando di essere realista. Di tutti i modi per fuggire questo è... Che ne so, non sono un esperto di evasioni; però i filatteri sono un'altra cosa rispetto alla fuga. Ti sei mai chiesto perché sentiamo parlare di maghi scappati e non di filatteri distrutti?»

Non poteva sbattergli direttamente in faccia cosa gli riservava il futuro, cioè un buco nell'acqua. Doveva indorare la pillola, doveva fargli capire che si stava cacciando in una situazione difficile e che il fallimento era pressoché garantito, così, una volta tornati alla normalità senza Lily e senza suicidi tentativi di evasione, avrebbe piagnucolato la metà.

«Quindi cosa dovrei fare? Aspettare che Gregoir venga a prendermi per il rito della Calma?» si alterò.

«Sempre se è vero. Ti sei preso il disturbo di fare due chiacchiere con Irving? O venire da me così che ci parlassi io?»

Jowan emise un verso di incredulità. Scosse la testa, sul volto un'espressione che voleva dire “avrei dovuto aspettarmelo”. Non conosceva Lily come la conosceva lui, era naturale che il suo brillante fratello si considerasse troppo in gamba per credere alla donna più dolce e sincera del mondo. Elmer era troppo in gamba per tutti.

«Perché sei così?» disse l'apprendista quasi disperato.

«Così come?» rispose esasperato.

«Disfattista! Qualunque cosa io faccia non va mai bene, e non sarà mai abbastanza per te!»

«Non faccio il disfatti-» si interruppe squadrandolo. «Jowan mi stai mettendo il broncio?» domandò spazientito.

Per tutta risposta il più giovane voltò la testa da un'altra parte.

“Oh, per l'amor di Andraste!” pensò con gli occhi rivolti al cielo in una silenziosa preghiera.

No, davvero, ci mancava solo questa. Non lo sopportava quando faceva l'infantile e scappava dal confronto diretto. Già i nervi gli stavano volando in circolo attorno alla testa, se poi ci si metteva con le accuse infondate e l'atteggiamento da bambinetto viziato tutto in una volta...

“Respiri profondi, Elmer, respiri profondi.”

Mantenere la calma non era esattamente il suo punto forte, specialmente in discussioni che gli stavano a cuore.

«Jowan, ascolta. Lo sai che ti voglio bene. È solo che Lily... Insomma, da quanto la conosci?» quasi sbottò, e al diavolo i buoni propositi. «Non avevo proprio idea che tu l'amassi così tanto; sono tuo fratello, dovrei saperle queste cose, non ti pare?»

«Te l'ho già detto, non abbiamo fatto nulla.»

«Non intendo quello. Non mi sta bene venire a sapere cose di vitale importanza cinque minuti prima che accadano.» sussurrò mortalmente serio. «Per l'amor del Creatore, Jowan: vuoi lasciare la torre per questa donna che nemmeno conosci!»

«Io e Lily ci conosciamo da mesi!»

«Che carino che sei stato a presentarmela!»

«Doveva rimanere segreto. Lei è-»

«Segreto? Hmph! Ho scoperto chi era tempo fa, e credimi, non sono l'unico. Tutta la torre lo sa, Irving e Greagoir per primi. Non hanno fatto nulla proprio perché non avete ancora consumato.»

Cattiveria gratuita? Ma no, quando mai. Tecnicamente non aveva mentito: se l'aveva scoperto lui, figuriamoci gli alti vertici; Jowan con la sua sbadataggine non era una cima in discrezione.

Sconvolto, Jowan aprì la bocca per dire qualcosa, poi la richiuse e mise le braccia conserte con i pugni dolorosamente chiusi. Elmer non disse nulla; arrabbiato, sfogliò a casaccio le pagine del libro.

«Pensi solo a te stesso.» disse piano l'altro, lo sguardo ostinatamente incollato al tavolo.

«Se pensassi solo a me stesso non ti avrei coperto le spalle per tutti questi anni e non sarei qui a perdere tempo a parlarti. Ed è già tanto che non ti dico quello che penso realmente, perché al contrario di te io ci tengo al nostro rapporto.»

«Bel modo che hai di dimostrarmelo! Ma ti prego dimmi, o supremo, onorami delle tue opinioni!»

«Ma dai, ti fai mettere i piedi in testa dalla prima sventola che te la dà!» rimbeccò acido.

Silenzio. Jowan lo fissava con gli occhi sbarrati e la bocca semiaperta. Nonostante ciò, Elmer non si sentiva minimamente in colpa.

«È così che la pensi?!» proruppe attirando sguardi indesiderati.

«Sì.»

«Sei veramente- Delle volte non ti sopporto proprio!»

«La cosa è reciproca.» rispose prontamente e non distolse lo sguardo da quello incavolato nero di Jowan.

«Mi dici perché mi aiuti? Se sei convinto che non ce la faremo-»

«Non ho detto questo.» lo interruppe. «Penso che ci siano poche possibilità di riuscita per il filatterio, che è una parte essenziale per la tua felicità futura. Se i templari potranno sempre trovarti è ovvio che finirai sempre qui. E tu non sarai l'unico ad essere punito, anche Lily lo sarà; vi separeranno immediatamente, tu nei sotterranei a fare compagnia ad Anders e la tua amata in un'altra cappella chissà dove, magari fuori dal Ferelden, di sicuro non in un altro Circolo, visti i precedenti. Anzi, in realtà potrebbe capitarle perfino di peggio: aiutare un mago a scappare è una colpa più pesante che avere una relazione con lui.»

«Perché mi dici queste cose brutte?» sussurrò ferito.

«Perché non credo tu ti renda conto del pericolo che corri, e non hai la minima idea di quanto io stia rischiando per darti una mano. Ho appena acquisito il titolo di mago e già il primo giorno appena alzato dal letto divento complice di due fuggitivi. Rimarrò in cella molto più tempo di quanto ci starai tu, anche perché cercherò di prendermi la colpa di tutto per proteggerti.»

“Come ho sempre fatto.”

Che ingrato, passava una bella rossa e subito si dimenticava di chi si era preso cura di lui fin dall'infanzia. Dov'era la sua preziosa Lily quando per goffaggine Jowan aveva distrutto un rarissimo tomo? Da nessuna parte, c'era Elmer a disturbarsi di subire la punizione al posto suo; per non parlare di tutte le altre volte in cui l'aveva salvato da cose ben più spiacevoli.

Non gliene fregava niente se si trovava qualcuno di speciale, ci teneva soltanto a fare presente che lui era lì per primo e che Lily, l'ultima arrivata, non poteva giostrarselo come le pareva.

«Da quanto è che state organizzando il piano?» volle sapere dopo una pausa tesa.

«Tre giorni. Appena Lily ha scoperto i documenti.» mormorò depresso.

Tipico, quando aveva torto o si incavolava o si deprimeva.

«Perché me l'hai detto solo adesso?»

«Lily non credeva fosse una buona idea spargere la voce in giro.»

«Perché secondo te io sono tipo da andare a raccontarlo a qualcuno?» disse offeso.

“Stupida Lily. E stupido tu che scodinzoli a ogni sua parola.”

«Mi dispiace tanto, Elmer.» si scusò, colpevole. «Non sapevo cosa fare, e Lily era così sicura... Lei non è come le altre ragazze. Lei... è decisa, come te, però è anche dolce e sensibile.»

«Beh, scusa tanto se non sono dolce e sensibile, magari non mi avresti escluso dai tuoi problemi, problemi che ti ho sempre, e dico “sempre”, aiutato a risolvere.»

«Mi dispiace...»

«Dimmi solo una cosa: me l'avresti detto prima di andartene? Se non ti fossi servito per la verga, me l'avresti detto?» chiese duro.

Era l'unica domanda che contava.

Non avrebbe mai potuto ritardare il Tormento; fingere malori era una tattica vecchia come il cucco e ingerire sostanze nocive per aiutare la mascherata era pressoché impossibile dopo i tre suicidi degli scorsi quattro mesi, perciò la fuga a tre non avrebbe mai potuto avverarsi in ogni caso. Però se il fratello fosse sparito di punto in bianco senza lasciare tracce... Non era una bella cosa da fare. Affatto.

«Sì. Prima di sapere che avresti affrontato il Tormento avevo in mente di dirtelo, avremmo distrutto entrambi i nostri filatteri e ce ne saremmo andati tutti e tre insieme. Lo giuro.»

Sapeva quando Jowan mentiva; gli credette.

«Bene. Mi fido di te.»

Annuì soddisfatto, poi si poggiò comodamente sulla sedia e osservò i fogli scritti del tomo.

La serie di Lilibeth contava quattordici volumi e l'aveva letta soltanto per inerzia: la protagonista era piuttosto scialba, i comprimari pure, i colpi di scena erano prevedibili e la trama principale non era poi questo granché, l'unica cosa interessante era il metodo di narrazione e di descrizione, e le occasionali immagini. A pagina trecentocinquanta di quel volume c'era appunto la magnifica rappresentazione di una cascata nella Foresta di Brecilian, descritta nei minimi particolari nelle pagine successive.

Jowan aveva ragione (anche se non lo avrebbe mai ammesso), era molto affezionato ai libri della biblioteca, non solo romanzi di avventura; i racconti di viaggio e le raccolte di disegni erano i migliori. Erano l'unico modo di vedere il mondo esterno quando ormai i propri ricordi di bambino erano troppo sbiaditi. Tutti avevano i loro hobby, il suo consisteva nel placare il suo puerile sogno di condurre una vita diversa attraverso le parole scritte; era bello conoscere le mille sfaccettature dell'esistenza immaginaria che avrebbe voluto vivere. Dopotutto non c'era molto altro da fare per occupare i secondi, i minuti e le ore, e un progetto di ricerca sul quoziente intellettivo dei rospi non gli interessava poi molto. E poi sognare non era ancora stato proibito.

«Io non so come fai.» cominciò Jowan osservandolo, il gomito sul tavolo e il mento poggiato sulla mano. «Ti perdi. Sembri in un altro mondo.»

Aveva un tono strano mentre lo diceva, lo stesso che di tanto in tanto da qualche tempo usava nei suoi confronti, un misto tra triste e rassegnato. Aveva pensato di chiedergli cosa avesse ma poi aveva preferito lasciare che fosse il fratellino a parlargliene quando se la fosse sentita. Gli aveva sempre detto di tirare fuori quello che aveva dentro, non poteva tutte le volte essere lui a cavargli le parole di bocca, no? Era ora di crescere.

«Vedi cose che io non vedo.»

«Sono solo libri, Jowan.»

«Però quando imiti i personaggi riesci quasi sempre ad avere successo. Non capirò mai se hai talento per l'imitazione o se è pura fortuna.»

«La fortuna te la crei da solo, Jowan.» Chiuse il libro e lo spinse sul tavolo. «Così come “la fortuna aiuta gli audaci”, “il primo passo è la metà del viaggio”, “la vita è uno stato mentale”, eccetera eccetera. Sono tutte frasi che ho letto e che con me funzionano. E sai perché?»

Jowan sbuffò annoiato dinnanzi all'atteggiamento paterno. Era lo stesso identico discorso che gli veniva fatto almeno una volta al mese.

«Perché hai ambizione, coraggio e faccia tosta.» ripeté per la centesima volta.

«Esatto. E a te cosa manca?»

«Tutto, direi.» rispose tetro.

«E perché ti manca tutto?»

«Perché sono io a non svegliarmi fuori e diventare bravo e intelligente come te.» sbottò risentito.

«No, Jowan, no.» disse pazientemente. «Perché tu per primo credi di non farcela.»

Santa pazienza. Il suo fratellino si tirava sempre la zappa sui piedi da solo. Più di dirgli quello che stava sbagliando e invogliarlo a pretendere di più da se stesso non poteva fare. Doveva capire che non c'erano scorciatoie, che doveva trovare dentro di sé la forza di migliorarsi. Ma ovviamente la strada era ancora lunga, e questo simil coraggio usato per la fuga strampalata e la ridicola idea di distruggere il filatterio lo dimostravano appieno.

«Non è che non ci credo...» replicò debolmente.

«Ti faccio il classico esempio: esame di erboristeria. Cosa facevi tu mentre io studiavo?»

«Dai, Elmer...» si lagnò, stufo della ramanzina.

«Ti lamentavi che non ce l'avresti fatta e che non aveva senso star lì a studiare perché avresti fatto schifo comunque, perché non ti ricordavi niente, perché era troppo difficile-»

«Ho capito, ho capito! È colpa mia!» lo interruppe veemente.

«Lo so che hai capito, il problema è che non stai facendo un cazzo per correggerti!» lo rimbeccò. «Poi mi vieni a dire che non sono dolce e gentile, tsk!»

«Che c'entra?!»

«C'entra! Non ti serve una persona che ti coccoli e ti dica sì o che prenda le decisioni per te, ti serve qualcuno che ti faccia aprire gli occhi e ti spinga a cambiare!»

Si trattenne dall'aggiungere epiteti poco carini e, preso da una repentina insofferenza, si alzò rumorosamente dalla sedia e se ne andò adirato a sbollire in camera sua.




Note dell'autore:
Personalmente mi è piaciuto molto scrivere questo capitolo *-* Ho cercato di dare un tono naturale alla litigata, come quelle della realtà: ci si incavola per le cose importanti e per un nonnulla, i nervi saltano perché gli altri non la vedono come la vediamo noi o perché non si danno una mossa. Spero riusciate a vedere anche le pause tra i vari pezzi, perché pure nella realtà ci sono scenate che vanno avanti ininterrotte e scenate che vanno a singhiozzi; un momento di calma seguito da scoppi per un commento, ecc.
Insomma, spero vi sia piaciuto tanto quanto a me! ^^ Se servono spiegazioni o chiarimenti non esitate a chiedere (è un po' lungo e c'è tanta roba, in effetti XD).

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Capitolo 7
*** - ***


All'ora convenuta i tre delinquenti si riunirono.

La chiacchierata in biblioteca non venne menzionata; la breve occhiataccia di Jowan venne ignorata senza problemi. Tanto di lì a qualche ora sarebbe venuto da lui con la coda tra le gambe a chiedere scusa, com'era giusto che fosse, hmph.

A pranzo i corridoi rimanevano puntualmente deserti per un minimo di undici secondi (Jowan aveva contato i secondi del cambio di guardia, pazzesco), abbastanza per introdursi furtivamente dove non si dovrebbe.

Elmer, Jowan e Lily scivolarono con passo felpato giù per i gradini fino alla porta che la ragazza aprì con la copia della chiave sottratta alla Madre della torre, un'impresa che solo lei in quanto insospettabile donna di chiesa avrebbe potuto compiere. Si richiusero silenziosamente l'uscio alle spalle e dopo pochi metri sistemarono una seconda porta; la oltrepassarono e si ritrovarono in un corridoio a elle, dinnanzi a loro c'era l'entrata del deposito.

Il moro usò la verga per sciogliere la serratura. Non successe nulla.

“Ah!” fece vittorioso tra sé, voltandosi verso i due pronto per un ben meritato “io ve l'avevo detto!”.

Ma Jowan, agitato, gli strappò di mano l'oggetto senza permettergli di aprire bocca e tentò ancora, con lo stesso risultato.

«Siamo stati degli ingenui!» esclamò una Lily sconfitta.

«In effetti sì.» cinguettò Elmer nell'alto della sua stronzaggine.

Erano stati degli ingenui a credere che la magia fosse la chiave per raggiungere un luogo dove i maghi non potevano avere accesso, l'entrata era stata resa immune a qualsiasi incanto. E qui entrava in azione lui: ora avrebbe gentilmente proposto di tornare indietro e svignarsela al prossimo cambio di guardia, la fuga era annullata. Dopodiché avrebbe promesso a Jowan di parlare con Irving, e si aspettava che il Primo Incantatore confermasse almeno uno dei suoi sospetti, e cioè che o Lily era una bugiarda con un disturbo ossessivo (dopotutto l'amore era pazzia, no?), o c'era stato un malinteso sulla fedina penale del fratellino. Le cose si sarebbero risolte e tutto sarebbe tornato alla normalità. Non andò così.

Jowan se ne uscì con parole di disperato coraggio interrompendolo per la seconda volta. Stava diventando una brutta abitudine.

«Non abbiamo rischiato così tanto per andarcene a mani vuote! Laggiù c'è un'altra porta, vediamo se la verga funziona.»

«E se non conducesse da nessuna parte?» domandò la ragazza.

«Se non proviamo non lo sapremo mai. Il sottosuolo della torre è pieno di gallerie sotterranee, prima che vi si installasse il Circolo dovevano esserci molte entrate ed uscite che sono state poi chiuse. Dobbiamo solo riaprirle.»

Era contento di vedere che si era messo a studiare, lo era un po' meno per la motivazione dietro quell'impegno.

«Jowan, la porta è questa: se non si apre, non si apre. Torniamo indietro.» cercò di ragionare, ma l'apprendista era troppo preso dalla sua crociata per prestargli attenzione.

Decise di tacere, per il momento. Avevano circa un'ora prima che la loro assenza diventasse sospetta, e se sforavano c'era ancora una possibilità che Irving li avrebbe aiutati a coprire l'atto illegale. Era una puntata rischiosa, tuttavia... Jowan gli sembrava pericolosamente ossessionato dall'illusione di libertà, e l'unica soluzione che gli veniva in mente per guarirlo era quella di assecondarlo, lasciargli giocare il ruolo dell'eroe con la sua fidanzatina, fino ad arrivare allo scontato vicolo cieco; a quel punto avrebbe dovuto fare i conti con la realtà. Ah, quanta pazienza con quel ragazzino.

«Ci saranno sicuramente delle guardie. Lily è meglio che tu-»

«So combattere. Qualunque cosa ci si pari davanti la affronteremo insieme.»

Un senso di nausea lo raggiunse ma probabilmente era solo lui a sentirsi stomacato dall'amore nell'aria. Forse era allergico; le parti stucchevoli le leggeva alla svelta, quell'assurda fantasia che era l'amore vero non finiva mai abbastanza in fretta.

Sfortunatamente scoprirono che la verga del fuoco poteva essere utilizzata su quell'anonima porta e che le guardie dei sotterranei erano semplici armature vuote dai movimenti meccanici che reagivano alla presenza di estranei, classico meccanismo di sorveglianza. Un esempio di come il Circolo del Ferelden fosse palesemente impreparato ai tentativi di furto? Beh, a sua difesa si poteva solo dire che nessuno era mai stato così scemo da provarci.

Lungo i corridoi erano rimaste delle vecchie celle silenti con sbarre e catene di ferro, ornate qua e là da incrostazioni rossastre e simboli arcani per la soppressione magica: non erano più usate ma la loro vista gli mandò un brivido su per la schiena. C'erano anche varie stanze piene di tomi mai visti o banditi dalla biblioteca dei piani superiori, accatastati in vecchi scaffali e gettati alla rinfusa su tavoli e pavimento. E lui che pensava che la roba venisse spostata lì per essere distrutta.

«Elmer non toccare!» lo ammonì prontamente il fratello.

«Sto solo dando un'occhiata.» rispose innocentemente intascandosi il libro senza farsi notare.

Dall'aspetto sembrava un vecchio grimorio, con la copertina consunta di pelle nera adornata dalla figura di un albero senza foglie. Se era finito lì significava che era pericoloso; strano perché la pagina che aveva visto nello sfogliarlo conteneva una ricetta affatto malvagia. Chissà chi l'aveva scritto, non c'erano firme.

“Chi vuoi che se ne accorga se lo prendo? Dubito che vengano spesso a fare un controllo dell'inventario quaggiù.”

Non era un cleptomane e nemmeno uno fissato col gusto di infrangere le regole come alcuni degli inquilini della torre, semplicemente credeva gli spettasse come minimo un souvenir per le sue fatiche; quel piccolo volumetto spiccava in mezzo a tutto il resto con un tocco di personalità e se c'era una cosa che amava era un buon libro da divorare. Se poi si fosse presentato il rischio di essere scoperto, lo avrebbe bruciato. Gli oggetti dell'impero Tevinter che trovarono ordinatamente sistemati in un'ampia stanza erano ad ogni modo molto più significativi rispetto al furtarello di un libricino, no?

Monili considerati estremamente infidi si mostravano in tutto il loro splendore sotto i loro occhi. Lily non poteva credere che nei sotterranei fossero custoditi degli artefatti aborriti dal Creatore ma Elmer arguì che ciò aveva una certa logica: forse non potevano essere distrutti e per questo motivo il Circolo si era impegnato nel celarli ai malintenzionati. C'era anche la tacita ipotesi che la Chiesa ne avessero fatto uso, però non era il caso di appesantire gli animi con inappropriate congetture cospiratorie. Evitarono qualsiasi contatto con essi; da quello che dicevano i testi, molti causavano maledizioni al solo contatto e comunque nessuno dei tre era interessato a poteri di diabolica fattura.

Sotto ordine di Jowan iniziarono una breve ricerca, inutile, secondo Elmer, che fingeva alla meno peggio di essere davvero coinvolto. Ancora qualche minuto e poi avrebbe pungolato il fratellino affinché si arrendesse all'evidenza, così ci sarebbe stato l'agognato dietro front.

«Va tutto bene?» bisbigliò Lily avvicinandosi.

L'espressione scazzata non era sfuggita alla ragazza che ne aveva dato un'errata interpretazione: gli mise una mano delicata sulla sua guardandolo con compassione.

Il moro, che non era un fan del contatto fisico né tanto meno della pietà andrastriana, non la scansò come avrebbe fatto normalmente giusto per mantenere le apparenze. Non aveva mai parlato con lei, non la conosceva, e non gli interessava approfondire l'argomento. Solo perché pensava di scoparsi suo fratello negli anni a venire non significava per forza di cose che avesse il diritto di considerarsi una di famiglia, okay?

«Tu vorresti che lui non partisse.» se ne uscì lei dall'alto della sua competenza psicanalitica.

Distolse lo sguardo in una buona imitazione di Cullen versione cuore infranto (ce l'aveva quando guardava ad un futuro impossibile insieme a Neria) per guadagnare tempo. Che doveva risponderle? Ci voleva qualcosa di toccante, ma cosa? Scartabellò tra i vari romanzi e scelse qualcosa di consono.

«Io vorrei che non ci fosse motivo per cui debba scappare.»

Il lungo cammino del condannato, Lesia, la moglie del condannato, si confida con la madre alla vigilia della fuga del marito.

«So che è difficile separarsi da coloro che si ama. All'inizio sembra un dolore così grande al punto di desiderare la morte ma poi, col tempo, tutto passa.»
«Bella consolazione.» gli uscì in automatico.

Temette di aver rovinato la scena toccante col suo sarcasmo, invece Lily poggiò l'altra mano sulla sua spalla dandogli tenere pacche; aveva preso quell'uscita come sfogo di dolore. Buona Andraste, quella donna faceva veramente pena a consolare la gente. La Chiesa non organizzava mica corsi per supporto spirituale e balle varie? Forse si era persa qualche lezione.

«Lily, voglio che tu mi prometta una cosa.» proclamò colto da un lampo di genio.

L'allegra gita si sarebbe conclusa di lì a poco, perché non divertirsi un po' recitando il dialogo di Gim in La lauta ricompensa nel modo più solenne possibile?

«S-sì.» balbettò lei presa alla sprovvista.

«Jowan è testardo, una lagna; per certe cose è immaturo e superficiale, se non fosse per me non saprebbe nemmeno come allacciarsi le scarpe; spesso e volentieri vede tutto in negativo.» Gli occhi a palla di Lily erano impagabili ma non era il caso di mostrare il suo compiacimento. «Tuttavia è anche una persona dall'animo buono e sensibile, e generoso. Però senza una persona vicino non sa che pesci pigliare né dove sbattere la testa.» disse senza pause. «Sarà difficile.» Sottolineò molto bene il “difficile”. «La vita insieme e la convivenza sotto uno stesso tetto non sono una passeggiata, ma promettimi che gli rimarrai accanto qualsiasi cosa accada, nei limiti della tua pazienza e delle tue capacità, finché lo amerai.»

Non pretese un “per sempre” solo perché in fondo era una brava persona; per il resto era piacevole distruggere qualsiasi immagine idilliaca nella mente della ragazza, e il bello era che aveva detto la verità: se c'era riuscito lui a sopportare suo fratello e ad amarlo nonostante tutti i suoi difetti, la sua futura moglie, l'amore della sua vita finché morte non ci separi, non doveva essere da meno. Tempo qualche secondo e Lily riacquistò la capacità di ragionamento, un'espressione decisa e risoluta fece capolino sul suo viso. Si domandò per quanto sarebbe stata in grado di mantenerla.

«Mi prenderò cura di tuo fratello e gli rimarrò sempre accanto: lo giuro.» promise con la convinzione di un'innamorata.

“Andraste, è anche fin troppo facile.” ridacchiò tra sé.

«Ed ora promettimi un'altra cosa.» aggiunse con un sorriso talmente falso che quasi si vergognò. Quasi. «Prometti di ricordare sempre che Jowan è un uomo fortunato ad avere te.»

Copiata pari pari da un altro romanzo, funzionò. Lily gli donò il più bello dei sorrisi, gli occhi lucidi per la commozione, per poi abbracciarlo stretto, le stesse esatte movenze descritte nel libro, a dimostrazione del fatto che i romanzi avevano un fondo di verità, alla faccia di Jowan.

Perché questa gentilezza? Perché non era carino sgretolare proprio tutto-tutto dei loro sogni a occhi aperti, la parte del cattivo destinatario di odio e rancore la lasciava a Greagoir, che indubbiamente se ne sarebbe occupato.

«Credevo tu fossi diverso, invece sei una brava persona.» disse lei dal profondo del cuore, lasciando Elmer indeciso tra un conato di vomito e il buttarsi a terra a ridere a crepapelle.

Eh, le entusiasmanti scelte della vita.

Stufo del fasullo momento d'emotività, Elmer si schiarì la voce, segnale universale di “okay, è abbastanza” senza essere maleducati. Lily ridacchiò divertita pensando fosse imbarazzato dalla manifestazione d'affetto, ed entrambi ripresero la ricerca notando che il soggetto della conversazione bisbigliata non s'era accorto di nulla.

Di buon umore per la sceneggiata, gli venne un infarto quando i suoi piani vennero mandati a monte, di nuovo.

Fu Jowan ad interrompere il silenzio delle indagini, attirato da una libreria a muro messa lì per coprire alla bell'e meglio un'entrata murata.

«Ehi, ho già visto questa statua in alcuni libri! Amplifica qualsiasi incantesimo castato al loro interno.» disse guardando una statua con fattezze feline. «Potremmo usarla per abbattere la parete. Magari oltre c'è il deposito.»

«In effetti abbiamo fatto un giro piuttosto ampio, dovremmo averlo costeggiato. Sono certa che quello è un altro ingresso chiuso in seguito.» commentò Lily con evidente speranza, aiutando l'amato a spostare di forza il mobile.

“Come, prego?”

Li fissò allibito.

Erano deficienti? Tutto si aspettava da Jowan tranne vandalismo e uso di oggetti pericolosi! E quella sciocca di Lily gli dava pure corda: che diamine, sei un'iniziata della fottuta Chiesa e non dici un cazzo al tuo fidanzatino che vuole adoperare roba del Tevinter?! Avevano per caso toccato qualcosa durante la ricerca? Tremò al solo pensiero. La situazione gli era sfuggita di mano.

«Non credo-» iniziò con una buona dose di buonsenso.

«Non mi interessa cosa credi o non credi! Si tratta di me, di me e Lily. Se non vuoi aiutare sei pregato di farti da parte.»

«Sei impazzito? Smettila di fare il pallone gonfiato e usa il cervello, Jowan. Non possiamo metterci a usare artefatti del Tevinter come se niente fosse!»

«Questo è inoffensivo; è scritto nei libri!»

«E tu credi a tutto quello che sta sui libri? È così che la gente finisce con la mano mozzata e la follia nella testa, perché tocca qualcosa che sa non dovrebbe toccare!»

Le sue parole non ebbero effetto e con crescente apprensione osservò la libreria venire spinta un'ultima volta. Jowan tirò fuori la verga, voltandosi verso la statua. Doveva fare qualcosa.

«Non ti permetterò di compiere una pazzia.»

Gli prese il polso e cercò di togliergli la verga. Dato che il fratello era più gracile di lui non avrebbero dovuto esserci problemi ma ecco il secondo genio della coppia venire a dar manforte, così Elmer si ritrovò due contro uno in un intreccio di braccia e strilli.

«Lasciala, maledizione! Lascia 'sta maledetta verga!»

«Togligli le mani di dosso!»

«Elmer, mollami!»

Sbandarono di qua e di là, poi le forze combinate di Lily e Jowan abbassarono il braccio di quest'ultimo posizionando la verga nel foro sulla testa dell'animale; l'apprendista consumò del mana e l'incanto si azionò. Un potentissimo getto infuocato uscì dalle fauci del felino, il calore era così intenso che dovettero allontanarsi, e in men che non si dica il muro venne sciolto. L'enorme buco si apriva su una sala grigia e spenta e i due futuri sposini si affrettarono a scavalcare il passaggio con un'esclamazione di vittoria, attenti alle estremità ancora sibilanti per la liquefazione fulminea.

Elmer se ne stette lì. Il non sapere cosa fare era un'occorrenza rara per lui, e quando capitava era costretto a fermarsi e riprendere fiato prima di muovere un passo avanti. In questi casi c'era un protocollo interno da seguire: prima fase, schiaffeggiarsi sulle guance per risvegliarsi dall'incubo a occhi aperti; seconda fase, ripetersi nella testa che finché era vivo e aveva mana non si sarebbe dato per vinto; terza fase, analizzare l'accaduto con ispirazione oggettiva; quarta fase, darsi una mossa. Si bloccò sulla terza. Quello che era successo era perfettamente chiaro, ma per darsi una mossa doveva sapere cosa voleva.

Voleva che i due fuggissero? Più o meno... no. Non aveva preso sul serio quell'assurda eventualità neanche per un secondo. Quindi, se non voleva la fuga... Trovato! Distratti dalla felicità, erano facili bersagli per un incantesimo di stordimento; dopodiché sarebbe corso da Irving che gli avrebbe fornito un diversivo per tirare fuori i due imbecilli; infine tutto sarebbe tornato alla normalità. Jowan non l'avrebbe apprezzato ma col tempo ci avrebbe messo una pietra sopra, mentre Lily sarebbe stata spedita lontano. Era perfetto.

Il suo fratellino non si rendeva conto del guaio in cui si era cacciato, lui sì, e avrebbe impedito la catastrofe, per proteggerlo. Ah, alle volte non era bello avere sempre ragione.

“Ma qualcuno dovrà pur fare la parte della persona matura, no?”

Un incarico non facile, eppure per Jowan era pronto a prendersi anche questa responsabilità. Lo spirito di sacrificio era niente in confronto a lui, tsk.

Afferrò il bastone magico e a larghe falcate andò verso il buco, pronto a salvare la giornata. Appena lo oltrepassò sentì il rumore di vetri rotti: un'ampolla giaceva in pezzi ai piedi di Jowan, il rosso contenuto sporcava il pavimento. Serrò la mascella; non aveva importanza, Irving avrebbe preso un altro campione di sangue dall'apprendista e sostituito la boccetta prima che i templari se ne accorgessero. Nessun-problema.

Il moro dagli occhi blu sprizzò gioia da tutti i pori, afferrò la sua bella tra le braccia e la baciò tra risate e piroette. Ed Elmer, improvvisamente, esitò. Strinse più forte l'asta, confuso. Aveva già mandato al tappeto della gente durante le esercitazioni, conosceva perfettamente la dose giusta di mana da utilizzare per non causare danni indesiderati, allora... perché? Perché esitava? Era incomprensibile. Quell'attimo di incertezza gli costò tutto.

«Elmer! Elmer, guarda! È fatta, sono libero!»

Jowan gli corse incontro e lo abbracciò di slancio mettendo a rischio l'equilibrio di entrambi.

«Evviva te.» disse battendogli pacche sul dorso e tirando fuori un sorriso forzato.

Lily li guardava da lontano con la lacrimuccia ed Elmer si sentì davvero di vomitare.




Note dell'autore:
Tra impegni vari sono riuscita a rielaborare questo capitolo quasi per intero; prima era molto diverso. Postando la storia dall'inizio ho avuto occasione di fare dei piccoli accorgimenti che mi hanno fatto comprendere meglio il personaggio che ho creato: nella versione originale Elmer accettava con troppa facilità quello che gli accadeva intorno, mentre ho sempre pensato a lui come a un piccolo maniaco del controllo. Spero si sia capito che non è mica tanto normale certe volte XD
A parte questo, voglio ringraziare Grace che, nonostante lei dica non è nulla, mi ha fatto notare alcune frasi. Per sicurezza ho ricontrollato e ho verificato che sono grammaticalmente corrette, però le voglio dire di nuovo grazie perché mi ha fatto tanto piacere avere la sua opinione! È stato carino sapere che l'uso dell'italiano che per me è normale per altri magari non lo è, e invito tutti a farmi notare queste cose; che sia una virgola fuori posto, una ripetizione, parole e frasi scritte male e verbi al tempo sbagliato, vi prego, DITEMELO, perché anche se poi nella grammatica italiana le mie forme sono giuste, a me piace ancora di più esplorare e sapere cosa ne pensano anche gli altri ^^
PS
Mikoru, credo di aver scoperto come togliere gli spazi quando si va a capo! Ho lasciato “l'errore”, si trova all'inizio del dialogo tra Elmer e Lily, dove c'è “Bella consolazione!”. Alla fine della frase del pezzo di Lily nel codice c'è <, poi br, uno spazio e infine /> (non posso segnartelo giusto se no non lo fa vedere). Penso in futuro farò qualche prova, intanto te lo segno se mai ti servisse ^^

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Capitolo 8
*** - ***


La vita era ingiusta. Gettò uno sguardo dietro la sua spalla, i due imbecilli si stavano ancora scambiando romanticherie a braccetto. Creatore, aveva allevato un orsacchiotto stucchevole. Era così che si sentivano i genitori quando i figli li deludevano un po' su tutta la linea? Pregò di non dover mai sperimentare le gioie della paternità.

«Il mare, Jowan, devi vederlo!»

“Sì, Jowan, il mare; annegaci già che ci sei, tesoro.”

«Mio padre è un pescatore, se glielo chiedo ti prenderà a lavorare con lui per imparare il mestiere. Non potrà dirmi di no dopo che gli avrò parlato di noi. Ha sempre desiderato dei nipotini.»

“Pargoli, Jowan, pargoli! Il tuo sogno nel cassetto! Mi raccomando, sii un genitore splendido come la tua preparazione in pozioni: se sei fortunato li avvelenerai prima dei tre anni.”

«Che dici Elmer, mi ci vedi come pescatore?»

«Eh? Oh sì, Jowan, sì. Con la tua barchetta, i tuoi remi. Molto pittoresco.»

«Oh, Jowan! Il nostro villaggio è uno dei più pittoreschi della costa, lo adorerai!»

“Voglio morireeeee!”

Dov'era la pietà divina quando ne avevi bisogno?

Aveva evitato apposta di stare dietro di loro per non cedere alla tentazione di ricorrere alla violenza, adesso si chiedeva se non fosse meglio tornare al piano originale. Invece no, tirò dritto, fumando internamente. Stavano rifacendo il percorso all'inverso, non mancava molto. Tra poco sarebbe tutto finito. Jowan sarebbe scappato da quella prigione. Per un fugace istante lo invidiò. Invidia verso il suo debole e irresoluto fratello.

Provò disgusto per se stesso.

Era dovuto scendere a patti con la coscienza per permettere una cosa del genere. Si era accorto che, a dispetto delle previsioni (e le sue previsioni, di solito, erano puntualmente corrette), la fuga era riuscita; mancava la conclusione, una conclusione a cui Elmer si opponeva. Ma alla fine l'affetto aveva prevalso. Già, di tutti i momenti in cui poter dimostrare l'amore fraterno, il suo cuore aveva avuto la bella idea di scegliere proprio quello. Ti faceva venir voglia di un trapianto.

Ah, basta, era inutile farsi venire l'ulcera. Jowan usciva oggi illegalmente e avrebbe avuto per sempre una taglia sulla testa (probabilmente l'avrebbero ammazzato entro l'anno, hmph), mentre lui avrebbe potuto compiere gite a scopo di ricerca tra parecchio tempo (se il Creatore lo voleva, verso la quarantina d'anni) ma non avrebbe avuto problemi con i templari: bastava aspettare, fare il bravo, guadagnarsi la fiducia necessaria. Bisognava avere pazienza, tutto lì. Già, tutto lì.

Stava giusto ripetendo tra sé alcuni pezzi della serie L'incantatore rosso (dove uno dei protagonisti pestava a sangue il proprio fratello traditore; scelta casuale), un modo come un altro per ignorare l'invidia che mormorava insoddisfatta alle sue orecchie, quando una brutta sorpresa li accolse al varco.

«I tuoi sospetti erano fondati, Primo Incantatore.»

La voce profonda di Greagoir gli parve il ringhiare sommesso di una bestia feroce. Gli si gelò il sangue nelle vene e con gli occhi spalancati vide Irving, Greagoir e altri tre templari fermi ad attendere il loro arrivo.

Come diamine avevano fatto a sapere del piano? Si diceva che la vecchia volpe fosse al corrente di tutto ciò che accadeva nella torre, perfino i segreti più segreti, ma credeva fosse solo un modo di dire.

«Greagoir!»

Lily fu l'unica a dire qualcosa, Jowan era atterrito mentre Elmer tentava di appigliarsi ad una soluzione introvabile: come ci si inventa una menzogna plausibile per una situazione del genere? Si erano persi? Erano inciampati per le scale ed erano rotolati dentro il deposito? Purtroppo nemmeno la sua conoscenza letteraria aveva suggerimenti validi, a meno che non si impegnasse in una scena madre in cui si fingeva succube del controllo mentale della magia del sangue. Sfortunatamente doveva salvare suo fratello, non aggravare le accuse a suo carico. Oh, e comunque alla fine (come volevasi dimostrare) aveva avuto ragione lui: piani di fuga, pessima idea.

«Una iniziata che cospira con un maleficar. Sono rimasto costernato, soprattutto quando ho appreso che non sei stata sottoposta a nessun controllo della mente. Avevi ragione Irving, l'iniziata ci ha tradito. La Chiesa non lascerà questo fatto impunito. E tu! Appena diventato mago e già pronto a violare le leggi del Circolo!»

«Sono deluso, Elmer. Avresti potuto dirmi di questo piano ma non l'hai fatto.» rincarò la dose l'anziano incantatore.

Maledizione. Greagoir e Irving d'accordo su qualcosa, uguale essere nella merda più totale. Come se non bastasse erano fissati con la cretinata del mago del sangue; come avrebbe fatto stavolta a tirare Jowan fuori dai guai?

«A voi non importa dei maghi! Seguite ogni singolo ordine della Chiesa!» sbottò con spavalderia suo fratello.

«Jowan, non mi sembra il caso di peggiorare la situazione.»

Era il momento meno opportuno per tirare fuori il pallone gonfiato che c'è in te.

«Basta! Come Comandante Templare assegnato alla salvaguardia di questo Circolo, condanno a morte questo maleficar e alla prigione di Aeonar questa iniziata per aver screditato la Chiesa e disobbedito ai suoi precetti!»

Due templari si avvicinarono per prendere in consegna la ragazza.

«A-Aeonar, la prigione dei maghi?» balbettò terrorizzata Lily. «No, per favore, non lì!»

«Non vi permetterò di toccarla!»

La voce di Jowan si alzò nell'atrio e tutti lo videro impotenti estrarre un coltello e ferirsi la mano facendo uscire copiosamente il sangue. Il liquido vitale si scompose in una nuvola di polvere rossa attorno all'apprendista e quando Jowan mosse le braccia tutti i presenti meno loro tre vennero scaraventati a terra ad una decina di metri di distanza, temporaneamente privi di conoscenza. Elmer lo fissò scioccato a bocca aperta.

«Jowan, cosa...»

Quella... quella era magia del sangue... E questo significava che Jowan gli aveva mentito. Suo fratello, quello con cui era cresciuto insieme, quello imbecille e buono a nulla ma pur sempre suo fratello, aveva stretto un patto con un demone. Lo shock fu presto sostituito da una rabbia bruciante: questa era la ricompensa per i suoi sacrifici? Un debole, malato, bugiardo mago del sangue? Quello era il fratello che aveva protetto per tutta la vita?

Jowan, sporco di sangue, si voltò verso Elmer con uno sguardo dispiaciuto negli occhi blu ma fu Lily a decretare la fine di quel capitolo.

«Per il Creatore, magia del sangue... Jowan, come hai potuto? Hai detto che non avevi mai...» disse inorridita arretrando da lui.

«Pensavo che mi avrebbe reso un mago migliore, non ho mai voluto arrecare danno a nessuno!» rispose lui guardando prima lei e poi Elmer in cerca di comprensione.

«Un mago migliore?!» sputò, strozzandosi nella propria collera.

Pensava che la soluzione alle sue ramanzine sul diventare migliori fosse la magia del sangue? Stava per caso insinuando che fosse colpa sua?! Era così adirato che non riusciva a parlare, se avesse aperto bocca si sarebbe messo ad urlare e in quelle condizioni era probabile una fuoriuscita magica. Poco male, tutto quello che pensava ce l'aveva scritto in faccia: digrignava i denti e lo fissava con astio, i pugni stretti tremanti per lo sforzo di tenersi sotto controllo.

«La magia del sangue è malvagia: corrompe le persone, le cambia!» continuò la donna.

«Smetterò! Con tutta la magia! Voglio solo stare con te, Lily! Ti prego, vieni con me!»

«Mi sono fidata di te... Avevo deciso di sacrificare tutto per te, anche me stessa. Non so chi tu sia, mago del sangue: stammi lontano, vattene!»

La voce incrinata, disperata e insieme furiosa, di Lily che lo guardava con una tale tristezza fatta di lacrime amare, spaventò Jowan che corse via senza voltarsi indietro. Elmer mise un piede avanti per seguirlo ma si bloccò dopo il primo passo.

Si sentirono rumori di armature cozzare contro la pietra e poi il portone che veniva spalancato. Un'ultima eco per il corridoio li informò che Jowan aveva forzato la grande entrata principale. Poi il nulla.

Era davvero scappato? Gli occhi viola fissavano immobili il punto in cui era scomparso dalla sua vista. Cosa doveva fare adesso? Rilasciò un grosso respiro e si premette le dita sulle tempie.

“Segui il protocollo, usa le fasi, usa le fasi.” si ripeté tentando di riprendere le redini.

La testa pulsava, l'ira ragionava per lui. I singhiozzi di Lily lo riscossero; si voltò verso di lei. Lei piangeva? Lei che se lo filava nemmeno da un anno? E lui che lo conosceva da una vita cosa avrebbe dovuto fare? Spararsi un fulmine nelle cervella?

Si afferrò i capelli e prese dei profondi respiri. La rabbia non avrebbe risolto nulla, Lily era nella merda quanto lui. Calmo, doveva rimanere calmo e lucido; doveva usare le fasi. Jowan se l'era svignata e lui era stupidamente lì a fare la bella statuina mentre la sua ex futura cognata frignava sconsolata come una sposa abbandonata all'altare. Se non ricordava male Greagoir non aveva accennato alla sua punizione; dubitava fosse una dimenticanza ma non aveva idea se considerarlo un fatto negativo o positivo.

Lasciò perdere l'amante piangente e si diresse verso gli uomini stesi a terra: se si dimostrava utile forse avrebbe guadagnato qualche punto. Dopotutto era soltanto una vittima, no? Subito si avvicinò a Irving esaminandolo per individuare ferite. A parte una bella botta in testa, che si adoperò a sistemare seduta stante con la magia, non c'erano danni. Greagoir era sfortunatamente ancora tutto d'un pezzo, gli altri erano incoscienti. Lily continuava a frignare col viso coperto dalle mani, inginocchiata a terra senza la forza di alzarsi.

Gentilmente scosse il mago anziano ma non ebbe molta fortuna, forse era un effetto della magia proibita. Dopo pochi minuti gli uomini cominciarono a riacquistare i sensi.

«Stai bene?»

La trovò una domanda piuttosto stupida visto che era il Primo Incantatore quello sul pavimento, ma la sua preoccupazione per gli allievi del Circolo doveva essere più forte di qualsiasi trauma. Come no.

«Dov'è Greagoir?»

Per quanto lo riguardava il Comandante poteva pure crepare in un lago di emorragia interna. Con freddezza non poté fare a meno di pensare che se quei due si fossero fatti gli affari loro a quest'ora Jowan e Lily sarebbero già salpati, lui sarebbe rimasto nella beata ignoranza e, chissà, forse l'ex apprendista non avrebbe davvero più utilizzato la magia e l'idilliaca felicità si sarebbe avverata. Cinicamente disse alla sua fantasia di tacere e di non sparare minchiate.

Greagoir si alzò e li raggiunse.

«Lo sapevo. La magia del sangue... non credevo fosse così potente in lui.»

Significava che si era allenato parecchio?

“E io non me ne sono accorto?”

Era un pensiero sconcertante.

«Nessuno di noi avrebbe mai potuto aspettarselo. Stai bene Greagoir?»

Invece la preoccupazione di Irving per Greagoir era davvero snervante.

«Bene quanto lo permettono le circostanze. Se tu mi avessi ascoltato prima, tutto questo non sarebbe successo! Ora abbiamo un mago del sangue in fuga e nessun modo per rintracciarlo! Dov'è la ragazza?»

«S-sono qui...» rispose Lily che fece uno sforzo su se stessa tirandosi in piedi e asciugando le lacrime.

«Hai aiutato un maleficar, guarda che cosa ha fatto!»

«Lily e io non sapevamo lui fosse un mago del sangue.» si intromise.

«Sei stato un amico ma non devi difendermi ulteriormente.» replicò l'iniziata riprendendo possesso delle sue emozioni.

“Ma statti zitta che sto cercando di salvarmi! E magari salvare te, se mi va.”

In fondo la povera Lily era stata ingannata quanto lui. Non aveva colpa se non quella di aver amato la persona sbagliata. Solo perché la credeva una stronza non significava che gli facesse piacere vederla subire un infausto destino quale era Aeonar.

«Ser, io... io sono stata complice di un maleficar,» la sua voce tremava leggermente, «accetterò qualsiasi punizione per il mio peccato. Persino... persino Aeonar.»

“Creatore, ma quanto sei cretina?! Adesso ti salvi da sola, bella!” pensò trattenendo a stento un'espressione di assoluta incredulità.

Distrutta, Lily abbassò il viso e tacque. Dannazione, non poteva difendersi e inventarsi qualcosa? Era da stupidi permettere all'angoscia di far finire in quel modo la propria vita! Strinse il braccio di Irving, fissandolo supplicante; il vecchio lo guardò di rimando con calma. Gli parve di scorgere un impercettibile cenno ma non sapeva se fosse la sua immaginazione.

Greagoir non perse tempo e ordinò che la togliessero dalla sua vista per poi rivolgere la sua furia verso Elmer che seguiva con lo sguardo la giovane venire scortata via.

«E tu! Tu sai perché il deposito esiste: alcuni artefatti, alcune magie sono confinati per una ragione, e tu hai condotto lì un maleficar!»

«Io-» iniziò agitato.

Non aveva mai visto un Greagor così imbestialito, faceva veramente pisciare sotto dalla paura.

«Hai preso niente di importante dal deposito?» lo bloccò il mago anziano.

«No!» disse subito senza pensarci.

«Non ha importanza: le tue azioni sono una vergogna per tutto il Circolo! Cosa dovremmo fare di te?»

Le immagini delle celle sotterranee apparvero nella sua testa e deglutì nervosamente.

«Non sapevo che Jowan fosse un mago del sangue!» si difese.

Non aveva alcuna intenzione di essere punito per gli errori altrui. Quando l'aveva aiutato era convinto non fosse un maleficar, perciò... Oh, a chi voleva darla a bere? Aveva comunque infranto le regole intrufolandosi nel deposito, distruggendo un filatterio e aiutando la fuga di un mago, il fatto che si trattasse di un mago del sangue peggiorava solo le cose. Bella mossa, Elmer, davvero bella mossa.

«E tu credi che questo ti possa scusare?»

«No...» rispose debolmente sentendosi insicuro di fronte all'ovvietà dei fatti, ma la sua risposta andò persa nella collera del templare.

«Hai aiutato un mago del sangue a fuggire! Tutte le nostre precauzioni sono state inutili a causa tua! Ti rendi conto della gravità della situazione? Ora c'è un maleficar in più che gira indisturbato per il Ferelden e solo il Creatore sa cosa farà con la sua diabolica magia! E GUARDAMI QUANDO TI PARLO, RAGAZZO!»

Sobbalzò di fronte a quella violenza e fu costretto controvoglia a posare gli occhi viola sull'uomo che pareva volerlo ammazzare sul momento. Lo avrebbero ucciso? Aveva già detto che non voleva morire?

«Comandante.»

La sorpresa colse tutti, beh, di sorpresa, quando Duncan dei Custodi Grigi si fece avanti, apparendo dal nulla, una presenza decisamente fuori contesto: cosa c'entrava lui, un estraneo, in quella disputa?

«Se mi permette... Non sono soltanto in cerca di maghi per l'esercito del Re, sto anche reclutando per i Custodi Grigi. Irving mi ha parlato molto bene di questo mago ed io vorrei che si unisse ai nostri ranghi.» Non c'era traccia di alcun turbamento in lui.

“Ma starai scherzando?!”

Non poteva crederci, stava cercando di reclutarlo ADESSO?!

«Duncan, questo mago ha assistito un maleficar e dimostrato sprezzo per le regole del Circolo.» intervenne con ancora più calma il Primo Incantatore.

«È un pericolo per tutti noi.» precisò il Comandante Templare.

«È una persona rara quella che rischia tutto per aiutare un amico nel momento del bisogno.»

“Ecco, appunto, grazie.” pensò mordendosi la lingua per non dirlo ad alta voce.

«Rimango della mia decisione. Recluto questo mago.»

Fu come accendere una miccia.

«No! Mi rifiuto di lasciarlo impunito!» sbraitò il templare cercando un alleato in Irving i cui muscoli facciali sembravano immersi in una sofferta riflessione.

“Aspetta un attimo. Io conosco quell'espressione... Ce l'ha quando-”

«Ser Greagoir, abbiamo bisogno di questo mago, di tutti i maghi.» riprese il Custode. «Ci sono cose peggiori della magia del sangue là fuori. Prenderò questo giovane sotto la mia custodia e mi assumerò ogni responsabilità per le sue azioni.»

«Questo mago aiuta un maleficar ad entrare nel deposito, lo assiste nella fuga, e invece di essere punito viene premiato con la carica di Custode Grigio? Non sono niente le nostre regole? Abbiamo perso la nostra autorità sui nostri maghi? Non è giusto, Irving!» esclamò sconvolto Greagoir all'indirizzo del Primo Incantatore.

«È abbastanza, Greagoir. Non abbiamo più voce in capitolo su questa faccenda. I Custodi Grigi detengono il Diritto di Coscrizione che possono invocare su chiunque, indipendentemente dalle circostanze.»

“Lo sapevo!”

Ecco la verità: tutto era andato secondo i piani della vecchia volpe, quell'espressione la diceva lunga. Non era certo se anche le azioni di Jowan fossero state previste, si poteva discutere però sul fatto che fosse stato fin troppo facile coglierlo di sorpresa con tutta la sua esperienza, magia del sangue o meno. E i discorsi nel suo ufficio, la chiacchierata con il Custode... Anche Duncan era d'accordo? Era apparso in un momento piuttosto propizio.

Era stato ingannato? Di nuovo?!

Decise che stare zitto era la scelta più intelligente che potesse prendere e nei brevissimi minuti che seguirono si azzardò solo a domandare cosa dovesse fare ora che... ora che veniva sbattuto fuori dalla torre. Non ci provò nemmeno ad assimilare l'assurdità di tutte le cose che erano successe in quella irreale giornata, gli sarebbe scoppiata la testa.

Duncan gli disse che sarebbero partiti immediatamente alla volta di Orzammar, prima di dirigersi a Ostagar per unirsi all'esercito, dove avrebbe svolto la sua iniziazione. A corto di parole, Elmer salutò Irving che gli sorrise calorosamente raccogliendo le mani giovani in quelle raggrinzite e calde, e lo rassicurò: la torre sarebbe sempre stata la sua casa e avrebbe potuto tornare quando desiderava. In due secondi quel poco conforto fu infranto da Greagoir che, dopo aver abbaiato ordini ai sottoposti di inseguire il fuggitivo e rimettere in sicurezza il deposito, gli impediva di prendere qualsiasi altro oggetto personale perché non faceva più parte della comunità della torre. In qualche modo doveva pur soddisfare la sua sete di vendetta per la mancata esecuzione e da come guardava Duncan gli parve di capire che persino il Custode Grigio avrebbe dovuto essere flagellato per aver sottratto un condannato alla giustizia divina. Non gli tolse l'anello di appartenenza al Circolo giusto perché Irving insistette sulle conseguenze problematiche per un Custode di essere scambiato per un eretico.

«Ti pareva. Se ne va l'inetto e subito Begliocchi gli corre dietro. Hmph.» bisbigliò ai colleghi il templare Bran quel giorno sfortunatamente addetto alla portone principale, mentre Elmer e Duncan uscivano diretti verso il piccolo molo inferiore.

Soltanto quando si ritrovò seduto sulla barca che lo avrebbe portato sull'altra riva, e mise le mani nelle tasche per ripararle dal freddo, si accorse di avere il grimorio nero con sé.



FINE PRIMA PARTE



Note dell'autore:
Ieri sera soffrivo, quindi sicuramente mi è scappato qualche errore, e stamattina non ho avuto le forze di rileggere: lavorate voi per me e trovate gli intrusi u_u
Veniamo a noi. Quasi tutti i dialoghi (ma penso tutti) sono presi dal videogioco, così come le scene; mi spiace ma non mi è venuto in mente niente di originale per quest'ultima parte, forse perché mi è piaciuto com'è andata nel gioco XD Ho voluto dare del pianificatore a Irving perché effettivamente m'è sembrato strano, nel gioco, che le forze ad accoglierli fossero così misere nonostante la minaccia della magia del sangue, e che il più forte mago del Circolo si facesse battere così. Insomma, spero di aver trasmesso i miei sospetti attraverso Elmer. Per quanto riguarda il "come hanno saputo del piano?", personalmente non ne ho idea perché nel gioco non fa sapere nulla; so che c'era la possibilità di parlarne con Irving nel suo ufficio e tradire Jowan ma non mi piaceva. Io ho lasciato tracce in biblioteca (durante la discussione qualcuno può aver sentito o che so io), poi suppongo che Jowan fosse tenuto sotto stretta sorveglianza.
Ho messo un bel "fine prima parte" perché il primo capitolo era l'introduzione, il secondo era il primo breve capitolo, e dal terzo all'ottavo si può dire che sia un secondo capitolo gigante. Ultima cosa che posso dire... mmm, forse "Begliocchi": non credo sia corretto grammaticalmente però è un soprannome quindi mi sono presa la libertà di metterlo tutto attaccato.

Dunque, data la passione di Ary per i miei trattini *rotola* stavolta potrà stare tranquilla perché li ho usati in modo normale, cioè per qualche interruzione di dialogo/pensiero, e dei balbettii ^^

Ah, già che ci sono avviso che il nono ci metterà un po' ad arrivare! Lunga attesa, sorry, ma devo sistemare il tredici in modo che fili tutto liscio.

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Capitolo 9
*** Verso Orzammar ***


Appena uscito mi sentivo talmente leggero che volare non sembrava più una fantasticheria, e la libertà ritrovata era un piacere così immenso da farmi credere di poter conquistare il mondo soltanto spalancando le braccia verso di esso.

Avevo ragione, ovviamente.

***

La prima cosa che sperimentò nella sua ritrovata libertà fu lo stomaco rimescolarsi. La seconda fu la difficoltà a prendere aria per la gola improvvisamente ristretta, la terza l'agognata riapertura delle vie respiratorie, mentre la quarta... la quarta quasi lo piegò sul bordo della scialuppa a rigettare. Si dominò e strizzò le palpebre, tenendo ferma tra i palmi la testa affetta da capogiro.

«Mal di mare?»

La mano di Duncan sulla sua spalla era come un'ancora che gli impediva di vomitare l'anima.

«No.» biascicò.

«È normale.» venne in aiuto il traghettatore dalla bocca sdentata. «Fanno tutti così quando escono la prima volta. Qualcosa a che fare con la magia e lo spazio... Me l'hanno spiegato ma non c'ho capito molto.» Si fece pensieroso, poi sorrise. «Gli passerà.»

«“Gli passerà” 'sto cazzo.» non poté fare a meno di sussurrare.

Sapeva di cosa stava parlando; le prime esperienze fuori dalla torre erano un po'... travolgenti, almeno dai racconti di chi ci era passato. Niente di serio, per fortuna, giramenti di testa, nausea, svenimenti, malesseri temporanei dovuti allo stabilizzarsi del proprio potere interiore in un ambiente più ampio e privo di confini. Due ore dopo, scesi dalla scialuppa con i ringraziamenti dello sdentato per non avergli insozzato la barchetta, soffriva ancora di gambe molli. Tuttavia doveva trattarsi dell'emozione di toccare terra, perché la nausea era sparita mezz'ora prima (grazie al Creatore).

Lontano dalla presenza dei suoi devoti carcerieri, Elmer si abbassò a toccare il suolo umido con le proprie mani, passandoselo tra le dita. Non era come quello della serra botanica della torre... oh sì? Che fosse un'impressione? E il sole, i suoi raggi autunnali erano caldi, al contrario delle soffuse lampade magiche del Circolo. Si guardò attorno respirando l'aria in grandi boccate. Sedici anni senza il mondo e già adesso poteva tranquillamente affermare di esserne dipendente.

Fuori. Era fuori. Fuori, fuori, fuori, fuori! E di chi era il merito? Suo! Esclusivamente suo!

“Alla faccia tua, Jowan, tiè! Quanto ti sta bene, piccolo traditore bastardo!”

Ignaro dei suoi pensieri il Comandante lo scrutò bonario: il giovane uomo sembrava un delinquente scampato all'ergastolo.

«Vedo che ti piace l'esterno, Elmer.» commentò divertito il Custode, strappandolo dai suoi sogni a occhi aperti. «È come ti aspettavi che fosse?»

Elmer si spiaccicò le mani sulla bocca quando come risposta gli uscì una ridarella totalmente idiota che minacciava di essere inestinguibile. Tossicchiò per darsi un contegno e si girò verso quella che per tanto tempo era stata la sua casa: la torre si stagliava alta e possente contro il cielo azzurro pallido, un gigante di pietra scura. Un pugno in un occhio. Gli venne voglia di ridere, o meglio, deriderla, ma non voleva fare la figura della persona uscita di senno. Duncan non avrebbe capito; non conosceva molto di lui ma scommetteva che la maggior parte della vita l'avesse passata come le persone normali, all'aria aperta. Per i maghi non era così facile, molti non uscivano mai, e alcuni sfortunati nascevano direttamente dentro quelle quattro mura.

Elmer era stato baciato dalla fortuna. Questo mago, questo talentuoso, affascinante mago, era stato finalmente ricompensato per i suoi sforzi e i suoi sacrifici nella maniera più imprevedibile, e la soddisfazione era così grande che la questione Jowan passò in secondo piano, anzi, forse doveva ringraziarlo, perché grazie alle sue minchiate il moro dagli occhi viola era libero. Ma non semplicemente libero, no, lui era legalmente libero (legalmente!) di andare dove diamine gli pareva e piaceva e la Chiesa poteva ficcarselo in quel posto! C'era da chiedersi se esistesse davvero una divinità superiore che guidava i tuoi passi dall'alto.

«Non credo di essermi mai aspettato qualcosa.» disse dopo un po', ricordandosi che gli era stata posta una domanda. «Non avevo mai preso in considerazione l'idea di poter uscire. Sono stato portato qui a sette anni e fin dall'inizio mi hanno fatto capire chiaramente che sarebbe stato impossibile rivedere tutto questo.» continuò stringendo i fili d'erba. «È... fantastico, semplicemente fantastico.»

«Posso solo immaginare come ti senti, ma lo scontro è imminente, dobbiamo affrettarci.» gli disse il Custode aiutandolo ad alzarsi. «È il momento di iniziare il nostro viaggio. Se hai qualche domanda non esitare a pormela.»

Così, dopo una sosta alla locanda della Principessa Viziata per rimpolpare le esigue proprietà di Elmer, iniziò il cammino di nove giorni verso la città dei nani, tra domande, risposte, spiegazioni sulla vita fuori dalla torre, sui Custodi, sulla Prole Oscura e sui motivi che stavano dietro all'attuale destinazione.

«Perché devi andare a Orzammar proprio sull'orlo di una guerra?»

Erano ormai lontani dal lago, ma con suo dispiacere la torre si intravedeva ancora sullo sfondo.

«Proprio per questo ci andiamo.» replicò Duncan sottolineando il “noi” e afferrandolo per un braccio prima che inciampasse in un sasso.

Sarebbe stato bello andare a cavallo, un'occasione buona per imparare a manovrare un bestione enorme che nei libri era spesso a portata di mano nelle fughe; sfortunatamente la bestia di Duncan era morta due giorni fa in un'imboscata.

«I nani sarebbero eccellenti alleati.»

«Ma ci aiuteranno volentieri? L'hai detto tu che quando c'è un Flagello fanno festa perché le Vie là sotto sono libere.»

«Non ho detto esattamente così, anche se credo sia un'immagine azzeccata.» disse con un mezzo sorriso. «Inoltre cerco informazioni su dei trattati che il nostro ordine ha smarrito. Dovrebbero essere nelle Selve Korcari, tuttavia senza una mappa trovarli è quasi impossibile.»

«Quindi si va dai modellatori?»

«Esatto.»

«Come accolgono di solito i Custodi Grigi?»

«Bene. Siamo considerati ottimi guerrieri che non temono il male nelle Vie.»

«E le reclute dei Custodi Grigi?»

«Diventerai un Custode Grigio, verrai trattato altrettanto bene. Credo. Non sei esattamente quello che a prima vista si considera un uomo da rispettare o da temere.» rifletté.

In effetti Elmer, se non per l'espressività degli occhi e l'aspetto piacevole, non era granché: aveva un'altezza nella media, una corporatura magra, e la lunga veste da mago non faceva altro che farlo apparire gracile. Duncan non ci avrebbe speso attenzione se non fosse stato per le raccomandazioni di Irving.

«Beh, ho altri modi per farmi rispettare.» disse schioccando le dita in uno scintillio elettrico.

«E ti proibisco di usarli, a meno che non ne vada della tua vita. Ricorda: siamo ospiti, non siamo lì per creare problemi.»

«Va bene, va bene. Per quanto ci fermeremo?»

«Al massimo due giorni, non possiamo attardarci troppo.»

«Posso fare un giro per la città?» domandò ostentando noncuranza.

«Se riesci a tenerti in piedi dopo nove giorni di marcia...» lo prese in giro.

«Mica è colpa mia se non ci sono abituato.» mormorò indispettito.

I suoi piedi, dopo più di mezza giornata di cammino, formicolavano dolenti. Lui stesso era stanco e un po' infreddolito; l'unico straccio decente rimediato alla Principessa Viziata era un mantello in cui Elmer cercava di stringersi il più possibile per ripararsi dall'aria di metà autunno. I fereldani non temevano il freddo soltanto per forza dell'abitudine, ma anche perché avevano l'abbigliamento giusto, checcavolo.

Eppure la prospettiva di vagare senza supervisione era di gran lunga più rilevante delle debolezze del corpo.

«Non temere, troveremo qualcosa di più adatto.» lo rassicurò il Custode vedendolo rabbrividire.

«Lo spero. Sono praticamente nudo qua sotto, a parte le mutande.» si lamentò quando una brezza fredda si insinuò sotto la tunica.

“Tsk, Greagoir l'ha pensata giusta a farmi morire di freddo.”

«Cambiando discorso, mi stavo chiedendo cosa ci fosse nella tua tasca.» Immediatamente Elmer si irrigidì. «Così ho pensato di dare un'occhiata.»

Il Custode sollevò una mano e mostrò il grimorio. Il vecchio volumetto di pelle nera pareva quasi schernirlo: “beccato!”.

«Come hai...» iniziò il mago tastandosi istintivamente la tasca ormai vuota.

«Non sono un esperto di magia, ma questo sembra un libro di incantesimi. E qualcosa mi dice che non è tuo. Hai mentito al Primo Incantatore.»

Colto sul vivo, il moro non riuscì a nascondere una smorfia e, offeso, voltò il capo. Torto o ragione, non doveva dargli nessuna giustificazione, quell'uomo non era un templare e lui non era più costretto ad abbassare la testa. Accanto a lui sentì Duncan sospirare.

«Non è mia intenzione rimproverarti, desidero solo cominciare col piede giusto.»

Col piede giusto, certo. Scommetteva che mister “non esperto di magia” stava già elaborando qualche sanguinosa ipotesi su magie proibite e compagnia bella.

A conti fatti però, al momento l'unica preoccupazione di Elmer era quella di andarci d'accordo: non voleva essere rispedito indietro, perciò mantenere un rapporto civile con chi si era fatto carico della sua persona doveva essere in cima alla lista delle sue priorità. Ergo bisognava adattarsi per non incorrere nella triste eventualità di una testa mozzata.

Giratosi per rispondergli, rimase di sasso quando realizzò che il Comandante gli stava porgendo il grimorio. Lo guardò in faccia in cerca di una spiegazione.

“Una prova di fiducia?”

Non poteva saperlo, comunque non aveva nulla da temere dato che non aveva intenzione di adoperare incantesimi e pozioni di dubbia natura, quindi si riprese il suo libro senza alcun senso di colpa e disse la verità.

«L'ho trovato nel deposito, sì. L'ho sfogliato e ho pensato valesse la pena approfondire; niente demoni, niente magia del sangue. Quando Irving mi ha chiesto se avessi preso qualcosa, dopo quello che era appena successo il grimorio mi era completamente passato di mente, non l'ho fatto apposta.»

«Che cos'è che ti interessa?»

«Ci sono buone ricette. Ma devo studiarle.»

«Avrai modo di studiarle nell'ordine.» replicò sereno.

Elmer si sorprese di quella tranquilla accettazione. Tirò un sospirò di sollievo e fu contento che Duncan non calcasse più sull'argomento.

Ben presto sopraggiunse la sera e si accamparono per la notte. Seduto su una stuoia accanto al Custode, si ritrovò a considerare che era stata una giornata molto bella nonostante la fatica. Escluso il male ai piedi, camminare gli era piaciuto: viaggiare lo avvicinava ai suoi libri d'avventura che non poteva più avere sottomano. Però, piuttosto che cedere alla tentazione di rivisitare con la mente i pezzi di vari brani, pensò bene di rimanere nella realtà e rendersi utile con la cena; aveva raccolto alcune erbe e le unì al coniglio cacciato da Duncan.

«Non male.»

«Alla torre non possiamo cucinare ma l'alchimia non è un'arte tanto diversa. Ho usato piante ed erbe per tanti di quegli intrugli che ormai credo di essere una specie di esperto di spezie.»

«Cosa mangiate di solito?» chiese il Comandante osservandolo addentare di gusto il coniglio.

«Soprattutto minestre, qualche volta carne e pesce. Non abbiamo una grande varietà. Questo coniglio è davvero buono...» commentò masticando la carne con enorme piacere.

«A Orzammar fanno un ottimo nug arrosto, sono certo che non rimarrai deluso.» Poi prese un tono leggermente più serio. «Devi mettere su un po' di peso. Oltre a mangiare devi iniziare a svolgere esercizi quotidiani per la muscolatura, altrimenti il tuo corpo non reagirà bene all'improvvisa fatica.»

Elmer annuì e dopo cena Duncan gli fece vedere degli esercizi di stretching da compiere ogni mattina. Infine si diedero la buonanotte e si ritirarono nell'unica tenda a disposizione. Non era grande, comunque non era un problema, era abituato a dormire accanto a un numero indefinito di perfetti sconosciuti. Il guaio era che non riusciva a dormire, era troppo occupato a conversare con se stesso.

Da una parte era contento perché l'impatto con l'esterno era andato a meraviglia mentre si era aspettato di fare la parte del pesce fuor d'acqua; tranne qualche tentativo dei suoi piedi di inciampare per conto loro, tutto era andato liscio come l'olio. Dall'altra parte, adesso che non aveva fatica, libri e quant'altro con cui tenersi occupato, non poteva trattenersi dal pensare a Jowan, sebbene fosse riuscito brillantemente ad evitare questa sgradevole e inutile attività per tutta la giornata. Rimuginandoci sopra, si era reso conto che un po' del risentimento era svanito in favore di un ragionamento inconscio traducibile con questa semplice frase: “alla fine ho comunque vinto io, mwahahah!”. Lo considerò un fatto positivo. Bisognava andare avanti e stendere un velo pietoso sull'accaduto. Nonostante l'inganno, l'unico a guadagnarci era stato lui, l'ingannato. Dolce vittoria. Perché sprecare tempo ed energie su un argomento chiuso in bellezza?

Eppure... non riusciva a stare zitto.

Ecco cosa otteneva Jowan a giocare di cervello, un EPICO FALLIMENTO! Gli faceva così pena. O no? Non si era mai visto come uomo compassionevole, era strano provarne così tanta adesso. Forse era la delusione che l'ex fratello (sì, ex) gli aveva procurato? Provò a immaginarsi il suo viso triste e sconsolato. Ah, eccola lì la tremenda irritazione! La rabbia batteva la pietà, com'era giusto che fosse. E se visualizzava ancora quella faccia... oh, quanti cazzotti che gli avrebbe dato! Come cazzo si era permesso di prenderlo in giro? Quanto forte aveva sbattuto il cranio per ricorrere alla magia del sangue? Perché Jowan era così stupido? E perché diamine Elmer si era sempre associato ad una persona così debole? Ecco, quello era il problema. Non era Jowan in sé... o forse sì? Beh, il punto era che gli bruciava tantissimo non essersi accorto di nulla, di esserci cascato in pieno. Si reputava una persona intelligente, e lo scemo del villaggio era riuscito a fargliela sotto il naso. Voleva vendetta, porca paletta! Di solito se la sbrigavano sbraitandosi a vicenda, Jowan si scusava, Elmer gongolava nella sua superiorità e concedeva il perdono, ma questa volta quell'impiastro non aveva svolto il suo compito. Se l'era svignata.

“Quindi... vuol dire che abbiamo un conto in sospeso.” realizzò.

Una rughetta infastidita fece capolino sulla sua fronte.

«Non riesci a dormire? Pensavo fossi stanco.» chiese Duncan nell'oscurità facendolo trasalire.

Forse era solo una sua sensazione ma dal tono di voce sembrava la domanda fosse routine per lui. Aspettò qualche attimo per riaversi dal mezzo infarto, maledicendolo in tre lingue, poi rispose.

«Lo sono. Solo che...»

Era il caso di parlare di fatti privati con un perfetto estraneo?

«Non devi parlarmene se non vuoi.» disse l'altro dopo vari secondi di silenzio.

«Non è quello. Sì, un po' è quello.» si contraddisse, e al diavolo l'educazione. «È per ciò che è successo alla torre. Ci sto ancora pensando. Credo.»

In effetti stava soltanto studiando dieci modi diversi per farla pagare a Jowan.

«Forse ti senti sopraffatto da tutti questi cambiamenti. Mi è sembrato di capire che il tuo Tormento e la fuga del tuo amico abbiano avuto luogo in un arco di tempo molto breve.»

«Puoi dirlo forte.» disse atono.

Gli aveva dato fastidio sentire l'uso della parola “amico” per indicare il suo ex fratello.

«Sei preoccupato per lui?»

Improvvisamente parlare a voce alta di Jowan gli sembrò una pessima idea. Era irritante. Meglio spostare l'attenzione su qualcos'altro e concludere la serata con una buona dormita, se poteva.

«Credo di no. Me l'ha fatta davvero grossa, e non solo a me. Ma sono sicuro che Lily se la caverà, Irving si inventerà qualcosa.»

«È un brav'uomo.» disse Duncan seguendo l'inespresso desiderio di Elmer.

«Nh.»

«Vedrai che col tempo farai chiarezza nel tuo cuore. Il tempo guarisce ogni ferita.»

«Usi molto i proverbi?»

«Quando dicono il vero. Cerca di dormire, Elmer, ne hai bisogno.»

Si diedero nuovamente la buona notte e il mago riuscì ad addormentarsi, ma, dopo tanto tempo, il suo sonno fu costellato dai visi familiari di Jowan e di suo padre che gli negarono un buon riposo. Stupidi affetti.






Note dell'autore:
Se avete notato, le prime righe sono in prima persona. Ho deciso che a inizio di ogni parte metterò un pensiero del protagonista del futuro che guarda al suo passato, perché mi sembra una cosa carinaaaa! XD (perciò anche nel primo capitolo quelle righe iniziali le ho messe in prima persona)
Per quanto riguarda il cibo nella torre, è tutto sparato a caso. Non penso che i maghi siano coccolati e viziati, perciò gli si dà quel tanto che basta per tenerli in piedi. Dato che si tratta del Ferelden, penso siano un attimo trattati meglio, con carne e pesce qualche volta.
Ho un avviso importante da fare, cioè che dal 2 al 9 giugno sono in Inghilterra, perciò non mi trovate ç_ç Ho voluto lasciare questo capitolo prima di partire così non vi dimenticherete della vostra Veri ^^

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Capitolo 10
*** Orzammar ***


Duncan era un misto, metà Irving, metà Greagoir: del primo possedeva la calma e la naturale emanazione di benevolenza, del secondo il distacco e l'autorità. Il tutto era amalgamato molto bene, così che dimostrava di valutarti e considerarti come persona senza però scendere in un rapporto più stretto, mantenendo chiaro il suo ruolo di guida e di comandante. In poche parole implicitamente ti diceva che potevi contare su di lui ma che dovevi sempre tenere presente che era il tuo capo e non il tuo amicone del cuore. Era una figura tutta nuova per Elmer, abituato a vedere posizioni di potere completamente opposte a causa del contesto nella torre.

Era un uomo che colpiva, almeno dal suo punto di vista: per la prima volta da che era nato aveva potuto radersi senza sorveglianza. Sapeva che all'esterno era una cosa normale ma per lui era un gesto importante e vedere con quanta leggerezza gli era stato dato un oggetto affilato lo metteva a disagio.

Nonostante la buona impressione non era però sicuro il Custode l'avrebbe tenuto con sé se fossero sorti problemi per colpa sua o se avesse disubbidito troppo. Cosa gli impediva di riportarlo alla torre se non si fosse detto soddisfatto dell'acquisto? O peggio, cosa gli impediva di eseguire la condanna a morte che aveva in mente il comandante templare? Quei primi cinque giorni erano stati paradisiaci in quella magnifica semilibertà, ma non doveva illudersi.

«Copriti, sta arrivando qualcuno.» lo distolse dai suoi ragionamenti il protagonista dei suoi pensieri.

Il qualcuno proveniva dalla parte opposta alla loro ed era una carovana di tre carri con una trentina di persone che una volta avvicinatisi si rivelarono mercanti accompagnati da una scorta armata; un'ottima occasione per comprare vestiti. Mentre il Custode parlava per procurarsi l'abbigliamento e una tenda per il mago al suo fianco, Elmer si guardava attorno curioso. Era un gruppo disomogeneo, c'erano umani, elfi e nani, e vederli socializzare era interessante. Gli elfi erano più che altro servitori, un fatto bizzarro per lui, dato che nella torre erano tutti maghi nella stessa identica posizione; i nani invece erano una novità, non li aveva mai visti se non in disegni cartacei, nella torre non ne erano mai entrati e da piccolo al suo villaggio non ce n'erano stati, perciò ne fu immediatamente intrigato. Come aspetto fisico non erano granché diversi dalle altre razze, giusto l'altezza e la corporatura robusta, mentre i loro modi non gli sembravano strani o stravaganti. Ah, nani, quante storie aveva letto su di loro! Peccato che la realtà non venisse incontro alla sua immaginazione. Ma forse era meglio così, d'altronde chi avrebbe incontrato volentieri commercianti senza scrupoli e guerrieri sanguinari in preda ad una rabbia feroce?

Si soffermò su uno in particolare seduto alla guida di un carro poco lontano. Aveva due orecchie a sventola e gli occhi grandi persi nel vuoto, finché si accorse di essere osservato e sorridendo lo salutò con la mano. Elmer fece altrettanto, stranito dall'espressione di completa innocenza sul volto pallido.

«Ah, il mio ragazzo. Non fateci caso, ser.» gli disse il nano che tentava di vendere un paio di schinieri a Duncan.

«Sembra simpatico.» commentò educatamente.

Lo sguardo assente di poco prima gli aveva fatto venire i brividi, come gli Adepti della Calma.

«Simpatico e bravo nel suo lavoro! Ha un talento naturale per piegare il lyrium in qualsiasi arma; siete interessato? Di questi tempi è bene avere almeno un coltello con sé, meglio ancora se incantato. Senza offesa, ma il vostro bastone non mi sembra propriamente adatto all'autodifesa.»

Il suo bastone magico pareva l'arnese di un pecoraio piuttosto che di un mago; se da una parte era imbarazzante, dall'altra era una fortuna, in “questi tempi” probabilmente non era saggio farsi vedere in giro con qualcosa di valore (avevano cercato di derubare perfino Duncan, nell'imboscata dove aveva perso il cavallo), a meno che non fossi abbastanza in gamba da liquidare i seccatori.

«No, grazie. Credo farei più male a me stesso che agli altri con un'arma in mano.» scherzò, il nano annuì con comprensione. «Certo vostro figlio sembra molto giovane per il lavoro di qualità che dichiarate.» aggiunse in tono volutamente casuale.

Voleva saperne di più sullo strano ragazzo.

«Oh, il vostro dubbio è comprensibile, non siete il primo ad averlo. Vi posso però assicurare che le merci di Bodahn Feddic e suo figlio Sandal sono tra le migliori sul mercato! Perché non date un'occhiata?» propose indicando il suo carro. «Anche se non siete un esperto, sono assolutamente certo che ne rimarrete affascinato!»

Contento, fece per aprire bocca e dire sì, quando si ricordò che le decisioni non poteva prenderle per conto suo. Si voltò verso Duncan per chiedere il permesso, scocciato dal tono remissivo che avrebbe dovuto utilizzare, ma il Custode lo sorprese con un semplice cenno d'assenso, tornando poi alla conversazione con l'altro mercante che gli stava dando qualche informazione sulla strada percorsa.

I punti simpatia di Duncan si erano alzati a cinquanta su un totale di cento.

Andò con Bodahn fino al carro dove Sandal lo salutò con un «Incantesimo!», a cui seguì una breve chiacchierata su come il padre avesse trovato il figlio adottivo e come un Adepto una volta gli avesse detto che probabilmente era affetto da sindrome dell'idiota sapiente. Non era un guaritore né un esperto di incantamenti e rune, ma si trovava d'accordo con la diagnosi e, dal lavoro che aveva visto fare dagli Adepti al Circolo, gli articoli del carro erano fatti più che bene.

Fu poi richiamato da Duncan, dovevano riprendere il viaggio. Salutò i due nani e si incamminò con il Custode, girandosi ogni tanto per vedere la carovana diventare più piccola man mano che procedevano, finché non fu più visibile. Solo allora si fermarono per permettere a Elmer di cambiarsi, sicuri che nessuno avrebbe visto le vesti da mago (la gente reagiva in modo imprevedibile davanti alla magia, paura e violenza erano le risposte più gettonate).

«Trovato qualcosa di interessante?» chiese Duncan porgendogli i pantaloni e gli stivali.

«Il figlio del mercante è un sapiente e fa un lavoro sublime.» replicò infilando il capo d'abbigliamento che non indossava da anni. «Ti avverto, sembrerò idiota per un po' a camminare. È un'eternità che metto tuniche. Non so nemmeno perché... Forse il modello tunica era il meno costoso per la Chiesa.» ragionò tra sé.

«Un sapiente?» domandò Duncan carezzandosi la barba con una mano.

«Si tratta della sindrome dell'idiota sapiente, un ritardo mentale accompagnato da grande abilità in uno o due campi ristretti. Sandal, il ragazzo, si sa esprimere soltanto con poche parole eppure fa meraviglie negli incantamenti.» spiegò piegando e sistemando la tunica nella sacca da viaggio.

«Capisco. Non mi è mai capitato di incrociare persone con... ritardi mentali. Matti sì, ritardati no.» continuò incuriosito passandogli maglia e gilet.

«È normale. Questi individui sono solitamente affidati alle cure della Chiesa; spesso vengono passati a noi per vedere se ci sono soluzioni magiche. I guaritori sono tuttora al lavoro per ricercare cause e terapie adeguate, così che le famiglie non abbandonino o uccidano i bambini malati perché un peso o perché nella loro ignoranza pensano sia una maledizione o l'azione di qualche demone.»

«Ce ne sono molti?»

«Molto pochi, quelli che sopravvivono. È una realtà sociale che si preferisce tenere nascosta alla maggioranza sana della popolazione.» rispose mentre riprendevano la marcia.

«Ne posso capire la ragione. Sei un guaritore? Irving non mi ha menzionato le tue specialità.» chiese poi, ipotizzando fossero i guaritori a saperne più degli altri sulle malattie.

Di maghi guaritori veramente competenti non ce n'erano molti, l'ordine avrebbe avuto un bene prezioso che avrebbe fatto invidia persino ai re.

«Non sono un guaritore, mi spiace. Ovviamente ogni mago preparato conosce una vasta quantità di incantesimi, di tutte le Scuole, e a seconda del suo talento naturale questi risultano più o meno forti. Per esempio io so come rattoppare ferite, rammendare lacerazioni interne e sistemare ossa, ma ad un livello basso; ci vogliono finezza e precisione al di sopra della norma per lavorare con i tessuti, al confronto io sono piuttosto rozzo. Mi piacciono i glifi, ma per il resto la Scuola della Creazione non è il mio forte e di conseguenza i miei incantesimi in quel campo non sono molto potenti. Eccello invece nella Scuola Primordiale, fuoco, ghiaccio, elettricità, eccetera; e nella Scuola dello Spirito, manipolazione del mana, difese contro incantesimi di altri maghi e varie.»

«Adatto al combattimento, mi pare.» apprezzò ugualmente il Custode.

«Non saprei, al di fuori della disinfestazione della dispensa non ho prove di essere un buon combattente.» disse dubbioso.

«Nessuno lo è, al principio. Come per tutte le cose ti servirà allenamento e pratica.» rassicurò. «Bruciacchiare qualche insetto nel ripostiglio non è come affrontare avversari della tua taglia, lo so. Potrebbe impaurirti all'inizio, uccidere di solito non è piacevole, ma sono convinto che tu possieda un temperamento sufficientemente forte per accettare questo lato della tua nuova vita.»

Avendo lo sguardo rivolto in avanti Duncan non vide l'occhiata interrogativa di Elmer. Il mago non aveva afferrato molto bene la questione della taglia: i ragni della dispensa erano più grandi dei due uomini messi assieme, sputavano ragnatele, acido e veleno, si calavano silenziosamente dal soffitto per coglierti alle spalle, ti intrappolavano nella loro tela, e se non eri attento rischiavi di finire arrotolato come un salame in bozzoli appiccicosi in attesa dell'ora di pranzo. Il termine “bruciacchiare”, nella sua modestissima opinione, non era proprio corretto, ma probabilmente aveva capito male.

Duncan stette in silenzio per qualche secondo, immerso nelle sue riflessioni per poi chiedere

«Cosa puoi fare in campo non magico? Esclusi gli incantesimi, qualcosa che non richiede magia.»

«Ho molta esperienza nell'alchimia: antidoti, unguenti, veleni ed esplosivi.» rispose.

Parlarono ancora un po' delle sue capacità, un argomento di cui Elmer non si sarebbe mai stancato. Adorava parlare di quanto era bravo, ancora di più dimostrarlo coi fatti, e si chiedeva quanto ancora avrebbe dovuto attendere per testare se stesso in quel nuovo mondo, non più rinchiuso nello spazio pratico della torre sotto l'occhio severo di templari e insegnanti.

 

Dopo altri quattro giorni di viaggio (due dei quali abbastanza piovosi, tanto per far presente il triste stato fangoso dei suoi stivali, grazie tante) i piedi di Elmer erano pronti al suicidio e il suo umore all'omicidio. La neve gelida del terreno montano non era un miglioramento, ma fortunatamente avevano appena percorso il Passo di Gherlen e l'entrata per la città dei nani non era lontana. Nella piazza esterna diedero un veloce sguardo ai vari mercanti, e giunti al portone le guardie permisero loro l'accesso.

«Così questa è Orzammar. C'è un bel calduccio qui dentro.» commentò il mago non appena il portone venne chiuso alle loro spalle.

Osservò le statue dei Campioni, guardò impressionato il fiume di lava, infine spostò gli occhi in su. Tutta quella roccia, così in alto, così immensa... Li distolse, colto dalla bruttissima sensazione di un soffitto cadente, e ascoltò le parole di benvenuto di un nano in armatura.

«Vieni, andiamo a porgere i nostri omaggi a Re Endrin.» disse Duncan seguendo la guardia reale che era accorsa a scortarli non appena la notizia del loro arrivo aveva raggiunto gli Aeducan, l'attuale casata reale.

Porgere omaggi a un re. In quello stato pietoso? Non disse nulla, però se sporcava tappeti dal valore inestimabile o se per la stanchezza rispondeva con stronzaggine a teste coronate la responsabilità era di Duncan, non sua. Già adesso gli giravano: per strada alcuni si fermavano a salutare rispettosamente i Custodi guardando Elmer con esitazione per via del suo aspetto magrolino. Lo irritava sapere quanto poco lo prendessero sul serio solo per come appariva; se gli saltavano i nervi avrebbe potuto scatenare l'inferno! Stupidi muscoli. Stupidi nani. Erano praticamente circondati da gente che gli arrivava di poco sopra il bacino, e forse era soltanto una sua impressione ma gli parve avessero un modo di fare differente dai nani incontrati in superficie, questi sembravano più pieni di sé. Come se potessero metterlo in soggezione, tzè.

Gentaglia a parte, il regale palazzo era identico ai meravigliosi ritratti nei libri, vasto e imponente come poche altre costruzioni nobili del Distretto dei Diamanti. Giunti nella sala del trono scambiarono qualche parola con il sovrano e due dei suoi figli, e i commenti a suo indirizzo si sprecarono.

«Siete un Custode? Non ho mai visto nessun Custode così... snello.»

“Snella sarà tua sorella.” pensò indispettito.

«Sono una recluta, Vostra Maestà. Il Comandante Duncan mi ha preso con sé pochi giorni fa, devo ancora essere adeguatamente addestrato.» rispose con grazia il mago.

«Qual è il tuo campo? Non sembri affatto un guerriero.» disse burbero il primogenito Trian Aeducan, squadrandolo dalla testa ai piedi.

«La magia è il mio campo.» replicò con un sorriso falsamente paziente.

Gli venisse un colpo a quello...

«Ah! È da molto che i maghi non scendono nelle nostre strade. Siamo onorati di averne uno nostro ospite dopo così tanto tempo.» disse il re riguadagnando punti.

«Questi abiti ed equipaggiamento non gli rendono però onore, non credete padre?» si intromise l'ultimo figlio, mettendolo in imbarazzo.

In una scala da uno a dieci, quanto sarebbe stato grave liquefare il faccione del principe in un eccesso di stizza per un commento estetico?

«Mi offro volentieri di accompagnare il Custode Elmer per la città in cerca di qualcosa degno di lui, a mie spese ovviamente.»

Lo guardò come si guardava un cane a due teste, sorpreso, non capendo il motivo di quella generosità. Non gli era mai capitato di fare spese, e a spese di qualcun altro.

«Ottima idea, Bhelen.» replicò il re prima che i suoi ospiti potessero rifiutare l'iniziativa del figlio. «Voglio che vi rilassiate, Custodi, perché domani dovrete essere ben riposati e di buon spirito per il gran giorno di mia figlia! La mia secondogenita, Sereda, verrà ufficialmente nominata comandante; per lei abbiamo indetto le Prove con i migliori combattenti della casta guerriera!» disse con evidente orgoglio; alle sue spalle Trian fece una smorfia. «Siete naturalmente invitati a presenziare con noi nei posti d'onore. Se aveste il tempo di fermarvi ne organizzeremmo altre in vostro nome.» aggiunse speranzoso, ma Duncan declinò gentilmente ricordando che dovevano partire presto.

Finiti i convenevoli gli furono mostrate le stanze in cui avrebbero soggiornato (roba da far strabuzzare gli occhi: se gli ospiti avevano simili meraviglie, com'erano le stanze della famiglia reale?). Ne approfittarono per rinfrescarsi, poi si separarono, Duncan verso il Modellatorio, Elmer con il Principe Bhelen e la sua scorta verso il mercato.

Era un'esperienza nuova quella di essere lasciato solo con gente educata e servizievole, una a cui avrebbe facilmente fatto l'abitudine. Grazie al prolungato soggiorno forzato in un ambiente ristretto non si sentiva particolarmente claustrofobico nella città dei nani, bastava non fissare troppo il soffitto, e il suo ospite pareva intenzionato ad assorbire tutta la sua attenzione. Il nano era una buona compagnia; tennero un'interessante conversazione sulla civiltà della roccia e la scelta dell'equipaggiamento fu molto più facile con il suo aiuto.

«Questo bastone credo faccia al caso vostro, Custode.»

Aveva provato a farsi chiamare Elmer, era solamente una recluta dopotutto, ma il suo benefattore non aveva voluto sentire ragioni e il mago non voleva sembrare scortese.

Bhelen chiese al negoziante di mostrare il bastone magico in questione: era bello, l'asta metallica marrone con rune dorate al centro e in cima, l'estremità in alto era stata fusa con un gioiello magico trasparente di forma ovale al cui interno risiedevano dei fiocchi di neve cristallizzati. Tutto il contrario del suo attuale bastone per le pecore.

«Non è troppo pesante, facile da portare per voi che non siete ancora abituato allo sforzo. La parte alta e le rune possono essere nascoste con della stoffa, per quando vi converrà non dare nell'occhio: oggetti di buona qualità sono destinati ad attirare gli occhi di gente con scopi poco nobili.» consigliò il nano con lungimiranza.

«Principe Bhelen... non so cosa dire. Vi ringrazio infinitamente per tutti questi doni.» disse in completo stato di adorazione.

Non aveva mai ricevuto regali, da reali poi! Oltre al bastone si era beccato dei guanti d'arme, un paio di scarpe e un nuovo paio di stivali con schinieri, tutto di pregiata fattura; non erano stati acquistati nuovi abiti e una corazza solo perché non si era trovata la taglia ed Elmer aveva insistito che non c'era tempo per farsene creare su misura visto che dopodomani mattina sarebbe ripartito.

Era accettabile fare salti di gioia in presenza di persone importanti, oppure sciogliersi in un brodo di giuggiole sul pavimento? No perché al momento si sentiva abbastanza su di giri. Se avere il titolo di Custode significava vivere di rendita e non essere più guardato con diffidenza e disgusto, allora per una volta doveva ringraziare il Creatore. Strinse con aperta felicità la sua nuova proprietà rifilando al mercante il vecchio bastone obsoleto. Si sentiva maledettamente fortunato. Ricevere regali, bei regali, costosi, perfino utili, era maledettamente- Per le rotonde e sode tette di Andraste, meglio ricominciare a respirare prima di morire per l'emozione!

«Sciocchezze, Custode. Il vostro ordine è sempre bene accetto tra i nani e la famiglia reale non poteva certo esprimere l'apprezzamento soltanto a parole.» gli disse compiaciuto della reazione e invitandolo a proseguire. «Venite, vi farò vedere i posti più caratteristici della città, poi torneremo a palazzo per la cena.»

Il moro sorrise beato, ignaro che la sfiga aveva altri progetti per lui.





Note dell'autore:
MA CIAOOOOOOOO! Come state? Io benissimo! Mi siete mancati mentre ero in Inghilterra ç_ç Avrei voluto avere con me il pc per continuare a scrivere ma ahimé... Beh, sono tornata la sera del 9 e ci ho messo un po' a sistemare questo nuovo capitolo (me la sono presa comoda, e adesso ho il raffreddore =_= Punizione divina?), perché prima era diviso in due, ma entrambi risultavano decisamente troppo corti, così li ho uniti e spero siano coerenti lo stesso; la prima parte, l'incontro con i mercanti, era infatti solo una scenetta per conoscere i nostri due nani preferiti, e il titolo Orzammar sarebbe andato alla cortissima parte dopo, una specie di mini introduzione... Ma non mi piaceva XD
Le varie info sui malati le ho inventate andando a logica, spero non siano troppo campate per aria. Le maiuscole a "re", "principe", "comandante", ecc. ho deciso di toglierle e lasciarle solo a titolo intero (es. "il Principe Bhelen comprò") e nel discorso diretto (es. "Dov'è il Re?", "Principe, cosa fate?"). Lascio maiuscoli i nomi Custode, Prole Oscura e pochi altri. Ho sempre problemi con le maiuscole, ho tremila dubbi XD
Altro? Mi sono divertita tantissimo in Inghilterra! Eravamo un bel gruppo di una trentina di persone e mi sono trovata benissimo! La famiglia che ci ospitava è stata molto gentile e disponibile, avevano un cane adorabile e un figlioletto dodicenne un po' asociale ma vabbeh XD Spero che, se andrete all'estero, possiate divertirvi tanto quanto me ^^

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Capitolo 11
*** - ***


Accadde mentre si dirigevano verso una delle taverne del quartiere popolare, dove il principe sosteneva si potesse assistere alla vera essenza nanica. Un delinquente guizzò al suo fianco e gli rubò il bastone con uno strappo violento, spintonandolo a terra per poi scappare via veloce.

Considerato il valore del regalo e l'identità della persona che glielo aveva donato, quando Elmer alzò il viso dal pavimento, l'espressione di agghiacciata sorpresa divenne presto genuina incazzatura, soprattutto nell'accorgersi che le guardie si erano avvicinate per accertarsi delle sue condizioni senza badare a quel ben di Creatore che un sudicio furfante aveva appena avuto il fegato di fregargli. Erano ciechi? Non vedevano il vuoto sulla sua schiena? Il fottuto costosissimo bastone che era lì cinque secondi fa?!

«Il bastone... è scomparso!»

No, dai, davvero? Almeno uno di loro non era completamente ignorante! Adesso quanto ci avrebbero messo ad inseguire il ladro? Ore?

Immediatamente si rialzò e prese a correre a perdifiato prima che il malvivente uscisse dal suo campo visivo. Nessuno poteva rubargli i suoi costosi e meravigliosi regali. Avrebbe ucciso per quei regali, cazzo!

Incacchiato nero, lo seguì in una zona dimenticata dagli occhi del divino, dove poveracci e facce poco raccomandabili la facevano da padroni, finché non sentì più i richiami di Bhelen e dei suoi. Il ladro invece era ancora a portata d'occhi.

Lo stronzo muoveva quelle tozze gambette come se ne andasse della propria vita (tuttavia questo doveva essere colpa di Elmer che ogni tanto, tra una boccata di ossigeno e l'altra, urlava «Se ti becco sei morto!»). Per rendergli l'esistenza più difficile, gli buttò perfino dei barili tra i piedi, un nug in faccia e dei mendicanti a mo' di percorso a ostacoli. Grazie al Creatore il mago non era troppo veloce e c'era un bel distacco tra loro, così che aveva il tempo necessario per schivare oggetti viventi e non viventi: scavalcò e aggirò i barili, colse al volo la bestiola scalciante, saltò e calpestò i mendicanti (nessun rimorso, tanto per la cronaca). L'animaletto rosa però fu un colpo veramente basso: l'aveva afferrato tra le mani prima che potesse spiaccicarsi sul suo naso, e per pochi interminabili secondi quel muso impazzito... Oh santa Andraste che schifo! Quel muso grugnente se lo sarebbe sognato di notte, con quei baffi lunghi, quel naso umidiccio, quegli occhietti luccicosi privi di qualsivoglia intelligenza, quelle orecchione- Okay basta, basta pensare al fottutissimo nug, l'aveva gettato via e la storia finiva lì.

Tornando alle cose serie, mentalmente stava imprecando a più non posso: avrebbe potuto risparmiare tempo e fiato con la magia e invece non poteva usarla a piacimento poiché non era una passeggiata eseguire incantesimi in piena corsa. L'unica nota positiva era che nonostante non avesse il fisico per tenergli testa, e i piedi non fossero affatto felici, ad ogni angolo la schiena incriminata era lì. Si complimentò per la propria prestanza ma non era un atleta e la furia che gli faceva da carburante stava cedendo alla fatica, perciò, a malincuore, decise che ne aveva abbastanza. In quanto all'amato regalo, beh, al mercato ce n'erano altri e Bhelen sembrava il tipo che per farsi perdonare era disposto a spendere qualsiasi cifra. Di conseguenza, anziché svoltare dove aveva svoltato il nano, mise a tacere l'orgoglio, rallentò e si fermò col fiatone piegandosi con le mani sulle ginocchia e il cuore che batteva a mille. Si sedette a terra, sfinito, la schiena poggiata al muro di un'abitazione fatiscente per un tempo indefinito.

“Inspira, espira, inspira, espira.” si disse eseguendo le azioni che avrebbero impedito al centro motore del suo apparato circolatorio di esplodere.

Come caspita facevano i protagonisti dei libri a correre a destra e a manca in continuazione? Era umanamente impossibile!

Aveva quasi ripreso un ritmo cardiaco regolare quando il furfante tornò indietro. Elmer si azzittì all'istante, osservando sbigottito il suo ladro che... veniva a cercarlo?

“Che diamine sta facendo?”

Controllava di non essere più seguito? Non ne aveva idea, quello che contava era che non si era ancora accorto della posizione di Elmer che, fregandosene dell'avvertimento di Duncan che comunque non era presente ad assistere all'uso di magia non autorizzato, mosse le sue mani e intonò una fattura a fior di labbra per metterlo a nanna, accertandosi di usare una dose maggiore di mana rispetto al normale poiché aveva letto dell'innata resistenza alla magia e al lyrium del popolo della Pietra. Il delinquente sbatté ripetutamente le palpebre afflosciandosi al suolo. Russava in modo imbarazzante (questa precisazione non aveva alcuno scopo vendicativo).

Sogghignando maligno per la diabolica riuscita del suo intento, riprese possesso del suo bastone, tastandolo per tutta la lunghezza in cerca di graffi e imperfezioni, poi, soddisfatto, perquisì il nano permettendosi di prendere quelle poche monete che possedeva (il ladro rapinato, bello scherzo) e un coltello che allacciò alla cintura come souvenir di quella imprevedibile e fortunata avventura. Se qualcuno glielo avesse chiesto, aveva affrontato una banda di malviventi armati fino ai denti che se l'erano fatta sotto di fronte al suo potere. Duncan non avrebbe potuto lamentarsi visto che si era trattato di legittima difesa e non aveva ucciso nessuno, no?

Tuttavia il suo gongolare svanì per lasciar momentaneamente posto allo smarrimento quando si guardò attorno: era in un vicolo deserto e scarsamente illuminato; ombre, sporcizia e cattivo odore non sembravano aver voglia di comunicare. Dov'era finito? Preso dall'adrenalina, non aveva fatto caso al percorso e non si era preoccupato di essersi lasciato alle spalle principe e compagnia.

«Oh, ma fatemi il piacere!» sbuffò scocciato oltremisura.

No. Assolutamente no. Rifiutava categoricamente di perdersi in un postaccio del genere! Che razza di figura ci avrebbe fatto davanti a Duncan e agli Aeducan? Col cavolo che lasciava fare il lavoro a ipotetiche squadre di soccorso, anche perché le guardie di Bhelen erano così sveglie da perdersi dietro a lui. Di mandare un lampo di segnalazione non se ne parlava, lo teneva come ultima risorsa se proprio era disperato. Testardo, si disse che Orzammar non si estendeva all'infinito e che un tipo intelligente quale lui era non poteva gettare la spugna alla prima difficoltà. Che diamine, non aveva mica corso per centinaia di chilometri.

Voltò la testa di qua e di là; se non sbagliava era arrivato da quella parte, ricordava lontanamente di aver calpestato un poveraccio dalla gamba amputata due case indietro. Mentre muoveva i primi passi lungo la via, una bottiglia rotolò all'imbocco della stradina, seguita da una nana. Nonostante l'originale tempestività, non lo considerò un segno del Creatore.

«No, no!» gracchiò la donna accucciandosi nella polvere per poi avvicinare la bottiglia alla bocca.

Ne uscirono poche gocce. Sconvolta, vi guardò dentro con un occhio spalancato per osservare l'evidenza.

«NO!» urlò scagliandola contro un muro con tale violenza da mandarla in frantumi. «Eri piena! Stupida bottiglia!»

Gli occhi viola la fissarono indecisi: non era così presuntuoso da negare di aver bisogno di direzioni, ma quanto poteva essere affidabile una donna in stato di ebbrezza? Purtroppo non poteva permettersi di fare il sofisticato; almeno, se quella disperata tentava di aggredirlo, non sarebbe stato difficile difendersi.

«Ehi.» chiamò avvicinandosi.

«AH!» strillò quella. «Per la Pietra, da quale utero marcio esci fuori tu?!»

La misurò un tantino offeso per quell'uscita ingiustificata prima di considerare che forse non aveva mai visto un uomo di superficie, come la maggioranza della popolazione nanica che non viveva di sopra.

«Non sono uno scherzo della natura, sono un umano, vengo dalla superficie.»

Le sue parole vennero accolte con vari battiti di ciglia confusi. E che cazzo.

«Ho bisogno di indicazioni.»

La donna si rialzò traballante e compì dei passi in retromarcia; aveva tutta l'aria di volersela squagliare.

«Posso darti dei soldi, per un'altra bottiglia.» disse a corto di idee mostrando le monete prese al ladro.

A quella proposta un luccichio si accese negli occhi della nana che si fermò e scrutò avidamente la sua mano. Il suo sguardo si fece più acuto di fronte alla prospettiva di una ricompensa e il fatto che fosse un gigante a offrirla non le sembrò più tanto importante.

«Certo, certo.» bisbigliò allungando la mano sporca verso le monete, ipnotizzata.

All'ultimo momento Elmer richiuse il palmo.

«Se vuoi il denaro, devi farmi da guida.» dettò, temendo che una volta presi i soldi la tizia se la sarebbe data a gambe levate.

La nana si risvegliò dal suo intontimento e lo squadrò guardinga.

«Vuoi la bottiglia o no? Le bottiglie non saltano fuori da sole, credo tu lo sappia.»

«Schifoso! Prendersi gioco di una donna, povera e-» iniziò lei con un brutto grugno in faccia.

«Niente guida, niente soldi, niente bottiglia, donna. Deciditi, non ho tutta la giornata.» ribatté aspro.

Se quel topo di fogna che voleva farsi passare per donna docile e indifesa credeva di fargli pietà si sbagliava di grosso. Voleva andarsene da lì, aveva il bastone, la faccenda era conclusa. E, rivedendo la sua attuale situazione da una differente angolazione, chi gli assicurava che Duncan non pensasse fosse scappato di proposito? Avrebbe riesaminato il suo reclutamento comunicando a Gregoir la bella notizia? Meglio affrettarsi.

«Ripensandoci sono sicuro che troverò persone molto più disponibili di te: questo posto sembra ne sia pieno.»

Avrebbero fatto la fila, garantito.

«No, no! Lo farò io, lo farò io! Non c'è bisogno di cercare qualcun altro! Dove vuoi andare, ser? Nel Distretto della Polvere puoi trovare tante cose!» blaterò incespicando nelle parole da tanto si sforzava di essere dolce. Bleah.

«Distretto della Polvere? Devo andare alla Taverna del Nug arrostito.»

«Ma la taverna sarà già chiusa per quando arriveremo là, ser.»

«Non puoi semplicemente condurmi nei quartieri popolari?»

«Sarà comunque troppo tardi. Le strade non sono sicure a quest'ora. Preferisco la gola intatta alle monete, non sono ancora così stupida.» aggiunse col suo peculiare savoir-faire.

A quest'ora? Fissò un attimo il cielo di pietra chiedendosi come interpretare l'ora del giorno poi rinunciò e tornò a questioni più urgenti. Non poteva restare in un posto pieno di disperati e tagliagole, avrebbe attirato sicuramente l'attenzione con la sua altezza e il bel bastone; doveva tornare a palazzo, mangiare divinamente, fingere di essere una persona che conta in mezzo a quei nobili di mezza taglia e dormire in un letto comodo e pulito dopo giorni di marcia. Tuttavia la nana non lo avrebbe accontentato. Non si fidava nemmeno a domandarle semplicemente che direzione tenere, come minimo la stronza avrebbe mentito apposta.

«E tu che ci fai qui fuori a quest'ora?» interrogò nel frattempo con un tono altrettanto acido.

«Abito qui vicino, io.» lo rimbeccò lei risentita, e, di fronte al sogghigno che dilagava sulla faccia del mago, cominciò a chiedersi se non fosse meglio ignorare il gigante e filarsela a casa finché ancora poteva, al diavolo il denaro per una volta.

«Qui vicino? Bene. Penso che mi farà piacere passare la notte da te.»

«Cos-?!»

«Sì, lo so, sono un po' alto ma ci starò, non ti preoccupare. Non sono schizzinoso nemmeno per la sistemazione, dammi una sedia e dormirò buono e tranquillo come un golem.»

«Chi l'ha detto che puoi venire a casa mia?!»

«La tua bottiglia.» rispose beato facendo tintinnare le monete nella tasca. «Che potrebbe avere delle sorelle se domattina mi condurrai nel quartiere popolare. Prometto che farò il bravo, se tu farai altrettanto. D'altronde cosa mai potrei volere da una graziosa donna quale siete voi?» la canzonò.

«Tsk. Voi teste piene d'aria della superficie.» borbottò inviperita. «Da questa parte.»

Sorrise radioso, la fortuna si accostava nuovamente a fargli gli occhi dolci. Per Duncan doveva essere ottimista e sperare che la balla della banda di rapinatori potesse giustificare il leggero ritardo. La cosa importante era tornare a rapporto tutto d'un pezzo, no?

Quando si mossero, le ombre del vicolo fecero lo stesso.






Note dell'autore:
Corretto alla veloce perché non ce la facevo più con i sensi di colpa, mi spiace sempre tantissimo farvi aspettare ç_ç
Se mi segnalate errori di grammatica o qualsiasi altra roba ve ne sarò grata, come al solito ^^

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Capitolo 12
*** - ***


«Carina.» commentò asciutto appena entrarono.

Era una casa... spartana, ed era meglio limitarsi a quell'unico aggettivo.

Osservò la nana chiudere l'ingresso ripensando alle ombre moventi intraviste con la coda dell'occhio durante il breve tragitto: non avevano incontrato nessuno (moribondi esclusi) ma era abbastanza certo che fossero stati seguiti, sempre se non si trattava di paranoia. Prestare attenzione a rumori e ombre era routine nella sua precedente dimora, dove spesso regnava un silenzio innaturale e chi era attento scorgeva più di quanto gli conveniva.

Si doveva inoltre puntualizzare che chi aveva il dono della magia poteva avvalersi di un ulteriore mezzo di perlustrazione a parte vista e udito, e da quando soggiornava nel magnifico “fuori” i suoi sensi di mago si erano acuiti. Tutti erano connessi all'Oblio e i maghi, che per natura avevano un particolare legame con esso, se si concentravano adeguatamente riuscivano a individuare presenze non troppo distanti. C'era un'unica complicazione: a Elmer l'abilità non era mai servita granché, tanto si sapeva già che i templari erano appostati ad ogni angolo, quindi, con sua somma frustrazione, non poteva vantare una grande preparazione in materia.

Fu tentato di disporre degli incantesimi di protezione sugli stipiti della porta, per avere la certezza concreta di svegliarsi vivo e vegeto il giorno seguente, tuttavia non voleva mostrare il suo disagio di fronte a lei: era un'alcolizzata, però scommetteva che possedeva ancora quel poco di cervello da sfruttare le debolezze altrui a suo vantaggio. Quando fosse andata a dormire avrebbe messo dei glifi attorno a sé per la notte.

«Fai poco il gradasso. E non aspettarti nulla da mangiare: prenditi quella panca e restaci fino a domani.»

«Come desiderate, mia signora.» sbeffeggiò ricevendo in cambio originali epiteti.

Ah, i nani e il loro colorito linguaggio! Perlomeno i romanzi non sbagliavano su questo leggendario tratto culturale.

«Madre?» chiamò una voce allarmata.

Apparteneva a una giovane nana dai capelli rossicci e gli occhi verdi, vestita bene, truccata, e dalle maniere cortesi, diversamente da sua madre.

«Chi è costui?»

«Un ospite, Rica, non lo vedi?!» sbraitò la padrona di casa, ancora presa dal suo sfogo.

«Buonasera, signorina.» salutò Elmer con aria affascinante e un mezzo inchino. «Ho avuto la sfortuna di perdermi nel Distretto della Polvere e, data la tarda ora, vostra madre è stata così gentile da offrirmi ospitalità.»

Rica non se la bevve nemmeno per un secondo. Doveva conoscere bene sua madre.

«In cambio di denaro.» confessò, e la ragazza annuì.

Ci fu una breve pausa, la madre si era seduta su una sedia al minuscolo tavolino fissando il vuoto (mooolto equilibrata) e la ragazza, Rica, era in piedi, titubante, non sapendo bene come comportarsi con l'estraneo dall'altezza spropositata.

«Avete già mangiato, ser? Non abbiamo molto ma una zuppa-»

«No! Lui paga per la notte, non per mangiare!» si risvegliò d'un colpo la donnaccia.

«Madre non siate egoista...»

«Pagherò un sovrapprezzo per la cena.» offrì il mago per evitare una discussione inutile.

Rica preparò il magro pasto; accese il fuoco del piccolo camino e mise a bollire una pentola colma di una sostanza verdastra in cui galleggiavano... cose. La stanzetta era immersa nella mutezza più totale. La vecchia era concentrata sui misteri dello spazio profondo, Rica girava il mestolo, Elmer se ne stava appollaiato sulla panca a braccia conserte, intento a cercare qualcosa di interessante su cui focalizzare l'attenzione.

Eventualmente la testa andò ai suoi amati racconti: una famiglia non proprio ricca, una madre degenere, una figliastra buona e generosa; se non errava mancavano all'appello due sorellastre cattive, una manciata di topi danzanti, una zucca mutaforma e una maga specializzata in ortaggi. Il pensiero non lo divertì. Era piuttosto arduo abbandonarsi alla fantasia quando ci si ritrovava nella realtà, la curiosità del lettore che ha l'occasione di vedere dall'interno le pagine del libro preferito rischiava infatti di ricadere nel proverbio “la curiosità uccide il gatto”, e il suo attaccamento alla vita era drasticamente accresciuto in quei giorni di libertà.

“Non posso perdermi tra le nuvole, non sono al sicuro nella biblioteca a leggere. Sono fuori, e il fuori non è solo avventure e lieti fini.” rifletté.

Stranamente non ne era spaventato.

Una volta riscaldata la brodaglia e versata in ciotole di legno consumate dall'uso, quando tutti e tre furono a tavola la giovane tentò di avviare un poco di conversazione.

«Come avete fatto a perdervi qui, ser?»

Nessuno aveva chiesto il suo nome, né la ragione che spingeva lui, uomo di superficie, a finire a Orzammar. Ipotizzò fosse pratica comune in una località così amabile (notare l'accento sarcastico), sapere troppo ti accorciava l'aspettativa di vita, letteralmente. A lui andava benissimo, era da stupidi tentare di stringere amicizie qui, soprattutto con quella nana bisbetica.

«Ero curioso di vedere questa zona di Orzammar; malauguratamente la mia guida si è presa i miei soldi e mi ha abbandonato al mio destino.» mentì stando attento a non rivelare altro di sé.

Era una frottola innocua e un'utile frecciatina all'arpia: non sarebbe cascato due volte nello stesso trucco. Sfortunatamente l'interessata non batté ciglio e Elmer non poté godere dell'effetto della sua esemplare stoccata.

«Capisco.»

Rica studiò di sfuggita il bastone appoggiato al muro, un bastone da mago, di quelli venduti dai mercanti, ma non fece commenti. Al mago vennero in mente le parole di Bhelen sul camuffare l'oggetto con della stoffa: con una madre così, cortesia e aspetto presentabile non escludevano per forza l'atteggiamento arraffone che il genitore poteva aver trasmesso.

Si scambiarono stringate osservazioni sulla città e velocemente la cena, già scarsa di suo, finì. Meno male perché sapeva di fegato, e si supponeva fosse una minestra di verdure. Rica accompagnò la madre brontolona a letto e poi tornò da Elmer che si stava mettendo comodo alla bell'e meglio sulla panca.

«Ser... se volete abbiamo un posto di là. È un piccolo giaciglio, come i nostri. Spero non vi offendiate...»

«No, al contrario, mi state risparmiando un mal di schiena.» le sorrise chiedendosi se la furbetta avesse già pianificato la sottrazione dei suoi beni.

La seguì nella seconda metà della casa dove erano presenti tre lettucci, uno occupato dalla vecchiaccia.

«Siete in tre in famiglia?» domandò tanto per riempire l'atmosfera silenziosa mentre la ragazza stendeva una coperta tra virgolette pulita.

«Sì. Mia madre, io e... mio fratello.» rispose lei con una punta di tristezza. «O forse dovrei dire “eravamo” in tre.»

«Oh. Mi dispiace, le mie condoglianze. Siete sicura di volermi lasciare il suo letto?» disse per educazione.

«Sì, non vi preoccupate. È ora che mi rassegni; sono passati sei giorni e non è ancora tornato.»

«È scomparso?» interrogò d'impulso inarcando un sopracciglio.

Disgraziatamente la curiosità di lettore si interrogava sulla sotto-trama, sebbene sicuramente non ci dovesse essere nulla di così eclatante nel scomparire nel Distretto della Polvere. Bastava notare quanti accattoni e pezzenti girassero per le vie; non si sarebbe sorpreso alla notizia di madri che vendevano i figli per poche monete.

«In un certo senso.» sospirò grave, e si rivolse a lui con un sorriso di scuse. «Mi dispiace, ser, non dovrei importunarvi con i miei problemi.»

“Sono veri almeno?”

Aveva letto parecchi romanzi e diari di viaggio in cui i protagonisti se la vedevano con belle fanciulle menzognere. Questa appariva sincera, e questo era di solito l'esatto pensiero dell'eroe, “sembra sincera”.

«Niente affatto. Anche io mi ritrovo in una situazione simile alla vostra. Ho recentemente perso una persona a me cara, il mio fratellino. Eravamo molto uniti. Tuttora non so che cosa ne sia stato di lui. Purtroppo ha compiuto certe... cose. Cose sbagliate.» disse mesto con la testa volta alla parete.

Se la bugiarda voleva giocare a chi instillava più pietà nello spettatore aveva trovato pane per i suoi denti. Non era sicuro ci fosse un premio per i migliori attori nel Thedas ma era quasi certo che avrebbe raggiunto la rosa dei primi tre. Colloquiare in piccole innocenti bugie era un'azione quotidiana per gli inquilini della torre, c'era perfino un “manuale non scritto di conversazione”: insegnava a intortare con stile e prudenza lo sventurato ingenuo che chiacchierava con te. La Chiesa non ammetteva contestazioni aperte, di conseguenza, se eri sveglio, avevi delle ambizioni e non ti accontentavi di passare il resto della tua vita nel ruolo della persona invisibile, imparavi a ottenere ciò che desideravi in altri modi. Ambizioso com'era, se c'era una cosa che aveva imparato al Circolo era che le parole, e il tono, l'espressione e i gesti in cui venivano comunicate, erano importanti. Stava tutto nella bravura dell'utilizzatore; Irving, per esempio, sapeva usare il “manuale” alla perfezione.

«Perdonatemi Rica, non era mia intenzione mettere il dito nella piaga.»

«No, non datevene pensiero; so cosa state provando!» replicò accorata. «Mio fratello... lui... anche lui ha fatto cose sbagliate, ma per il nostro bene. Non è facile per i senzacasta. Se non fosse per lui a quest'ora non saremmo qui.»

«Anche voi dovete aver sacrificato tanto.» commentò il moro guadagnandosi un'occhiata sorpresa. «Perdonate l'indiscrezione, ma credo voi siate una cacciatrice di nobili. Ho sentito qualcosa sull'argomento mentre visitavo la città. È l'unica spiegazione plausibile ai vestiti, al trucco e alla vostra educazione.» aggiunse con comprensione.

“Perché sono bravo e buono, e quindi ti verranno un bel po' di rimorsi se proverai a derubare questa gentile anima.”

«Sì, è vero.» ammise. «Però io ho avuto la fortuna di... Il mio compito consiste nell'attrarre l'interesse delle persone giuste, non... E ho trovato qualcuno. Eravamo così vicini a far parte di una casata, ma poi lui... per colpa di Beraht...» cedette ad un singhiozzo nascondendolo dietro una mano.

Indecisione profonda. A costo di essere prevedibile, beh... sembrava così sincera! E piangere a comando non era mica semplice, lui non c'era mai riuscito. Si avvicinò a lei e si abbassò posandole una mano sulla spalla. C'erano tanti interrogativi a questo mondo e per andare avanti ci si doveva appigliare a delle certezze, corrette o sbagliate che fossero (citazione da Viaggio nell'ignoto, capitolo sette): decise che questa estranea di nome Rica non stava mentendo.

«Oh, perdonatemi voi, ser, vi sto facendo passare una serata ancora più orribile di quella che già siete costretto a subire.»

«Certo che no. Vi capisco. Penso sia meno complicato parlare delle nostre sofferenze con persone estranee, che non ci conoscono e non ci possono giudicare. È normale volersi sfogare.» la consolò (citazione da Lei era lì, e poi non ci fu più, capitolo trenta).

Superata l'iniziale esitazione, i due spesero una buona ora a parlare di lei. Il moro in verità non voleva immischiarsi troppo (almeno così si sforzava di comunicargli quella lontana eco nel lato salubre della sua psiche) ma dopo averla involontariamente spinta alle lacrime il minimo che poteva fare era ascoltarla e permetterle di scaricare lo stress. Si meravigliò perciò della conversazione inaspettatamente interessante dal punto di vista narrativo, con il malvagio nano pappone di nome Beraht, boss del Carta, la malavita nanica che aveva le mani in pasta in omicidi, furti, rapimenti, contrabbando e traffico illegale di lyrium; insomma, poteva darsi che ci fosse uno dei suoi scagnozzi perfino dietro lo scippo fallito del suo bastone!

“Creatore, questa storia sta diventando come un libro della sezione avventura...”

E invece di preoccuparsi si ritrovò ad ascoltare avidamente il racconto, secondo dopo secondo, minuto dopo minuto, sempre più rapito. No, non doveva essere un tipo tanto normale, forse l'esperienza alla torre l'aveva traumatizzato più seriamente di quanto pensasse... Ma chissene! Quanto era figo essere vittime di un genio criminale?! Mica era roba che ti accadeva tutti i giorni!

«Quindi vostro fratello Faren è il senzacasta dell'Arena?» chiese nascondendo a malapena l'emozione.

Era un gossip sentito durante gli acquisti di quel giorno che ancora circolava di bocca in bocca a bassa voce nella casta dei mercanti, che per una volta potevano prendersi gioco della casta dei guerrieri messi in ridicolo niente meno che durante le loro amate Prove. Questo Faren doveva essere uno in gamba.

«Sì.»

«Si diceva fosse nelle prigioni.»

«Questo è quello che la gente pensa, non c'è niente di ufficiale. Se fosse stato davvero preso dalle guardie sarebbe già stato giustiziato. Io so dove si trova, purtroppo. È nelle mani di Beraht.»

«Ne siete certa?»

«Beraht e i suoi uomini sono venuti qui, a darmi la notizia. Non mi hanno toccata soltanto perché il mio patrono mi ha dato un regalo e Beraht ha riconosciuto la mia utilità. In verità il mio patrono... pare voglia prendermi con sé.»

«E Beraht ne beneficerebbe.» dedusse dal visino cupo.

“Una vera carogna, come tutti gli antagonisti che si rispettino.”

«Sì. Non voglio che... Lo so che sono egoista, ma pensare che ne trarrà vantaggio, dopo tutto quello che ha fatto!»

«Siete tutto fuorché egoista, Rica.» le disse deciso.

“È proprio un'eroina perfetta.” approvò.

Non era in una bella situazione. Sperava che il fratello, pieno di risorse, riuscisse a sgattaiolare via dal Carta, per questo stava ritardando la faccenda con il suo nobile abbindolato. Non avrebbe potuto portarlo con sé nella famiglia della casata, non con quello che aveva combinato all'Arena, però voleva chiedere l'aiuto del patrono e far fuggire Faren in superficie, per poi convincerlo a uccidere Beraht sfruttando la sua nobile influenza; in questo modo lei e sua madre avrebbero potuto finalmente condurre una vita tranquilla e il fratello una libera. L'unico intoppo era appunto che né Faren né il suo amico Leske si erano fatti vivi e Rica cominciava a temere il peggio. In cuor suo non riusciva a sollecitare l'esecuzione del suo aguzzino senza avere la certezza che per Faren non ci fosse più speranza. Il dannato nano pareva destinato alla vittoria.

“Non è giusto.” pensò seccato.

La discussione lo aveva lasciato con l'amaro in bocca. Era come una storia raccontata a metà. Si mise una mano nei capelli e prese il laccio di pelle che li riuniva nella solita coda, rigirandoselo tra le dita. Era venuto a conoscenza di tutte queste cose, bene; e adesso?

Era stato bello ascoltarla, Rica gli aveva fatto capire che la vita vera assomigliava in parte ai libri di fantasia, era felice che quello che aveva letto per diletto avesse un effettivo corrispondente nella realtà; non lo faceva sentire ignorante ed estraneo dell'esterno. Le era grato, e ciò significava, nei vaneggiamenti contorti della sua brillante mente, che era in debito, in debito con una completa sconosciuta per una chiacchierata a cuore aperto.

No, non era per niente normale. La normalità si sarebbe facilmente tradotta in pacche sulla schiena, annunci straordinari di dispiacere e separazione di strade appena giunto il mattino. Invece qui non riusciva a non fregarsene. Il motivo di questa sensazione rimaneva un'incognita, percepiva qualcosa alla bocca dello stomaco, qualcosa di pesante che lo rendeva scontento e un po' incazzato nei riguardi della triste storia; un qualcosa che per sparire necessitava azione. Ma cos'avrebbe potuto fare? Davvero, cosa? Scommetteva che l'uno contro tutti funzionava solo nelle favole, la magia non serviva se i tuoi nemici erano abbastanza celeri da colpirti a morte prima che tu finissi di pronunciare un incantesimo, una delle ragioni per cui quelli come lui necessitavano di templari a coprirgli le spalle (disgraziatamente).

E mentre pensava queste e quest'altro, notò che la madre non stava più russando in modo leggero come aveva sentito entrando, né la sua forma si muoveva d'accordo con il respiro profondo del sonno. Lo riconobbe con pochi dubbi, avendo dormito con tante persone in una stessa stanza. Era stesa sul povero giaciglio dando loro le spalle, sveglia e in ascolto. Scaltra per un'ubriacona. Ma non più di lui.

«Beraht viene spesso a trovarvi?»

Gli ingranaggi del suo cervello giravano vorticosamente come il nug che correva forsennatamente sulla simpatica ruota... rotante; tante incomprensibili e ridicole parole per dire che idee malsane erano in fase di elaborazione all'interno del suo splendido cranio.

«In questi ultimi due giorni è passato quattro volte, è stufo di aspettare.» disse sconsolata la ragazza.

«Sapete, Rica, mi dispiace tanto per voi e vostro fratello, ma penso che in fondo Beraht stia solo cercando di cavarsela e guadagnare dal marcio che c'è qui. È un imprenditore.» disse in tono realista.

Prima che Rica, scioccata, potesse rispondere, le mise una mano sulla bocca e le indicò la vecchiaccia per poi segnare col dito un orecchio. Rica si accigliò perplessa, infine spalancò gli occhioni verdi e annuì. Era stata proprio lei, poco fa nella sua biografia vocale, a rivelare che mammina adorata era una fedele leccapiedi del pappone.

«Sì, suppongo di sì, ser.»

«Ammetto di non essere stato del tutto sincero con voi e vostra madre. La verità è che avevo pagato la guida per portarmi da una persona valida che potesse assistermi in... un certo affare. Un affare per conto di un caro amico. Sto parlando di lyrium, un sacco di soldi. Vi prometto un'intera sovrana se mi presenterete questo Beraht. Cercate di capire, Rica, mi spiace per vostro fratello, davvero, ma gli affari sono affari, niente di personale.»

La vecchia ebbe un fremito e il mago sorrise vittorioso.






Note dell'autore:
Personalmente mi sono divertita tanto a stendere questo capitolo, perché Elmer all'inizio finge di fare il carino e alla fine si interessa davvero XD Poi quando ho scritto "i suoi sensi di mago" mi è venuto in mente Spiderman e ho risoooo! Povero Elmer, prima "sono un umano e vengo dalla superficie" stile alieno, e adesso superoe. Eh, sto invecchiando, mi vengono battute sceme senza nemmeno pensarci *scuote la testa, delusa da se stessa*
Tornando a cose più serie (come no), metto subito la curiosità che avevo accennato a Grace, cioè che Sereda, la figlia del re nano, è l'origine nano nobile, mentre Faren, il fratello di Rica, è l'origine nano popolano; come con Neria, origine elfo mago, i nomi sono quelli standard, io ho scelto solo maschio o femmina. Tutto qui u_u
Spero di aver reso bene Rica, io l'ho sempre vista come una persona dolce e sensibile, non so voi, e la madre... beh, desidero semplicemente che crepi ma non si può avere tutta dalla vita, no?

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Capitolo 13
*** - ***


Dopo la geniale farsa si coricarono. Elmer si costrinse a non dormire nel caso la megera si fosse alzata durante la notte; voleva essere preparato per qualsiasi evenienza. Non era facile, la marcia degli ultimi giorni gli aveva messo addosso una stanchezza salutare e sognare ad occhi aperti la regale vasca da bagno della camera offerta dalla casata Aeducan non lo aiutava a rimanere sveglio. Riflettere invece sulle proprie azioni avventate lo teneva fresco di apprensione.

Prima domanda: cosa gli era saltato in mente? Risposta: un'idea del cazzo fomentata da anni di letture fantasiose dove di solito l'eroe combatteva e vinceva contro il cattivo (spesso un ometto dalla testa pelata e il naso adunco la cui malvagità era pari se non superiore alla quantità di capelli mancanti sulla sua zucca).

Seconda domanda: perché? Risposta: sospettava che il suo subconscio volesse dimostrare qualcosa a se stesso, anziché per pietà verso Rica, invischiandolo in un'operazione ad alto rischio dove in teoria avrebbe potuto finalmente sentirsi vivo e non un semplice spettatore.

Eppure, dietro una sana ansia, c'era una grossa porzione di lui che scalpitava in attesa degli eventi. Era sempre stato un tipo ambizioso (c'era davvero bisogno di ripeterlo?), pignolo nel raggiungere gli obiettivi prefissati per poi fissarne altri ancora più lontani. Ora che ci pensava, c'era una fondata possibilità che la brama di potere fosse il suo vero hobby...?

Meravigliato dalle tante scoperte sul proprio io che si potevano compiere stesi su un povero giaciglio nei bassifondi di Orzammar (considerò di comprarsene uno per migliorare la meditazione), quasi non s'accorse della nana che si alzava e si dirigeva con passo felpato nella stanza adiacente. Solo il debole cigolio di vecchi cardini lo riscosse e cominciò a contare fino al ritorno della piccola bottiglia-dipendente. Passati interminabili minuti la donnaccia tornò da lui.

«Ser?» chiamò, e per non destare sospetti il mago finse di dormire. «Svegliati, dannato gambe lunghe!» borbottò irritata dandogli un calcione.

Gli disse che c'erano persone che desideravano vederlo; chiese chi fossero e di rimando lei tenne la bocca cucita, affermando l'avrebbe scoperto se ci andava a parlare. Tsk, ti pareva. Recuperò il suo bastone e accanto al tavolo dove avevano cenato un nano dalla faccia torva lo aspettava. Gli disse di consegnare le armi (bastone e coltello-souvenir) e indossare una benda sugli occhi. Fu tentato di usare la magia, stenderlo, torturarlo e costringerlo a sputare le informazioni che gli occorrevano (mai fatto in vita sua però in Voglia di oro c'erano descrizioni illuminanti a riguardo), tuttavia mise un freno alla paur- ehm, al leggerissimo nervosismo di cui era vittima il suo animo e lo accontentò senza fare storie. Assomigliava tanto a Ballo sul mare, la parte in cui il protagonista veniva ammanettato e bendato per essere condotto là dove la sua bella era tenuta prigioniera, perciò sapeva di dover prestare attenzione al numero di passi, alle svolte, allo scorrere del tempo, ai rumori e agli odori, per quanto possibile.

All'esterno sentì rumore di passi e i suoi sensi di mago gli confermarono che c'erano altri cinque nani; buona cosa non essersi fatto prendere dal panico di prestazione recitativa poco fa. Fu spinto senza eccessiva durezza per un lungo tratto, girando a destra, a sinistra, due volte a destra e una a sinistra, si abbassarono per attraversare una porticina, infine si accorse di essere in un locale chiuso, abitato e illuminato. Camminarono in questo ambiente per una quindicina di minuti, fin quando, chiusa l'ennesima entrata alle loro spalle, il cicaleccio cessò e scese il silenzio. Fu costretto a prendere posto su una sedia incredibilmente comoda e la benda venne tolta.

«Benvenuto, ser mago.»

Sbatté le palpebre finché la vista fu di nuovo funzionante: era seduto ad un tavolo imbandito di frutta, vino e altre prelibatezze, in uno stanzone ampio e moderatamente curato; ai suoi fianchi sostavano due brutti ceffi mentre davanti a sé, dall'altra parte della tavola, era accomodato un nano che lo studiava compiaciuto.

«Ser Beraht, suppongo.» replicò affabile anche se della tensione trapelò.

“Irving, guarda in che casino si è ficcato il migliore dei tuoi allievi...”

«Non c'è bisogno di essere nervosi, ser... qual è il vostro nome?»

«Elmer.» rispose rinunciando immediatamente alla menzogna.

Probabilmente lo sapeva già. Oppure non lo sapeva e questa convinzione che i malvagi fossero in qualche modo onniscienti era una balla colossale. Stupidi libri.

«Ser Elmer.» ripeté l'altro sorseggiando liquido rossastro da una coppa dorata. «Ho sentito varie storie su di voi; ma prego, servitevi, mi è parso di capire che questa sera non abbiate mangiato come si conviene ad un Custode Grigio.»

“Almeno non ho toppato sui cattivi onniscienti.”

«Recluta, non ancora Custode.» specificò umilmente. «Grazie, al momento sto bene così.»

«Prudente, mi piace.» commentò con approvazione. «Mi riferiscono che cercate una persona speciale per un incarico altrettanto speciale.» continuò attingendo dalla falsa conversazione con Rica. «Ebbene, qui possiamo parlare tranquillamente, siete completamente al sicuro; le mie guardie non spiccicheranno parola di quanto verrà detto tra queste quattro mura, ne va della loro vita. Mi spiace soltanto per le rudi maniere in cui vi ho fatto condurre qui, ma sapete com'è.»

«La prudenza non è mai troppa, me ne rendo perfettamente conto. Io stesso ero preoccupato le guardie reali e il mio compagno di viaggio mi avrebbero trovato prima che potessi fare alcunché.» disse seguendo la storiella architettata sul povero giaciglio prima di essere sequestrato.

«Non temete, le ricerche sono state interrotte: nel Distretto della Polvere non si cava un ragno dal buco, specie se sono io a volerlo. Ora torniamo a noi. Ditemi, cosa vi affligge? Ho sentito un uccellino cantare di lyrium, e di quello io ne ho in abbondanza.» lo rassicurò.

«Oh, bene.» rispose Elmer fingendo sollievo. «Ho un caro amico, molto lontano da qui, che ne ha un bisogno disperato, per... una faccenda privata. Spero non vi offendiate, non posso parlarne, nemmeno io ne so molto.» disse a disagio.

«Comprensibilissimo. Quanto è lontano di preciso questo vostro amico?»

«Gwaren.»

«Ah.» replicò il trafficante preso in contropiede.

«È troppo lontano?» domandò in tono preoccupato.

«No, no, assolutamente. Andate pure avanti.»

Era chiaro che stava macchinando i mille giri per riuscire a trasportare del lyrium fin là, vuoi per la distanza, vuoi per il problema Prole Oscura di quel periodo, quasi si potevano veder lievitare i costi di trasporto dalla sua testa. Gli parlò del resto che aveva inventato di sana pianta: un paesino realmente esistente vicino alla città portuale dove il suo amico immaginario voleva la merce fosse consegnata, come e quando contattarlo, quanto era disposto a pagare, eccetera eccetera; come anticipo avrebbe consegnato il suo bastone nuovo di zecca che da solo valeva quattro sovrane e mezzo. Soprattutto precisò che appena fuori Orzammar avrebbe inviato un messaggio concordato al suo amico paranoico per fargli sapere che tutto era a posto, assicurandogli un ruolo ancora utile ai fini della negoziazione (un'assicurazione sulla vita in mezzo ad un covo di tagliagole).

«Dirò che me l'hanno effettivamente rubato.» disse riferito al bastone.

«Ottima idea. Quest'uomo è molto fortunato ad avere voi come amico!»

«Beh, in effetti mi ha promesso qualcosa in cambio per la mia piccola parte di lavoro.»

«Certamente, ma l'amicizia è fatta di piccole cose, sono certo che queste transazioni non intaccheranno il vostro rapporto.»

Sembrava molto più convinto ora che gli aveva rivelato questo dettaglio concreto.

«Allora devo solo consegnarvi il bastone e... mi condurrete di nuovo a casa di quelle due donne?»

«Oh no, resterete qui con noi. Anche perché c'è una piccola questione di cui vorrei parlarvi, e di cui forse siete già a conoscenza.»

«Credo di capire a cosa vi riferite.»

In verità non ne aveva la più pallida idea, aveva soltanto pregato che il Creatore gliela mandasse buona e recitato la battuta saccente del pirata Edgardo.

«Intelligenza, dote pericolosa.»

«Così dicono.» disse senza perdere un colpo.

«Quindi, visto che avete aspettato la nostra esca e l'avete messa a nanna, sapete che volevamo catturarvi.»

Ohhhhh, frena, frena, frena. Cosa?! Scartabellò alla svelta in cerca di una risposta adeguata, occupando la sua espressione facciale con un mezzo sorriso e le mani con dei chicchi d'uva. Esclamare un sentito “non ci posso credereee!” non sarebbe stata una mossa fruttuosa ai fini preposti.

«Non ero certo che foste voi la persona a muovere i fili, e il favore che devo al mio amico aveva la precedenza, così ho corso il rischio. Devo però essere sincero, non capisco cosa vogliate da me.»

«Il Carta da voi non vuole nulla. Siamo stati assunti da una persona per rapirvi e tenervi nascosto fino al giorno successivo; poi sareste stato rilasciato all'orario e al luogo convenuto.»

«A quale scopo?» chiese confuso.

«Salvare un Custode Grigio non è cosa di tutti i giorni, non so se mi spiego.»

Spalancò gli occhi: qualcuno voleva sfruttare il rapimento per fare bella figura, impressionare gli altri nani e acquisire notorietà. Qui la politica e l'opinione pubblica avevano valore capitale, non c'era da scherzarci sopra. Chi era questa persona? Uno dei nobili minori?

«Preferirei non rivelarvi l'identità del mio cliente, ci tengo alla professionalità.» disse il malvivente con un sogghigno che di professionale aveva ben poco. «Lo capirete da solo, si tratta del nano che se ne prenderà il merito, sempre che voi, ser, starete al gioco.»

«Non posso salvarmi da solo.» arrivò alla conclusione.

Adesso sì che doveva giocare bene le sue carte. Doveva dimostrarsi bendisposto ma non troppo, d'accordo e di parola sul tenere la ciabatta chiusa ma non troppo generoso da non volerci ricavare nulla.

«E io cosa ci guadagno dal farmi salvare?»

Beraht si fece una ghignata battendo una mano sul tavolo.

«Mi piacete, mago, mi piacete! Avete senso degli affari, non tutti ce l'hanno. Scommetto che avete già qualcosa in mente, o sbaglio?»

«Beh, quel bastone è davvero bello.»

Di nuovo una risata sguaiata, il nano si stava divertendo. Acconsentì alla sua richiesta e gli riconsegnò il bastone, convincendolo a bere del vino con lui. La coppia di brutti ceffi venne allontanata e i due iniziarono una conversazione per Elmer alquanto singolare, sul commercio e sul rispetto nel mondo del business di oggi; fortunatamente il moro riuscì a condurla sui piani futuri di Beraht mettendo in mezzo Rica, la principale ragione per cui era lì.

«Oh sì, Rica Brosca. Non ho ancora capito chi è l'idiota che ha accalappiato ma so per certo che si trova nel palazzo reale. La casata Aeducan è grande, deve essere uno dei cugini dei principi; un pesce non grosso ma accettabile.»

«Ho sentito che suo fratello ha messo in ridicolo l'intera casta dei guerrieri all'Arena delle Prove, è vero?»

«Ahahahahah! Ogni singola parola! E mi farebbe ancora più ridere se quel figlio di nug non mi avesse fatto perdere così tanto denaro. Doveva soltanto far vincere quell'idiota di Everd- Bah, non fatemi parlare altrimenti mi alzo e vado a staccargli la testa.» disse arrabbiato mandando giù un intero bicchiere.

«Volete dire che è ancora vivo? Dopo tutti i problemi che vi ha causato?» chiese stupito.

Faren era vivo! C'era una piccola chance che Rica lo rivedesse sano e salvo, la sua sceneggiata era servita a qualcosa.

«Sì, per quando dovrò ricordare alla troietta a chi deve la sua fortuna. Ovviamente gli sto offrendo una sistemazione di lusso, a lui e al suo amico Leske: un soggiorno a tempo indeterminato nelle celle più accoglienti della mia magione.»

Non aveva idea di dove fossero le celle, però, se non poteva andare lui da Faren, avrebbe provato a portare Faren da lui, con lo stratagemma di Lilibeth (finalmente leggere quella serie insulsa dava i suoi frutti).

«Nh.» fece pensieroso. «Devo confessarvi, Beraht, che sono molto interessato in questi duelli nanici. Il sangue, la sabbia, la gloria. Soltanto domani riuscirò ad assistere alle famose Prove per la prima e forse ultima volta, e adesso che ne abbiamo parlato, sarei molto curioso di vedere di persona la feccia che ha messo in ginocchio il fior fiore della nobiltà guerriera. Sempre che sia sicuro farlo uscire dalla cella... Anzi, lasciamo stare, non voglio disturbarvi con i miei capricci.»

«Cosa volete che sia! Siete mio ospite. Jarvia! Fallo portare qui!» abbaiò ad una nana poco lontana. «Anche Leske.»

Bevvero altro vino mentre Beraht gli raccontava di alcuni vecchi incarichi di Faren, quel dannato nano taciturno che non sapeva stare al suo posto se non sotto minaccia. Fratello e sorella erano più simili di quanto credessero, commentava il pappone, e con la madre al suo soldo erano dei perfetti burattini nelle sue grassocce mani.

Quando due nani fecero il loro ingresso con i polsi incatenati dietro la schiena, Beraht si alzò raggiante senza nemmeno traballare per la quantità di alcol ingerito, e andò incontro a quello dalla testa calva e la barba corta.

«Avvicinatevi, Elmer, ammirate da vicino la belva addomesticata.» disse afferrando la barba del nano per forzarlo a sporgersi in avanti. «Guardate i suoi occhi.» Il mago guardò gli occhi marroni, calmi, affatto spaventati. «Questi occhi non cambiano mai. Lui sta zitto ma i suoi occhi mi mandano a fanculo ogni dannata volta.»

Lasciò la presa sulla barba e gli mollò un ceffone; Faren non fece una piega.

«Quindi questo è il famoso senzacasta che ha sconfitto i nobili guerrieri?» domandò passeggiando attorno al prigioniero.

Quelle manette dovevano sparire.

«Non fatevi ingannare dalle apparenze!» esclamò Beraht tornando al tavolo e prendendo una nuova bottiglia per riempire il boccale. «Usiamo Leske come ostaggio se mai gli saltasse in testa qualcosa di stupido.» spiegò indicando il secondo nano a cui tenevano un pugnale alla gola. «Non è tipo da agitarsi ma con in mano una spada o un martello... morte a chi gli si para davanti. Fedeltà a parte, era uno dei miei migliori scagnozzi prima di commettere la cazzata. Un peccato doverlo gettare via così.» aggiunse bevendo avidamente.

Bene, ora aveva Faren a pochi passi e un'idea chiara di come le cose dovessero svolgersi. Trattenne un sorrisetto e accettò il sidro che Beraht gli versò, sorseggiandolo piano. Buttarsi, doveva buttarsi e pregare che tutti recitassero il ruolo che lui desiderava.

«Ah.» sospirò incontentabile. «Quanto mi sarebbe piaciuto vederlo in azione, e le facce dei nobili sgomente di fronte allo scandalo. Voi c'eravate, Beraht? Avete assistito alle sue prodezze?»

«No, sfortunatamente no, ed è meglio così; quando ho appreso la notizia ho torto il collo al primo che mi è capitato a tiro, non oso immaginare cosa avrei fatto se fossi stato seduto sugli spalti.»

«Oh, riesco a vedervi, Beraht, voi che come una furia omicida date il miglior spettacolo che l'Arena abbia mai visto!» disse con finta ammirazione. «Scommetto che questa feccia non avrebbe alcuna possibilità contro di voi.»

«Parole degne di essere ascoltate dagli Antenati.» asserì soddisfatto servendosi altro liquido ambrato.

No, non pareva interessato a darne una dimostrazione pratica, maledizione.

«E contro i vostri uomini?»

«Mh?»

«Intendo, credete ci sia qualcuno in grado di prendere il posto del vostro animaletto?»

Ci fu un attimo di silenzio, Beraht roteò con pigrizia il bicchiere dorato, pensoso; Elmer tenne il suo sguardo curioso sul capo del Carta, in paziente attesa di una risposta. Il genio criminale emise un verso meditabondo e passeggiò lentamente avanti e indietro borbottando nomi, in seguito, presa una decisione, si rivolse alla donna, Jarvia, mandandola a prendere un certo Nuni. Disse che in cinque anni non lo aveva mai deluso, che era sì un po' pieno di sé ma che sapeva usare i coltelli come nessun altro.

«Così, dato che questa è la vostra unica opportunità di vedere all'opera il nostro campione, ho deciso di tenere nella mia umile dimora un duello degno delle Prove!»

«Creatore, Beraht! Non dovevate disturbarvi tanto per me!» esclamò con evidente gioia, incredulo che il raggiro si fosse svolto autonomamente.

«Sciocchezze, sciocchezze! Venite a sedervi, Elmer, venite a godervi lo spettacolo.»






Note dell'autore:
E fu così che Elmer si dette al crimine, fine della storia XD
Spero vi sia piaciuto questo capitoletto dopo tanto tempo che non aggiornavo; l'uni mi prende e sto lavorando sui prossimi capitoli il più velocemente che posso ma ho la mania di ricontrollarli bene, perciò mi ci vuole un bel po'. Insomma, perdonate le attese lunghe ç_ç
Rispondo velocemente qui alle recensioni della ragioniera Ary, se no ci metto una vita XD
La tua Giacomina ringrazia ed è contenta che ti siano piaciuti i capitoli nonostante siano ambientati nella tua odiata Orzammar. Giacomina informa che Elmer non avrà né adesso né in futuro alcun rapporto sessuale con tale "mamma di Rica e Faren", e che l'odio per i mezzo roditori senza peli che tu definisci "pucciosissimi" non scomparirà durante il viaggio per debellare il Flagello: nemmeno un'esperienza di vita come quella dell'eroe gli farà cambiare idea su queste creaturine che, secondo la sua modestissima opinione, il Creatore poteva anche scordarsi di creare (si sa che gli dei sono smemorati a volte, no? u_u). Inoltre Giacomina riferisce che per Sandal ha fatto ricerche su wikipedia dopo aver letto la parola "dotto" nel dialogo italiano tra Custode e Bodhan; le sembrava un termine strano messo lì, e su wikipedia ha trovato la spiegazione del disturbo mentale. Ultimo ma non ultimo, Giacomina utilizzò "uccide" e non "uccise" poiché il detto è messo tra virgolette, e non sa se è effettivamente corretto ma le pareva sensato (XD).
Giacomina vi saluta e vi abbraccia tutti, alla prossima! ^^

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Capitolo 14
*** - ***


In pochi spostamenti la grande sala fu sgomberata per far largo ai combattenti, una decina di canaglie venne posizionata in cerchio attorno allo spazio e le due entrate, quella dalla quale era sicuro fosse arrivato e quella da dove provenivano i prigionieri, vennero sbarrate. Faren fu liberato e un martello gettato ai suoi piedi. Il suo avversario, Numi, si fece avanti estraendo i lunghi coltelli.

Al via di Beraht lo scontro ebbe inizio.

Numi si scagliò così velocemente contro il pelato che a Elmer sfuggirono i primi colpi di lame, schivati e parati da Faren. I due contendenti si distanziarono un attimo, poi Numi ripassò all'offensiva. Non c'era timore nei suoi occhi, soltanto pura eccitazione e quella che il mago interpretò come sete di sangue; il fratello di Rica invece non traeva piacere dallo scontro, teneva lo sguardo attento e indecifrabile.

«Ahahahah! Guardate, Elmer!»

«Vedo, Beraht, vedo.» disse ipnotizzato dalla danza di morte.

Era il primo vero combattimento a cui assisteva e non riusciva a staccare gli occhi dalla scena. Non era come nei libri, le parole scritte la rendevano robetta facile e anche quando c'era dovizia di particolari con sangue, ferite e via dicendo non gli avevano mai dato questa sensazione di... di trepidazione. Niente era stabilito, tutto poteva accadere, ogni colpo poteva essere davvero l'ultimo. Il mago tremò dall'emozione osservando il filo sottile delle lame incrociate passare a meno di un centimetro dalla gola di Faren piegatosi all'indietro appena in tempo, e quasi il cuore gli schizzò via dal petto quando Berath, nella sua esternazione di gioia, gli mollò una sonora manata sulla schiena.

Per lo spavento si riprese e vide. Sì, vedeva bene che bisognava continuare, il suo personale spettacolo non finiva lì. Si riappropriò delle sue facoltà mentali e si diede una calmata.

“Cervello, usa il cervello.”

Faren se la stava cavando bene per uno a cui era stato regalato un soggiorno tremendo di sei giorni in anguste celle, tuttavia non si illudeva, tra non molto avrebbe commesso un passo falso per la stanchezza e Berath, per dimenticanza o di proposito, non aveva specificato se il prigioniero era da tenere in vita oppure no.

Con discrezione si guardò attorno: i presenti erano concentrati sul duello mortale, solo la donna chiamata Jarvia non si lasciava andare a schiamazzi e volgarità, se ne stava là con le braccia conserte e due o tre volte gli parve che controllasse nella sua direzione, come una guardia del corpo.

“Ecco, questo potrebbe essere un problema.”

«Beraht, perché la vostra subordinata è così seria?» si informò.

«Eh? Oh, Jarvia. Quel dolce bocciolo è il mio braccio destro. Sì, avete capito bene.» aggiunse di fronte alla faccia stupita del moro, per poi ridere di gusto quando Elmer (preso da un lampo di genio o spronato da una fantomatica botta in testa subita in tenera età) chiese se ci fosse qualche speranza di trascorrere il resto della notte con lei. «Potete provarci, ma non rimaneteci male se vi rispedirà qui con la coda tra le gambe. Ama gli uomini maturi.»

“Ride bene chi ride ultimo.” sfidò tra sé.

Il mago si alzò con due bicchieri e una bottiglia di vino dirigendosi verso la nana. L'occhiata di Beraht era stata eloquente, non lo considerava un uomo, bensì un ragazzino divertente (i complimenti precedenti assumevano una luce derisoria, ora). Come aveva sospettato, i pochi incantatori che giungevano nella città del piccolo popolo erano probabilmente maghi anziani che avevano ricevuto il permesso della Chiesa di lasciare i Circoli, barbuti e ossuti, con un'aria di saggezza rugosa sui visi sciupati. Lui al contrario era bello, giovane e a stento passabile di minaccia; infatti l'unica persona che gli prestava attenzione in quel senso era quella abituata a tenere d'occhio chiunque stesse vicino al suo capo.

«Posso offrirvi da bere, mia signora?» domandò nel suo tono più galante mostrando la squisita offerta.

Jarvia lo squadrò con un sorrisetto e gli disse di sparire, ferendo parzialmente il suo ego. Provò a insistere ma non ci fu verso. Perlomeno aveva raggiunto il suo scopo, avvicinarsi all'obiettivo. Ora doveva solo prendere il coraggio a due mani e metterla fuori gioco. Questa era la parte più dura: agire con disinvoltura affinché non si accorgessero delle sue azioni. Ci aveva ragionato su e aveva optato per l'innocuo incantesimo del sonno; al resto non aveva ancora pensato. Agitato, iniziò a sudare.

“Sei di fronte ad un caso umano,” si disse ironico per distendere i nervi, “decidi di aiutare sapendo di andare incontro ad un gruppo di tagliagole senza un briciolo di pietà, arrivi ad un passo dalla conclusione della missione e ti ritrovi davanti un grosso e disgustoso ostacolo tipo... i broccoli. L'eroe odia i broccoli con una certa passione. Per procedere e impossessarti della coppa della vittoria devi tirare fuori le palle e mangiare i broccoli.”

Sì, come sintesi calzava a pennello. Cazzo, odiava davvero i broccoli. Nessuno gli credeva quando diceva di essere allergico; difatti non era allergico, e tutti lo sapevano... Perché stava ancora pensando ai broccoli?

Ci fu un boato esultante dalla folla: Faren era stato colpito ad un braccio che ora sanguinava; niente di grave ma dubitava sarebbe stato l'ultimo. L'espressione del nano però rimase concentrata, sapeva che dopo questo duello non ci sarebbe stata libertà eppure non mollava.

Influenzato da quella determinazione, ingollò un sorso d'alcol, abbandonò coppe e vino su un ripiano, e, fanculo all'universo, convogliò il mana nelle mani borbottando al contempo il sortilegio; fingendo un approcciò romantico, ne posò una sulla spalla di Jarvia la quale lentamente si afflosciò contro di lui. La accolse tra le sue braccia nel modo più naturale possibile e lanciò un'occhiata a Beraht e agli altri; soltanto uno sgherro lo stava adocchiando curiosamente e in questo caso optò per un sorrisetto e un occhiolino.

“Sì, amico, ho fatto centro.”

Il furfante si fece una risata che andò persa nel baccano generale e tornò allo spettacolo.

Ce l'aveva fatta. Wow.

Si sentì su di giri ma subito mise a tacere quel gasarsi troppo anticipato sulla tabella di marcia e cominciò a stendere una strategia decente. Contò quindici persone, prigionieri e addormentata esclusi, e due punti d'accesso bloccati da quel lato. La sua esperienza si basava su subdoli ragni giganti perciò era più esperto nel difendersi da agguati piuttosto che tenderli. Ma non poteva essere così difficile, dai... Cosa avrebbe fatto un aracnide extra large? Prima di tutto zero rumore, secondo avvicinarsi alla preda usando le zampette pelose per camminare sul soffitto, terzo calata liscia, e quarto balzo alle spalle con morso o ragnatela paralizzante, oppure acido.

“Ehm... sì, certo. Tradotto in termini umani cosa risulta?”

Qualcosa per immobilizzare la preda così da potersi sbarazzare di più nemici contemporaneamente. Scartabellò nella lista di incantesimi, tutti belli e carini, soprattutto le varie tempeste elementali, e decise saggiamente di usare ancora il sonno. Ora c'era il dilemma di dove indirizzarlo: i criminali erano posizionati in cerchio, non in una massa compatta, dunque, anche volendo, non li avrebbe mai presi tutti in un colpo solo; per non parlare poi della guardia che teneva in ostaggio Leske in fondo alla sala. Urgeva una soluzione ordinata. E, dopo qualche secondo di ragionamento e rilettura mentale di vari romanzi, forse gli era venuta un'idea valida, ma doveva essere rapido.

Espanse il suo potere e inviò onde di sonno magico avanti a sé raggiungendo quattro scagnozzi. Si afflosciarono al suolo e fu impossibile non notarli. Velocemente sfilò un coltello dall'armamentario di Jarvia impregnandolo di forza telecinetica per una mira pressoché perfetta e potenza di lancio; lasciò andare la donna ormai inutile e lo lanciò in fronte al carceriere di Leske che cadde a terra morto (che figata!). Risuonò un urlo d'allarme.

«TU!»

Beraht si alzò furibondo dal suo morbido trono distruggendo la coppa di vino nella sua manona grassoccia. Porca trota. Immediatamente si protesse con uno scudo incantato e impugnò il bastone. Il volto paonazzo del pappone non suggeriva nulla di buono e l'ascia e lo scudo di cui si armò lo impaurirono non poco. Sentì la mancanza dei ragni giganti. Non sprecò attimi preziosi a vedere come se la cavavano i due prigionieri, considerò positivamente i suoni di metallo su metallo, grugniti e urla sofferenti, e focalizzò l'attenzione sul boss del Carta. Gli sferrò una scia acuminata di ghiaccio ma il nano schivò di lato correndo verso di lui con furia omicida. Elmer castò su se stesso un'armatura di roccia e usò la forza telecinetica per attirare a sé Beraht che, sorpreso, si ritrovò il faccione spiaccicato sullo scudo semitrasparente. Il mago castò un cono di freddo alla massima potenza che ricoprì di cristalli bianchi l'avversario; purtroppo, con sua somma incredulità, il nano non si tramutò in statua di ghiaccio come aveva visto fare ai grossi ragni. Quanto diamine era resistente?! Lo sbalzò via con un pugno di pietra che fece ribaltare sedie e tavoli contro cui il nano cozzò, e solo allora si concesse un'occhiata ai dintorni. Una fortuna sfacciata poiché poté rinforzare lo scudo in anticipo di una spadata. Considerando meno di zero il tappo proprietario dell'arma, gli appioppò uno sciame di insetti letali che lo costrinsero ad una celere ritirata ululante. Il nano finì addosso ad un altro nano ed entrambi si dimenarono a terra tormentati dai parassiti.

Il resto della sala era alquanto caotico: Numi giaceva con la testa mozzata in una pozza di sangue sul pavimento in compagnia di altri cadaveri; Leske combatteva con i due lungi pugnali di Numi mentre Faren teneva saldo il martello iniziale, insieme stavano decimando i rimanenti sette nani. Sorrise ma il sorriso scomparve nel vedere uno degli avversari staccarsi dal gruppo e correre alla porta; non poteva permettere che chiamasse rinforzi. Castò una pozzanghera oleosa sotto i suoi piedi costringendolo ad un balletto scivoloso con finale culo a terra e spedì una palla di fuoco per completare l'opera.

“Sfido chiunque ad avvicinarsi a quella porta.” pensò soddisfatto osservando la figura che bruciava viva. “I ragni sono più fastidiosi quando urlano.” notò.

Non avrebbe dovuto distrarsi.

Sollevò il bastone appena in tempo per parare l'ascia di Beraht che con un grido tonante superò le difese della barriera magica e lo spedì contro il muro, i muscoli delle braccia tremanti per lo sforzo. Si chiese perché mai a lui fosse capitato il più stronzo. Inutile pensarci: fece esplodere una grande quantità di energia telecinetica dal suo corpo che per la seconda volta sbalzò via l'avversario, in seguito attivò un risucchio di morte che gli permise di trarre mana dai caduti. Con rinnovata efficacia gli scagliò un fulmine, che venne evitato rotolando lateralmente.

«E che cazzo.» si lamentò; quanto erano agili 'sti nani?

«Lascialo a me.» arrivò una voce non lontana.

Era Faren. La stanza era sgombra di brutti ceffi. Elmer annuì volentieri e si fece da parte andando accanto a Leske con cui scambiò un cenno di saluto. Per fortuna avevano capito che era un alleato.

Fu uno scontro breve, entrambi i combattenti erano stanchi, le magie del moro avevano ridotto Beraht allo stesso stato di Faren, se non peggio (con tutto quel ghiaccio era impossibile rimanere immuni). Non implorò pietà quando stette per ricevere il colpo di grazia; la sua testa venne martellata sulla parete in un miscuglio di rosso e materia grigia. Schifoso ma niente di speciale.

Leske fu il primo ad esprimere gioia tuttavia il compagno lo interruppe e fissò il mago con occhi pungenti.

«Perché?»

«Dovevo un favore a Rica.» disse imitando la loquacità del suo interlocutore.

«Chi sei, amico? Hai fatto tanti di quei numeri! Sei fantastico, non sto scherzando!»

«Sono un mago, Elmer.» rispose sorridendo all'entusiasmo del nano. «Ma preferirei rimandare i convenevoli a quando saremo fuori di qui. C'è un'uscita sicura?»

«Temo di no, gambe lunghe. E con tutto il casino che abbiamo fatto adesso metà Polvere ci piomberà addosso.»

«Janar?» si informò criptico Faren.

«Fidati, fratello, sarà il primo ad avvisare l'intera Orzammar e io non ho voglia di finire in gattabuia un'altra volta.»

«Perciò si va di là?» domandò il moro indicando la strada da cui era venuto.

«Esatto, gambe lunghe. Ma prima...» disse Leske allontanandosi con un sorriso malandrino.

«Leske.» ammonì il fratello di Rica.

«Non vorrai mica andartene da qui a mani vuote, vero?»

Dopo aver sottratto una chiave a Beraht, il tizio simpatico sparì dietro una porta fuori mano che Elmer non aveva notato, in cerca di chissà quali tesori. Curioso, il moro lo seguì mentre Faren recuperava bottino dai cadaveri. Era lo studio di Beraht composto da un grande scrittoio in pietra, due forzieri, una libreria, un dipinto montano e qualche ninnolo nanico. Subito studiò i titoli sugli scaffali, niente di interessante, poi visionò le carte sulla scrivania che contenevano messaggi e indicazioni riguardanti gli affari dell'ex boss del Carta. Li raccolse per una lettura futura e si accorse di non aver dove metterli.

«C'è per caso una sacca lì dentro?»

«Una sacca? Potrebbero esserci diamanti, rubini e sovrane a volontà e tu vuoi una sacca?»

«Una sacca e un souvenir?»

«Ecco, questo sì che si chiama parlare, gambe lunghe!»

Rovistando qua e là trovarono una scarsella in cuoio da attaccare alla cintura, abbastanza capiente per contenere i documenti piegati, e come regalo Leske scelse per lui un sacchetto di due sovrane e mezzo. Non era esattamente ciò che aveva sperato ma non avrebbe sputato in faccia alla ricchezza. Furono richiamati nel salone dai forti colpi con cui i farabutti cercavano di buttar giù la porta. Era tempo di andare.

«Dovremo ucciderli tutti.» sospirò annoiato Leske.

«Più o meno quanti sono?» chiese il mago preoccupato.

«Quanto basta per sporcarsi di sangue e interiora da capo a piedi.»

«Divertente.» commentò con una smorfia.

«Mago, metti l'olio per terra e dagli fuoco.» istruì Faren indicando la fessura tra porta e pavimento.

«E poi?»

«Apriamo la porta.»

«E?»

«Li uccidiamo finché non ne arrivano più.» rispose seccato da tutte quelle domande.

«Gli piaci, gambe lunghe.»

«Se lo dici tu.»

Castò la sostanza oleosa spingendola attraverso la fessura e le diede fuoco. Dall'altra parte i colpi cessarono in favore di inalazioni stupefatte e seguenti urla spaventate e agonizzanti. Faren aprì la porta e corpi avviluppati dalle fiamme si lanciarono verso di loro nel panico. Se ne sbarazzarono e attesero. Elmer pensò bene di esercitarsi con i suoi sensi di mago e scagliò un pugno di pietra oltre il fuoco stordendo un avversario. Le frecce nemiche si infransero sulla sua barriera magica, poi il piccolo incendio si dissolse e iniziò la classica battaglia per la libertà.

Nonostante il pericolo si divertì moltissimo. Con la magia a proteggerlo e l'assenza di guerrieri del calibro di Beraht, ebbe il tempo necessario per stabilire delle tattiche precise e riuscì perfino a consumare del mana per migliorare la velocità e la prestanza dei suoi compagni, recuperandolo dai morti. La prima ondata consistette di una ventina di uomini, la seconda di una quindicina, dietro la quale chiusero saldamente l'ingresso per riprendere fiato. Non era un asso nella guarigione ma curò ugualmente le ferite dei due nani.

«Sei un toccasana, gambe lunghe.» ringraziò Leske col respiro affannato per una botta allo sterno.

«Allora chiederò un aumento. Che ne dici di altre due sovrane?»

«Da quando i maghi sanno mercanteggiare?» rise finendo col tossire.

«Cerca di non ridere, ne va del tuo respiro.» disse con un'ultima dose di energia curativa. «Faren?»

Il pelato mostrò un semplice taglio alla gamba e una brutta pugnalata al fianco.

«Perché non hai detto niente?!» lo apostrofò accorrendo al suo fianco per fermare la copiosa perdita di sangue.

«Non gli piace parlare.» scherzò l'amico.

«Peccato che Rica lo rivoglia vivo! Come la prenderebbe se suo fratello, dopo aver ucciso Beraht, morisse per negligenza?!»

«“Oh, mio povero fratello! Così tipico di lui!”» replicò Leske in falsetto.

Faren grugnì ed esibì un mezzo sorriso. Il moro sbuffò e scosse la testa con disapprovazione. Stupidi nani.

«A cosa pensi, gambe lunghe?»

«A quanto i nani siano stupidi. Almeno quei pochi che ho avuto l'onore di conoscere.»

Leske esplose in un'altra risata col rischio di soffocarsi e il mago non poté trattenere un piccolo sorriso.

Sistemò la pugnalata per quanto gli consentissero le sue abilità; purtroppo non era in grado di alleviare il residuo di dolore e fastidio dei tessuti interni, risolvibili da un guaritore vero o con del buon riposo, e Faren fu costretto ad affrontare la terza ondata con minor vigore. Questa però pareva essere il tentativo finale del Carta.

I malviventi non cascavano più nel trucco dell'olio e quando spalancarono l'uscio arrivò una pioggia di frecce, deviate dagli incantesimi, e bottigliette riempite di sostanze tossiche: quelle furono la vera emergenza. Fumi nauseabondi li costrinsero a tosse e lacrimazioni; i due senzacasta reagirono relativamente bene, Elmer al contrario per poco non sputò i polmoni e Faren dovette proteggerlo dagli scagnozzi che si fiondarono su di loro approfittando dei gas. Grazie al Creatore ne uscirono vittoriosi.

Con cautela oltrepassarono la porta e percorsero i corridoi, raccattando beni che saltavano all'occhio (ad esempio quelle bellissime ampolle di lyrium in una cassetta pronta alla spedizione) ed eliminando le sporadiche minacce che avevano il fegato di attaccarli, finché, disattivate le varie trappole mortali, giunsero all'uscita che dava nel Distretto della Polvere. Certamente nella base non era stata presente l'intera mafia, molti erano all'esterno, ignari dell'accaduto, oppure avevano colto l'occasione del boss morto per fuggire; in ogni caso era consigliabile darsi una mossa.

Non domandò la destinazione, seguì i nani per tortuose e disabitate viuzze fino a casa Brosca, dove fratello e sorella si riabbracciarono. Si riunirono attorno al tavolo, tranne la madre che preferì rimanere a letto per ragioni sue, e ognuno, cioè Elmer e Leske, raccontò l'accaduto dal suo punto di vista. Rica era così felice e riconoscente che volle donargli tutti i suoi magri averi e futuri favori tuttavia il mago assicurò che riaccompagnarlo nei quartieri popolari fosse sufficiente, e poi da quell'avventura aveva guadagnato più denaro di quanto ne avesse mai posseduto e delle costose pozioni di lyrium. Gli fu messo a disposizione un catino d'acqua (sporca) per lavarsi dal sangue che lo ricopriva da capo a piedi ma declinò l'offerta dicendo che si sarebbe fatto un bagno nei suoi alloggi; il reale motivo era quello di dimostrare a Duncan e compagnia che aveva davvero affrontato una banda di malviventi armati fino ai denti.

Chiese l'orario e, dato che era mattino, li pregò di mostrargli la via. Leske si offrì come guida per lasciare il tempo ai famigliari di parlare. Salutò con un abbraccio la giovane nana e con un cenno del capo Faren. Conversò con il comico chiacchierone durante il tragitto, discussero del destino incerto dei bassifondi dopo la distruzione della figura portante del Carta e di come i Brosca avrebbero gestito il problema di Faren.

«Non ha tante opzioni: scappare in superficie o compiere un'azione degna dei Campioni.» finì Leske fermandosi.

L'uscita dal distretto non era lontana e Leske aveva espresso il desiderio di non volersi avvicinare al quartiere popolare, non prima di aver scoperto se anche la sua faccia era ricercata.

«Spero per loro che troveranno una soluzione. Mi spiacerebbe se dopo così tanta fatica si cacciasse di nuovo nei guai.»

«Sì, fatica, puoi dirlo forte! Sei il primo mago che incontro e mi hai sconvolto, amico! Pensavo fossero tutti vecchi bacucchi con la barba bianca e grigia, con bastoni scintillanti e il linguaggio forbito pieno di verità e saggezza!»

«Ti consiglio di rivedere le tue convinzioni.»

«Ho visto: ricordami di non farti mai incazzare.» risero. «È la guardia reale quella laggiù?»

Poco ma vero, le guardie reali stavano facendo il loro ingresso nel quartiere malfamato, dietro di loro l'alta figura di Duncan con al fianco il principe Bhelen. Disse a Leske di andare perché era lui quello che stavano cercando.

«Sei anche tu nei guai?» domandò cauto; Elmer non aveva rivelato di essere nei Custodi Grigi.

«Niente che non possa gestire, tranquillo. Grazie per la compagnia, Leske, è stato un piacere conoscerti.»

«A me di più; mi hai salvato la vita, amico. Se ripassi da Orzammar vieni a cercarmi, ci faremo una bella bevuta!»

Si strinsero la mano e si separarono. Elmer si avviò con passi decisi verso i segugi del re, il suo superiore fu il primo a scorgerlo.

«Elmer! Ragazzo, stai bene?» disse raggiungendolo, chiaramente preoccupato dalle condizioni dei suoi abiti. «Di chi è questo sangue?»

«È stata legittima difesa. Lo giuro.» precisò il moro alzando le mani in segno di resa.

«Che cosa è successo?» volle sapere il Comandate in tono grave, aspettandosi disastri, ma il principe li interruppe.

«Custode Elmer! Siete salvo...»

Sembrava piuttosto sorpreso di vederlo lì. Dovette accorgersene perché in un attimo una maschera di ansia e sollievo fece capolino sul suo volto. In quel momento ricordò l'accordo di Beraht: che fosse lui il nano che aveva ordito il suo rapimento? Impossibile! Era già principe, cos'altro voleva di più?

«E ferito! Per la Pietra, cosa vi è successo?»

«No, nessuna ferita, Altezza, sono incolume. Dei criminali hanno tentato di uccidermi, per il bastone; sono stato costretto a difendermi. In seguito mi sono reso conto che a causa dell'inseguimento mi ero perso, così ho dovuto trascorrere la notte all'addiaccio. Questa mattina con qualche moneta ho convinto qualcuno a guidarmi, ed eccomi qui.» finì con un sorriso che scomparve sotto lo sguardo severo di Duncan.

«Avrete passato un'orribile nottata! Il re ha consigliato di interrompere le ricerche per la notte anche se io avrei continuato, non dubitatene! Non potevo fare a meno di sentirmi in colpa: se fossi stato più attento... Forse portarvi a passeggio non è stata la più saggia delle decisioni.»

«Non datevene pena, principe Bhelen, non potevate certo immaginare quello che sarebbe successo.» intervenne Duncan, ignaro di quanto si sbagliasse. «Alla fine tutto si è concluso per il meglio. Ora perché non torniamo a palazzo, il mio compagno ha urgente bisogno di un bagno e di vestiti puliti.» consigliò afferrando il suo sottoposto per una spalla e conducendolo avanti, chiaro segnale che il Comandante non intendeva commettere nuovamente l'errore di perderlo di vista.

«Non ditelo nemmeno, Custode! Vi scorteremo immediatamente nella vostra stanza dove potrete riposare adeguatamente.»

Oh, cosa udivano le sue provate orecchie, bagno, riposo! Era incredibile come figurarsi una grande vasca d'acqua calda e un letto morbido potesse rendere il proprio corpo un acciacco unico. Si lasciò condurre docilmente e ascoltò con mezzo orecchio le premure del principe che ne approfittò per costringerlo ad accettare l'uso della sua stanza per un bagno principesco. Arrivati a palazzo il re espresse la sua solidarietà e gli consigliò di venire al banchetto soltanto se se la sentiva (altra dimostrazione di fiducia nelle sue capacità fisiche, grazie). Annuì a tutto e tutti, anche a Duncan che desiderava ragguagliarlo sulla ricerca dei trattati e torchiarlo per un rapporto completo e veritiero, e, con gli occhi appesantiti che tra un po' si chiudevano con la colla, fu guidato nella regale camera. La stanza era a dir poco... era veramente... Che diamine, era perfetta, non c'erano parole, né tanto meno si sarebbe sprecato di trovarle, troppo stanco...

I servitori gli mostrarono come usare il rubinetto della meravigliosa vasca di marmo, e prima di andarsene misero una vestaglia sul letto dicendo che il principe avrebbe avuto piacere che dormisse lì senza disturbarsi a tornare nella stanza degli ospiti. Ora solo e adeguatamente coccolato dalla ricchezza, si sedette sul soffice materasso. Accarezzò distrattamente la coperta, liscia sotto il suo tocco, davvero invitante... Ma prima il bagno: non avrebbe dormito con sangue secco sulla faccia. Doveva affrettarsi poiché la stanchezza minacciava di prendere il sopravvento. Checcavolo, aveva marciato per nove giorni e combattuto dal tramonto all'alba, era a pezzi.

Con pigrizia tolse il laccio dai capelli e iniziò a slacciare la maglia; gli venne un infarto quando il bastone magico scivolò a terra rovinando il completo silenzio della lussuosa camera. Prese un respiro profondo, una mano sul cuore che batteva forte, poi si alzò controvoglia per risollevare l'oggetto. La porta si spalancò improvvisamente e Elmer si ritrovò ad osservare smarrito due nani con le spade sguainate.

Sbatté un paio di volte le palpebre, stravolto, guardando l'uomo e la donna che di rimando lo studiavano; il primo con prudenza, in attesa di una sua mossa, la seconda con espressione stupidamente stupita. Si erano fermati in centro alla stanza; le loro intenzioni non gli erano perfettamente chiare ma dopo la vivace giornata trascorsa ne aveva abbastanza di gente che gli puntava armi contro, di conseguenza allungò una mano verso il bastone che per magia levitò dritto nella sua presa.

«Non ho idea di chi voi siate, ma vi avverto: sono di cattivo umore. Perciò o ve ne andate con le buone consegnandovi alle guardie, o sarò io a occuparmi di voi prima che possano arrivare.» disse con calma minaccia evocando scariche elettriche nella mano libera e un bagliore dalla cima dell'arma tanto per chiarire il concetto.

Il nano spalancò gli occhi e prese posizione di fronte alla donna per proteggerla, mentre quella lo fissava affascinata per il gioco di scintille.

Ma insomma, chi cazzo erano questi qua?! La risposta arrivò dalla nana che evitando gesti bruschi rinfoderò la spada e fermò il compagno.

«Sono Sereda Aeducan, figlia di re Endrin Aeducan. Voi invece dovete essere il Custode scomparso.»

«Aeducan?» ripeté confuso.

Il cervello unì con fatica i punti e tracciò il disegnino della famiglia Aeducan, dove il nome Sereda occupava il posto di secondogenita. Estinse la magia. Okay, ma che minchia ci faceva la sorella di Bhelen in camera sua? Cioè, in camera del fratello.

«Perdonatemi, lady Aeducan.» disse sforzandosi in un mezzo inchino. «Ho visto le spade e ho pensato...» Lasciò perdere prima di ingarbugliarsi in un discorso troppo lungo e arrivò dritto al punto. «Sono Elmer, una recluta del Comandante dei Custodi Grigi. Sono tornato a palazzo questa mattina, e vostro fratello mi ha generosamente offerto i suoi alloggi per un bagno e un po' di riposo.»

«Capisco. Non ne ero a conoscenza. Abbiamo sentito un rumore sospetto nella stanza di mio fratello e siamo accorsi per vedere cosa stava accadendo.»

«Oh. È stato il bastone, è caduto. Mi spiace di avervi allarmato inutilmente.»

Mistero risolto, ora se ne potevano pure andare fuori dai coglioni, voleva il suo bagno.

«Non vi preoccupate. Riposatevi piuttosto, sembrate stanco.»

“Ma no, dai?!”

Chissà da cosa l'aveva capito!

«Spero di vedervi al banchetto, ser Elmer.»

«Farò il possibile, mia signora.» disse mentre nella testolina si innalzava un coro di parolacce a ritmo di musica.

Finalmente solo, si concesse uno “tzè” scocciato: se qualcun altro osava entrare da quella porta, giurò che avrebbe compiuto un massacro, sangue blu o meno.





Note dell'autore:
Agostoooooooooooooooooo! Vacanzaaaaaaaaaaa! Ora ho tempo, ma ho voglia di passarlo fuori di casa 24hsu24h XD
Spero il capitolo un pochino più lungo vi sia piaciuto; scusate se la parte del combattimento non è un granché, non sono sicura di essere portata a descrivere le scene movimentate, perciò tento di spiegare a grandi linee senza scendere nei particolari.
Un appunto: Janar, il nome che fa Faren al momento di trovare una strada per uscire, è il nano proprietario del negozio nel quartiere popolare (credo) da dove il warden dell'origine nano sfigato esce fuori (lui e Leske spaccano la parete e il commerciante ne è poco felice). Sfortunatamente quando esce c'è la polizia a beccarlo, ma poi arriva Duncan che lo coscrive e tutto finisce bene. Io ho voluto tagliare, se no mi incarceravano Farenzolo u_u
Altro? Boh, ho visto che alcune amiconzole hanno aggiornato le loro storie, quindi appena mi do un ceffone in faccia andrò a leggere e commentare ^^
Buon agosto a tutti!

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Capitolo 15
*** - ***


Si svegliò che il banchetto era vicino. Si concesse uno stiracchiamento pigro e salutare e poi, con tutta la calma del mondo, scostò le coperte e si levò. Si scrutò allo specchio: non aveva un brutto aspetto per uno che aveva dormito solo... quattro ore? Come si calcolavano le ore laggiù? Bah. Nonostante desiderasse oziare ancora un po', ci rinunciò subito, non era mai riuscito a prendere sonno di giorno, nemmeno in una città incastrata sottoterra.

Si sentiva comunque abbastanza riposato, e affamato, perciò si diede una spazzolata ai capelli legandoli nella solita coda alta e si vestì. Dovevano essere passati i servitori perché gli acquisti di ieri lo aspettavano ordinatamente sul piano della massiccia cassettiera con accanto un soprabito blu scuro dall'orlatura argentata, mentre i suoi sporchi abiti da paesano erano stati lavati a dovere (era toccante la cura spesa per indumenti di così poco valore soltanto perché appartenevano a lui), sebbene alcune macchie di sangue fossero leggermente visibili. Pazienza, il soprabito avrebbe coperto il peggio.

Era certo che fosse un altro regalo di Bhelen, non riusciva a pensare ad altri. Cominciava seriamente a sospettare che il colpevole fosse lui, troppe carinerie, tuttavia gli sfuggivano le sue ragioni: era già figlio del re, quanto in alto sperava di arrivare? Il re dei nani era scelto in un'assemblea e considerando che gli Aeducan governavano da generazioni, era scontato toccasse a uno dei figli di Endrin ottenere il titolo dopo di lui; le grosse spine nel fianco erano Trian e Sereda, personalità di spicco, a sentire le voci colme d'ammirazione e rispetto, e salvare un quasi-Custode Grigio, una misera recluta, non gli sarebbe servito a granché. Mh, magari quello che per lui non era chiaro per i nani era ovvio.

“Beh, sono vivo e ragionevolmente ricco, mi accontenterò.”

Cavolo se si accontentava! Tra non molto avrebbe lasciato quel postaccio e riabbracciato la sana luce solare, non vedeva l'ora. Si chiese se anche da Custode Grigio la sua vita sarebbe rimasta su questi ritmi avventurosi e remunerativi, però non volle crearsi false aspettative.

Prese tutte le sue cose, controllando la presenza dei documenti del Carta (si sa mai che i servitori avessero allungato le mani), ed uscì dalla stanza per posare il tutto nella sua. Si fece indicare la direzione del banchetto e nella sala antecedente la sua destinazione incontrò la principessa Sereda e il suo compagno. Le sorrise educatamente salutandola con un inchino e lei fece altrettanto.

«Principessa Sereda.»

«Ser Elmer. Siete riuscito a riposare?»

«Sì, ho dormito benissimo, Altezza, e il bagno è stato divino. Vorrei averne sempre uno a portata di mano.»

«Mi fa piacere.» rispose osservandolo dalla testa ai piedi. «Vedo che avete fatto spese.»

«Sono tutti regali di vostro fratello, il principe Bhelen; il suo altruismo è encomiabile. Al mio risveglio ho trovato perfino questo bellissimo soprabito, un altro suo dono, senza dubbio.»

«Allora non vi offenderete se anche io ho pensato a voi questa mattina.»

Non gli parve ci fosse malizia, eppure c'era qualcosa di accattivante nella sua voce. Che fosse una sua impressione?

«Mio padre ha permesso ai mercanti di occupare il Distretto dei Diamanti in onore del mio incarico, e quando ho visto questo, subito mi ha rammentato i vostri occhi.»

“Ci sta provando?” valutò diffidente.

La donna si fece passare dal suo subalterno un sacchetto da cui scivolò fuori una piccola custodia. Ringraziandola, lo aprì, scoprendo una collana d'argento con un ciondolo d'ametista di forma rettangolare, lungo quanto il palmo della sua mano, e impreziosito da sottili e particolareggiati ornamenti serpentini anch'essi d'argento. Era semplice e non troppo appariscente; peccato per i serpenti, avrebbe preferito dei volatili.

«Vostra Altezza... Vi ringrazio, è bellissimo.» disse a corto di parole sotto lo sguardo compiaciuto della principessa.

Non aveva mai pronunciato così tanti grazie come in quei due giorni, quasi si vergognava a ripetere le stesse cose, lui che con le parole ci sapeva fare.

«Non dite niente, Custode, accettate e basta. Lady Aeducan non è solita fare regali a chiunque.» intervenne il nano.

“Non mi dire...”

Perché aveva l'impressione di essere finito in una gara di cortesia tra i due fratelli? Sperò vivamente di non dover ricambiare con favori sessuali, come più o meno si usava nel Circolo; fisicamente non si sentiva attratto dai nani in generale e non credeva che i suoi gusti potessero in qualche modo cambiare, neanche per regali dalle cifre esorbitanti.

«Allora accetto con gratitudine. È un magnifico dono, vi ringrazio di nuovo, mia signora, e ser...?»

«Ser Gorim Saelac, della casta dei guerrieri, mio fidato amico e secondo.» presentò con orgoglio lady Sereda.

«Altezza, mi fate arrossire.» scherzò l'interessato.

Elmer indossò l'ennesimo regalo e insieme entrarono: il re stava svolgendo politica seduto sul suo trono, vari nobili chiacchieravano in piedi; il banchetto non era ancora iniziato. Prima che la principessa potesse ingabbiarlo in una conversazione più impegnativa, il mago si diresse dritto sparato verso Duncan che sorseggiava vino scambiando educate battute a chiunque gli rivolgesse la parola, stando però accuratamente in disparte.

«Duncan.»

«Elmer. Vedo che il favore dei nostri ospiti non ti è indifferente.» notò con la disapprovazione spenta di uno che ormai ci aveva rinunciato.

«Quando mi svelerai il segreto di come dire “no” a teste coronate dall'ascia facile ti prego di condividere con me tale conoscenza. Credo mi abbiano preso di mira perché sono giovane e pensano sia manipolabile. A te ascoltano quando rifiuti, con me insistono col rischio di farmi fare la figura dell'ospite maleducato.»

«Lo so ma non abbassare la guardia: è imprudente accettare favori dalle casate nobili, sono tutti in competizione per la gloria, l'onore e il peso sociale. Sii cauto.» Bevve un sorso dal bicchiere. «Ottimo vino. Che mi dici della scorsa notte?»

«Dico che te ne parlerò volentieri appena raggiungeremo la tranquillità dei nostri amabili alloggi.» Duncan colse al volo il motivo di quella richiesta e annuì senza mostrare particolari emozioni a riguardo.

«Tu invece cosa hai scoperto sui trattati?»

«Ho trovato la mappa per i trattati nelle Selve Korcari, ma ho anche scoperto che è possibile siano rimasti documenti interessanti in un thaig non molto lontano.»

«Nelle Vie Profonde?»

«Sì.»

«Solo tu e io?»

«Non è la nostra missione.» lo rassicurò divertito vedendolo sbiancare. «Domani ci uniremo agli uomini del re: ci accompagneranno per un tratto, assistendoci nello sgomberare la via, poi continueremo da soli, verso Ostagar. Questi documenti hanno aspettato centinaia di anni per essere scoperti, sono certo che non gli dispiacerà attendere un altro po'. Re Endrin mi ha promesso che li conserverà fino al nostro ritorno, nel caso li trovasse.»

«Ci saranno molti prole oscura, nonostante il Flagello?»

«Il grosso della Prole Oscura sarà in superficie, e non ingaggeremo uno scontro diretto a meno che non sia necessario. Ci limiteremo ad aggirarli, poi usciremo dalle Vie.»

«Da dove?»

«Ci sono passaggi dimenticati da tutti tranne che dai Custodi Grigi; abbiamo le nostre mappe.»

«Intrigante.» lo prese in giro con un malizioso movimento di sopracciglia, ed entrambi risero.

Non poterono aggiungere altro poiché i principi Trian e Bhelen si avvicinarono. Il primo voleva porre qualche domanda riguardo la sua scomparsa nascondendo malamente il fatto che non credeva che il mago mingherlino potesse essersela cavata da solo, il secondo cercava di riparare le frasi troppo insinuanti del fratello e lodava la recluta per come gli stavano bene gli acquisti, rimanendo per un attimo silenzioso dopo aver appreso la provenienza del gioiello di buon gusto. Gara di cortesia, l'aveva detto lui. E quando si diceva “parli del diavolo”, ecco lady Aeducan fare la sua apparizione affiancata dall'inseparabile Gorim. Elmer e Duncan si scambiarono un'occhiata.

Il primogenito la accolse aspramente, Gorim la difese, Trian lo rimbeccò, Sereda difese il suo secondo e Bhelen provò a placare gli animi. Grazie al Creatore il re batté le mani per richiamare l'attenzione: si complimentò con la figlia per il suo primo incarico ufficiale di comandante e informò che domani nelle Vie Profonde i Custodi Grigi li avrebbero onorati della loro compagnia, al che i due uomini in questione fecero un inchino e Duncan ribadì che l'onore era loro, infine si diede il via al pranzo ben preparato tra cori di apprezzamento.

Il moro si sedette accanto a Duncan e gli rimase incollato per evitare i tre fratelli. La principessa Sereda aveva perfino tentato di sedersi accanto a lui ma con un'abile mossa il mago convinse ser Gorim ad occupare il posto con la scusa di conoscere maggiormente la casta dei guerrieri e le Prove; sfortunatamente la donna gli strappò un sì con l'improvviso invito di sedere con lei e l'amico fidato alle Prove di quel giorno speciale. Alla sua destra Duncan non riuscì a trattenere un sogghigno ed Elmer resistette a malapena dall'ardire di spedirgli una gomitata tra le costole.

Quando il banchetto e il breve discorso del re terminarono, Duncan fu trattenuto da un membro dell'Assemblea mentre Elmer fu trascinato all'arena dalla famiglia Aeducan, sedendo vicino a Sereda per osservare genuinamente rapito i duelli che avevano luogo nel grande campo sottostante, affascinato dal fragore della folla e dalla magnificenza dell'intera costruzione. Se lo scontro tra Numi e Faren era stato eccitante, questi erano magnifici. Lady Sereda fu di piacevole compagnia, mai invadente né insistente, e con gentile garbo interpretava al meglio il ruolo di ospite perfetta. L'unica cosa che lo lasciava infastidito era il gran numero di volte in cui si voltava ad osservarlo e chiedergli se gradiva questo o quello.

«Gradite le Prove, Custode?»

«Moltissimo, Vostra Maestà. Sono ben lungi dal definirmi un esperto, ma sono più che certo che aldilà di Orzammar ci siano pochi combattenti in grado di eguagliare l'abilità della casta dei guerrieri.»

Il re fu molto contento della risposta e perfino quel rompiballe di Trian sembrò soddisfatto.

«Quella, Custode, è una delle Sorelle Silenti, l'ordine di donne guerriere del popolo nanico.» lo informò Bhelen all'entrata in scena dei nuovi competitori.

«Perdonate la mia ignoranza, Altezza: perché non ha armi con sé?»

«Le Sorelle Silenti combattono a mani nude.» si intromise Sereda con innocente candore. «La lingua viene loro tagliata nel momento in cui scelgono la strada della sorellanza, in memoria della fondatrice, il Campione Astyth la Grigia, un'appartenente alla casta dei guerrieri che dimostrò che le donne erano all'altezza degli uomini in battaglia.»

Trovandosi disgraziatamente intrappolato tra Bhelen e Sereda poté percepire la tensione tra i due. Desiderò che Duncan fosse lì.

«Vi interesserà sapere che alcune Sorelle sono entrate nei ranghi dei Custodi Grigi, e che hanno portato lustro sia ai nani sia al vostro ordine.» tornò alla carica il fratello minore.

«Meraviglioso.»

«Il suo compagno è Seweryn, il più giovane guerriero ad aver vinto le Prove. Oggi dovrà difendere la sua posizione.» riguadagnò terreno la nana. «Quelli laggiù sono Myaja e Lucjan, temibili avversari.»

«Esiste una singolare curiosità su questa coppia.» proseguì Bhelen. «Dovete sapere che i due sono fratelli gemelli, e insistono nel compiere ogni azione come un'unica entità. Myaja una volta mi disse che la Pietra donò loro una sola anima in due corpi.»

«Oh, interessante.» commentò Elmer chiedendosi, per nulla sconvolto, se i due facessero proprio “tutto” insieme. «Quali sono le regole?»

«Le regole delle Prove sono piuttosto semplici, Custode.» intervenne Trian cogliendoli di sorpresa. «Ogni scontro può essere diverso: combattimento singolo, in squadra, a mani nude, armati o con un particolare tipo di arma; si viene informati appena prima dello svolgimento. Si vince rimanendo vivi. Le Prove sono un'arte sacra e antica, gli Antenati esprimono la loro volontà attraverso di esse, per questo motivo le diatribe tra nobili vengono risolte nell'arena.»

«Capisco. Sconfitta e vittoria determinano chi ha torto o ragione.»

«Esatto. In superficie invece avete altri metodi, mi dicono.»

«Ne so quanto voi, principe Trian. Fino a dieci giorni fa ero rinchiuso in una torre.»

«Il Circolo dei Maghi, suppongo.»

«Sì. Un luogo abbastanza noioso. Orzammar al contrario è piena di vita; spero di trovare altrettanto spirito nel resto del Thedas.»

“Chi è il miglior leccaculo tra le tribune oggi? Il sottoscritto.” si compiacque con tanto di risata malvagia.

Fu così che Trian Aeducan, contrariamente alle aspettative, lo intrattenne con la storia delle Prove, dei Campioni, degli Antenati e della famiglia reale, salvando il moro dalle grinfie dei fratelli minori che non osarono rubare la scena per non creare animate discussioni con la testa calda. Duncan li raggiunse di lì a poco e insieme si godettero lo spettacolo.

Quando tornarono a palazzo consumarono l'abbondante cena e si defilarono prima che chicchessia potesse attirarli in una conversazione. Finalmente il Comandante avrebbe saputo cosa gli era accaduto; avrebbe approvato o disapprovato? Mentre si dirigevano nella sua stanza, con sua grande sorpresa gli occhi gli caddero su Rica che stava entrando dalla porta principale. Lei lo notò e, altrettanto stupita, lo salutò.

«La conosci?» fece Duncan.

«Sì. Torno subito.» disse andandole incontro. «Rica! Che piacere rivedervi.» accolse con un inchino.

«Ser Elmer! Vi prego, non siate formale, non dopo l'immenso aiuto che avete reso alla mia famiglia.» rispose lei invitandolo in un abbraccio a cui Elmer non si sottrasse. «Posso chiedervi cosa fate qui? È l'ultimo luogo dove mi aspettavo che foste.»

«A questo punto è superfluo ammettere di aver tralasciato dettagli su me stesso. La verità è che appartengo all'ordine dei Custodi Grigi, mi trovo ospite qui a palazzo insieme al mio Comandante.»

«Un Custode Grigio? Ma è... è incredibile!»

«Niente di speciale. Sono soltanto una recluta, per ora.»

«Vorrà dire che una volta Custode compirete imprese ancora più clamorose. Sono infinitamente grata agli Antenati per avermi messo sulla vostra strada. Siete la mia fortuna.»

«Mia signora, esagerate. Voi suppongo siate venuta a riallacciare i rapporti con il vostro patrono.»

«Sì. Mi auguro questi giorni d'assenza non l'abbiano sconfortato.»

«Assolutamente sì: come può non deprimersi senza avere vicino la vostra incantevole persona? Vedrete che sarà colmo di gioia.»

«Ser Elmer, smettetela, mi mettete in imbarazzo.» rise.

«Vostro fratello invece come sta? E il suo amico?» domandò tralasciando per sicurezza i loro nomi.

«L'amico sta traendo profitto dalla caduta del Carta; è un uomo pieno di talenti.» disse con affetto. «Mio fratello rimane lontano dagli occhi della gente, il suo volto è pericolosamente noto, soprattutto nel Distretto della Polvere, e chiunque per una manciata di monete farebbe la spia alle guardie.» sospirò infelice.

«Sono certo che troverete una soluzione. Ma non voglio trattenervi, Rica. Lasciate solo che vi abbracci un'ultima volta; domani io e il Comandante torneremo in superficie attraverso le Vie Profonde e non ho idea se avrò occasione di rincontrarvi.»

Si riabbracciarono e il moro notò che la nana aveva un'espressione corrugata. Le chiese cosa avesse e lei parve sul punto di dirglielo ma poi ci ripensò.

Camminò al fianco di Duncan fino ai suoi alloggi dove, al riparo da orecchie indiscrete, il mago raccontò i movimentati eventi. Il Custode non parve disapprovare enormemente ma lo redarguì per le sue azioni avventate; affrontare un'intera organizzazione per degli estranei peccava di buon senso, specie se il Carta, ristabilitosi, avesse deciso di vendicarsi. L'ordine era neutrale nelle questioni che non riguardavano Prole Oscura e Flagelli.

«Promettimi che presterai maggiore attenzione nelle tue scelte. I Custodi Grigi non possono permettersi di interferire negli affari altrui, si potrebbero generare conseguenze indesiderate che metterebbero a repentaglio la nostra missione.»

«Farò del mio meglio.»

«Hai compiuto una buona azione,» concesse, «ma cerca sempre di considerare l'impatto che le tue decisioni avranno su di noi. Siamo in una posizione delicata, l'ordine è stato riammesso nel Ferelden soltanto da poco più di due decenni, sono in molti a non tollerare una congregazione che si ritiene abbia ormai fatto il suo tempo.»

«Per esempio?»

«Avrai certamente sentito parlare di teyrn Loghain Mac Tir.» sospirò il Custode, pronto ad un argomento spiacevole.

«Tutti i recenti libri di storia ne parlano. Quand'ero piccolo i vecchi del villaggio narravano le sue gesta: l'eroe del fiume Dane, abile stratega e fedele consigliere di re Maric Theirin e ora del figlio, re Cailan, il quale ha sposato Anora, sua figlia.»

«Saprai anche del suo amore per gli orlesiani.»

«Leggendario.»

«Siccome io e circa metà dell'ordine fereldano siamo orlesiani, è dell'impressione che la nostra presenza sia una mossa dell'imperatrice Celene per riconquistare la nazione.»

«Non mi intendo di politica ma i Custodi Grigi sono neutrali e qui non mi pare abbiano alcun peso sociale, la sua è un'ipotesi azzardata. Conosco i fatti avvenuti duecento anni fa, tra la Comandante dei Grigi Sophia Dryden e re Arland, ma converrai con me che le circostanze furono... eccezionali.»

«Infatti, tuttavia Loghain ha una sua visione dell'insieme. La simpatia che ci dimostra il giovane re non depone a nostro favore, credo sospetti sia nostra intenzione influenzarlo.»

«Paranoico?»

«Leggermente.» scherzò l'uomo con il solito mezzo sorriso. «Ti lascio al tuo riposo, le prossime saranno giornate impegnative. Per quanto concerne i documenti del Carta, li esamineremo ad un momento opportuno; conservali, potrebbero rivelarsi vantaggiosi.»

«D'accordo. Buonanotte, Duncan.»

«Buonanotte, Elmer.»

Non aspettò il momento opportuno. Accese la lanterna incantata sul comodino (i nobili nani si trattavano bene) e sfogliò le note. C'erano contratti siglati da iniziali di chissà quali nomi o soprannomi, merci consistenti in prelibatezze di materiali, di cibo e bevande e di schiavi, vendita di armi normali e incantate, lyrium in grandi quantità presso... la Torre del Circolo? Questa se la marchiò a fuoco nella memoria. C'erano istruzioni e consensi per assassinii, le vittime e i luoghi dei delitti nominati per nomi veri o in codice; alcuni fogli erano completamente indecifrabili.

Non era in grado di sfruttare adeguatamente queste informazioni, a parte forse segnalarle alle autorità competenti e guadagnare una buona reputazione per i Custodi Grigi. Decidendo che Duncan avrebbe saputo cosa farne, andò a dormire.




Note dell'autore:
Spero si noti quel sentore oleoso/burroso nelle frasi di Elmer: si capisce che è bravo a fare il lecchino? Spero proprio di sì XD
Finalmente ho un po' di tempo, oggi vorrei anche leggere un capitolo o due delle storie che seguo e magari pubblicarne un altro di Elmer ^^
Vi lascio senza fare promesse, a presto!

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Capitolo 16
*** Fuori Orzammar ***


Lanciò una palla di fuoco gigantesca che uccise sul colpo un hurlock e scaraventò a terra tre suoi parenti prossimi che ebbero la sfiga di stargli vicino; i nani li finirono senza tante cerimonie. Era carino combattere con il vantaggio numerico, tanto per cambiare: profumava di vittoria fin dal principio, una bella spinta positiva per il morale. Non si era nemmeno sporcato, avendo attaccato dalla distanza mentre i guerrieri lavoravano in prima linea.

«Questi erano gli ultimi.» annunciò Duncan sondando la zona con i suoi sensi di Custode.

La branca dell'esercito di Endrin che li aveva scortati per il pezzo concordato si congedò con parole di augurio e andò a ricompattarsi con le forze reali impegnate ad esplorare il thaig. Che peccato che re Endrin non fosse interessato a partecipare alla battaglia a Ostagar, aveva il sospetto che i numeri e l'esperienza nanica sarebbero stati molto apprezzati.

«Allora, Elmer, che impressione ti sei fatto dei prole oscura?»

Avevano iniziato a camminare seguendo la loro mappa, Elmer illuminava la via alimentando una piccola sfera di luce sopra le loro teste, non troppo splendente per non attirare l'attenzione delle bestie delle Vie Profonde (che, tra parentesi, erano schifosamente antigeniche, grazie Creatore per questa graziosa scorciatoia).

«Puzzano.» commentò storcendo il naso quando passarono accanto ai cadaveri, e Duncan rise.

«I mostri di sottoterra non hanno la fortuna di un fresco ricambio d'aria, quelli di superficie hanno un odore meno pungente.»

«Mi aspettavo uno scenario maggiormente spaventoso, comunque.»

«Sì?»

«Sì. Ho avuto incubi peggiori.»

«Demoni?»

«Noi maghi abbiamo questa fortuna.» disse sarcastico. «Sono decisamente più creativi, sia nella forma che nei contenuti.»

Quelli che in seguito all'Unione sarebbero diventati i suoi nemici naturali erano molto brutti e affatto cordiali, ma tollerabili; altrove, nei suoi sogni, aveva visto aspetti più disgustosi e abilità e poteri più temibili di forza bruta e arrugginiti arnesi appuntiti tenuti insieme da filamenti di dubbia origine. Erano certamente un pericolo concreto, vuoi per la malattia mortale che portavano con sé, vuoi perché un essere dai denti aguzzi armato di clava faceva sempre la sua sporca figura e il suo sporco ammontare di danni, tuttavia il mago non era stato impressionato in spavento: anche i ragni giganti vagavano nell'oscurità in cerca di prede, ed emettevano molto meno rumore del ronzio fastidioso dei prole oscura che ti avvertiva per tempo della loro presenza, insieme al puzzo di cadavere marcio e corruzione.

«Fermo.»

Si bloccarono al comando sussurrato di Duncan che si guardò attentamente attorno, le orecchie ben tese. Ora che ci faceva caso, c'era un suono metallico dietro di loro, cadenzato, come dei passi. Con uno scatto il Custode puntò gli occhi alle loro spalle sguainando la spada.

«Fai luce, Elmer.»

Il mago lo accontentò, scagliando una serie di globi lucenti verso la strada da cui erano arrivati e per cui i soldati erano ripartiti. Un nano in armatura, uno dei guerrieri del re, avanzò senza timore di mostrarsi. La presa di Duncan sull'elsa non si addolcì.

«I tuoi compagni sono andati nella direzione opposta, soldato.» disse con voce severa il Comandante dei Grigi. «Cosa fai ancora qui?»

Invece di rispondere lo sconosciuto si tolse l'elmo rivelando una nota testa pelata.

«Faren!» esclamò sbalordito il mago.

«Il nano che hai aiutato nei bassifondi?»

«Sì! Cosa ci fai qui, Faren? Perché ti sei travestito?» chiese troppo sorpreso per collegare i punti.

«Mia sorella ha detto che saresti uscito in superficie per le Vie Profonde. Avevo bisogno di un modo per andarmene dalla città.»

Ecco spiegata la strana espressione di Rica durante il loro addio, stava meditando su ciò che Elmer le aveva appena riferito. Certo era sorprendente rivedere Faren dopo neanche due giorni da che si erano separati, dava per scontato fosse destinato a rimanere un lontano ricordo. Non sapeva se esserne contento o scontento, d'altronde non lo conosceva benissimo, la sua simpatia andava per lo più alla sorella.

«Chiedo il permesso di unirmi a voi. Una volta fuori me ne andrò per la mia strada.»

Duncan lo studiava cautamente. Il moro spostò lo sguardo dall'uno all'altro; non toccava a lui prendere una decisione, e se il Comandante avesse rifiutato la richiesta, lui non avrebbe obiettato.

L'interessato era indeciso; un estraneo era un estraneo. Cosa impediva allo sconosciuto di tradirli, ucciderli e derubarli dei loro averi alla prima buona occasione e iniziare bene la nuova vita lontano da Orzammar? Beh, quel nano era lì, e poteva seguirli anche se diceva no. In qualche modo però sapeva che non avrebbero avuto questo tipo di problemi. Duncan si fidò del suo istinto e del resoconto di Elmer della sera precedente.

«È pericoloso percorrere questi tetri corridoi in solitudine. Viaggerai con noi, e finché saremo compagni mi aspetto cooperazione.»

Il nano annuì e il Custode rinfoderò la spada. Elmer salutò la zucca calva con un cenno che il nano ricambiò imperturbato e il viaggio riprese, in un misto di cavernose pareti e strade lastricate costruite anticamente secondo l'architettura nanica.

«Come hai rimediato l'armatura?» domandò curioso, alla prima fermata per riposare.

«Leske.»

“Il solito taciturno.”

«Hai già un piano per la superficie?»

Il nano scosse la testa e continuò a mangiare carne essiccata sul masso scomodo su cui era seduto. Non sapendo di che parlare con un tizio monosillabico, gli disse con ottimismo che eventualmente avrebbe trovato un lavoro e lo lasciò in pace. Nelle successive soste Duncan gli illustrò la vegetazione e la fauna del posto, e anche Faren si unì alle spiegazioni con gli occasionali grugniti e cenni, mentre le fasi di marcia furono caratterizzate da cauti silenzi.

Non incrociarono altri prole oscura, in compenso varie specie animali li accolsero non con le migliori intenzioni. Non ebbero eccessive grane, i ragni giganti (i suoi preferiti), i bronto e i cacciatori oscuri furono un eccellente allenamento per le sue percezioni magiche, almeno finché, circa due giorni dopo, non si imbatterono in un mini esercito. Fu nel bel mezzo di un attacco dei minuti rettili dalle bocche rotonde e tempestate di denti aguzzi, che la seconda sorpresa della traversata arrivò.

«Dietro di te!» avvertì il mago, e Faren si abbassò per permettergli di scagliare un pugno di pietra sul cacciatore che stava per aggredirlo alle spalle.

«Elmer, crea una barriera, non dobbiamo permettergli di separarci.» ordinò il Comandante.

I mostriciattoli infatti avevano la passione del “dividi et impera” e si erano intrufolati tra loro costringendoli a distanziarsi.

«Mi serve qualche secondo per l'incantesimo!» rispose cercando di avvicinarsi a Faren affinché lo coprisse mentre pronunciava la formula.

Purtroppo quegli animaletti bastardi non erano stupidi e col loro numero riuscirono a bloccare i movimenti del trio. Infastidito dai colli a proboscide che si allungavano per morderlo in continuazione, spese un secondo netto per accumulare energia telecinetica e la espulse di botto; era una scommessa, poiché sui ragni il trucco non funzionava. Il Creatore volle che le bestie non ne fossero immuni e girarono su se stesse in completa confusione mentale dandogli l'occasione per imbastire un glifo di repulsione in cui i due compagni si rifugiarono.

«Per quanto lo puoi mantenere?» domandò il Custode.

«Finché ho mana in corpo, se sto fermo qui. Posso ancora lanciare incantesimi, ma non di frequente.» replicò Elmer con il bastone piantato sul pavimento.

«Ne conto dodici.» disse Faren.

«Quindici. Ne percepisco tre tra le ombre. No, sedici.» si corresse. «Ne sta arrivando uno da quella parte.»

«I cacciatori oscuri si spostano in branco, dietro di lui ce ne saranno altri. Dobbiamo sbarazzarcene in fretta e proseguire.» disse Duncan.

Il Comandante avanzò impetuoso e tranciò due colli lunghi con spada e pugnale; ne rimanevano quattordici. Il moro lanciò una scia di ghiaccio circolare che ne cristallizzò tre, distrutti da Faren col martello; undici. Stava per richiamare il potere della roccia per pietrificarne, quando un urlo di battaglia riecheggiò per le Vie. Ed ecco lady Aeducan tramortire con lo scudo un cacciatore oscuro e infilzarlo con la spada.

«Principessa Sereda!»

Sgranò gli occhi e la osservò ucciderne due di seguito. Capiva l'apparizione di Faren, ma Sereda?! Il pelato gli diede un colpetto alla gamba riportandolo alla realtà e il mago si disse che la nana avrebbe avuto modo di chiarire la faccenda a tempo debito. Con un paio di braccia aggiunte, si disfecero velocemente della minaccia e finalmente poterono parlare.

«Lady Aeducan. Questo è... un incontro alquanto singolare.» trovò da dire il Custode anziano.

Prima un senzacasta e ora una principessa? Duncan non riusciva a cogliere l'umorismo del Creatore.

«Comandante, ser Elmer.» salutò Sereda, dando un cenno educato anche al calvo sconosciuto.

Era vestita di abiti comuni e armata di scudo e spada dozzinali; non era affatto divertita mentre spiegava che non era una più una lady a causa dell'esilio, di cui però non volle scendere nei particolari.

«L'esilio significa morire combattendo nelle Vie Profonde. Vi propongo di unire le forze e raggiungere la superficie: sono certo che un guerriero del vostro calibro potrà rendersi più utile da vivo che da morto.» disse enigmatico Duncan.

Sereda, come gli altri, non colse il significato nascosto ma, dopo un attimo di riflessione, annuì. Ripresero la marcia ed Elmer la studiò. Sembrava spenta, un fiore appassito. C'era dolore sul suo volto e la donna trascorse la camminata assorta e muta. Dov'era finita la principessa sicura di sé che aveva conosciuto a Orzammar? Alla prossima sosta tentò di dialogare, ricorrendo al suo lato lecchino che aveva funzionato tanto bene in precedenza.

«Lady Aeducan, non posso immaginare cosa vi sia accaduto, ma vi prego, ritrovate un po' della vostra vitalità. Mi rammarica profondamente vedervi così triste dopo esser stato testimone della bellezza dei vostri sorrisi.»

«Ser Elmer...» fece lei con l'ombra di uno dei sopracitati sorrisi. «Vi ringrazio per le belle parole; purtroppo il dolore che provo è troppo recente e temo che non sarò di grande compagnia per... qualche tempo. E vi chiedo il personale favore di non rivolgervi a me con l'appellativo di lady, d'ora in avanti.»

Con tatto le domandò cos'era successo, tuttavia fu gentilmente pregato di non premere sull'argomento per poi essere ignorato, cosa che, a lungo andare, lo spazientì. Quel simpaticone di Faren non era da meno; se a Sereda piaceva immergersi nei meandri oscuri della sua amarezza, il vincitore illegale dell'Arena si impegnava anima e corpo a mimetizzarsi con le pareti.

“Che diamine.”

Stranito dall'atmosfera oppressiva, Duncan si rivelò la sempre affidabile ancora di salvezza con cui discorrere a cuor leggero. Senza di lui Elmer sarebbe esploso.

Grazie ad Andraste, il terzo giorno, azionando gli ingranaggi di un solido portale, abbandonarono quei maledetti tunnel: il cielo scuro era costellato di stelle, l'aria fredda trasportava l'umidità della pioggia caduta di recente, una gioia per i sensi.

«C'è una locanda non lontano da qui, ci fermeremo lì per la notte. Cosa hanno intenzione di fare i nostri amici?» volle sapere il Comandante.

«Vi seguirò, per ora.» replicò Faren, piuttosto burbero, ritrovando per magia l'uso delle corde vocali.

«Io... non ho soldi per una stanza.» confessò con evidente vergogna la donna.

«Permettetemi di offrirvela, Vostra- Sereda.» si offrì il mago.

Era ormai costretto a darle pressapoco del tu, chiamarla vostra altezza, principessa o lady Aeducan aveva prodotto una malcelata smorfia sofferente, perfino mia signora non era apprezzato, tsk. Oltretutto, il fatto che accettasse la gentilezza con estremo sacrificio non gli garbava affatto. Checcavolo, lui si affannava ad essere magnanimo e lei neanche lo ringraziava come si doveva, anzi, pareva un gran dolore essere aiutata, poverina!

Si incamminarono con la luce di una normale lanterna ad aprire la strada. Non incontrarono anima viva e giunti alla locanda scoprirono che le parole di Duncan non erano esattamente... esatte. Di norma una locanda era un edificio abbastanza ampio accompagnato da una stalla e un piccolo laboratorio con fabbro, un perfetto esempio era quella che avevano passato sul cammino per Orzammar. Questa era alquanto spoglia, sullo stile “madre di Faren”.

«Sul serio, Duncan?»

«Non fatevi ingannare dalle apparenze.» rassicurò divertito.

“Apparenze? È un miracolo non sia crollata con le piogge.”

Fu piacevolmente sorpreso di sbagliarsi. Una volta dentro il mago constatò sollevato che non era per nulla malaccio; era piccola e sicuramente poco frequentata, eppure un fuocherello scoppiettava allegramente nel rozzo camino riscaldando l'ambiente e il proprietario fu molto cordiale. Pagarono per quattro stanze e si infilarono a letto.

Steso sul materasso riempito di foglie, paglia e fieno, Elmer fissava assorto la candela accesa sul comodino, giocando con la fiamma muovendo le dita impregnate di magia. I vestiti erano appesi alla sedia, gli stivali sostavano sul pavimento; la folta coperta di pelliccia rivaleggiava con le lenzuola di morbido tessuto dei nani. Lasciò stare il fuoco e rigirò il ciondolo regalatogli dall'ex principessa tra le dita. Cosa le era capitato? Voleva saperlo. Non perché gli interessasse lei come persona, semplicemente lo riteneva un caso eccezionale.

“Una persona non perde tutto così all'improvviso, e un padre non esilia così facilmente la propria figlia dopo una promozione festeggiata con tanto fervore. Che cosa ha fatto? Sicuramente una cosa terribile, ma cosa?”

Mistero.

Incrociò le braccia dietro la testa sul cuscino, guardando un po' annoiato il soffitto. Non voleva addormentarsi subito, perciò compì degli esercizi respiratori imparati nelle lunghe lezioni di magia e sgomberò la mente, indirizzandola sugli eventi degli ultimi giorni. Che avventura aveva vissuto nel Distretto della Polvere, e quante conoscenze aveva fatto nella immensa Orzammar, vicende talmente opposte alla staticità della Torre dei maghi che gli pareva di aver rubato la vita di un'altra persona.

Jowan sembrava così lontano e poco importante adesso, un granello di sabbia nella grande clessidra della vita (frase poetica tratta da Lei che fu il di lui amor). A quella prima notte nella tenda erano seguiti sogni incolori e il riposo era gradualmente migliorato. Era come se non ci fosse spazio per il passato, l'idea di arrivare a Ostagar e le esperienze che lo attendevano lo emozionavano e non vedeva l'ora di proseguire.

I suoi pensieri indugiarono anche sui due nani: entrambi erano di poco conto nel grande schema delle cose (ancora in costruzione), e in men che non si dica sarebbero spariti dalla sua esistenza. Era un peccato non accontentare la sua curiosità sul segreto di Sereda, nei libri, al contrario della realtà, prima o poi i misteri venivano sempre svelati e il non avere informazioni sui retroscena non gli piaceva. Sbadigliò. La stanchezza trangugiò il desiderio di sapere; con un movimento della mano controllò la trappola magica apposta alla porta e spense la candela.

La mattina seguente si stiracchiò bene, svolse i consueti esercizi di stretching, si vestì e raggiunse Duncan al piano sottostante per colazione.

«Dormito bene?»

Il Comandante gli allungò un piatto con delle uova sode, strisce di carne affumicata e un tozzo di pane. Il mago spostò lo sguardo semi adorante dal cibo al Custode anziano. Poteva forse amarlo di più?

I punti simpatia di Duncan erano saliti di giorno in giorno: chiacchierava volentieri proponendo argomenti variegati, si interessava di ciò che gli passava per la testa, e, dote fondamentale, intuiva cosa lo infastidiva e tentava di porvi rimedio (per esempio aveva riempito l'avvilente vuoto delle Vie). Magari esagerava, tuttavia credeva di essersi seriamente affezionato all'uomo barbuto in quel breve lasso di tempo.

«Come negli alloggi di casa Aeducan, in verità.» disse addentando la carne.

«Te l'avevo detto che le apparenze ingannano.» sorrise. «Cosa ne pensi di Faren e Sereda?» domandò di punto in bianco pulendo il proprio piatto con il pane.

«Non molto. Tanto ci lasceranno stamattina, no?» replicò versandosi dell'acqua.

«Avevo intenzione di chiedere loro di unirsi all'ordine.»

«Davvero?»

Chissà perché, la prospettiva non lo allettava.

«Faren è un ottimo combattente, l'ho visto nelle Vie Profonde, mentre Sereda è un guerriero senza scopo e senza origini, potrei darle un futuro e le sue capacità non andrebbero sprecate.»

«Allora non vedo perché non fare un tentativo. Se rifiutano pazienza, almeno ci avrai provato.» recitò saggiamente (Io, te e loro, pagina quarantuno).

Duncan annuì, perso tra le sue considerazioni.

“Che persona matura che sono.” si prese in giro.

Elmer aveva abbozzato un calcolo: Faren era una persona indipendente, scommetteva che preferisse trovare la sua strada da solo; era Sereda l'oscura incognita che rischiava di rovinargli l'esperienza positiva. C'era da sperare che la sua depressione le impedisse di sopportare la presenza di persone non depresse.

«Che strada prendiamo?»

«Andremo a Redcliffe, poi a Lothering, infine raggiungeremo Ostagar. Ci vorranno circa una ventina di giorni a piedi.»

«Una bella camminata.» si lamentò.

«Lo so che in realtà adori camminare.»

«È tutto da dimostrare.»

«Sii gentile, Elmer, chiama i nostri amici. Vorrei una risposta prima di partire, e non voglio trascorrere l'intera mattinata ad attenderli.»

Il mago finì il pasto e si alzò diretto verso la stanza di Sereda. Si immaginava di trovarla immersa in una densa nuvola di angoscia con sottofondo musicale fornito da pensieri suicidi sussurrati a fior di labbra, in perfetto stile possessione demoniaca. Bussò.

«Chi è?» giunse una vocina.

Era la voce di lady Aeducan quella?

“Le donne possono essere castrate?”

«Sono Elmer, Sereda. Posso entrare?»

«Sì.»

Aprì, notando che la porta non era stata chiusa a chiave. Sereda era vestita e seduta sulla sponda del letto non sfatto; gli occhi erano arrossati e il volto stanco impegnato in un falso sorriso.

«Sereda... non avete dormito.»

«Lo so. Mi dispiace.» rispose lei abbassando lo sguardo sul pavimento.

«Non dovete chiedermi scusa, sono solo... preoccupato.» disse sedendole accanto.

Preoccupato un bel paio di palle: era l'occasione giusta per sapere dell'esilio, occorreva soltanto una buona dose di empatia e comprensione; se interpretava la dolce Sorella Mikae il successo era garantito.

«Mi spiace darvi preoccupazioni. Mi spiace che-»

La voce le tremò e non fu in grado di continuare. Le poggiò una mano sulla schiena e strofinò delicatamente, come a suo tempo aveva consolato Rica. La nana deglutì un paio di volte, immobile, successivamente prese dei respiri profondi e annuì con forza per comunicare che era a posto.

«Se volete parlarne, Sereda...»

«No, ser Elmer, vi ringrazio sentitamente ma non è il caso.»

«Come desiderate.» acconsentì bestemmiando mentalmente. «Vi va di fare colazione? Duncan è di sotto e vorrebbe parlarvi.»

«Sì, certamente.»

Gli lanciò un piccolo sorriso e lui sorrise di rimando. Neanche questa volta aveva avuto successo.

“Maledizione, avevo tutto il dialogo pronto!”

E l'espressione, e il movimento! Il suo illustre genio calpestato nel nome della riservatezza! Porca trota, quanto le era difficile lasciarsi andare a pianti isterici e spiattellare l'intera sua triste vita dal fasciatoio a oggi ricca di pettegolezzi aristocratici e intrighi politici?! Inutile donna.

Uscirono e sul pianerottolo notarono la locandiera battere colpi alla stanza di Faren con evidente impazienza. Si udì una voce irata imprecare e intimare all'umana di sparire. Elmer rimase di sasso: il pelato taciturno aveva alzato il tono? Si sbarazzò di Sereda dicendole che li avrebbe raggiunti e parlò alla donna imbronciata.

«Qualcosa non va?»

«È quello scavamontagne! Come posso cambiare le lenzuola e le candele se non mi fa entrare?!»

«Date pure a me.» replicò affabile sfoderando il suo sorriso da conquista. «Lo conosco, ci penso io.»

La locandiera, sebbene sposata fedelmente con il locandiere, perse un po' del cattivo umore di fronte al bel giovane, com'era giusto che fosse. Mantenne però il suo contegno e, senza perdere il broncio, gli rifilò candele e lenzuola e passò alla camera successiva. Missione compiuta.

«Faren?» chiamò bussando. «Sono io, Elmer. Che stai combinando?»

«Vattene!»

«Faren, stai causando problemi alla locanda: o mi fai entrare o mi invito da solo. Tu sai che una porta è poco per me.»

“Che figata minacciare la gente.” gongolò.

Il nano brontolò rumorosamente, la serratura scattò e il pezzo di legno rettangolare venne spalancato con violenza. I due si fissarono, Elmer con un cipiglio interrogativo, il calvo dagli occhi marroni con un brutto muso. Senza proferire verbo il mago entrò e la porta venne sbattuta dietro di lui. La camera era un caos: cuscino e coperta erano sotto il letto, la sedia e il resto del magro mobilio erano stati ribaltati a terra e posizionati contro di esso. Un piccolo impenetrabile fortino.

“Un altro mistero?”

Che avevano di sbagliato i nani nel cervello?

«Hai dormito sotto il letto.» dedusse perplesso.

«Niente domande.» dichiarò secco il pelato.

«Ma perch-»

«Niente domande!»

«Okay, niente domande, niente domande.» disse svelto. «Coraggio, mettiamo a posto. Non possiamo lasciare tutto così, penseranno che sei posseduto.»

Faren bofonchiò frasi incomprensibili ma eventualmente gli diede una mano. Quando finirono, il nano sembrava meno nervoso.

«Tutto a posto?» gli chiese casuale.

«Nh.»

Elmer lo interpretò come un “ni”.

«Allora andiamo giù, gli altri ci aspettano.»

Si sedettero al tavolo. Sereda aveva rifiutato la proposta e Faren la imitò, tuttavia la felicità del moro fu breve poiché decisero di seguirli fino a Redcliffe e lì avrebbero visto il da farsi.

“Ma porca di quella...”

Il sempre intuitivo Duncan intuì i suoi sentimenti rivoltosi e propose immediatamente di ripartire. Con rassegnazione l'anziano Custode si disse che sarebbe stato un lungo viaggio.





Note dell'autore:
Come consigliato da Mikoru, ho indossato i guanti nelle piccole parti dove abbiamo l'Elmer-lecchino ^^
Le poche cose che posso commentare sono tre: Duncan è ormai rassegnato, sì, non c'è speranza; Sereda, cioè l'origine nano nobile del gioco, fa davvero questa fine, cioè viene esiliata (per motivi precisi che non sto qui a dire, tanto li dirà lei prima o poi) e sbattuta nelle Vie Profonde per morire combattendo e lì incontra Duncan con un gruppetto di Custodi che chiede al nano di unirsi ai Custodi Grigi, e poi da lì ci si sposta a Ostagar; Faren, l'origine nano popolano, usciva in un altro modo che mi pare averlo detto da qualche parte, comunque, veniva beccato dalle guardie a Orzammar e Duncan lo coscriveva.
Altro? Beh, tra Elmer e Sereda non scorre e non scorrerà buon sangue, segnatevi queste parole u_u

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Capitolo 17
*** Redcliffe ***


C'era da chiedersi se il Creatore stesse piangendo dalla disperazione o dal divertimento, perché non aveva ancora smesso di emettere acqua scrosciante. Tre giorni di pioggia. Tre fottutissimi giorni. Di buono c'era che gli stivali tenevano che era una meraviglia e i piedi erano asciutti, di brutto tutto il resto. Fossero stati solo lui e Duncan sarebbe stato l'ideale.

Sereda era un'eterna depressa e non le interessava nulla di quello che le accadeva attorno, a meno che non si trattasse di banditi o animali selvatici in cerca di guai. I tentativi di conversazione erano falliti e Elmer aveva perso la pazienza: chissenefrega lei e il suo stupido esilio, a questo punto non meritava certo la sua preziosa attenzione. Faren era tornato a non spiccicare sillaba. Sembrava turbato per motivi ignoti, forse sentiva la mancanza di Rica, boh, ma la stramberia del muoversi come a evitare le singole gocce cadenti dal cielo aveva generato sospetto nei due umani che si erano lanciati sguardi d'intesa. Odiava l'acqua? E chi lo sapeva se a questo mondo esistevano nani idrofobi oltre che amanti del dormire sotto i letti.

Arrivare a Redcliffe e disfarsi del loro malanimo era divenuta una necessità primaria, ne andava della sua psiche; nei momenti peggiori aveva contemplato il brutale omicidio.

“Sto per cedere all'isteria, me lo sento.” si diceva con il principio di un tic nervoso al sopracciglio destro.

Il Comandante aveva notato il suo umore e lo coinvolgeva in tutto quello che riusciva a pensare: lezioni di caccia, spiegazioni sullo sfruttamento del terreno in battaglia, istruzioni sul mantenere pulite e funzionali armature e armi, scuoiare e trattare le pelli animali per farne indumenti vari, consigli sui mille usi di corda e coltello, eccetera eccetera. Al quinto giorno il povero Duncan non sapeva più che inventarsi, comunque Elmer aveva apprezzato immensamente lo sforzo.

Quando quella notte giunsero a Redcliffe, il mago credette di svenire dalla felicità: le rughe sulla fronte si appiattirono, il nodo allo stomaco si disfò e una sorta di pace interiore prese possesso di lui. Il suo sorriso avrebbe potuto benissimo splendere nell'oscurità.

«Le nostre strade si separano qui.» annunciò Duncan sotto l'acquazzone al bivio tra castello e villaggio. «È stato un piacere avervi come compagni di viaggio.»

Erano balle e lo sapevano tutti, ma la cortesia era uno dei pregi del Custode anziano.

«Vi auguro un cammino sicuro, che il Creatore vegli sui vostri passi e gli Antenati vi siano favorevoli.»

«Grazie Custode. Ser Elmer, ser Faren.» salutò Sereda con l'espressione demoralizzata da martire afflitta scolpita nella pietra.

“Meno male che te ne vaiiiii!” esultò il moro tra sé.

Lui si pronunciò in un breve addio e testa pelata si accomiatò con un semplice cenno girando i tacchi. Entrambi i nani scesero verso la cittadina mentre lui e Duncan attraversarono il ponticello e si recarono al maniero che sovrastava le colline da un'altura isolata. Visto che erano lì, il Comandante gli aveva riferito che una chiacchierata con l'arle di Redcliffe era consigliabile. Stabilite la loro identità e la ragione della visita notturna, le guardie permisero l'udienza con arle Eamon e i due attesero il suo arrivo nella modesta sala del trono.

Era un posticino accogliente senza troppe pretese, al contrario del palazzo reale nanico che era circa il doppio dell'edificio, se non di più, forse per compensare la statura. Trovò che preferiva questa familiarità di legno e profumo di cane alla ricchezza fredda e granitica dei piani di sotto.

«Comandante Duncan.»

Un uomo sulla sessantina fece il suo ingresso scacciando il sonno dal suo volto e allacciando la vestaglia svolazzante. Il suo aspetto gli ricordava i maghi in età avanzata della torre e le linee dolci del viso lasciavano intendere un buon carattere.

«Arle Eamon.»

«Vorrei poter dire che è un piacere vedervi, Custode, ma le notizie da Ostagar non mi lasciano tranquillo, e temo voi mi portiate altre tristi novità.»

«In verità non sono al corrente degli eventi più recenti. Sono partito un mese fa, in cerca di sostegno, e solo adesso sto tornando a Ostagar.»

«Avete avuto fortuna?»

«Il Circolo dei Maghi non ritiene indispensabile l'invio di altri suoi protetti, e finché re Endrin, signore dei nani, non sarà convinto di un effettivo Flagello, non spedirà i suoi soldati in questioni di superficie.»

«Tristi novità, dunque.» sospirò grave l'arle.

«Purtroppo. Dato che Redliffe era di strada ho voluto fermarmi per chiedervi della vostra situazione militare, se mi è concesso.»

«Non ho grandi numeri al mio comando, ma non esiterò a spostare le mie truppe. In una settimana potrei essere a Ostagar, se Cailan me lo consentirà. Nel suo ultimo messaggio afferma di avere la situazione sotto controllo e che il suo esercito è riuscito a respingere gli attacchi di quei mostri. È fiducioso, spera in una battaglia veloce con poche perdite.» disse con altrettanta poca convinzione. «So com'è fatto mio nipote, tuttavia, se le circostanze peggiorassero, sono certo che il suo generale manderà immediatamente delle richieste di rinforzi.»

«Teyrn Loghain sa quel che fa.» concordò Duncan.

«C'è altro di cui desiderate parlare, Comandante?»

«No, mio signore.»

«Allora lasciate che vi offra ospitalità. È notte tarda e la pioggia viene giù come il Creatore comanda, voi e il vostro compagno sarete stremati. Ho già predisposto delle stanze e l'acqua per un bagno caldo sarà pronta a breve, intanto passate pure a servirvi dalle cucine.»

«Vi ringraziamo e accettiamo volentieri la vostra gentilezza, mio signore.»

Si congedarono e sbocconcellarono il cibo della dispensa supervisionati da una cuoca seccata; si defilarono prima che impugnasse un minaccioso mestolo e seguirono i servitori fino alle stanze assegnate. La prima cosa che attirò la sua attenzione fu la grande tinozza fumante. Gettò da qualche parte lo zaino, si spogliò in un lampo e si immerse piano nel calore liquido. Non era ai livelli del bagno reale (dotata di qualcosa di divino chiamato idromassaggio) ma dopo la fatica e la pressione psicologica giungeva ugualmente come un toccasana salvifico. Procedette con calma, lasciando che il suo corpo si abituasse alla temperatura e i muscoli si rilassassero, poi si insaponò, felice di rimuovere lo sporco accumulato in quei giorni di marcia, e si risciacquò. Gli dispiaceva lasciare il dolce tepore, ma ormai l'acqua era sporca e tiepida e non aveva senso rimanervi. Si avvolse in un telo e mentre si asciugava si godette il panorama dalla finestra che dava sul grande villaggio e la vicina riva sud del lago Calenhad. Nonostante la pioggia togliesse gran parte della visuale, si intravedevano le luci dei fuochi delle case, e per uno che con le finestre aveva un rapporto complicato, quell'umile vista bastava e avanzava.

“Chissà dove sono quei due.”

Ancora disturbavano i suoi pensieri. Anzi, era Sereda a dare grattacapi. Il regale visino rotondo gli balenò nella mente e di riflesso una mano andò a tastare l'umido prezioso di ametista. Era stato troppo severo con lei? Effettivamente non era colpa sua se aveva perso ogni cosa, però, se ripensava alla sua espressione umiliata quando le avevano consegnato del denaro affinché potesse cavarsela per un paio di giorni, lo investiva un'indignazione folgorante. Cercò dentro di sé un qualsivoglia senso di colpa per il suo odio tuttavia non ne trovò. In fondo si era davvero impegnato per essere civile e disponibile, e mica era obbligato a farlo, avrebbe potuto snobbarla fin dalla locanda. Era ovvio che una volta strappata dal suo ambiente la principessa si trovasse smarrita, eppure non gli veniva di compatirla, né di farsi carico delle sue sofferenze come invece era capitato con Rica. C'erano state l'educazione e l'affettazione che si trascinavano dai fasti di Orzammar per la posizione sociale da lei ricoperta, ma la nana l'aveva pregato di metterle da parte, quindi, tolto il suo lato lecchino, cosa rimaneva?

“Niente. Non rimane niente. Ma perché?”

Dov'era l'istinto di aiutare il prossimo che i libri tanto amavano decantare? Funzionava soltanto con persone dalla grave condizione famigliare ed economica? Ci rifletté sopra ma l'unica cosa che ottenne furono altre considerazioni negative su Sereda: privata della sua zona di conforto, si era alienata fino a un punto di non ritorno. Era... Qual era il termine giusto? Ah sì: debole. Anziché rimboccarsi le maniche e reagire si piangeva addosso, un modo di fare predominante in un soggetto a lui ben noto.

“Jowan.”

Irritato dalla piega della sua riflessione, si concentrò sul rumore della pioggia incessante per togliersi dalla testa l'ex fratello, e quando si fu calmato decise di coricarsi. Si cambiò e si raggomitolò tra le coperte di pelliccia, genuinamente stanco, e si addormentò subito.

«Potrebbe essere tuo.»

Spalancò gli occhi e si sedette di scatto. Una figura ammantata da un lungo mantello e un cappuccio stava in piedi davanti alla porta.

“Ma checcavolo...?”

«Potrebbe essere tuo.» ripeté la strana voce.

«Chi sei?»

«Potrebbe essere tuo.»

La fissò in tralice: sfotteva? E com'era entrata? Perché le guardie appostate lungo il corridoio non avevano agito a protezione dell'ospite dell'arle?

«Che cosa potrebbe essere mio?» tentò stavolta.

«Questa camera. Questo castello. Quel villaggio oltre il ponte.»

Di cosa stava parlando? Era tutto talmente surreale che... D'un tratto capì. Volse lo sguardo alla finestra e fuori vide i colori dell'Oblio. Era proprio vero che ti venivano a trovare quando meno te l'aspettavi. Ma con lui non attaccava, era troppo in gamba per cadere in certe trappolette da quattro soldi che qualsiasi mago degno di questo nome evitava abilmente senza problemi.

«Senti, demone, ho sonno e ho voglia di farmi una dormita decente. Ti dispiace?»

«Chi potrebbe fermarti?»

«Sì, sì, va bene. Quella è la porta.»

«Non dirmi che il pensiero non ti ha sfiorato. Non mentire.»

«E chi dice niente.»

«È davvero un gioco, per te? Dimmi, che valore dai alla tua libertà?»

Elmer non replicò, la cosa più idiota da fare con i demoni era mettersi a chiacchierare con loro. Occupò il tempo scegliendo un incantesimo abbastanza potente e immediato da scacciarlo.

«Quel Custode è l'unico ostacolo che ti separa dai tuoi desideri. Un piccolo uomo ti impedisce di spiccare il volo.» bisbigliò suadente la creatura. «Si fida di te. Potresti entrare nella sua stanza e-»

Una palla di fuoco si schiantò sull'oscuro personaggio lasciando al suo posto resti inceneriti.

I demoni minori erano un gioco da ragazzi; si aggrappavano alle tentazioni comuni e irretivano alla cieca affidandosi al caso ma il loro potere di persuasione era troppo misero per rappresentare una seria minaccia se non per bambini molto ingenui.

«Demoni, hmph.»

Poggiò la testa sul cuscino, abbassò le palpebre, e in un battito di ciglia riaprì gli occhi che era mattina. Se li stropicciò brontolando contro l'Oblio e i suoi abitanti, desideroso di poltrire a letto ancora un po'; le visite di quei dannati mostri ti impedivano un riposo completo e generalmente ti lasciavano di cattivo umore. Al solito non disse nulla a Duncan dei suoi sogni speciali, non era il caso di rifilargli preoccupazioni inutili e instillare il dubbio sulla sanità mentale del mago di turno; si unì a lui per una colazione veloce e un arrivederci all'arle e famiglia.

«Confido in messaggi tempestivi nel caso la situazione degenerasse.» raccomandò l'anziano signore e Duncan annuì.

«Che il Creatore vegli su di voi e le vostre cavalcature in queste strade pericolose, Custodi.» disse la giovane moglie con accento orlesiano, lady Isolde se non errava.

«Cavalcature?» ripeté perplesso il moro.

«Ho notato che eravate appiedati e mi sono permesso di mettervi a disposizione due cavalli.» sorrise l'arle mentre due soldati si avvicinavano con le bestie menzionate.

Sembrava che il sogno di Elmer di cavalcare uno di quei cosi fosse divenuto realtà. Il Comandante gli insegnò come montare correttamente e indirizzare l'animale nella direzione voluta oltre ai consigli fondamentali per non cadere.

«Fantastico.» gioì dall'alto della sua sella.

Neanche il malumore causato dal demone poteva rivaleggiare con la vista della testa del cavallo che faceva su e giù mentre si muoveva. Era una bella sensazione trovarsi in groppa ad un animale così grosso e scattante, adatto ai veloci messaggeri dell'esercito, e si ritrovò emozionato come un bambino, ricamando sopra l'immagine classica dell'eroe che cavalcava col vento tra i capelli. Leggermente infantile, sì, lo sapeva.

«Attento a non farti disarcionare. Niente strattoni improvvisi, e rimani calmo, l'animale percepisce lo stato d'animo del suo cavaliere.» istruì il Custode. «Accorceremo della metà il tragitto, in compenso avremo dei bei mal di dietro.»

«Molto stimolante, Duncan, grazie.» si accigliò il mago e il compagno rise.

Si diressero al villaggio per rimpolpare le scorte di viveri in vista del cammino; il Comandante aveva previsto una Lothering piuttosto affollata e voleva assicurarsi di avere cibo sufficiente fino a destinazione. Disgrazia delle disgrazie, tragedia delle tragedie, maledizione delle maledizioni, incrociarono Sereda Aeducan, più precisamente venne lei verso di loro. Disse che ci aveva ripensato. La fissò con occhi sbarrati mentre il tic al sopracciglio tornava alla ribalta.

“Ripensato?!”

Nella sua testa si alzò un coro degenerato di... di... Meglio non specificare. Il cavallo mosse le orecchie innervosito.

«Avete riconsiderato la via del nostro ordine?» chiese speranzoso il Custode.

«No, sono desolata. Ma tengo caro il vostro consiglio: sono viva e voglio rendermi utile. Combatterò al fianco degli umani contro i prole oscura.»

“Andraste, cosa ho fatto di male per meritarmi questo?!” fumò.

Miss allegria sorrise a suo indirizzo e lui ricambiò con immane fatica; le labbra formarono un sorriso al contrario appena la nana si voltò. Non voleva quella zavorra emotiva ambulante nelle sue vicinanze. Non poteva sparire? O morire inciampando in una maledetta buca profonda quanto la sua depressione?

Scocciato dalla presenza sgradita e bisognoso di qualche attimo per riprendere il suo contegno, disse a Duncan che avrebbe girovagato un po' a piedi per il mercato. Non trovò grande conforto nella confusione della piazza, il chiasso degli strilloni minacciò soltanto un mal di testa e la visione lontana di una chiesa e templari appostati all'esterno non contribuì affatto a placare l'irritazione che serpeggiava in lui.

Stava camminando tra la folla diretto verso il molo (tirare sassi all'acqua l'avrebbe aiutato a sfogarsi) quando un uomo inciampò e cadde a terra. Si girò per osservare l'accaduto, insieme a varie persone, e fu sorpreso di vedere Faren dare un cazzotto al tizio, slegare le bolas impigliate nei piedi di quest'ultimo, e appropriarsi di... ehi!

«Quella è mia!» esclamò fissando la sua scarsella, scomparsa dalla sua cintura.

Il calvo si avvicinò e gliela lanciò.

«Sta' più attento, gambe lunghe.»

Finalmente qualcuno che si curava del suo benessere. Faren guadagnò d'un colpo venti punti simpatia.

«Grazie, Faren. Non me ne ero proprio accorto.»

«L'ho visto, è stato bravo.» commentò, e Elmer si meravigliò di aver ricevuto parole invece del solito corto cenno o grugnito.

Incoraggiato, attaccò bottone.

«Allora, hai deciso cosa farai? A parte salvare ignari passanti dal borseggio, intendo. Ho sentito i mercanti di quel carro cercare gente capace per scortarli fino a Denerim.»

«Mh.» replicò il nano soppesandoli. «Pensavo a qualcosa di diverso.»

«Per esempio?»

«Alla taverna hanno detto che c'è questo nano mercenario, Dwyn. Perciò...» cominciò senza continuare.

«Mercenario, eh?» concluse per lui. «Sono sicuro che ti prenderà con sé, sei uno dei nani più valorosi che io abbia mai incontrato.»

«Non ne hai incontrati tanti.»

«Beh, se non ti assumerà significa che è uno stupido.»

«Forse.»

Forse”? In che senso “forse”? Erano dubbi quelli? No, improbabile, Faren era un nano dalle grandi capacità e dal carattere nudo e crudo, non c'era spazio per l'incertezza in quel corpicino proporzionato e muscoloso. Eppure...

«È tutto a posto, Faren?»

Mentre mugugnava uno scontroso “sì”, delle linee si mossero sul suo viso, dandogli un'espressione differente dalla fredda “machofigaggine”. Sembrava quasi il corrispondente “fareniano” dell'esitazione. Non era tutto a posto.

«Rica non vorrebbe che ti chiudessi in questo modo con i pochi amici che hai in superficie.» ricattò in tono preoccupato.

Testa pelata lo squadrò truce ma Elmer non si fece intimidire, adottando un'aria da mamma severa presa in prestito dall'incantatrice Wynne. Una mossa vincente, Faren cedette e distolse lo sguardo.

«Non mi piace la roba azzurra.»

«Quale roba azzurra?»

Imbarazzato, il nano indicò il cielo con un dito.

«Oh. Suppongo che ci si debba abituare.»

«La ragazza Aeducan non ha avuto problemi.»

«La ragazza Aeducan è troppo occupata con le sue fisime personali. Scommetto che non s'è nemmeno accorta di che colore è, il cielo.» affermò acido.

«Non ti piace?» domandò il nano sorpreso; comprensibile visto che era sempre stato falsamente servizievole con lei.

«Mi piacerebbe di più se ci fosse con la testa. Amo parlare con le persone, non con i muri.»

Testa pelata esibì un minuscolo sorrisetto e dentro di sé Elmer eseguì una danza della vittoria.

«Non so come funzioni tra i nobili, ma deve essere brutto anche per loro essere cacciati dalla propria famiglia. Col tempo...»

Di nuovo interruppe la frase. Era un'abitudine?

«Lo spero, perché ha deciso di unirsi all'esercito a Ostagar per combattere la prole oscura. Viaggeremo insieme. Con la mia fortuna dovrò condividere con lei pure il cavallo.» sottolineò, scatenando un altro semi-sorriso. «Non è divertente, testa pelata.» fece simulando offesa.

«Lo è, gambe lunghe.»

Rotto il ghiaccio, parlarono ancora un pochino e il mago scoprì che il povero tappo credeva che i senzacasta venissero presi a pesci in faccia da tutti anche fuori Orzammar per partito preso. Si impegnò a incoraggiarlo e a presentarsi a Dwyn, spiegandogli che l'occasione di riscrivere la sua vita da zero era lì e adesso. Quando parve che il concetto gli fosse arrivato si congedò a malincuore, e si stupì davvero di provare dispiacere nel separarsi dalla zucca calva. Incredibile come un'ultima chiacchierata potesse cambiare l'opinione che si aveva di una persona.

«Trovato qualcosa di interessante?» gli chiese Duncan una volta che li ebbe raggiunti.

«Ho incontrato Faren. Ha salvato la mia scarsella da un ladro.»

«Molto gentile da parte sua.»

«Già. Ha detto che tenterà la strada del mercenario, sono sicuro che avrà successo.»

«Lo credo anch'io, è un ottimo combattente.»

«E voi, Sereda? Credete che avrà successo?»

«Cosa?»

«Faren e la sua carriera di mercenario.»

«Sì. Credo di sì.»

“Non spargiamo troppo entusiasmo nell'aria, eh.”

Il moro esibì una malcelata smorfia. Perché sforzarsi di coinvolgerla?

Duncan osservava con occhio esperto: la principessa era persa in se stessa e il giovane mago non sopportava il prolungato malumore altrui. Si augurò che le cose non precipitassero con quei due caratteri così opposti.






Note dell'autore:
Era un bel po' che non scrivevo su questa ficci, vuoi perché ho avuto per le mani altri progetti, vuoi per lo studio, e vuoi perché non mi veniva la giusta ispirazione. Così due giorni fa ho iniziato una partita a Dragon Age Origins per ritrovare il ritmo e la giusta atmosfera. Probabilmente non la continuerò mai e la cancellerò la prossima volta che apro il gioco, ma è servita allo scopo XD
Prima di proseguire con i vari commenti sul capitolo, voglio augurare a tutti buone feste: buona vigilia, buon Natale e buon anno nuovo! Perché tanto lo so che non posterò più niente fino a gennaio e non voglio fare gli auguri del nuovo anno in ritardo. Già ho potuto augurare buona sopravvivenza solo ai pochi di cui mi sono ricordata dopo il 21 dicembre, non voglio fare lo stesso errore con gli auguri classici u_u
Beh, che posso dire? Spero stiate tutti bene e passiate un bel periodo, e adesso torniamo dal mio maghetto preferito ^^
Ci tenevo alla sosta a Redcliffe per disfarmi dei personaggi di troppo, anche se alla fine Faren è il migliore dei due nani presenti. Ma sono contenta perché farà la sua vita e la prossima volta che lo incontreremo si sarà abituato alla roba azzurra XD Sereda invece ce la sorbiremo ancora per un po' =_=
Dunque, cose che mi sono parse sensate da mettere... La prima è la comparsa di questi "demoni minori".
In qualsiasi storia io abbia letto (e anche in gioco e nei libri del gioco) si fa cenno alle visite notturne dei demoni solo di sfuggita, tanto per informare i lettori e altri personaggi che i poveri maghi devono sorbirseli quasi quotidianamente; oppure ci sono le grandi occasioni, i demoni di grosso calibro che assillano il protagonista nei momenti più delicati. Disgraziatamente per voi la sottoscritta si è chiesta perché non ci sono descrizioni brevi di visitine insignificanti u_u
DA ci dice che i demoni rompono i maroni a chiunque abbia abilità magiche, giusto? Ebbene, quello che ci lascia a intendere è: vanno a trovare i maghi a casaccio se non hanno piste emotive particolari da fiutare, o in modo insistente se avvertono persone particolarmente potenti o particolarmente complessate. Quindi la formula secondo me è questa: normalmente i demoni vanno a trovare i maghi una volta sì e quattro no se si tratta di maghi con nessun problema emotivo al momento, e due volte sì e una no se si tratta di maghi con qualche difficoltà emotiva, oppure tutte le sere sì se il tipo è veramente un caso disperato. Frequenza visite spiegata.
Per quanto riguarda invece la difficoltà, mi è sembrato naturale ipotizzare (o così almeno l'ho intesa io giocandomi il mago) che nell'Oblio non ci sono solo demoni super potenti, ci sono anche le mezze tacche che devono pur mangiare qualcosa per sopravvivere e accumulare potere per il salto di qualità, no? Un po' come in gioco, dove ci sono i demoni da falciare tranquillamente e i demoni boss finali. Perciò è ovvio che devono esserci per forza i demoni di basso rango senza grande intelleto sprovvisti della dialettica e della forza magica necessaria a irretire qualcuno (perché ho notato, soprattutto in DA2, che spesso è proprio per magia che la gente cambia opinione e passa al lato oscuro O_O), e vanno esclusivamente a botta di culo, altrimenti quei piccoli teneri dolci vulnerabili bambini neo-maghi come farebbero a sopravvivere fino alla pubertà e oltre? XD
Vabbè, taglio se mi dilungo troppo, credo di essermi spiegata, insomma.
Altre cose sensate da mettere sono state la settimana di tempo di Eamon per mandare truppe a Ostagar, informazione menzionata quando si incontra re Cailan. Come fa Duncan a saperlo se non ha fatto due chiacchiere con Eamon? Vedete sopra quello che secondo me è successo. Suppongo i due si fidino abbastanza l'uno dell'altro per scambiarsi certe notizie, boh.
Altro? I cavalliiiiiiiiiiii! Non possiamo sempre andare a piediiiiiiiii! XD
E basta, di nuovo tanti auguri a tutti, e la prossima volta spero di avere più di un capitolo da darvi ^^

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Capitolo 18
*** - ***


«Vi prego, dovete credermi!»

Stavano iniziando la salita che conduceva fuori dal villaggio e poco più avanti un gruppetto di contadini ostruiva il passaggio, impegnato a inveire contro un loro compaesano.

«Taci, Leon. Va' a spargere le tue fandonie orlesiane da un'altra parte.»

«Siamo stufi di ascoltare le tue idiozie. Perché non ti prendi il tuo asino e vai tu stesso a risolvere il problema, eh?»

«Codardo, non è altro che un codardo.»

«Come tutti gli orlesiani! Ah ah ah!»

Il fastidioso coro di scherno si calmò all'approssimarsi del trio armato e la banda di braccianti si disperse per liberare la via, rinunciando al motteggio. Elmer li osservò con curiosità, estraneo ad azioni di bullismo tanto plateali. Si immaginò una scenetta del genere al Circolo e gli scappò uno sbuffo divertito: la magia avrebbe reso la faccenda molto più interessante. Dietro di lui, aggrappata ai suoi fianchi per paura di cascare dal mastodontico animale, Sereda si domandò cosa ci fosse di spassoso.

«Signori, vi prego, ascoltatemi!» implorò la vittima quando gli passarono accanto.

«Mi spiace, buonuomo, abbiamo parecchi giorni di marcia davanti a noi e abbiamo fretta.» disse Duncan senza rallentare il cavallo.

«C'è un nido di ragni giganti sulla strada per Lothering. Nessuno mi crede, ma io l'ho visto! Viaggiavo con altra gente e... soltanto io sono sopravvissuto.»

«Perché non ne parlate con i soldati dell'arle?» consigliò la nana, stupendo il mago per l'imprevista partecipazione. «Sicuramente avranno interesse a salvaguardare l'incolumità dei cittadini.»

«Il capitano mi ha buttato fuori a calci dalla guarnigione.» confessò mesto il poveraccio. «Non sono un guerriero, e non ho denaro per assoldare mercenari. Ho tentato di convincerli a organizzare una spedizione ma hanno preso a calunniarmi e nessuno si fida più di me. Dopo anni che vivo qui nel Ferelden!» si sfogò.

«Andiamo. Non sono affari che ci riguardano.» esortò Duncan inamovibile.

«Ser, morirete se andrete da quella parte!»

«Staremo attenti, vi ringrazio per l'avvertimento.» tagliò corto lui.

Al moro venne in mente la conversazione a Orzammar in cui il suo barbuto superiore raccomandava di non intromettersi negli affari altrui. Sinceramente non vedeva cosa ci fosse di male nel dar retta al poveraccio, la faccenda odorava di avventura priva di conseguenze politiche per l'ordine, un'occasione succulenta dopo le giornate pesanti con i nani, tuttavia, considerando che c'era una vera e propria guerra nelle vicinanze, il passo svelto e la freddezza di Duncan erano più che giustificati. Peccato, però.

«Ascoltatemi, almeno voi!» pregò l'uomo sbarrando loro il cammino. «Non sono ragni comuni, sono... sono diversi, malati.»

«I ragni si ammalano?» ironizzò il mago.

«Lo giuro, signori, giuro che ho visto quel che ho visto: ragni giganti dal puzzo immondo e dall'aspetto così orrido come non ne avevo mai veduti, e io ho già incontrato ragni giganti.»

«Sentite, buonuomo-» cominciò spazientito il Comandante.

«Lasciate che venga con voi!» interruppe Leon. «Vi indicherò dove sono apparsi.»

Duncan lo fissò, indeciso tra scrollarselo di dosso in malo modo o assecondarlo.

«Lasciamolo venire.» propose Elmer, mosso a divertita compassione. «E se è una menzogna lo avremo a portata di spada.»

«D'accordo.» acconsentì il Custode anziano dopo qualche momento di riflessione. «Rimanete davanti a me, ser, vi terrò d'occhio.»

«Grazie, signori, non ve ne pentirete.»

«Lo vedremo.» fece Duncan lapidario.

“Povero Comandante, la sfilza di contrattempi sulla strada per Ostagar sembra non finire mai.” rise tra sé il giovane.

«Il mio nome è Leon, provengo dalla campagna di Orlais. L'ho lasciata cinque anni fa per trasferirmi qui.» raccontò l'uomo senza essere interpellato. «Faccio il carrettiere, anche se ho perso il mio carro e i miei cavalli nell'attacco di quelle maledette bestiacce, che il Creatore le fulmini. Mi è rimasto soltanto Horlon, il mio fedele asino.» continuò carezzando il quadrupede.

“Allora è vero che la gente comincia a chiacchierare della propria vita così alla cazzo. Credevo fosse un espediente narrativo.” si stupì il moro prestando orecchio.

«Quando saremo là vedrete il mio carro, quello non lo avranno certo divorato, così mi crederete.»

E non stette zitto finché non arrivarono là. Le pause per prendere fiato si contarono sulle dita di una mano. Duncan non gli diede troppo corda ma Leon era un abile oratore e molti dei suoi aneddoti gli strapparono un mezzo sorriso e una battuta, mentre Elmer rideva ascoltando avido le storie strampalate e imbarazzanti. Impiegarono una tranquilla e piacevole mezza giornata a raggiungere il luogo indicato e abbandonarono il sentiero per un tratto, seguendolo in parallelo ad una distanza di sicurezza, secondo le stime del carrettiere.

«Ecco, è successo laggiù.» disse puntando il dito verso il limitare della foresta, che costeggiava da vicino il sentiero per qualche centinaio di metri.

«Non vedo alcun carro.» notò il mago.

«Infatti.» confermò il Custode contrariato.

«Ma... Era lì! L'hanno ribaltato e io sono corso via!»

«Leon, la vostra presenza non è più necessaria.»

Duncan non andava tanto per il sottile in fatto di espressioni facciali pericolose, non amava essere preso per i fondelli. Leon ci rimase davvero male.

«Ser, ho detto la verità e ve lo proverò!» annunciò risoluto.

Attorcigliò le redini di Horlon ad un cespuglio e si avviò con passo sempre meno deciso verso la selva dove si supponeva avessero il nido le bestie.

«Fa sul serio?» domandò il giovane.

«Così sembrerebbe.» disse Duncan.

Rimasero lì, a braccia conserte, a guardare fin dove l'orgoglio ferito avrebbe spinto l'uomo.

«Non dovremmo proseguire?» interloquì Sereda.

Evidentemente non comprendeva la tipica curiosità maschile su questioni riguardanti la sacra virilità, una curiosità che costringeva tutti, giovani e vecchi, ricchi e poveri, a fermarsi nelle loro quotidiane mansioni e assistere alle prodezze o alle pessime figure del maschio di turno. Era una sorta di legge naturale. E i due qui presenti non facevano eccezione.

«Non vediamo prima che combina?» propose infatti Elmer.

«Sereda ha ragione. Dovremmo incamminarci.» assentì il superiore barbuto, rimanendo però immobile.

«Già. Dovremmo.» rispose a malincuore il mago.

«Dovremmo.» ripeté il Comandante.

Nessuno si mosse.

«Dunque?» incalzò l'ex principessa.

«Ostagar non scapperà certo via, giusto, Duncan?»

«Soltanto un attimo, Sereda.»

Sereda borbottò qualcosa a proposito della stupidità umana; si sedette sull'erba accanto all'asino e attese.

«È arrivato.» riferì il giovane incantatore. «Secondo me torna indietro.»

«Secondo me entra nel bosco.» scommise il Custode.

«Secondo me dovremmo andare.» si lamentò Sereda, ignorata.

«È entrato! Non ci credo.» esclamò il mago bloccando il debole riverbero del sole con le mani per osservare meglio.

«L'avevo detto.»

«Possiamo andare?» si infervorò la donna.

«Suvvia, Sereda, rilassatevi. Minuto più, minuto meno, cosa cambia?»

«È ridicolo. Abbiamo una guerra da combattere e voi ve ne state qui a scommettere su un contadino. Per la Pietra.» imprecò balzando in piedi.

«Oh, per favore, come se ve ne importasse davvero qualcosa di questa guerra.» commentò Elmer con leggerezza.

La nana sgranò gli occhi e lo fissò a bocca spalancata.

«Cosa avete detto?» sfidò torva.

«Nulla, Sereda, nulla. Perché non vi mettete lì tranquilla? Ci vorrà soltanto qualche altro minuto.»

«Come osate trattarmi al pari di una ragazzina!»

Quel giorno Elmer avrebbe imparato che dare le spalle e nel contempo insultare un nano, non era una buona idea. L'ex principessa non ebbe alcuna difficoltà a spintonarlo giù con una spallata, saltargli a cavalcioni e tempestarlo di pugni, tutti molto precisi.

Il moro, sorpreso dall'inaspettata aggressione, subiva impotente. Un paio di nocche dure come la roccia si abbatterono sulle guance, gli zigomi, la fronte, poi sulle braccia che usò per ripararsi. Dolente ma non intontito, il mago riuscì a concentrarsi abbastanza da evocare una scarica elettrica che serpeggiò sugli arti. Se non fosse stato per Duncan che la afferrò per le ascelle, la nana avrebbe subito uno shock non da poco.

«Come osate! Come osate! Non sapete chi sono io!» ringhiò selvaggia, incurante del pericolo appena scampato.

«Una dannata bisbetica, ecco quel che siete!» rispose per le rime Elmer, rialzatosi con una mano al labbro sanguinante.

«Basta così!» tuonò il Comandante.

«Non prendo ordini da un umano!»

«Non prendete ordini da un umano? Chi credete di essere, a parte una principessa esiliata?»

«Toglietemi le vostre manacce sporche di dosso! Lo ucciderò, LO UCCIDERÒ!»

Dimenandosi, Sereda sfuggì alla presa di Duncan. Non arrivò ad acciuffarlo. Il mago evocò un pugno di pietra che la beccò in pieno stomaco stroncandole il respiro e sbalzandola indietro; finì a carponi sull'erba, tossendo. Incavolato e desideroso di vendetta, Elmer allungò una mano e preparò una palla di fuoco tuttavia Duncan gli cinse il polso.

«Basta così.» ordinò, e, con riluttanza, il giovane annullò la magia.

Il desiderio ardente di infliggerle un dolore cento volte peggiore di quello che sentiva al volto si sottomise ai severi anni di autodisciplina che gli imposero di rispettare l'autorità dell'uomo più anziano. Le lanciò uno sguardo omicida: non era finita lì, col cavolo. Si tastò il viso sofferente e usò del mana per curarsi, non voleva rovinarsi con degli stupidi lividi e non voleva certo darle la soddisfazione di ammirarli nei giorni successivi.

«State bene, Sereda?» domandò il Custode.

A lei?! A lei lo domandava?!

«Ehi: vittima, qui. Mi vedi?» abbaiò sventolando la mano davanti al volto per chiarire il concetto, ricevendo soltanto una breve occhiata severa.

«Io sì,» rispose intanto Sereda. «ma ser Elmer non potrà affermare la medesima cosa tra poco.» minacciò rimettendosi in piedi con un braccio sullo stomaco.

«Dovete solo provarci.» ribatté l'interessato.

«Nessuno proverà niente. Riprendiamo la marcia. E se vedrò altre iniziative di questo genere mi occuperò di voi personalmente.»

I due avversari tacquero. Finché un urlo squarciò il silenzio. Horlon ragliò nervoso; impossibile non dedurre il proprietario del grido. Duncan scandagliò il bosco con espressione preoccupata.

«Controlliamo.» decise senza esitazione.

«Che cosa ci importa di quell'umano?!» obiettò furente la nana, stufa marcia di quell'assurdità. «La nostra destinazione è Ostagar!»

«Nessuno vi impedisce di andare, Sereda, ma se deciderete di rimanere con noi vi accetterò ad un'unica condizione: la mia parola è legge, non ammetto insubordinazione.» stabilì risoluto, e si incamminò in direzione della macchia verde.

Elmer si concesse un momento per godere dell'oltraggio sul bel visino, poi seguì il Comandante.

All'esterno sembrava un normale boschetto, con le sue querce dalle tonalità autunnali, ombreggiato dalle alte fronde. Avvicinandosi poterono però subito avvertire uno strano odore che non aveva nulla a che fare con il normale profumo di vegetazione. Il trio estrasse le armi.

«Custode, rispetto i vostri ordini ma vi chiedo di nuovo: che ci importa di quello sconosciuto?»

«Non è una nostra priorità, avete ragione, ma che razza di persone saremmo se lo abbandonassimo senza accertarci delle sue condizioni dopo aver sopportato la sua molesta compagnia per più di mezza giornata? Non mi considero un eroe, Sereda, ma nemmeno un uomo senza cuore.»

La donna, con grande soddisfazione del moro, tenne la ciabatta cucita.

«Elmer, avvertirmi appena senti qualcosa.»

Eccitato, il mago espanse le sue percezioni. Man mano che avanzavano i suoi sensi si estesero sulla macchia nel limite delle sue capacità, individuando ben poco. La natura incontaminata non doveva mica essere un ricettacolo di animaletti e roba varia? Soltanto quando si inoltrarono fino a non veder più il sentiero alle loro spalle scorse qualcosa in movimento, e non gli piacque affatto.

«Una presenza si è mossa a circa... quattordici-quindici metri.»

«Leon?»

«Se Leon ha imparato ad arrampicarsi sugli alberi in due secondi.»

«Forse non mentiva sui ragni, dopotutto.»

«Non la sento più, si è allontanata.»

Procedettero con circospezione, il sole sempre meno presente, le ombre ogni passo più oscure. I tronchi spessi si susseguivano vicinissimi uno dopo l'altro lasciando loro scarso spazio di manovra e di veduta; lo scenario cambiò presso una piccola radura: grosse ragnatele si impadronirono degli alberi che la delimitavano, obbligandoli a fenderle, il terreno era segnato da tracce di zampe di aracnide e di pesi trascinati verso una sinistra grotta che si inabissava nella terra e verso una curva più in là.

«C'è corruzione qui.» disse Duncan.

«La malattia di cui parlava Leon. Pensi che sia ancora vivo?»

Il compagno non rispose, probabilmente riteneva non ce ne fosse bisogno. Comunque il mago non trasse conclusioni affrettare, poteva darsi che fosse stato intrappolato vivo in un bozzolo di ragnatela per un pasto successivo, alle volte succedeva. Svoltata la curva trovarono dei carri abbandonati, senza dubbio vittime di precedenti attacchi, ipotesi confermata dal ritrovamento di ossa umane e animali. Mentre setacciavano i dintorni in cerca di ulteriori indizi, Elmer cominciò a sentirsi inspiegabilmente turbato. Aveva un piccolissimo peso allo stomaco, quasi ignorabile, eppure costante nel lento progredire d'intensità, e la sua mente era distratta da... qualcosa, come quando una stupida mosca lo disturbava con quell'irritante battito d'ali durante la lettura di uno dei suoi romanzi preferiti.

«C'è qualcosa di sbagliato.»

«La corruzione è un effetto tipico del Flagello.» fraintese Duncan. «Queste bestie devono essersi corrotte divorando prole oscura nelle Vie, per poi uscire in superficie.»

«C'è un'entrata per le Vie nei paraggi?» mormorò Sereda con occhioni grandi, il cuore bramoso di illudersi di una falsa vicinanza a casa.

«No, non intendevo la corruzione. C'è qualcos'altro...»

«Cosa?»

«Non lo so.»

Scrutò attorno a sé, quasi convinto che se avesse guardato meglio avrebbe capito tutto, senza risultato. Alla fine furono i mezzi di trasporto, spogliati dei loro averi, a creare perplessità: nell'eventualità fossero stati privi di merce durante l'aggressione, avrebbero in ogni caso dovuto portare l'indispensabile per il carrettiere, ad esempio uno zaino, corde di riserva, denaro, un'arma per difendersi, perfino gli scheletri avrebbero dovuto avere attorno vestiti sbrindellati.

«I ragni uccidono e qualcuno ripulisce.» dedusse Duncan.

«Qualcuno può piegare gli animali al proprio volere?» fece dubbiosa la nana.

«O aspetta che abbiano banchettato e si siano allontanati per poi saccheggiare.»

Ma non era questa spiegazione ad essere balzata nella mente del moro alla domanda della principessa esiliata.

«La magia del sangue permette il controllo mentale.» disse tetro con un brivido.

Non era assolutamente sicuro che il tipo di segnale che percepiva fosse magia proibita, non aveva mai assistito alla sua pratica, e la dimostrazione di Jowan era stata talmente veloce e le circostanze così sconvolgenti che di quel momento non ricordava nulla a parte il tradimento.

«Magia del sangue? Qui?» si drizzò sull'attenti il Comandante. «Ne sei certo?»

«No, ma ho questa sensazione... sbagliata.» tentò di spiegare. «Me la sento nello stomaco. Non è normale.»

«In battaglia non si basa la propria strategia sui mal di pancia. Ma dubito che nelle torri di superficie insegnino le più semplici nozioni.» colpì basso Sereda. «Entriamo nella grotta. Se ci tenete ancora al contadino.» disse girando i tacchi sotto lo sguardo inviperito del mago.

Penetrarono silenziosi nell'imboccatura, rasentando la parete, la guerriera in testa. Chi l'avesse eletta a capo della spedizione non lo sapeva, però, in vista di un agguato, meglio lei che loro, giusto?

Seguirono il cunicolo serpentino, dall'odore sgradevole e indecifrabile, imbiancato da appiccicosi fili argentati, e quando la luce dell'esterno se ne andò si affidarono al tatto e all'udito. Camminarono nel buio in orizzontale, i sensi all'erta, in seguito i piedi poggiarono su un livello più basso, segno di una discesa. Fu allora che la colse, una fonte di vita non lontana di cui non era in grado di distinguere le singole forme. Avvertì i compagni scrivendo nell'aria con un dito luminoso (comodo essere maghi). Preparati allo scontro con il vantaggio dell'elemento sorpresa, si accostarono cauti allo sbocco che concludeva il corridoio, da cui provenivano la luce rossastra unita all'invitante crepitio di un fuocherello e il leggero bollire di un liquido.

La nana si sporse e si ritrasse immediatamente, guardandoli perplessa. Cosa aveva visto? Gli umani la imitarono: c'era una figura girata di spalle, piegata su un calderone fumante sospeso sul fuoco grazie ad una ragnatela, attorno a lei si aggiravano mansueti i ragni, e dal soffitto penzolavano una manciata di bozzoli di dimensioni umane. Il quadretto perfetto per l'inquietante scena introduttiva di un mago del sangue.

“Porco Creatore...” bestemmiò.

Leon era là dentro. Vivo. Dovev-

«IIIIIIAAAAAAAA!»

La principessa guerriera non attese di accordarsi su un piano d'azione e prese l'iniziativa con un impressionante grido di battaglia che paralizzò gli aracnidi per lo spavento. Non durò a lungo. Gli animali la attaccarono, lei scansò le zampe di uno con la spada ed evitò un secondo con una capriola a terra. Gli uomini le corsero appresso; Duncan falciò i due e Elmer castò una barriera su ognuno, preparando poi un incantesimo offensivo per intrappolare il temibile avversario che incurante del trambusto mescolava il minestrone. Sereda tornò eretta e si apprestò a terminare la schermaglia tagliando la testa della figura misteriosa, tuttavia fu scaraventata sul pavimento pietroso da un'onda cinetica di immensa energia che si estese sull'intera grotta.

Le barriere andarono in frantumi con una facilità estrema e ciò mise il mago in allarme come mai prima di quel momento: erano barriere che aveva considerato robuste, avrebbero dovuto reggere. Fece per rialzarsi, pronto a contrattaccare, ma, con suo sommo orrore, le gambe non lo assecondarono. Neanche le braccia, o le dita, il busto, la bocca, perfino le palpebre.

“Cosa...?”

Allora si rese conto di un'invisibile magia che si stava dipanando a macchia d'olio sui suoi muscoli, atrofizzandoli. Magia del sangue? Fiducioso di poter prevenire il disastro irrimediabile, forzò la fuoriuscita di mana per spezzare l'incantesimo e ripulire l'organismo, nonostante lo spasimo acuto che ne sarebbe conseguito: a questo punto era l'unico capace di reagire, essendo un mago, Sereda e Duncan erano perduti. Purtroppo il mana rimase intrappolato nei confini della carne, come se fosse sotto l'effetto di un sigillo.

“No. No, no, no, nononono.”

Lo chiamò di nuovo, e ancora, e ancora, e il risultato non cambiava.

“Oh merda...”

Capì che non c'era più scampo. Si era sopravvalutato.

“Merda, merda, merda. Che faccio? Che... Che cosa faccio?” balbettò, mentre le descrizioni agghiaccianti in materia di magia proibita gli passavano frenetiche davanti agli occhi.

Gli avrebbe tagliato i polsi? La gola? Pugnalato il cuore? Si sarebbe insinuato nella sua testa strisciando come un serpente velenoso per corrompere la sua volontà? O magari lo avrebbe tagliuzzato e aggiunto un sapore tipicamente “elmeresco” alla brodaglia sul fuoco! Oh Creatore, non voleva morire! Era troppo giovane, troppo bello e troppo intelligente per morire! Possibile che al divino non gliene importasse?

“Se mi salvi, Creatore, prometto di essere più paziente col prossimo! Lo prometto, lo prometto!”

I battiti aumentarono all'impazzata, il respiro accelerò, il sudore gli imperlò la fronte. Era terrorizzato. Che aveva fatto di male nella sua esistenza per diventare un giochino indifeso alla mercé di una mente squilibrata? Era sempre stato un apprendista modello, uno studioso eccellente, un mago ubbidiente! Andraste, non era mica che... No, non si potevano cancellare anni di buona condotta soltanto per quel singolo incidente di percorso chiamato Jowan. Non scherziamo!

“Porca di quella... Mi viene da vomitare.”

Lo stomaco si stava pericolosamente rivoltando a causa del potere che lo attanagliava, e il moro temette di crepare soffocato dal suo stesso vomito come il brigante Hack, bloccato da un veleno paralizzante nel libro Tanto lo sapevi che sarebbe finita così, pagina novecentosei.

«Hi hi hi hi.»

La vocina stridula quasi lo fece pisciare sotto. Impaurito, sentì delle zampe afferrargli un piede e trascinarlo chissà dove, con il povero cranio che cozzava contro protuberanze rocciose. A un certo punto le zampe se ne andarono lasciandolo a osservare stupidamente il soffitto. E adesso? Dov'erano gli altri? Insomma... merda!

Nell'assoluto silenzio calato nella grotta, fatta eccezione per i suoi pensieri e per la brodaglia maleodorante in ebollizione, la figura si mosse nel suo campo visivo. Data la posizione la vide a testa in giù, comunque ne riconobbe il sesso femminile: aveva gli occhi fasciati con una benda sporca, spruzzi di capelli grigi su una superficie pressoché calva, un sorriso marcio con tanti denti mancanti e una pelle malata. Con la loro buona stella, era affetta da corruzione pure lei e li avrebbe infettati tutti. Tranne Duncan ovviamente, fortunato bastardo.

«Ciaaaooo.» salutò dolce come se parlasse ad un neonato.

La cieca non lo vedeva eppure la mano dalle unghie rotte non esitò a toccare la sua guancia in un gesto dalla parvenza affettuosa.

«Che bello averti qui, piccolino. Cominciavo a sentirmi un po' sola. Questi animaletti non parlano, sai.» ridacchiò, e la cosa inquietante era che i suoni formulati parevano quelli di una vecchina normale, quella che il dì di festa ti preparava la torta speciale con doppia razione di mele. «Come ti chiami?»

Si chiese in che modo si aspettasse una risposta, se lo teneva in pugno, ma la paura si inasprì di molte tacche quando dalla gracile manina sgorgò un'emanazione gelida che penetrò attraverso la pelle e le ossa fino ad arrivare al cervello. La testa gli esplose per la violazione della privacy più pericolosa e profonda del repertorio magico, e gli occhi gli rotearono dentro le orbite. Si sentì morire.

«Elmer. Nome grazioso.»

Non la udì, troppo impegnato a sopravvivere all'assalto psichico. Era doloroso, tremendamente doloroso. Avrebbe voluto urlare. Le sue difese venivano smantellate una dopo l'altra con la calma precisione di chi praticava l'operazione da anni e, nel giro di pochi istanti, rimasero soltanto le più vicine alla sua volontà. Come si contrastava una potenza del genere?

«Povero caro, stai soffrendo.» gli bisbigliò qualcuno. «Lascia che ti aiuti.»

Era una voce colma di preoccupazione e gli fece piacere che almeno una persona si interessasse del suo benessere nel momento del bisogno. L'attacco si intensificò, i muri costruiti venivano abbattuti.

“Se nessuno mi aiuta sono spacciato.” calcolò impaurito.

«Sono qui. Voglio aiutarti, ma devi smettere di opporre resistenza.» giunse la voce materna.

“Cosa? No, non posso. Entrerà anche l'altro.” spiegò agitato.

Se avesse cessato di opporsi per un solo istante il suo io sarebbe stato travolto, e forse definitivamente cancellato.

«Non posso aiutarti se non ti lasci andare.»

“Non ha senso. Aiutami e basta!” si ostinò disperato.

«Fidati di me. Lasciami entrare e ti salverò.» promise rassicurante.

Ora, Elmer era sì spaventato, estraniato dal mondo esterno e costretto a combattere su un piano puramente mentale, ma il dubbio di commettere l'errore fatale era più forte della promessa di salvezza della voce amica. Capiva che aveva buone intenzioni, e la ringraziava, però cazzo, pure lei doveva comprendere la situazione: se cedeva era finita, proporre il contrario era un'irragionevole condanna a morte.

“Trova un altro modo. Presto, fa sempre più male.” le disse urgente.

Non sapeva cosa si provasse a introdurre una lama nel proprio cervello e torcerla con sapiente sadismo ma questa sensazione doveva andarci vicino.

«Non c'è un altro modo.» rispose addolorata la voce.

“Deve esserci un altro modo!” insistette un po' isterico.

«Non c'è. Fidati di me, lasciati andare. È l'unica soluzione.»

“Ma vaffanculo te e la tua unica soluzione!” gli uscì di getto, preda di una crisi di nervi.

«Calmati, andrà tutto bene.»

“”Calmati” un paio di palle!” si irritò. “Fa' qualcosa, piuttosto!”

«Ti ho già detto che non posso aiutarti se non mi fai entrare.»

L'innocente replica lo fece incazzare sopra ogni misura. Se ne stava calma la tipa, mentre lui soffriva come un cane alla mercé di... Chi era che cercava di entrare? Boh, chissenefrega. Lo stavano conciando per le feste e lei non faceva una beneamata minchia per aiutarlo, ecco. Che se ne faceva dei buoni sentimenti se poi non se ne ricavava nulla di concreto?

“Ho bisogno d'aiuto, adesso!”

«Lo so, lo so. Ma non posso aiutarti se-»

“ALLORA TROVA QUALCUNO IN GRADO DI FARLO! COSA CAZZO STAI LÌ A GUARDARE?!” esplose.

Di colpo l'assalto cessò. Nella foschia che ottenebrava i suoi sensi, lentamente riuscì a distinguere un rumore. Era un suono allegro, in contrasto con la sua recente esperienza, e pian piano che, libero dalla stretta gelida, tornava alla realtà, poté constatare una cosetta molto rilevante: non stava respirando. I sensi appena riacquistati stavano per scivolare via di nuovo per mancanza di ossigeno. Il rumore allegro fu sostituito da parole, che nel suo stato non afferrò. Il suo corpo si mosse da solo in una posizione semi eretta. Una forza aliena premette sui suoi polmoni e Elmer si accorse che la sua bocca si era aperta. Ingoiò famelico delle grandi boccate d'aria e dopo un tempo indefinito le sue pupille misero a fuoco la vecchia, il calderone, la grotta, e le labbra di lei che si muovevano.

«... po' che non... divertente...» percepì a malapena con le orecchie che rimbombavano.

“Cosa sta dicendo? Non si capisce niente. Aspetta... sento male... male dappertutto. La mia testa. Si sta spaccando. Non riesco a muovermi. Perché non mi muovo? Voglio muovermi. Dove...? I ragni. L'idiota con l'asino. Magia del sangue. Il mio corpo, è dentro il mio corpo. E lo stomaco. Oh Creatore, lo stomaco, sta andando... Oh Creatore la colazione.”

E fu così che con un gemito sofferto un fiotto caldo di vomito venne sparato dalla sua bocca alla bocca della vecchia cieca.

Poi il nulla.






Note dell'autore:
Come si farà poi notare a Sereda, i mal di pancia non faranno le strategie ma vinceranno le battaglie XD Ho riso a scrivere il pezzo ma mi stava venendo la nausea, bleah!
Spero abbiate apprezzato questo capitoletto, senza farlo apposta un pochino più lungo del solito, così chiedo clemenza per questi ultimi mesi silenziosi.
Che posso dire? Sereda rivela finalmente un po' del suo carattere indomito, Elmer non la sopporta e Duncan si ritrova a fare il maestro d'asilo. A proposito, spero via sia piaciuto il suo lato freddo da "sconfiggere il Flagello viene prima di qualsiasi altra cosa, dobbiamo essere disposti a sacrificare tutto, ignoriamo i cittadini in difficoltà!" che nel gioco mi è sembrato di intuire tra le righe, e ovviamente il suo lato umano per cui tutti noi lo amiamo (credo. O forse è solo per la barba?).
Tra poco arriviamo a Lothering, e subito dopo siamo a Ostagar, dove si concluderà la seconda parte dell'avventura. È stato un viaggio lungo, lo so, ma mi auguro sia stato interessante e piacevole da leggere ^^

Non ho altro da aggiungere perciò chiedo un favore a tutti per conto di Aryuccia bella (ehi hai visto che ho staccato le risate? Eri tu che me lo avevi consigliato, giusto? XD): purtroppo ha sbagliato a schiacciare i tasti e invece di cancellare un capitolo ha cancellato l'intera sua storia con tutte le recensioni. Ha contattato l'amministratrice ma per il momento non c'è stata risposta. Qualcuno sa se è possibile recuperare il tutto? Oppure no, basta saperlo che ci mettiamo l'anima in pace XD
Grazie a chi ci può dare delucidazioni! Comunicatemelo pure per messaggio privato, non sentitevi costretti a lasciare una recensione, non fatevi problemi ^^

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Capitolo 19
*** Lothering ***


Zoccoli. Rumore di zoccoli. Qualcuno stava parlando. No, cantando. Era un canto della Chiesa. La religiosa incantatrice anziana Adelaide era venuta nelle stanze degli apprendisti per visitare i bambini? Che stonata, non sembrava nemmeno lei.

“Creatore, cos'ho in bocca?”

Era impastata e aveva un sapore cattivo, come una medicina di Jowan. Si sentiva debole e gli dolevano le ossa, la fronte era calda e aveva mal di testa. Ne aveva presa una per guarire da una brutta influenza? Un asino ragliò. Non c'erano asini nella torre. A meno che Neria fosse finalmente riuscita a trasformare Anders in una di quelle bestiole; se lo meritava. Però... non era sicuro di trovarsi al Circolo. Non era mica partito con... Duncan, il Custode? Dovevano andare a Ostagar, e pure di fretta, c'era una specie di guerra. Si erano fermati a dormire alla torre? Ma no, erano partiti subito, Greagoir non poteva vederlo dopo il macello con Jowan. Allora dove...?

Aprì piano gli occhi, intontito. Vide delle scarpe.

«Ser Elmer?»

“Ser?”

Le scarpe si mossero e al loro posto si presentò un faccino rotondo incorniciato da capelli corti.

«Comandante Duncan. È sveglio ma non risponde.»

«Il nostro salvatore è sveglio? Oh bene! Eravamo preoccupati, ser mago.»

«Lasciatelo riposare. I suoi occhi sono aperti ma la sua mente deve essere ancora provata. Sereda, dategli dell'acqua e copritelo meglio con la coperta, si sta alzando il vento.»

«Sì, Custode.»

Conosceva quelle voci. Erano... erano...

 

La seconda volta che si svegliò era abbastanza lucido da accorgersi di essere steso su un mezzo in movimento, la testa appoggiata sul suo zaino da viaggio, e non in uno dei letti del Circolo. Confuso, si disse che doveva aver sognato, perché ricordava Anders piagnucolare in formato asinesco e Neria ridere a crepapelle. Si sollevò su un gomito, scostando il caldo tessuto di lana che gli copriva la faccia; accanto a lui, a condividere la coperta, c'era l'ex principessa addormentata.

«Elmer. Bentornato.» salutò Duncan in groppa al cavallo a lato del carretto. «Hai dormito per quasi un giorno, l'ora di pranzo è vicina.» lo ragguagliò. «Hai fame?»

Il moro sbatté le palpebre e sbadigliò profondamente. Aveva fame? Boh. Si tirò su a sedere. Lo stomaco emise gemiti sofferenti e lui ci mise sopra una mano per calmare la rivolta.

«Lo prenderò come un sì.»

Deglutì. Aveva la bocca secca e dal gusto amaro. Si guardò attorno in cerca d'acqua, il barbuto gli risparmiò la fatica porgendogli la borraccia. Provò a ringraziarlo tuttavia la gola non cooperò a dovere. Andraste, che era successo? Si era ubriacato?

«Ho vomitato?» domandò perplesso dopo due sorsi.

«Sì. Adesso come ti senti? Meglio?»

«Credo di sì. Mi sento soltanto un po'... istupidito.» disse massaggiandosi le tempie. «Che è successo?»

«La maga del sangue, ricordi?»

La maga del sangue? Quale- Oh. Ohhhh. Porca trota. Leon, i ragni, la foresta, la grotta, la vecchina inquietante, il corpo paralizzato, la- Creatore, l'intrusione psichica. La paura. Il solo ripensarci gli provocava la nausea.

«Creatore.» borbottò avvicinando le ginocchia al petto e nascondendoci il viso per calmarsi.

«Hai usato una tattica poco ortodossa eppure efficace.» rise Duncan.

«Non ricordo esattamente.» disse alzando gli occhi e fissando il vuoto. «Ho tentato di resistere. Poi... ho vomitato?»

«Direttamente sulla sua faccia, poi sei svenuto. L'ha colta di sorpresa, oltre che farle convenientemente perdere l'equilibrio: ha sbattuto contro il calderone ed è caduta sul fuoco. Il dolore l'ha distratta e la magia che ci imprigionava è svanita.»

«È morta?»

«Sì.»

Il moro rilasciò un respiro che non sapeva di trattenere. Era morta.

«E qui come ci siamo arrivati?»

Il Comandante indicò il carrettiere con un cenno. L'orlesiano stava dormendo in cassetta, il cappello abbassato sul viso.

«È stata sua l'idea di prendere il carro più piccolo, adatto a Horlon, altrimenti sarebbe stata dura trasportarti nelle tue condizioni. Al primo passante incontrato abbiamo affidato un messaggio per la guarnigione di Redcliffe.»

«Capisco.»

Cadde il silenzio. Il Custode anziano non lo importunò mentre riavvolgeva gli eventi per rivedersi in quello stato di umiliante impotenza. Aveva sbagliato su tutta la linea. Cosa aveva creduto di poter fare contro un mago di quell'età? Non era nemmeno arrivato alla terza decade della sua vita e già riteneva la sua magia pari a quella degli incantatori anziani.

“Sono un idiota.” si castigò con frustrazione.

Il vomito era stato un colpo di pura fortuna, che Duncan ci scherzasse su non sminuiva la gravità del completo fallimento che era stato come mago. In quanto tale avrebbe dovuto essere il primo a bloccarli e insistere per tornare a Redcliffe per richiedere l'aiuto dei templari alla cappella. Si trattava di magia del sangue, maledizione, cosa diamine gli era saltato in testa?! Per non parlare della paura! Quante volte i loro mentori avevano ripetuto l'importanza di controllare le proprie emozioni, di mantenere la calma, e soprattutto di non cedere alla paura, il sentimento che più di tutti indeboliva la mente ed era sfruttato contro loro stessi dai demoni. Queste erano le fottute basi, e lui era il migliore del suo fottuto corso, cazzo!

«Idiota, idiota, idiota.» mormorò con la testa tra i palmi.

Sentì un peso confortante sulla spalla. Il Comandante si era sporto con una mano e lo guardava con solennità.

«Non sempre siamo all'altezza delle aspettative. Impara dai tuoi errori, però ricorda: nella vita non bastano l'abilità e l'esperienza, alle volte puoi soltanto essere fortunato.»

Elmer rimase di stucco, la bocca stupidamente semiaperta. Il barbuto gli regalò il suo solito mezzo sorriso e spronò la cavalcatura in avanti, lanciandogli un ultimo consiglio sul mangiare e rimettersi in forze.

“Come accidenti fa ad avere SEMPRE la risposta giusta?” si meravigliò turbato.

Nemmeno quella saccente di Wynne sparava battute pronte a quel modo. Afferrò lo zaino ed estrasse una mela. Era almeno umano, Duncan? Si fermò con il cibo a mezz'aria e lo spiò di sottecchi, magari aspettandosi qualche divino segno che rivelasse l'identità mistica del suo superiore. Naaa. Scosse la testa dandosi del rincretinito, ci mancava solo di essere in presenza della reincarnazione umana del Creatore, tsk.

«Ser Elmer?»

La voce di Sereda lo strappò alle sue riflessioni.

«Sereda. Buongiorno.»

«Siete sveglio.» constatò intelligentemente lei.

«Già. Anche voi.»

La donna dovette accorgersi dell'importanza della sua osservazione, poiché si rizzò a sedere, schiarendosi la gola e guardando altrove.

«Come state?»

“Prima promette di uccidermi e adesso chiede come sto? Coerente, davvero.”

«Bene, grazie.»

Per un attimo ci fu un silenzio imbarazzato da parte di lei, mentre Elmer divorava la mela.

«Dove siamo?»

«Su un tratto percorribile della Gran Via Imperiale.» rispose il mago prestando attenzione ai dintorni. «Non saprei dire quanto manchi a Lothering, però. Dovreste chiedere a Duncan.»

«Secondo le sue stime dovremmo arrivare entro domani sera, se eviteremo di fermarci anche stanotte.»

“Allora perché mi hai chiesto dove siamo?”

«Non avete dormito?» chiese invece.

«Io e il Comandante ci siamo dati il cambio sul carro per riposare. Ha deciso di non fare soste fino a Lothering per riguadagnare tempo prezioso.»

«Giusto.»

Un secondo silenzio imbarazzato prese possesso del carro. Non che il moro se ne curasse, dal suo punto di vista rifocillarsi senza parlarle era un'ottima soluzione, anche perché dopo aver riflettuto sull'inaccettabilità della sua debolezza, checché ne dicesse Duncan, aveva bisogno di meditare e assicurarsi di avere il controllo sulle sue capacità. Il fatto che i demoni non l'avessero visitato nel sonno non significava che la cosa fosse passata sotto silenzio, soltanto che lo stavano ancora cercando, annusando l'aria dell'Oblio come segugi assetati del sangue della preda. Doveva prepararsi.

«Ser Elmer.» chiamò la nana con voce improvvisamente sicura, tanto che il mago si voltò a guardarla. «Vi chiedo perdono per il mio comportamento.»

Il moro alzò un sopracciglio sorpreso, con quel caratterino non si era aspettato delle scuse.

«Ho lasciato che la rabbia prendesse il sopravvento, non accadrà più.»

«Non fate promesse che non potete mantenere.» le disse recitando una frase di Bill Strike del romanzo Quando va va.

Aveva chiesto scusa, ma i cazzotti se li ricordava benissimo: col cavolo che le avrebbe reso le cose facili, l'avrebbe cucinata a fuoco lento nell'umiliazione, ah!

«Che intendete?» si mise sulla difensiva la donna.

«Che è abbastanza chiaro quanto siate arrabbiata per quel che vi è successo. Prima siete apatica, poi piangete, poi ancora apatica, e infine scoppiate nella violenza per un commento da nulla.» psicanalizzò sfrontato.

«Come osate?!»

«Attenta, Sereda, è così che è cominciata l'ultima volta.»

«Siete... Siete... Argh! Io vi porgo le mie scuse e voi approfittate dell'occasione per tormentarmi!» sbottò incredula.

«Non vi sto tormentando, vi sto aiutando a vedere i vostri errori.» replicò con l'ennesimo morso di mela.

«I miei errori? Voi mi avete praticamente insultata; dovreste esaminare anche le vostre azioni, ser.» pretese il pareggio Sereda.

«E sentiamo, cosa avrei detto di così riprovevole?»

«Avete insinuato una mia mancanza di interesse verso la battaglia a Ostagar.»

«Lo negate, forse?»

«Non sarei qui, altrimenti.»

«Per favore. Non è la verità, e voi lo sapete.» la accusò puntandola con il torsolo spolpato.

«Non so di cosa stiate farneticando.» si ostinò lei. «E comunque da voi non mi sarei mai aspettata parole del genere.»

«Cambiate discorso?» la smascherò subito.

«Siete stato un vero gentiluomo, finché non siamo usciti dalle Vie.» continuò imperterrita. «Questo dimostra che la vostra gentilezza era dettata unicamente dalla mia posizione sociale. Appena avete capito che da me non avreste potuto ottenere più nulla vi siete rivelato per quel che davvero siete.»

«Lo so perfettamente.» riconobbe con noncuranza.

«Avete il coraggio di ammetterlo, allora!»

«Certo che sì, non ho niente da nascondere, io, al contrario di voi.»

«Come osate!»

«State diventando ripetitiva, mia cara.»

«Nessuno ha mai osato rivolgersi a me in questa maniera. Dovrei forse esservi grata per il trattamento?»

«Secondo me sì. A meno che non preferiate la falsità di leccapiedi e servitori.»

Sereda arrossì di vergogna sotto l'espressione maliziosa del mago, ma stavolta non distolse lo sguardo. Esiliata o no, era nata come una principessa e cresciuta come uno dei migliori guerrieri di Orzarmmar: non sarebbe corsa in ritirata davanti alla verità.

«Avete ragione.»

Elmer si sciolse in un sorrisetto compiaciuto di se stesso, gettò il torsolo fuori dal carro e fece per prendere una seconda mela dallo zaino. Ma il ceffone gli giunse prima.

«Ahia!» urlò preso alla sprovvista, con una mano alla guancia offesa. «Sei impazzita?!» la accusò del tutto dimentico del tu, del voi e delle buone maniere.

«Che c'è, ser Elmer? Pensavo che anche voi apprezzaste l'onestà.» cinguettò la nana esaminandosi le unghie.

«Ma brava, bel modo di ringraziare chi ti salva la vita!»

«Avete rigettato la colazione sul nemico, ser Elmer, mi avete salvato la vita per caso.» ribatté la donna.

«Sempre meglio di te che ti lanci contro un mago del sangue sbraitando come un'ossessa!»

«Era un urlo di battaglia!»

«Bella mossa anticipargli il nostro arrivo.»

«Tacete, non sapete nulla di tattica miliare.»

«Oh no, perdonatemi, Vostra Altezza, avete ragione, nelle torri di superficie non insegnano questo genere di cose. Però è stato il mio mal di pancia, quello su cui non si basano le strategie, a portarci alla vittoria.»

«Hmph.»

«“Hmph”? Tutto qui? Soltanto “hmph”? Che razza di risposta è?!»

«Quella che vi meritate. Ora, se volete scusarmi, sono affamata e vi chiedo cortesemente di lasciarmi mangiare in tranquillità.»

Elmer la fissò allibito per poi farfugliare in cerca di un controffensiva adeguata, la lingua ingarbugliata per il nervoso. Dopo vari tentativi rinunciò con l'orgoglio bruciante: aveva la vittoria in pugno e la maledetta tappa aveva ribaltato le sorti dello scontro. Per ripicca prese a occhieggiarla in cagnesco tuttavia la mancata reazione di lei rese la cosa abbastanza stupida. Decidendo di comportarsi da persona matura, si disse che aveva ben altro a cui pensare che ridicoli battibecchi infantili e tornò all'originario scopo, la preparazione (a quel punto non poteva mica mangiare insieme a lei, scherziamo!).

Scostò del tutto la coperta, incrociò le gambe e poggiò le mani sulle ginocchia, schiena eretta e testa diritta, ignorando completamente la vicina. Chiuse gli occhi. Iniziò con respiri profondi, ordinando ai cinque sensi di non prestare attenzione alle sensazioni percepite dal mondo materiale. Quando il silenzio lo avvolse, scandagliò il proprio corpo stabilizzando il mana che serpeggiava in esso, sensibile alla discussione appena avvenuta; scacciò l'irritazione per la sconfitta verbale e l'antipatia verso l'ex principessa, e vide cosa rimaneva.

C'era una specie di buco nei pressi dei polmoni, grande quanto un pugno. Lo studiò più a fondo per comprenderne la natura, consapevole, grazie agli insegnamenti del Circolo, che si trattava di un'emozione repressa. Erano pericolose per i maghi, venivano a galla nei momenti sbagliati, incontrollate, provocando errori fatali; per questo era consigliabile analizzare immediatamente il problema, affinché i demoni non potessero trarne vantaggio stimolando la loro fuoriuscita. Un esempio molto frequente era la paura.

Non fu una sorpresa per Elmer constatare che il buco era proprio quello, paura. Era fredda, densa, gli bloccava il respiro e gli causava tremori. Era la stessa sensazione di quando, da bambino, temeva l'oscurità. Era appena nata ma, come tutte le emozioni represse, era potente e selvaggia, e sarebbero occorse varie sedute meditative per sbarazzarsene. Doveva capire quale era la sua paura, accettarla, e sconfiggerla, un processo da svolgere con accuratezza. Sicuramente riguardava l'incontro con la maga del sangue, ma non sempre la spiegazione era così limpida. Di cosa aveva paura, precisamente? Temeva la vulnerabilità che aveva sperimentato? Temeva di essere fisicamente posseduto da una volontà diversa dalla sua? O era la magia del sangue stessa che non sopportava? Oppure non accettava di non essere all'altezza? La risposta poteva essere una, tutte, o nessuna di queste.

Un richiamo lo distolse dalla concentrazione, e decise che per ora doveva bastare la piccola analisi preliminare, rimandando il lavoro impegnativo a un momento di solitudine in un luogo appartato. Nello spazio di dieci secondi netti, caratterizzati da profondi respiri e graduale ritorno alla realtà, Elmer riaprì gli occhi.

«Ma che fa? Dorme in piedi?»

Leon s'era svegliato e chiedeva a Sereda delle condizioni del mago immobile.

«Stavo meditando.» comunicò in tono pacato, voltandosi verso il carrettiere per scambiare due parole.

Un fantastico effetto della meditazione, se fatta a dovere, era il ritrovamento della calma. La rabbia infantile per la nana, ritenuta deleteria, era stata calpestata in favore di una predisposizione d'animo più positiva. Non era però una tecnica auto-ipnotica, semplicemente aiutava a predisporre le priorità in un ordine classificato, tralasciando i fatti di minore importanza o nocivi per la pace mentale; non erano scomparsi, ma assumevano un peso proporzionato al loro effettivo valore.

Sereda gli stava sulle balle? Sì. Si sarebbe lasciato influenzare dall'insofferenza per lei? No, perché non desiderava rimanere incazzato ventiquattro ore su ventiquattro con il rischio di un'ulcera per una che conosceva a malapena. Tutto lì, semplice, chiaro e conciso. Magari avesse potuto meditare sul cammino per Redcliffe!

Passò così la giornata, tra una chiacchiera e l'altra, fino a raggiungere Lothering nel bel mezzo della notte. Leon li salutò calorosamente, andando a pernottare alla fattoria di un caro amico, mentre il trio provava la locanda. La cittadina era più piena del solito, spiegava il locandiere, a causa dei tumulti al sud: molte persone si erano trasferite a nord per evitare le incursioni dei prole oscura e i barbari chasind anch'essi in fuga dal pericolo che aveva infestato le selve.

Furono fortunati, c'era una stanza con un letto sufficientemente grande per due, il terzo avrebbe dormito sul lettuccio da campeggio. La scelta di quest'ultimo fu un tantino esasperante: Duncan cedeva il posto sul letto ai giovani, Sereda rifiutava di fare un simile torto alle persone che si erano premurate di sfamarla, Elmer avrebbe tanto voluto lavarsene le mani e prendere posto sul letto, preferibilmente con Duncan, ma non riusciva ad esprimersi in un modo che non offendesse nessuno per non iniziare un litigio. Alla fine l'onorato fu lui. Vuoi perché il Comandante aveva mostrato segni di mal di schiena, vuoi perché sempre il barbuto non avrebbe permesso ad una donna di dormire sul pavimento, il mago si era sacrificato per il bene del suo superiore (dopotutto aveva un punteggio simpatia altissimo). Si coricarono subito, a parte il moro che, scontento della sistemazione e non avido di incontrare demoni nell'Oblio dei sogni, scese a piano terra per bere qualcosa di leggero davanti al camino scoppiettante. L'oste gli consegnò un boccale di idromele dolce dal sapore mielato, e lui la sorseggiò su una panca vicino al fuoco. Buonissimo.

«Salve. Anche voi di passaggio?» gli chiese una voce dal debole accento orlesiano.

Si voltò per incontrare lo sguardo di una ragazza dai capelli rossi, gli occhi chiari e le labbra più belle che avesse mai visto. Disgraziatamente indossava la veste clericale e ciò lo preoccupò. Possedeva l'anello del Circolo a testimonianza del superamento del Tormento secondo le leggi della Chiesa, tuttavia occorreva Duncan per motivare la presenza di un mago così giovane fuori dalla torre senza la supervisione di minimo un templare.

«Sì.» tagliò corto sperando se ne andasse.

La donna non comprese, o ignorò il messaggio, e si sedette accanto a lui.

«Vi ho visti arrivare, prima. Sembrate diverso dai vostri compagni di viaggio.» se ne uscì lei di punto in bianco. «Loro sono combattenti, sicuramente diretti a Ostagar, voi invece mi ricordate alcune persone passate di qui tempo fa.»

Si fece cauto: dove voleva andare a parare? L'aveva scambiato per qualcun altro o c'era un senso in quel discorso?

«Perdonatemi.» si scusò la sconosciuta. «Non mi sono nemmeno presentata e già vi assillo di domande. Il mio nome è Leliana, e la mia intenzione non è quella di importunarvi, ve lo assicuro.»

«Cosa volete?» domandò a bruciapelo.

«Conoscervi.» rispose con entusiasmo. «Non ho mai parlato faccia a faccia con un...» si interruppe abbassando la voce. «Con un mago.»

Elmer sgranò gli occhi. Come diamine l'aveva capito?! Non era possibile che la corporatura e un bastone sulle spalle bastasse a fare due più due! In un secondo si adoperò per una ritirata immediata, per quanto ne sapeva c'erano templari appostati dietro le porte, pronti a balzare attraverso le finestre e a scendere giù dal tetto e dal camino.

«Non so di cosa state parlando. Ora, se volete scusarmi.»

«Aspettate!» gli afferrò il polso. «Vi prego non andatevene, non volevo spaventarvi. Voglio soltanto parlare, lo giuro.»

«Uscirsene con certe dichiarazioni non è esattamente un buon modo per farsi nuove amicizie.» commentò tirando per sganciarla.

Per tutta risposta lei gli cinse il polso con entrambe le mani. Maledetta ostinata.

«Cinque minuti, per favore.» pregò con presa salda. «Dopo vi lascerò in pace, giuro.»

«Lasciatemi e non vi trasformerò in un rospo.»

Era la minaccia più famosa tra la popolazione ignorante, la gente credeva che muovendo le dita e pronunciando una serie di parole insensate potessero compiere prodezze assurde, e il mago si aspettava che la ragazza arretrasse impaurita. Non andò così.

«Se non vi calmate urlerò. La gente del posto mi conosce, manderanno subito un messaggio alla cappella.» ribatté audace.

«Mi state ricattando?» si informò incredulo.

«Cinque minuti.»

La trucidò con gli occhi, affatto felice di essere ricattato per quello che era, ed obbedì. Come se nulla fosse, la rossa ordinò alla cameriera un boccale di idromele identico al suo e lo squadrò dalla testa ai piedi con una sorta di ammirazione che lo turbò.

«Sento che siete arrabbiato con me.» mise un adorabile broncio la sfacciata. «Spero di rimediare. Vi va di rispondere a qualche domanda?»

«Non mi pare di avere altra scelta.» rispose maledicendosi per essere uscito dalla stanza.

«Siete davvero un mago?»

«Avete messo in piedi questa sceneggiata senza essere sicura che io fossi un mago?» disse scioccato.

«Alle volte bisogna buttarsi per ottenere ciò che si desidera.» ridacchiò alla sua reazione.

«Pazzesco.»

«Su, non arrabbiatevi. Non è un'espressione che vi dona.»

«Le lusinghe non vi porteranno da nessuna parte, con me.» affermò scontroso.

«Dico quel che penso. Dunque, siete davvero un mago?»

«Sì.» dichiarò dato che ormai era ovvio.

«Circa due mesi fa è passato di qui un contingente di templari con i loro protetti; erano diretti a Ostagar per unirsi all'esercito. Anche voi ne fate parte?»

«No.» optò per una mezza verità.

«Non state andando a Ostagar?» fece sospettosa. «Ho già visto l'uomo barbuto che è con voi, è un Custode Grigio, se le voci non mentono. Scommetto che siete un Custode anche voi!»

“Ma porca!”

«Se sapete tutto perché vi disturbate a chiedermelo?» si irritò.

«Perché sono curiosa! Perché non siete vestito come gli altri maghi? Perché siete così giovane?»

«Forse perché non sono cresciuto in un Circolo.» mentì stizzito.

«Un eretico? Una conclusione sensata, se non indossaste l'anello del Circolo.» lo sbugiardò con un sorrisino.

In effetti era sceso con gli abiti meno appariscenti del suo zaino e le mani erano rimaste nude. Si era completamente dimenticato dell'anello, non aveva considerato che qualcuno potesse riconoscerlo. Si diede dell'imbecille e sbuffò.

«Non prendetevela, su.» tentò di placarlo divertita.

«Siete proprio snervante, lo sapete?»

«Ogni tanto, lo ammetto. Ora rispondete alla domanda, per favore.»

«Quale domanda?»

«Perché siete diverso dagli altri maghi?»

«Sono stato reclutato dai Custodi Grigi.»

«È per questo che siete giovane?»

«Sì. Normalmente non si esce dalla torre, per nessun motivo; soltanto gli incantatori anziani hanno la fiducia necessaria per essere inviati fuori su commissione della Chiesa.»

«Capisco. Quindi siete diretto a Ostagar per combattere con il re ma non siete insieme agli altri maghi.»

«Esatto. Finito con le domande?» chiese spazientito.

«No. Il tuo nome?» pretese passando al tu.

«Covaltin.» sparò a caso.

«Non hai la faccia da Covaltin.» disse per niente convinta. «Non sembri nemmeno fereldano. Hai la carnagione più scura. Di dove sei?»

Non rispose, stufo di essere spremuto.

«Oh, per favore, vi pregooo!» si imbronciò ancora più adorabile.

Desiderò strangolarla.

«In teoria dei Liberi Confini.» si risolse infine.

«In teoria?»

«È una storia complicata. Di cui non voglio parlare con una sconosciuta che mi ricatta.» precisò.

«D'accordo.» rise. «Io sono di Orlais.»

«L'avevo capito dall'accento.»

“E dal modo di fare.”

Sorrideva affettata, una mano in grembo e l'altra a coprire le labbra o spostare i capelli dietro l'orecchio in un gesto fluido, e sbatacchiava le palpebre quanto bastava per intrigare. Il suo punto forte era il bellissimo viso dalle linee dolci e giovanili, facilmente utilizzabili per ingannare la vittima di fini innocenti o carnali. Era un'esperta, poco ma sicuro, peccato che certi trucchetti non funzionassero con il sottoscritto. Nel suo periodo di scopritore del sesso, una fase quasi obbligatoria in una torre dove ci si poteva annoiare parecchio, le aveva viste tutte e aveva imparato presto che il flirtare aveva potenzialità molto pericolose. Era sbatacchiando gli occhioni verdi che Dana aveva rubato i suoi appunti di pozioni.

«Si sente tanto?» domandò con un imbarazzo che giudicò finto benché verosimile.

«Quanto il mio accento fereldano.» disse in orlesiano.

«Parli orlesiano?» si sorprese passando anche lei alla lingua madre.

«La casa della Chiesa è a Orlais, perciò si può dire che l'orlesiano sia la sua lingua ufficiale. Se poi si considera che sono maggiormente gli studiosi andrastriani a occuparsi della diffusione della cultura scrivendo e traducendo testi dai temi più svariati, viene naturale impararla per non rimanere indietro aspettando il libro nella lingua comune. È una questione di comodità.»

Gli occhi le scintillavano e questa volta gli sembrò fosse un'emozione genuina, ipotesi confermata dall'abbandono della ricercatezza della posa: batté le mani per la contentezza e iniziò a parlare e parlare, sorseggiando l'idromele di tanto in tanto per bagnarsi la gola. Gli raccontò della sua vita, di come a Orlais non favorisse una condotta esattamente tranquilla, senza scendere nei particolari, e che questa era stata la causa della sua partenza per il Ferelden; qui aveva viaggiato senza meta per poi giungere a Lothering dove la reverenda madre l'aveva accettata come asserente, titolo che indicava quelle anime perse che per varie ragioni cercavano rifugio nella Chiesa che l'aveva accolta a braccia aperte. Personalmente non condivideva tutta quell'eccitazione per la pace e la gioia trovate nel Creatore, non era proprio credente al cento per cento, però Leliana era un'abile oratrice, perfino migliore di Leon, e ascoltarla non si rivelò pesante. Non troppo.

«Considerando quanto siamo partiti male, è sorprendente aver parlato per quanto, ore?» fece ironico, desideroso di svignarsela.

Sì, era fantastico stare ad ascoltare le storie della gente, la loro passione per il divino, i loro gridolini di delizia per le calzature di Val Royeaux e i vestiti all'ultima moda della nobiltà... però non ce la faceva più.

«Una lunga ora, credo.» rise lei, ignara della sua esasperazione crescente.

«Beh, mi spiace ma io sono stanco morto, e domani mattina, cioè, più tardi, devo rimettermi in viaggio.» disse alzandosi.

«Capisco benissimo. È stato un piacere conoscerti... Non mi hai detto il tuo nome.» si accorse.

«Te lo svelerò la prossima volta.» le disse praticamente già sulle scale.

«Allora pregherò affinché il Creatore lo renda possibile.»

“Grazie, ma no, grazie.”






Note dell'autore:
Yeeeeee, ce l'ho fattaaaaaaa! Spero di postare in settimana il prossimo, mentre il ventunesimo devo correggerlo a fondo, ci vorrà un bel po'.
Spero vi sia piaciuto, nonostante la lunga attesa ç_ç Ho finito l'altro mini racconto che mi ha tenuta impegnata insieme allo studio (non mi ricordo se l'avevo detto a Ary o se l'avevo scritto a tutti... boh XD), perciò forse ho tempo per respirare.
Passiamo al capitolo.
Sereda: mi sono divertita un sacco a scrivere questa conversazione! Mwahahhaha! Povero Elmer! XD Ma c'è una seconda donna che gli ha dato del filo da torcere, la nostra Leliana! Chi ha giocato al DLC sa perfettamente che la donzella non ha un passato da innocentina e che portava con sé un mago elfo nelle avventure con quella cattiva di Marjolaine. Quindi perché mente? Perché secondo me Leliana è una a cui piace divertirsi e la tranquillità della vita clericale la sta portando alla pazzia u_u Le parole del guardiano che custodisce le ceneri di Andraste mi sono rimaste molto impresse: dice che pur di ricevere attenzioni Leliana si è inventata di sana pianta la storia del Creatore che le apparso. Da questo si può capire che è sì una brava ragazza ma che è... birichina. Non so come altro definirla XD Comunque questo incontro è la scusa perfetta affinché si unisca al gruppo più tardi, anche perché a me è sempre sembrato irrealistico che lei si presentasse così su due piedi a sparare profezie, mi serve qualcosa di più concreto e il fatto che si conoscono già è un buon punto di partenza.
Che altro? Ah sì, spero vi sia piaciuta l'analisi interiore. Non sono una fan della meditazione, con me non funziona, ma sono sicura che i maghi sono in grado di scavarsi dentro con la mente ecc. Bravi, bravi u_u
Non ho altro da aggiungere, se beccate errori avvisatemi, vi saluto e alla prossima!

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Capitolo 20
*** Ostagar ***


Al mattino partirono alla volta di Ostagar, un tragitto rapido grazie ai cavalli e alla Gran Via Imperiale ancora intatta. In quei tre giorni scarsi Duncan mantenne un'andatura veloce, accampandosi una sola notte per riposare, e, in tutta onestà, il mago non sapeva se esserne grato oppure no. Non per Sereda, con cui avrebbe condiviso la tenda, ma per i demoni. La sosta a Lothering era stata sfiancante: un demone dell'Ira l'aveva intrappolato nell'illusione del Circolo, con Greagoir a sgridarlo per mandarlo in escandescenze; sconfitta la pulce arrabbiata erano sopraggiunti demoni di infimo livello sotto forma di vermi striscianti con fameliche bocche sanguinanti. Disgustoso. Se ne era liberato evocando una marea infuocata, e il secondo dopo si era svegliato nel suo lettuccio sul pavimento. Aveva eluso l'occhiata preoccupata del Comandante ed era salito in sella mantenendo una facciata serena ma la cavalcata senza fermate era stata una mazzata per il corpo e per la mente.

«Penso io al primo turno di guardia.» si offrì subito una volta conclusa la cena.

«Sei sicuro?» domandò il barbuto.

«Sì.»

Era difficile svegliare un mago in visita nell'Oblio, non voleva che Duncan si spaventasse vedendo che non rispondeva alla voce e al tocco. E comunque gli era più congeniale un sonno prolungato piuttosto che uno interrotto.

Per scrupolo segnò il limite del campo con un glifo di protezione (ci mancava solo che si addormentasse durante la guardia) e occupò il tempo a guardarsi attorno, ravvivando il fuoco quando necessario. Doveva avere una faccia distrutta perché al momento del cambio la nana gli chiese se stesse bene. La liquidò con una risposta affermativa e chiuse la tenda. Si tolse gli stivali e il soprabito e si infilò sotto la coperta di lana. Il sonno lo prese appena poggiò la testa sul morbido dei suoi vestiti appallottolati.

«Seriamente?» sbuffò accortosi immediatamente della trappola.

Era in una caverna buia e priva di uscite, molto simile alla dimora della maga del sangue. Era vuota, salvo per un fuocherello scoppiettante nel mezzo e due sgabelli di legno consumati. Di sedersi non se ne parlava.

«Non voglio ingannarti, solo scambiare due parole.»

Girò su se stesso; nulla. La voce era umana e risuonava nella grotta in una fastidiosa eco mentre il suo proprietario rimaneva celato. Doveva essere un demone con una qualche esperienza dato che si era preso la briga di usare la tattica del “adesso ti sparo idiozie alla velocità della luce finché non cadi ai miei piedi implorando pietà”, che detta così sembrava una scemenza ma in realtà non c'era da scherzarci se il demone in questione era talmente bravo nella parlantina da confonderti e approfittarne per farti la festa.

«Grazie ma no grazie.»

“Sembra la risposta della settimana.”

«Ti assicuro che quel che ho da dire ti interesserà.»

«Non ne dubito.» disse tastando le pareti rocciose in cerca di qualsiasi cosa che assomigliasse a una maniglia o un interruttore.

«Lo sai che è inutile.»

«La mia volontà è reale. Se desidero una porta la troverò.»

«Sempre che tu sia più forte del sottoscritto.»

Si voltò di scatto: la voce aveva preso una qualità corporea e difatti, su uno sgabello, era apparso un vecchio vestito di una tunica grigia e lisa, il viso rugoso e gli occhi vispi sovrastati da sopracciglia folte, con capelli spettinati lunghi fino alle spalle. Si scaldava le mani sulle fiamme, a suo agio come se fosse a casa sua, il che, tecnicamente, era vero.

«Perché non ti siedi?»

«Perché non vai a farti fottere?»

«La notte è lunga, giovanotto.»

«E il giorno è vicino.» rimbeccò con sarcasmo tornando a esaminare i muri.

Tacquero entrambi per diversi minuti (o chissà quanto, nell'Oblio il tempo era relativo) poi il demone parlò.

«Sai, avere paura non è una brutta cosa.» Elmer non lo degnò di uno sguardo. «Fa parte della vita di un uomo. È naturale avere paura.»

«Se non l'hai notato non ti sto cagando manco di striscio.» espresse eloquente.

«Ho notato, ho notato. Ho notato anche che non mi hai ancora aggredito.»

Il mago si bloccò, scioccato.

«Ti stai chiedendo perché non è stato il tuo primo pensiero, vero? Di solito non c'è nemmeno bisogno che ci ragioniate sopra, è istintivo per voi distruggere il demone che vi minaccia.» conversò amabile strofinandosi i palmi pieni di calli.

Lo fissò truce, abbandonando la ricerca di passaggi segreti. Fece per prendere il bastone agganciato alla schiena ma le dita afferrarono l'aria. Sorpreso, studiò il suo equipaggiamento: un paio di brache troppo lunghe, una maglia di una taglia in più, piedi scalzi e niente laccio per i capelli.

«Non ti sei nemmeno accorto di cosa indossi. Mi preoccupi, giovanotto. Devi essere parecchio affaticato per essere così distratto.»

«Non mi spaventi.» affermò spavaldo.

«Bene. Non voglio spaventarti.» gli sorrise. «Coraggio, siediti. Non mordo.» scherzò.

La battuta non lo divertì affatto, né lo convinse a sedersi. Nella sua testa c'era una moltitudine di domande a cui non trovava risposta: perché era completamente disarmato, perché non aveva pensato di attaccare, e perché non lo stava attaccando ora che se l'era ricordato. Non aveva il bastone ma la magia era una parte di lui, non gli serviva l'oggetto per scatenarla. Distese una mano, con fatica mai provata, e si sforzò di richiamare una scintilla; la sua volontà non collaborò. Qualcosa intralciava la giusta reazione al pericolo. Cos'era? La figura paterna di fronte al fuoco? No, altri demoni avevano assunto sembianze innocue in passato. Però...

«Non vuoi sederti? Va bene, possiamo chiacchierare lo stesso.»

Lo ignorò. Si concentrò sul fuoco, sull'assenza del calore, la mancanza delle ombre sulle pareti e del fumo che avrebbe dovuto riempire l'angusta caverna fino a causare la morte per asfissia. Tutto questo era fittizio, non doveva dimenticarlo altrimenti avrebbe perso il suo più grande vantaggio, la consapevolezza.

“Vediamo di capirci qualcosa.” si disse risoluto, passeggiando avanti e indietro con gli occhi puntati sul nemico, al contrario di dargli stupidamente le spalle come due secondi fa. “Per qualche ragione non riesco a colpirlo, né a materializzarmi con la classica tunica da mago con cui mi sono sempre riconosciuto di qua. Perché? Per paura? È il suo argomento, dopotutto.” si interrogò scartabellando tra le ipotesi tra cui aveva ragionato durante l'analisi interiore sul carro. “Questa è... vulnerabilità, credo.”

Era questo il buco nel petto? Il terrore di essere vulnerabile alla magia del sangue? Ai demoni? Purtroppo la presenza del predatore sconsigliava di esplorare la questione. Okay, aveva capito che probabilmente la paura di essere vulnerabile a dati nemici gli impediva di adoperare la forza bruta, da qui dove andava? Come ci si sbarazzava di un demone senza mazzolarlo di botte? Frugò nei ricordi di letture e lezioni passate e una memoria gli venne in aiuto. Uccidere il demone non era l'unico modo per uscire dall'Oblio, Irving diceva che per sconfiggerlo non occorreva una dimostrazione di forza concreta, bastava la forza della mente. Elmer non aveva mai compreso come ciò fosse possibile poiché nei sogni non c'era mai stato un avversario immune alle sue palle di fuoco, tuttavia questo caso sembrava rientrare nei parametri: “quando ti scontrerai con un avversario che non potrai combattere, sappi che la tua mente non fallirà là dove i tuoi incantesimi sono inutili”.

“Quindi... cosa devo fare? Guardarlo negli occhi finché non si squaglia?”

Non riusciva a concepire la non violenza come forma di combattimento.

«Non ti mentirò dicendoti che ti conosco come il palmo della mia mano. Non sono così presuntuoso.» riprese la creatura. «Però... sento che di recente c'è stata una grande novità. Un trasloco, se non sbaglio. È così?» Elmer non rispose e il falso vecchio continuò. «I cambiamenti, specialmente quelli grossi, possono portare insicurezza, anche nei cuori più coraggiosi. Non è un segno di inferiorità, credimi, fa parte dell'essere umani.»

Conforto. Accettazione. Sostegno. Poi “nessuno mi ha mai capito come te”, e infine “gnam!”, sei un abominio. Il ragno schifoso tesseva la sua tela di sentimenti positivi e ti induceva a credere che in fondo c'erano demoni che non erano demoni ma anime incomprese, come te. Era un tranello insidioso, soprattutto per i poveri apprendisti alle prime armi a cui mancava la famiglia e si sentivano persi tra i confini di fredde mura di pietra e devoti soldati pronti ad ucciderti appena starnutivi nel modo sbagliato. Piangerti addosso era pericolosamente facile quando ti sentivi solo.

«Con me non attacca.»

Il mostro fece spallucce. Maledizione! Doveva batterlo in qualche modo, ma quale?!

“Calma, calma.” si castigò. “Non devo perdere la calma. Ragiona.”

Combattere senza armi. Parlare? Beh, questo demone combatteva parlando, come Topo, no? Forse, se era abbastanza furbo... Sì, ma... poi? Lo faceva arrabbiare fino a trasformarsi e poi cosa, la cena è servita? Oppure sconfiggerlo a parole equivaleva a scacciarlo? Topo era scomparso dopo che l'aveva smascherato però non aveva idea se c'entrasse la conversazione o se semplicemente Orgoglio se ne fosse andato per proprio volere.

“Beh, non risolverò niente se non faccio qualcosa.”

Prese una decisione: si sedette sullo sgabello malandato, di fronte al demone, rafforzando la sua mente.

«Oh, vedo che hai accettato il mio invito. Bene, bene.» tubò l'altro.

Elmer lo scrutò, risoluto ad affrontare una battaglia di intelligenza e imbastire una strenua difesa sul concetto di paura, invece quello andò avanti a parlare di tutto e niente, cose che nemmeno c'entravano con la magia. Replicò con secchi monosillabi a domande strane, tipo “ti piace la carne alla griglia? Hai mai visto il mare? Hai mai giocato a palle di neve sulle montagne?”, cauto nel rilasciare qualsiasi genere di informazione su se stesso, e inconsapevolmente le sciocchezze disgiunte rosero la sua attenzione. A un certo punto si ritrovò abbastanza confuso e stufo di quella pagliacciata, e quando se ne accorse seppe di aver perso. Se avesse potuto sudare freddo a quest'ora sarebbe stato fradicio: una chiacchierata, era bastata soltanto una chiacchierata.

Un tremito gli corse lungo la schiena e tentò di non mostrare la sconfitta al finto vecchio che si stava dilungando sulle ombreggiature nei colori di quadri mai visti.

«Ti vedo perso, giovanotto.» disse gentile.

“Sto per morire.”

«È una tua impressione.» ribatté, ma la sua voce vacillava.

Il demone non diede segno di accorgersene.

«Che ne dici se per stanotte la finiamo qui?»

«Cosa vuoi dire?» si allarmò.

«Tranquillo, tranquillo. Non intendo farti del male.» rassicurò. «Mi piacerebbe parlare di nuovo con te, la prossima volta che verrai nell'Oblio.»

«“La prossima volta”?» ripeté incredulo, e la creatura annuì.

«Ci si può sentire soli da queste parti, con l'unica compagnia di demoni assetati di anime e corpi da possedere.»

«Vuoi farmi credere che non è anche il tuo obiettivo?»

«Credi quello che vuoi, io desidero soltanto conversare attorno al fuoco senza preoccuparmi troppo del resto.»

«Perché?»

«Per passare il tempo.»

Elmer emise una risata strozzata dettata dal nervosismo. L'essere malefico gli regalò un'espressione benevola, paterna, e il mago ebbe ben chiare le riflessioni sul conforto, accettazione, sostegno e “gnam” di poco prima. Col cazzo che sarebbe tornato in quella fottuta caverna. Ma già sapeva di non avere scelta sul dove, quando si trattava di Oblio.

«E come esco?»

«Svegliandoti.»

Elmer sollevò le palpebre, incontrando il viso addormentato di Sereda a un braccio di distanza dal suo. L'oscurità della notte era stata sostituita dal chiarore mattutino e la tenda era immersa in un colore azzurrognolo. Si tirò su, spostando la coperta e rabbrividendo con sollievo al freddo che gli fece venire la pelle d'oca. Era nel mondo reale.

Inspirò ed espirò, recuperando la lucidità. Nonostante l'incontro col demone non era particolarmente spossato o indebolito mentalmente, tuttavia questo non gli impedì di prendere atto della pessima performance che stabiliva un bruttissimo record sul suo personale curriculum alla voce “colloqui demoniaci”. E non riusciva ad adirarsi con se stesso. Aggrottò la fronte, perplesso, e capì di non avere la forza d'animo per incazzarsi. Si sentiva... inerte, come quella spenta mattina d'autunno. Era un effetto collaterale del dialogo?

Fu tentato di lasciar perdere e proseguire la giornata recuperando le energie per la prossima riunione attorno al focolare, ma la sua parte razionale insistette per un'accurata analisi. Non ne aveva voglia, però l'istinto si stava ribellando ferocemente alla pericolosa indolenza: non era normale, era un male da sradicare, adesso. Si posizionò per la meditazione e cadde in trance. Il buco era ancora là, ma un po' differente: i contorni erano maggiormente delineati e la massa scura risultava più contenuta che in precedenza. Per quale motivo? Sondò con attenzione la zona. Ora era più facile navigare nei meandri del buco nero e altrettanto facile era comprenderne l'origine. Forse era grazie alla chiacchierata...

Turbato dalla rivelazione, uscì dalla meditazione e si affrettò a tenersi occupato. Si rivestì e venne investito da un freddo pungente una volta fuori dal riparo. Duncan stava ravvivando il fuoco con scarsi risultati. In un impeto di stizza per i recenti avvenimenti, senza pensarci Elmer allungò una mano verso le ceneri e invocò le fiamme. Che non arrivarono. Il Comandante lo squadrò preoccupato mentre il mago distoglieva lo sguardo per l'improvvisa vergogna.

«Tutto bene, Elmer?»

«Sì. Sì, tutto bene.» disse con la mascella contratta avvicinandosi.

«Sei sicuro?»

«Ho detto che sto bene.» rispose brusco.

Era mattina e faceva un freddo cane, doveva concentrarsi un po' di più, tutto qui. Tenne le mani sollevate e gli occhi puntati sulle braci; recitò l'incantesimo base con calma e le fiamme si innalzarono obbedienti. Sospirò rincuorato dal piccolo successo e si trattenne presso le lingue di fuoco che gli scaldavano la pelle e il cuore. Il barbuto colse il momento per posargli un palmo sulla spalla, come faceva sempre quando era in procinto di rilasciare la mitica saggezza ai posteri.

«Ammettere di avere un problema è il primo passo per superarlo. Se non con gli altri, almeno con te stesso.»

“Oh, per favore, questo è un classico.” pensò roteando gli occhi al cielo, scocciato.

Duncan non se la prese, gli diede un'incoraggiante pacca sulla schiena e gli disse di destare Sereda. Ben presto furono a cavallo per l'ultimo pezzo che li separava da Ostagar.

 

Giunsero alla fortezza costruita anticamente dall'Impero Tevinter nel tardo pomeriggio, e con grande sorpresa ad aspettarli c'era re Cailan Theirin in persona con la splendida armatura dorata scintillante; probabilmente li avevano avvistati dall'alta torre che si innalzava poco più in là. Smontarono dalle selle per riceverlo e mentre Elmer aiutava la nana a scendere il re salutò il Comandante dei Custodi con entusiasmo.

«Duncan!»

«Re Cailan. Non mi aspettavo-»

«Un benvenuto regale? Cominciavo a preoccuparmi ti saresti perso tutto il divertimento.»

Non sapeva se tutte le celebrità fossero così, Elmer sospettò che perfino per i normali standard Cailan fosse un tantino pieno di sé. Anche l'ex principessa lo considerò con espressione stranita quando il sovrano si mise sull'attenti al fianco del barbuto, giocando ad immaginarsi il giorno della parata dopo la gloriosa vittoria.

Il mago si accorse che, a differenza del re dei nani, il re degli uomini non gli instillava alcun automatico rispetto per la sua posizione. Era troppo giovane e, a parte gli ornamenti costosi e l'assenza del dono, non era diverso dai tanti apprendisti del Circolo; magari c'entrava anche il fatto che era umano e non una novità come i nani.

«Gli altri Custodi mi hanno detto che avresti portato delle reclute promettenti. Suppongo siano loro.» continuò la bionda maestà.

«Permettetemi di fare le presentazioni, Vostra Maestà.»

«Non c'è motivo di essere così formali, Duncan. Spargeremo sangue insieme, dopotutto. Ehilà amici miei, posso sapere il vostro nome?»

Ehilà”? No, davvero, “ehilà”? Faceva sul serio? La sua pazienza iniziò a consumarsi velocemente.

«Elmer, Vostra Maestà. E sono l'unica recluta.» precisò, nemmeno sprecandosi in un sorriso.

Perché quella scontrosità? Ebbene, dopo le parole di Duncan, aveva trascorso la cavalcata a ragionare sul demone, per quanto il trotto gli permettesse di compiere riflessioni senza mordersi la lingua. Non era stato semplice, data la sua ostinazione, ma alla fine aveva ammesso a se stesso di avere un grosso problema. Fortunatamente i libri e le lezioni del Circolo in materia erano pieni di buoni suggerimenti; scavando a fondo nella memoria si era reso conto che la soluzione non era lontana e che esistevano contromisure adeguate a quelli che i testi definivano comuni tentativi di persuasione demoniaca. L'avversario era ostico tuttavia non impossibile da battere. La parte importante era immergersi in una meditazione meticolosa prima del sonno, così da riuscire a mantenere il controllo all'interno dell'Oblio.

“Quindi scusa tanto se non scodinzolo di fronte ai tuoi baldi capelli biondi mossi dal vento, vado di fretta.”

Ovviamente non lo disse ad alta voce.

Cailan sembrò un po' preso in contropiede dal suo atteggiamento distaccato e il barbuto Comandante intervenne per spiegare in sintesi che Elmer era il futuro Custode reclutato al Circolo e Sereda una compagna preziosa trovata a Orzammar; la nana si inchinò cortesemente e il benvenuto si concluse. Da lì il mago perse interesse, annotandosi soltanto una frase di Sereda che commentava “non pensavo che l'esito della battaglia fosse così favorevole” e l'occhiata di velata superiorità che Cailan rifilò a Duncan in seguito al riferimento dell'offerta di uomini dello zio Eamon.

“Togliamo pure “tantino”, questo tizio è decisamente pieno di sé.”

Quando il re si accomiatò (non prima di aver espresso una stizzita delusione sulla mancanza dell'arcidemone), Elmer non si trattenne.

«Non mi ha fatto una buonissima impressione.» disse senza peli sulla lingua, consapevole che Duncan avrebbe mitigato la sua opinione.

«È giovane.» rispose infatti, ma la brevità dell'affermazione era sufficiente per capire cosa ne pensasse realmente.

«Non voglio offendere, Custode, ma concordo con ser Elmer.» gli diede manforte Sereda, al che il Comandante spese due parole per difendere l'immaturo sovrano che aveva il merito di aver preso l'ordine sotto la sua ala protettiva.

Risposto alle domande tecniche dell'ex principessa sulla vera situazione militare con tanto di pareri personali, il barbuto aggiunse qualche avviso e li invitò ad entrare nell'accampamento.





Note dell'autore:
Comincio col dire che questo capitolo non mi soddisfa >_> Non so se ricordate ma qualche giorno fa avevo detto che il ventuno sarebbe stato il capitolo di Ostagar: ciò significava che il venti, questo, era da dedicare alla bella chiacchierata con il demone e le sue conseguenze. Poi ho cambiato idea XD
Ho accorciato di bbbestia e alla fine ho unito l'inizio brevissimo del ventuno in modo da arrivare adesso a Ostagar; le riflessioni sulle conseguenze e il rapp... - ehm, spoiler, scusate - le scrivo nel ventuno, così ho la scusa per scrivere due passaggi di più che altrimenti non sapevo come aggiungere senza rendere la cosa forzata.
Ora più che mai vi chiedo di segnalarmi gli errori perché con la correzione frettolosa che ho fatto sicuramente ho lasciato indietro un sacco di cose orripilanti u_u
Che dire infine su questo capitolo? Beh, spero che sia chiaro quanto ci tengo a far capire l'insistenza snervante dei demoni verso i maghi, che causa la perenne irritabilità del nostro Elmer! XD E che non mi piace moltissimo Cailan, se la tira troppo, ma questo lo ribadirò nel prossimo capitolo.
Non ho altro da aggiungere, spero vi sia piaciuto ^^ Ci sentiamo il più presto possibile con il ventuno (ci metterò un bel po'), ciauz!

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Capitolo 21
*** - ***


La prima cosa di cui si premurò fu evitare la zona maghi come la peste. Avvistata Wynne, in piedi accanto a un albero in contemplazione dei dintorni, tenne il cappuccio sollevato e la aggirò. Wynne la Sparasentenze, mancavano solo le sue ramanzine a illuminargli la giornata. Già immaginava l'inizio conversazione “che cosa ci fai qui?”, seguito dalla miriade di domande relative alla sua uscita di scena dalle grinfie di Greagoir che avrebbero condotto a Jowan e alle sue scelte questionabili e “Elmer, decisamente non è un comportamento degno di te, come hai potuto? Dovevi scegliere la fedeltà alle regole della Chiesa e condannare a morte il mago del sangue ancor prima di raggiungere i sotterranei”. Eh, la solita dolce vecchia Wynne.

«Qualcosa non va?» domandò Sereda notando l'andatura veloce e il cappuccio usato come scudo.

«Preferisco rimanere lontano dai templari.»

«Capisco.» comprese, lanciando una fugace occhiata all'area a loro riservata. «Che ne dite di cercare le reclute e il Custode Alistair?» propose.

«Devo meditare.» borbottò di cattivo umore, sapendo che il demone travestito da vecchio non avrebbe saltato la visita.

I ripassi scolastici l'avevano decisamente tranquillizzato: il modo di agire del mostro era normale amministrazione. Per lui erano trucchetti insoliti poiché essendo caratterialmente forte i demoni ci pensavano due volte prima di tendergli un'imboscata. La situazione era perfettamente gestibile, non bisognava lasciarsi condizionare dall'astuzia del nemico.

“Se apprendisti più deboli l'hanno scampata, io ce la farò sicuramente. Devo solo meditare a sufficienza.”

Che si facesse avanti, il vecchio bastardo, era pronto a dargliele di santa ragione.

«Potrete meditare stanotte. Andiamo.»

L'ex principessa gli agguantò la mano e si trascinò dietro il mago recalcitrante.

«Ma che volete?» sbottò sorpreso da tanta intraprendenza.

«Non ho intenzione di vagare da sola in un accampamento umano, ser Elmer, e mi occorre il vostro denaro per un'armatura più adatta al mio rango.»

«Sempre che abbiano la vostra taglia.» commentò acido.

L'educazione di Sereda, tranne per il mantenimento del voi, era calato drasticamente dopo lo schiaffo sul carretto. Solitamente non si sarebbe lamentato della comoda informalità ma qui si era agli estremi. A sua memoria, soltanto Jowan, Neria e pochi eletti avevano avuto il permesso di maneggiarlo alla stregua del bambolotto di pezza da tirarsi dietro in ogni dove. Elmer lasciava correre per amicizia. Sereda non era un'amica, non ancora, almeno. Probabilmente viaggiare e vivere insieme li avrebbe legati ma adesso le sue maniere scadevano nell'inappropriato. Non si liberò con uno strattone per non iniziare una ridicola scenata.

Il quartiermastro non aveva nulla da vendere alla piccola nana. Sulla punta della lingua aveva un “te l'avevo detto”.

«Nemmeno un elmo?» supplicò con i suoi occhioni la donna.

«No, signora. Questi vi coprirebbero la visuale.» si rammaricò l'uomo porgendole il casco pesante di modo che verificasse da sé, tuttavia offrì un compromesso per accontentarla. «Posso provare ad aggiustarne uno di pelle, e sistemare guanti e bracciali, forse stivali, sempre in pelle, ma gli articoli d'armatura pesante sono fuori dalla sua portata fisica. Sono spiacente.»

«Per quando saranno pronti?» si informò il moro mentre Sereda litigava con l'elmo troppo grosso.

«Per domani mattina, ser.»

Gli venne il dubbio che il venditore non avesse menzionato un pagamento extra per merito degli occhioni dolci.

“Ti pareva.”

Depositarono un acconto e si guardarono attorno, non sapendo dove fossero le persone che cercavano in mezzo al marasma di frenetica attività del campo. Erano nel cuore delle rovine tevinter di Ostagar, il luogo in cui avevano allestito le tende rappresentative dei vari gruppi e da cui venivano diramati gli ordini. Bastava spostarsi sul lato sinistro e si incappava negli alloggi del re e del suo generale, a destra i maghi e il quartiermastro, in alto vi erano l'infermeria, il canile e una mensa. C'erano soldati ovunque, elfi di corsa, fabbri al lavoro, templari sull'attenti, medici e pazienti deliranti, ufficiali che illustravano le debolezze del nemico e rari nullafacenti.

«Stupido pervertito di un Custode Grigio.» borbottò un soldato femmina oltrepassandoli.

«Potrebbe essere la nostra ultima notte!» le urlò dietro la fonte della sua stizza.

Umano e nana adocchiarono un uomo dai corti capelli scuri, un filo di barba sulle guance, un brutto pizzetto e l'espressione malandrina. Quello era il Custode Alistair? Aveva un arco lungo sulle spalle e un'armatura leggera però niente che indicasse la sua appartenenza all'ordine. Lo sconosciuto si accorse del loro interesse e senza imbarazzo li approcciò.

«Siete nuovi.» azzeccò a colpo sicuro. «Benvenuti a Ostagar, soprattutto lei, mia signora.» ardì un baciamano.

«Le parole sono sufficienti, vi ringrazio.» dichiarò la nana nascondendo l'arto minacciato. «Siete un Custode Grigio?»

«Ebbene sì.» disse fiero. «O meglio, lo diventerò presto, per ora sono una recluta. Daveth, al vostro servizio.»

«Visto, ser Elmer? Ne abbiamo trovato uno.»

Il moro lo scrutò con attenzione. Cosa avevano in comune lui e l'arciere? Il Comandante non si era dilungato molto sui requisiti per divenire Custode Grigio e il mago non aveva chiesto nello specifico, d'altra parte credeva che l'avesse coscritto per compassione e per la raccomandazione di Irving. Alla fin fine doveva trattarsi di prestanza fisica e specializzazione in una disciplina di combattimento per le persone normali e padronanza della magia per i maghi. Daveth probabilmente era un portento con arco e frecce.

«Mi stavate cercando?»

«Siamo appena arrivati con il Comandante Duncan. Ci ha riferito della presenza di altre due reclute e un Custode.»

«Siete reclute anche voi, allora.» si rallegrò l'uomo. «Meno male. Chi lo sopporta il ser cavaliere senza macchia e senza paura come unica compagnia?»

«Io non sono una recluta, mi spiace, ma ser Elmer sì.»

«Molto piacere.» disse neutro.

Contrariamente all'apparenza, Elmer non era propenso a scomodarsi per fare nuove conoscenze. Sì, aveva le frasi giuste, il sorriso giusto, la risata giusta, ma chi glielo faceva fare? Se dovevano conoscersi per qualche ragione, bene, altrimenti no; non fosse stato per Sereda si sarebbe rintanato nella tenda dei Custodi a meditare e lì avrebbe atteso la combriccola per le presentazioni.

«Frena l'entusiasmo, così mi ucciderai.» ironizzò l'altro. «Perché quel muso lungo?»

Fece spallucce, sprizzando disinteresse da tutti i pori, tuttavia la donna si intromise con affabilità per limitare i danni d'antipatia, desiderosa di partire col piede giusto a tutti costi.

«Cose da maghi, perdonatelo. È da quando abbiamo sconfitto la maga del sangue nei pressi di Redcliffe che è scorbutico.»

«Ho bisogno di tempo per riprendermi da un attacco del genere.» si difese, piccato dall'atteggiamento solare in riferimento a un'esperienza tanto sofferta.

«Sei un mago?»

Il tono incerto lo distolse dal principio di un battibecco; Elmer lo associò all'ignorante pregiudizio popolare e d'istinto partì all'attacco.

«Mi auguro che non sia un problema.» sfidò.

«No, no, per carità, amico. Non ci tengo ad essere trasformato in un rospo, davvero.»

L'arciere sollevò le mani e arretrò con una postura tesa mentre Elmer sfoderava un sorrisetto tagliente.

«Bene. Ne ho già mangiati troppi durante il tragitto, con quei banditi per le strade.» mentì, e Daveth, con suo sommo piacere, sbiancò.

«Smettetela di spaventarlo, ser Elmer, e toglietevi quel sogghigno dalla faccia.» lo rimproverò amichevolmente la nana. «Non temete, ser Daveth, sta scherzando.»

Ancora una volta rimase stupito dalla sua sfacciataggine. Sembrava tornata la principessa Aeducan sicura di sé, dotata di parlantina, occhi ammiccanti e senso dell'umorismo. Era un miglioramento, non lo negava, però lo infastidiva la disinvoltura con cui prendeva l'iniziativa e parlava in vece sua: le concedeva di monopolizzare l'attenzione, in fin dei conti era una prerogativa che lo coinvolgeva in campo magico e lì non aveva concorrenza, ma nel momento in cui non voleva ricevere attenzioni o raccontare i fatti suoi, che diritto aveva lei di immischiarsi? Chi credeva che fosse, il suo guardaspalle Gorim? Col cazzo.

«Uno scherzo, certo.» ridacchiò nervosa la recluta. «Beh... Una maga del sangue, eh? Vittoria notevole.» lusingò.

«Ser Elmer ha una tattica segreta per la magia del sangue. È imbattibile, credetemi.»

«Ci credo, ci credo.»

Se lo sguardo potesse uccidere, l'ex principessa si sarebbe sbriciolata in cenere, da lui poeticamente dispersa al vento. La tattica dell'umorismo a spese degli altri, tsk! Farlo diventare lo scemo del villaggio per accattivarsi la simpatia altrui era improponibile, non avrebbe rovinato la sua fantastica prima impressione per una vomitata provvidenziale. Elmer era permaloso, non era un segreto, e stuzzicarlo senza una solida base di affiatamento le avrebbe guadagnato una sonora batosta.

«La finite con questa storia? Non è divertente.» la mise in guardia.

«Vi sbagliate: è molto divertente.» sottolineò spiritosa, ignara del pericolo.

“Crede di essere in cima alla catena alimentare ma qui non siamo a Orzammar.”

Nell'ambiente privilegiato in cui era cresciuta si era amiconi dopo uno schiaffo? Si ripromise di farle un discorsetto sull'affrettare i tempi nei rapporti interpersonali.

«Sai niente del rituale dell'Unione?» troncò le sciocchezze, impaziente di concludere.

Daveth li aggiornò sulle voci secondo le quali avrebbero dovuto addentrarsi nelle Selve Korcari e si accomiatò ribadendo di non aver nulla contro i maghi, tranne le streghe delle Selve di cui aveva udito storie raggelanti da bambino. Per insistenza di Sereda (ormai tanto valeva esplorare) si soffermarono ad ascoltare i sacri auspici di una sacerdotessa, poi sostarono ai canili dove la donna ammirò gli esemplari e dialogò cordialmente con il capo dei Guerrieri della Cenere. Terminata la perlustrazione, domandarono indicazioni a un elfo che li indirizzò dal Custode Alistair, che fece una pessima figura.

«Non è poi così male.» mediò Sereda. «Un pochino infantile.»

«È un templare, che ci si può aspettare?»

L'incontro gli aveva rammentato le prepotenze templari al Circolo e gli era montata una rabbia tale che il Custode, non più vecchio di lui e per giunta suo superiore (umiliante!), aveva rumorosamente inghiottito a vuoto sotto gli occhi viola dalla nota omicida. Ah, si era defilato alla svelta, il codardo!

«Sicuramente non è terribile come lo dipingete. Abbiate pazienza, conoscetelo un po' prima di giudicare.»

«Credete forse che lui si prenderà la briga di fare lo stesso con me? Oh, Sereda, sapete talmente poco della Chiesa di Andraste e dei suoi lacchè.»

«Non siate prevenuto. Ha detto di aver abbandonato l'ordine prima della nomina, quindi tecnicamente non è mai stato un templare.»

«La dottrina e l'addestramento rimangono. Non avete visto il modo in cui ha trattato quel mago?»

«Neanche quel mago mi è parso incline alla gentilezza.»

«Ha colto il significato nascosto dietro la scelta del messaggero, e quella stupida testa di rapa non ha smentito le aspettative.» si impuntò. «Sentite, ci sono dibattiti che vanno avanti da secoli, entrambe le fazioni hanno torto e ragione, non ha senso discuterne. Io assolverò ai miei doveri di Custode, aiuterò... il mio futuro compagno d'armi, ma nessuno mi costringerà a farmelo piacere.»

«Chiaro.» assecondò la nana. «È quasi ora di cena. Andiamo da Duncan?» cambiò prontamente argomento.

«Vi raggiungerò dopo. L'aria fresca mi gioverà alla salute.»

Passeggiò lungo le mura, origliando i soldati appostati di vedetta e sporgendosi verso la vallata in basso dove una miriade di tende erano state erette per ospitare l'esercito. Caspita, il re doveva aver chiamato a raccolta la maggioranza dei bann vicini. Il pensiero che fanteria e cani da guerra avrebbero corso contro il nemico affrontando la morte di petto come nei romanzi epici era ammirevole ma non invidiabile. Lui non l'avrebbe mai fatto, non aveva una grande vena patriottica a stimolargli azioni eroiche. Anzi, fosse per lui e non per Duncan non si sarebbe trovato a Ostagar. Perché rischiare la pelle contro la prole oscura? Che cosa aveva da proteggere se non la sua vita?

“E ora dovrò combattere in una guerra di cui non me ne frega niente.” meditò con un sospiro. “Che dovrei fare? Lanciare incantesimi a raffica? Oppure c'è una strategia da seguire per i maghi. Non ditemi che dovrò unirmi ai ranghi del Circolo per non creare scompiglio nella tattica militare.”

Non ci teneva a riabbracciare gli incantatori anziani e gli adorati carcerieri. Chissà se nella lettera esplicativa Greagoir aveva espresso intenti violenti verso la sua persona. Perché ovviamente ne aveva spedita una riguardante le circostanze del suo arrivo a Ostagar.

“Potrei davvero essere assassinato per ripicca? Roba da romanzo.” ironizzò, per poi sospirare nuovamente all'immagine sanguinosa di una morte orribile.

Aveva scoperto la libertà da nemmeno tre mesi, gli seccava enormemente tirare le cuoia così presto, nel fior fiore della giovinezza. Aveva diritto a un po' di indulgenza visto che era un novellino? Magari Duncan lo avrebbe relegato nelle retrovie, maggiormente al sicuro rispetto ai coraggiosi davanti.

Perso nelle proprie riflessioni, si accorse di Daveth soltanto quando lo ebbe a quattro metri di distanza. La recluta ciondolava al limite della zona dei maghi e, sebbene lo dissimulasse molto bene, occhieggiava un certo scrigno a cui un Adepto della Calma teneva compagnia.

Ecco una delle ragioni per conoscere qualcuno: curiosità.

«Aspetti qualcuno, Daveth?» L'uomo scattò come una molla e si voltò coi pugni alzati. «Bei riflessi.»

«Oh, sei tu. Mi hai fatto prendere un colpo... Elmer, giusto?» si riprese in un attimo.

«Esatto. Che stai facendo?» andò dritto al punto.

«Ah, ora ti interesso, eh?» ridacchiò poggiando le mani ai fianchi. «Niente di che. Cammino, chiacchiero con i passanti, tento la fortuna con le donne. Tu?» fece innocente.

«Cammino, osservo, mi chiedo perché non stacchi gli occhi da quello scrigno.» lo imitò amabile.

Daveth rise e Elmer si ritrovò a sorridere di rimando; aveva un buonumore contagioso. L'arciere lo contemplò per lunghi secondi e qualcosa lo convinse a confessare di essere stato beccato e di non essere un uomo pio; lui e Duncan si erano incontrati quando Daveth lo aveva borseggiato a Denerim. Di conseguenza il mago indovinò le sue intenzioni e lo smontò con una breve osservazione.

«Senza la chiave non lo aprirai mai.»

«Perché?»

«È sigillata con la magia, riconosco gli intagli.»

L'uomo imprecò e rimirò avidamente la serratura. Non si sarebbe arreso.

«La chiave.» calcolò. «Ce l'avrà uno dei templari, o un mago. Non è che tu potresti...» lo imboccò speranzoso.

«Scordatelo.» liquidò immediatamente.

«Dai, non mi sembri un tipo molto attaccato alle regole. Scommetto che il bottino lo condivideresti volentieri.» lo allettò con complicità.

«Vero, però non ho voglia di parlare con loro. Duncan mi ha coscritto alla Torre del Circolo più di un mese fa, contro la volontà del Comandante Templare; li avrà già avvertiti dell'increscioso incidente.»

«Quanto increscioso?» misurò affatto turbato dalla possibilità di star complottando con un eretico.

«Diciamo che non è stato il migliore degli addii.»

«Dunque non riusciresti ad ottenerla con le buone. È per questo che non ti levi il cappuccio?» colse nel segno, divertito, invitandolo a mettersi comodo con lui su delle botti con un gesto della mano.

«Esatto. Comunque, cosa c'è lì dentro?» volle sapere, accettando l'invito.

«Boh. Un tizio ci ha provato, il disertore appeso nella gabbia, e, come diceva la mia mamma, “se qualcosa ha valore per qualcuno, allora con tutta probabilità ha valore anche per te”.»

«Strano consiglio.»

«Era una donna concreta.» asserì passandogli un pezzo di formaggio ricavato da una tasca.

Smangiucchiarono in pace, senza sentire il bisogno di riempire il silenzio. Elmer lo apprezzò molto, Daveth sarebbe stato un buon compagno tra i Custodi; di sicuro più di Alistair. Spinto da un'ispirazione e dalla voglia di fraternizzare con una scusa, andò a fondo della questione scrigno.

«Il disertore ha risolto il dilemma della chiave?»

«So che una sera ha fatto ubriacare un mago, dopodiché l'hanno arrestato che si aggirava furtivo per l'accampamento. Hanno dato per scontato che volesse disertare.»

«Scambiamoci due parole. La prospettiva della vicina impiccagione magari gli ha aperto il cuore alla generosità verso il prossimo.»

«Mi piace come ragioni.»

Sogghignarono come due truffatori e si diressero verso l'obiettivo. Disgraziatamente la gabbia era piantonata da una guardia a dir poco scorbutica. La studiarono un po', fingendo di bersi gli incoraggiamenti alla messa andrastriana nelle vicinanze, bisbigliando un piano.

«Quello, amico mio, non è un uomo felice della sua posizione.» concluse l'arciere.

«Forse riusciamo ad attirarlo più in là con un pretesto.» rifletté il mago. «Hai un mazzo di carte?»

«Sai giocare a carte?»

«E barare.»

«Allora è un peccato che non ne abbia uno a portata di mano.» gli rincrebbe. «Potremmo parlargli.»

«E dirgli cosa?»

«Non lo so, improvvisiamo.»

«Ehm, ehm.» si schiarì la voce un'ascoltatrice disturbata dai loro sussurri.

Gli uomini si scusarono e abbassarono diligentemente il capo. Fu grazie a lei che Elmer ebbe una trovata decente, una variante dell'iniziata ingenua che finì per convincersi dell'innocenza di un ladro imprigionato (Quel che non ti ho detto, da pagina ventidue a centosettanta).

«Potremmo portare conforto al condannato per conto della sacerdotessa.»

Daveth approvò eccitato e, recitata l'ultima preghiera della funzione, si avvicinarono al soldato con i visi più onesti di cui erano capaci.

«Buonasera, buonuomo.» cominciò solenne l'arciere. «Siamo qui per conto della sacerdotessa.»

«Che vuole la sacerdotessa?» ribatté rude l'uomo assottigliando gli occhi.

«Confortare l'animo del condannato.» rispose Elmer. «È giusto che anche lui riceva della gentilezza prima di raggiungere l'Oblio.»

«Puah. Questo codardo non si merita la pietà di Andraste.» sputò a terra. «Perché la sacerdotessa non è venuta di persona?»

«È molto impegnata, ci sono malati incurabili in infermeria.» spiegò Daveth.

«Mmmh.» ponderò. «D'accordo. Vedete di non metterci troppo.»

Al contrario della guardia, il prigioniero li accolse con gratitudine e anticipò qualsiasi loro richiesta pregandoli per cibo e acqua di cui era a digiuno da giorni. Volendo ingraziarselo, Daveth raccattò un piatto formato da pane, formaggio, pancetta affumicata e un boccale di idromele. Lo sventurato fu così riconoscente che non ci fu alcuna necessità di nominare la faccenda della chiave, la consegnò e basta, raccontando di averla ingoiata quando quegli idioti l'avevano erroneamente arrestato per diserzione. Elmer la avvolse in un fazzoletto (provenienza intestinale, bleah...) e mentre si dirigevano alla tenda dei Custodi gli dispiacque per il poveraccio accusato ingiustamente (pazienza se aveva in mente un furto invece che una fuga). Che sfiga alle volte.

«Siete in tempo per cucinare, ser Elmer.» salutò Sereda, seduta tra Alistair e un uomo alto.«Il cibo della mensa non è buono quanto il vostro.»

«Sai anche cucinare?» esclamò Daveth.

«Il nostro palato ha giovato della sua esperienza con le erbe, non c'è dubbio.» disse Duncan, intento ad arrostire la carne avanzata dalla cavalcata. «Vedo che vi siete conosciuti. Mi auguro non abbiate combinato guai.» li valutò con uno sguardo che ce la sapeva lunga.

«Assolutamente no.» «Cosa te lo fa pensare?» dissero in coro; il Comandante scosse la testa e rinnovò mentalmente la sua arma segreta: la pazienza.

«Ne approfitto per presentarmi.» gli si rivolse lo sconosciuto dai capelli rossicci alzandosi e offrendogli la mano. «Ser Jory. È un piacere fare la vostra conoscenza.»

Così era lui il cavaliere senza macchia e senza paura citato da Daveth. Beh, la stazza c'era. Era bello alto e muscoloso, le mani erano grandi e callose, il volto era sincero e disponibile, se il Creatore gli avesse donato un aspetto più attraente sarebbe stato perfetto in un romanzo con damigella svenevole al seguito.

«Elmer, dal Circolo dei Maghi.» contraccambiò la stretta, evidenziando fin da subito di che pasta era fatto.

«I maghi sono potenti alleati, i loro prodigi sono famosi in tutto il regno. Il Comandante Duncan e lady Sereda mi hanno raccontato della vostra impresa a Redcliffe, sono onorato di servire i Custodi Grigi al vostro fianco.»

Daveth esibì una significativa roteata di occhi al cielo per la sviolinata tuttavia i complimenti colpirono al cuore il mago che sorrise e chiacchierò volentieri con l'omone. Cominciarono a cenare e scoprì che in precedenza Jory abitava proprio a Redcliffe ed era cavaliere al servizio di arle Eamon; dopo aver incontrato la futura moglie si era trasferito ad Altura Perenne e ora lei era incinta. Era una persona educata e gentile, non capiva perché a Daveth non andasse a genio. Pregiudizi sul ceto sociale, sicuramente.

Prima di coricarsi Duncan diede la notizia che tutti bramavano: il rituale si sarebbe compiuto appena le tre reclute e Alistair avrebbero riportato tre fiale di sangue di prole oscura da una gita nelle Selve, oltre a ciò, c'era da accertarsi della conservazione dei trattati di cui il barbuto aveva recuperato la mappa a Orzammar. Spenti i fuochi, Elmer e Daveth sgattaiolarono nell'oscurità rischiarata dalle fiaccole dell'accampamento, diretti allo scrigno. In men che non si dica il coperchio fu sollevato: c'erano un bastone magico e un berretto poco allettanti che non toccarono, un cappuccio incantato che finì nelle tasche del mago e monete d'argento e alcune pozioni curative che si divisero. Tornati alla tenda Daveth estrasse dal suo zaino un astuccetto con forbici, fili e aghi, e si sorprese con un divertito «C'è qualcosa che non sai fare?» quando Elmer glieli sottrasse e modificò da solo il nuovo indumento affinché non fosse immediatamente riconoscibile.

La visita all'Oblio lo colse alla sprovvista. Le novità diurne gli avevano fatto trascorrere un placido pomeriggio perciò l'apparizione del vecchio con la fissa delle due paroline attorno al fuoco fu una secchiata d'acqua gelida. Ricordava benissimo la mortificante sconfitta sulla maledetta seggiola e non era desideroso di una ripetizione.

«Hai passato una bella giornata?» curiosò il demone strofinando i palmi sulle fiamme.

«Sì.» rispose lapidario.

«Si vede.» indicò il suo abbigliamento, tunica da mago, soprabito e bastone di Orzammar. «Stai riacquistando fiducia in te stesso. È una buona cosa.»

Considerando che la tunica era il solo capo della vecchia vita del Circolo non poteva dargli torto. Nonostante la meditazione pre-dormita fosse stata minima il risultato era quantomai eccellente: era armato e in grado di uccidere.

«Sono più forte, adesso.» attestò in una velata minaccia.

«Mi fa piacere. La forza ti servirà se vorrai sopravvivere là fuori. Che stagione hai detto che era? Inverno?»

«Autunno.»

«Allora ci sarà molta pioggia dalle vostre parti. Copriti bene o ti beccherai un malanno, giovanotto.»

Anche stavolta lo sollecitò a rilassarsi ma il mago rifiutò. Non voleva combatterlo, sebbene il suo aspetto fosse migliore del precedente sogno. Se fosse stato aggredito avrebbe contrattaccato, nel frattempo avrebbe atteso prudentemente il segnale di un chiaro vantaggio sulla creatura. Stabilì che quando fosse stato capace di creare con la volontà un'uscita dalla grotta, quello sarebbe stato il via libera alle maniere forti.

La notte trascorse serena, il demone blaterò, Elmer ascoltò con mezzo orecchio, e al mattino le reclute si prepararono per la giornata nella macchia verde paludosa.

«Ricordate il fiore delle Selve per il cane e state attento, ser Elmer, voglio vedervi tornare tutto d'un pezzo.» raccomandò la nana mentre Elmer gli affidava il denaro per il lavoro del quartiermastro.

«Non preoccupatevi, lady Sereda, in quattro e con ser Alistair a percepire il nemico le chance di un ritorno illeso sono alte.» incoraggiò il cavaliere avviandosi verso il cancello.

«Badate a loro, ser Elmer, voi li avete già affrontati.» ridacchiò lei.

«Ultimamente la vostra fiducia nelle mie capacità è aumentata a dismisura. Per non parlare delle mie prodezze: a quanto pare quella maga del sangue l'avrei sconfitta in posizione eretta e con un incantesimo alquanto improbabile. Come mai?» indagò diffidente.

«Beh...» esitò. «Ho perso il mio stato principesco, dovrò pur vantarmi di qualcosa.»

«Vantarvi del sottoscritto come se fossi una vostra proprietà non mi pare molto carino.» si lamentò.

«Indossate più di Orzammar che di una boutique umana, direi che ho qualche diritto sulla vostra persona.» ribatté incrociando le braccia, decisa a mantenere la cosa su un piano giocoso.

«Continuate a sognare, Sereda.»

Le diede le spalle e raggiunse i compagni; il discorsetto avrebbe dovuto attendere.

Agguantare mostri e riempire fialette fu quasi noioso, gli uomini erano addestrati e le previsioni di Alistair affidabili. Le Selve Korcari si rivelarono comunque un luogo insidioso e pieno di sorprese: aiutarono un soldato sopravvissuto a un attacco, Daveth trovò un sacchetto di cenere e un foglietto con informazioni di natura ambigua che il mago bruciò per sicurezza, una moltitudine di lupi affamati, il benedetto fiore per il cane, prole oscura, il contenitore rotto dei trattati dei Custodi e una presuntuosa strega delle Selve di facili costumi, la quale li condusse dalla madre fuori di testa (per favore, se quella era la vera Flemeth lui era un nug) che ciarlò a vanvera e riconsegnò il maltolto.

Al ritorno diede il fiore a Sereda che schizzò al canile a salvare la bestiola, mentre il quartetto si riuniva a Duncan. Non era ancora notte e il barbuto consigliò di recuperare le forze poiché non appena le fiale fossero state preparate dai maghi avrebbero svolto l'Unione.

“Dai maghi?” si domandò stranito.

Perché le fiale dovevano essere ritoccate dalla magia? Non erano un semplice espediente per testate la tempra delle reclute?

La conversazione proseguì e la gravità con cui Duncan si esprimeva lo turbò.

«Intendi dire che il rituale potrebbe ucciderci?» interpretò correttamente.

«Come potrebbe uccidervi qualsiasi prole oscura in battaglia.»

«Come?» pressò, e il Comandante svicolò con una vaghezza snervante.

Lo aveva coscritto e salvato da Greagoir soltanto per ucciderlo in seguito? Non ci credeva! La sua costernazione totale doveva essere trapelata dato che il barbuto i cui punti simpatia stavano calando drasticamente disse che non li avrebbe scelti se non avesse creduto in una loro chance di successo.

“Ma vaffanculo!”

Gli altri due vollero coraggiosamente affrettare l'evento, il mago faticò a comprendere l'improvviso pallino del suicidio. I deficienti avevano capito o no a cosa sarebbero andati incontro? Che cazzo avevano da gioire?!

«Riposate. Quando giungerà il momento Alistair verrà a prelevarvi.»

I due Custodi si congedarono e ciascuna delle tre reclute occupò l'attesa a modo suo: Jory si ritirò nell'alloggio con una candela accesa, Daveth controllò arco e frecce con pignoleria, Elmer si accomodò su un ceppo a pensare.

“Qui gatta ci cova.” si disse agitato. “Non ci avrebbe scelti se non avesse creduto in una nostra chance di successo.” ripeté.

Che cosa significava? Che il test era superabile con le loro capacità fisiche? O magari il rischio mortale era tutta una balla per spaventarli... Il sangue era stato davvero mandato dai maghi? Intuì che il Comandante non avrebbe scherzato su un ordine del genere, e la faccia da funerale di Alistair era tutto dire.

“Fiale di sangue...” rimuginò.

Non era magia del sangue, ovviamente, i templari non avrebbero acconsentito all'utilizzo dei loro protetti, ma cosa si otteneva con quel particolare ingrediente se non la magia proibita o l'incantesimo di localizzazione dei filatteri? A cosa diamine serviva il sangue? Quel liquido era veleno: la corruzione uccideva con terribili febbri o trasformava in ghoul dalla breve durata vitale, schiavetti deliranti e cannibali al servizio del nemico, che motivo c'era di...

“Le abilità dei Custodi Grigi!”

Sì, le due cose dovevano essere collegate, forse una dipendeva dall'altra. Ma come era effettivamente adoperato il sangue? Per tatuaggi? No, non ne aveva notato nessuno su Duncan o Alistair, e il primo l'aveva visto interamente spoglio salvo per le mutande. Quindi, escluso il disegno di un grifone sulle parti intime, rimaneva... un bagno? Tre fiale non erano sufficienti e dubitava che le avrebbero diluite in acqua. L'ingerimento?

“Ingerimento.” considerò. “Ingerimento...”

Si figurò la scena, il fluido scuro e nauseabondo che scivolava nella gola, si raccoglieva nello stomaco e lì sfrigolava e corrodeva gli organi interni. Gli venne la nausea. Come si combatteva un cancro che ti distruggeva dall'interno? Che razza di prova era?!

“No, devo essere sicuro. Non devo entrare in panico per una supposizione.” si contenne.

«Sereda.» chiamò. «Posso parlarvi?»

Era appartenuta alla famiglia reale di Orzammar e i nani avevano uno stretto rapporto con l'ordine dei Custodi Grigi, scommetteva che un segreto o due l'avessero svelato e il re di solito era il primo ad essere informato di certe cose. Insomma, quella donna doveva pur avere una qualche utilità, dannazione!

«Ditemi, ser Elmer.»

Studiandola capì che sapeva. Il tono di voce era serio e un poco triste, lo sguardo fisso su di lui per donargli attenzione incondizionata, manco fossero le ultimissime ore della sua giovane vita.

«Cosa sapete dell'Unione?» interrogò senza preamboli.

E lei glielo disse, senza indugio. E quando concluse, l'istinto di sopravvivenza gridò a Elmer di fuggire prima che lo legassero a una sedia e gli ficcassero un imbuto giù per la gola. Provò a dire qualcosa ma la bocca si apriva e chiudeva senza emettere suoni; la chiuse e la sigillò appoggiandovi un pugno, le pupille dilatate e incatenate al suolo.

“Un sacrificio mortale.”

Bere del sangue di prole oscura e augurarsi che andasse per il meglio. Che cazzo di ragionamento era? Non aveva senso! Tanto valeva lanciare una monetina e ammazzarlo adesso! Oh, quel traditore di Duncan!

“Un cazzo di sacrificio mortale!”

No. Col cazzo. No. No, no, no. Se lo scordavano! Si voltò, in cerca di una via di uscita.

Non c'erano mura a rinchiuderlo, non c'erano templari a seguire ogni suo movimento, c'era il mondo oltre quella fortezza. Mai avrebbe assunto volontariamente un veleno che l'avrebbe dolorosamente ucciso o ridotto alla pazzia dissacrando il suo corpo e la sua mente, ne aveva avuto un assaggio con la maga del sangue.

“La gente pensa che stia con Duncan, me la svignerei con una scusa, addormentando le guardie che mi ostacolano il passo.” Sì, ma dopo? “Morrigan e quella rincitrullita di sua madre! Sono eretiche, e la vecchia è abbastanza eccentrica da assistere un giovane mago in fuga.”

«Ser Elmer?» L'ex principessa lo riscosse dalle sue frenetiche riflessioni. «È normale essere nervosi, l'Unione è-»

«Datemi pure del vigliacco, Sereda,» interruppe impossibilitato a trattenersi oltre, «ma non sono scampato a una condanna a morte per cadere in un'altra.»

«Dove state andando?» domandò confusa vedendolo partire verso la generale direzione del ponte.

«Me ne vado.»

La nana strabuzzò gli occhi, incredula. Con uno scatto gli afferrò saldamente un polso e con uno strattone lo obbligò a nascondersi dietro un albero, lontano dall'indiscrezione altrui.

«Non oserete!»

Elmer non stava scappando dal proprio destino, no, era impossibile! Dov'erano l'onore e la lealtà che aveva visto lungo il cammino? Non provava vergogna a voltare le spalle al Comandante e ai suoi compagni? No, c'era una spiegazione... La paura. La paura gli stava giocando un brutto tiro, accadeva perfino ai guerrieri migliori, era un attimo di debolezza. Fortunatamente lei era lì e l'avrebbe aiutato a non commettere un errore irreparabile.

«Io non devo niente a nessuno se non a me stesso, non ho motivo di sacrificarmi per una causa non mia.» disse il mago, e la nana pensò di essere nel giusto perché l'Elmer che conosceva non avrebbe detto seriamente una cosa del genere.

La vittima tentò di sganciarsi ma non ci riuscì, lei era troppo forte. Ci fu uno scontro di sguardi senza vincitori né vinti.

«Duncan vi ha salvato coscrivendovi, non è così?»

«E allora?»

«La vostra vita gli appartiene.» Prima che il mago saccente aprisse la ciabatta per comunicarle che la schiavitù in superficie era illegale, continuò. «Cosa sarebbe successo se Duncan non fosse passato per il vostro Circolo?» Elmer si limitò a odiarla. «Rispondete.» intimò.

Il moro contrasse la mascella e trattenne un urlo, un incantesimo, o un cazzotto, chissà. Serrò le palpebre e inspirò profondamente.

«Sarei morto.» rispose a denti stretti.

«Sei un morto che cammina, Elmer, come la nostra Legione dei Morti. Il funerale ti è stato processato all'inizio del tuo viaggio, il tuo destino è segnato.»

«Potrei fuggire. Andare per i continenti del Thedas.» si ribellò. «Non voglio fermarmi, non voglio morire. Sono libero!»

«Ti sbagli, quella libertà non è tua. Non l'hai mai avuta. E la tua vita l'hai perfino gettata via.»

«Che cosa ne sai tu della mia vita?!» ringhiò.

«Non so cosa sia accaduto eppure mi è parso di capire che sei stato condannato alla pena capitale per qualcosa che tu hai fatto. È stato Duncan a prolungare il battito del tuo cuore, è stato Duncan a farti conoscere la libertà, è stato Duncan a mostrarti rispetto. Non ho ragione?»

Il mago avvampò al discorso veritiero e distolse lo sguardo, lucido per la collera. Il mana ribolliva dentro di lui, smanioso di avviluppare e sopprimere l'essere che lo tormentava.

Porca di quella Andraste! Era suo sacrosanto diritto avere voglia di vivere, non era nato per fare la vittima sacrificale in un folle rito barbaro! Duncan credeva di averlo in pugno con quella stupida coscrizione, pensava di avergli tolto la possibilità di scegliere, ma si sbagliava.

«Lasciami, Sereda.» comandò minaccioso.

Trasmise calore all'arto prigioniero e una luce apparve sul suo palmo riverso. La morsa ferrea non si allentò e l'ex principessa lo trafisse con un'occhiata.

«Sono più veloce di te.» disse ponendo la mano disimpegnata sull'elsa della spada. «Il tempo che impiegherà la tua fiamma a divorarmi, io ti avrò già infilzato con la mia lama.»

La stronza non voleva cedere. Preferiva condannarlo a morte, come Greagoir, come Duncan. Traditrice pure lei. Era solo. E in trappola. L'incantesimo del sonno era un azzardo con un avversario vigile e concentrato, lo stordimento uguale. Era impotente di attaccare, sconfitto, come con il demone.

“Ho perso.” si disse tremante. “O muoio qui o tento la sorte con l'Unione.” realizzò.

Nella sua rettitudine la nana non lo avrebbe liberato neanche se l'avesse supplicata in ginocchio. Fu grazie alle delusioni sperimentate al Circolo che non si mise a piangere per l'ingiustizia. Con il viso contratto in una smorfia sofferta, chinò il capo; rilasciò la tensione nei muscoli e pian piano regolò il respiro affannato per le emozioni impetuose che l'avevano travolto.

«Se sopravviverai, un giorno mi ringrazierai.» profetizzò la stronza con un tono più gentile. «Ognuno di noi deve affrontare le proprie sfide, non possiamo tirarci indietro altrimenti non vivremo mai per davvero. Supererai questa prova, Elmer, me lo sento. Sei troppo forte per perdere.»

Lo attirò giù e lo baciò sulla fronte. Nessuna pietà.

Lo ricondusse al fuoco e si sedettero in attesa di Alistair insieme agli altri. Non mollò mai il maledetto polso. All'arrivo di Alistair lo accompagnò fino all'entrata di quello che in tempi antichi era stato il tempio principale di Ostagar dedicato a divinità aborrite dal Creatore; lì sciolse la presa e tornò indietro lanciandogli un sorriso d'incoraggiamento. La maledisse.

Le due reclute entrarono in un dibattito che Elmer per lo più ignorò. Il cavaliere pensava alla sorte della moglie incinta se fosse morto, il ladro rimarcava che senza Custodi Grigi la prole oscura avrebbe spazzato via tutto, lui e moglie incinta inclusi. Il mago avrebbe considerato entrambi i punti di vista validi se di lì a poco non avesse subito uno dei più subdoli tranelli della sua esistenza. Oh sì, Duncan aveva una brillante carriera da demone del Desiderio, non c'era dubbio: gli aveva regalato ciò che desiderava, la libertà, e ora pretendeva il pagamento in anima.

“Cretino io a farmi raggirare così.” si biasimò.

Nel frattempo Alistair se ne stava zitto invece di intervenire e calmare gli animi, cosa che gli rammentò un concentrato cane da guardia, che bloccava la strada agli eventuali rinunciatari.

La comparsa di Duncan evocò un silenzio immediato. Illustrò in sintesi in cosa consisteva l'Unione: bere sangue di prole oscura, come aveva ipotizzato. Purtroppo per l'ignaro cavaliere fu un ulteriore trauma. Alistair mise da parte il mutismo per aggiungere che assumendo il sangue di quei mostri i Custodi erano in grado di percepire la loro presenza e sconfiggere l'arcidemone, dopodiché Duncan lo invitò a recitare un augurio tradizionale pre-Unione, inquietante e affatto promettente. Con la coda dell'occhio Elmer notò il sempre più nervoso ser Jory mirare la coppa che il Comandante aveva poggiato sull'altare. Anche lui aveva avuto quella faccia da cerbiatto incastrato all'angolo dai lupi famelici quando si era confidato con Sereda?

«Daveth, vieni avanti.» annunciò il barbuto.

Invidiò e disprezzò l'assenza di indecisione con cui il ladro avanzò, strinse il calice e ingollò la velenosa bevanda. I suoi pensieri corsero a mille. Vivo o morto? Cinquanta e cinquanta, come il Tormento, solo che qui non dipendeva dalla sua bravura ma dall'inaffidabile fortuna.

Daveth riconsegnò la coppa e in un attimo cominciò a tremare, rantolare in gemiti soffocati, piegarsi a causa di un dolore sconosciuto. In automatico lo soccorse con della magia curativa. Lo sorresse, facendolo inginocchiare, e fece penetrare il mana nel suo corpo, aggredendo l'origine del malessere, la tossina letale che si stava espandendo a vista d'occhio nelle membra sane. Daveth, i bulbi oculari a mostrare il bianco della sclera e il respiro mozzato, si aggrappò a lui con gli ultimi spasmi di energia, i loro visi vicinissimi, e in brevi istanti agonizzanti trapassò tra le sue braccia. Elmer deglutì con la gola secca; gli abbassò le palpebre e lo adagiò al suolo.

Non erano stati amici di lunga data ma gli dispiacque enormemente per quell'uomo simpatico e determinato con cui aveva riso e scherzato. Cinquanta e cinquanta. Daveth aveva lanciato la sua moneta ed era stato sfortunato. E lui? Si sentiva fortunato stasera? Fu costretto a pregare, perché se non dipendeva da lui, allora non dipendeva da nessuno o dal Creatore.

«Mi dispiace, Daveth.» disse contrito il Comandante. «Vieni avanti, Jory.»

Ma ser Jory era troppo attaccato alla sua famiglia per sottomettersi al procedimento e sfoderò la spada per farsi largo tra loro. Ecco quello che avrebbe desiderato fare, rivoltarsi, scatenare i suoi incantesimi e andarsene lontano da quella pazzia. La reazione di Duncan lo sconvolse a tal punto che quando il Comandante estrasse la spada insanguinata dal torace di ser Jory e gli porse il bicchiere incriminato, il mago rimase imbambolato a fissarlo per parecchi secondi.

«Perché...» farfugliò esterrefatto.

«Era necessario.»

“Ma perché?” pensò incapace di usare la propria voce. “Perché non lasciarlo andare da sua moglie e suo figlio? Non era coscritto come me e Daveth, aveva una scelta!”

«Elmer. È il tuo turno.» ribadì il concetto il barbuto.

Fu allora che da istupidito passò al furioso. Lo stupore venne sostituito dal famigliare meccanismo di autodifesa dell'incazzatura, solo che al posto di annientare le persone che lo stavano mandando al patibolo, fu lui stesso annodarsi il cappio attorno al collo. Perché la velocità con cui Duncan aveva ucciso Jory avrebbe ucciso anche lui, perché se per miracolo avesse sconfitto i due Custodi ce n'erano altri a vendicarli, il re a dare loro manforte con segugi dall'olfatto infallibile e i templari a supportarli per puro sport. Era fottuto, irrimediabilmente fottuto. Maledetto Duncan che l'aveva tenuto all'oscuro della verità e maledetta Sereda che gli aveva impedito la fuga.

“'fanculo tutto. Lancio la mia moneta.”

Si appropriò del calice e ingurgitò l'immonda brodaglia semidensa d'un fiato, rischiando di strozzarsi per la fretta. Si costrinse a ignorare il gusto vomitevole che gli scendeva dentro e ricacciò l'oggetto tra le mani del traditore. Tre secondi dopo la testa gli esplose in mille bisbigli assordanti. Si premette la fronte e urlò ma le corde vocali gli accordarono soltanto un gemito strangolato; gli occhi rotearono all'interno delle orbite e la sua mente inorridita ebbe la più agghiacciante delle visioni: un drago in carne ed ossa, con manto scaglioso e spinato nero e rosso, una criniera di aculei, uno spuntone sul naso, grossi denti affilati e sporgenti, emanante un'aura malvagia in un cielo verde e nuvoloso. Quella cosa spaventosa ruggì e lo fissò. Il peso di quello sguardo biancastro e opprimente lo stava per schiacciare, lo avvertiva nelle viscere talmente era intenso, e solo grazie ad un notevole sforzo di volontà riuscì a sottrarglisi. Poi il nulla.

I pensieri si formavano a metà, slegati tra loro. Dov'era? Si era perso nelle nebbie dell'Oblio? La sua coscienza vagò leggera nel vuoto per un tempo indefinito e gradualmente riprese i sensi. Il suo corpo formicolava, il suo cuore batteva, vivo, la fredda aria notturna gli soffiava sulla faccia. Sollevò le palpebre con le figure del drago maligno e del volto morente di Daveth impressi nel cervello.

Duncan e Alistair parvero sollevati dal suo risveglio, e lo aiutarono a rialzarsi.

«Elmer?» sondò Duncan.

«Dammi un minuto.» disse, tenendo a bada le vertigini ed eseguendo degli esercizi respiratori per tornare padrone di se stesso.

«Hai avuto incubi?» chiese subito Alistair. «Io ho avuto terribili incubi dopo la mia Unione.»

Quale parte del “dammi un minuto” quel tipo non riusciva a comprendere? Rispose di sì e il biondo aggiunse che durante la sua iniziazione solo uno di loro era morto ed era stato orribile. Ma che cazzo gliene fregava?! Porca di quella trota, un cazzo di minuto, non pretendeva poi molto!

Spostò il viso sopra la sua spalla: i cadaveri erano scomparsi, a testimoniare il loro passaggio era rimasta la chiazza scura del sangue di Jory.

«Sono stati cremati.» lo informò il barbuto.

«Non avete perso tempo.»

Duncan non raccolse la provocazione.

«Come ti senti?» domandò Alistair.

«Di merda.» lo trucidò con un'occhiataccia.

«Ah, ehm, sì, comprendo.» Elmer lo mandò interiormente a 'fanculo. «Ho qui il tuo ciondolo.» disse mostrandoglielo. «Ci mettiamo dentro un po' del sangue dell'Unione, per ricordare chi non ce l'ha fatta.»

Il mago fissò basito il penoso articolo di bigiotteria. Ricordare chi non ce l'aveva fatta? Come poteva anche solo pensare che avrebbe voluto ricordare quel fottuto rituale?!

«Tienitelo.» ringhiò tra i denti, per poi scostarlo dalla sua strada con una spinta. «Mi trovate alla tenda.»

La sua prima setta, il suo primo sacrificio umano, il suo primo drago, il suo primo esperimento sulla propria persona; questi suoi primi passi nel mondo stavano andando magnificamente! Era un miracolo se non era morto!

“Creatore, che serata di merda. Ma grazie per avermi risparmiato, sempre che tu abbia a che fare con la faccenda.”

Se la divinità c'entrava qualcosa era consigliabile rendere grazie, nonostante si considerasse ateo. Più o meno.

“Sereda adorerà riavermi vivo e vegeto.” rimuginò vendicativo.

Lì per lì gli sovvennero le scene di tortura lette nei libri. Non era un esperto, le uniche vendette portate a termine erano costellare il sonno di incubi, avvelenare il cibo con il lassativo, boicottare le performance scritte e pratiche, cospargere lenzuola, calzini o mutande di polvere urticante e altre sciocchezze simili. Ma Sereda non era un apprendista che gli aveva fatto uno stupido torto risolvibile con uno scherzo, qui si parlava di vita o di morte e lui era incazzato nero. In qualche modo, non sapeva come, la donna avrebbe rimpianto-

«La nuova recluta!» lo colse impreparato una voce che non riconobbe. «Elmir, se non sbaglio.»

Aggrottando la fronte, si girò e desiderò aver finto di non udire: era lui, re Cailan Theirin in tutto il suo splendore.

“Che ho fatto di male, Andraste? È per il pensiero di vendetta?” si lamentò.

«Elmer, Vostra Maestà.» corresse per nulla intimorito dalla bionda regalità in compagnia di un secondo uomo dall'armatura poderosa e una piccola scorta.

«Elmer, giusto. Vedo che avete superato l'Unione. Congratulazioni, Custode.» sorrise.

Era stanco, il capo doleva per l'emicrania portata dalla potente visione e immaginare la mutazione a cui le sue membra sarebbero andate incontro nei giorni e mesi successivi grazie a succo di mostro non lo elettrizzava, conclusione: non aveva voglia di sorbirsi la felice stupidità del regnante.

«Vi ringrazio. Ora, se volete scusarmi...»

Non fece in tempo a muovere un piede che re Cailan circondò le sue spalle con un braccio avvolto da pesante metallo e se lo trascinò dietro nella direzione da cui era venuto.

«È un grande onore essere un Custode Grigio.» proseguì gioviale. «Combattere prole oscura, arcidemoni, abbattere mille pericoli negli anfratti delle Vie Profonde. Che esistenza avventurosa vi attende!»

Avrebbe fatto volentieri a cambio, essere re non sembrava poi così complicato.

«Cailan.» ammonì il suo compagno.

«Oh, perdonatemi, non vi ho presentati.» cinguettò il giovane re. «Elmer, vi presento il mio generale e fidato braccio destro, teyrn Loghain Mac Tir. Loghain, il Custode Elmer.»

Detto questo si voltò e il mago con lui, intrappolato dalla protezione dorata che gli gravava sul collo.

“Ma porca di quella... Voglio dormire, dormire!”

«Abbiamo un consiglio di guerra, Cailan, non è ammesso chiunque.» fece contrariato il generale.

«Elmer è riuscito nella sua prova, quale premio migliore di presenziare al consiglio di guerra che stroncherà sul nascere un possibile quinto Flagello?» ribatté il signorino.

Cailan riempì con un inutile chiecchiericcio la distanza dalla lunga tavola dove stavano Duncan, una donna di mezza età con la tunica da reverenda madre e un rappresentante del Circolo che aveva visto sì e no due volte nella torre ma che sapeva essere un amico di Irving. Si posizionò a fianco del Comandante e fece spallucce alla sua espressione interrogativa, accennando al re.

I presenti studiarono la mappa, teyrn Loghain illustrò la sua strategia e criticò l'atteggiamento irresponsabile e infantile del re, il re lo rimbeccò a ogni parola, gli screzi tra incantatore anziano e madre vennero sedati immediatamente con la decisione di inviare Elmer e Alistair ad accendere il fuoco di segnalazione in cima alla torre di Ishal. Ipotizzò che il re si ricordasse correttamente il nome di Alistair poiché erano entrambi biondi e dall'intelletto affine.

«Sono così tutti i consigli di guerra?» domandò sarcastico una volta finita la riunione.

«Qualsiasi cosa sia collegata alla politica, non solo i consigli di guerra.» sospirò Duncan. «Dovresti riposare, Elmer.» consigliò apprensivo notando la stanchezza sul suo volto. «Non manca molto alla battaglia, due giorni al massimo, secondo le stime dei ricognitori.»

«Lo so. Il re mi ha intercettato.» si giustificò infastidito dall'illusorio affetto del traditore numero uno.

Il suo superiore annuì e non si dissero altro. Non salutò Sereda, la traditrice numero due, contenta di vederlo sano e salvo, e si fiondò subito a letto per allontanare una conversazione che sarebbe inevitabilmente sfociata in un'accesa discussione.

I letti e le sacche di Daveth e Jory erano ancora lì nell'ampia tenda. Avevano dormito tutti insieme soltanto la sera precedente e ora non c'erano più. Rammentò la chiacchierata con Jory, la sua amata moglie, l'eccitazione per il figlio in arrivo, la sua faccia schizzinosa di fronte al primo prole oscura nelle Selve. Rammentò Daveth, il sorriso malandrino, il carattere alla mano, la comica paura della magia, la sorprendente integrità mostrata poco prima dell'Unione. Li paragonò agli apprendisti che venivano prelevati nella notte per il Tormento e non tornavano più. Nessuno faceva domande. Ma non era giusto. Soprattutto per Jory non era giusto. Si era rifiutato di procedere e Duncan l'aveva ammazzato su due piedi. Perché?

Steso sul lettuccio scomodo, si strofinò il viso e buttò fuori l'aria dai polmoni. Basta pensare, voleva dormire, perdersi in un sonno senza sogni né ricordi e riprendere energie per affrontare il domani.






Note dell'autore:
Sììììììììììì, dopo milioni di anni posto un capitolo che come lunghezza è due capitoli e mezzooooooooo! XD Purtroppo non sono completamente soddisfatta ma non sapevo che scrivere su Ostagar senza mettere praticamente tutti i dialoghi del gioco... Ho cercato di non farlo troppo pesante, spero di esserci riuscita ^^
Che dire? Beh, le uniche cose che realmente mi premono sono Elmer e Jory.
Fossi stata in Elmer me la sarei data a gambe levate. E poverino, lui ci prova! Se non ci fosse stata Sereda a tenerlo prigioniero, lui sarebbe davvero scappato, al diavolo tutto! Se Duncan gliel'avesse anticipato prima, già all'inizio del viaggio, come con la battaglia a Ostagar, lui si sarebbe psicologicamente preparato al fattaccio e l'avrebbe affrontato senza fuggire, tipo il Tormento di cui la Chiesa ti avverte subito.
Insomma dal suo punto di vista Duncan l'ha preso per il didietro facendogli la bella faccina sorridente davanti e accoltellandolo a tradimento alle spalle ç_ç Duncan ma che uomo seiiiiiii?!?!?
E Jory, per me, rimarrà per sempre un mistero. A parte il fatto che già la prima volta che ho visto la scena ci sono rimasta di cacca: Duncan, tutto bello pacioccoso con la voce saggia e gentile che mi diventa un assassino di futuri padri °_° E manco avevo parlato con Jory, mi era antipatico; la seconda volta ci ho parlato un sacco ed è una BRAVA PERSONA! E il complimento ai maghi c'è davvero nei suoi dialoghi! Perché? PERCHÉÉÉÉÉÉÉÉÉÉÉ?!?!?!? L'unico stupido motivo per ucciderlo era tenere segreto il rituale, ma cacchio, durante il gioco sembra che lo sappia mezzo mondo, quindi che senso ha?!?!?
Okay, basta, se no esplodo ù_ù
Spero di postare il prossimo capitolo a una data decente ma non credo che sarà possibile, quindi, gentili lettori, non vogliatemi troppo male XD
Bacioni! ^^

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Capitolo 22
*** - ***


Sollevò le palpebre, lentamente, senza fretta. Strano. Era nella tenda, vuota, ma il tipo di dormita che si era fatto era stata talmente singolare che... Aveva dormito come un sasso. Zero demoni, zero incubi, zero rigirarsi nel letto, insomma una dormita divina. Dopo aver subito tormenti psicologici e fisici nello spazio di poche ore s'era aspettato una nottata infernale e invece aveva avuto la tranquillità di cui aveva bisogno per ricaricare le energie. Merito del sangue di prole oscura? Beh, se aveva questi effetti sul sonno, come mago ci avrebbe fatto un pensierino. Tsk. Battute scialbe a parte, si sentiva finalmente riposato e lucido.

Si tirò a sedere ma il parlottio all'esterno lo convinse a non uscire. Erano Sereda e Alistair, dal rumore di stoviglie suppose stessero consumando la colazione. Non aveva la minima voglia di vederli o rivolgergli la parola, non prima di essersi organizzato. Ad ogni modo non aveva nulla da fare, il Comandante non aveva dato istruzioni per la giornata, meglio usare il tempo libero per adoperare il suo famoso protocollo per arrivare a decisioni sensate, in sintesi farsi coraggio, analizzare il più oggettivamente possibile la situazione e darsi una mossa.

Si ristese sul lettuccio e chiuse gli occhi, entrando gradualmente in meditazione profonda. Al sicuro nei recessi della sua mente, visualizzò l'avvelenamento di Daveth e la sanguinosa fine di Jory, con occhio critico esaminò l'incubo sul drago e analizzò le azioni di Duncan e Sereda. Non fu difficile accettare l'omicidio dei due ex compagni, bastava indurire il proprio cuore e relegare la scena nel suo personale cassetto dei decessi finché il ricordo non sbiadiva, inoffensivo. Anche i maghi morivano ingiustamente nella Torre, non ogni giorno, certo, ma i templari tra paranoia e odio collezionavano le loro vittime, vittime che Elmer spesso aveva conosciuto per ben più di due miseri giorni. Solo quell'anno ce n'erano state ventidue, suicidi compresi, un numero non da poco se si considerava che lì vi abitavano due centinaia scarse di anime. Inevitabilmente si doveva convivere con i propri carcerieri. La ribellione era fuori discussione, perciò si tenevano a freno i sentimenti e si tentava di rimanere sani di mente, altrimenti, se si rifletteva troppo sulla propria condizione... In sostanza, se non ti rassegnavi al tuo destino o se non avevi abbastanza autocontrollo commettevi errori fatali e gliela davi vinta ai tuoi aguzzini, e non dare soddisfazione era l'unica cosa di cui un prigioniero si poteva vantare.

Daveth e Jory erano morti, la cosa non gli piaceva né aveva intenzione di passarci sopra, come avrebbe fatto un rassegnato. Accettava la rabbia che ne derivava e avrebbe tratto le dovute conclusioni, che non riguardavano le persone di Daveth e Jory, riguardavano lui. Loro ormai erano passati oltre e la vendetta per gente che conosceva appena era ridicola, lui era vivo e vegeto e ci teneva a rimanerlo.

L'incubo sul drago era una sciocchezza. Aveva avuto sogni peggiori.

Duncan e Sereda.

Di Duncan non si fidava più. Col cavolo che si sarebbe beccato una spada in pancia a tradimento. Non capiva ancora la ragione dell'uccisione di Jory e se prima, in balia delle emozioni, aveva desiderato scrollare Duncan per le spalle e spremergli fuori il motivo di quell'atto spregevole, ora la priorità era mettere una salutare distanza tra se stesso e il barbuto. E pensare che se il Comandante gli avesse detto fin dal principio cosa lo attendeva, Elmer non avrebbe fatto tante storie. Era un mago del Circolo, era abituato ad avere costantemente un cappio attorno al collo e una botola malfunzionante sotto i piedi. Forse la gratitudine per aver avuto salva la vita avrebbe indorato la pillola e avrebbe accolto l'Unione come una medicina cattiva e con la ferma convinzione di scamparla (perché era troppo bello, intelligente e unico per morire), nonostante dipendesse tutto dalla fortuna o dal Creatore. O se la sarebbe data a gambe levate nonostante l'aiuto della Chiesa e del filatterio di cui Duncan si sarebbe sicuramente avvalso, ma lo credeva improbabile, d'altronde non era mai fuggito nemmeno dalla torre, e di ragioni valide ce n'erano state.

“Perlomeno avrei avuto un mese per assimilare ciò a cui andavo incontro.” protestò.

Se per entrare nel club esclusivo doveva affrontare la morte, voleva saperlo in anticipo, si trattava di correttezza, coscrizione o non coscrizione. Con che coraggio Duncan l'aveva guardato in faccia ogni mattina? Il peso di ciò che sarebbe accaduto durante l'iniziazione non gli gravava sulla coscienza? Che razza di uomo era? Si sbatteva tanto per un carrettiere incontrato per caso, la preoccupazione per la persona che potrebbe entrare a far parte della sua ristretta cerchia di compagni dov'era? Ma erano tutte riflessioni inutili, queste, perché si rendeva perfettamente conto che non tutti avevano lo stesso modo di ragionare. Sicuramente Duncan non pensava di essere nel torto, magari gli dispiaceva, però non se ne pentiva. Certo, era convinto che la verità allontanasse chiunque, oppure era regola indiscutibile dell'ordine dei Custodi non rivelarla.

“Allora, i nani?”

Sereda, il re e magari tutti i nani erano al corrente della verità, eppure si sottoponevano ugualmente al rito.

Oh, chissenefrega, 'fanculo l'Unione, 'fanculo tutti, specialmente Duncan e Sereda. La donna, spinta da forti valori che lui non condivideva affatto, gli aveva appioppato una ramanzina colossale minacciando di ucciderlo se si fosse ribellato. Ma se ricordava correttamente l'arrivo di Duncan al Circolo, già lì il Custode aveva desiderato reclutarlo ed Elmer rammentava bene cosa aveva pensato e detto: che in fondo non gli sarebbe dispiaciuto lasciare la torre e combattere per mettersi alla prova. Quindi la coscrizione non valeva un cazzo, erano solo parole, perché il mago avrebbe scelto l'ordine piuttosto che rimanere rinchiuso. Lui non apparteneva a nessuno tranne che a se stesso, la coscrizione non era un fottuto guinzaglio e lui non era un fottuto cane.

Tutto considerato, tagliare la corda restava la soluzione migliore. Il come era la parte complicata.

A suo parere c'erano due possibilità. La prima era attendere diligentemente, come l'eccellente scolaro che era, di guadagnarsi il favore dell'ordine e ottenere incarichi solitari e duraturi lontano dai membri. Non sarebbe stato un fuggitivo, avrebbe avuto il permesso dell'uomo che voleva evitare e avrebbe vissuto come più gli garbava senza la supervisione di nessuno. Tuttavia, nel ripeterselo in testa, vedeva già ora un grosso problema: va bene che era un grande attore, però era un piano di lunga realizzazione, non si sarebbero fidati di lui dall'oggi al domani, e dal canto suo doveva dimostrare falsa cordialità verso il barbuto e una lealtà notevole al gruppo. Sinceramente non era convinto di avere così tanta pazienza, prima o poi sarebbe esploso.

La seconda e, a questo punto, sola possibilità era cogliere la prima buona occasione da qui in avanti e svignarsela.

Adesso non era il momento, con la battaglia alle porte e l'attenzione concentrata su chiunque si avvicinasse al campo, un disertore sarebbe stato scoperto subito. Doveva agire durante lo scontro o in seguito, nel mezzo della confusione generale, o dopo ancora.

“Potrei approfittarne mentre ci dirigiamo alla torre di Ishal.”

Alistair avrebbe certamente preferito assicurarsi di accendere il segnale piuttosto che corrergli dietro, no? Mmh, impossibile fare previsioni precise. Dopo la battaglia rimaneva un'opzione accettabile. Se non fosse riuscito a scappare immediatamente dopo, avrebbe vissuto un po' con l'ordine, esplorato l'ambiente di Denerim (se non errava il re ospitava là i Custodi) e usufruito del comodissimo porto. Sì, non male, aveva tutto il tempo per pianificare la sua partenza. Ehi, perché non inscenare la sua morte come in Fuga d'amore? Sarebbe stato perfetto! A Ostagar poteva essere una delle tante vittime di guerra, a Denerim... ehm, una vittima in un incendio? Ma sì, i corpi bruciati erano pressoché irriconoscibili.

C'era da sperare che Sereda non fosse una presenza costante nella sua ombra. La nana lo prendeva troppo a cuore, ormai per lei erano amiconi, figurarsi dopo il terribile atto di codardia che lei gli aveva altruisticamente impedito di commettere. Maledetta, lei e i suoi discorsi sulla libertà, argomento di cui era sicuro avessero una visione molto differente, dato che era cresciuta nel lusso e nel potere. Stronza, hmph.

Terminata l'analisi, rassicurato dalla sensazione di avere di nuovo il controllo del proprio futuro nelle sue mani e non in quelle altrui, sciolse la meditazione. Non era solo nella tenda. Alistair stava rovistando tra le cose dei due defunti, dandogli le spalle. Furbo, il giovane templare.

«La scostumata strega delle Selve non si sbagliava nel suo giudizio, in fondo sei un piccolo avvoltoio.»

«Gah!»

Alistair batté il sedere a terra per la sorpresa. Si voltò con un'occhiataccia tra il colpevole e l'accusatorio.

«Mi sto occupando dei loro averi.» si giustificò. «Non volevo svegliarti.»

«Lo vedo.»

«Non è come pensi. Solitamente gli averi delle reclute che...» si bloccò a disagio. «Quello che apparteneva a loro diventa proprietà dell'ordine, però se c'è qualcosa che possiamo riportare alle famiglie lo facciamo volentieri.»

«Che generosità.»

Il biondo esibì una smorfia ma non raccolse la provocazione e tornò al suo compito. Peccato, così in forma a Elmer non sarebbe dispiaciuto umiliare qualcuno in uno scontro verbale, tanto per cominciare bene la giornata.

«Dov'è Duncan?»

L'ex templare sollevò la testa col naso all'insù e contemplò l'aria con sguardo assorto, un'espressione che non avrebbe mai associato al suo viso.

«Vicino. È nell'accampamento, dalle parti della tenda reale.»

«Hai appena annusato l'aria per sapere dov'è Duncan? Cosa sei, un cane?» domandò stranito.

«No.» ebbe la faccia tosta di deridere. «È roba da Custodi, te ne accorgerai anche tu tra un paio di settimane. Possiamo percepirci tra noi.»

«Come con la prole oscura?»

«Sì... ma la sensazione è diversa, credimi.»

«Buono a sapersi.» commentò, gli ingranaggi del suo magnifico intelletto all'opera sulla preziosa informazione in vista dell'astuto piano di fuga. «Altre capacità?»

«Perché non chiedi a Duncan? Sono sicuro che gli farà piacere parlartene.» buttò lì con una disinvoltura talmente falsa che se ne sarebbe accorto perfino Horlon, l'asino di Leon. Tentava di riappacificarli?

«Ho qui te, perché disturbarlo.»

Alistair smise di armeggiare con lo zaino di Daveth e si voltò verso l'innocentissimo visetto di Elmer. Non vide malignità nei suoi occhi viola (un vero asso della recitazione) perciò decise di accontentarlo. Si sedette rivolto verso di lui e si rese disponibile a ogni domanda. Il mago non si fece pregare e lo torchiò su svantaggi e vantaggi. Svantaggi: presunta totale sterilità, incubi sulla prole oscura, conto alla rovescia dai dieci ai trentanni sulla durata vitale che terminava con la Chiamata, percezione che funzionava a vantaggio anche del nemico, appetito all'incirca triplicato. Vantaggi: percezione del nemico e dell'amico, forza e resistenza aumentati, immunità alla corruzione fintanto che non schiattavi.

«Non abbiamo una vita facile ma non la scambierei con niente al mondo.»

«Non ti spaventa avere una scadenza di morte? O morire di fame?» chiese il mago, seccato enormemente da parecchi dettagli.

Essere un Custode Grigio non era così bello come decantavano i libri. I difetti superavano i pregi: ti trasformavi in un'eccellente macchina da guerra contro un nemico dimenticato che l'umanità non vedeva da quattrocento anni e nel frattempo potevi schiattare di qualsiasi altra cosa, e se non schiattavi di qualsiasi altra cosa l'ordine aveva la regolina anche per quello, cioè seguire la Chiamata e concludere in bellezza i tuoi giorni uccidendo quanti più mostri possibile nelle Vie Profonde. Non era vivere, era un rimanere in attesa dell'invisibile linea del traguardo. Il moro non era per niente d'accordo.

“A saperlo, e se Jowan non avesse rovinato tutto come suo solito, me ne sarei rimasto a casa.”

L'ordine dei Custodi Grigi era praticamente obsoleto, oggigiorno bastava un esercito per sbarazzarsi della prole oscura, re Cailan ne era una prova sfolgorante. Cosa avrebbe fatto mentre aspettava la fine? Si sarebbe girato i pollici? Quante volte capitava un Flagello? I Custodi erano storia vecchia, apprezzava il fascino di un ordine antico con un curriculum di tutto rispetto però non c'erano sbocchi dove incanalare la sua preziosa ambizione. Era nato per combinare qualcosa di grande, lo sentiva, e i Custodi minacciavano di tarpargli le ali.

“Tanto me la squaglierò.” si rincuorò.

«No. Non sono solo, ci sono i miei fratelli con me.»

La candida risposta di Alistair lo spiazzò. Che ingenuità.

«Tu conoscevi già la verità sull'Unione prima di essere reclutato o ti hanno informato dopo come noi?» curiosò.

«Non lo sapevo, come voi. Duncan non lo dice a nessuno, è la regola.»

«Sembrate molto legati, avrei scommesso che per te avrebbe fatto un'eccezione.»

«Oh no, Duncan tratta tutti alla stessa maniera, non fa preferenze.» si imbarazzò.

«Ma non ti sei arrabbiato quando te l'ha rivelato?»

«No. Mi fido di Duncan.»

“Oh Creatore, la fede cieca del mabari che segue il suo padrone fin nei meandri dell'inferno.”

«Duncan mi ha dato una possibilità, è stato il primo a credere in me, ad aiutarmi. È stato l'unico a cui sia davvero importato qualcosa di un orfanello, di quello che desiderava. Gli devo tutto e se fossi morto non gliene avrei fatto una colpa.»

“Certo che no, saresti morto.”

«Però comprendo che non tutti la vedono come me. Tu, per esempio... non mi sembri molto felice.»

“Felice? Felice?!”

«Non voglio passare per la vittima patetica di turno, sia chiaro, ma prova a metterti nei miei panni.» si infiammò. «Sono cresciuto nella Torre del Circolo dei maghi, e non mi interessa se la gente crede che ce la tiriamo e che le lamentele sui templari sono capricci esagerati per ottenere ciò che desideriamo e conquistare il mondo con una miriade di improbabili magie proibite; lì non si sta bene. Ci sono persone che si lasciano volutamente morire di fame, capisci? E non venirmi a dire che suicidarsi in questa maniera è da vigliacchi perché ci vuole una volontà di ferro per non cedere alla fame.»

Il mago si fermò con la bocca mezza aperta, pronto a perorare la sua causa. Di che diamine stava parlando? Alistair lo fissava con tanto d'occhi. Porca Andraste, pessimo tempismo per uno sfogo onesto. Non credeva di averne così tanto bisogno. O forse la necessità era volata alle stelle dato che aveva davanti un ex templare. In un certo senso era l'equivalente dello sputare in faccia il suo veleno ai cani della Chiesa senza però incorrere nelle normali ripercussioni che alla torre tale fegato avrebbe comportato. Alistair era il candidato ideale per diventare lo sventurato ricevente della sua ira funesta. Affascinante.

«Comunque.» si schiarì la voce recuperando la questione principale. «Uscito dalla torre mi prospettavo un salto di qualità, e questo mese di viaggio con Duncan lo è stato, non c'è niente che mi abbia deluso. Perciò, quando ha confessato che per entrare nei Custodi avrei dovuto affrontare una prova assurda... Insomma, ero preparato a dimostrare le mie capacità in una sfida mortale, un incontro all'ultimo sangue, attraversare un tratto delle Vie; invece, dopo tutto quello che ho passato nella mia vita, dopo tutta la fatica che ho fatto per arrivare dove sono, scopro che tutto dipende non da me ma da quanto sono fortunato. Ti sembra giusto?» domandò costernato. «A quest'ora potevo essere polvere. Mi avreste bruciato al posto di Daveth o Jory, o saremmo morti tutti e tre, chissà. E sapere che quel mucchietto di cenere e ossa potevo essere io, sapendo che non avevo alcuna chance di cambiare il mio futuro...» preso dal discorso, si accorse di essere arrivato ad una conclusione diversa da quella in meditazione. «Il problema non è Duncan.» affermò rapito dall'inaspettata scoperta. «È il tipo di test. Ti fa sentire... impotente. La tua volontà non conta. Se togli a un mago la sua volontà, che cosa resta? La gente è convinta che siamo potenti. Scateniamo piogge di fuoco dal cielo, creiamo fulmini dalle dita, facciamo tremare la terra, ma senza volontà non c'è magia.» spiegò. «Se la tua volontà non conta, tu non conti. Non sei niente. E io non voglio essere niente.» dichiarò con foga.

Oh, sarebbe potuto andare avanti per ore, peggio della Leliana di Lothering, tuttavia mise un freno alla lingua e non disse che in assenza di volontà un mago non sopravviveva nella torre, non disse che ne aveva abbastanza di ingiustizie, non disse di aver afferrato finalmente la sua paura più grande e non disse che di conseguenza, informato prima o dopo, sapeva che la sua reazione spaventata non sarebbe cambiata.

«Mi dispiace.» arrivò la voce sofferta del biondo, come se a Elmer servisse la sua compassione.

Alistair e il suo atteggiamento casto e puro. Gli ricordava Jowan. Il vecchio Jowan, quello che non era un mago del sangue, quello che non lo avrebbe mai ingannato, quello che lo ascoltava senza interrompere, quello che sarebbe rimasto per sempre fedelmente al suo fianco, non importava a che vagina si sarebbe concesso.

«Lascia perdere.» disse sbrigativo, affatto vergognoso di essersi espresso liberamente.

«No, non dire “lascia perdere”! È una cosa importante!» si accalorò il giovane. «E ne sono veramente felice, sai? Cioè, non felice perché ti sei sentito impotente- Oh, scusa, mi sa che non era il caso di ripeterlo. Ehm. Intendo che, voglio dire... siamo compagni adesso, perciò sono felice che mi racconti questo genere di cose personali e profonde, capito? Siamo una famiglia, e in famiglia ci si confida i segreti a vicenda. Siamo praticamente fratelli!»

Che aveva detto? Elmer lo inchiodò con un'occhiata raccapricciante. Aveva pronunciato il vocabolo proibito. Col cazzo che Alistair si sarebbe trasformato in un Jowan Due.

«Okay, ora basta. Il momento delle smancerie è finito. Fuori.»

«Cosa? Ma non ti ho ancora raccontato niente di me.»

«Tranquillo, non voglio udire una sola parola.»

«Non è giusto! Perché tu puoi e io no? Dovrebbe essere uno scambio reciproco.»

«Te lo puoi scordare. Esci dalla mia tenda.»

«Tua? Da quando?»

«Da quando sono arrivato, ora fuori.»

«Non puoi cacciarmi via, è anche la mia tenda.»

«Alistair, hai cinque secondi per toglierti dalle palle: conto fino a cinque, dopodiché ti frizzo.»

«Mi che?»

«Uno.»

«Che significa frizzare?»

«Due.»

«Scommetto che non esiste il verbo frizzare. Frizzare, tsk.»

«Tre.»

«Non è doloroso, vero?»

«Quattro.»

«Qualsiasi roba sia, dimmi che stai scherzando. Dimmi che-»

«Cinque.»

Fu così che Alistair venne scaraventato fuori dalla tenda a suon di fulmini nel didietro, emettendo versi non classificabili come virili. “Ideale ricevente della sua ira funesta”, definizione impeccabile.

Con l'ex templare eliminato, rovistò lui tra gli averi dei defunti. All'ordine sarebbero probabilmente andati denaro, equipaggiamento e vestiti, quindi tenne per sé l'astuccio del cucito di Daveth, un bel ricordo del furto insieme, molto meno avvilente dello sgraziato ciondolo dell'Unione. Ser Jory aveva conservato una lettera non ancora spedita e una ricevuta, per e dalla moglie; si appuntò di informarsi sulla procedura con i famigliari, gli sembrava logico restituire le due missive alla moglie accompagnate da una nota sul decesso.

Uscì dalla tenda. Era tardi, mattino inoltrato, il che significava che aveva impiegato più del previsto nella meditazione, tuttavia fu il cumulo di nuvoloni in alto a farlo drizzare sull'attenti. Era autunno, stagione piovosa, eppure non aveva mai notato nuvole tanto minacciose, neanche nel tremendo acquazzone a Redcliffe. Qualcosa gli si rimescolò nello stomaco, un brutto presentimento. D'istinto volle avvertire Duncan.

«Ser Elmer.»

Lanciò uno sguardo sopra la propria spalla, Sereda. Non le badò e tornò a contemplare il cielo, la sensazione di pericolo imminente scavalcava di gran lunga il cianciare dell'ex principessa.

«Qualcosa non va?»

«Il cielo.» disse, e già che c'era... «Avvertite Duncan che ho lo stesso mal di stomaco di Redcliffe.»

La donna formulò un suono di stupore, consapevole del valore dei suoi mal di pancia, e sparì con un breve «D'accordo.», seguito dallo scalpiccio rapido di piedi minuti.

Che cos'era quell'oscurità che avanzava lenta e inesorabile? Non era un normale temporale, lo sentiva. Sicuramente anche i maghi del Circolo se n'erano accorti, presto l'avrebbero saputo tutti. L'esercito doveva prepararsi, poiché le nubi nere avevano tutta l'aria di annunciare un massacro.

 

«Dov'è Duncan?» gridò Alistair per farsi udire nel frastuono delle armi che cozzavano, le urla dei combattenti, il rumore del vento e dei fulmini tonanti e la pioggerellina paradossalmente più fastidiosa di un diluvio.

«Non lo vedremo mai da quassù. Andiamo.» esortò il moro afferrandogli una spalla per smuoverlo dal parapetto del ponte dalla cui sommità si assisteva allo spettacolo sanguinoso.

Non voleva perdere un minuto di più ad ammirare la famelica orda punteggiata da una scia di luminosi fuochi rossi che aveva invaso la vallata, chissenefrega se Duncan era là nella calca!

«ATTENTI!» si sgolò Sereda, e si buttarono di lato giusto in tempo per non farsi uccidere dal proiettile di una catapulta nemica, evento che lo portò a riconsiderare l'auto-aggiunta di Sereda al loro duetto.

«Raggiungiamo la torre!» si irritò il mago.

Cazzo, voleva fingere di crepare, non crepare sul serio! Dovevano attraversare soltanto uno stupido ponte e accendere uno stupido fuoco in cima a una stupida torre nel loro stupido accampamento, possibile che fosse così dannatamente difficile?!

Schivarono gli arcieri disposti sul passaggio e un secondo proiettile e arrivarono a destinazione, solo per scoprire che era stata presa dalla prole oscura grazie a cunicoli sotterranei.

“No ma, stiamo scherzando?” ammutolì il giovane.

La torre era stata praticamente invasa (la bravura dell'armata fereldana nel prenderlo nel didietro era a dir poco impressionante) e loro avrebbero dovuto scarpinare fin lassù combattendo. Meraviglioso. Individuare una scusa plausibile per la sua disfatta e scappare indisturbato evitando di morire per davvero si stava rivelando un'impresa titanica. Il numero dei prole oscura era superiore alle previsioni e la torre di Ishal era più pericolosa del campo di battaglia. Il porto di Denerim pareva irraggiungibile.

“Se rimango a Ostagar non sopravviverò.” concluse tetro, frizzando un genlock.

Il dilemma era rimanere, aggrappandosi alla speranza di non lasciarci le penne per poi attuare il suo piano nella capitale, o cominciare a correre in quel preciso istante tentando la sorte nell'eludere le linee nemiche. Non era ancora un Custode completo, non lo avrebbero percepito. Però, saltando la messinscena tragica, temeva che il duo eroico l'avrebbe riacciuffato, specialmente Sereda. Con quella piccola bastarda non si scherzava.

Cercò di distanziarli ma la nana, protettiva nei suoi confronti, gli lanciava un'occhiata tra un'uccisione e l'altra, così che era costretto a castare incantesimi contro i nemici piuttosto che risparmiare mana in vista dell'occasione buona. Stavano andando troppo in fretta, l'entrata era troppo vicina! E se quelle bestie umanoidi gli avessero teso un'imboscata? Se una volta spalancato il portone uno stuolo di frecce sibilanti li avesse trafitti in maniera molto, molto letale?

“Mi serve un miracolo. Uno solo, Creatore, uno solo.” pregò.

Cosa inventarsi per far sì che i compagni lo lasciassero indietro?

Il grosso delle creature pressava i guerrieri quindi ebbe minuti preziosi per esaminare i dintorni. Superato un cancello, si erano ritrovati nello spazio antecedente la torre: la pavimentazione a mosaico era stata invasa da un letto verde e alberi ai lati, in mezzo si intravedeva ancora il sentiero di pietra che risaliva pulito per due volte fino al livello dell'entrata della torre; qua e là i fereldani si erano accomodati con torrette di rinforzo e pire ma essenzialmente niente era stato intaccato, nemmeno i pezzi di muro che si ergevano solitari negli angoli, penose memorie dell'antico splendore architettonico tevinter.

Come sfruttare il terreno? Far crollare un albero o uno dei muri diroccati fingendo di essere spiaccicato? Come in Fuga d'amore, quando il protagonista ingannava lo zio malvagio mettendo un cadavere con i suoi vestiti in posizione e facendovi franare sopra una parete con degli esplosivi nanici. Mmh, gli alberi non erano abbastanza spessi, era difficile farla franca se il suo cadavere non era lì in bella vista e il muro era scomodo: se si doveva posizionare nel lato in cui sarebbe crollato, lui come la dava la spinta dall'altra parte per buttarlo giù? Non aveva ancora il dono dell'ubiquità e comunque dubitava l'efficacia del tranello se non c'era una vera salma tra le macerie. Le costruzioni in legno, al contrario, erano più grandi, più ingombranti. Fissò pensieroso il cielo costellato di fulmini. Se le torrette fossero rovinate a terra per, ad esempio, un imprevedibile disastro naturale...

“Non puoi mica incolpare Madre Natura di averlo fatto apposta.” scherzò.

Non sogghignò per pura scaramanzia. Era un azzardo, non aveva garanzie, ma valeva la pena tentare: se la struttura si inclinava nella direzione giusta bene, altrimenti sarebbe andato avanti con gli eroi senza che sospettassero, pregando di sopravvivere a Ostagar.

Castò un incantesimo di repulsione che avrebbe sbalzato via chiunque volesse aggredirlo direttamente, rinnovò l'armatura di pietra, attivò uno scudo arcano per deviare proiettili vaganti, e bevve una pozione di lyrium per rimpolpare le energie magiche. Sentì il liquido scorrergli giù nello stomaco e il mana diramarsi nel suo corpo, dandogli forza. Socchiuse gli occhi e raccolse la sua concentrazione cantilenando per richiamare un fulmine di una potenza inaudita approfittandosi di quelli già presenti.

Gli ignoranti non conoscevano le formule, per quanto ne sapevano stava evocando una super palla di fuoco o impenetrabili scudi magici che richiedevano più tempo e parole. Se uno dei temibili fulmini che solcavano le nubi fosse accidentalmente caduto sulla torretta alla sua sinistra e lui, impegnato nell'incantesimo, non si fosse scansato... Eh, che sfortuna.

Mancava poco, la magia scorreva sulla punta delle sue dita, dei suoi capelli, del suo bastone che strinse tra le mani davanti a sé, colmo di potere, come un parafulmine. E una lingua accecante guizzò dalle nubi nere e si schiantò sulla torretta dove il mago l'aveva indirizzata con un boato che fece tremare la terra e assordò gli astanti. Lo scheletro di legno si spaccò in due, le spesse travi presero fuoco e si inclinarono verso di lui, lui che simulava di star sgobbando sull'incantesimo nonostante il notevole casino.

«Elmer, attento!» urlò Sereda dopo una manata all'hurlock di turno. «ELMER!»

«Spostati!» si aggiunse Alistair tra una mossa di spada e scudo. «Per l'amor del Creatore, spostati! SPOSTATI, ELMER!»

Che carini a disperarsi per il mago più scaltro del Thedas. Sbatacchiò gli occhi, guardò alla sua sinistra con una faccia adeguatamente sbigottita e si coprì con le braccia mentre mezza struttura si abbatteva su di lui. Inutilmente, c'era da precisare, poiché si era posizionato nello spazio vuoto tra due assi.

“Sono un fottuto genio.” gongolò, per poi soffocare un colpo di tosse nella tunica.

L'armatura elementale lo proteggeva discretamente dal calore del fuoco il cui bagliore e le macerie celavano la sua figura stesa al suolo, immobile, in attesa che i due proseguissero con la manciata di soldati superstiti della torre; però si era scordato del fumo. Se tossiva troppo forte gettava tutto alle ortiche.

“'fanculo il tossire, qui muoio asfissiato!” realizzò dandosi del cretino.

«NOOO!» lo fece sobbalzare il grido straziato di Sereda.

Santa Andraste, quella donna aveva delle corde vocali disumane.

«Potrebbe essere ancora vivo.» non si arrese all'evidenza il biondo.

«È morto, Custodi! Il segnale, dobbiamo accendere il segnale, o tutto è perduto!» grugnì un soldato intento a parare una spadata, a giudicare dal rumore.

Il moro si augurò vivamente che i prole oscura fossero pochini, così che gli eroi se ne liberassero in fretta e continuassero il salvataggio dell'esercito del re.

«No, non possiamo andarcene senza aver controllato!»

Di certo Alistair non aiutava con la sua infantile ostinazione.

«Alistair.» tornò padrona di sé la nana. «Abbiamo una missione. È nostro dovere portarla a termine, anche per Elmer.»

Ecco, appunto, che si sbrigassero lasciandosi dietro ogni speranza.

«Custode, c'è una guerra, non possiamo controllare ogni cadav- argh!»

Oh no, un soldato era morto! Un combattente in meno rallentava la pulizia dell'area e lui necessitava di ossigeno!

«Ugh!» subì il medesimo destino un suo collega.

Maledizione, quanti prole oscura c'erano ancora?! Esaminò i dintorni con i suoi sensi di mago: due vite stavano emigrando da questo mondo, ciò significava che restavano un soldato e i suoi due compagni, e che le altre otto tracce vitali non erano umane. Merda. Non gli era sembrato ce ne fossero così tanti...

Ascoltò in trepidazione, con gli occhi che lacrimavano e la gola che bruciava per le esalazioni tossiche. La schermaglia, tre contro otto, non prometteva bene, nonostante gli eroi non fossero dei novellini. Tre prole oscura e il soldato caddero; erano Sereda e Alistair contro cinque. Ce l'avrebbero fatta? Non ne aveva la più pallida idea, ma era assolutamente certo che se lui non respirava alla svelta ci sarebbe rimasto secco.

Gattonò all'indietro tra le fiamme dal calore via via più opprimente attento a non scottarsi e maledicendosi per non avere con sé un efficacissimo unguento contro il caldo. La metà della torretta intatta si manteneva eretta grazie alla porzione di scala fissa al terreno, perciò andò sul sicuro passando di lì e poi strisciando al riparo di un muro in rovina con una triste finestrella al centro.

Tossicchiò e respirò a pieni polmoni, rilasciando gli incantesimi che gli appesantivano lo spirito, grato per la pioggerellina che gli rinfrescava il viso sporco di fuliggine. Spiò dall'apertura ma non vide granché con le macerie fiammeggianti e il fumo di mezzo, e non era abbastanza esperto per comprendere i dettagli dei movimenti del nemico con le sue percezioni, per esempio se in quel momento erano convenientemente girati da un'altra parte.

“Che diamine! O la va o la spacca.”

Occhi puntati là da dove erano arrivati, corse col busto piegato in avanti come un delinquente che tenta di essere inconspicuo a tre metri dalla guarnigione dell'attenta guardia cittadina (Il tesoro di Sher, terzo volume). Sfortunatamente soltanto i ladri dei romanzi se la cavavano con poco.

«AAAHH!» urlò rotolando a terra per un dolore atroce al piede.

Guardò l'arto incriminato e vide una freccia dentro il suo piede. Una freccia, nel suo piede.

«Opporcat-» si morse la lingua.

C'era una freccia nel suo fottutissimo piede!

Perché, Andraste, perché?! Santissima porca di quella trota, perché?! Voleva solamente abbandonare i suoi compagni nel tentativo di salvare la propria vita, che c'era di male in questo?! Sollevò la testa nella direzione da cui intuì era provenuta la freccia e il fottuto hurlock che aveva osato trapassare il suo piede dall'alto di una torretta stava caricando l'arco con un secondo proiettile.

«Col cazzo.» ringhiò.

Evocò uno scudo arcano che deviò il dardo in tempo perché non gli trafiggesse il petto e gli rifilò un cazzotto di pietra che lo fece volare di sotto, sopra l'hurlock impegnato con Alistair. Ma tanto che importava, l'ex templare aveva già gridato un sorridente «È vivo!» dopo che lui aveva cacciato l'urlo di dolore. Imprecò lungamente.

“E questa?” si domandò ammirando la sua prima seria ferita di guerra. “Come la tolgo?”

Saltellò di nuovo al riparo dietro al pezzo di muro e ripassò le nozioni di pronto soccorso imparate al Circolo: anestetizzare, rimuovere il corpo estraneo, medicare. Non avrebbe mai pensato di compiere un'azione del genere su se stesso. Prima di tutto rese insensibile l'area con la magia, poi estrasse il coltello souvenir del Carta e, con fatica, tagliò la dura pelle del bellissimo stivale che in quanto a protezione si era rivelato un fallimento, con gli schinieri che non arrivavano a coprire il piede. Lo gettò da parte e la stessa sorte toccò al calzino.

«Creatore.» si schifò dinnanzi al danno.

In teoria serviva una tronchese per spezzare il legno della freccia; in mancanza di strumenti si adattò: convogliò il calore sull'indice e il pollice e tra loro il legno si sbriciolò pian pianino. Tirò l'estremità intatta del dardo e dalla ferita zampillarono gocce di sangue che lo fecero infuriare. Proprio l'arto che gli occorreva per scappare? Non poteva centrargli un braccio? O una spalla? La spalla era la preferita nei libri, perché no nella realtà? E i nani non potevano regalargli schinieri completi? Era un Custode Grigio, o perlomeno una recluta, cosa credevano che facesse tutto il giorno, pettinare bambole?

Tutta quella situazione era una vera ingiustizia.

Stappò una fiaschetta di pozione di radice elfica e bagnò entrambi i fori da cui si ammirava il colore delle sue carni, poi usò la magia per richiuderli. Non era un gran guaritore, pertanto la tecnica gli bruciò molte energie. Quando Alistair e Sereda lo raggiunsero, frenetici, Elmer era sudato e col fiato corto.

«Elmer! Siete vivo!» sottolineò l'ovvio la donna che, vista la sua brutta cera, non gli buttò le braccia al collo.

«Sapevo che eri vivo.» sorrise l'ex templare, e perfino in quell'inferno i suoi denti erano bianchi e splendenti, il che gli ricordò il sorriso da celebrità del re.

“Spero che sia morto.” pensò astioso.

«Per così dire.» biascicò colto da un giramento di testa.

Non avrebbe bevuto una seconda pozione di lyrium, era deleterio per l'organismo; avrebbe assorbito i residui di mana dei cadaveri. Poggiò il capo alla parete dietro di sé e regolarizzò il respiro. Cavolo, in queste condizioni non andava da nessuna parte, figurarsi fuggire da Ostagar. Era spacciato.

«Riuscite a proseguire?» si informò subito la dolce ex principessa, glissando completamente sul come fosse scampato alla morte.

Proseguire? Proseguire?! Era cieca?!

«Non credo.»

“Sì, certo, Sereda. Ho il fiatone e un piede che non sento più ma sì, ce la faccio a proseguire e farmi ammazzare dai prossimi prole oscura.” fece sarcastico nella sua testa.

«Il piede è a posto? Quanto ti serve per riprenderti?» sollecitò il ragazzo.

«Qualche minuto come minimo.» si spazientì.

«Non abbiamo qualche minuto, purtroppo.» si dispiacque la nana. «Forse è meglio se aspettate qui.» tentennò, credendo di offenderlo nel ritenerlo troppo debole per accompagnarli.

«No, non possiamo abbandonarlo.» intervenne Alistair ricevendo istantanei insulti mentali dal mago che stava per accettare molto volentieri la proposta. «Saliranno altri prole oscura dai sotterranei e usciranno all'aperto.»

«E qual è la tua soluzione?» criticò, stufo marcio di quell'attaccamento morboso e ingiustificato alla sua persona. «Sarò una zavorra per voi.»

«Morirai rimanendo qui.» s'incaponì l'altro.

«Moriremo tutti se vengo.» ribatté. «Il segnale deve essere acceso, io vi rallenterei. Vuoi che il re muoia perché ti sei lasciato trasportare dalla pietà? Vuoi che Duncan muoia?»

Non avrebbe mai immaginato di trovare una qualche utilità per il dialogo tra il principe Jerem e il generale Mustock. Grazie ricatti morali de Il regno riconquistato capitolo sette.

Alistair era combattuto e aprì la ciabatta per poi richiuderla, come il pesce dall'intelligenza limitata che era, un chiaro segno di bandiera bianca. Era pronto a sedersi, aspettare che entrassero ed estrarre dall'attraente cranio un nuova brillante idea per rimanere vivo, libero da quei due. Fu Sereda, con una facciata solenne e determinata, schiena dritta e petto in fuori, a rovinare i suoi buoni propositi.

«Verrete con noi. Morirete affrontando la prole oscura, come un vero Custode Grigio.»

Spalancò la bocca, scandalizzato da una dichiarazione tanto incongruente con la sua personalità, tuttavia il cervello affaticato era paralizzato dalla battutona della donna e l'apparato linguistico non cooperò di sua iniziativa. E che avrebbe risposto, ad ogni modo? Era certo che lei lo avrebbe trascinato dentro contro la sua volontà. Maledetta. Maledetta, maledetta, maledetta...

«Spero mi concederete l'onore di perire coraggiosamente con due scarpe, almeno.» fu tutto ciò che la sua strabiliante scaltrezza riuscì a sfornare.

La nana annuì e Alistair lo afferrò per un braccio e lo tirò su senza sforzo, come se non avesse appena sterminato una decina di mostri (dove la pescava tutta quella forza?! Stronzo pure lui!). Si infilò il calzino e lo stivale di un defunto, poi scelse di sostituire anche il destro, dato il rinforzo dei calzari del soldato. E perché sinceramente, se proprio lo costringevano a soccombere, preferiva farlo evitando di assomigliare ad un pagliaccio.

Alistair lo sostenne fino al portone, che aprirono (niente benvenuto di frecce infuocate, grazie ad Andraste) e richiusero silenziosamente alle loro spalle. Da lì fu un delirio. Gli schifosi avevano perfino avuto l'acume di piazzare delle trappole! Per tutto il tempo lasciò che i guerrieri lo precedessero mentre lui aiutava alla meno peggio dalle retrovie, con qualche freccia che lo mancava merito dello scudo arcano. Dovette ammettere che la coppia era degna di un romanzo, falciavano nemici a ripetizione senza il minimo sintomo di stanchezza. Il massimo di fatica che compì il mago fu spaccare il cranio di un hurlock a bastonate, una sfacchinata immane con quelle testacce dure.

Superarono un gruppo, ne superarono un secondo, un terzo, poi un altro, insomma, arrivarono al terzo piano senza sapere esattamente come ce l'avessero fatta, e chi trovarono in cima alla torre sfigata con più di metà tetto crollato? Un ogre. La domanda era: come aveva fatto un ogre a giungere fin lassù attraverso quelle porticine- No, non se lo sarebbe chiesto, non ne voleva più sapere nulla, chissenefrega e arrivederci.

Seccato praticamente da tutto, passò ad un'offensiva feroce nella sua semplicità: evocò chiazze su chiazze di unto formando una grande pozzanghera su cui il bestione cornuto scivolò all'indietro; di nuovo evocò la sostanza oleosa sulla creatura dimenante e infine, sotto lo sguardo dubbioso dei compagni, gli diede fuoco. L'ogre diventò un grosso fantoccio infuocato che tentava inutilmente di scacciare via le fiamme sbracciandosi a destra e a manca, scivolando ripetutamente nella pozzanghera. In pochi minuti non si mosse più e le fiamme si estinsero.

«Così si sconfigge un ogre.» declamò in tutta la sua superiorità tattica.

«Metodo semplice ma efficace.» approvò sorridente Sereda mentre Alistair si tappava il naso per la puzza di bruciato e si complimentava.

«Per favore, accendiamo il maledetto fuoco, adesso.» sospirò, sollevato per la conclusione della missione ma fisicamente distrutto e privo di mana.

Il biondo si affacciò a una delle finestre e diede l'okay a Elmer che attizzò la legna accatastata in una sorta di camino che diventò una voluminosa torcia, visibile da chissà quale distanza.

Ecco fatto. Finito. Missione compiuta. Era vivo. Ora il generale Loghain poteva salvare la giornata sconfiggendo la marea oscura nella valle e riconquistando la torre mentre loro si barricavano lì, in attesa dei soccorsi che prontamente-

«C'è qualcosa di strano.» disse Alistair con la fronte corrugata.

«In che senso?» zoppicò verso di lui il mago.

Non ebbe modo di scoprirlo.

Un gemito inaspettato li fece voltare, soltanto per vedere Sereda accasciarsi sul pavimento con una freccia conficcata nella testa, il visino rotondo inespressivo, i prole oscura alla porta. E mentre altre frecce incontravano anche i loro corpi, l'ultimo pensiero di Elmer non fu “sto per morire, mamma aiuto”. Fu il ricordo del borgomastro che diceva alla donna di non avere un elmo della sua taglia.

 

“Cos'è questo odore di erbe?”

Sbatté gli occhi due, tre volte. Sopra di lui un soffitto povero e un po' sporco. Confuso, si chiese dove fosse. Si sorresse sui gomiti, sentendo alcuni punti della pelle stirarsi noiosamente. Era in una piccola casetta, in un letto con coperte calde e accoglienti. Peccato che Morrigan, la strega delle Selve scostumata, stesse rimettendo in ordine la libreria come fosse a casa sua. La fissò istupidito per vari secondi senza capire chi, cosa, dove, come, quando, perché. Come c'era finito lì?

«Ah, i tuoi occhi si sono finalmente aperti.» lo salutò di buon umore la ragazza. «Mia madre ne sarà contenta.»

Sua madre? La vecchia megera che si spacciava per Flemeth?

«Ciao.» si avventurò a minuscoli passi nel pieno della confusione mentale.

«Ciao.» replicò divertita lei. «Come ti senti?»

«Bene.» disse dopo svariati secondi di riflessione. «Sono stato ferito.» si accorse guardandosi e toccandosi il petto privo di segni ma sensibile.

«Ricordi la battaglia?»

«Sì.» disse dopo un'altra pausa, sforzandosi di rimembrare. «Ero in cima alla torre di Ishal. Ho acceso il segnale.»

«Ricordi mia madre?»

«Tua madre?»

«Ti ha salvato.»

«Mi ha...» iniziò, per poi bloccarsi di fronte al flashback di Sereda con una freccia nella testa.

E lui che si era lamentato del piede.

«Ti ha portato qui e ti ha curato. Le ferite erano gravi e hai avuto la febbre in questi tre giorni. Fortunatamente ti sei risvegliato.»

“Fermi tutti. Come diamine ha fatto?”

«Come ha fatto tua madre a salvarmi?» domandò perplesso.

«Si è tramutata in un grande uccello e ti ha ghermito in un artiglio, portandoti qui.»

«Oh.» commentò sagacemente, il suo cervello indeciso se credere o no a quell'improbabile verità. «Non stai scherzando, vero?»

«No.»

Non sembrava una che scherzava spesso.

Le chiese perché l'aveva salvato. Morrigan non lo sapeva, lei stessa si domandava perché non scegliere il re, più importante e ricco, ma ipotizzò che lui fosse l'unico che la vecchia fosse riuscita a raggiungere. Le chiese se lì, nella capanna in mezzo alle Selve, fossero al sicuro. La ragazza rispose che la magia della madre li proteggeva ma che una volta uscito dall'area sarebbe stato solo. Lo informò anche che parte della prole oscura, dopo aver sterminato l'esercito, aveva proseguito il suo cammino, quindi aveva buone probabilità di non incontrarli nelle Selve se procedeva con cautela. Elmer domandò che diamine era successo e lei fu lieta di soddisfare la sua curiosità. Il generale Loghain non era intervenuto, aveva abbandonato il campo condannando a morte l'esercito e il re; superstiti ce n'erano pochi, i fortunati erano sfuggiti alle grinfie dei mostri che al momento stavano banchettando con i cadaveri, trascinando sottoterra i corpi ancora vivi per ragioni misteriose.

Sinceramente non poteva fregargliene di meno, l'unica cosa che gli interessava era sapere della sorte dei Custodi Grigi poiché man mano che le facoltà intellettive ritornavano, un bellissimo futuro si stagliava al suo orizzonte: niente ordine dei Custodi Grigi, niente prove della sua sopravvivenza, niente cacciatori di teste a inseguirlo per diserzione. Un sogno.

“Sono libero. Il mondo a mia disposizione.” si emozionò, tuttavia si corresse immediatamente. “Siamo sicuri che ho vinto?”

Un ordine vecchio di secoli, esperto nel combattimento con quel particolare nemico, qualcuno doveva essere pur rimasto.

“Però io sono qui da solo, nessuno lo sa.”

«I Custodi Grigi?»

«Soltanto tu e il tuo amico, a quanto sembra.»

«Il mio che?»

«Il tuo amico. Quello con cui mi hai incontrato per la prima volta. Si è svegliato ieri. Continua a piagnucolare, rifiutando di credere a quello che è accaduto e al contempo disperandosi per le perdite e la sconfitta.»

«Alistair.» pronunciò in tono tutt'altro che contento, causando un'alzata di sopracciglio dalla sua interlocutrice, che ebbe l'accortezza di non indagare.

«Mia madre desiderava parlarti appena ti fossi ripreso. È fuori. Dopodiché potrete andarvene.»

Tsk, smaniosa di non avere ospiti tra i piedi, la ragazza. Non che gli importasse, aveva altro per la testa. Ma prima...

«Dove sono i miei vestiti?»



FINE SECONDA PARTE





Note dell'autore:
E ce la feciiiiiiiiii! L'ho riscritto in buona parte e completato durante questa settimana; una fatica immane, però stavolta sono veramente contenta del risultato. Mi sono anche fatta chiarezza io stessa: Elmer, saputo prima o dopo della modalità della prova, se la sarebbe filata ugualmente XD
E ora si ritrova nudo a casa di Morrigan. Eh, questi ragazzi che bruciano le tappe u_u
Ragazzi abbiamo finito Ostagar, ci siamo disfati di Sereda, di Duncan, del re, di tutti i Custodi Grigi del Ferelden, di una marea di altre persone che non conosceremo mai! *tira il fiato* Tranne ovviamente Hawke di Dragon Age 2 che non apparirà mai in questa storia ^^
Che altro posso dire? Che Elmer ha quasi vinto, deve soltanto assassinare Alistair nel sonno ed è a posto! Mwahahahaah! Vedremo quel che accadrà in futuro.

Come ultime cosucce, mi scuso per Flemeth: riguardando i filmati su youtube mi sono accorta che è Alistair a chiedere il nome della strega, dopo il massacro di Ostagar e non quando la incontrano inizialmente nelle Selve. Perciò mi spiace moltissimo per questa imprecisione >.<
Altro possibile errore è il numero di persone che risiedono nel Circolo del Ferelden: non ricordo se era specificato nel libro e non so se ho sparato una cifrona inventata nei capitoli iniziali della storia; spero che due centinaia sia una quantità accettabile se consideriamo che la torre ha cinque piani ed è bella grande. Voi che ne dite?
Poi se qualche buona anima mi dicesse se è più corretto scrivere "possibile" o "possibili" in questa frase "uccidendo quanti più mostri possibile", mi farebbe un grande favore. Ho sempre il dubbio. E occhi aperti per i miei errori di ortografia, conto su di voi!
E... basta XD Mi auguro che vi piaccia anche questo capitolo! Un bacione a tutti, godetevi gli ultimi giorni di agosto ^^

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Capitolo 23
*** Selve Korcari ***


TERZA PARTE


Avete presente quando, nonostante mille imprevisti, le cose alla fine girano esattamente come volevate voi? Ecco, ora pensate di darvi la zappa sui piedi, volontariamente e in completo possesso delle vostre facoltà mentali.

Ripensando a quel momento, non vi viene mica voglia di darvi un cazzotto in faccia?

 

***

 

Radici, bacche, tozzo di pane di dubbia origine, carne essiccata, radici, bacche. Ancora radici. Duncan era stato uno stronzo bugiardo ma i suoi conigli erano stati molto apprezzati durante il viaggio verso Ostagar. Sollevò la testa al cielo grigio. Peccato non avere sole e uccellini cinguettanti che riflettessero il suo umore.

«Tenete il passo, Custodi.»

Non prestava più nemmeno caso all'antipatia della donna con mezze tette di fuori. Da quando se n'erano andati dalla catapecchia di Flemeth niente era riuscito a rabbuiargli le giornate, né l'atteggiamento sostenuto della ragazza, né l'immaginaria nuvoletta nera con pioggia appiccicata alla testa di Alistair. In effetti era così contento che il difficile era non esplodere in grasse e grosse risate. Dopotutto aveva appena perso i suoi cari compagni e il suo amato re, e il suo capace generale, quello su cui tutti contavano, aveva tradito l'intero popolo. Doveva pur mostrare dell'afflizione.

Per poco non gli venne la ridarella.

Oh, come non gioire di fronte alla sua fortuna sfacciata? Il piano di fuga era addirittura migliore del precedente! Non c'erano Custodi Grigi a tenerlo in riga, niente templari o maghi del Circolo a riportarlo alla torre, e il da farsi era talmente chiaro e luminoso, da accecarlo. Giunti a Lothering il piano A sarebbe stato quello di separarsi: tante persone con cui parlare, tutte in diverse parti del Ferelden, dividersi era un'ottima idea, ognuno per la sua strada, Morrigan a destra, Alistair a sinistra, Elmer dritto sparato al porto più vicino. Se il piano A falliva perché gli idioti insistevano su “l'unione fa la forza”, il piano B era seminarli. Il sangue dell'Unione non si era ancora risvegliato nel suo organismo, perdere Alistair e Morrigan nel via vai di Lothering sarebbe stato un giochetto, specialmente se un noto carrettiere si fosse sdebitato con un passaggio gratuito.

Contò mentalmente i soldi in loro possesso. I tesori di Ostagar erano inaccessibili, tuttavia i cadaveri sparsi qua e là gli avevano procurato denaro, spada e scudo per Alistair e una lancia corta per Elmer. No, non era un lanciere, ma con una spada si sarebbe tagliato un braccio da solo e con un arco, occorso il lieto evento di incoccare una freccia e scagliarla, come minimo centrava il suo stesso occhio. Almeno un qualcosa che assomigliasse a un bastone lo sapeva usare evitando l'autolesionismo.

Tutto bello e deciso, non rimaneva altro che scacciare la noia durante la tranquilla passeggiata per le Selve Korcari. Più facile a dirsi che a farsi, visti soggetti con cui camminava.

Considerò Alistair per un singolo e orrendo istante: amici defunti, figura paterna persa per sempre e stato d'animo rotolante nel fango dell'amarezza. No, grazie. Morrigan finora si era rivelata un'utile guida, in due giorni non avevano incontrato ostilità (l'intruglio puzzolente di Flemeth per coprire le loro tracce era un portento), né erano morti di fame, né, stando alle sue parole, si erano smarriti. C'era l'immensa spocchia, sì, però in confronto ad Alistair era una buona alternativa. Aveva anche l'argomento giusto.

«Perciò tua madre sa trasformarsi in un uccello gigante.» l'affiancò cordiale.

«Non solo quello.»

«Ancora adesso fatico a crederlo. Ma il fatto che una come te le porti rispetto mi dice che probabilmente l'aspetto di vecchia pazza nasconde molto più di quanto scorga l'occhio.» Il vecchio cieco, battuta rimaneggiata.

«Delle volte è arduo perfino per me vederla per quello che realmente è.»

Non era affatto dispiaciuta della sua moderatamente lusinghiera opinione, glielo leggeva in faccia.

“Fa tanto l'altezzosa e poi...”

Sollecitata da domande inoffensive, la giovane donna raccontò delle storie che si erano diffuse sulle streghe delle Selve mangiabambini e di giochi tra gli alberi con ingenui templari, a cui la dolce mammina la incitava a partecipare da bambina nella parte di innocente bisognosa d'aiuto per spingere i cacciatori ad addentrarsi nelle paludi. Si sforzò di sorridere e trovare il tutto molto divertente. I templari non gli andavano a genio, eppure bisognava riconoscerne la necessità. Ascoltare storielle su come fin da mocciosa la mora fosse complice di omicidio premeditato e sapere che non si crucciava più di tanto nel condurre uomini alla morte con tali stratagemmi era piuttosto raccapricciante. Se mai fosse tornato a visitare la torre (improbabile), avrebbe sfatato la visione pittoresca degli eretici di molti dei suoi ex coinquilini.

Purtroppo non c'erano stati convenienti sbocchi in cui inserire domande sulla magia di trasformazione e, quando verso sera si accamparono, Morrigan si assentò per controllare i dintorni e il sentiero che li attendeva l'indomani. Rimase con un Alistair in lutto.

«Lo accendo io.» si offrì, vedendolo armeggiare con le pietre focaie.

«D'accordo.»

Era la frase più lunga che avesse pronunciato dalla capanna. Frase tra virgolette. L'ex templare si sedette con un viso assente verso le fiamme magiche che davano vita al focolare. Per carità divina.

«Raccontami una storia.» esordì. «Facciamo a turni: prima tu e poi io.»

Tanto tempo fa (pochi mesi), nel periodo in cui abitava insoddisfatto e frustrato in un'alta casetta in mezzo a un lago (leggasi istituto sanzionato dall'autorità religiosa), questo stratagemma l'aveva brillantemente strappato alla monotonia di un futuro immutabile. Se Jowan (sì, proprio quel buono a nulla) partecipava, Alistair avrebbe dovuto fare i salti mortali. Giusto? Non era un rimarcare sulla sua mutezza.

«Una storia?»

«Sì. D'amore, d'avventura, aneddoti della tua vita. Una storia qualunque.»

«Perché-»

«Perché sì. Dai, racconta.»

«Adesso non mi va.»

«Non te ne viene in mente neanche una?»

«No.» aggrottò la fronte. «Non sono bravo con le storie.»

«Non sai raccontare una storia?» lo prese in giro. «Nemmeno se ti aiuto?»

«Non mi va, scusa.» ribadì. «Sono molto stanco. Un'altra volta?»

Come rifiutare un tono così allegro?

«Come vuoi. Però la mia era proprio una bella storia.»

Alistair non abboccò. Mangiò di malavoglia la sua cena e si coricò nel sacco a pelo.

“E io con chi parlo ora? Con gli alberi?”

Al ritorno, Morrigan lo trovò a giocherellare con un bastoncino: dava fuoco alla punta e poi la spegnava con un soffio. Che divertimento intellettualmente coinvolgente.

«Il virtuoso sostenitore della caccia alle streghe dorme?»

«Sì.» sospirò annoiato. «Stava per prendere i voti di templare prima di diventare un Custode, sai?»

«Non mi sorprende.» sogghignò la donna ripensando ai racconti del pomeriggio. «Suppongo che il suo silenzio sia una fase passeggera. Come sopporti il suo fervore religioso solitamente?»

«Mai fatto. L'ho conosciuto poco prima della battaglia. Tra noi due, lui è il Custode anziano.»

«Non mi sembri il genere d'uomo che prende ordini da un uomo come Alistair.» Il termine uomo fu usato con molto sarcasmo.

«Infatti.» Il profilo addormentato non si mosse sotto il suo esame. «Non escludo che questo dettaglio sarà motivo di discussione, quando si riprenderà dal suo cordoglio, ma troveremo un punto d'incontro. Il Flagello non aspetterà i nostri bisticci.»

No, il Flagello sarebbe proseguito finché un vero Custode, anzi, un buon numero di Custodi Grigi fosse comparso all'orizzonte. Lui non ci teneva ad essere un eroe e Alistair non era esattamente all'altezza. Comunque a Morrigan non serviva saperlo.

«Sono d'accordo. È rassicurante che almeno uno di voi due abbia le idee chiare. Sarebbe un peccato vedere il Ferelden, e il Thedas, distrutti perché un bambino non riesce a vincere i propri sentimenti.»

«Ne verrà a capo.» In verità era abbastanza disinteressato della sorte del biondo. Una volta fuggito verso la libertà ipotizzava che avrebbe continuato la sua missione suicida, se non altro per vendicare Duncan. Fino a quel giorno, Elmer avrebbe recitato la sua parte. «Cosa fate voi streghe delle Selve per passare il tempo? A parte mangiare bambini.»

«Non riesci a prendere sonno, Custode?»

“Custode, brr.”

Che brutto appellativo. Prima cambiava aria, prima lo avrebbe seppellito insieme al suo passato fereldano. Magari fosse stato così facile con la maledizione del sangue di prole oscura, quella se la sarebbe portata dietro finché morte non ci separi. Urgeva trovare una soluzione entro la restrizione minima dei dieci anni. La mistura dell'Unione era una ricetta magica, doveva pur esistere un intruglio che la contrastasse. Bastava una ricerca approfondit-

“Cazzo. Non so la formula.”

Trota. Porca trota. Dove la trovava la ricetta?

«Custode?»

«Eh? Ah... Il pensiero del Flagello mi tiene sveglio.» improvvisò.

Calma. Un problema alla volta.

«Allora sei una persona che nasconde bene ciò che prova. Io personalmente amo avventurarmi nella foresta, inseguire il richiamo della natura, correre con i lupi.»

“Ne hai di tempo da perdere.”

«Hai la stessa abilità di tua madre, dunque.»

«Mi ha insegnato tutto ciò che sa. O forse soltanto una piccola parte, chissà.»

«Da bambino guardavo il cielo e sognavo di essere un uccellino: abbastanza piccolo per passare dalle sbarre delle finestre e con le ali abbastanza forti da non essere spazzato via dai venti che circondano la torre.» rimuginò con un pelo di risentimento.

«La Torre del Circolo, il famoso rifugio che tiene al sicuro chi è dentro da chi è fuori.» schernì. «Perché i maghi non si ribellano?»

«Per il Rito di Annullamento, l'uccisione indiscriminata di tutti i maghi di un Circolo. Negli ultimi settecento anni è stato eseguito diciassette volte. Indovina chi ha vinto.» La sua educazione allo stato brado la autorizzava a sparare sentenze senza prima informarsi dei fatti? «Tu sei libera, non sprecare il tuo tempo a immaginare un'eternità tra quattro mura.» riparò per non perdere il filo del discorso, riuscendo a smorzare l'animosità nella voce.

«Di questo non devi preoccuparti. Quindi vorresti avere le ali?»

«Non mi dispiacerebbe. È una magia molto intricata?»

«Io l'ho appresa senza fretta, osservando le tante specie animali presenti nella foresta Korcari. Una persona in possesso della magia e con la volontà sufficiente ad imparare non avrebbe problemi. Pensi di esserne in grado?»

«Non ne dubito. Sono sempre stato uno studente esemplare.»

«Cosa dirà il templare?»

«Niente che valga la pena ascoltare.»

Fu tutto l'incoraggiamento necessario. Morrigan si alzò in piedi e pronunciò una breve serie di parole, dopodiché i lineamenti del suo corpo vennero nascosti da una coltre scura e un secondo più tardi al suo posto c'era un cane nero. Elmer osservava impressionato la trasformazione mentre Morrigan dava sfoggio del controllo sulla nuova forma muovendosi agilmente.

Tornata umana, le pose una manciata di domande. Giunti a Lothering non l'avrebbe più rivista, meglio approfittare di quell'infarinatura.

«Cosa pensano di te gli altri animali quando prendi le loro sembianze?»

«Non si allontanano. Credo che i loro sensi mi ritengano una della loro specie. Per quanto riguarda ciò che pensano, non saprei davvero dire. Proprio come io sono pur sempre umana, non importa quale forma assuma, loro sono pur sempre animali, pertanto, anche se glielo chiedessi, non potrebbero rispondermi.»

«Ha senso. L'animale umano è l'unico ad aver sviluppato un linguaggio articolato.» rifletté.

Volare come uccelli, nascondersi come topi, arrampicarsi come ragni, correre come lupi, chi lo beccava più. Chissenefrega se non avrebbe preso il tè o fondato il club del libro con i nuovi amichetti a quattro o otto zampe.

«Mi aspettavo altro da te.»

«Cioè?»

«Un mago del Circolo dovrebbe desiderare che questo genere di antiche tradizioni magiche vengano sradicate dal mondo, come vorrebbe la Chiesa. Eppure ecco qui un mago cresciuto nella famigerata Torre che vuole conoscere usanze al di là di quelle che i suoi fedeli insegnamenti tollerano.»

«Ah! Non tutti cadono vittima del lavaggio del cervello clericale. Da parte mia ho sempre sostenuto che qualsiasi forma di magia di una certa utilità debba essere trasmessa. La torre mette a disposizione un'ampia conoscenza, non c'è dubbio, ma chi si convince che il mondo sia tutto lì ha una mente alquanto limitata.»

«Sono scioccata.»

«In senso buono, spero.»

Morrigan sorrise enigmatica e annunciò che l'ora era tarda. Disposero i vari sigilli protettivi e andarono a letto. Elmer non si addormentò subito, il suo brillante piano aveva una falla che rischiava di far colare a picco l'intera nave.

“Dove la trovo la formula dell'Unione?”

Forse Duncan la teneva sempre con sé, o l'aveva stampata nella memoria, oppure la teneva in un cassetto. Dove alloggiavano i Custodi nel Ferelden? A Denerim. Frugare tra le proprietà dell'ordine era d'obbligo. Se la sosta alla capitale si fosse rivelata infruttuosa, si sarebbe diretto dai Custodi delle altre nazioni. Avrebbe rovistato negli uffici dei comandanti o guadagnato la loro fiducia pur di carpire il dannato segreto. Qual era la stazione di Custodi più vicina?

«Alistair.» interrogò il mattino seguente. «Duncan aveva accennato a gruppi di Custodi Grigi oltre il Ferelden. Sai dove?»

«Ce ne sono parecchi a Orlais, dove di preciso non lo so. E la città orlesiana più vicina è a settimane di distanza. Se andiamo a nord e attraversiamo il mare ne potremo incontrare nei Liberi confini. Ma anche qui non so dove siano esattamente. Insomma... non so nulla dei Custodi Grigi nelle altre terre.»

«Non faranno niente? Si accorgeranno che qualcosa non va, no?»

«Immagino che prima o poi si chiederanno cosa sia successo e perché non ricevano aggiornamenti da Duncan. Alla fine manderanno qualcuno. O non manderanno nessuno.»

“È una battuta?”

«Potremmo cercare di contattarli ma questo significherebbe lasciare il Ferelden... e anche se lo facessimo non potrebbero tornare indietro con noi in tempo per fermare il Flagello. D-» Pausa drammatica sul nome. «Duncan mi diceva che il numero di tutti i Custodi del Thedas messi assieme non costituiva una grande forza bellica. Nella storia dei Flagelli siamo sempre stati affiancati da forze esterne numerose.»

«Certo. Però potremmo dividerci.» insistette. «Io a richiedere il loro intervento, tu qui a raccogliere gli alleati.»

«Intendi da solo?» si agitò il suo superiore. «N-no. Non è una buona idea. Non sono bravo a prendere decisioni, parlare con la gente o... salvare intere nazioni. È una cosa più grande di me, non ce la farei mai da solo.»

Alistair lo guardò con occhioni da cerbiatto impallato. Ew! Piano B.

«In questo caso, sai dove si trova di preciso la base dei Custodi Grigi nel Ferelden? Denaro ed equipaggiamento ci farebbero comodo.»

«Da qualche parte a Denerim.» replicò sollevato il ragazzone. «Ma non ci sono mai stato. Mi dispiace.»

«Capisco.»

“Inutile essere.”

Ingoiò i brutti, bruttissimi epiteti che non bramavano altro che una scivolata del suo autocontrollo e si caricò lo zaino in spalla. La prima tappa era Denerim. Era indispensabile mettere le mani sulla formula. Se andava male avrebbe indagato a Orlais o nei Liberi Confini. Duncan gli aveva anche parlato della base principale dei Grigi nelle Anderfels, la Fortezza di Weisshaupt: era il luogo più noto dell'ordine ma considerando il lunghissimo percorso era l'ultima spiaggia. A Denerim ci sarebbero state informazioni più dettagliate sulla posizione dei colleghi. Doveva andarci.

«Abbiamo una mascotte.» avvertì Morrigan.

“Una che?”

Non stava scherzando. Davanti a loro un cane era spuntato dalla vegetazione.

«Un mabari?» si stupì Alistair.

La bestiola scodinzolante aveva il manto marrone e il muso scuro, la pelliccia schizzata di gocce di sangue. Piegò di lato la testona e mise fuori la lingua penzoloni mostrando le fauci.

«Un sopravvissuto di Ostagar.» intuì la strega.

«Morde?» Oh, se osava morderlo...

«È un mabari!» difese il biondo.

«Appunto.»

Già lui e il buongiorno non avevano una gran chimica (ormai lo sapevano perfino le foglie secche da quanto l'aveva ripetuto), se poi veniva svegliato da un cagnone che pesava più di lui, con una mascella poderosa e una serie aguzza di dannati denti...

«Sembra che Adro vi trovi simpatici, al contrario dei prole oscura che abbiamo incrociato finora.»

… accompagnato da una donna armata... Col cazzo che era una bella giornata.

«Amica o nemica, mi chiedo?» strinse il suo bastone la figlia di Flemeth.

«Amica. Finché riceverò il medesimo trattamento. Non cerco guai. Ho seguito il cane.»

Non aveva l'armatura tipica dell'esercito del re, eppure aveva un non so che di familiare. Teneva una lancia al fianco, sollevata da terra, non un tremito era visibile nella sua postura. I fermi occhi blu della lanciere scorsero i simboli sul terreno e l'impossibilità del cane di andare oltre.

«Maghi?»

«Del Circolo.» si affrettò Elmer a mostrare l'anello.

«E Custodi Grigi.» ci tenne a sottolineare l'idiota.

«Pensavo fossero tutti morti in prima linea.»

«Siamo rimasti in due.» fece mesto l'ex templare. «Se non vuoi mandarci contro il cane o infilzarci da parte a parte con la tua lancia minacciosa, direi che possiamo deporre le armi?» propose con un sorriso da bambino.

«Neanche la conosciamo.» sibilò il mago.

«Se volesse attaccarci quel cucciolotto non sarebbe così calmo. Io li conosco i mabari, sono praticamente cresciuto con loro.»

«Questo spiega molte cose.» intervenne Morrigan.

«Sono diretta a Lothering.» concesse loro il beneficio del dubbio la sconosciuta.

«Allora possiamo affrontare il cammino insieme. Abbiamo una guida.» puntò il pollice verso la figlia di Flemeth. «Non lasciarti ingannare dall'aspetto: dentro è molto peggio.»

Il moro roteò gli occhi al cielo dinnanzi all'esibizione immatura. Alistair si risvegliava dal suo torpore e d'un tratto era quello che invitava estranei per un “tutti assieme appassionatamente”?

La donna si presentò come Regar e ripose l'arma. Disse che non era la sola ad essere scampata al massacro e che forse avrebbero incontrato altri soldati. Elmer si chiese se ciò li avrebbe danneggiati, considerando che loro non avevano l'intruglio di Flemeth a coprirne l'odore. In ogni caso sgomberarono il campo e marciarono con la debole luce del sole nascente che filtrava tra le fronde.

«Tu sei una delle reclute.» lo raggiunse Regar.

«Tu non appartieni all'esercito regolare.»

«Sono un Guerriero della Cenere.» disse infatti, ma era un'altra la cosa che le premeva. «La tua amica, la nana. Ti ho visto darle il fiore che ha salvato Adro.»

«Sei la sua padrona?»

«No.»

Calò un pesante silenzio che lo mise sull'attenti. Dove voleva andare a parare la tizia?

«Sei un mago, dov'è il tuo bastone?»

«Perduto in battaglia.»

«I maghi del Circolo non sono pratici di armi.» Pausa. «Potrei mostrarti qualche mossa basilare.» Alla faccia diffidente Regar aggiunse «Il suo padrone era mio amico. Tu hai salvato la vita al compagno del mio amico.»

«È stata la nana a preoccuparsi della sua salute.»

Avrebbe potuto prendersene il merito e sfruttare la situazione. Avrebbe potuto, verbo al condizionale. Perché si stava parlando della maledetta ex principessa so-tutto-io-superonore-guerriero-blablabla-Duncan-seiunmito.

«La nana non è qui. Come il mio amico. Come il mio compagno.» spiegò inchiodandolo con un cipiglio solenne. «Ci siamo solo io e Adro. In futuro, se il Creatore vorrà, sceglierà qualcuno degno di un imprinting, nel frattempo io sarò sua amica e mi prenderò cura di lui. E lui ha un debito con te. Permettimi di ripagarlo.»

Il moro ebbe un attimo di assoluta incredulità. Ripagare debiti per un'amicizia che aveva abbandonato questo mondo faceva tanto Onore e gloria, era stranissimo sperimentare una cosa del genere in prima persona.

“Accetto?” ponderò. “Beh... non pare intenzionata a derubarci o dare di matto e sgozzarci nel sonno... Non più di Morrigan.”

«Sapere dove puntare quell'affare mi allungherebbe la vita.»

 

Regar rimirò il giovane dolorante seduto al fuoco serale. Il mago mingherlino si era rivelato per quello che era, fisicamente debole e dalla destrezza scarsa, tuttavia il risultato era stato scontato fin dal principio. La piacevole sorpresa era stata la qualità rara per chi non aveva alcuna esperienza militare, cioè l'essere un buon allievo. Non si arrabbiava con lei, né con se stesso quando sbagliava (frequentemente); brontolava sottovoce per le batoste ma non interrompeva la pratica. Imparava in fretta.

«Guarisci naturalmente e ti abituerai al dolore.»

La mano di Elmer esitò sul livido. Doleva e domani avrebbe cambiato colore e fatto ancora più male. La macchia sparì sotto la manica, al riparo dalla tentazione di una magica salvezza. Non era facile, il dolore. Si erano brutalmente allenati nelle soste, lezioni corte ma piene di significato. In sintesi era stato bastonato meticolosamente con commentario costruttivo in sottofondo. Il peggio era l'estrema efficacia del metodo: col cavolo che si dimenticava la spiegazione su come schivare quel colpo maledettamente doloroso.

«A nessuno piace prenderle di santa ragione.» sorrise la rossa castana.

«Ma va?» rispose acido.

«Suppongo tu abbia un piano per il futuro, Regar.» Morrigan la stava scrutando attraverso le lingue di fuoco con i suoi occhi gialli da predatore.

Il moro non poté evitare di rabbrividire. Perché conosceva solo gente strana?

«Riunirci al resto dei nostri compagni rimasti nel Ferelden» replicò affatto turbata il Guerriero. Aveva affrontato cose peggiori che l'antipatia di una strega. «In base a ciò che Alistair mi ha detto, ho deciso che vi assisteremo per il tratto di strada che percorreremo insieme.»

L'occhiata velenosa cadde sulla schiena dell'ignaro ex templare, intento a rotolarsi per terra col mabari. Morrigan serrò la mascella.

«Se agli altri sta bene...» cioè il contrario di quello che andava bene a lei, ma tentò un'ultima volta di redimere il genere maschile.

«È una buona idea.» si condannò Elmer. «Più siamo, meglio ci difenderemo dai prole oscura e dai banditi.»

Uno col cane e uno dietro alle curve. Quanto erano stupidi gli uomini. Venne scuoiato vivo con un'espressione priva di qualsivoglia umanità. La figlia di Flemeth scivolò via dalla luce confortante e scomparve nella selva.






Note dell'autore
Dovevo pubblicare qualcosa, qualsiasi cosa, perché 1. è il mio compleanno, e 2. se non metto su internet almeno il primo capitolo della terza parte continuerò a cambiarlo millemila volte e non combinerò mai niente u_u
Beh, come va? Spero bene a tutti! A me va alla stra grande! *-* Modestia, modestia, cosa tu essere? XD No, dai, seriamente. Qui in Danimarca è tutto okay, il corso di lingua danese sta andando bene (ma la padronanza della pronuncia è ancora molto lontana), la seconda host family (faccio l'aupair/ragazza alla pari) è molto gentile e disponibile, ho un po' più di tempo libero ma invece di scrivere mi metto a leggere altre ficci o libri o m'invento altre storie oppure mi rincitrullisco con idiozie su internet :D Insomma, non ho scuse.
Mi farà stra piacere se qualcuno ancora avrà voglia di leggere la mia storiella, nonostante ormai siamo a DA Inquisition (che prima o poi comprerò), comunque andrò avanti a scrivere giusto per principio, e perché alla fine questa ficci è il materiale migliore che ho per esercitarmi nella lingua italiana, che mi sta sfuggendo in una maniera allucinante. Son triste solo per questo: le parole mi vengono in inglese o in danese, e poi il mio cervello fa fatica a renderle in modo carino in italiano. Devo leggere più roba italiana >_>
Non dico altro perché non ho altro da dire XD Al solito, se vedete errori, puntategli il dito contro e sbraitatemi contro: a me fa sempre piacere ;)

I dialoghi sugli animali durante la trasformazione e sulla posizione dei Custodi Grigi e l'impossibilità di raggiungerli, sono presi dal gioco.

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Capitolo 24
*** Lothering ***


«Leon? No, mi spiace.»

«È sicuro? Ha un carretto piccolo e un asino di nome Horlon.»

Il contadino scosse la testa, ansioso di toglierselo dai piedi. Elmer cercò un'altra persona da interrogare. L'unica che conosceva a Lothering era Leliana, ma dalle cattive notizie era consigliabile tenere un profilo molto, molto basso.

All'arrivo nella cittadina avevano scoperto che Loghain Mac Tir si era insediato come reggente e denunciato i Custodi Grigi per tradimento (a quanto pareva avevano, chissà come, causato la sconfitta e la morte del re) e istituito una grossa taglia sulle loro teste. Alistair era andato su tutte le furie e c'era voluta Regar per sedare il litigio tra lui e Morrigan relativo all'ipotetica strategia per fare secco il bastardo. Al mago non importava un accidente, il suo unico pensiero era che adesso Denerim era off limits. Certo al campo non aveva parlato con nessuno in particolare, la sua faccia non era nota, ma perché rischiare? Regar l'aveva riconosciuto. Ora, se solo fosse riuscito a trovare Leon e scroccargli un passaggio verso Orlais o il porto di Amaranthine...

«Mi scusi. Conosce-»

«Ripetilo! Ripetilo se hai il coraggio!»

Alistair stava dando di matto per l'ennesima volta, con una coppia di innocui paesani di fronte alla locanda, il luogo più stupido in cui dare spettacolo. Regar gli si avventò addosso prendendolo per la collottola e trascinandolo via. No, no, meglio stare alla larga da certi soggetti in modo che non li associassero.

“Coraggio, Leon, coraggio. Dove sei?”

«Covaltin, amico mio. Come stai?»

Quasi inciampò nei suoi stessi piedi. Porca trota. Aveva considerato di incrociarla tuttavia aveva sperato nella sua buona stella. Leliana era bella come la ricordava e le sue morbide labbra lo schernivano con un sorrisetto tutt'altro che innocente. Ci mancava solo una pedina imprevedibile sulla sua scacchiera. Cosa voleva? I soldi? Gli era comparsa alle spalle praticamente dal nulla, un maledetto fantasma, i peli delle braccia drizzati ne erano testimoni.

«Leliana. La mia Sorella preferita.» O era asserente? Oh, chissenefrega.

«Perché quel tono, Covaltin?»

«Precauzione. Sono tempi pericolosi, l'avrai notato.»

Era troppo nervoso per giocare. Aveva un coltello tra le pieghe della tunica? Avrebbe urlato per richiamare templari e soldati? Qual era la direzione migliore in cui darsela a gambe? Si arrischiò a immaginare quel che gli sarebbe capitato se l'avessero catturato. L'avrebbero giustiziato sul posto, condotto nelle segrete del palazzo della capitale, linciato pubblicamente dalla folla inferocita? O forse la prigione di Aeonar aveva una cella libera, accanto a quella di Lily. Rabbrividì.

«Il solito mago difficile.» ridacchiò coprendo la parte migliore del suo corpo con un elegante gesto della mano. Se aveva notato il suo sgranamento di occhi al termine mago pronunciato in pieno giorno, non lo dette a vedere. «So cosa sta succedendo. Voglio aiutare te e i tuoi compagni.»

«Perché dovrei crederti?» Sapeva che non era solo. Fantastico. Da quanto lo stava spiando?

«Non mi interessa la taglia, non mi interessa la politica, non mi interessa la gloria. Ho fatto un sogno.»

«Interessante. Parliamone la prossima volta, eh? Se vuoi scusarmi.»

Un sogno? Stava prendendo tempo con delle panzane mentre veniva circondato? Indietreggiò di tutta fretta, e dopo soli quattro passi andò a sbattere contro un rifugiato che trasportava una cassetta di preziosi viveri. Incavolato già per ovvi cazzi suoi, il paesano lo spintonò a terra accompagnando l'azione con una frase piena di improperi. Leliana si frappose tra loro, la sua veste clericale e la sua voce carezzevole calmarono abbastanza l'uomo da allontanarlo in relativa pace. Quando si voltò, invece di essersela svignata, Elmer la stava studiando guardingo. L'istinto gli consigliava caldamente di non fidarsi della bella tentatrice, la logica gli imponeva di rincorrere la fortuna che in quei giorni sembrava favorirlo.

“Perché aiutarmi? Non avrebbe senso...”

«Davvero non t'importa di soldi, politica e via dicendo?»

«Avrei potuto denunciarti appena ti ho riconosciuto, eppure non l'ho fatto. Lascia che ti spieghi la mia visione. Non ci crederai, ma ho fede che il Creatore mi abbia inviato un messaggio, e ho tutta l'intenzione di compiere il suo volere.»

Si appartarono in un angolo e l'orlesiana illustrò l'oscurità che l'aveva inghiottita nel suo incubo. Al risveglio aveva scoperto che nel cespuglio privo di vita nel giardino della cappella era nata una splendida rosa; opera del Creatore, secondo lei, che attraverso quella purezza naturale mormorava, ai volenterosi in ascolto, che perfino nella tenebra più assoluta esistevano speranza e bellezza. Bastava avere fede. Quando i suoi occhi azzurri si erano posati su di lui tra la miriade di povere anime tormentate, aveva capito che il Creatore le aveva affidato la missione di aiutarlo a sconfiggere l'oscurità rappresentata dalla prole oscura. Era un caso che l'avesse incontrato prima della sconfitta a Ostagar? Era un caso che lui fosse sopravvissuto per rincontrarla? No, era stata la mano del Creatore a intrecciare i fili del loro destino e Leliana non si sarebbe tirata indietro.

Elmer la fissò immobile per un lungo istante. Visioni.

«Ooookay.»

«Non mi credi.» tradusse lei con condiscendenza. «Tuttavia io sento che è vero, e verrò con te nella battaglia contro il Flagello.»

Lui non la voleva. Non gliene fregava una mazza di sogni e visioni dettati da divinità benigne o tremende indigestioni alimentari, aveva già tre persone e un cane di cui sbarazzarsi, aggiungerne una quarta era da masochisti. Il suo fulgido intelletto si mise in funzione. Lo intimoriva il fatto che una capace di muoversi così furtivamente fosse malata di mente, benché non ci fossero prove a sufficienza a dimostrarlo. L'avrebbe tenuta con sé per un'oretta, sfruttata per provviste, mappe e quant'altro lì a Lothering; la veste clericale l'avrebbe protetto dai sospetti, e poi l'avrebbe seminata con il piano B, una scusa della serie “vado un attimo a comprare degli impiastri curativi. Torno subito”. Pura genialità.

Però, sul serio, perché conosceva solo gente strana?

«Va bene. Non ho il lusso di scegliermi la compagnia. Perlomeno la mia vista non ne soffrirà.» blandì. «Hai per caso notizie di Leon, il mio amico carrettiere con cui sono arrivato a Lothering la prima volta? Sono preoccupato per lui.»

«È ripartito tre giorni fa per Redcliffe. Sia lui che l'asino erano in salute.»

«Mi fa piacere.» Dannazione.

«Ho un'altra notizia che potrebbe tornarci utile.» continuò. «Levi Dryden, un mercante. Afferma di essere amico del Comandante Duncan e non ha smesso di cercare Custodi Grigi dal suo arrivo in città.»

«Vale la pena indagare.» Mercante equivaleva a merci e amicizia con Duncan equivaleva a grandi sconti. La morte del barbuto gli avrebbe certamente aperto il cuore. «Dov'è?»

«Intendi incontrarlo ora?»

«Non siamo preparati. Ci servono rifornimenti se non vogliamo morire per strada prima di sconfiggere il Flagello.»

«Osservazione arguta. Ti condurrò da lui.» annuì Leliana, felice di essere stata accettata. Povera illusa.

Levi Dryden si rivelò una vera sorpresa: la sua bis bisnonna era stata Comandante dei Custodi Grigi due secoli prima e la causa dell'esilio dell'ordine dal Ferelden poiché aveva scatenato l'ira del re corrente; la sua nobile famiglia era stata spogliata di tutti i suoi averi e del suo status ma ognuno dei suoi componenti non aveva mai rinnegato il proprio nome, né il desiderio di conoscere le reali circostanze della sua disfatta. La richiesta di Levi era semplice e al contempo impegnativa, perciò il buon vecchio Duncan, occupato a reinsediare l'ordine nella nazione, non aveva avuto il tempo materiale di occuparsene: setacciare l'antica base dei Custodi, Picco del Soldato, ultimo baluardo della misteriosa lotta contro la corona, e ristabilire l'orgoglio della casata tramite la verità. Con questa impresa Duncan sperava di riconquistare la base strategica e di svelare una parte della storia e reliquie dei Custodi.

“Se questa non è una buona occasione per mettere le mani su certe ricette.” si compiacque il mago.

«Una nobile causa che ci aiuterà a vicenda, Levi.» dichiarò. «Quando partiamo?»

«Siete disposto a intraprendere la spedizione? Nonostante il Flagello?»

«Siamo accusati di tradimento, sparire per un po' non ci farà che bene.»

«È meraviglioso! Non avete idea di quanto il cuore mi si alleggerisca al pensiero che presto avrò le prove che ci occorrono per ripulire il nome dei Dryden. Possiamo partire anche subito. Ho la mappa e il mio carro è attrezzato.»

«Eccellente.» Si strinsero la mano. «Recupero i miei compagni. Vi incontrerò all'uscita ovest.»

Eh sì, doveva portare con sé l'allegra combriccola. Si prevedeva un mese di viaggio, non ce l'avrebbe fatta da solo con tutti gli imprevisti della strada. Uff, addio piano B e benvenuto piano B versione 2: convincere gli idioti a tentare l'alleanza con i nani come primo passo verso la salvezza del Ferelden. Il Modellatorio era pieno zeppo di mappe labirintiche, una l'avrebbe condotto fuori dalle Vie Profonde mentre strega, Custode e asserente l'avrebbero dato per disperso. Mh, ci stava prendendo gusto a formulare piani.

Al punto di ritrovo designato, Morrigan era immusonita, Alistair seduto con la testa tra le mani e Regar imperturbabile. Adro se la dormiva di brutto, cane sveglio.

«In piedi. Abbiamo una nuova missione.» esordì.

Si era presentato assertivo, pronto a recitare il ruolo del capo. Dopotutto la strega era lì per ordine di sua madre, Alistair non si era mosso per occupare la posizione, Regar era una presenza temporanea. Le qualità le aveva (dare ordini a destra e a manca? Praticamente una fantasia che si avverava) e la cosa sarebbe tornata a suo vantaggio a lungo andare.

«Cosa vuoi dire? Abbiamo già una missione.» si drizzò Alistair con aria alquanto contrariata. Certo, di tutti i momenti in cui avere una spina dorsale sceglieva proprio questo, il cane. Senza offesa a Adro.

«Di cosa si tratta?» domandò la strega.

«Esploreremo una vecchia base dei Custodi Grigi per conto della famiglia Dryden, in cerca di prove che scagionino un'antenata che ai tempi comandava l'ordine. In una roccaforte dei Grigi troveremo sicuramente informazioni chiave su Flagello e prole oscura.» riassunse. «Regar, apprezzerei molto l'aiuto tuo e di Adro.»

La lanciere acconsentì muta. L'ex templare scosse la testa.

«E i trattati? E Loghain? Non possiamo andarcene così. Le menzogne che ha sparso faranno il giro della nazione.»

«Quando salveremo la nazione dal Flagello sono sicuro che il popolo capirà di chi fidarsi.»

«Come puoi-» boccheggiò. «È colpa sua se i nostri fratelli e sorelle non ci sono più, è colpa sua se Duncan è morto! E adesso dovrei tacere mentre il nostro nome viene trascinato nel fango? Non ti importa?»

«Datti una calmata, Alistair.»

Duncan di qua, ordine di là, Loghain di qui, trattati di lì, e basta! Stava diventando impossibile con 'sto maledetto lutto. Credeva davvero che avrebbe dato un braccio per la causa Grigia grazie a un misero nomignolo? Custode Grigio. Ci sputava sopra. In passato si sarebbe sacrificato per Jowan, una persona con cui aveva condiviso anni, nel bene e nel male. Questo qua chi credeva di essere? Era Alistair, una delle palle al piede, un estraneo se non per il nome. Non era privo di sentimenti, ce l'aveva avuta anche lui una famiglia e degli amici, ma la sua compassione aveva un limite, specialmente per un “fratello Custode”.

«Darmi una calmata?! Sono loro- Se tu avessi sentito, se avessi-»

«Non mi interessa cosa abbiano o non abbiano detto quelle teste di cazzo.» sibilò picchiandogli un dito sul petto corazzato. Il linguaggio gli era scaduto di un pochetto, sintomo che gli era partita l'incazzatura. «Siamo Custodi Grigi, abbiamo un lavoro da svolgere malgrado quello che gli altri pensino o dicano sul nostro conto. Credi che Duncan si sarebbe messo a urlare come un ossesso contro chiunque l'avesse guardato storto?» La carta del vecchio Comandante vinse e il biondino si tappò la ciabatta pentito. «No. Lui avrebbe tirato dritto e ignorato le malelingue. Questo è quello che faremo noi. Fine della discussione.» Sul serio, se si azzardava a fiatare stavolta gli mollava un ceffone. «E questa è Leliana.» aggiunse ricordandosi di averla accanto. «Si è unita a noi contro il Flagello.»

La rossa fece ciao con la manina, imbarazzata dallo scambio acceso. Elmer non diede loro il tempo di criticare, raccattò i suoi pochi averi e marciò verso l'uscita ovest, imitato a ruota dagli altri. Mentalmente si complimentò con se stesso per la performance.

 

«Mi dispiace per... per prima.»

Picco del Soldato era lontano. Molto, molto lontano. Ventisette giorni. Potevano accadere un sacco di cose in ventisette giorni. Poteva morire in quei cacchio di ventisette giorni, ragion per cui aveva deciso di non andare da solo. D'altronde c'erano dei lati positivi non indifferenti: Regar e Morrigan avrebbero continuato a istruirlo, Leliana li avrebbe allietati con le sue storie grazie alla sua passata carriera di menestrello e Levi era contento di chiacchierare con i nuovi amici. Il singolo, brutto neo era Alistair. Che novità.

Si morse l'interno delle labbra. Doveva ripetersi che stava sacrificando la sua pace mentale per un bene più grande, il suo.

«Hai appena perso delle persone care, è normale cedere alla collera.» ricorse alla ragionevolezza. Non si scusò per la scenata, quella era stata pienamente giustificata.

«Abbiamo perso.»

«Mh?»

«Abbiamo. Tutti e due.» Stava venendo inondato di solidarietà. Perché? Non aveva socializzato con la famiglia dei Grigi a lungo. «So che tu e Sereda eravate molto vicini.»

Sereda? Non aveva più pensato alla nana. La stronza gli aveva causato un sacco di grane, fra tutte spiccava l'impedimento di fuggire da Ostagar all'alba dell'Unione. Morta e sepolta, che bisogno c'era di rivangare la sua fastidiosa memoria? E cosa rendeva Alistair talmente sicuro della loro amicizia?

«Non eravamo proprio vicini, vicini.»

«Mi ha raccontato che la prima volta che vi siete incontrati avete rischiato di uccidervi per un malinteso.» sorrise tenero il biondo, e soltanto la grande abilità di Elmer nella recitazione impedì al suo viso di contrarsi nella classica smorfia alla vomito.

«Sì, beh. Non è che fosse proprio una personcina facile con cui andare d'accordo. Non che io sia privo di difetti.» concesse magnanimo. Sapeva di avere un bel caratterino, ogni tanto, ma non se ne vergognava affatto. Non era mai cambiato neanche per Jowan, figuriamoci per Sereda.

«Lei ha detto la stessa cosa.»

«Davvero?» Quando avevano avuto questi dialoghi profondi, quei due?

«Davvero!» assicurò il Custode, elettrizzato di essere riuscito a intavolare una conversazione significativa con il compagno di sventura. «E mi ha confessato un'altra cosa.»

«Cosa?» lo assecondò.

«Che dal momento che avete sconfitto la donnaccia eretica vicino Redcliffe, ogni volta che litigavate, dopo le bastava guardare che continuavi ad indossare la sua collana per sapere che era tutto a posto.»

La collana? Il gioiello che gli aveva regalato a Orzammar aveva avuto per lei tanto valore? Lui manco ci faceva caso alla stupida collana! Anzi, aveva pensato di venderla a Lothering per racimolare denaro.

“Cos'è questa mania di appiopparmi roba sentimentale? Cazzo, sono bravo a fingere, ma quando mi girano non ci si può sbagliare!”

Non aveva niente contro le dimostrazioni d'affetto, era un essere umano con dei sentimenti e, al contrario di quel che si poteva desumere dal suo caratteraccio, Elmer non li considerava una forma di debolezza. Alla torre, i templari non comandavano le sue emozioni e lui si rifiutava di reprimerle e assomigliare agli Adepti della Calma; aveva il sacrosanto diritto di provare e pensare quel che voleva, fatto che il Comandante Greagoir aveva mal sopportato quando si era lasciato scappare parole di troppo. La Chiesa toglieva ai maghi la libertà di manifestare il proprio pensiero, se in contrasto con i suoi precetti o autorità, di conseguenza ogni occasione di esprimere quel che aveva dentro, anche in negativo, gli donava una sensazione di indipendenza. Una specie di riconquista del libero arbitrio dopo anni di prevaricazioni. Ed essendo un tipo piuttosto diretto, era stranissimo per lui venire male interpretato. Esempio lampante Sereda: con tutte le false carinerie che le aveva riversato, si era convinta che lui fosse totalmente un'altra persona, eppure si erano quasi pestati a sangue a Redcliffe, rivelando la sua vera natura. Come cacchio si equivocava una reazione del genere? Va bene la collana, poiché, ripensandoci, forse aveva involontariamente aiutato questa rappresentazione smielata; aveva preso a giocarci sovrappensiero, alle volte la portava alle labbra e ce la strofina sopra, o addirittura la mordicchiava, una specie di antistress; ma con cazzotti di pietra magica allo stomaco non ci si poteva confondere sul significato.

«Sono sicuro che dall'aldilà la conforterà sapere che è rimasta con te.»

«Sono d'accordo.» Come no.

«T'invidio, sai?»

«Perché?» sospirò. L'ex templare non mollava la presa.

«Io perdo la pazienza mentre tu tieni la testa sulle spalle.»

«Non essere duro con te stesso.» fu il suo pratico consiglio. Alistair non demorse.

«Sono contento di non essermi svegliato da solo nella capanna della vecchia strega.»

“Oh ma la finisci o no?”.

«Anch'io.» Assolutamente. Subito cambiò argomento. «Ci aspetta un lungo viaggio. Come te la immagini questa antica base dei Custodi?»

«Ehm, grande?»

«Che originalità.»

«Sereda non mentiva. Hai davvero un brutto carattere.»

“Non hai ancora visto niente.”

«Disse il ragazzo cresciuto coi cani.»

«Mabari. C'è differenza.» specificò divertito.

«Mi riempie di gioia sapere che riuscivi a distinguere i tuoi genitori e i tuoi fratelli nel branco. A me sembrano tutti uguali.» Adro sbuffò. «Te ti riconoscerei ovunque.» ammansì. Considerò l'idea di carezzarlo ma quel muso era stato tra le parti intime dell'animale.

«Ho sempre desiderato un mabari tutto mio.»

«Non mi dire.»

«Fedeli fino alla morte. Da piccolo sognavo di avere un compagno che non mi abbandonasse mai.»

«Non avevi amici? Attento, avresti una cosa in comune con Morrigan.»

«Che il Creatore mi fulmini.»

«Ora che ci penso, non avevi detto di essere cresciuto nella Chiesa?»

«Sbagliato. Nella Chiesa ci sono finito dopo, non ho cominciato da lì. Vediamo, come te lo spiego. Sono un bastardo. E prima che tu faccia commenti ironici, intendo che non ho un padre.»

«Capirai che novità.»

«Anche tu...?»

«Ci sono varie definizioni di bastardo. Continua.»

Non aveva voglia di condividere, tanto più che la sua nascita, in perfetto stile con le sue preferenze letterarie (che ironia), era un romanzo di bassa qualità. Che Alistair raccontasse pure, una storia era una storia e Elmer aveva tempo da spendere prima della prossima sosta e dei relativi lividi con Regar. L'ex templare lo fissò speranzoso ma ben presto capì che non avrebbe aggiunto nulla.

«Mia madre era una serva a Castello Redcliffe. Morì quando ero molto piccolo. Arle Eamon non era mio padre, ma mi accolse comunque e mi mise un tetto sulla testa. Rispetto quell'uomo e non lo biasimo per avermi mandato alla Chiesa quando sono stato grande abbastanza.»

Difatti non era nemmeno colpa di Eamon. Il nobiluomo aveva sposato una giovane nobildonna orlesiana che, sentendosi minacciata dalle voci che volevano Alistair figlio dell'Arle, aveva fatto pressione sul marito (innamorato perso) e reso la vita un inferno a Redcliffe per il povero marmocchio. Alistair disse che, dopo tutti quegli anni, l'odio per lei si era affievolito parecchio. Descrisse l'unico cimelio che aveva di sua madre, un ciondolo col simbolo di Andraste, che aveva scagliato contro la parete in preda all'ira alla notizia del suo trasferimento, e il mago ipotizzò che questo particolare contribuisse all'immaginazione sulla collana di Sereda.

«Se a Redcliffe non avevi amicizie per colpa di quella donna, ti sarai rifatto nella Chiesa.»

«Sbagliato di nuovo.» fece Alistair divertito. «La verità è che detestavo il monastero. Gli iniziati delle famiglie povere credevano che mi dessi delle arie, mentre i nobili mi davano del bastardo e mi ignoravano. In più, mi sentivo come se Arle Eamon mi avesse scacciato ed ero determinato a provare risentimento. Poi ho trovato sollievo nell'addestramento. Me la cavavo bene, credo.»

«Penso di capire.» ammise controvoglia. Il risentimento verso suo padre, il sollievo portato dal focalizzare tutte le sue energie su quel straordinario dono che era la magia... Era in buona parte grazie allo studio che aveva trovato la forza di superare l'abbandono del genitore e tutte le menzogne che gli erano state propinate sulla sua discendenza. «Educazione e disciplina. Ardui traguardi ma per questo specialmente gratificanti.»

«Esatto! Però... Non mi ero mai sentito a casa in alcun luogo prima di unirmi ai Custodi Grigi. E tu? C'è un posto che consideri casa tua?»

«La Torre del Circolo dei Maghi. Nonostante sia spesso... soffocante.»

«Però non lo è più, giusto? Non puoi più tornarci. Come con Duncan e i nostri fratelli e sorelle.»

Oh, santo cielo. Gli saliva la bile nel vederlo aggrapparsi a ogni singolo punto d'incontro delle loro vite. Questo grande bisogno di cameratismo proveniva dall'essere orfano e dall'abbandono dell'Arle, ovviamente, e Elmer iniziava a sentire il peso della responsabilità fraterna che Alistair tentava candidamente di sbattergli sulle spalle. Anche no, grazie. Una volta era stata sufficiente.

«Ne troveremo un'altra.» disse desideroso di chiudere il discorso. L'altro lo guardò al settimo cielo.

“Creatore salvami.”

«Custode.» Entrambi si girarono verso Morrigan, che regalò un'occhiata sarcastica all'ex templare e si rivolse unicamente al moro. «Niente ci impedisce di studiare mentre camminiamo.»

«Ottimo. Grazie, Morrigan.» E Creatore.

«Studiare cosa?»

«Cose da maghi.» fece sbrigativo Elmer, ma la strega volle stuzzicare la dottrina andrastriana del poveraccio.

«Un'antica arte magica tramandata di generazione in generazione all'interno di clan di incantatori lontani dalle grinfie della Chiesa. Mi auguro che questo non offenda la tua sensibilità di templare.»

«Allora, tanto per cominciare non sono un templare. Non ho preso i voti, quante volte devo ripeterlo? E seconda cosa, lo so che è tutto uno stratagemma per irritarmi. Beh, sappi che non ci riuscirai. Capito?» fu la sua pessima offensiva.

«Non potevi essere più chiaro.»

«Cioè?» chiese Alistair confuso dal tono scaltro.

«Andiamo, Custode. Abbiamo bisogno di silenzio e qui le mosche emettono un rumore assordante.»

«Aspettate, è un insulto?»

Alistair restò imbronciato e Elmer seguì la donna ridendo sotto i baffi.

«Dato che abbiamo un esemplare a portata di mano, la palla di pelo bavosa sarà la tua prima forma.» alluse schifata a Adro che trottava loro attorno con la bocca aperta e gocciolante.

«È pericoloso?» si informò protettiva Regar.

«No.» la liquidò la mora.

«Si tratta di semplici incantesimi di osservazione. Il massimo che Adro avvertirà sarà un leggero solletico.» la tranquillizzò Elmer. Regar diede il suo assenso.

«Esamina il suo corpo. Scoprine l'interno e l'esterno. È estremamente importante memorizzare tutto ciò che costituisce l'animale in sé.»

Eseguì le istruzioni. Si sarebbe applicato con costanza, come sempre. Le lezioni ripetitive erano le più noiose e al medesimo tempo le più fondamentali. La difficoltà stava nello svolgere l'esercizio in movimento, pecca che Morrigan evidenziò con stupida incomprensione. Le disse piccato che in una torre non c'era alcun motivo di correre, gli incantesimi venivano lanciati da fermi. Lei la intese come il centesimo difetto della sacra istituzione. Bah, che pensasse quel cazzo che le pareva.

Il mabari si divertiva. Camminava all'indietro (com'era possibile?!) per osservarlo o gli dava il sedere scappando avanti per essere rincorso. Quattro volte aveva tentato di leccargli la faccia a tradimento, una l'aveva spaventato a morte con un latrato senza preavviso, l'ultima trovata era quella di camminargli tra le gambe per farlo inciampare. Alistair e Leliana ne ridevano insieme a Levi, Morrigan brontolava riguardo alla dannata bestia, Regar spiava con un sorriso. In poche parole, sarebbe stato un lungo viaggio, tuttavia, se il peggio fossero state le birichinate del cane, Elmer decise che non si sarebbe lamentato.





Note dell'autore:
Avviso subito che ho soltanto un altro capitolo, leggermente più lungo, e poi basta. Insomma, questo dicembre è un buon mese, poi ci sarà il buio totale fino a chissà quando. Il continuo ovviamente ce l'ho in testa, sono solo pigra :D
La storia di Alistair e le sue parole sono prese dal gioco ;)
Riguardo al caratterino di Elmer: prima o poi una o più persone gli faranno notare un bel po' di suoi difetti e punteranno il dito su questa sua brutta abitudine di fingere con una bella faccia per poi mostrarsi per come realmente è. Ma mancano ancora un bel po' di pagine per arrivarci, mwahahhahahah!

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Capitolo 25
*** Picco del Soldato ***


Una voce tonante, lontanissima e al contempo vicinissima, echeggiò nella sua testa. Appollaiato su un ponte di pietra, all'interno di un'immensa caverna, un drago mastodontico e in serio bisogno di una manicure al naso incitava con fiamme e “grrr” intraducibili le truppe di prole oscura marcianti sotto di lui.

Elmer aprì gli occhi con un terremoto nel cranio, consapevole di cosa aveva sognato. L'arcidemone non si dimenticava facilmente e un mago del suo calibro era troppo abituato a tener testa a sogni ben più spaventosi per farsi sopraffare dal disorientamento: abbassò la fronte sui palmi e regolarizzò il respiro mentre il rumore dei suoi pensieri scacciava le ultime briciole della visione. I ruggiti che la bestia aveva emesso per comunicare, quelli sì che gli aveva mandato brividi su per la colonna vertebrale. Non aveva capito una mazza di cosa avesse annunciato ma il senso era il sempiterno motto del cattivo della storia, “marciate, mie truppe. Presto sarà l'alba della nostra era”, ogni sillaba intrinsecata con una volontà che poteva solo definirsi malvagia.

“E io dovrei battermi contro un mostro del genere? Ma anche no.”

Risollevò il volto. Si era addormentato sulla stuoia vicino al calore del fuoco, dopo un estenuante allenamento con Regar; le braccia erano indolenzite e la caviglia dove la donna l'aveva beccato facendolo capitolare pulsava fastidiosamente. Le stelle ancora non si erano presentate sul manto scuro ma le tende erano state montate. A una manciata di passi da lui il resto dell'allegra combriccola era affaccendata: Morrigan aveva turno di cucina e badava alla lepre arrostita; Leliana aveva ripulito un masso sporco e ribattezzato palcoscenico con il suo liuto; Levi era ammaliato dalle dita aggraziate sulle corde dello strumento e il sospiro che fuggiva dalla sua bocca era più che giustificato. Lui stesso si soffermò sulla giovane asserente, sulle labbra seducenti e il canto che spiccava dolce un volo nell'aria quasi domestica di quel momento. Una ballata in fereldano sulla leggenda che diede origine ai Guerrieri della Cenere. La lanciere era al limitare del campo, gli occhi vigili e le orecchie in ascolto; Adro non era in vista, probabilmente in ricognizione. Alistair lo stava fissando.

«Che c'è?»

«Incubi, eh?»

«Sì. Nulla di nuovo.»

«È comune sognare la prole oscura, per i maghi?»

«Tu cosa ne sai di cosa ho sognato?»

«Perché l'ho sognato anch'io poco fa. Noi Custodi Grigi abbiamo la capacità di udire l'arcidemone esattamente come la prole oscura.»

«Cioè, quando quel coso parla ai suoi tirapiedi, lo sappiamo pure noi? È questo che intendevi quando mi parlavi di incubi sulla prole oscura?»

«Sì. Col tempo si impara a bloccarli. I Custodi anziani riescono perfino a intuire qualcosa di quel che dice l'arcidemone, ma non li invidio.»

«Meraviglioso. Un altro punto a favore dell'essere un Custode.»

«Beh, quando ho visto che ti agitavi nel sonno ho pensato dovessi saperlo. Il solito me: portatore di buone notizie.» scherzò rattristato.

Elmer lo ignorò e optò per quattro passi. La cupa visione significava che il sangue ingerito all'Unione stava avendo effetto. Dannazione. Il tempo scorreva e lui era costretto a subire la maledizione che gli avevano imposto senza poterla contrastare.

Zoppicò fianco a fianco a Regar. Di tutti i suoi compagni, Regar era la sua preferita: parlava poco e quel che le usciva di bocca erano cose concrete, e non era affetta da pippe mentali. Per esempio, Alistair era sempre nervoso nell'aprire la ciabatta, Morrigan prestava molta attenzione alla reazione del suo interlocutore, Leliana spesso sembrava scegliesse con troppa cura le frasi più banali, Levi era un tantino in soggezione e cercava di non sfigurare accanto agli esperti di armi. Regar non aveva di queste preoccupazioni, parlava col preciso intento di comunicare qualcosa e ricevere una risposta del medesimo peso. Era una persona logica con una testa indipendente, non per niente non aveva dato retta alla stupida propaganda di Loghain. Era bello stare con lei, con o senza chiacchiere.

«I lividi?»

«A posto.» Bugia, erano una seccatura abnorme, soprattutto il collo del piede. «La spalla?» si informò a sua volta, sedendosi.

«A posto.»

Aveva ricevuto una martellata da un bandito qualche ora prima, non che questo l'avesse resa meno efficiente nell'addestramento. Aveva declinato con gratitudine la sua magia ma accettato l'aiuto nello spalmare e bendare la zona lesa. Stranamente non lo indispettiva il suo no alle arti magiche. Forse per lei era una sfida, oppure non voleva abituarsi a contare su una via facile; in ogni caso era certo che la ragione fosse pratica e non dettata da pregiudizi.

«Ti do il cambio. Ho dormito abbastanza.» Regar annuì.

«Adro starà con te. Ti porterò la cena quando è pronta.»

Il cane trotterellerò da lui da chissà dove. Gli grattò le orecchie per ben due secondi e poi ritrasse la mano strofinandosi le dita sul soprabito per ripulirsi delle tracce di terriccio. Non era cambiato molto nel loro rapporto, la sua igiene personale gli faceva immancabilmente schifo, nonostante la bavosa simpatia e senso dell'umorismo. Il mabari si distese accanto all'umano con la testona giù a riposo. Elmer condusse in serenità il turno di guardia; i suoi sensi di mago, migliorati con l'uso, scandagliavano l'area a interruzioni regolari. Mangiò la lepre che Regar gli consegnò, ascoltò le conversazioni alle sue spalle e andò a dormire quando Leliana lo sostituì. Una serata come le altre.

«Ci ritroviamo, giovanotto.» disse il finto vecchio sulla sua finta seggiolina di fronte al finto fuoco. «Sei stato irraggiungibile in questi giorni. Mi sei mancato.»

Elmer si voltò con un sogghigno diabolico.

«Sei mio, vecchio.»

Non ci fu bisogno di vocaboli raffinati, la magia accorse da lui in un istante e le mani si impregnarono del potere dei fulmini. La caverna fu invasa da scariche elettriche e quella che prima era una prigione per lui, ora lo era per la creatura.

«È giunta l'ora della rivincita, feccia dell'Oblio!»

Oh, era da tempo che non si sentiva così potente. Ogni notte aveva meditato, ogni notte aveva colto in sé una rinnovata forza man mano che le due donne instillavano in lui nuova conoscenza. Si sentiva invincibile.

Colpito da una scarica, l'illusione attempata scivolò via in favore di un mostro dalla pelle scura, gli arti lunghi e sottili, la coda scheletrica e una bocca ovale bordata di dentini aguzzi che invadeva quasi interamente la sua faccia. Un demone del terrore (c'aveva azzeccato sulla paura). La creatura balzò su di lui ma si scontrò con uno scudo magico, dunque tentò con l'allucinazione della maga del sangue di Redcliffe, tuttavia il ricordo di lei era talmente poco influente nel presente che la figura scarseggiava di contorni definiti. Elmer rise del suo scarso prodotto scagliandogli una folgore dritta nello stomaco. Lo spirito maligno non riuscì a schivare ed emise un verso raccapricciante. Realizzò finalmente di non avere alcun aggancio sulla sua psiche, le precedenti paure erano ormai troppo sbiadite, e provò a scappare. Disgraziatamente il raggruppamento di saette creava uno schermo impenetrabile, e si schiantò al suolo dopo essere stato frizzato a dovere. Elmer gli balzò sopra con la lancia, trionfante.

«Grazie per la chiacchierata.»

Gli piantò la punta nelle cervella, che esplosero al contatto. Il demone si dissolse, la caverna scomparve, l'Oblio era nuovamente attorno a lui nella sua sconclusionata scopiazzatura del mondo reale. Elmer si svegliò di ottimo umore.

 

«Hai dormito bene, Elmer?»

«Benissimo, grazie, Leliana.»

«Si vede. Oggi sei particolarmente raggiante.»

«E tu? Avuto bei sogni?»

«Se con sogni implichi le mie visioni, no, non ne ho avuti altri.»

«Avevo in mente sogni normali, ma se mai avessi altri messaggi dal Creatore sono disponibile all'ascolto. Se non altro sono interessanti.»

Leliana accettò di buon grado la diplomatica risposta e distese all'insù le estremità delle labbra carnose. Non si sarebbe mai stancato di apprezzarle.

«Dite, Custode: vi dilettate nel canto?» domandò con ilare cerimoniosità.

«Mia madre aveva una splendida voce. Temo che la vocazione abbia saltato la mia generazione. A messa il massimo della mia bravura erano gorgheggi granitici.» Tecnicamente la donna che l'aveva cresciuto non era sua madre ma vabbeh.

«C'è una grande differenza tra il cantare per piacere e il cantare per dovere. Le composizioni religiose non sono sempre all'altezza dell'amore che i fedeli desiderano mostrare al Creatore. Unitevi a me, Covaltin. Vi insegnerò la magia del canto.»

Aveva già rifiutato le lezioni di tiro con l'arco (inammissibile rovinarsi le dita), gli conveniva rimediare per non risvegliare in lei il lato schizofrenico.

Si cominciò con la breve spiegazione della respirazione e del diaframma, del muscolo che erano le sue corde vocali, gli esercizi base per il riscaldamento, la ricerca dell'intervallo vocale, eccetera eccetera. Il menestrello si compiacque della sua scala di note, questo però non lo rendeva miracolosamente bravo nel giro di mezz'ora.

«Leliana...» iniziò con un pelo di noia.

«Mentirei se ti dicessi che in pochi giorni sarai pronto per esibirti davanti a un pubblico. Occorrono anni di pratica.»

«Il fatto è che non mi interessa più di tanto accrescere la mia abilità in materia.»

“Ti prego non sbarellare.”

«Non cantare perché devi, canta perché senti di volerlo.» ripeté paziente. «Ti insegnerò delle brevi ballate, così potremo eseguirle insieme mentre procediamo. Il canto ha un potere lenitivo sulla mente e sul corpo, riporta la calma e regolarizza il respiro. Non sottovalutarlo.»

«Insomma dipende da come lo vivo?»

«Esattamente, mio buon Covaltin.»

«O forse potrebbe continuare con l'apprendimento della magia vera.» s'immischiò rudemente Morrigan.

«L'apprendimento porta sempre giovamento, cara Morrigan, di qualsiasi arte si tratti.» cinguettò l'asserente.

«Sono sicura che il Custode abbia cose più pressanti a cui rivolgere la sua attenzione.»

«Ogni tanto anche il grande studioso si concede una distrazione leggera dagli infaticabili viaggi del pensiero.»

«Al solito hai la risposta pronta. Come tutti i bravi credenti.»

«Alistair, lascia che ti dia una mano.» batté in ritirata il mago mentre la rossa raccoglieva ossigeno per il contrattacco. Creatore, quelle due non andavano proprio d'accordo.

Lo prendevano come scusa per battibeccare in quella loro maniera femminile che gli dava sui nervi: una tutta sorridente, l'altra tutta musona. Che se la sbrigassero tra loro senza metterlo in mezzo, checcavolo. Aiutò il biondo a piegare la tenda e sistemarono gli zaini con il suo idiotico chiacchiericcio e Adro che giocava a tirare i lacci della sua sacca. Gli intimò di piantarla e la bestia trottò da Regar ma giurò di averlo visto sghignazzare. Piccolo bastardo.

Nessuno aveva realmente fame, tranne Alistair e il mabari, perciò sbrigarono in fretta la colazione e si rimisero in marcia. Elmer schivò le donne e fece compagnia a Levi. Si informò dei suoi commerci, delle strade che percorreva e dei banditi a cui era sopravvissuto. Il Ferelden in genere non aveva grossa criminalità per le strade ed era preoccupante il lento e costante aumento. Una volta libero avrebbe dovuto scegliere con accortezza la strada da prendere.

Non successe niente in quegli ultimi dieci giorni a parte la sua trasformazione canina. Morrigan l'aveva rassicurato a modo suo: lei aveva speso molto tempo ad armeggiare con la sua prima forma, aveva dovuto fare questo e quello, e la concentrazione di qua e l'osservare di là, più bla bla bla e bla bla, e quando al quarto tentativo Elmer ci riuscì, la strega si zittì. Rise di gusto e dalle fauci uscì un verso stridulo che ferì i suoi stessi timpani. Adro saltellò da lui e lo annusò da capo a zampe. Elmer imitò i suoi movimenti sotto i commenti spiritosi dei compagni. Su una cosa non c'era dubbio: sniffare il culo di un animale con un olfatto canino era una gran cazzata. Fece fuoriuscire violentemente l'aria dalle narici, uno starnuto affatto elegante, e prestò udito a ciò che gli altri dicevano.

«Ohhh! Guarda che bel pelo lucido, e che begli occhioni. Come mai però non combaciano con i suoi originali?»

«La magia rispetta le caratteristiche della razza.» spiegò la strega inacidita a Leliana.

Ecco, ora gli avrebbe tenuto il broncio perché ci aveva impiegato meno di lei. Era prevedibile che un mese fosse un periodo adeguato nell'acquisizione di un nuovo incanto, per un mago del Circolo che non avesse altro da imparare che quello. Non era colpa sua se era migliore di lei.

“Torre 1, stato brado 0.”

Avrebbe accettato qualsiasi critica verso la sua vecchia casa, a patto che fossero veritiere, e di balle non ce n'erano, la torre preparava ottimi elementi; non tutti, poiché ognuno aveva i propri limiti, ma non erano pochi i maghi che, come lui, superavano la media, destinati alla grandezza. Rinchiusa in un piccolo mondo, ma pur sempre grandezza.

«Il marrone è il colore dei mabari.» intervenne Regar. «Non troverete mai un mabari nero, quello è il pelo più scuro.» Fece cenno al mago di avvicinarsi. La lanciere gli sollevò la testa da sotto il mento e osservò le sue iridi con fare esperto mentre l'asserente gli accarezzava la schiena emozionata. «Nocciola chiaro, un colore piuttosto comune.»

Da parte sua, stava studiando la nuova altezza e le nuove sensazioni, dalla terra sotto le zampe al contrarsi quasi involontario delle orecchie; il suo corpo era massiccio e pesante, dotato di una forza fisica che da umano non avrebbe saputo adoperare. Qui aveva dentoni e artiglioni, che diamine! Adro era inarrestabile: gli si strofinava contro giocoso e fu convinto a rincorrerlo per testare le capacità motorie, ma quando fecero per azzuffarsi Elmer si ritrasse intimidito. I mabari mordevano e graffiavano con quelle tenaglie dentate che avevano per mascelle, se azzannava qualcuno gli staccava una mano, o peggio, Adro la staccava a lui. Da un lato scodinzolò alla sua straordinaria potenza, dall'altro rammentò di mantenere un saldo autocontrollo. Seguì il consiglio di Morrigan restando in quella forma fino all'esaurirsi dell'effetto (dieci minuti buoni, un ottimo tempo iniziale) e nei giorni successivi si trasformò una volta al dì.

Il ventisettesimo giorno, puntualissimi, arrivarono ai tunnel sottostanti la fortezza, unico attraversamento per arrivarci. La miniera era un labirinto di cunicoli e pozzi profondi, con l'aggiunta di animali selvatici che erano approfittati dell'assenza dell'uomo per farne la propria tana. Ci fu un momento di desolante imbarazzato alla scusa della mappa inumidita di Levi che seguì la domanda di Alistair «Ci siamo persi?», ma dopo l'incertezza, i piedi si posarono sulla bianca neve del picco. Una scalinata ricoperta di neve conduceva all'entrata affiancata dalle mura esterne e una serie di torri difensive integrate; la saracinesca di ferro era alzata. Il mastio, reso tetro dalla foschia, sovrastava il vasto edificio.

«Avevi ragione. È grande.» Calcolò quanto sarebbe occorso nel ricercare l'agognata ricetta: troppo. Se l'avesse trovata e se fosse stata intatta e leggibile. «Creatore, aiutami.» mormorò in una rara preghiera.

Era un peccato lasciarsi alle spalle un tragitto pieno di bei momenti ed essere nuovamente posti di fronte ai problemi della propria giovane esistenza.

«C'è qualcosa, in questo luogo.» si portò avanti al gruppo Morrigan, scrutando la costruzione antica. «Lo senti?»

Elmer espanse la sua mente. C'era un flebile movimento nel mana, niente di allarmante.

“Azzardati a portare sfiga e ti...”

«Si dice che il Picco sia infestato.» raccontò ancora Levi, deglutendo. «Chi vi si è avventurato non ha più fatto ritorno.»

“Oh, per favore.”

«O hanno trovato un tesoro e lasciato il paese.» disse pragmatica il Guerriero della Cenere, provocando uno sbuffo divertito nel moro e una risata cristallina in Leliana.

«Sicuramente il Picco ha avuto le sue battaglie, è normale un lieve flusso anomalo nel Velo là dove sono decedute molte persone. Non credo ci siano veramente spiriti che vagano nei corridoi.» concluse il mago.

«Il Velo?» domandò il mercante.

«Ciò che ci separa dall'Oblio.» delucidò, meravigliandosi della sua ignoranza su una nozione tanto basilare.

Fatto stava che, varcato il portale che dava accesso al cortile, dei fuochi fatui levitavano a due metri da terra e donarono loro una visione del passato: soldati con l'insegna reale parlavano di prendere i Custodi per fame, comandi del sovrano. Sogni ad occhi aperti, pezzi di vite trapassate che indugiavano nel mondo materiale grazie all'energia proveniente da una lacerazione nel Velo. Nel Picco del Soldato c'erano una o più finestre spalancate verso l'Oblio.

«Ma porca di quella maledettissima trota!» sibilò a denti stretti Elmer, serrando i pugni.

Perché?! Era così vicino! Quanta spazzatura demoniaca c'era là dentro? Dieci? Cento? Mille?! Tolse via il cappuccio e si passò le mani sulla fronte e tra i capelli. Esasperato, strappò via il laccio per dare campo libero alle dita nella sua chioma e respirò a pieni polmoni con le palpebre abbassate. Non doveva perdere le staffe.

«Per lo spirito del Creatore!» esclamarono Alistair, Leliana e Regar in diverse tonalità.

«C-cos'è stato? Ho avuto un capogiro...» si spaventò il tris nipote.

«Ancora sicuro che non ci siano spiriti che vagano per i corridoi?» canzonò la strega.

«Non sono pazzo, vero? Avete visto anche voi?» si agitò il mercante.

«Una volta ho sentito una ballata orlesiana su qualcosa del genere... una bellezza intrappolata in un sogno. Nel canto, Bellissa non si risvegliava mai.» raccontò la rossa arciere con la sua splendida e inquietante voce.

«La vostra graziosa amica mi sta facendo innervosire, Custode...»

«Una barriera?» Elmer si rivolse a Morrigan, stanco del cianciare per un cavolo.

«Non c'è altra spiegazione. Una forza magica trattiene lo squarcio del Velo nell'area della roccaforte. Arduo percepirlo dall'esterno. Consiglio di procedere con cautela.»

Procedere, tsk. Che senso aveva rischiare il suo prezioso collo per una formula che forse non era nemmeno lì? Avrebbe viaggiato all'estero.

«Direi che è meglio lasciar perdere.»

«Cosa? Voi dite, Custode?» tentennò il mercante. Eccellente. Spaventare Levi era un gioco da ragazzi, la cacarella gliela si leggeva negli occhi.

«I demoni non sono un gioco, Levi. Potremmo rimetterci molto più che la nostra vita, se entriamo.» disse con voluta tetraggine. «Meglio che se ne occupi chi di dovere. Cioè la Chiesa.» Stava per aggiungere tragici esempi sull'argomento (la chiesa andrastriana amava le scritture di questo stampo) quando venne figurativamente colpito a tradimento.

«Dunque non mentono le voci secondo cui i maghi del Circolo sono solo topi da biblioteca.»

Era troppo intelligente per cadere nella puerile trappola, ma la uccise con lo sguardo. Morrigan rimase sanissima e sogghignante.

«Potremmo provare per un tratto.» propose Regar, trovando l'appoggio di Leliana. «Avanziamo finché la situazione lo consente.»

«Le donne hanno più fegato degli uomini, a quanto sembra.» le spalleggiò la strega strafottente.

Creatore! Quanto le avrebbe voluto mollare una bastonata in bocca e spaccarle la dentatura. Cosa le importava, poi, a lei, di impicciarsi degli affari di Levi? Non aveva approvato la spedizione fin dal principio, sebbene avesse tenuto la boccaccia chiusa. Ora invece ci si voleva buttare a capofitto per fargli un dispetto?

“Ero così tranquillo e sereno prima di arrivare.”

«Custode. Forse, un tentativo...»

Okay, aveva perso Levi. Guardò Alistair, ex templare. Sicuramente lui-

«Io vado dove vai tu.»

“Grazie al cazzo, Alistair.”

Era in netta minoranza. Se insisteva lo avrebbero ascoltato? Occhieggiò di nuovo la roccaforte. La formula forse era lì, trascritta su un misero foglietto di pergamena in attesa di essere riportato alla luce. Da solo non ci sarebbe mai tornato, e quel gruppetto sconclusionato era l'unico esercito di cui avrebbe mai disposto. La prudenza dettava di alzare i tacchi, la necessità pregava di provare almeno una volta, almeno una.

«D'accordo.» si arrese. «Ma a delle condizioni: esploreremo l'esplorabile con molta, molta discrezione e ingaggeremo il nemico esclusivamente se costretti. Nel fortunato caso in cui riuscissimo ad addentrarci a fondo, setacceremo la biblioteca e l'ufficio del comandante; nient'altro. Una volta usciti, manderemo una lettera anonima alla Somma Sacerdotessa affinché i templari si occupino della questione. Tutto chiaro?»

Le teste annuirono e Levi alzò una timida mano.

«Io vi seguirò da una certa distanza.»

“Sono circondato da imbecilli.”

«Non ho mai affrontato un demone. Consigli?» domandò la sempre pratica Regar.

«La stragrande maggioranza degli spiriti dell'Oblio ha bisogno di un corpo materiale per manifestarsi nel nostro mondo. Useranno i resti dei soldati per combatterci; in duecento anni ci saranno per lo più scheletri malmessi, ma non sottovalutate la resistenza e la forza date dalla presa demoniaca. Ci sono tre eccezioni: i demoni trascinati qui con un'invocazione diretta saranno nelle loro sembianze originarie, cioè creature inumane così come appaiono nell'Oblio; i maghi, se posseduti da morti, saranno orrori arcani, guerrieri con abilità magiche pari o superiori al cadavere invaso; e i maghi posseduti da vivi... saranno abomini, la forma più temibile di possessione. Interi villaggi e squadroni di templari sono stati annientati da un singolo abominio.»

Tranne Morrigan, la serietà aveva preso il posto sui volti di tutti. Levi sembrava sul punto di cambiare idea, ma alla fine entrarono. Magari non sarebbe stato poi così terribile. Il numero di Custodi sarà stato esiguo e i corpi dei soldati reali saranno stati sicuramente soggetti a un degno funerale. Bisognava essere ottimisti.

“Ma sì. Le mie palle di fuoco e coni di ghiaccio funzionano ovunque.”

 

Una freccia sibilò a un centimetro dal suo orecchio ma Elmer era troppo occupato nel creare un muro di ghiaccio a sostituzione della porta scardinata per preoccuparsene. Con quel dardo Leliana centrò il demone dell'Ira in un occhio, il quale si ritrasse andando a sbattere contro due scheletri dietro di lui. Morrigan bevve del lyrium e gli diede manforte, così che la porta di legno fu presto bloccata dal gelo.

Levi gridò rannicchiato in un angolo, indicando in preda al panico i prossimi avversari. Grazie al cielo erano tre scheletri e non cose peggiori. I guerrieri e il cane se ne sbarazzarono con grugniti di sforzo e quando il silenzio, rotto dai lamenti del commerciante e dai colpi aldilà del ghiaccio, si presentò, Elmer non trattenne la sua rabbia.

«La prossima volta che dico “è meglio lasciar perdere”, gradirei che voialtri maledetti imbecilli mi deste retta invece di fare le grandonne!» Specialmente Morrigan.

Nessuno rispose, forse perché stavano riprendendo fiato. Tsk! Se c'era uno che doveva riposare era lui. Meno male che era stato abbastanza accorto da non consumare più di una dose di lyrium. Sarebbero schiattati tutti, senza il sottoscritto, e qual era la ricompensa per il suo impegno? Finire incastrato in... dove accidenti erano?

“Nell'archivio. Che grande senso dell'umorismo, Creatore.”

«Mi dispiace così tanto, Custode.» piagnucolò Levi. «Non avrei dovuto convincervi a-»

«Meno chiacchiere, più azione.» tagliò corto il mago. «Non siamo ancora morti e intendo continuare su questa linea. Morrigan, stai alla porta, gli altri setaccino l'archivio.»

Specificò che qualunque informazione relativa ai Custodi Grigi valesse oro, tuttavia, come aveva presupposto, i testi erano stati danneggiati dai lunghi anni di incuria e il salvabile comprendeva libri datati o libri mastri sull'amministrazione della fortezza. Ebbero la loro terza visione (la seconda era apparsa all'entrata, dove Sophia Dryden si era mostrata una gran cazzuta) che costituiva in due archivisti intenti a descrivere l'accaduto per i posteri prima d'essere trucidati; inutilmente, poiché le frasi erano ormai illeggibili.

«Che cosa sarà successo?» si domandò Leliana intristita.

«Re Arland sembrava un gran pezzo di idiota.» replicò il moro di malumore. «Scommetto che avrà assoldato un eretico per aprire il Velo all'interno e decimare i Custodi. I deficienti però non si sono scomodati a rattoppare lo squarcio.» Non era un buon segno quando gli uscivano parolacce con facilità.

«Pensavo avremmo incontrato più ostilità.» disse Regar e Levi la guardò con tanto d'occhi esprimendo tutto il suo dissenso.

«Gli spiriti si mangiano tra loro.» apostrofò il mago, quasi offeso da tanta mancanza di istruzione. «Col passare dei secoli e nessuna nuova vittima da occupare, il numero è calato drasticamente.» Toc, toc, bussarono feroci le creature sulla parete di ghiaccio. «Ciò non li rende meno pericolosi.»

Il livello dei mostri non era alto, che fosse sintomo di un'invocazione demoniaca malriuscita? Gettò sul pavimento il prossimo libro da buttare della collezione. Si trovava in una situazione analoga alla torre di Ishal, ovvero una situazione di cacca maleodorante. La possibilità di non sopravvivere all'impresa lo angustiava ma relegò la sensazione in un angolo e tenne la mente sgombra ed efficiente. L'aveva detto lui che non era una buona idea, ma no, i rimbambiti che aveva per compagni volevano andare nella casa infestata dai fantasmi nonostante chiunque in possesso di facoltà mentali sane anche solo per metà avrebbe fatto tutt'altra scelta. Perché? Perché doveva essere un lupo solitario nell'avere un cervello operante? Non pretendeva che raggiungessero il suo genio, però un minimo di giudizio...

Quando fu chiaro che niente si sarebbe ricavato dalla stanza, Elmer si ripromise che se lo studio del comandante fosse stato identico, avrebbe fatto a tutti una gran lavata di capo, perché lui l'aveva detto, caspita se l'aveva detto! L'aveva già detto che l'aveva detto? Adorava sbatterlo in faccia alla gente.

Sorpassato l'archivio e raggiunto un ampio stanzone, la verità sull'infestazione fu rivelata: nel flashback Avernus, mago Custode, incitato dalla Comandante Sophia, aveva invocato le creature per combattere contro le forze del re. A dimostrazione di quanto questo genere di trovate fossero autentiche cazzate che non finivano mai bene, un demone più scaltro degli altri aveva resistito alla sottomissione dell'incantesimo e a cadere trucidate sul pavimento furono entrambe le fazioni. Da bravo mago del sangue quale era, Avernus se l'era filata lasciandosi indietro il casino e gli amici nei guai.

“E questa sarebbe la fratellanza che unisce i Custodi?” si disgustò.

Non fecero in tempo a discutere sull'infamante atto che una nuova sfida si presentò. Il boss era un abominio incollerito. Grazie al Creatore, il mago posseduto era stato un principiante. Dopo parecchi colpi capirono che gli scagnozzi dietro di lui rigeneravano le sue ferite. Alistair e Leliana si presero cura dei seguaci, Adro svolse un lavoro magnifico nell'attirare l'attenzione dell'abominio e in men che non si dica lo fecero letteralmente a pezzi. Erano stati fortunati.

Si fermarono per respirare e il tonfo di un oggetto attirò la loro attenzione. Il menestrello raccolse il bastone da terra e glielo consegnò, sperando fosse utile. Lo era.

«Per le tette di Andraste.»

«Deduco sia meglio della tua lancia.»

«Non immagini quanto.»

Era incrostato di sangue e sporco di polvere e altro, ma il legno incantato non aveva il minimo sentore di marcio e il metallo delle spartane aggiunte estetiche alle estremità, tranne per delle scalfitture superficiali, era integro e fresco al tocco. Lo testò con il suo mana e si ritenne più che soddisfatto: magia elementale del ghiaccio potenziata, roba da incantatori anziani.

«Custode.» lo richiamò dal suo rapimento la lanciere. «Cosa facciamo con questo?»

Ah già, lo squarcio costellato di lucenti scariche elettriche. Erano così fortunati da aver trovato la porta verso l'altro mondo. I peli gli si rizzarono mentre le onde di magia che ne fuoriuscivano lo attraversavano lente e costanti. Aveva studiato che l'apertura era un vantaggio anche per i maghi ma soltanto adesso che ne provava il piacere di persona riusciva a comprendere il perché i più deboli o più avidi tra loro avrebbero rischiato di lasciare aperta la porta. Entrambe le categorie rientravano nella cieca pazzia, comunque, poiché, nonostante l'eccitazione che provava, la decisione di sigillarlo non era mutata. O forse la sua assennatezza era maggiore rispetto ai valori comuni.

«Ha perfino una forma definita.» commentò la strega. Non aveva torto: c'erano scalini e abbellimento architetturale. Seriamente.

«Che ti aspettavi dopo duecento anni? Non invidio i templari che dovranno chiuderlo.»

«Non possiamo chiuderlo noi?»

«Io non ho abbastanza esperienza, o potere.» ammise il mago, e pure Morrigan fece cenno di diniego.

«Perché la fessura non si espande?»

«Il Velo non è una scienza esatta. Ci sono molte cose che non sappiamo.»

«Allora, cosa rinchiude i demoni nella fortezza?»

«Deve essere stato Avernus.» ipotizzò. «È fuggito dalla battaglia, l'abbiamo visto. Probabilmente l'imbecille avrà fatto almeno una cosa giusta prima di morire.»

«Lo incolpi di quello che è successo?» si accese inspiegabilmente la strega. «A me è sembrato che i Custodi Grigi fossero d'accordo nell'utilizzo della magia.»

«Non m'importa di chi sia stata la brillante idea. I demoni non sono bambole con cui giocare, né devono essere presi in considerazione come ultima risorsa. Soltanto degli ingenui ignoranti, o folli, sperano di trarre beneficio dal loro intervento.»

«Questa è la Torre del Circolo che parla.» ribatté la ragazza delle Selve.

«No, è semplicemente buonsenso.»

La mollò lì, altrimenti l'avrebbe schiaffeggiata nella speranza di instillarle quel buonsenso nel cranio. Tutto questo gli riportava alla mente Jowan e la cattiva strada che aveva imboccato; ci mancava solo Morrigan a insinuare che le invocazioni demoniache per scopi personali avessero un briciolo di criterio.

Levi e Alistair erano ancora scandalizzati per la notizia che l'ordine e la bis bisnonnina avessero compiuto un simile atto e insistevano per trovare prove tangibili. A Elmer non gliene fregava un accidente. Non era vicino col cuore ai Custodi, né a parenti altrui; insomma, per lui non era cambiato nulla. Continuarono a esplorare fino a una saletta con un altare di Andraste e due porte, di cui una serrata da una barriera magica. Dalle fessure provenivano soffi d'aria fresca quindi dedussero che fosse l'accesso al ponte che collegava la roccaforte al suo mastio.

«Proviene dalla stessa fonte della barriera che circonda l'edificio?» domandò Leliana.

«Impossibile stabilirlo. A logica direi di sì.» Allungò una mano per esaminarne la natura: la magia era salda. Notevole per un vecchio incanto senza incantatore.

«Se la magia fosse così semplice da decifrare non esisterebbero i maghi.» sparse la sua dose di acido la donna delle selve. Si era indispettita per il loro scambio di opinioni? Andraste, che strazio.

«Scusa se ha chiesto.» difese l'ex templare.

«Diventa sempre meno sorprendente la maniera in cui la gente comune tratta i nostri simili.» continuò lei, chiaramente in cerca di sfogo. «Non capiscono la materia e pretendono che qualcun altro gliela spieghi.»

«La Chiesa non costringe nessuno a fare niente.» rispose a tono il biondo, seguito a ruota da una più pacata Leliala. Adro mugolò.

«Possiamo oltrepassarla?» chiese Regar affiancandoglisi.

«Il potere mio e di Morrigan combinato dovrebbe farcela, con abbastanza lyrium. Ma a meno che l'ufficio non si trovi proprio dall'altro lato di questa porta, non vedo il motivo di sprecare energie e tempo.»

«Ipotizziamo che sia quello il caso.»

«Avranno un magazzino nei paraggi.» disse dopo una breve riflessione. «Il lyrium non va mai a male. Con pozioni a sufficienza ce la faremo. Preferirei comunque non ricorrervi: berne troppo non è esattamente salutare.» Regar annuì.

Si voltarono e assistettero per dieci secondi alla guerra verbale tra i fronti opposti. Era un dibattito talmente futile... A cosa serviva? Tranne che a nutrire la sete di litigiosità di Morrigan, ovviamente. Eppure Flemeth, seppur con due o tre rotelle fuori posto, non gli era sembrata aggressiva. Doveva essere la differenza di età, Morrigan dopotutto era giovane quanto lui, con il difetto di essere cresciuta in un ambiente senza molta educazione sociale. Era sua madre a battibeccare con lei, e alla vecchia Morrigan portava rispetto, qui invece si trattava di gente secondo lei sotto il suo livello.

«Sognano di sconfiggere un Flagello, ci credi?»

«Non per niente la definiscono “impresa”, Custode.» La pronta risposta gli rubò una breve risatina. Gli piaceva l'umorismo di Regar, era confortante avere vicino una persona normale.

«A te l'onore di richiamarli all'ordine.»

«Che bello.» Batté le mani e alzò la voce. «D'accordo, torniamo al lavoro. Basta perdersi in polemiche. Niente “ma”. Concludiamo la perlustrazione: troviamo l'ufficio.»

Morrigan lo squadrò indignata, poi modificò tattica e si finse apatica alla sua presenza. Non era degno della sua attenzione, certo, bravissima. Che continuasse pure così, la stronzetta, lui non ci avrebbe perso il sonno, poco ma sicuro. Trattenne un sofferto sospiro. Era ora di dare un taglio a quell'avventura uscita dai binari.

L'entrata sul muro accanto era, grazie al Creatore o chi per lui, l'ufficio del comandante, ma la gioia della scoperta venne offuscata dal corpo sciupato di Sophia Dryden dietro la sua scrivania. Il corpo parlava.

«Non un altro passo, Custodi. Essa desidera parlarvi.»

«Un abominio!» si strangolò Alistair.

Il sopracciglio destro di Elmer andò verso l'alto. I cugini di prima avevano avuto sembianze mostruose e zero cervello, con l'unico intento di distruggere, questo aveva mantenuto il più possibile quelle dell'ospite originale e si prendeva la briga di chiacchierare, come i demoni nell'Oblio. Tanto di cappello per un non-abominio.

«Quella è la mia bis bisnonna?» Avendo visto Sophia attraverso i flashback, la visione del presente era piuttosto macabra. Povero Levi.

«Perché dovremmo accontentarti?» La voce gli uscì sicura. Non aveva paura di quella mezza tacca che si fingeva più potente di quanto in realtà non fosse. Non aveva corretto Alistair per una ragione.

«Poiché il Picco è mio. Essa è Dryden, la Comandante, Sophia... Tutte queste cose.»

«Credi che basti possederla per ottenere il suo ruolo e il suo titolo?» la derise.

«Essa ha sentito la tua forza mentre falciavi i suoi simili. Essa ha una proposta.»

«Una proposta? Questa la devo proprio sentire.»

«Non direte seriamente! Non resta più nulla della Comandante Dryden, è posseduta.» disse l'asserente, che ovviamente non aveva la preparazione accademica per comprendere che creatura, spaventosa eccetera, si sentiva minacciata da loro. Era più debole, lo sapeva, e stava cercando di salvarsi il collo.

«La tua novizia dovrebbe imparare a stare al suo posto. Mansueta, sottomessa, silenziosa.» contraccambiò la gentilezza il mostro. «Essa è intrappolata nel Picco del Soldato. Essa ha visto molti luoghi allettanti nei ricordi di Dryden... Essa vorrebbe vedere il mondo di persona. Per liberarla recati nella vecchia torre del mago e distruggi. In cambio essa sigillerà il Velo. Niente più demoni, niente più nemici. Il Picco sarebbe sicuro, tuo. Devi soltanto liberare essa.»

Pazzesco. Neanche ci girava attorno, gli sbatteva in faccia quello che doveva fare e poi si aspettava che accettasse. Ah! Aveva un gran sorriso stampato in faccia e non riusciva a toglierlo. Stupida creatura e stupidi i rincoglioniti che cascavano in tranelli tanto ridicoli. C'era davvero chi si piegava a simili ricatti?

“Beh”, si corresse tra sé, “non tutti magari avrebbero la forza fisica o magica per sopravvivere a un rifiuto.”

«Custode, non possiamo fidar-» Alzò il retro della mano e Leliana tacque. Non era un rincitrullito, grazie.

«Ti renderai conto che la tua specie non è famosa per l'onestà e la correttezza. Rispondi a qualche mia domanda e poi deciderò.»

«Essa sarebbe una stolta a tradire il Custode. Essa conosce la sua forza.»

«Prima domanda: cosa c'è nella torre del mago che ti blocca?»

«Gli incantesimi, il mago, la tengono imprigionata qui. Distruggi tutto ciò che si muove, la pietra stessa, se ne sarai in grado!» si infuriò.

«Per mago intendi Avernus?»

«Colui che aprì il Velo.»

Dopo duecento anni il codardo respirava ancora? Il demone si sbagliava, non aveva coscienza del trascorrere del tempo; erano gli incantesimi dell'incantatore ad essere attivi.

«Perché non sei andata tu stessa nella torre?»

«La barriera blocca il passaggio.» Come supposto, non superava le energie combinate di lui e Morrigan. «Hai finito le tue domande?»

«Ho l'ultima: se distruggo ciò che ti imprigiona, cosa mi garantisce che in seguito tu manterrai il patto e chiuderai il Velo?»

«Essa promette.»

«Sei un demone, le tue promesse non valgono molto. Ho una controproposta: tu chiudi il Velo e dopo io andrò a distruggere.»

«Il Custode mente.» non se la bevve essa dopo attenta valutazione.

«Certo che mento.» prese pari pari dal libro Indovinelli e tranelli. «Finché non vedrò con i miei occhi che chiuderai il Velo, non accetterò la tua proposta.» La falsa Sophia non ne fu felice ma sputò il suo consenso. Non aveva scelta. «Dopo di te.»

«Sai quello che stai facendo, vero?» deglutì Alistair.

«Fidati di me.»

Era certo al cento per cento che il suo semplice doppio gioco avrebbe reso bene. Tanto per mettere i puntini sulle i, scrisse in aria con la magia “chiuso Velo, ucciderla”, mentre la creatura li precedeva nello stanzone portandosi con sé una puzza di decomposizione tremenda al suo passaggio. Essa avvertì che i suoi simili avrebbero tentato di fermarli e Elmer ne approfittò per sapere dove fossero le scorte di lyrium per aiutarli ad affrontare la sfida. Tutti pronti, la falsa Comandante iniziò il rituale e il gruppo umano (più cane) la protesse. Non fu una battaglia particolarmente ostica, dato che si erano sbarazzati dei mostri dall'entrata fino a lì, e in men che non si dica il campo era cosparso di resti di scheletri e privo di porta luminosa verso il misterioso aldilà. Come aveva calcolato, il mostro era stanco.

«Ottimo lavoro. Mi sbagliavo sul tuo conto.» disse posizionandosi di fronte a lei, per distrarla, non prima di aver indicato agli altri di rimanere alle spalle di essa.

«Essa ha mantenuto la parola. Ora tocca a te, Custode.»

«Quanto hai ragione.»

A un suo cenno, i compari la trucidarono. Si godette l'espressione colma d'odio sull'orribile viso femminile finché l'ex templare schiacciò il cranio di essa con lo scudo. Ed essa schiattò.

«Mi aspettavo qualcosa di più.» commentò Regar rinfoderando la lancia.

«Essa non era un abominio, né un demone particolarmente potente.» fece spallucce il mago, intimamente molto fiero di se stesso. «Se Sophia fosse stata una maga, allora sì che saremmo stati nei guai.»

«Essa puzza ancora parecchio.» si tappò il naso il biondo. «Possiamo andare?»

«Perché no. Non credo che essa sentirà la nostra mancanza.» cinguettò l'arciere.

«Se tutti hanno finito con questo “essa”, propongo di proseguire.» intervenne la strega dall'alto della sua altezzosità. Ottenne una risata collettiva che alleggerì di parecchio gli eventi di quella lunga giornata.

Tornati all'ufficio, Elmer fu nuovamente deluso dal mancato ritrovamento della formula. Si grattò la testa, rassegnandosi alla sua sfiga, quando Morrigan portò l'attenzione sulla sparizione della barriera. Coincidenza? Nah, probabilmente era collegata allo spirito che si era ribellato all'evocazione; una volta deceduto, l'incantesimo aveva cessato di esistere, e a quanto pareva si trattava di Sophia. Visto che c'erano, valeva la pena perlustrare anche lì, no? Forse Avernus si era lasciato dietro qualcosa di rilevante. Superarono il breve ponte costellato di una manciata di scheletri e alcune trappole che Leliana individuò per tempo, ed entrarono nella torre del mastio. Elmer ebbe una strana sensazione.

«Non vi sembra che l'ambiente sia... vissuto?»

«Nel senso che qualcuno ci vive?» disse Alistair guardandosi attorno. «Sei sicuro?»

«Il Custode ha ragione.» confermò Leliana. «Lo spazio è stato utilizzato di recente. La libreria è pulita nei punti in cui i volumi sono stati consultati. Questa scrivania non è impolverata. La fiala, il libro.» Il menestrello sfogliò il tomo e la fronte le si corrugò. «Questo... Custode, credo dobbiate leggerlo.» disse in tono grave.

«Cos'è?»

La rossa non rispose. Il mago lesse le ultime annotazioni e il sangue gli si gelò nelle vene. Esperimenti umani. Avernus aveva usato i propri compagni come cavie e aveva dato libero sfogo alla sua fantasia eretica: la magia del sangue era in grado di modificare la corruzione della prole oscura? Se sì, in che modo? L'esito dei suoi quesiti, per quanto raccapricciante fosse anche solo immaginare le torture descritte, era stato positivo. C'era riuscito. Elmer fissò disgustato la fiala scarlatta che tanto gli ricordava i filatteri delle segrete della torre. Se ne stava lì sul tavolo, apparentemente innocua, a sinistra del disgraziato libro.

«Di cosa si tratta, Custode?» curiosò Levi.

«Di una diversa forma di abominio.» Non esitò. Prese l'ampolla, la gettò a terra e ne bruciò il contenuto vermiglio che era schizzato sul pavimento. Stessa sorte toccò al volume. «Non sono stati messi qui per caso. Chiunque sia, Avernus o un altro demone, siamo attesi.»

«Che cos'era esattamente?» volle sapere il biondo. «Ho avuto una sensazione strana quando hai distrutto la fiala.»

«Era sangue di Custode Grigio, mutato dalla magia del sangue.» informò il suo pubblico sbigottito. «Avernus ha torturato i suoi fratelli e sorelle per ottenere una mistura in grado di evolvere, secondo lui, gli effetti dell'Unione. Il rito che permette ai Custodi di essere Custodi.» spiegò.

«Dunque hai appena distrutto una pozione magica che ti avrebbe reso più forte.» tradusse Morrigan.

«È magia del sangue.» ribadì severo. C'era davvero bisogno di sottolinearlo?

La strega si ritrovò solitaria nella sua vista tollerante della pratica proibita, occhieggiata dagli altri, e Elmer scusò quel comportamento, dovuto al fatto di essere cresciuta da un unico genitore non completamente sano, lontano da cos'era considerata normalità. A suo parere, Flemeth era una maga del sangue. Fino a che punto non lo sapeva, ma se sua figlia non aveva problemi a sentir parlare di torture eretiche per ottenere più potere, allora poteva paragonarla alla vecchia di Redcliffe. E Morrigan? Lei era una praticante?

“Dovrei ucciderla?” Fu scosso dall'incertezza e distolse lo sguardo dagli occhi gialli di lei. Perché ci arrivava solo lui a certe conclusioni terribili? “La maledizione di un'intelligenza sopraffina.” Ma la battuta non gli risollevò l'animo. Era circondato da troppo sangue e, oltrepassata la porte, la frase ebbe una connotazione concreta.

«Creatore...»

Sangue, sangue ovunque. Sulle pareti, sui cadaveri straziati, sugli attrezzi per le sevizie, per terra, dappertutto tranne che sull'alto soffitto. Secco e spento, il tanfo impregnava la grande stanza-laboratorio, fredda per le finestre spalancate, e c'era qualcosa, qualcosa che lo collegava a tutto quel rosso, che gli dava la sensazione strana che aveva percepito con la fiala e che pure Alistair aveva colto. Ebbe pochi secondi per connettere i punti e capire che era semplicemente l'Unione che aveva svolto il suo lavoro nel suo organismo, poiché la vecchia voce di un vecchio pazzo li accolse.

«Vi aspettavo.»

«Avernus.» Era lui, il neo sulla tempia era identico a quello dell'uomo nel flashback. «Sei vivo.»

«Sì.» confermò con orgoglio malcelato.

«Come? No, non dirmelo. Magia del sangue.»

«Ah, speravo in qualcuno con una mente più aperta.»

«Malata, vorrai dire.»

Il rugoso pelato dalla pelle emaciata sorrise indulgente e scese i gradini del rialzo su cui erano collocati la sua scrivania personale e un mucchio di scartoffie.

«La Chiesa proibisce stupidamente la magia del sangue.» Elmer emise un “hmph”. «Ci sono moltissimi segreti da svelare, giovane Custode. Man mano che il mio corpo deperiva ho trovato nuovi modi per sostenerlo. Ma oramai sono giunto al limite.»

«Poverino. Scommetto anche che non è stata affatto colpa tua la malriuscita dell'invocazione.»

«Per mesi preparai i circoli di evocazione.» si emozionò. «Feci ricerche sulle profondità più oscure dell'Oblio. Quell'attimo fu un vero e proprio trionfo di conoscenza demoniaca. Decine di demoni evocate per mano mia...» si perse nei felici ricordi. «Ma, con tutte quelle variabili, immagino che un errore di calcolo fosse inevitabile.» disse con leggerezza. «Mi mancava così poco...»

«Stai scherzando. Hai massacrato i tuoi compagni e te ne lavi le mani così? “Un errore di calcolo”?»

«Fu Sophia a darmi l'ordine.» si parò il culo il pazzoide. «Fin dal principio abbiamo scosso i nobili con la magia del sangue affinché si unissero alla nostra ribellione e mantenessero segreto il complotto. Se soltanto Sophia mi avesse permesso di scuoterli con più solerzia, il re non ci avrebbe teso un'imboscata all'incontro con teyrn Cousland.» si rammaricò. «Arland era un tiranno che governava con la paura, aizzando i suoi sottoposti gli uni contro gli altri, di modo che nessuno avrebbe mai potuto contrastarlo. Purtroppo per lui, sua cugina Sophia Dryden era sopravvissuta al rito dei Custodi Grigi a cui l'avevano costretta. Credo volesse conquistare il trono, nonostante il nostro ordine teoricamente dovrebbe essere neutrale nelle questioni politiche.»

«Avete delle prove?» spuntò d'un tratto la voce di Levi. «Era la mia bis bisnonna. Buone o cattive che siano, vorrei avere notizie di lei.» Mentalmente ne ammirò il coraggio. Erano davanti a un folle dotato del dono della magia e il mercante aveva la fermezza di portare a termine l'obiettivo che si era prefissato.

Avernus affermò che non c'era alcun tipo di testimonianza, tutto era andato perduto a causa dell'infestazione. Spese qualche bella parola sul suo carattere carismatico e poi tornò al fallimento dell'invocazione.

«Un vero peccato. Eppure era la nostra ultima risorsa, per sopravvivere.» scosse la testa amareggiato. «Rimpiango soltanto di aver fallito.»

«Dovresti morire.» sputò furibondo il moro.

«Morire?» si intromise Morrigan. «Di certo capisci che il suo unico crimine è stato sopravvivere. Le tue azioni non sono forse discutibili?»
«Le mie azioni? Quali azioni?»

«Non sei migliore dei demoni. L'hai dimostrato non molto tempo fa, o te ne sei già scordato?»

«Era un demone, Morrigan. È diverso. Non puoi paragonarlo a un essere umano.» disse, sconvolto che dovesse persino giustificarsi.

«La decisione di Elmer è stata giusta.» lo difese Leliala.

«Avernus è un essere umano e le sue ricerche hanno aperto nuovi orizzonti. Non è forse vero?» si rivolse al vecchio folle.

«Esatto, giovane donna. L'ordine utilizza la corruzione solamente per percepire la prole oscura; che futilità. La mia ricerca ha svelato nuove vette, con essa i Custodi diverrebbero molto più potenti.»

«Certo, sottoponiamo tutti i Custodi alla magia del sangue! Cosa mai potrebbe andare storto?!» Faticava a credere anche solo la formulazione di un tale scempio.

«Il mio scopo era liberare il Picco del Soldato e correggere gli errori del passato attraverso le nuove abilità che sto liberando all'interno nel nostro sangue. Sarà la nostra magia del sangue, non proveniente dai demoni. Ora che il Velo è stato ripristinato vorrei continuare in pace i miei esperimenti. Contribuirei al sapere dei Custodi, prima che la vecchiaia mi reclami. Odo già da un po' di tempo il richiamo della Chiamata...»

«Dovrebbe ispirarmi pietà?» Strinse il bastone magico e lo conficcò a terra. Udì gli altri prepararsi. «Compassione? Credi davvero di meritartelo?»

«Speravo avresti capito l'importanza del mio progetto.» ammise l'anziano mago con un sorriso mesto. «Non me ne andrò senza lottare.»






Note dell'autore:
Finalmente lo postai! Questo è l'ultimo capitolo scritto di Elmer che ho, perciò ciccia per i prossimi mille anni XD
No, dai, proverò come sempre a scrivere qualcosa nel tempo libero. Ho tipo un giorno a settimana che posso dedicare ai cacchi miei senza essere disturbata, quindi in teoria ce la farò, anche se sarà una lunga attesa per voi u_u
Ho poco da dire: i dialoghi di Avernus sono ovviamente presi dal gioco; descrizione del castello la metterò nel futuro capitolo così mi alleno e vedo che parere mi darà Emiliano; quando Elmer dice le parolacce... non è proprio un buon segno, ma qua si è trattenuto bene, siamo tutti fieri di lui! XD Morrigan mi sta sulle scatole, non so se si è notato :D
L'unica cosa che mi sento di poter dire con sicurezza sulle follie che sto scrivendo, è che forse pubblicherò una ficci auto conclusiva sul videogioco "Tales from the Borderlands". Mi ci sono immersa più di due mesi fa ma mi sono affezionata ai personaggi, e leggendo tante ficci in giro m'è venuta voglia di scriverne una. Non vogliateme se faccio prima quella invece dei capitoli di Elmer ç_ç

Un bacione a tutti quanti, alla prossima! ;)

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Capitolo 26
*** - ***


 «Sarebbe un peccato abbandonarla a se stessa, non trovate, Custode?»

«In effetti...»

Costruito in appena dieci anni grazie alla generosità monetaria del popolo (i Custodi avevano giusto debellato un Flagello), il Picco del Soldato era un gioiello dell'era passata: arroccata su un monte, ulteriormente protetta dalla fortuna di avere un unico accesso fatto di gallerie labirintiche, la fortezza rappresentava un luogo sicuro e difficile da espugnare. Fatta per durare nel tempo, la sua ossatura non era in cattive condizioni, anzi. Da fuori se ne ammiravano immediatamente i muri massicci, le alte torrette e l'imponente mastio; il cortile interno era ampio e conteneva laboratori artigianali, magazzini, le scuderie e un canile, tutto in discreto stato. Il problemino, forse superficiale, era dentro l'edificio, con pareti e pavimenti incrostati di sangue e ricoperti di sporco, il mobilio a pezzi, cianfrusaglie sparse, ragnatele, ruggine, cumuli di ossa umane da raccogliere con la scopa e cimeli di vite spezzate privi di significato nel presente. E il tanfo. Il tanfo era indescrivibile.

«C'è molto da fare, lo so, ma io e la mia famiglia la rimetteremo in sesto.»

«Perché?» domandò confuso. «Perché faticare tanto per il Picco del Soldato? Cosa ne ricaveresti?»

Era stranito anche dal fatto che ne stesse parlando con lui, quando il Custode anziano era Alistair. Il Picco del Soldato non era una sua proprietà. Cioè, sì, tecnicamente lo era, lui e il biondo erano il triste distaccamento dei Grigi nel Ferelden, però allo stesso tempo non osava considerarla tale. Era un mago del Circolo, ben pochi oggetti avevano potuto essere considerati suoi nella torre, perfino i calzini bucati e le mutande erano in comune nel dormitorio. Un'intera roccaforte sembrava decisamente fuori dalla sua portata.

«Una casa. Se voi accetterete la mia offerta.» L'espressione di Levi si fece intensa e Elmer, dopo averlo visto calmo e terrorizzato, ne rimase colpito. «Per anni il nome dei Dryden è stato sinonimo di cattive notizie: nessuno ci ha accolto nel momento del bisogno, nessuno ci ha porto una mano amica; eravamo le pecore nere della nobiltà, e i nostri vecchi amici hanno preferito ignorare la nostra esistenza piuttosto che incorrere nelle ire del sovrano. Siamo diventati mercanti, sempre in movimento, sempre in cerca del riscatto, e anche se quest'avventura non ci ha dato i mezzi per ripulire la macchia dei Dryden e riprendere i nostri possedimenti, mi rifiuto di distogliere lo sguardo di fronte a una tale opportunità.»

Beh, Levi ci sapeva fare con le parole, poco ma sicuro.

«Cosa proponi?»

«La roccaforte appartiene ai Custodi Grigi, questo è indiscutibile, tuttavia attualmente l'ordine non è nelle condizioni di renderla abitabile. La mia proposta è questa: permettete ai Dryden di trasformare il Picco nella loro nuova dimora, e noi ci occuperemo della sua manutenzione e di resuscitarla economicamente. A tempo indeterminato.» L'abile mercante gli lasciò qualche attimo per assimilare. «Cosa ne pensate, Custode?»

Cosa ne pensava? Era un'idea fantastica, ma sentiva che non spettava a lui decidere. Spostò gli occhi sulle fiamme del camino dello stanzone in cui avevano sigillato il Velo e massacrato la Sophia-demone, e poi sul grande quadro polveroso appeso sopra di esso. Dopo aver ucciso Avernus avevano riposato, mangiucchiato qualcosa per pranzo, deciso il da farsi. Avevano sterminato la restante spazzatura demoniaca, rassettato un po' l'ambiente, scaraventato rimasugli di corpi giù dalle finestre e pulito il tavolo rotondo della sala, racimolando sedie intatte per accomodarsi. Avevano disinfettato gli strumenti della cucina per cuocere le loro scorte durante il pernottamento e arieggiato i locali, soprattutto nella camerata scelta per dormire. Gli era piaciuto lavorare per ottenere un posto suo. Si era sistemato sul letto che aveva reclamato, si era scaldato sotto le coperte strofinando tra loro i piedi, e al mattino si era svegliato ristorato e di buon umore. Avevano preparato la colazione e mangiando avevano discusso con più precisione la prossima meta. Non aveva dimenticato il suo piano di fuga e convincere gli altri che la direzione giusta fossero i nani, nonostante la distanza, non era stato complicato. Era stato tentato dalla vicinanza alla costa, il porto di Amaranthine, ma alla fine aveva preferito le Vie Profonde di Orzammar. Levi si sarebbe diretto a Denerim per inviare dispacci ai famigliari e procedere con l'organizzazione, e Regar e Adro li avrebbero scortati fino all'incrocio per Redcliffe.

«Ne parlerò con Alistair.» disse infine. Levi annuì speranzoso.

Si alzò dalla sedia e andò verso l'armeria, dove Alistair aveva detto sarebbe andato. Chi era lui per decidere della gestione degli immobili dei Grigi? Se avesse accettato, chi gli garantiva che i Custodi che sarebbero arrivati dopo di lui avrebbero mantenuto i patti? Soprattutto se del Custode che lo aveva stretto non ci fosse stata più traccia. Non era uno di quei bastardi che mentivano per il gusto di mentire, Elmer raccontava balle principalmente per necessità, e illudere il povero Levi non gli avrebbe portato nessun giovamento, soltanto il compimento di una cattiva azione. No, grazie.

Passò dall'archivio salutando Leliana, intenta a salvare il salvabile, la sorridente ottimista; superando la cucina udì il mugolare di Adro, il mostro dallo stomaco senza fondo, mentre Regar sistemava le padelle adoperate, la solita amante dell'ordine. Non aveva idea di dove fosse Morrigan. Non si erano rivolti la parola in seguito alla morte del mago del sangue, e non si era nemmeno unita al gruppo nelle pulizie casalinghe. Probabilmente aveva trascorso la nottata nella natura, la selvaggia. Ce l'aveva con lui per la decisione di ammazzare il pazzoide dal grosso neo frontale, ne era certo. La disapprovazione della strega non contava molto, né la possibilità che fosse così infuriata da lasciarli; l'importante era che non gli mettesse i bastoni tra le ruote. Grazie al cielo aveva già appreso la magia mutaforma.

L'armeria era deserta. Le casse e le rastrelliere erano già state esaminate e l'armamentario di un qualche valore era stato trasportato sul carro di Levi. Si avvicinò ai manichini, tastando i tagli che parevano nuovi (trucco preso da Il cacciatore di taglie, vol. 2): non c'era polvere incastrata nelle fessure e delle schegge di legno giacevano ai piedi del fantoccio, perciò era stato bistrattato di recente. Era incredibile che nonostante la fatica del giorno prima il Custode si fosse ripreso a sufficienza per allenarsi. La sua ammirazione per Alistair era accresciuta notevolmente dopo la lotta con Avernus; ogni colpo era andato a segno, ogni parata efficace, il suo intervento aveva impedito a Elmer di finire arrostito o tagliuzzato mentre rimuoveva i glifi protettivi del nemico, e non aveva mai avuto un cedimento fino alla fine, forse motivato dal tradimento di Avernus. Cavolo, era un bambinone ma ci sapeva fare, e un tratto che Elmer apprezzava, sia in simpatia che in antipatia, era la competenza nelle proprie arti.

Allora, dov'era il suo fratellastro? Espanse i suoi sensi di mago, augurandosi che non fosse andato lontano.

Una presenza attirò la sua attenzione e vi si diresse convinto. Tuttavia, compiuti pochi passi, si bloccò. Che cavolo...? Per prima cosa, sostava al di là della sua percezione, non avrebbe dovuto accorgersene; seconda cosa, perché era così sicuro che si trattasse di Alistair? Poteva benissimo essere Morrigan, eppure non aveva avuto dubbi sull'identità della presenza. Cosa diamine pot-

«Ahhh, maledizione.» imprecò rassegnato. «Dannato Duncan.»

Il rito dell'Unione, ecco cos'era. Se n'era accorto ieri, prima dello scontro con l'eretico, e poi se n'era scordato. Il legame era subdolo, in onore delle creature maligne da cui scaturiva, e soltanto grazie all'intento di volerlo trovare lo aveva finalmente scorto, nascosto sotto la sua pelle. Che fosse stata la grossa quantità di sangue di Custode sparsa per la fortezza, vecchio che fosse, ad averlo distratto?

“Spero di essere ancora in tempo a liberarmi di questa condanna.”

Si passò le dita tra i capelli e strinse le estremità in un pugno, le radici tiranti sullo scalpo una sensazione massaggiante che lo calmò. Era un metodo che aveva imparato proprio qua al Picco. Di solito non era tipo da gridare per la frustrazione o uscirsene con atti di violenza fisica per scaricarsi; pensava spesso di passare alle mani, ma il suo senso civile lo salvava dal diventare un selvaggio. Elmer era più uno da vaffanculo eloquente, così che la persona sciagurata, bersaglio della sua collera, comprendesse senza fraintendimenti di essere una gran testa di cazzo. Era un uomo semplice. Le sporadiche alzate di voce le aveva avute con... Bah, meglio non pensarci. Accantonò anche il problema Unione, su cui aveva condotto più di una sessione meditativa. Poiché non aveva alcun modo di cambiare il suo destino, si era affidato alla pazienza. Per adesso.

Seguì la traccia di Alistair fino alla porta della cappella. L'entrata era stata lasciata sufficientemente aperta, per cui scivolò nella stanza non udito, e osservò Alistair chino su un ginocchio, le mani giunte in preghiera, circondato dal pulviscolo evidenziato dalla luce proveniente dalle tre finestre dell'abside. Era una chiesetta con una decina di panche di legno sporco per lato e un altare a cui mancava la statua di Andraste; i Custodi credenti l'avevano spostata accanto all'ufficio del comandante quando avevano ceduto all'esigenza di indietreggiare. Elmer cercò di non disturbare il raccoglimento spirituale con i suoi stivali e si accomodò su una panca centrale a sinistra.

Mentre Alistair chiacchierava col Creatore o chi per lui, il mago ne esaminò l'aura. Era differente da quello a cui era abituato. Le auree non avevano colore o personalità, emanavano energia, senza distinguere che creature fossero; l'energia di Alistair aveva un'aggiunta... oleosa. Era come avere tra le dita una sostanza impalpabile di cui rimaneva un residuo sulla pelle. Non era fastidiosa di per sé, soltanto strana. Si chiese se quella dei prole oscura fosse identica.

Il Custode inginocchiato uscì dal suo stato di riflessione religiosa. Elmer notò la nuca alzarsi verso l'altare, nell'automatica ricerca della figura di Andraste; non incontrandola, sospirò e riabbassò il capo. Cosa si provava ad avere una fede sincera verso un'autorità più grande? Grazie alla sua straordinaria fiducia in se stesso, Elmer non aveva mai sentito il bisogno di appoggiarsi alla personificazione di virtù, bontà e via dicendo. Era quasi certo che il Creatore fosse una creazione dell'uomo, di Andraste o individui nella sua cerchia, afflitti da deliri o dalla necessità di unire i popoli contro un nemico potente. Non lo infastidivano i credenti, gli stavano sul cazzo i fanatici e in generale chi usava la fede per raggiungere tutt'altri fini. Guardandolo, trovava infantile avercela con lui per il suo passato nella Chiesa, ed era giunto il momento di smetterla di definirlo “ex templare” nella sua testa. La piega che la sua sorte aveva preso non dipendeva da Alistair, perciò concedere un po' più di cordialità al bambinone non sarebbe stato un crimine, suvvia. Nella sua infinita bontà, allungò un braccio verso le candele diseguali e, con un colpo di mana e brevi parole, le accese. L'ex templ- ehm, il biondo si voltò di scatto, la bocca semiaperta e gli occhi a palla per la sorpresina.

«Sembravi... spento?»

La battuta era veramente pessima, ma si guadagnò ugualmente un'espressione ilare e uno sbuffo soffocato. Alistair cambiò postura, alzandosi e tenendo alla sua destra l'altare e alla sinistra il mago.

«È da molto che aspettavi?» domandò in un tono rispettoso della casa del Creatore. Sembrava quasi un adulto.

«Giusto qualche minuto. Ti devo parlare, ma non c'è fretta, se devi concludere.»

«No, ho finito.» Contemplò i graffi sul rettangolo di pietra dove Andraste si era eretta secoli prima. «Stavo... Ho pregato per noi.» Elmer se ne stette intelligentemente zitto, fiutando i sentimenti nell'aria. «Come sapevi che ero qui?»

«Il Rito dell'Unione. Ti sento, ora.»

«Oh. Benvenuto nell'ordine, suppongo.» scherzò. All'occhiataccia del mago aggiunse «Oppure no.» Si schiarì la voce e optò per un lieve cambiamento di rotta. «Sono curioso: i maghi avvertono il sangue dell'Unione in maniera diversa dagli altri?»

«Non lo so. Tu come lo senti?»

«Appiccicoso. Come la resina degli alberi.» disse con una smorfia al pensiero. «In un paio di giorni sentirò anche te.» Lo raggiunse a sedere. «Invece, quando c'è in giro la prole oscura, il sangue mi formicola nelle vene. Hai presente le formiche che ti camminano sulla pelle? Ecco, così ma sottopelle.»

«Meraviglioso, Alistair, davvero meraviglioso.»

«Tutte le volte che parliamo dell'ordine ti porto sempre brutte notizie. Mi spiace.»

«Non è colpa tua.» Era di Duncan. «Per me è più una sensazione oleosa, che ti rimane addosso nonostante ci si lavi le mani. È completamente diverso da tutto il resto.»

«Il resto?»

«I maghi portano a un livello superiore il detto “avere gli occhi dietro la testa”.» decantò. «Gli studiosi ipotizzano che ogni essere vivente sia connesso all'Oblio. L'Oblio è composto da mana. I maghi sono particolarmente connessi ad esso. Risultato: se ci concentriamo adeguatamente lo percepiamo nei viventi intorno a noi.»

«Che cosa percepite?»

«Energia. Alcuni dicono che si tratti dell'anima, una teoria parzialmente comprovata da incantatori che affermano di distinguere le emozioni di persone o animali, presupponendo siano abbastanza intense da farsi sentire oltre il guscio di carne e ossa.»

«Uau. E tu ci riesci?»

«Io? Hmph. Mi sopravvaluti, fratello.»

“Fratello” era inteso come un'amichevole presa in giro, ma uno sbrilluccichio commosso gli ricordò che per il Custode i nomignoli di parentela avevano un significato tutt'altro che leggero. Proseguì prima che il compagno si inoltrasse in uno scambio a cuore aperto.

«Gli spiriti sono un'altra storia. Si dice siano i primi figli del Creatore, l'avrai studiato.» Il biondo annuì. «Sono attratti dal nostro mondo: spiano nelle nostre menti e modellano l'Oblio a seconda di quello che vedono nei nostri sogni, e purtroppo non si fermano a questo. Entrano in contatto con le nostre emozioni, ed è lì che le cose si mettono male.»

«Lo so. Gli spiriti non sono in grado di comprenderle. Loro esistono in un mondo immateriale, noi, tutto il contrario.»

«Ti posso assicurare che anche se non le capiscono le trovano abbastanza invitanti da assumerne il nome. Spirito del Valore, demone dell'Ira. La loro energia è pura emozione, per i maghi non c'è scampo.»

«Quindi, quando incontri un demone dell'Ira...»

«Sento la sua ira. Devi avere una volontà ferrea o ne verrai sopraffatto.»

«Ora capisco perché sei così forte. O perché i maghi sono sempre di malumore.»

«Esagerato.» ribatté con una gomitata. «A proposito di malumore. Una volta io e-»

E Jowan.

Si bloccò interdetto. Jowan. Che cazzo c'entrava Jowan? Non aveva alcun diritto di invadere le sue tranquille giornate con ricordi felici di un passato irrimediabilmente insudiciato. Ogni tanto capitava che qualcosa gli rievocasse il suo sorriso, la sua voce o delle parole senza contesto, ma questa era la prima volta che riusciva a fare breccia attraverso la sua bocca. Piccolo bastardo! Credeva di fargliela? Elmer era pronto a spedire indietro la sgradita visita: via l'aneddoto, avanti il prossimo argomento.

«Ad ogni modo.» ricominciò sotto lo sguardo confuso di Alistair. «Ti cercavo per una questione con Levi.» Storse il naso al suo tono forzatamente normale, seccato di non essersi ripreso alla perfezione dallo scivolone. «Propone di occuparsi del Picco in cambio di una casa. Io accetterei, ma non so se poi arriveranno altri Custodi con un rango superiore a rompere la mia parola.»

«Non credo che ci siano problemi. Duncan ha menzionato che tutti i Custodi si servono di siniscalchi per gestire le proprietà.»

«Duncan ne aveva uno?»

«No. Il numero dei Custodi non era alto, non hanno mai abitato in un posto che richiedesse un aiuto di gestione.»

«Perfetto. Perfetto.» ripeté, a corto di parole.

Che gli prendeva? Cos'era quello scombussolamento emotivo? Era soltanto Jowan, e ci aveva pensato per cinque miseri secondi, che diamine.

«Perfetto, sì.» fu d'accordo il compagno. «Quindi... Ehm... Elmer. Cosa stavi per dire prima?»

Elmer fissò il suo interlocutore senza una risposta pronta, un'occorrenza rara. Cosa avrebbe dovuto dire? “Niente”? Nemmeno Alistair era così stupido da crederci.

«Ho perso il filo del discorso, tutto qui.» faticò a pronunciare attraverso la mascella irrigidita.

«Va bene.» accettò il ragazzo cresciuto con i mabari. «Ti va di riprenderlo?»

Il moro soppesò l'esitante offerta e la speranza innocente negli occhi nocciola. Aveva appena deciso di comportarsi meglio nei suoi confronti, non poteva rimangiarsi la promessa al minimo dramma personale di cui, tra l'altro, Alistair non aveva alcuna responsabilità. Un po' di maturità, cazzo. Nascondendo alla buona un sospiro, si leccò le labbra secche con un guizzo della lingua e incrociò le braccia. Da dove iniziare?

«Ne vuoi parlare?» reiterò il Custode non ricevendo una risposta verbale.

«No.» replicò svelto, per poi darsi un ceffone mentale e rettificare. «No, scusa. Sono... arrabbiato, per farla breve.»

«Okay.»

«Non con te.» precisò.

«Oh, bene. Stavo cominciando a preoccuparmi.»

La risatina nervosa lo irritò. Perché era convinto di aver commesso un qualche errore? Una persona poteva benissimo essere di cattivo umore per i cazzi suoi. Porca Andraste, se avesse potuto strangolare l'insicurezza altrui a quest'ora il mondo sarebbe stato un posto migliore, a sua immagine e somiglianza. Modestia non a parte.

«Alistair, non- Ah, sei impossibile.» sbottò.

«Cosa? Hai appena-»

«Non significa che ho torto.»

«Aspetta. Mi sono perso. Per favore, non aggiungere un commento sarcastico.» lo fermò con i palmi in vista. «Indosso un'armatura robusta ma dentro sono soffice.»

«Seriamente?» rise incredulo. «Questa è la battuta migliore che ti abbia mai sentito dire.»

«Grazie. Ogni tanto ho anche io i miei momenti.»

«Di nuovo! Perché ti sminuisci così? Tu...» Lo indicò a gesti, quasi le dita volessero davvero stringersi attorno alla gola dell'imbecille.

«Andraste, perché ce l'hai così tanto con me?» esclamò tristemente il bambinone.

«Non ce l'ho con te! È che... questo tuo atteggiamento da vittima mi ricorda tantissimo una persona.»

«Mi spiace?»

Certo che Alistair non capiva, non ne sapeva nulla, e il cipiglio aggressivo sulla faccia di Elmer non lo aiutava a comprendere lo sbalzo d'umore.

Magari spiegarsi, mettendo controvoglia in luce gli affari suoi, avrebbe aiutato il biondino a flagellarsi di meno e il moro a liberarsi di un peso. D'altronde erano tutti sicuri al cento per cento che condividere i propri demoni interiori a voce alta facilitasse il loro esorcismo. Elmer non si era esattamente sfogato sulla questione, se non con sogni a occhi aperti in cui Jowan le prendeva di santa ragione. A quanto pareva non era abbastanza.

«Non dispiacerti. Siamo cresciuti assieme nella Torre del Circolo. Mi fidavo di lui, era la mia famiglia, lo chiamavo fratello. Finché mi ha mentito e usato per i suoi scopi.» disse come se stesse chiarendo i punti per la preparazione di una pozione.

«Oh. E io ti ricordo lui?» si allarmò il Custode.

«Di una parte di lui.»

In realtà erano due: quell'innocenza un tempo era appartenuta anche a un paio di occhi blu, come aveva notato quel giorno nella tenda dei Custodi a Ostagar, prima di frizzare il sentimentale idiota.

«Quella che non ho mai sopportato e che ho sempre cercato di sradicare. Era un mago ordinario, senza talento, come la maggioranza di noi. Se si fosse impegnato si sarebbe riscattato nella teoria, ma... Non ha mai voluto davvero mettersi in gioco. Se sembrava troppo difficile rinunciava in partenza, e per avvalorare la tesi secondo cui lui non era abbastanza bravo, si paragonava a me.» Sentì la sacrosanta indignazione bruciargli nel petto, per anni di sopportazione, anni di sgobbare per due, anni di infiniti sacrifici. Aveva messo a repentaglio la sua stessa vita, porca di quella trota! «Ho sudato per spingerlo nella giusta direzione, che gli piacesse o no. Non gliene ho mai fatta passare una liscia, per il suo bene, ma non ho mai permesso a nessuno di fargli del male. Non sono un tipo esattamente dolce, ma neanche uno da nascondere i miei sentimenti: gli ho sempre detto che gli volevo bene e gliel'ho sempre dimostrato.»

Era come sputare veleno. Più ne parlava, più il rancore saliva e la voglia di denunciare le ingiustizie che aveva subito cresceva.

«Avresti dovuto vederlo.» fece sarcastico, gesticolando. «Credeva che mettere al tappeto il Comandante Templare e il Primo Incantatore con la magia proibita avrebbe risolto tutto. Dopo aver giurato e spergiurato di non averne mai fatto uso, che le accuse erano false. La faccia che ha fatto quando l'amore della sua vita ha preferito Aeonar alla fuga romantica con un mago del sangue. Ah! Cosa si aspettava? Ha mentito a lei, che professava di amare più di ogni altra cosa, con cui sognava una famiglia in un cazzo di paesino di pescatori dopo tre, quattro, cinque fottuti mesi che la conosceva; e ha mentito a me, A ME!» urlò picchiando i palmi sul petto, con un Alistair stupito dalla repentina ascesa dello sfogo. «Quel pusillanime ingrato. Chi gli ha donato metà della sua razione di cibo quando i templari hanno punito la Torre con la fame? Io! Chi si è preso la colpa della rottura del fottuto vaso tevinter, sapendo che non avrebbe potuto scrivere dieci saggi in una notte o beccarsi una pena più grave da Greagoir? Io! Chi gli ha creduto ciecamente e si è fatto in quattro per distruggere il suo filatterio prima che lo trasformassero in un Adepto della Calma? IO!»

Le candele avvamparono alla sua sfuriata e i due sobbalzarono. Le fissarono trattenendo il fiato finché tornarono ad una condizione naturale, come il mana nel corpo del mago. Al limite del suo campo visivo, Elmer vide Alistair voltarsi verso di lui, ma, per una volta, il mago era troppo imbarazzato per fronteggiarlo. Cosa avrebbe letto sul suo viso? La compassione andava bene, nonostante fosse la conferma del fallimento del suo autocontrollo. La paura sarebbe stata un vero smacco. La cautela tipica degli uomini di Chiesa... avrebbe spaventato lui. Non voleva vedere Alistair come un templare, sentire il suo sguardo freddo addosso ogni giorno, ogni minuto, pronto a colpirlo a morte al minimo errore. Desiderò che le Vie Profonde fossero dietro l'angolo.

Un peso sulla spalla lo fece girare di scatto.

«Stai bene?»

«Sì.» esalò con sollievo: compassione. Grazie al Creatore. «Mi sono lasciato prendere dall'ira. Mi dispiace.»

Era sincero. Alla torre ti facevano una testa così sul governo dei tuoi poteri, ed Elmer si era sempre pavoneggiato del dominio che esercitava su di essi, lo studente disciplinato e prudente, troppo bravo per cadere preda di demoni, o se stesso. Oggi era stato un brutto colpo alla sua autostima.

«Come...?»

«Come è successo? Hmph.» Esibì un sorriso privo di piacere. «Te l'ho detto: se veniamo sopraffatti dalle emozioni, per noi maghi è la fine.»

«Cioè non puoi mai arrabbiarti?»

«No.» scosse la testa, dandogli mentalmente dell'idiota. In senso buono. Più o meno. «I maghi provano emozioni, come tutti. Possiamo essere arrabbiati, allegri, tristi, felici. Se proviamo queste emozioni con consapevolezza, tutto va bene. Se queste emozioni superano la soglia del nostro autocontrollo, siamo fottuti.» Il biondo non era soddisfatto, perciò Elmer provò con un esempio. «È la differenza tra l'essere in collera, e l'essere accecati dalla collera. Posso essere arrabbiato e rimanere in possesso delle mie facoltà mentali, o posso essere arrabbiato e perdere il nume della ragione.»

«Ora è più chiaro.»

«Non c'è di che.»

Andava da sé che chi non aveva le palle per gestire i propri sentimenti sceglieva la via della Calma, tuttavia quel discorso minacciava di tirare in ballo Jowan nella sua testa, di conseguenza tacque e si godette qualche attimo di calma con il Custode, prima di ripartire verso Orzammar.

Comunque, la perdita di controllo, sebbene trascurabile, non sarebbe stata ignorata, né sottovalutata. 






Ma sai, Elmer, se ti spieghi forse qualcuno ci capisce qualcosa. Forse, eh u_ù
Capitolo di Elmer postato prima della ficci autoconclusiva su Borderlands, a cui fatico a trovare un finale con la giusta vaghezza o non vaghezza. In qualche modo ce la farò.
Ovviamente il tutto è rallentato dai neuroni del mio cervello che sfornano bozze su bozze di possibili ficci o storie originali, e che io diligentemente scrivo per poi in futuro rivedere o gettare direttamente nel cestino. Non guardatemi così, mi rifiuto di credere di essere l'unica è_é

Spero che questo capitolo di intermezzo un po' sul sentimentaluccio (altrimenti come diventano amici, 'sti qua? XD) vi sia piaciuto, e perdonatemi se i prossimi cercherò di renderli più veloci negli spostamenti, ma dopo ventisei capitoli essere appena fuori dalla battaglia di Ostagar... mi sono resa conto che non solo io sono pigra, ma anche la mia ficci! Questo non significa che ne sfornerò presto di nuovi, mi spiace.
Mi dicono sia una bella soluzione decidere prima il numero dei capitoli e poi scrivere. Ci proverò.

Emiliano, ce l'ho messa tutta nelle poche descrizioni che mi servivano! Se ancora mi leggi, fammi sapere come sono andata ^^ E chiedo a tutti un consiglio sulla statua: "aveva giaciuto" o "era giaciuta"? Ho letto che sono usati più o meno entrambi ma nessuno dei due mi piace XD
Grazie e alla prossima! ;)

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Capitolo 27
*** Lago Calenhad ***


Alistair esibì una smorfia solidale all'inspirazione attraverso i denti del mago, immobile mentre il compagno gli sistemava la fascia di supporto. Leliana aveva realizzato un'imbracatura da un telo che Bodahn gli aveva prestato, e aveva insegnato ad Alistair il metodo per darsi il cambio all'occorrenza. Morrigan si era astenuta dall'incarico, cosa di cui Elmer era solo felice, poiché ne aveva piene le palle dei commenti sulla sua inettitudine. Non era scivolato sulla neve ghiacciata riducendosi alla mercé del nemico di proposito, che cazzo! Ah, se non avesse avuto un braccio e una mano rotti l'avrebbe presa a sberle!

«Ho quasi finito, resisti ancora un po'.»

Serrò i denti, normalizzando il respiro e sopportando. Odiava il dolore fisico. Ebbe un flash di Leliana che gli ficcava a forza il radio dentro l'avambraccio. Creatore, che schifo. Peggio di quella volta della freccia nel piede. Un conto era studiare il corpo umano sui libri, un altro era studiare il tuo dal vivo. Quello che lo sconvolgeva di più erano i maledetti pezzetti biancastri: l'ex asserente aveva fatto del suo meglio per rimuovere i minuscoli frammenti creatisi alla rottura dell'osso, però alcuni le erano sicuramente sfuggiti. Elmer giurava di sentirli muovere e punzecchiargli la carne, scavando tunnel negli strati di polpa rosa. Il solo pensarci minacciava di mandarlo fuori di senno.

Meditare era arduo e la pozione per attenuare le sue sofferenze annebbiava il processo di concentrazione. Una sessione non era strettamente necessaria, la paura era stata naturale e comprensibile, ma ormai la praticava regolarmente. L'ennesima seccatura che guastava la sua routine, mmpf.

«Le dita come vanno?» domandò il Custode dopo aver stretto il nodo dietro la nuca.

«Uguale.» biascicò il mago, neanche ispezionando l'indice e il medio tenuti saldamente assieme e dritti da stecche.

Le grida che aveva lanciato quando la guerriera avversaria gli aveva spezzato l'arto e calpestato la sua preziosa mano con il tacco erano state tremende. Aveva creduto di morire in preda all'agonia, e al sollevamento dell'ascia sopra di sé, con macabro umorismo si era corretto con una decapitazione. Alistair aveva atterrato la barbara colpendola di lato alla trachea col suo scudo, un salvataggio tempestivo, e, pallidissimo, lo aveva trascinato via dallo scontro. Eh sì, trascinato, perché non c'era due senza tre: un taglio profondo sulla coscia non migliorava certo la fuga da bande di cacciatori di taglie armati fino ai denti e nettamente superiori in competenza bellica. Era stata una battaglia persa in partenza e lui aveva riportato le ferite più gravi. Era grazie a una distrazione di Morrigan se l'avevano scampata, non che questo avesse avuto un effetto positivo sul loro rapporto.

Leliana, la santa donna, aveva prosciugato la sua conoscenza di mondo per medicarlo, tuttavia i danni esigevano l'intervento di un professionista. La gamba andava guarendo da sé con impiastri di radice elfica e riposo, le ossa rotte erano tutt'altra storia. Temeva che se presto non avesse raggiunto la Torre del Circolo, avrebbe dovuto amputare il braccio destro e tenersi le dite storte a sinistra. Ciò lo avrebbe ucciso. Un mago poteva possedere volontà e potenza in quantità, ma erano le mani e la voce a dare forma all'energia evocata dall'Oblio. La magia grezza, priva di scopo, era pericolosa, non di rado letale. Sul serio, ti esplodeva in faccia.

Non sarebbe mai riuscito a vivere a corto di incantesimi. Sentire il mana scorrergli nelle vene, conoscere mille e uno modi in cui adoperarlo e non esserne in grado. Diversi suoi colleghi contestavano che il meraviglioso regalo, che si diceva provenisse dal Creatore misericordioso, metteva sottosopra la tua vita, strappandoti alla tua famiglia e rinchiudendoti in un carcere con una condanna all'ergastolo o in una vita da fuggiasco, ed erano scontenti che la divinità li avesse posti su un cammino a loro non congeniale. Lui aveva un parere differente: erano gli uomini ad averlo imprigionato, non la magia. Il dono aveva riempito la sua esistenza, sottraendolo alla depressione e al suicidio, un destino diffuso tra le mura soffocanti in cui era cresciuto.

Un tocco delicato lo distrasse dalle sue riflessioni. Il biondo stava esaminando la mano destra, che spuntava dalla fasciatura. Compirono qualche esercizio di piegamento, che Elmer stesso aveva raccomandato. Anni di letture in svariate materie non andavano sprecate nel suo magnifico cervello, medicina base compresa. Sfortunatamente non era un guaritore spirituale all'altezza della situazione. C'era da sperare che la bontà di Irving vincesse sul rancore di Greagoir: il Comandante sapeva legarsela al dito come pochi, se gliel'avevano fatta grossa, e Elmer l'aveva fatta gigante.

«Come va, Ser?» si interessò il nano vedendolo uscire dalla tenda.

«Così-così.»

Considerate le circostanze, il mago non aveva di che lagnarsi, a parte il dolore. Bodahn era uno di quei rari brav'uomini la cui apparizione doveva essere festeggiata. Lui e il figlio Sandal erano comparsi sulla via per il Circolo dopo le prime difficili ventiquattrore, l'aveva riconosciuto come vecchio cliente e aveva gentilmente offerto il suo carro come trasporto feriti. Si era rammaricato della dipartita di Duncan e proposto di accompagnarli, data la destinazione comune, una generosità che li aveva toccati nel momento buio.

Il guerriero e il mercante lo sostennero fino al focolare spento, dove bevve la sua dose di antidolorifico. Si domandò cosa avrebbe detto Regar, se avrebbe approvato l'utilizzo della magia in questo caso. Già gli mancava, nonostante fosse stato suo il suggerimento di dirigersi a Redcliffe e parlare all'Arle per loro. Si era affezionato ai suoi silenzi e alla sua praticità. Era una sintonia istintiva, la medesima che aveva sperimentato con Faren, di cui, a ben vedere, condivideva dei tratti caratteriali. Provò a immaginare un loro incontro a Redcliffe e non riuscì ad andare oltre uno scambio di sguardi stoici.

Ad interrompere la sua divertente fantasia fu il cibo nella mano di Alistair. Elmer aprì la bocca, riconoscente, e gustò il boccone di pane raffermo imbevuto di grasso tenuto da parte dalla cena di ieri (la mira dell'asserente aveva messo due grossi uccelli in pentola). Il Custode si stava facendo in quattro per lui, al punto di viziarlo, e senza saperlo aggravava il peso sulla sua coscienza. In futuro avrebbe dovuto abbandonarlo in una terra destinata alla devastazione e l'ignaro infermiere tirava battutine pessime per tenerlo su di morale, dormiva con lui per ogni evenienza e lo serviva in tutto: lo puliva, lo vestiva, lo nutriva, lo assisteva nell'espletare i suoi bisogni.

“Sono un ingrato.” si rimproverò, prevedendo che Alistair ne sarebbe stato distrutto.

Lungi da lui sprofondare in sentimenti deleteri alla sua splendida personalità, osservò i suoi compagni nella fredda mattina del dodicesimo mese dell'anno, con le spalle premurosamente avvolte in una pelliccia: Leliana, Bodahn e Sandal sbaraccavano il campo e sistemavano i loro averi sul carro; Morrigan attendeva a braccia conserte vicino agli animali da traino con zaino e bastone sulle spalle, offesa dalla scena di collaborazione. Che andasse a quel-

«Covaltin. Sei pronto a salire sul carro?»

Beh, l'arciere ci aveva provato. Alistair subito si accollò il disturbo di piazzarlo nel suo angolino di coperte, assicurandosi fosse comodo. La rossa si lamentò scherzosamente del suo zelo, che impediva a chiunque altro di contribuire, incastrando il biondo in un maldestro tentativo di difendere le proprie altruistiche-egoistiche azioni. Idiota. Un simpatico idiota.

In totale ci vollero nove giorni per raggiungere la Torre del Circolo dei Maghi dal Passo di Gherlen, giornate in cui Elmer patì un ozio forzato. Trascorse il viaggio ipotizzando il suo arrivo. Come l'avrebbe accolto Irving? E i suoi ex coinquilini? Aveva traslocato talmente di fretta che non aveva avuto occasione di dare un addio decente. Le cose procedevano bene? Qualcuno aveva superato il Tormento? O optato per la Calma? E Neria!

“Le avranno appioppato Anders?”

Wynne, se viva e vegeta, a quest'ora sarebbe dovuta essere alla torre, così da togliere lo scapestrato delle Anderfels dagli incarichi dell'elfa. Più tempo per il suo adorato Cullen. Oppure si erano separati. O li avevano separati. Chissà cos'era cambiato durante la sua assenza, quali disastri avevano combinato le matricole, quali scuse avevano inventato gli anziani per bisticciare, che scoperte erano state fatte, che saggi erano stati scritti. Gli sarebbe stato concesso di prendere delle copie con sé? Era triste dubitarne. Irving lo considerava parte della famiglia, ma Greagoir e gli altri maghi? Che opinione avevano di lui ora che era Custode Grigio e supposto traditore della patria? Quale sarebbe stata la loro reazione riguardo i trattati contro il Flagello? Nonostante la sua straordinaria intelligenza, non aveva risposte certe se non sulla questione trattati: Irving, la vecchia volpe, avrebbe colto la palla al balzo e mostrato al popolo l'utilità dei maghi, sfruttando la buona pubblicità per migliorare la vita nel Circolo e le relazioni con l'esterno. C'era soltanto una cosa che lo preoccupava, e non era la nausea alla prospettiva della traversata sull'acqua. La Chiesa, teoricamente, non partecipava alla politica, eppure sarebbe stato da ingenui non calcolare la mossa di trattenerli lì e spedire un messaggio a Denerim. Avrebbero dovuto prestare attenzione a non inciampare in una trappola.

All'arrivo al lago Calenhad Elmer suggerì a Morrigan di non unirsi alla spedizione per evitare lo scrutinio templare. In tutta onestà avrebbe voluto convincerla a smammare, vuoi perché assurdamente antipatica, vuoi perché probabile maga del sangue. Sospettava che non corresse nelle Selve dalla madre per puro orgoglio, e che sotto sotto maledisse se stessa per questo. Consegnarla a Greagoir, a mo' di offerta di pace, lo allettava, tuttavia la vendetta di Flemeth non era da prendere sottogamba.

“Troverò un modo, prima o poi.” si ripromise.

La strega regalò loro un naso all'insù e girò i tacchi, affermando che avrebbe osservato la situazione da lontano. Bravissima. Incaricò Alistair di consegnare una sua missiva al Primo Incantatore, per tastare il terreno, mentre lui, l'arciere e i nani avrebbero aspettato alla Principessa Viziata.

Neanche erano stati serviti, che il biondo era di ritorno.

«L'accesso alla Torre è proibito.» spiegò Alistair sedendosi.

«Cosa?» Proibito? Che diamine significava? «Perché?»

«Il templare di guardia al molo non me l'ha voluto dire.»

«Guarda un po' chi si rivede.»

Confuso, Elmer si girò verso la voce. Era... Kester, se non errava, il traghettatore ufficiale del Circolo. Non era cambiato dall'ultimo passaggio nella sua robusta bagnarola, non che il suo viso si fosse particolarmente impresso nella memoria dell'allora nauseata recluta dei Grigi. Aveva sempre avuto così tante rughe? E i suoi capelli erano sempre stati così corti e grigi?

«Mi ricordo di te, ragazzo. Te e il barbuto. Molti maghi entrano nella fortezza di Kinloch, molto pochi ne escono. Ti hanno conciato male, vedo.»

Allarmato che la rivelazione creasse grane alla comitiva, Elmer controllò i presenti: la decina di mercanti, navigatori di lago e fiumi, non reagì o non udì. Forse il porto di Calenhad era abituato a veder sfilare maghi, rassicurato dai templari a un grido distanza.

«Kester, giusto?» volle confermare. «Strano non vederti sulla tua barca.» Va bene, aveva visto il tizio solo due volte, tre con oggi, ma era un'osservazione come un'altra per cominciare una conversazione. «Siediti, per favore. Ti offriamo qualcosa.»

«Oh, grazie. Molto obbligato.» Si appropriò di una sedia. «Me l'hanno requisita, la mia Lissie. Due giorni fa.» esordì amareggiato. «In vent'anni non è mai successo. Qualcosa di strano sta succedendo là dentro.» Dunque ne sapeva quanto loro.

«È una casa di maghi. Non sarebbe più sospetto se non accadesse nulla di strano?» cinguettò l'asserente. Elmer la guardò storto, lei ridacchiò.

«Questa volta è diverso.» si unì fluidamente al discorso il cameriere, giunto con le loro bevande. «Che ti porto, Kes?»

«Pane e acqua. Devo risparmiare in previsione della disoccupazione.»

«Come sapete che questa volta è diverso?» domandò il biondo. «Il templare al molo-»

«Il templare al molo!» si sentì chiamata in causa una signora dall'aria centenaria. «È una vergogna per l'ordine, quel Carroll.» sputò, gesticolando con il boccale pieno e dimostrando grande abilità nel non sprecarne una goccia. «Mio marito, che il Creatore l'abbia in gloria, lui sì che era un templare come si deve. Vero, Robert?»

«Melissa, l'anima del tuo amore starà bruciando d'imbarazzo dai mille complimenti che riceve da te ogni giorno.» conciliò il locandiere, intento a pulire il banco con uno straccio.

«E si lamenta?»

«Non lo so, è morto.»

«Ah, giusto.»

Elmer e Alistair si scambiarono un'occhiata smarrita. Che razza di gente frequentava la Principessa Viziata?

«Stavo dicendo.» riprese il cameriere per nulla turbato. «Non hanno mai indetto un completo isolamento. Nessuna nave, nemmeno i rifornimenti, ha il permesso di attraccare. Kes l'ha detto: mai successo, manco ai tempi di Robert Senior.»

«Non pronunciare il suo nome invano, giovanotto. Quell'uomo non ha conosciuto felicità tra i vivi, lasciamolo in pace tra i defunti.»

«Pace? Tuo padre si starà strappando i capelli per lo scempio a Spirito Invernale.» controbatté l'anziana. «Un dannato Flagello sta dilagando e quegli idioti si danno alla guerra civile.»

«Oh santo cielo! Che è successo a Spirito Invernale? Ho buoni clienti laggiù.»

«È successo, caro Ser nano, che il nostro Teyrn Loghain ha dovuto bagnare la terra del nostro amato Ferelden col sangue di connazionali ambiziosi.» si lamentò il locandiere, rattristato dalla vicenda.

Alistair si rabbuiò alla menzione dell'acerrimo nemico ed Elmer fece toccare le loro ginocchia sotto al tavolo. Gli lanciò uno sguardo eloquente e il biondo chinò il capo imbronciato, rimembrando la sgridata a Lothering. Non conveniva intervenire nei gossip di taverna, soprattutto se si apparteneva alla fazione sconfitta che tutti infamavano. Il loro obiettivo era entrare nella torre, ricevere cure, discutere dei trattati e filarsela.

«È oltraggioso che dopo aver perduto Re Cailan i Bann si siano accordati per spodestare la regina.» fece un secondo ospite, ricevendo borbottii di assenso.

«Ben detto.» caldeggiò il giovanotto spillando vino in un boccale.

«Grazie al Creatore Anora ha nominato suo padre reggente, mentre affronta il lutto. Una donna lungimirante, come lui. Teyrna Celia la starà certamente approvando dall'aldilà.» disse la sua una terza persona, dando il via a un dibattito generale.

«Che affari avete a Kinloch, comunque?» curiosò lo spigliato cameriere, tornato con l'ordine di Kester che sorrise con gratitudine al liquido rosso.

Ormai nessuno badava a loro, occupati com'erano dal darsi manforte l'un l'altro e criticare i dubbiosi che necessitavano di prove concrete per esprimersi sull'argomento. Buffo, non era molto differente dalle riunioni di maghi alla torre. Purtroppo l'anonimato non durò a lungo.

«Sono un mago del Circolo.» Mostrò l'anello sulla mano che fuoriusciva dall'imbracatura. «Ostagar è stata tremenda. Ho subito gravi ferite che hanno rallentato il mio rientro.»

«Siete soldati di Ostagar?» si accese il ragazzo. «Rob, dobbiamo offrire loro da bere! Sono combattenti della patria.»

«Ogni brav'uomo e brava donna che hanno combattuto a Ostagar hanno il primo drink gratis.» fece cordiale il locandiere.

Sommersi di domande, in special modo dai dubbiosi, Elmer si incaricò di raccontare, non dettagliatamente, gli eventi dello scontro e di come si fosse imbattuto nel soldato Alistair e l'asserente Leliana nelle Selve Korcari durante la caotica ritirata. A Lothering non avevano potuto affidarlo a un templare, per cui i due nuovi amici si erano offerti di accompagnarlo sul lungo cammino verso casa e Bodahn si era aggiunto per strada.

«Per Andraste! Mostrate l'anello a quell'idiota.» si inalberò la centenaria. «Non può negare un mago del Circolo. Kester lo confermerà, vi conosce.»

«Ben detto, Mel. Il compito dei templari è riunire i maghi nei Circoli, quale templare ne costringe uno a rimanerne fuori?»

«Non si sa mai, ragazzo. Potrebbe esserci una valida ragione, dopotutto.» disse il traghettatore masticando piano il suo pane.

«Non hai torto, Kes.» lo assecondò il giovanotto. «I miei genitori, per esempio, non hanno voluto mandarmi alla Chiesa. Perché? Chi lo sa, ma devono aver avuto una valida ragione, come dici tu.» Caspita, quel tipo non smetteva un attimo di chiacchierare... «Mostrategli l'anello, Ser mago, e se non vi accorderà il passaggio, sappiate che per cena Rob cucinerà il miglior stufato di lepre della regione. Salverò un piatto a voi tutti, non importa se verremo assaliti da un intero reggimento di nobili affamati: i signorotti si accontenteranno di quel che c'è.»

Sembrava che la gente comune fosse più bendisposta verso i maghi di quanto avesse creduto, una scoperta rinfrescante che diminuì di una tacca la sfiducia che aveva verso il genere umano non magico. Credenti esclusi, ovviamente. Non c'era niente come l'insegnamento dogmatico per instillare paura e violenza in persone altrimenti normalissime.

Lasciarono a malincuore l'accogliente locanda e i due nani in favore di un corto battibecco con il famigerato Carroll. Nulla poté contro l'anello e la testimonianza di Kester, il quale si prese la rivincita trasportandoli alla fortezza con la sua cara Lissie.

«CHI VA LÀ?» urlarono dal molo dell'isola solitaria.

«Sono arcieri, quelli?» Il traghettatore scrutò attraverso la fioca luce della sera.

Sul pontile erano schierati una mezza dozzina di arcieri, con accanto un templare dalla mano alzata a segnalare di mantenere la posizione. Un gesto verso il basso e sarebbero stati trafitti, non importava che il biondo avesse estratto lo scudo, preparato a ergerlo in loro difesa, e Leliana avesse discretamente incoccato un dardo al suo arco. Si sentì completamente inutile senza la sua magia.

«ELMER, MAGO DEL CIRCOLO, E DUE COMPAGNI.»

«DICHIARATE LO SCOPO DELLA VOSTRA VISITA!»

«UN MESSAGGIO PER LE ORECCHIE DI SER GREAGOIR E UNA VISITA DI RISANAMENTO.»

«ATTENDETE!»

Un templare sparì svelto per le scale a riferire a chi di dovere e l'interminabile pausa che seguì fu carica di tensione. Kester si stava pentendo di averli seguiti e Elmer bloccò le braccia in procinto di eseguire dietrofront puntandolo minacciosamente con le dita steccate. Rivoleva il suo corpo integro e funzionale, col cazzo che avrebbe gettato la spugna così facilmente.

«Sto perdendo l'uso delle dita.» annunciò la rossa alitandoci sopra per combattere il freddo. «Cosa facciamo?»

«Torniamo indietro.» rispose saggiamente il marinaio.

«Potremmo nuotare dall'altra parte e sgattaiolare dentro.»

«Rappresentiamo i Custodi Grigi, Alistair, non una gilda di ladri.»

«Nuotare? Le acque sono gelate, e hai idea di cosa viva in questo lago, ragazzo?»

«Effettivamente abbiamo gettato dalle finestre fin troppe pozioni malriuscite... Non che la pesca ne abbia risentito.»

«L'anno scorso ho intravisto un pesce a quattro occhi e due bocche.» rivelò il barcaiolo, guadagnando sguardi scettici. «Nessuno mi crede.»

Furono interrotti dai padroni di casa, che gli permisero di attraccare e ordinarono a Kester di sostare in previsione di una visita rapida. Le guardie li condussero su per la scalinata stretta che collegava il molo alla piazzetta antistante il pesante portone di legno scuro, il quale venne spalancato a metà in seguito a una serie di pugni a ritmo, una frase di rito e una presentazione degli entranti.

“Finalmente.” pensò al riparo dalla temperatura sotto lo zero.

«... non reggerà un'altra ondata, Comandante.»

«Barricatela come potete.»

«Non abbiamo più nulla con cui barricarla!»

«Mantieni la calma, templare.»

«Qualcosa mi dice che non è un buon momento.» bisbigliò il biondo.

«Comandante Greagoir.» chiamò il moro, facendosi coraggio.

Avere l'autorità di pretendere qualcosa da Ser Greagoir era un vero capovolgimento della realtà, per Elmer. Era il portavoce della loro comunità, Irving, a interagire con la sua controparte templare, il resto degli abitanti della torre si limitavano ad ascoltare e fornire risposte adeguate, mentre gli inquilini ostinati che lo sfidavano esibendo un'esagerata indipendenza di pensiero venivano trascritti sulla sua lista nera (non era una diceria, qualcuno l'aveva vista!). Non era da escludere che il moro fosse già nell'elenco, a causa della sua intenzione di parteggiare attivamente per i Liberalisti, la confraternita politica dei Circoli che desiderava la secessione dalla Chiesa.

A proposito di Greagoir, era invecchiato terribilmente: le linee d'espressione erano marcate, la pelle sciupata e pallida, la sclera degli occhi arrossata e i capelli allungati e spenti. Perfino l'armatura pareva aver sofferto e sulla superficie opaca c'erano schizzi di sangue asciutto. Lo sorprese che la mano del guerriero sostasse sull'elsa della spada rinfoderata, un'abitudine che gli aveva visto usare soltanto in circostanze in cui l'uomo prevedeva guai all'orizzonte. Che cosa stava accadendo? Perché la porta interna che dava sul corridoio principale del piano terra era barricata? Chi aveva ferito i templari lì nell'atrio? Dov'erano i maghi, o perlomeno i guaritori spirituali? Elmer contò diciotto soldati, diciotto paia di bulbi oculari che seguirono vigili i suoi passi leggermente zoppicanti fino a due metri dal loro capo. Così malconcio temette per la sua incolumità, nonostante Alistair e Leliana al suo fianco. Diciotto contro tre, anzi, due, era una lotta abbastanza impari.

«Elmer.» lo salutò stancamente il Comandante Templare. Un po' più di entusiasmo, no? Non si vedevano da un secolo. «Sei sopravvissuto a Ostagar.» Adocchiò il suo stato di salute. «Mi fa piacere che tu non sia morto.»

«Davvero?» si stupì sinceramente.

«Forse.»

“Ah, ecco.”

«Quando penso che voi abbiate un cuore, ecco che mi smentite, Ser Greagoir.» scherzò.

«Perdona la mancanza di calore. Al momento sono troppo occupato per prestare attenzione alla tua insolenza, ragazzo. Bada bene, però, che non ho dimenticato il tuo ruolo nella fuga di Jowan. Non fosse stato per quel Duncan, ti avrei giustiziato.»

Ah! Eccolo qui, il caro Greagoir, il guardiano della Prigione dei Maghi, il mastino che fiutava minacce anche dove non c'erano. Il briciolo di compassione che era sbocciato alla sua condizione sfibrata si sciolse come neve al sole. Al solito doveva dimostrare chi comandava e chi era comandato, il maledetto prepotente.

«Vi prego, sorvoliamo.» intimò il più educatamente possibile.

«Ti saresti meritato Aeonar.» lo inchiodò l'altro con le iridi lucide di stanchezza e convinzione.

«Sono stato ingannato.» si difese risentito.

«Lily non ha fatto tante storie. Ha accettato il verdetto, com'è giusto che sia.»

“Tze, ti pareva.”

«Lily aveva l'animo di una martire andrastriana, io sono sempre stato un tipo pratico, mi conoscete. Ma non siamo qui per la mia sentenza mancata, Comandante.» tagliò prima che la discussione degenerasse. «I Custodi Grigi pretendono l'adempimento dei trattati firmati in passato. I maghi combatteranno contro la Prole oscura e non c'è legge della Chiesa che lo impedirà.»

Si godette lo scetticismo sul volto del sacro carceriere e l'aggrottare della fronte nel leggere il documento che Alistair gli consegnò. Sì, va bene, Elmer aveva ragione; sì, i maghi erano richiesti e avrebbero dovuto rispettare l'accordo; sì, la Chiesa non aveva voce in capitolo.

«Purtroppo» proseguì l'uomo, «temo che siate arrivati tardi. Custodi.» Il mago venne colto da un brutto presentimento e il disdegno con cui il loro titolo venne pronunciato passò in secondo piano. «Ho mandato un messaggio a Denerim per avere rinforzi e l'autorizzazione ad esercitare il Diritto di Annullamento su questo Circolo.»

«Il Diritto di Annullamento? Di che state parlando? Non è possibile.»

Da dove saltava fuori questa storia? Greagoir aveva perso il nume della ragione? Dove diavolo era Irving? Diritto di Annullamento, lo diceva come se epurare un intero Circolo fosse roba da niente. In settecento anni era stato invocato solamente diciassette volte in conseguenza a cause serie, non in base alle congetture di un bigotto paranoico.

«La Torre è perduta, infestata da demoni e abomini. Siamo stati troppo indulgenti. Prima Jowan, ora questo. Eravamo preparati a un paio di abomini, non all'orda che si è scagliata contro di noi.» spiegò costernato, fissando un punto a livello del busto del mago, perso nelle immagini della sua mente.

Elmer alzò un sopracciglio incazzoso e altamente diffidente. Contemplò il portone oltre cui un esercito di mostruosità si supponeva in agguato, in completo silenzio, pronto a balzare su poveri templari indifesi, invece di abbattere semplicemente l'ostacolo. Non un alito maligno era captato dai suoi sensi, il che, malgrado non fosse una garanzia, era un dettaglio importante. Il Picco del Soldato era stato una lezione preziosa in demonologia e lui questa baggianata non se la beveva.

«Quando dovrebbe arrivare il responso della Somma Sacerdotessa?» chiese in tutta calma.

«Il piccione messaggero è partito due giorni fa. In meno di una settimana riceveremo il suo consenso, e truppe fresche, mi auguro.»

«Allora non vi dispiacerà se nel frattempo io e i miei compagni diamo un'occhiata in giro, vero?»

«Cosa?» Greagoir era chiaramente perplesso.

«È vietato uscire, non entrare.»

«Custode, pensate sia questo il miglior modo di affrontare la questione?» dubitò della sua sanità mentale la schizofrenica dai sogni premonitori.

«Elmer, sei sicuro?» tentennò il suo cosiddetto fratello.

«Se sono sicuro?» ripeté senza spezzare il contatto visivo col mastino. «Ti dirò di cosa sono sicuro, Alistair. Sono sicuro che oltre quella barricata siano intrappolati maghi innocenti, fiduciosi che i templari giungeranno presto a salvarli. Sono sicuro che qualunque cosa stia veramente accadendo sia una scusa per soddisfare le paranoie di un vecchio che ha nostalgia dell'uso della spada. Sono sicuro che, quando lo troverò, il Primo Incantatore avrà tante cose da raccontare a me e alla Somma Sacerdotessa. Infine, sono sicuro che il Comandante Greagoir non negherà ai Custodi Grigi il diritto di parlare dei trattati con i diretti interessati, che si trovano al di là di quella porta. Mi sbaglio, Comandante?»

Il suddetto Comandante e i templari lì radunati stavano fumando di rabbia.

«La tua arroganza sarà la tua rovina. Ricorda queste mie parole, quando i demoni ti consumeranno.»

Mostrò un sogghigno trionfante, immune a qualunque ripercussione religiosa. Per una volta essere Custode Grigio era una gran figata.

«Lasciatemi indovinare: avete la sensazione che succederà presto.»

«Varcata quella soglia, non potrete tornare indietro.» lo ignorò, mortalmente serio. «Finché non avrò la prova che la torre è in sicurezza, il portale rimarrà sigillato.»

«Che tipo di prova?»

«Crederò che sia finita soltanto se sarà il Primo Incantatore in persona a comunicarmelo. Se Irving è caduto, allora il Circolo è perduto.»

Il Comandante precedette la sua sarcastica replica (ce l'aveva sulla punta della lingua, dannazione!) istruendo i suoi sottoposti di disporsi a mezzaluna davanti alla porta e di liberarla dagli oggetti adoperati per sbarrarla. Con cauta lentezza tirarono la maniglia a cerchio, aprendo una delle spesse ante d'acciaio e permettendo loro di procedere. Elmer lo fece a testa alta, incurante delle occhiatacce e dei pronostici negativi. Che andassero pure tutti a quel paese. La crisi era stata ingigantita a dismisura e Irving l'avrebbe testimoniato.

Stavolta era Greagoir a dover temere ripercussioni per le proprie azioni.




Note dell'autore:
Oh. Mio. Deus. Oh mio Deus! Ho pubblicato un capitolo! L'ho scritto in una settimana! È passato un anno! XD
Beh, godetevi la felicità momentanea, voi lettori che perseverate sulla mia Origins, perché il prossimo capitolo dovrà comprendere TUTTA la missione Il Circolo spezzato e ci metterò una vita a prepararlo. Al solito rigiocherò a Dragon Age Origins per imprimermi bene la quest in testa (tranquilli, ho il salvataggio al Circolo pronto che mi aspetta).
Comunque, come avevo detto precedentemente, sto cercando di andare veloce. Adoro questa fanfiction, ma voglio finirla, sia per me che per chi la legge. Ovviamente i tempi non li so, quindi incrociate le dita assieme a me :D

Fatemi un fischio se vedete errori e per favore ditemi se qualcosa suona strano. Ce la metto tutta a trovare sinonimi e alle volte mi sembra di esagerare, perciò mi occorre un secondo parere.
Questo capitolo non ha tante descrizioni, mi sono concentrata sulle cose essenziali per trasmettere la situazione e velocizzare. Nel prossimo capitolo ovviamente ce ne saranno di più ^^
Siccome sono lazzarona, ho deciso di smetterla con lo spazio precedente dialoghi e pensieri. Mi auguro che non sia un problema XD

Spero vi sia piaciuto e che vi ricordiate ancora di Elmer e di quanto ami se stesso! Grazie di aver letto, alla prossima :)

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Capitolo 28
*** Torre del Circolo / Fine ***


La robusta porta di acciaio venne sigillata dietro di loro, riformando il simbolo del sole andrastriano scolpito al suo centro. I cigolii dei meccanismi di chiusura furono involontariamente la musica di accompagnamento più adatta alla loro entrata. Ser Greagoir avrebbe di certo gongolato della sua perdita di arroganza, ma l'uomo, insieme alle esclamazioni dei compagni, era scivolato lontano dalla mente del moro nell'esatto istante in cui aveva visto la ventina di cadaveri sparsi lungo il corridoio.

Giovani e giovanissimi giacevano a terra, in posizioni innaturali, le carni e le vesti deturpate da ferite mortali. Il sangue rappreso sui corpi non ancora putrefatti, sul pavimento e sulle pareti aveva un colore scuro e spento, che si abbinava al pallore delle pelli e alle orbite vacue. Sembravano bambole lacere e sporche, gettate al freddo del dormitorio degli apprendisti, nel silenzio totale dell'area più viva del Circolo. Svelto, varcò la porta scardinata a destra, entrando nello stanzone in cui aveva abitato dall'età di sette anni. Alistair fu subito un passo avanti a lui, spada sguainata e scudo alzato.

I suoi occhi sgranati non sapevano dove posarsi per primi: letti, comodini, bauli, libri, pergamene e oggetti personali erano in disordine ma per lo più intatti; un gruppetto di piccole figure era stato carbonizzato in un angolo; altri cadaveri erano disseminati per l'ampia camerata. L'odore del sangue era più intenso che al Picco del Soldato, superato solo da quello di carne bruciata.

Una mano cinse il suo braccio, e si accorse del suo respiro accelerato e del tremore che lo percorreva. Di fronte all'orrore che nemmeno i suoi incubi peggiori avrebbero potuto congiurare, non riuscì a comprendere le parole di Leliana. Conosceva il nome di ognuno di quei cadaveri, la loro voce, il loro libro preferito e un'infinità di altri sciocchi o importanti dettagli che da oggi non esistevano più.

«Elmer? Elmer, per favore, riprenditi.» Le dita dalle punte gelide e il materiale ruvido dei mezzi guanti sul suo viso lo riscossero parzialmente dallo stato di comatosa sofferenza in cui era precipitato.

«Non... non capisco.» sussurrò. Gli parve un urlo nella quiete mortale.

«Mi dispiace, Elmer. Mi dispiace tanto.» Non si oppose al suo abbraccio, ma non lo ricambiò.

“Sono morti... tutti... È davvero la realtà, questa?”

Sì. Ne erano prova il corpicino esile di Milly, privo di un avambraccio e con metà bocca spellata, a mostrare i denti da latte mancanti, e quello più grande di Senel, riconoscibile dal tatuaggio dalish sul collo sfuggito alle ustioni, dettagli che le illusioni demoniache non avrebbero mai saputo cogliere.

Alistair seguì il suo sguardo e si chinò presso la bambina. Scostò delicatamente le ciocche strinate, coprendo il lato scorticato. Giunse le mani alla fronte ed esordì in una preghiera, un triste mormorio che echeggiò nella sala. Quel semplice atto di compassione lo infastidì.

«Il Creatore non la riporterà indietro.» lo aggredì con voce roca.

Erano morti, niente e nessuno avrebbe cambiato l'ineluttabile fatto, tanto meno Alistair, un ex-quasi templare che con i maghi non andava nemmeno d'accordo. Di certo non era stato amico della sua famiglia, gente imprigionata in una torre e lasciata a morire dalla sua Chiesa. Che diritto aveva di compiangerli? Era una cazzo di presa in giro!

«La preghiera serve tanto ai defunti quando ai vivi, Elmer.» difese dolcemente Leliana, affatto sorpresa dalla sua reazione. «Il Creatore non la riporterà indietro, ma il Suo amore condurrà la sua anima alla luce e i nostri cuori lontano dalle tenebre che minacciano di soffocarci nella tristezza.»

«Non ci sarebbe stato bisogno della Sua misericordia se i templari avessero fatto il loro fottuto lavoro invece di divertirsi alla caccia ai fantasmi.» ringhiò, liberandosi dalla sua presa.

«Mi dispiace, Elmer.» disse il biondo. «So cosa-»

«Oh, ti dispiace? Vuoi sentire cosa penso del tuo cazzo di dispiacere?»

Il povero Custode ammutolì e Elmer si morse la lingua allo stupido formicolio colpevole nello stomaco. Si girò in qualunque direzione che non fosse il faccino da cane bastonato di Alistair e d'abitudine andò verso la fronte e i capelli. L'arciere tirò fuori dalla manica una qualche frase di solidarietà nel momento in cui Elmer si accorse che le dita steccate rendevano irrealizzabile il suo metodo antistress. Inutile dire che l'incazzatura si elevò e che gli incoraggiamenti ottennero il risultato opposto.

«Non possono essere tutti morti. È impossibile.» troncò bruscamente qualunque cosa stesse blaterando. «La maggior parte di loro sono... erano apprendisti. Dov'è il resto degli incantatori? Dove sono i demoni e gli abomini?» continuò agitato con un ampio gesto del braccio funzionante. «Dobbiamo scoprire cosa è successo, dobbiamo trovare i sopravvissuti.» Si incamminò verso la porta scardinata. «E farla pagare al fottuto Greagoir.»

 

Per poco non gli sfuggì un guaito di sollievo quando incontrarono il folto gruppo di maghi scampati al macello dietro la porta che dal corridoio dava a un modesto atrio, affollato di quasi una cinquantina tra incantatori, apprendisti e templari. La confusione era tanta: i feriti sedevano o erano sdraiati per terra su tuniche e coperte; una quindicina stava di guardia alle entrate e alla barriera che bloccava la via ai piani superiori; un templare conduceva gli apprendisti in preghiera, un'altra era rannicchiata in un angolo con gli occhi sbarrati e su di lei si sorreggeva un collega addormentato dal capo fasciato; gli incantatori anziani e due templari discutevano nell'angolo a nord. Il luogo era illuminato da candele e globi di magia, rischiarato a giorno o in penombra per non disturbare gli allettati.

Il loro arrivo fu accolto prima da spavento, poi sorpresa e infine speranza, la quale disgraziatamente avrebbe dovuto schiacciare con la tragica notizia dell'Annullamento.

Mentre venivano immediatamente invitati a parlare, fu felice di vedere facce note, tra cui Kinnon, Petra, Eadrin, Finn, perfino Keili la Pazza e Anders. Gli Incantatori Anziani Wynne e Torrin avevano ristabilito un ordine nella follia, ed Elmer non poté che inorgoglirsi dei suoi maestri, alla faccia delle frecciatine di Morrigan sui “topi da biblioteca”.

Saltò fuori che Uldred era, apparentemente, la causa di tutto. All'ultimo incontro dei maghi anziani sembrava che Uldred avesse scatenato il pandemonio, gettando il Circolo nel caos per motivazioni personali. Mancavano di dettagli cruciali, però, il che complicava le cose. Quale incantesimo aveva usato? Quale demone aveva invocato? Ne aveva perso il controllo o le sanguinose conseguenze erano volute? Affrontare un mago esperto senza essere pronti significava giocare con la sorte.

«Greagoir ha richiesto il Rito di Annullamento. Abbiamo meno di una settimana per trovare il Primo Incantatore e convincere il Comandante a riaprire le porte.» si decise a confessare a malincuore.

«Quel bastardo.»

«Badate alla vostra bocca, Incantatore Sweeney. È del Comandante Templare che state parlando.»

Bran, tsk. Se credeva che il simbolo sulla sua armatura bastasse a tappare la bocca del vecchio Sweeney, si sbagliava di grosso. La senilità non aveva limato le unghie della belva stempiata. Purtroppo non era il momento per i litigi, nonostante fosse tentato di ascoltare la sicuramente singolare replica del mago attempato.

«Dobbiamo trovarlo. Greagoir aprirà la porta solo a Irving.»

«Andrete a morire. Non c'è più niente al di là della barriera.» opinò il pessimista.

«Che assurdità!» ribatté il moro. Al suo fianco Leliana gli toccò il braccio buono, Alistair si mosse innervosito. «Il Primo Incantatore è il migliore di noi, certamente avrà stabilito uno o più punti sicuri a sua volta. Nel suo ufficio ci sono potenti artefatti e pergamene, e il deposito è ricco di risorse. Chiunque li abbia raggiunti avrà avuto un discreto vantaggio.»

«Oh, sentitelo. Il Custode è arrivato e tutto si sistemerà come per magia.»

«Ehi!» protestò il biondo.

«Il gruppo partito ore fa non è tornato.»

«Suggerisco una pausa.» propose Torrin, massaggiandosi le tempie.

«Una pausa?!» Guardò uno a uno i presenti, sconcertato. «Non abbiamo tempo per una pausa. Dobbiamo ripulire il piano terra, creare una nuova barriera alla scalinata, e così via, piano dopo piano.»

«La missione del gruppo precedente era prendere il cibo dalla mensa. Chi li ha più visti? Pensi che soltanto perché ora sei un Custode Grigio-»

«Bran.»

Il templare Arnaud non aveva gridato. Bastò uno scambio di sguardi e Bran si accomiatò fumante, facendosi largo tra i mormorii sommessi e il pianto soffocato di uno o due marmocchi. Resosi conto dell'effetto che la conversazione aveva avuto sulla folla, Elmer si calmò un poco, tuttavia trovò che i suoi colleghi anziani fossero da rimproverare tanto quanto Bran. Che ritrovassero alla svelta la ragione e la lingua, o la loro casa sarebbe diventata la loro tomba. Ops. La loro casa era già dal principio la loro tomba, che sciocco a dimenticarsene. Doveva essere stata tutta la libertà di quel periodo ad avergli dato alla testa.

«Direi che una pausa serva a tutti. La riunione è sciolta.» ribadì Torrin. «Dovresti vedere un guaritore, Elmer. Sembra tu ne abbia bisogno.»

«Accettiamo con gratitudine l'offerta.» intercettò la sua maleducata risposta Leliana, spostandolo di forza verso l'area feriti. Per poco non le urlò dietro. «La calma è la virtù dei forti, Covaltin.» gli bisbigliò. «Insistere adesso ti priverà di alleati.»

«I miei alleati moriranno tra sette giorni, se non si decideranno a muovere il culo.» soffiò inferocito.

«È il soffiare del mio gatto preferito quello che odo?»

Per poco non urlò dietro pure a Anders.

Il guaritore sostava in piedi tra i pazienti, strofinandosi le mani in uno straccio rossastro che depositò sulla sua spalla con uno schiocco. Non era per nulla spaventato dall'aura omicida del moro, d'altronde c'era abituato.

«Meno scemenze, più incantesimi, Anders. Rimettimi in sesto così ce ne andremo finalmente via da qui.» disse stendendosi sulla coperta indicata con l'aiuto dei due compagni.

«E poi sono io quello coi piani di fuga.» Le occhiaie scure tolsero parte del suo sarcasmo. «Vedo che l'investitura a Custode non ha cambiato il tuo amabile carattere.» Elmer storse la bocca. «Ho capito, ho capito. Farò del mio meglio, ma non aspettarti miracoli. Siamo a corto di lyrium e pozioni e io non dormo da... Non lo so, l'ho scordato.»

«Vi ringrazio, ser mago. Ho cercato di arginare il danno con ciò che avevamo a disposizione. Spero di non aver peggiorato le cose.»

«Leliana è troppo modesta. Non fosse per lei, Elmer se ne andrebbe in giro con un osso all'aria aperta.» ridacchiò debolmente il Custode.

«Che bella visione. Che ne direste di procurarmi i medicamenti necessari? Sono laggiù, sulla seconda cassa a destra. Chiedete a Finn.» istruì gentilmente il guaritore.

«Alistair, potresti-» Elmer la precedette.

«Io e il mio amico non ci vediamo da tanto, Leliana.» La donna lo considerò per alcuni secondi. Alistair passò uno sguardo preoccupato dall'uno all'altra.

«Ma certo, Elmer. Vi lasceremo la vostra privacy.» Si accomiatò con un sorriso e una carezza al ginocchio.

«Ora siamo amici?» scherzò l'eterno fuggiasco una volta che i due furono lontani, mentre la luce magica delle sue mani lo esaminava. «Non ho ricevuto la lettera di partecipazione al suo ristretto entourage, Vostra Grazia.»

«Sei il solito buffone.»

«La prigionia non mi toglierà mai il senso dell'umorismo.»

«Buon per te.»

«Quella donna ha le labbra più belle che io abbia mai visto. Chiesa?»

«Mh-mh.»

«Eh. Quelle proibite sono sempre le più belle.»

«L'altro è un ex templare.»

«Andraste. Ti sei trovato proprio dei bei compagni.»

«Non ne hai idea.»

«Oh, povera vittima delle circostanze.»

«Se vuoi mi metto a piangere.»

«Sei più bello quando sorridi.»

«Il mio didietro sta benissimo, guaritore. Può togliere la mano.» Anders ridacchiò e desistette dallo scherzoso palpeggiamento. «Diagnosi?»

«La notizia buona è che ti rimetterei in sesto in circa un'ora e mezza, più due giorni di riposo. La notizia cattiva... diciamo notizie. Per il piede non c'è nulla da fare.» Si riferiva alla ferita di Ostagar, quando il piede era stato trafitto da una freccia e aveva dovuto sistemarlo da sé.

«Non importa. Dà fastidio soltanto quando cammino molto, e neanche più di tanto. Ci convivo.»

«Perfetto. L'altra cattiva notizia è che sono a corto di magia.»

«L'avevo immaginato. Non hai esattamente una bella cera.»

«Grazie, raggio di sole.»

Fu il suo turno di ridacchiare a sue spese, un momento assai breve. La cera poco salutare e la situazione generale li ancoravano dolorosamente al presente. Anders espresse la sua preoccupazione per le esigue risorse e per le vite che di lì a poco sarebbero trapassate. Le ultime ampolle di lyrium erano state suddivise tra Wynne, i guaritori e i templari, ed era straziante dover anteporre la barriera e i soldati alla salute di chi proteggevano. Senza menzionare il decidere quale paziente avesse la precedenza.

«Mikael ha scelto di salvare Indre invece che Faras.» mormorò accennando al corpicino interamente coperto da un telo nell'angolo riservato ai... caduti. «La guerra è più importante dei bambini, per lui.» sbuffò, eppure, malgrado il dolore per la perdita di un innocente a malapena capace di creare una pallina di luce, Elmer non condivideva la sua opinione.

«Mi spiace, ma non gli do torto. La situazione è grave. Mikael ha deciso di salvare un mago in grado di difendere i superstiti. Cos'avrebbe potuto fare, Faras, contro i demoni?»

«Eccetto che la barriera tiene, e ora Faras è morto.» ringhiò tra i denti il guaritore.

«E Indre non merita di vivere?»

«Non ho detto questo.»

«Allora fattene una ragione. Non c'è quasi mai una decisione più giusta delle altre, qua dentro, lo sai benissimo.» Anders si morse le labbra, voltando ostinatamente la testa altrove. Elmer attese che si calmasse e riprese su un'altra pista. «I vecchi sono stati di poche parole. Dimmi cosa è successo. Com'è iniziato tutto?»

«Dritto al punto, eh?»

«Non hai bisogno di essere consolato.» Non era molto fraterno da è parte sua, ma la pazienza iniziava a scarseggiare. Dovevano agire, e presto. «Racconta. E dopo mi aiuterai a oltrepassare la barriera.»

«Vuoi oltrepassare la barriera?»

«Cos'è quella faccia sorpresa? Credevi davvero che me ne sarei stato qui buono ad aspettare che i vecchi si decidessero?»

«Beh...» Anders fece spallucce. «Sei sempre stato il bambino modello che dava retta ad adulti e regole. Ma forse avrei dovuto aspettarmelo. Hai aiutato Jowan a scappare.» L'aveva detto con una certa ammirazione, tuttavia bastò il rabbuiarsi del moro a fargli cambiare argomento. «Dunque. I fatti.» Si accomodò a gambe incrociate e spostò una lunga striscia di capelli sporchi dietro l'orecchio. Avrebbe dovuto tagliarli. «Tieni presente che io sono stato scarcerato solo di recente, e che nessuno dei testimoni diretti è tra noi, perciò queste sono tutte notizie di seconda mano.»

«D'accordo.»

«Bene.» Anders si umettò le labbra. «Dopo Ostagar, una sconfitta brutale, se non erro, i nostri hanno lentamente fatto ritorno a casa. Uldred ha cominciato con i suoi comizi preferiti. Sai, libertà dalla Chiesa, dai templari, eccetera. Solo che a questo giro aveva un argomento appetitoso: un'alleanza con Loghain, che una volta salito al potere avrebbe ordinato alla Chiesa di toglierci il guinzaglio.»

«Tze. Come se la Chiesa prendesse ordini dai re. Un re traditore, per giunta.»

«Già. Ma nessuno ha saputo del suo regale voltafaccia finché non è arrivata Wynne a spifferare. La vecchia volpe ha indetto un'assemblea nella Sala del Tormento, e dopo poco abbiamo udito le urla. A quanto pare demoni e abomini sono stati evocati da qualcuno. Ovviamente sospettiamo Uldred.»

«Ovviamente.» Il mago rimuginò sulla semplice spiegazione degli eventi. «Per sistemare le creature dell'Oblio bisognerà raggiungere la sala e annullare l'incantesimo di evocazione.» pensò ad alta voce. Non erano molti più dettagli di quelli forniti dagli anziani, maledizione. «E Irving? Qualcuno l'ha visto?»

«Non che io sappia. Il vecchio avrà combattuto in prima linea, dato che era a capo dell'assemblea. Difficile credere che sia morto, però.» Elmer sogghignò, colto da memorie di un vispo Irving, sempre un passo avanti agli altri. Gli mancava. «La vecchia volpe perde il pelo ma non il vizio, giusto?» Ridacchiarono insieme. «Ti ricordi quando è tornato mezzo stecchito dalla missione contro i tevinteriani ad Amaranthine? Creatore, sembrava sul punto di tirare le cuoia e invece...»

«E invece ha avuto abbastanza fiato per illustrare cortesemente al Comandante Templare quanto fosse disdicevole l'idea di osservare i maghi perfino durante il bagno e l'espletamento dei bisogni.» sghignazzò il moro.

«Oh, no, permettimi di riportare parte della famosa conversazione.»

«Eri lì?!» esclamò invidioso.

«A portata d'orecchio. Avevo una lezione di guarigione, perciò eravamo nella stessa ala.» Anders si schiarì la voce. «Non ricordo le parole esatte, ma è andata così: “un'idea dell'Oblio! Sto via un mese e quel poco di cervello che ti rimane dalla vecchiaia lo ficchi tra le chiappe! È inaccettabile!”»

«Stai scherzando?»

«No.»

«Com'è che Greagoir non gliel'ha fatta pagare?»

«A sua difesa Wynne, che lo stava curando, ha assicurato che lo sfogo emotivo fosse provocato dall'alta febbre. E che una leggera amnesia dopo il suo decorso fosse quasi assicurata.»

«Andraste, avrei voluto assistere. Hai una maledetta fortuna.»

«Eh. Dipende dai punti di vista.»

«Perdonate l'interruzione.» La tunica annerita e bucherellata dal fuoco non donava particolarmente a Petra, che si inginocchiò accanto a loro. «Elmer. Sono contenta che tu sia tornato.» disse con affetto. «Come stai?»

«Dalla lingua tagliente direi che il paziente non è in condizioni gravi.»

«Vorrei cambiare medico.»

«Ma sono il migliore!»

«Il Creatore sia lodato. Avevo proprio bisogno di sorridere.» sospirò la ragazza. «Ti porti queste ferite da Ostagar?» Al suo eloquente silenzio lei sorvolò. «Non ho potuto fare a meno di ascoltare la conversazione con gli anziani, e vorrei fornirti altre informazioni.» Elmer annuì. «Temo che la barriera non reggerà ancora a lungo.»

«Cosa vuoi dire?» bisbigliò allarmato il guaritore.

«Si tratta di Wynne.» ammise la ragazza con rammarico. «Stavo scendendo nella biblioteca quando ho sentito un urlo e un demone è sbucato fuori dal nulla.» si fermò per prendere un respiro. «Ero... spaventata. I suoi occhi... erano infuocati di malvagità. Mi sono bloccata. Ero sicura che mi avrebbe ucciso. Wynne si è frapposta tra noi. Ci sono state luci e fiamme e... Una volta finita, il demone era morto, ma Wynne era immobile. Completamente immobile, come una statua. Ho creduto che fosse morta. Tuttavia, quando mi sono avvicinata per aiutarla, si è mossa e ha tossito. Così, all'improvviso.» Si morse le labbra. «Sono stata talmente sollevata dal fatto che non fosse morta a causa mia che non ho più voluto pensare all'accaduto, però... Non pare sia ferita, eppure non può esserne uscita incolume. Dovremmo tentare il tutto per tutto prima che sia troppo tardi.»

«Sei fortunata.» disse Anders dopo qualche attimo di silenzio. «Il nostro Elmer ha in mente di...»

L'arrivo dei due compagni, con ciò che il guaritore aveva genericamente richiesto, interruppe lo scambio di segreti. Le due coppie si lanciarono sguardi sospettosamente educati, finché Elmer ebbe pietà di loro, rinunciando alla scenetta comica.

«Siete arrivati giusto in tempo.» spezzò il disagio. «Ho un piano.»

Per prima cosa Elmer doveva rimettersi in forma. Era un Custode Grigio e aveva un lavoro da portare a termine, per cui i trattati avrebbero coperto le sue spese mediche. Ciò significava richiedere maggiori pozioni di lyrium e spendere le ultime energie di Anders. Dopodiché occorreva preparare una pozione rinvigorente di pregiata qualità, della durata di otto ore circa, per permettere al moro di muoversi come se il suo corpo non avesse mai subito alcun danno. Cessati i benefici della pozione, non sarebbe riuscito a muovere un dito per un paio di giorni, ma si sperava che in quel lasso di tempo avrebbero fermato Uldred. C'erano soltanto due problemi: gli ingredienti necessari, rari e costosi, erano al magazzino, e i superstiti non sembravano inclini a regalare il poco che possedevano.

«Io e Leliana andremo al magazzino, così il mago potrà mettersi all'opera su di te.» sussurrò Alistair nel semicerchio. Parevano bambini a fare comunella.

«Il mago ha un nome, templare.» punzecchiò l'interessato.

«N-Non sono un templare! Cosa gli hai raccontato?»

«Ho detto ex templare.» se ne lavò le mani il moro.

«Mi chiamo Anders. Cerca di ricordatelo, quando ti servirà una cura per il cranio spaccato.»

«Per favore, andiamo avanti.» pregò gentilmente l'ex asserente. «I maghi e i templari accetteranno di assisterci?»

«Abbiamo i trattati.» Il biondo si picchiettò il fianco, dove in un borsello giacevano i documenti. «E gli incantatori anziani sembrano ragionevoli.»

«Non li conosci bene.» commentò il fuggiasco.

«È una situazione terribile, tuttavia non hanno il diritto di impedire ai Custodi Grigi di continuare la battaglia contro il Flagello.» disse Leliana. «Inoltre posso parlare con i templari e convincerli dell'importanza della nostra causa.»

«Sono sicuro che con una voce come la tua nessuno ti dirà di no, mia cara.»

«Anders, non cominciare.» sospirò Petra.

«È un semplice apprezzamento delle sue qualità. Sei gelosa?»

«Ci serve un piano B.» proseguì il moro. «In caso decidano che rimanere rinchiusi in questo buco fino all'Annullamento o all'invasione dei demoni sia preferibile a tentare la fuga.»

Le iridi di Leliana scintillarono nella penombra. Elmer si convinse che non avesse nulla a che vedere col suo essere un po' picchiatella. La donna si offrì di rubare e scippare l'indispensabile per la loro sacra missione in caso di mancata collaborazione. Wynne sarebbe stata l'ultimo ostacolo.

«Scusa, che lavoro facevi prima di diventare asserente?» domandò Anders. Leliana si limitò a rispondere con un sorriso zuccheroso.

«Non porre domande di cui non vuoi sapere la risposta.» consigliò saggiamente il moro. «Aiutatemi ad alzarmi. Ne parlerò prima con Torrin e Wynne.»

I due maghi anziani furono incredibilmente recettivi, tutto considerato. Ammisero che la sopravvivenza era la prima delle loro preoccupazioni, tuttavia, se i due unici Custodi del Ferelden fossero deceduti, il Flagello avrebbe divorato la nazione, espandendosi oltre i suoi confini. Che senso avrebbe avuto, allora, sopravvivere a quell'incubo per poi essere risucchiati in un altro? La speranza che Greagoir li risparmiasse dall'Annullamento traballava perfino nel cuore dei templari superstiti e il templare Arnaud, un veterano del Circolo, rispettato dai compagni, aveva confessato in un momento di sentimentalità di voler dare un senso alla propria dipartita, se proprio doveva lasciare questo mondo.

«Ah! Dovremmo sacrificare le nostre scorte per la vostra missione suicida, adesso?» sbraitò Bran quando la questione fu portata a galla.

«Di cosa ti lamenti, Bran? In meno di una settimana i tuoi amici ci annulleranno tutti comunque.» cinguettò Anders. Bran sputò un paio di bestemmie.

«Capisco la vostra impazienza, Custodi.» si intromise l'incantatrice Leorah. Perché tutte le volte che un mago lo additava a Custode si sentiva preso a schiaffi? «Ma abbiamo già deciso-»

«Mi dispiace, Leorah.» la interruppe Wynne. «Sottovaluti il potere dell'Annullamento. Quando i templari apriranno le porte non ci sarà nessuna occasione di dialogo. Credere altrimenti è un'ingenuità che non possiamo permetterci.»

«Il Comandante Greagoir ci conosce da anni. Ci ascolterà. Se non noi, almeno i suoi templari.»

«Sono d'accordo.» disse Bran. Più che una dichiarazione, sembrava volesse convincere se stesso.

«Io non ne sono così sicuro.» si levò la voce calma e grave di Arnaud. «Conosciamo il nostro Comandante. Non manca mai al suo dovere, per quanto doloroso esso sia.» Seguì una pausa irrequieta, colma di dubbi e ricca di ansia. Fattosi due calcoli, Elmer colse la palla al balzo.

«L'Annullamento è definitivo.» annunciò con drammaticità, rivolgendosi a tutta la sala. «Aspettare non farà altro che ridurci alla fame e alla sete, rendendo il compito più facile ai giustizieri. E allora vi chiederete se non sarebbe stato meglio perire per mano dei mostri, piuttosto che per quella che credevate amica.» Una versione rivisitata del discorso del Comandante Clementine di Onore e gloria. Lasciò che la tensione serpeggiasse nell'atrio per qualche attimo. «Non è meglio combattere per la propria vita e quella dei nostri compagni, piuttosto che chinare direttamente il capo e offrirlo al boia? Non volete vivere?» Si voltò verso Bran, il più ostinato degli oppositori. «Se non volete condividere le vostre poche scorte, andrò io stesso a procurarmele. Vi sta bene?»

«Con quel braccio e quella mano morirete nel tentativo.» fu l'utile commento del templare. Mai che fosse d'accordo, quel bastardo di un bastian contrario!

«In quel caso non dovrete più preoccuparvi di me.» ribatté il moro. «Incantatrice Wynne, abbassate un momento l'incantesimo. Devo passare.»

Senza una parola Alistair e Leliana si posizionarono al suo fianco sulla via per la barriera. Oltre il velo nebbioso li aspettava un corridoio aperto. Oltre esso, c'era la biblioteca e oltre questa, al primo piano, il deposito. Wynne si avvicinò all'incanto con una mano sollevata e una silenziosa approvazione.

«Aspettate.»

«Line, no. Non andare.»

Una guerriera districò le dita dalla presa di un compagno disperato. Era la templare col viso sbarrato che aveva notato all'arrivo. Doveva provenire da Ostagar, poiché non la riconosceva.

«Basta, Trevor.» disse decisa. «Il Creatore ci ha mostrato la via. Voialtri state pure qui a crogiolarvi nei vostri piagnistei, impauriti e persi. Io seguirò la Sua luce.» Mai avrebbe immaginato di associare sentimenti positivi all'avanzata di un templare verso di lui, eppure, quando la donna si fermò vicino a lui infilandosi l'elmo, si sentì in qualche modo più sicuro. «Il mio nome è Line. Vi accompagnerò, Custode.»

Fu come se un incantesimo (metaforico) fosse stato infranto. Petra, Kinnon, due maghi anziani e Arnaud e due templari si unirono a loro. Bran cercò di ostacolarli ma le sue parole mancavano di forza. Arnaud suggerì di lasciare Elmer nell'atrio, dato il suo stato, mentre il gruppo avrebbe raccolto il necessario per le sue cure. E così fu.

Un paio di ore dopo la decina di eroi ritornò con buone notizie e altri superstiti.

Owain, l'Adepto della Calma responsabile del deposito, che si era nascosto alla sua postazione durante il massacro, li aveva assistiti nel recuperare ogni oggetto utile, e aveva rivelato di aver indirizzato il gruppo andato in cerca di cibo verso quello rintanato nell'ufficio di Irvine. Al loro secondo passaggio dal deposito, Nial era a capo di una spedizione di sette maghi e tre templari. Sfortunatamente il messaggero che avrebbe dovuto riferire i cambiamenti al gruppo dell'atrio era stato ucciso nella biblioteca.

«L'incantatore Niall è in possesso della Litania di Adralla e si sta dirigendo verso la sala del Tormento.» annunciò Arnaud.

L'artefatto magico impediva la dominazione della mente e ciò significava la presenza di magia del sangue. L'interrogazione di una maleficar sulla via per l'ufficio del Primo Incantatore era la prova che Uldred aveva effettivamente iniziato una rivolta per la libertà. Purtroppo aveva perso il senno e i demoni invocati erano liberi dal suo comando, trasformando i suoi alleati umani in carne da macello come il resto degli abitanti della torre.

 

 

***

 

 

Ragazzi, io ci ho provato, ma proprio non riesco a finire questa ficci che ormai mi pare infinita. Chiedo scusa a chi la stava seguendo. Ed è pure buffo che sia iniziata con Torre del Circolo e finisca con Torre del Circolo! Sarà destino!

PERÒ

dato che so quanto è doloroso non sapere come sarebbe andata a finire una storia, vi metto i punti chiave che avevo programmato. Così la voglia di ammazzarmi vi passa XD

 

Cosa succede al Circolo:

  • Line è un personaggio originale e una gran guerriera che combatte con martello e ascia appuntita. Volevo mettere un esempio di vero templare con sani principi. La adoro.

  • È assurdo che solo quella poca gente che appare nel videogioco sia sopravvissuta, perciò ho pensato che soltanto poco più della metà del Circolo sia stata uccisa. Sono maghi e templari preparati, dai. Sicuro che si saranno separati in gruppi e aspettano solo di essere riuniti, perciò man mano che saliamo di piano c'è sempre qualcuno che si unisce al gruppo principale. Col cacchio che bastano quattro personaggi a salvare la giornata, è più realistico un lavoro di squadra.

  • Come scritto sopra, Elmer è guarito da Anders, che stanco morto rimane nell'atrio. Con la pozione Elmer riesce a combattere al 150%, così da avere una chance concreta di battere il boss finale, che guarda caso è il demone del suo Tormento! Più comodo per Uldred, infatti, mettere al guinzaglio un demone già “addomesticato” dal Circolo, solo che non aveva calcolato bene la sua forza, dopo essersi pappato i maghi che hanno fallito la prova.

  • Nel pezzo dentro l'Oblio, Elmer diventa più affine alla specializzazione mutaforma, alla faccia di Morrigan :D

  • Purtroppo Cullen conferma che la nostra Neria è morta :(

  • Alla fine della missione e dopo due giorni di assoluto riposo, Elmer ha una chiacchierata a cuore aperto con Irving in cui confessa di voler mollare tutto e fuggire via verso la libertà. La vecchia volpe lo convince a restare e combattere la prole oscure con maghi al suo fianco, una mossa politica che avrebbe aiutato la reputazione dei maghi nel Ferelden. Famiglia!

  • In più, Irving promette di studiare il sangue dei Custodi e prole oscura per aiutare Elmer a sopravvivere all'Unione.

  • In tutto questo casino nessuno ha controllato la posta! Ecco che salta fuori la lettera da Redcliffe riguardante la salute dell'Arle, e Wynne si unisce al gruppo con favore di Irving e il brontolare di Greagoir. Anche Line decide di andare con loro, perché 1. mi sta troppo simpatica, e 2. è una donna d'azione.

  • Tra parentesi, ero indecisa se fare del cameriere alla Principessa Viziata un mago del Collettivo, così parla con Elmer e lo mette in contatto con loro e le loro missioncine secondarie :)

 

*Dopo la missione al Circolo, ho meno dettagli, perché di solito rigioco il pezzo e poi ci ricamo sopra scrivendo.

 

In barca si va a Redcliffe. Raccattando Morrigan, purtroppo.

 

  • Ci riuniamo al nostro caro Faren che convince Dwyn e la sua banda (di cui è entrato a far parte) a combattere per il villaggio.

  • Ci riuniamo anche con la nostra Regar e il mabari Adro che stanno aiutando ad addestrare i cittadini per la battaglia, e ci informano della situazione.

  • Con dispiacere ma determinazione, Elmer lascia Jowan in cella (il fratellino confessa su Loghain) e poi lo consegnerà a Line, con destinazione la prigione dei maghi di Aeonar.

  • Lasciamo che Isolde uccida il figlio Connor, il marmocchio posseduto. Questo perché non c'è abbastanza lyrium nei paraggi (andare e tornare al Circolo richiede troppo tempo) e Elmer non accetterebbe mai l'alternativa con la magia del sangue.

  • Alistair confessa le sue origini nobili dopo un paio di giorni che si sono calmate le acque e loro sono ospiti al castello. Elmer commenta che ciò non cambia nulla, e tra sé e sé spera vivamente che non diventi mai re, perché proprio non ne ha la stoffa.

Siccome per completare la missione dobbiamo andare all'urna delle sacre ceneri di Andraste, e quindi andare a Denerim a cercare indizi su Genitivi, Elmer decide di fermarsi alla foresta di Brecilian (sentono voci di presenza dalish per il tragitto). Regar e Adro sono con noi, Wynne rimane con l'arle malato.

 

Sulla via per foresta Brecilian:

 

  • Incontrano e uccidono Zevran. Davvero, Elmer non avrebbe nessun motivo valido per tenerlo in vita. In più trova il suo filatterio (dato ai Corvi da Loghain, con benedizione della Chiesa di Denerim) e lo distrugge.

  • Indecisione: incontrano Elissa Cousland, l'umana nobile delle origini, e Sten, che la donna ha salvato dalla distruzione di Lothering, OPPURE li incontrerà a Denerim. Elissa è best friend con Anora, perciò di sicuro vorrà parlarle e sapere che cacchio è successo e ripulire il nome dei Cousland, che se non ricordo male sono stati uccisi con l'accusa di tradimento.

 

Missione coi dalish: facciamo del nostro meglio per farceli amici, risolviamo il problema della licantropia e otteniamo la loro alleanza.

  • Aiutiamo l'albero scambiando oggetti con l'eremita. E Elmer sarà molto tentato di lasciare un messaggio ai templari di Denerim riguardo quel pazzo. Troppo pericoloso lasciare un mago malato di mente in libertà.

  • Col cacchio che Elmer si fida del filatterio abbandonato nelle rovine. Non otterrà la specializzazione Guerriero Arcano.

  • Aiutiamo sia elfi che lupi e siamo a posto.

 

Alle Ceneri abbiamo un incontro con l'illusione di Jowan (Elmer triste ma in fondo non ha rimpianti) e, sistemata la faccenda dell'arle, stiamo dalla parte di Bhelen come prossimo re di Orzammar. Elmer va piuttosto d'accordo coi nani, quindi sarà buon amico di Ogren (Commento di Elmer: Andraste, oggi c'è un sole che spacca le pietre. Risposta di Ogren: Cosa?! Il sole può spaccare la pietra?!), imparerà qualche mossa dalle Sorelle Silenti e stringerà un rapporto vantaggioso con il nuovo re, molto utile per l'espansione Awakening.

 

Da qui in poi non ho niente di specifico in mente. Soltanto il finale mi premeva di sistemarlo:

  • Scopriamo che per uccidere l'arcidemone un Custode deve morire. Elmer di sicuro non vuole crepare, e a questo punto è affezionato a Alistair. Quindi che fa? Convince Alistair a risparmiare Loghain e usare la sua vita in cambio della loro. Alistair non è molto d'accordo, perché così Loghain passa come eroe redento, ma Elmer gli fa venire i sensi di colpa “vuoi vedermi morire?!”. Ma, ad essere sincera, credo che Alistair non accetterebbe e se ne andrebbe dal gruppo :(

  • Rifiutiamo alla grande l'offerta di Morrigan, ma la furbona compie il rituale con Riordan. Non ho idea se il rituale possa funzionare lo stesso, dato che Riordan muore.

  • Comunque, volente o nolente, Loghain crepa comunque per una ferita mortale. OPPURE sopravvive e ora non lo possiamo più ammazzare se no sembriamo cattivi, Alistair si incazza e se ne va a fare l'ubriaco all'estero.

 

E poi boh, ragazzi, le idee originali mi vengono mentre scrivo. Fatemi pure domande attraverso recensioni o messaggi se siete curiosi di cosa avrebbe fatto Elmer in certe missioni o situazioni inventate, mi farà piacere rispondere ;)

Ringrazio chiunque abbia seguito la storia e si sia fatto due risate insieme a me. Mi è piaciuto tantissimo scriverla e sono felice di avervi trasmesso un po' della mia passione.

Un bacione a tutti quanti! <3

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