Sweet child o' mine

di hurrem
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 Wishin' and Hopin' ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 Strawberry fields forever ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 I like you so much better when you're naked ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 Can't fight Biology ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 Everybody hurts ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 Strangers like me ***
Capitolo 7: *** Cap. 7 Family Portrait ***
Capitolo 8: *** Cap. 8 Shake it out ***
Capitolo 9: *** Cap. 9 Somebody that i used to know ***
Capitolo 10: *** Cap. 10 Somewhere only we know ***
Capitolo 11: *** Cap. 11 Beauty and the Beast ***
Capitolo 12: *** Cap. 12 O Children ***
Capitolo 13: *** Cap. 13 Someone belonging to someone ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 Wishin' and Hopin' ***


Salveeee...

questa è la prima fanfic che pubblico, nonostante sia rimasta per anni chiusa in formato cartaceo nei  meandri della mia libreria. Quindi necessita di un processo di revisione alquanto accurato. Spero di ricevere molte recensioni (sia positive che negative eh, non fatemi mancare nulla).

Questo primo capitolo porta il nome di una canzone che mi piace molto (ok scopro subito le mie carte: in realtà le canzoni che non mi piacciono sono poche!!) di cui esistono infinite cover ma conosciuta ai più come facente parte della colonna sonora del film "Il matrimonio del mio migliore amico". A questo proposito, la canzone in sé può non avere a che fare con l'argomento trattato nel capitolo ma il titolo dovrebbe rispecchiarne i sentimenti ivi presenti.

Spero che la mia storia vi piaccia!

 

 

 

CAP. 1  -  WISHIN’ AND HOPIN’

 

Era la prima giornata davvero calda dall’inizio della primavera. Se non fosse già passato un anno (cosa che faticava a credere) avrebbe potuto facilmente immaginarsi impegnato negli allenamenti precedenti al Torneo in cui aveva ucciso tutti quegli esseri umani. Anche allora si era allenato spesso all’aperto, visto che per Trunks la camera gravitazionale risultava troppo impegnativa se utilizzata a lungo. E proprio quello scansafatiche di suo figlio l’aveva pregato di allenarsi insieme in giardino per godersi la bella giornata, salvo poi piantarlo in asso all’arrivo del moccioso di Kakaroth. Mentre spronava il suo fisico scultoreo a migliorarsi sempre di più sentiva gli schiamazzi dei due bambini che facevano gare di tuffi nella piscina che il padre di Bulma aveva fatto installare quell’inverno. Per quale motivo si ostinava a permettere che Trunks frequentasse il figlio di Kakaroth? Quel moccioso era ancora più fannullone di lui, se possibile. Avrebbe dovuto dire a quello stupido del suo rivale di provvedere… Quanto a Trunks aveva poche speranze ormai. Bulma l’aveva talmente contaminato col suo sangue di pigra terrestre e coccolato e viziato fin dalla nascita che c’era da meravigliarsi che non andasse in giro vestito da femmina. Dopo i fatti di Majin Bu persino lui era stato più indulgente; questo perché Trunks aveva imparato da quella diabolica volpe di sua madre quali tasti premere per ottenere la sua approvazione.

“Vegeta, lo sai che tra poco compirò 40 anni, vero?”

Ecco, se avesse contato il numero di seccanti interruzioni dall’inizio dell’allenamento ora probabilmente si sarebbe aggirato intorno al centinaio. Sì, perché oltre ad essere stato scaricato da suo figlio ad allenarsi in uno stupido giardino, sotto uno stupido albero, aveva dovuto sorbirsi le osservazioni sgradite di Bulma che aveva deciso di piazzarsi proprio lì accanto con sdraio e rivista, vaneggiando a proposito di  “posto soleggiato” e “direzione del vento”.

“Ti ho fatto una domanda Vegeta!”

Il sayan sbuffò frustrato. Dannata donna!

“E allora?” le disse con il suo miglior tono sprezzante, sperando che lei capisse che non era proprio disposto a perdere tempo in sciocche chiacchiere.

“E allora pensavo che dovresti farmi un regalo, per cui ho scritto su questo foglietto cosa mi piacerebbe ricevere.” disse lei sventolando un cartoncino ripiegato, con la sua tipica espressione “prova a dirmi di no”.

“Tsk. Ridicolo.” si limitò a mormorare Vegeta, rialzandosi dal suo esercizio e dirigendosi verso il tavolino accanto a lei per raggiungere la sua bottiglia d’acqua ghiacciata.

“Oh andiamo, Vegeta! È un traguardo importante per una donna, non lo sai? Tutte le mie amiche hanno fatto una grande festa. Io ti chiedo solo un regalino…”

Vegeta finì di scolarsi la bottiglia guardandola di sottecchi. In quei dieci anni aveva imparato a conoscerla troppo bene per non intuire che tramava qualcosa. Perché chiedergli un regalo che avrebbe potuto benissimo comprarsi da sola?

“Non ho intenzione di comprarti un regalo per i 40 anni che non dimostri!” rispose con indifferenza, tornando sotto l’albero per una sessione di flessioni.

Bulma non aggiunse nulla e Vegeta cercò di trattenere invano un sorriso compiaciuto. Decisamente anche lui sapeva quali carte giocare per ottenere quello che voleva.

 

 

 

 

 

Bulma rimase un attimo interdetta. Che faccia tosta! Rifiutarsi di accontentarla facendole un complimento rappresentava decisamente una nuova frontiera nella strafottenza di Vegeta. Decisamente non poteva sentirsi arrabbiata con lui dopo che le aveva detto (a modo suo ovviamente) che sembrava più giovane. Oltretutto i complimenti di Vegeta erano così rari, spesso relegati alle quattro mura della loro camera da letto, da non poter essere ignorati.

Forse non era la giornata buona per dirglielo. In fondo aveva tenuto il broncio tutto il pomeriggio perché Trunks aveva preferito giocare con Goten (chi era il bambino di nove anni tra i due???), non sembrava il momento giusto per proporglielo.

Dannazione! Perché non poteva metterlo di fronte al fatto compiuto? Quello era decisamente più nel suo stile e lui l’amava così, un po’ pazza e testarda, incline a fare le cose di testa sua. Lui avrebbe borbottato un po’ sul come si era permessa di non chiedere il suo benestare, giusto perché da bravo principe dei sayan considerava sprecata una giornata senza ribadire l’orgoglio della sua razza e la sua autorità su tutto ciò che lo circondava. Poi, se lei fosse stata in una giornata “no” avrebbero litigato e fatto pace con il sesso, altrimenti con un paio di moine avrebbe risolto tutto e alla fine Vegeta sarebbe stato contento.  

Si scacciò una mosca dalla gamba e tornò ad osservarsi attentamente come faceva poco prima di interrompere Vegeta. Le sembrava che il suo corpo stesse iniziando a tradirla. Ogni giorno scopriva qualche nuova, piccola imperfezione e questo la mandava fuori di testa. Addirittura se si fermava a pensarci troppo a lungo cominciava ad accusare i sintomi tipici dell’ansia.

 Aveva paura di invecchiare, ma tutte le sue forze non sarebbero bastate a fermare il tempo. Quel fortunato di Vegeta invece sembrava non cambiare mai! Ancora le donne se lo mangiavano con gli occhi quando portava Trunks al parco o la accompagnava a fare shopping. Bhe… anche lei era ancora oggetto di attenzioni ma per un uomo era diverso, no? Una donna si scomodava a guardare un uomo solo se questo assomigliava a qualche celebrità e quel farabutto di Vegeta aveva il fascino perfettamente intatto di dieci anni prima.

In quel momento Trunks arrivò correndo e grondante d’acqua, chiamandola a gran voce.

“Ehi, mamma! Io e Goten vogliamo la merenda, ce la vieni a preparare?”

“Sì, ma asciugati o ti prenderai un raffreddore. Anche tu Goten.” disse rivolta al bambino che li aveva raggiunti.

“Mamma, io voglio un baozi!disse Trunks litigandosi con Goten l’unico asciugamano disponibile.

“Oh, sì! Anche io Bulma, ti prego!”

“Va bene, va bene! Andiamo dentro, bambini.” disse, strofinando amorevolmente i capelli impregnati dall’odore del cloro delle due piccole pesti.

Prima di andarsene rivolse un ultimo sguardo a Vegeta. Non dava segni di voler smettere tanto presto, ma lei non poteva più aspettare.

“ Ehi, tesoro! La mia richiesta è ancora qui se ti interessa!”

Vegeta le rispose con il solito “Tsk!”

Fece in modo che dal punto in cui si trovava Vegeta fosse ben visibile il cartoncino, infilato tra le pagine della rivista, e si diresse verso casa. Non avrebbe resistito, curioso com’era.

 

 

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Capitolo 2
*** Cap. 2 Strawberry fields forever ***


Note dell’autrice: Buona domenica a tutti!

Secondo capitolo di cui Vegeta è unico protagonista. Potreste notare delle contraddizioni al suo interno, in realtà non è così. Ho cercato di dare voce ai pensieri di Vegeta analizzandoli il meno possibile e me lo sono immaginato costantemente a convincersi di cose che non pensa veramente. Spero vi piaccia!

La canzone è quella famosissima dei Beatles, capirete a cosa si riferisce! Recensite, please!!!

 

 

 

CAP. 2    STRAWBERRY FIELDS FOREVER

 

Quando Vegeta smise di allenarsi il tramonto era ormai inoltrato e la poca luce rossastra rimasta gettava lunghe ombre su tutto il prato curato della Capsule Corporation. Trunks era passato a salutarlo dicendogli che andava a dormire da Goten e lui si apprestava a salire in casa per fare una doccia prima della cena.

Il suo sguardo venne attratto dalla rivista che Bulma aveva lasciato sul tavolino. Aveva sperato ardentemente di riuscire a dimenticarsene o quantomeno di riuscire ad ignorarla ma, dannazione, se non avesse dato nemmeno un’occhiata, il tarlo della curiosità l’avrebbe divorato per tutta la notte. Con aria indifferente si avvicinò al tavolo e poi, dopo aver controllato che nessuno lo stesse spiando, prese la rivista e la aprì maledicendosi perché, anche con il solo interessarsi ad sciocchezza simile, la dava vinta a lei.

Sfilò il biglietto e lo dispiegò. All’interno, nella sottile e appuntita grafia di Bulma c’erano solo due parole:

Pagina 34

Che diavolo significava? Era forse uno scherzo? Quella donna lo avrebbe davvero mandato al manicomio prima o poi. Sentendo crescere l’irritazione verso quell’insulsa perdita di tempo, appallottolò il foglio e lo gettò via.

Pagina 34… Doveva essere la pagina 34 della rivista quindi. Era l’unica spiegazione possibile. Sfogliando sgarbatamente le prime pagine in cerca della numerazione, si sentì un cretino. Stava lasciando che Bulma giocasse con lui in modo fastidiosamente simile a quando organizzava per Trunks quelle stupide cacce al tesoro.

Pagina 34, eccola. Nessun biglietto, nessun messaggio. Niente di niente. Vegeta stava già per incenerire il periodico quando lo sfiorò l’ipotesi che la risposta potesse trovarsi nell’articolo stesso. Diresse quindi lo sguardo sul titolo che troneggiava in cima alla pagina…

Quello che le donne vogliono

Seguiva un elenco numerato di cose con  accanto la spiegazione di altre sciocche galline terrestri che evidentemente condividevano con Bulma l’interesse per quelle ridicole letture. Evidentemente i terrestri erano più minorati di quanto pensasse, se ad una donna capace come Bulma in tutte le discipline tecniche e scientifiche interessava quella robaccia.

Ma cosa si aspettava quella donna? Che lui le procurasse tutta quella roba? Lesse distrattamente qualche punto a caso dell’elenco. La quantità di idiozie era impressionante.

Vorrei un corpo perfetto. Vorrei trovare il principe azzurro. Vorrei essere meno stupida. Sì, quest’ultimo sarebbe stato un regalo perfetto per Bulma, pensò malvagio.

Un momento. Uno dei punti era sottolineato. Ed era sottolineato con la penna verde che Bulma aveva rosicchiato per gran parte del pomeriggio.

Vorrei avere un altro figlio.

Vegeta si bloccò con la rivista in mano e dovette rileggere più volte quella riga prima di realizzare.

 Davvero?

 

 

Sotto la doccia Vegeta pensava a quanto quella rivelazione l’avesse sorpreso. Bulma non aveva mai lasciato intendere di volere un altro figlio, nemmeno quando quell’oca starnazzante di sua madre si era lamentata del fatto che Trunks chiedesse sempre come mai non poteva avere un fratello, come Goten. Adesso che ci pensava qualcuno le aveva chiesto se aveva intenzione di avere altri figli, ma lei aveva risposto che stava bene così. L’aveva sentita lui stesso.

Infatti stavano bene. Avevano trovato un loro equilibrio dopo il Cell Game e dopo gli eventi dell’anno precedente, beh… aveva persino permesso che, nella fase degli incubi su Majin Bu, Trunks invadesse il sacro spazio del suo letto. Cos’altro poteva pretendere, quella donna?

Inoltre Bulma era il tipo che si presentava a cose fatte, così fastidiosamente arrogante e testarda. Non gli aveva mai chiesto il permesso di fare nulla prima, ma del resto Vegeta aveva capito che vietarle qualcosa era un modo per assicurarsi che lei lo facesse al più presto. Un maledetto mulo, ecco cos’era. Quindi perché adesso stava rimettendo la cosa a lui? Non si era forse preoccupata sempre lei del contraccettivo?

Mentre l’acqua calda gli scorreva sui muscoli indolenziti con l’effetto di un balsamo ricostituente, Vegeta si sintonizzò sul conflitto interiore che ogni cosa riguardante Bulma gli generava.

 A tratti emergeva la sua parte più istintiva e ancestrale, quella che solo l’anno prima aveva fatto volontariamente esplodere durante la trasformazione operata da Babidy. Non era affar suo se la donna voleva un figlio. Poteva averne dieci per quanto lo riguardava, i marmocchi non gli interessavano. Anzi no, non poteva permettere che il suo prezioso sangue regale scorresse in altri insulsi mezzosangue. A che pro generare degli ibridi fannulloni e svogliati, inadatti alla stirpe di un guerriero come lui e probabilmente forniti di giganteschi, disarmanti occhi azzurri?

Maledizione, perché quell’immagine non lo disgustava come avrebbe dovuto? Ecco che subentrava quell’altra parte più destabilizzante di sé, quella più difficile da accettare e di cui si vergognava ancora, quella che aveva preso il sopravvento quando si era sacrificato per altri, quella che non riusciva a dominare quando Bulma la mattina riempiva la sua schiena di baci soffici e caldi e quando Trunks urlava entusiasta giocando nella neve.

Lui cosa desiderava? Per Trunks non era stato quel che si dice un padre perfetto, ma nonostante tutto quel ragazzino sembrava felice di averlo come padre. Con un altro figlio sarebbe stato diverso? Forse no, a patto che Bulma non si aspettasse da lui cose da volgare terrestre. Aveva più o meno capito di cosa avesse bisogno un lattante e non aveva nessuna intenzione di partecipare attivamente alla sua cura. Comunque Bulma non gli aveva chiesto mai niente nemmeno per Trunks, a parte passare un po’ di tempo con lui ogni tanto. E se quel marmocchio non gli fosse piaciuto? E se invece avesse contribuito ad addomesticarlo ancora di più?

Chissà per quale associazione mentale, da quando aveva cominciato a pensarci, gli tornava in mente la prima volta che aveva mangiato le fragole. Era primavera anche quella volta ed erano seduti su un prato con Trunks che cominciava a formulare le prime parole di senso compiuto. Bulma lo aveva costretto ad andare con lei, ricattandolo con una serie di migliorie alla Gravity Room.

Quel frutto aveva un profumo che gli piaceva. Gradevole. Ben presto aveva capito di associarlo al profumo dei capelli di Bulma o meglio, al profumo del suo shampoo. Sfortunatamente in un’altra occasione glielo aveva fatto notare e si era rivelato uno degli errori più grandi della sua vita, visto che da quel momento quella serpe ammaliatrice soleva farsi perdonare utilizzando le fragole in modi decisamente impudichi.

Sta di fatto che, durante quella giornata, Trunks si era impiastricciato dappertutto con quei frutti rossi e sugosi e ne aveva lasciato pezzi ovunque e su chiunque, persino su di lui che aveva cercato invano di sottrarsi alle sue mani disgustosamente sporche. Quel profumo gli era rimasto addosso e nelle narici tutto il giorno; una giornata intera in cui loro tre avevano avuto lo stesso odore.

Ed ora non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine di Trunks che rideva felice, con le manine grassocce piene di fragole spappolate…

 

 

Vegeta uscì dalla doccia frizionandosi i capelli con l’asciugamano. Probabilmente lei lo stava aspettando per cena, dove lo avrebbe sommerso di chiacchiere inutili come sempre. Si avvicinò al comodino di Bulma, sopra al quale la donna teneva gli occhiali, i fazzoletti e una foto rubata di loro tre sulla spiaggia. Ne aprì il cassetto e non dovette frugare molto per trovare quello che cercava. La scatola era lì in superficie. Se la rigirò tra le mani e, riconoscendola come quella da cui lei prendeva le pillole tutte le sere, la schiacciò tra le dita e ne buttò i resti accartocciati nel cestino.

Lei avrebbe capito.

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Capitolo 3
*** Cap. 3 I like you so much better when you're naked ***


Eccomi qui con il 3° capitolo! Per la gioia generale il capitolo è rosso, anche se non credo di avere delle grandi capacità in questo senso per cui sarà abbastanza soft…

Protagonisti sono questa volta sia Bulma che Vegeta e il titolo è abbastanza chiaro, no? La canzone è di Ida Maria.

Spero che sia all’altezza dei precedenti, buona lettura!!

 

 

CAP. 3 – I LIKE YOU SO MUCH BETTER WHEN YOU’RE NAKED

 

Bulma guardò ancora una volta il bastoncino, con il cuore che batteva all’impazzata. Non riusciva ancora a crederci.

“Sono incinta!” disse quasi estasiata al suo riflesso nello specchio. Comunque meglio ricontrollare un’altra volta, giusto per essere sicuri. Sì, non c’era dubbio. Quella linea rosa… l’aveva desiderata così ardentemente che ora, anche se la aveva chiara e tangibile davanti agli occhi, non le sembrava vera.

Corse in camera da letto e si mise a rovistare negli armadi. Erano passati mesi da quando aveva smesso di prendere la pillola ed ogni falso ritardo, ogni comparsa delle mestruazioni l’aveva fatta sentire sempre peggio. Lei, abituata da sempre ad avere qualsiasi cosa ancora prima di desiderarla, aveva sperimentato l’impotenza e il fallimento. Neanche la sua tenacia e tutto il suo impegno avrebbero potuto trovare una soluzione a ciò che il suo corpo si rifiutava di fare, ma era stata brava a nascondere quanto quel desiderio si fosse trasformato in ossessione. Si era sforzata di ridere e di mostrarsi serena per celare la delusione di ogni test risultato negativo.

All’inizio Vegeta sembrava non farci caso, troppo impegnato a nasconderle che aveva partecipato a prendere quella decisione. A lei stava bene far finta che le pillole fossero semplicemente scomparse, visto che le evitavano di affrontare le sue paure parlando della cosa con lui. Poi un giorno, inaspettatamente, lui le aveva chiesto se avesse cambiato idea. Bulma sentiva il suo cuore mancare un colpo al solo ricordo. E lei aveva dissimulato la sua preoccupazione, spiegandogli che ci voleva tempo per queste cose, anche se sapeva che entrambi stavano pensando alla stessa cosa: per Trunks erano bastate un paio di notti.

Il giorno del suo 40° compleanno era arrivato e lei non aveva avuto nessun grande annuncio da fare agli amici e, come se ciò non bastasse, Vegeta si era accorto che la cosa le dispiaceva. Forse per quel motivo la sera le aveva fatto quel complimento (stavolta uno vero!) mentre si spogliava. Le aveva dato dell’impostora, dicendole che era biologicamente impossibile che una donna della sua età avesse un corpo simile. E poi aveva sdrammatizzato dicendo che il ritardo era senz’altro presagio di quanto questo figlio sarebbe stato pigro e svogliato.

Dio, quanto amava quell’uomo! Capace di rendersi odioso ed insopportabile per settimane e poi di rimettere tutto a posto così, con un gesto o una frase non da lui.

Eppure l’idea di essere troppo vecchia per un figlio non la abbandonava mai; di certo non era colpa di Vegeta se non riusciva a restare incinta. Figurarsi! Un sayan con problemi di fertilità!

Comunque adesso i suoi timori si erano dissolti e cercava freneticamente il vestito rosso che aveva comprato apposta pensando a quel momento.

“Ah-ah! Eccoti qui!” trillò Bulma all’involucro del suo bellissimo e fiammante Chanel. Lo tirò fuori e lo studiò sovrapponendolo alla sua immagine nello specchio. Era uno schianto! Lo rimise nella custodia in fretta e ripassò mentalmente il programma della serata. Gliel’avrebbe detto prima di addormentarsi per rendergli le cose più difficili, sperando di non essere troppo arrabbiata per la fine che probabilmente avrebbe fatto quel fantastico vestito.

 

 

Quella sera Vegeta aveva guardato insistentemente Bulma per tutta la cena. Cosa le saltava in mente? Vestirsi così provocante quando chiaramente lui non poteva prenderla sul tavolo, visto che sullo stesso il loro primogenito di nove anni stava mangiando bastoncini di pesce.

Inoltre non lo stava asfissiando con la consueta conversazione a senso unico; era tutta presa da Trunks e lo sommergeva di attenzioni e di chiacchiere. Non che di solito non lo facesse, ma le attenzioni venivano equamente divise tra lui e il bambino. Bulma si riservava il momento di mandare Trunks a letto per parlare con lui e coccolarlo; cosa che a Vegeta dava comunque fastidio visto che riteneva il figlio troppo grande per certe smancerie.

Perché si era scelto una donna tanto irritante? Di sicuro aveva in mente qualche suo subdolo gioco di potere e il sayan si sentiva già pronto a dare sfoggio della sua autorità. Del resto, per quanto riguardava il sesso, non gli risultava di aver mai perso.

Al termine della cena decise di defilarsi in segno di protesta. Se l’intento della compagna fosse stato quello di provocarlo lo avrebbe raggiunto, in caso contrario… bhe,  l’avrebbe raggiunta lui, una volta che Trunks fosse stato fuori gioco.

In camera sua Vegeta si lasciò cadere sul letto pesantemente. Aveva avuto  un allenamento intenso e i suoi muscoli imploravano un po’ di meritato riposo. Ovviamente non poteva riposare, non dopo aver visto Bulma vestita in quel modo.

Forse stavolta sarebbe stata quella buona, anche se ormai cominciava a credere che non sarebbe successo. Di sicuro non era colpa sua, ma qualcosa gli diceva che era meglio far finta di nulla poiché sicuramente Bulma si stava tormentando nel pensiero di non riuscirci. Avrebbe preferito che lei rinunciasse piuttosto che vederla così dispiaciuta, ma la cosa in fondo dava fastidio anche a lui. Quando prendeva una decisione era abituato ad ottenere subito un risultato, ma per quanto potesse arrabbiarsi o pretendere, la cosa restava indipendente dalla sua volontà.

I suoi pensieri vennero spazzati via dal suono della porta che si apriva e che lasciava entrare Bulma in tutto il suo splendore. Osservandola mentre chiudeva la porta dovette ammettere che era davvero una visione.

“Allora, tesoro! Non ti piace il mio vestito?” disse lei con voce squillante girando su sé stessa. Vegeta si alzò dal letto con un sorriso beffardo e sentì Bulma sussultare mentre le afferrava le braccia sottili, dopo essersi fiondato su di lei. Bulma puntò i suoi stupendi occhi azzurri dentro i suoi e dischiuse le labbra dipinte di rosso.

“Cerca di sfilarlo come si deve o te la farò pagare!”

Vegeta sogghignò, facendo scorrere le sue mani ruvide e piene di calli sulle curve mozzafiato della sua donna. Bulma era tutto quello che una sayan non avrebbe mai potuto essere. Così formosa, morbida, con la pelle vellutata e quegli occhi straordinari. Vegeta non glielo avrebbe mai detto, ma quale sayan poteva reggere il confronto? I neri capelli ispidi e i corpi androgini delle sue consanguinee, da quando aveva stretto a sé Bulma la prima volta, sembravano ricordi insipidi e sbiaditi.

Sollevò la donna con la stessa facilità con cui avrebbe sollevato un fiammifero e la imprigionò tra il suo corpo e il materasso. Decisamente quel vestito l’aveva avvolta anche troppo.

 

 

Alla fine il suo favoloso Chanel si era salvato. Non perché Vegeta fosse stato particolarmente cauto, ma perché non si era preso nemmeno la briga di toglierglielo. Ormai Bulma si era abituata alla sua foga ma trovava sempre il modo di prolungare il gioco, mentre quella sera era stata decisamente propensa ad assecondare i desideri del sayan e non aveva fatto in tempo a sfilarsi le costose mutandine di pizzo che lui era entrato rude dentro di lei, togliendole il fiato.

Era stato semplice smettere di pensare al vestito. Con Vegeta lo era sempre. I suoi baci roventi accendevano dei piccoli fuochi sulla sua pelle e le sue spinte vigorose le procuravano ondate di piacere impossibili da nascondere.

Vegeta a letto vinceva sempre. Lui era decisamente più bravo a mimetizzare le sue emozioni, ma lei non poteva ingannarlo quando era lì, sotto di lui. In quei momenti poteva percorrere con le mani la pelle ambrata e incandescente del suo uomo senza temere che lui si allontanasse e nemmeno il pensiero della nuova vita che stava crescendo dentro di lei le aveva impedito di darsi a lui senza riserve.

Aveva visto il sorriso soddisfatto del sayan mentre l’orgasmo si irradiava dalla sua femminilità a tutto il suo corpo ed era rimasta aggrappata alle sue spalle possenti mentre lui aumentava il ritmo e infine raggiungeva l’apice. Vegeta si era gettato supino accanto a lei e Bulma era rimasta ansante con il vestito tirato su sopra la vita. Adesso era arrivato il momento che aveva tanto aspettato.

“Guardami…”

Vegeta voltò i suoi occhi severi verso di lei. Rimase a guardarla anche se Bulma continuava a rimanere in silenzio. Amava quando lui le parlava soltanto con lo sguardo.

“Sono incinta.”

Il sayan fu preso alla sprovvista e Bulma poté vedere un guizzo nei suoi occhi di solito così immobili. Vegeta allungò un braccio verso di lei, salvo poi fermarsi a metà strada. Bulma sorrise mentalmente all’immagine del suo uomo combattuto tra il restare distaccato ed il volerla vicino, così si avvicinò di sua spontanea iniziativa, appoggiandosi al suo petto marmoreo.

“Sei contento, tesoro?”

“Mpf.” rispose il principe ad occhi chiusi, completamente abbandonato sui cuscini.

“Potresti essere più eloquente per favore?”

Vegeta seccato si girò dall’altra parte, dandole le spalle.

Bulma sogghignò. Non avrebbe mollato così facilmente.

“Vegeta, ti prego! Che ne pensi?” disse scuotendolo energicamente.

Vegeta si alzò dal letto di scatto e si diresse in bagno.

“Tesoro, potrei metterlo più spesso questo vestito se tu mi dicessi cosa pensi!” disse lei con tono provocante. Vegeta si fermò sulla porta e si girò a guardarla col solito cipiglio.

“In ogni caso, ti preferisco nuda!”

Bulma sbuffò rumorosamente. Che strazio combattere con quel testone! Magari sarebbe riuscita a rubare qualche coccola prima di addormentarsi, se non lo avesse fatto arrabbiare troppo.

Un sorriso furbetto le illuminò il volto. Ma no, perché accontentarsi di un paio di carezze quando poteva irritarlo fino a quando avrebbe dovuto baciarla per zittirla?

Sentì l’acqua della doccia che scrosciava e si sfilò velocemente il vestito. Improvvisamente aveva voglia di un bagno…

 

                                                                                                                                                                

Allooooora…. Che ne pensate? Mi perdonate il salto temporale? Non temete ci saranno ancora colpi di scena e tante cose da raccontare!

Volevo avvisarvi che per una decina di giorni non potrò aggiornare perché (ahimé… ) vado in vacanza! Ma per consolarvi vi lascio il probabile titolo del prossimo capitolo: CAN’T FIGHT BIOLOGY.

Spero di avervi intrattenuto piacevolmente… un bacio a tutti!

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Capitolo 4
*** Cap. 4 Can't fight Biology ***


Scusate se vi ho fatto aspettare così a lungo per questo capitolo, vi chiedo perdono!!! Purtroppo però devo anche studiare e gli esami si avvicinano… Nel frattempo ho scritto anche il capitolo che preferisco e su cui ho grandi aspettative (ma ahimé lo leggerete verso la fine…)

Come al solito spero di non annoiarvi e di ricevere recensioni!

P.S. La canzone, dei Drop Dead, Gorgeous, non mi piace particolarmente ma adoro il titolo!

 

 

CAP. 4 CAN’T FIGHT BIOLOGY

 

Quelle prime 12 settimane erano state un incubo.

Bulma si rendeva conto che ogni singola fibra del suo fragile corpo terrestre si ribellava a quella strana gravidanza ibrida. Così come quando aspettava Trunks, si sentiva uno straccio per la maggior parte della giornata e difficilmente riusciva a riposare adeguatamente. Sul lavoro era impossibile tenere i ritmi di prima e, nonostante Vegeta la guardasse storto quando si alzava presto per recarsi in laboratorio, non aveva ancora ceduto alla stanchezza. Se si fosse fermata a riposare, tra la noia e il malessere, quei mesi sarebbero stati interminabili e sgradevoli.

Il laboratorio quella mattina era abbastanza rumoroso;  stava collaudando una serie di macchine quasi pronte per il mercato. Bulma afferrò una tanica di carburante poco pesante e ne svitò il tappo con attenzione ma fu costretta a richiuderla quasi immediatamente, investita da una zaffata di odore pungente che le fece ribaltare lo stomaco. Con aria disgustata allontanò il contenitore tappandosi naso e bocca con la mano. E dire che quello era sempre stato uno dei suoi odori preferiti!

Si lasciò cadere su una sedia e si passò una mano sul ventre ancora piatto. Un sorriso tirato le illuminò il volto.

Ne valeva la pena. Ogni minuto di quella sofferenza  la separava dal momento in cui finalmente avrebbe stretto tra le braccia quel piccolo miracolo che cresceva dentro di lei. Aveva avuto moltissimo tempo per fantasticarvi su prima di restare incinta e si era sempre vista cullare una splendida bambina. A volte la immaginava con grandi occhi azzurri, altre con occhi neri e profondi ma sempre femmina. Poi era successo, il test finalmente era risultato positivo e in lei una strana sensazione già vissuta in passato era ricomparsa.

Aspettava un maschio, lo sapeva. Non aveva bisogno di nessuna conferma, ne era semplicemente convinta. Tante altre donne le avevano detto di avere sperimentato quella consapevolezza e lei aveva ancora vivido il ricordo di quanto poco si fosse stupita quando le avevano comunicato il sesso di Trunks. Durante l’ecografia il furbetto aveva sempre la coda tra gambe e solo alla nascita aveva scoperto che il suo sesto senso non si era sbagliato. Questa volta era successa la stessa cosa.

Non era delusa e non sperava di essersi sbagliata. Anzi. Come succede a tutte le mamme si era innamorata al primo istante di quel figlio di cui mai aveva immaginato i tratti ed aveva cominciato subito a recuperare il tempo perduto.  Sognava il suo bambino fare i primi passi e smaniare per allenarsi con il padre e il fratello maggiore, fantasticava su quanto sarebbe stato simile a lei o a Vegeta e su come sarebbe stata da quel momento in poi la sua vita con tre uomini in casa.

Chiuse gli occhi al sopraggiungere di una fitta addominale. Ormai ci era abituata e bastava respirare profondamente per qualche minuto per calmare il dolore. Forse era davvero il caso di riposarsi un po’; d’altronde se suo padre avesse saputo della sua condizione non l’avrebbe certo biasimata.

Si alzò lentamente dalla sedia e si diresse verso la sua stanza per fare una doccia veloce e mettersi a letto. Più tardi avrebbe dato la notizia ai suoi; sentiva di aver tenuto quel segreto anche troppo a lungo. Finalmente, pensò sorridendo, Vegeta si sarebbe sentito libero di dedicarsi agli allenamenti, sapendola sotto la sorveglianza severa ed attenta dei suoi genitori.

Niente l’aveva sorpresa di più di suo marito in quel frangente. Vegeta passava moltissimo tempo fuori dalla Gravity Room e, per quanto si sforzasse di non darlo a vedere, la seguiva ovunque e restava ad assicurarsi che lei non si sentisse troppo male, in silenzio e scontroso. Ogni mattina rimaneva a letto, fingendo di dormire, finché le sue nausee non si placavano e la sera cercava di spronarla a modo suo, prendendola in giro perché si addormentava sul divano o lamentandosi di aver scelto una terrestre deboluccia come donna.

Bulma sapeva che tutto questo gli costava molto e che lo faceva per lei soltanto. Dopo la strage di Majin Bu aveva avuto paura di aver sognato tutto. Aveva sperato invano di poter cambiare un mostro assassino? Invece alla fine tutto si era risolto, Vegeta sembrava finalmente aver accettato di amare la sua nuova vita e si era sacrificato per lei e per Trunks.

Mai avrebbe immaginato, però, che Vegeta decidesse insieme a lei di avere un altro figlio, dato che il primo era stato frutto di un errore e gli era stato imposto. Forse anche lui ultimamente pensava molto a quello, visto che aveva iniziato a passare molto più tempo con Trunks, quasi a voler smentire quella consapevolezza. A  Bulma non solo faceva molto piacere vedere il suo ometto radioso per aver passato il pomeriggio in piscina o nella Gravity Room con il padre, ma le faceva anche comodo visto che stare dietro a Trunks la stancava molto facilmente, da quando aveva scoperto di essere incinta. Che Vegeta avesse capito anche quello? Davvero era riuscita a cambiare quel sayan a tal punto?

Aveva appena chiuso la porta della sua stanza quando successe.

Una sensazione spiacevole di bagnato la costrinse ad abbassare gli occhi, che si spalancarono atterriti. Era sangue. Sangue che si allargava sulla sua tuta da lavoro percorrendole le gambe fino alle caviglie, caldo e disgustoso.

Bulma si lasciò cadere in ginocchio. No. Non poteva essere vero.

 

 

Vegeta si passava l’asciugamano caldo sui muscoli indolenziti del collo ed intanto si dirigeva verso il laboratorio. Sperava fosse chiaro che andava lì solo per reclamare il pranzo e non perché era preoccupato per quella donna cocciuta.

Erano stati due mesi strani per lui. Non aveva immaginato che la cosa si sarebbe rivelata tanto impegnativa. Innanzitutto Bulma era in uno stato pietoso e, quando non si trascinava in giro in una fedele imitazione dei morti viventi che piacevano tanto a Trunks, alternava momenti di isteria aggressiva ad altri di docilità melensa con un ritmo preoccupante. Non che Vegeta non fosse abituato ai suoi sbalzi di umore ma sospettava che Bulma usasse questo stratagemma per distrarlo dal vero problema. Lei stava male. Molto, a giudicare dal suo aspetto.

Quasi subito dopo aver scoperto di essere incinta, Bulma aveva cominciato a sentirsi debole e stanca, faceva fatica a fare anche le cose più semplici, aveva spesso la febbre e soprattutto non riusciva a mangiare quasi nulla. Le sue morbide forme invece di accentuarsi si erano ridotte notevolmente mentre il piccolo sayan dentro di lei le sottraeva nutrimento e vitalità.

Bulma gli aveva detto che anche per Trunks era successa la stessa cosa, che dopo sarebbe stato più facile, che probabilmente il corpo di un terrestre non era fatto per sopportare uno sconvolgimento metabolico di quel tipo e Vegeta si era dato dello stupido. Avrebbe dovuto pensare all’evenienza che la gravidanza fosse un pericolo per Bulma. L’aura del feto era già notevolmente più grande di quella della donna e continuava a crescere giorno dopo giorno. Quella stupida era davvero contenta di sentirglielo dire; sembrava non preoccuparsi della sua salute e passava ore ad accarezzarsi la pancia pianeggiante e a congratularsi con il bambino per quanto fosse forte. Quell’immagine lo lasciava confuso, forse se Bulma si fosse sentita bene gli sarebbe addirittura piaciuta ma in quel caso lo disturbava. Era preoccupato per lei e temeva che potesse succederle qualcosa per causa sua.

Maledizione! Avrebbe voluto infischiarsene e potersi dedicare agli allenamenti in santa pace ma non ci riusciva. Anche quando Bulma si sentiva meglio e Vegeta percepiva l’aura di suo figlio tra i loro corpi uniti, si sentiva tormentato. Provava sentimenti contrastanti nei confronti di quell’estraneo che si era appropriato di una parte del corpo della sua donna. Non lo conosceva eppure sapeva di volerlo proteggere e che un giorno avrebbe provato verso di lui la stessa cosa che provava per Trunks. La sua presenza era davvero tangibile eppure non lo irritava, come se da un giorno all’altro fosse diventato normale essere in tre in quel letto . Ogni giorno sembrava imparare qualcosa di nuovo su quell’inutile pianeta.

Come se tutto ciò non fosse bastato, si sentiva anche in colpa nei confronti di Trunks. Non aveva mai provato certe cose nei suoi confronti perché se le era negate. Se il sayan che era in lui avesse potuto scegliere avrebbe rifuggito la cosa anche adesso ma visto che ormai si era messo in quella situazione si sentiva a disagio a favorire quel figlio di un momento che Trunks non aveva avuto.

Il laboratorio era vuoto e chiuso quando vi giunse. Di solito lei lo lasciava aperto quando si prendeva una pausa; forse era rimasta a letto. Sarà sul divano a guardare una di quelle stupidissime trasmissioni terrestri, si disse il sayan, ma non era abbastanza per far tacere la voce nella sua testa che gli faceva presagire che fosse successo qualcosa.

Quella stupida terrestre l’aveva rammollito a tal punto!

Davvero c’era stato un tempo in cui di lei non gli importava nulla? Un tempo in cui la considerava un mero passatempo per sfogare i suoi impulsi sessuali, progettando prima o poi di farla fuori? Vegeta preferiva non indugiare in quei ricordi. Prima di tutto perché farlo significava riaprire dolorose ferite sul suo istinto da troppo tempo sopito, in secondo luogo perché si vergognava ancora di come lei si fosse insinuata a poco a poco dentro di lui e di come l’avesse pervaso di quel logorante sentimento che assomigliava così tanto alla sconfitta, ma che ormai sapeva avere un altro nome.

Ironia della sorte, alla fine era lei ad aver soggiogato lui, lentamente, in maniera subdola ed insospettabile, mentre lui si  illudeva di dominarla e distruggerla in quei fugaci momenti di passione. E adesso era lì, a chiedersi se lei stesse bene, disonorando per l’ennesima volta il sangue nobile che gli scorreva nelle vene.

Attraversò tutta la casa trovandola deserta. Trunks era a scuola ed ogni volta che lui la chiamava e non riceveva risposta si irritava sempre di più. Sempre la solita, gli stava intorno solo quando lui aveva di meglio da fare!

Spalancò la porta della camera da letto deciso a riversare sulla sua donna un po’ di frustrazione ma non trovò ciò che si aspettava. Per prima cosa notò il letto vuoto e subito si rese conto del rumore scrosciante della doccia, ma poi vide a terra la tuta di Bulma e un ben noto odore dolce e metallico gli colpì le narici. Sangue. L’odore più familiare per un sayan. Solo che adesso non evocava più in lui eccitazione e desiderio di combattere, ma una strana e potente sensazione alla bocca dello stomaco. Panico.

In meno di un istante Vegeta aveva spalancato la porta del bagno e attraverso le porte trasparenti della doccia vide Bulma girarsi verso di lui, rannicchiata e tremante sotto il getto di acqua bollente. Vegeta aprì la porta a vetri; nonostante Bulma continuasse a guardarlo i suoi occhi sembravano spenti, lei non era davvero lì. Chiuse l’acqua e il silenzio che ne seguì non lasciò dubbi ai suoi sensi troppo allenati. L’aura di suo figlio non c’era più.

 

 

 

 

Allora… spero che nessuno di voi voglia uccidermi dopo questo, né che smettiate di seguire la storia! So che è un po’ triste ma mi piaceva l’idea di esplorare le conseguenze di questo fatto su Bulma e Vegeta e vi giuro che cercherò di darvi il miglior happy ending che sarò in grado di costruire. Spero di riuscire a pubblicare il prossimo presto, ma non posso garantirlo per via degli esami. Fatemi pervenire i vostri commenti, please! A presto!

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Capitolo 5
*** Cap. 5 Everybody hurts ***


Buongiorno! Non ce la facevo a restare senza scrivere e così… ecco il nuovo capitolo (disonore su di me e su tutta la mia stirpe perché verrò bocciata in tutti gli esami di Giugno…)! Colgo l’occasione per ringraziare tutti quelli che mi seguono, in special modo chi mi recensisce (non smettete vi prego!!!!): siete il mio più grande incentivo a continuare! Detto ciò vi lascio a Bulma e Vegeta!

La canzone è “Everybody hurts” dei R.E.M.

P.S. Ho cambiato il mio nickname in Hurrem e avrò un profilo su Facebook che sarà felice di ricevere i vostri commenti (non temete sono sempre io!)

 

 

CAP. 5 – EVERYBODY HURTS

 

“Bulma, alzati! Ti porto in ospedale.”, le ordinò Vegeta cercando di non sembrare troppo rude, ma con scarsi risultati. Bulma continuava a fissarlo con sguardo vacuo, seguitando a tremare violentemente. Il sayan staccò un asciugamano dalla parete, portandosi dietro anche il suo gancio e un buon pezzo di marmo, e glielo avvolse attorno sollevandola. La riportò in camera e la appoggiò delicatamente sul letto dove lei si rannicchiò ancora di più.

“Bulma, ascoltami! Voglio che ti vesti!” Questa volta fu più deciso ma Bulma non dava segni di averlo ascoltato. Vegeta si sentiva le tempie esplodere e i suoi muscoli fremere di rabbia repressa. Ringhiò spazientito e si avvicinò all’armadio di Bulma. Con una mano ne aprì l’anta che si staccò con uno schiocco. Maledizione, avrebbe distrutto tutta la casa se non si fosse calmato! Con un grugnito la gettò lontano e il suono del suo schianto contro il muro sembrò ridestare Bulma.

“Dammi… dammi quella tuta blu e va’ a chiamare mio padre, per favore…”

Vegeta rimase un momento interdetto. Il tono della sua voce sembrava stranamente neutro. Il sayan le gettò l’indumento sul letto e uscì in fretta diretto all’interfono del corridoio, rientrando nel giro di pochi secondi. Rimase fermo contro il muro mentre lei si rivestiva lentamente e pensò assurdamente che era la prima volta che la sua nudità non evocasse in lui nessun desiderio carnale.

Con gesti astenici, quasi automatici, Bulma finì di vestirsi e si sedette sul letto. Prima di potersi interrogare sulla sconvenienza di quel gesto, Vegeta prese posto accanto a lei. Avrebbe davvero voluto che lei la smettesse di guardare il vuoto e che gli dicesse chiaramente cosa fare. Quella situazione stava diventando ridicola. Doveva parlare, dannazione!

“Bulma. Andrà… tutto bene. Vedrai.”

Buttare fuori ognuna di quelle parole gli era sembrato come inghiottire qualcosa di molto grosso ed irto di spine. Per riuscirci, aveva dovuto ignorare il senso della frase che andavano a formare.

Bulma finalmente lo guardò. Lo guardo davvero, come faceva di solito, ma i suoi occhi sembravano privi di luce, coperti di una spessa patina di assenza. Non era quello, il blu a cui era abituato. La donna si appoggiò sul suo petto e lo circondò con le esili braccia, mentre grosse lacrime cominciavano a rigarle le guance.

Vegeta combatteva con il bisogno di allontanarla e la volontà di restare; con la necessità di stringerla e l’incapacità di farlo. In mezzo a quel turbine di sensazioni sgradevoli, riusciva a distinguere facilmente la rabbia. Era così insopportabile l’idea che lei soffrisse da renderlo furioso. I suoi singhiozzi lo mettevano a disagio più delle sue smancerie, dalle quali aveva ormai imparato a difendersi.

“M-m-i… dispiace, Ve-Vegeta.”

Lei si dispiaceva? E per cosa?

“Sono solo… una debole terrestre.”

“Non dirlo!” ringhiò lui. Come faceva a pensarlo? Che lui la incolpasse per la perdita del bambino era fuori discussione. Non gli importava. Anzi, lo odiava. Era colpa di quell’abominio se lei piangeva disperata. Lo detestava, ma l’avrebbe ferita ancora di più se glielo avesse detto perciò rimase in silenzio. Malediceva con tutte le sue forze quell’insignificante feto che lui aveva acconsentito a creare; quel feto  in cui aveva infuso la sua mostruosità e la sua forza, mettendo in pericolo Bulma.

L’odore del sangue che ancora permeava la stanza e che molti anni prima l’aveva inebriato ora lo disgustava. Bulma tolse una mano dalla sua spalla per stringersi il ventre, Vegeta dovette distogliere lo sguardo per paura che lei vi leggesse dentro i suoi pensieri. In quel momento odiava quell’ammasso di cellule che era stato suo figlio almeno quanto sé stesso.

 

 

Bulma si sentiva spezzata e stordita. Quelle ultime ore sembravano appartenere alla vita di qualcun altro. Era stato Vegeta a tirarla fuori dalla doccia? Le sembrava di ricordare il nero profondo dei suoi occhi su di lei e l’odore della sua pelle. Di sicuro era stato il primo ad arrivare, le aveva dato dei vestiti.

Aveva cominciato a realizzare cosa stesse succedendo solo quando si era vista circondata. All’improvviso Trunks e i suoi genitori le chiedevano come stava, la toccavano, le toglievano l’aria. L’espressione spaventata di suo figlio l’aveva costretta a rispondere alle domande incalzanti di suo padre. Sì, aveva avuto un aborto spontaneo. No, l’emorragia si era fermata. Sì, lo sapeva anche lei che doveva andare all’ospedale, che il bambino era troppo grosso…

Sua madre aveva preso Trunks per mano e l’aveva portato fuori, nonostante le sue furiose proteste. Avrebbe voluto stringerlo e dirgli che la mamma stava bene, che sarebbe guarita presto, ma non ci era riuscita. Era rimasta ad ascoltare il bambino che supplicava la nonna di lasciarlo entrare, di sapere cosa avesse la sua mamma e perché avesse pianto. Vegeta era riapparso nel suo campo visivo ed era uscito dalla stanza. Trunks aveva smesso di piangere alla comparsa del padre.  Suo padre invece aveva preso in mano la situazione e dopo pochi minuti, o forse diversi secoli, un estraneo in camice bianco l’aveva preparata per l’anestesia.

Era ancora in ospedale. Non sapeva cosa le avessero fatto e non voleva saperlo. D’altro canto non era così fortunata da non sapere quali procedure mediche si attuassero in casi simili, perciò quelle disgustose varianti di intervento si erano affacciate alla sua mente già più volte. Suo padre l’aveva informata che era tutto finito ed era rimasto lì con lei fino a qualche minuto prima, quando si era allontanato per tranquillizzare sua madre al telefono.

Non era sola, però. Sapeva che lui era lì, appoggiato al muro, anche se non lo aveva mai guardato da quando erano usciti di casa. Avrebbe dovuto dirgli qualcosa? Chiuse gli occhi e respirò profondamente. Tutto quello che desiderava in quel momento era un sonno lunghissimo e senza sogni. Vegeta prese a passeggiare per la stanza, mentre lei continuava a tenere gli occhi serrati e rivolti verso il soffitto. In tutta la sua vita aveva sempre desiderato che Vegeta fosse lì con lei, in qualsiasi momento; quella era la prima volta in cui avrebbe voluto che lui se ne andasse, che la lasciasse sola.

Un giovane medico entrò nella stanza chiedendo permesso. Bulma aprì gli occhi e volse il capo verso il nuovo arrivato. Non ricordava se lo avesse già visto.

“Come si sente signora? È ancora un po’ intontita? Non si preoccupi, è per via dei farmaci. Lei è il marito?”

Bulma sentì Vegeta grugnire in assenso. Cercò di mettersi a sedere con grande fatica, di nuovo cosciente di avere un corpo. Perché era ancora così debole? Improvvisamente era conscia del verde delle pareti, dell’odore di disinfettante, della flebo che stillava soluzione fisiologica nelle vene del suo braccio e di una fastidiosa sensazione al basso ventre. Le veniva da vomitare.

Il medico la aiutò a sistemarsi e finalmente Bulma posò gli occhi su Vegeta. Per un istante le sembrò di rivedere lo spietato sayan sotto il controllo di Babidy: il suo viso era solcato dall’odio e dalla rabbia. Mentre il medico si allontanava dal letto le sembrò che quei sentimenti si placassero un po’.

“Voglio sapere se starà bene.”, disse Vegeta in tutta la sua regale autorità. Il dottore lo rassicurò sul fatto che Bulma sarebbe tornata a casa l’indomani, ma l’espressione del sayan non si ammorbidì.

“Signora Brief, voglio che sappia che il suo utero è ancora perfettamente funzionale. Tuttavia suo padre mi ha riferito che la gravidanza non sembra uno stato che il suo corpo tolleri molto bene, pertanto mi ritrovo a consigliarle di desistere…”

Bulma assunse un cipiglio infastidito. Chi diavolo era quello per dirle cosa doveva fare? Come poteva pensare che lei stesse considerando di avere un altro figlio, in quel momento?

“Purtroppo sono cose che capitano. È probabile anche che il bambino avesse qualche problema di sviluppo, visto che abbiamo notato una piccola malformazione in fondo alla colonna vertebrale…”

“Esca!”, sbraitò Bulma.

Il suo urlo aveva coperto lo schianto della sponda di ferro del suo letto staccata di netto, accartocciata nel punto in cui la mano di Vegeta si era chiusa a stringerla.

Il medico guardò la coppia confuso e spaventato.

“Come osi, sudicio terrestre!”

“Esca immediatamente da qui! Non ha capito niente! Niente!”, continuò a urlare Bulma e il dottore terrorizzato uscì rapidamente dalla stanza, chiudendo la porta dietro di sé.

Bulma si lasciò cadere sui cuscini e cominciò a piangere. Il suo bambino era un sayan! Un guerriero! Non aveva avuto nulla che non andasse. Sarebbe stato sano come un pesce, se non avesse avuto una madre così gracile e patetica. Per la prima volta Bulma si sentì l’inutile terrestre che Vegeta aveva abbandonato tanti anni prima.

Quando suo padre rientrò, la aiutò a riprendere il controllo e, una volta riuscita a smettere di singhiozzare, Bulma gli chiese di potersi rinfrescare il viso. Si guardò intorno. Vegeta non c’era più. Da quanto tempo se n’era andato? Lo aveva dimenticato e perso di vista più volte in quel giorno che in tutta la sua vita.

Il Dottor Brief si prese cura di lei come quando era piccola e le veniva la febbre alta, accarezzandole la fronte e cercando di distrarla. Verso sera era riuscito persino a farla sorridere. Bulma aveva chiamato Trunks e l’aveva rassicurato dicendogli che gli avrebbe spiegato tutto una volta a casa. Il bambino si era tranquillizzato e le aveva promesso che avrebbe obbedito alla nonna fino al suo ritorno.

Era circa un anno che aveva smesso di fumare, ma in quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per una fottuta sigaretta. Accese la tv per cercare di non pensare al fumo e al perché fosse ricoverata. Al telegiornale parlavano di una serie di violenti e anomali terremoti ed imponenti frane che avevano interessato le montagne della Città del Nord per tutto il pomeriggio.

Aveva capito dove fosse andato Vegeta.

 

 

 

Capitolo finito. Non è un granché perdonatemi, ma il dramma non è tanto nelle mie corde ultimamente! Detto ciò, nel prossimo capitolo ci saranno ancora momenti abbastanza tristi per Bulma e Vegeta, ma nel finale, vedrete un po’ di luce e soprattutto speranza con la comparsa di un personaggio tra i miei preferiti. Provate un po’ ad indovinare chi???? Grazie per aver letto fino a qui, a presto!!!

 

 

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Capitolo 6
*** Cap. 6 Strangers like me ***


Eccomi, eccomi! Sono riemersa dallo studio per lasciarvi il nuovo capitolo (un po’ più lungo del solito ma non volevo spezzarlo!). Vi avevo promesso una sorpresa alla fine e beh.. spero che vi piaccia! La canzone è di Phil Collins. Recensite, please!!!!

 

CAP. 6 – STRANGERS LIKE ME

Vegeta entrò silenziosamente in casa. Non sapeva esattamente quanti giorni avesse passato lontano, da solo. Tutte le volte che se ne andava perdeva il senso del tempo. Ora che si era risolto a tornare, si rendeva conto che ciò che aveva cercato di ignorare durante gli allenamenti non poteva semplicemente scomparire. Se fosse stato simile all’immagine che conservava di se stesso, non avrebbe avuto quella fiumana di pensieri confusi ad infastidirlo. Si sentiva stordito. Non gli importava granché del moccioso, in fondo non era che uno stupido feto. Aver permesso che Bulma rischiasse la vita per lui; quello era stato un errore madornale. Non poteva permettere che si ripetesse. Sarebbero tornati alla vita di sempre e si sarebbero dimenticati di tutta quella storia.

Si guardò intorno nell’oscurità dell’ingresso. Sembrava che stessero tutti dormendo. Non riusciva ad immaginare quale sarebbe stata la reazione di Bulma nel rivederlo. Comprensione? Ira? Indifferenza? Felicità? Tristezza? Non era fiero di quella che a tutti gli effetti si era rivelata una fuga, ma non sarebbe mai stato in grado di affrontare la situazione alla maniera “terrestre”. Era rimasto lontano anche per lei, per evitare che soffrisse maggiormente per il suo rancore verso quel figlio che invece Bulma aveva amato così tanto.

Si sentì ridicolo mentre indugiava nell’abbassare la maniglia della sua stanza da letto. Nella stanza l’oscurità era meno fitta poiché la luna ne rischiarava gran parte, compresa la delicata figura avvolta nelle lenzuola. Vegeta si avvicinò furtivamente e cominciò a spogliarsi. Doveva ammettere che, dopo tutti quegli anni di lento rabbonimento, in mancanza di un buon letto il suo riposo non era lo stesso. Cercò di coricarsi delicatamente, con una premura a sé estranea, ma non lo aveva mai fatto prima e le vibrazioni del materasso svegliarono Bulma di soprassalto.

L’espressione spaventata della donna mutò in sollievo dopo aver riconosciuto l’intruso. Vegeta rimase seduto a guardarla, in attesa che lei dicesse qualcosa.

“Stavo cominciando a preoccuparmi…”, disse lei in un soffio, gli occhi lucidi ben visibili anche nel buio.

“Non devi.”

Bulma mise la sua mano calda sopra la sua.

“Come stai?”

Vegeta sentì la gola pizzicare d’indignazione a quella domanda. Ritrasse la mano.

“Come sarebbe a dire? Sto benissimo, non farmi domande stupide!”

Bulma si raddrizzò piccata.

“Oh, allora immagino che tu sia tornato per assicurarti che io sia di nuovo disposta a farti divertire, dico bene? Visto che non mi hai nemmeno chiesto come sto!”

“Che assurdità! Sapevo che stavi bene!”

“Peccato che non stia poi così bene, mio caro!”, gli urlò sopra Bulma. “E non ho nessuna voglia di fare sesso in questo momento!”

Vegeta percepì la rabbia arrampicarsi su per il suo esofago. Possibile che quella donna fosse sempre così ottusa? La odiava e odiava se stesso per come si lasciava trascinare in quelle sfuriate velenose.

“Brutta stupida! Pensi che abbia voglia di fare sesso dopo quello che ti è successo?”

Bulma rimase un momento interdetta.

“Che intendi dire?”

“Intendo che questo ridicolo errore non si ripeterà!”

Bulma, adirata e ferita, si allontanò da lui scivolando giù dal letto. Vegeta le voltò le spalle.

“Sei un essere spregevole! Come puoi parlare così di nostro figlio? Pensavo che tu lo desiderassi quanto me.”

“Ti sbagliavi.”, ringhiò il sayan.

Bulma afferrò il cuscino e si apprestò ad uscire dalla stanza.

“Sei un mostro! Se non hai intenzione di fare il marito ed il padre non capisco perché rimani qui!”

La porta sbatté. Vegeta chiuse gli occhi respirando profondamente per cercare di dominarsi. Quando Bulma giocava quella carta seguivano sempre giornate notevolmente nere ed altre litigate. Perlomeno questa volta era uscita prima che lui potesse rispondere qualcosa di altrettanto sgradevole.

 Già, perché rimaneva? Se lo era chiesto così tante volte. Perché ogni cosa al di fuori di quella casa, di quella stanza, non sembrava mai il posto giusto in cui stare? Perché non riusciva a stare lontano dall’odore di quelle lenzuola? Kakaroth ci riusciva. Se ne andava per anni nonostante fosse cresciuto su quel pianeta, tra i suoi miseri abitanti. Perché lui no? Bulma lo sapeva? Sapeva che ogni fibra del suo corpo sayan sembrava lottare con tutte le sue forze per non allontanarsi da lei?

Vegeta tuffò il viso nel cuscino, ma si accorse che il sonno lo aveva del tutto abbandonato. Per colpa di quella donna non avrebbe di nuovo chiuso occhio.

 

 

 

 

Decisamente stavano affrontando un momento difficile.

Bulma davvero non riusciva a razionalizzarlo. Aveva sempre pensato che in mancanza di una minaccia tangibile per la loro incolumità, com'erano Cell o Majin Bu, la loro vita si sarebbe svolta in tutta serenità. I soliti battibecchi, le liti accese o le notti di sesso sfrenato avevano lasciato posto a quella strana apatia, alla fredda cortesia con cui ormai si parlavano.

Bulma si rendeva conto che spettava a lei cercare di sbloccare quella situazione alquanto sgradevole, ma non riusciva a tirarsi fuori da quel limbo insapore in cui era imprigionata. Eppure se solo pochi mesi prima avesse dovuto descrivere il rapporto con Vegeta le ultime parole a venirle in mente sarebbero state quelle che ultimamente definivano ogni sua giornata: incolore, controllato, denso di cose non dette, dolorosamente indifferente. La vita con Vegeta era sempre stata un fuoco ardente, sia che andassero d’accordo, sia che litigassero. Ora assomigliava di più ad un deserto freddo e sterile.

Lui non la toccava più. Non sembrava nemmeno vederla. Bulma sapeva perché e si doleva di non avere la forza di costringerlo a guardarla, a desiderarla, ad averla. La triste verità era che a lei, in quel momento, non importava nulla del sesso. Per quanto le desse fastidio che Vegeta facesse di tutto per non restare in sua compagnia e per evitare l’argomento, non desiderava il contrario.

Da quando avevano discusso, non dormiva più con lei, ma non si era interessata su dove andasse la notte. Probabilmente, pensava, in una delle tante stanze della casa. Di giorno, invece, si seppelliva nella Gravity Room e non le restava che incontrarlo fugacemente nei corridoi o raramente durante i pasti. Non era doloroso, non era niente.

Non sapeva a cosa lui stesse pensando, se stava provando la sua stessa apatia o se a modo suo soffriva. Forse l’essere certa che fosse in casa, nonostante tutto, la rendeva più tranquilla. Per quanto a lungo sarebbe durato? Sarebbero mai tornati quelli di un tempo? Si sentiva straniera nel suo corpo, circondata da persone altrettanto estranee.

Non solo la sua vita coniugale sembrava essersi dissolta, ma anche il rapporto con suo figlio sembrava molto cambiato. Aveva spiegato a Trunks che avevano cercato di dargli un fratello, ma non ci erano riusciti; lui si era rivelato molto comprensivo e attento non facendole troppe domande e nei primi giorni, i più difficili per lei, avevano dormito insieme. Dopo un po’ però, Bulma si era resa conto che il bambino sembrava in difficoltà a mascherare la sua naturale curiosità e a restarle accanto, quindi gli aveva detto di tornare a dormire nella sua stanza. Trunks le era parso visibilmente sollevato.

Tuttavia sembrava che l’unico modo per allontanare il pensiero del figlio perduto fosse quello di riversare tutte le sue energie sul primogenito. Si era resa conto di averlo trascurato negli ultimi tempi, ma sembrava che ormai fosse troppo tardi per rimediare. Trunks non era più un bambino. E non era soltanto per via del viso meno paffuto, delle gambe più lunghe e della voce più bassa. Tutto in lui pareva appartenere ad un giovane adulto. Fuggiva le coccole e le conversazioni, passava molto tempo chiuso in camera o nella Gravity Room con Vegeta, s’incupiva facilmente, pretendeva di fare tutto da solo e di prendere decisioni in autonomia. Non la cercava. Mai.

Il fatto che Chichi lo considerasse l’atteggiamento tipico di un adolescente non l’aveva tranquillizzata. Bulma temeva di non riuscire a trovare un modo nuovo, diverso da quello che utilizzava da sempre, per rapportarsi a suo figlio, soprattutto ora che non aveva le forze per impegnarsi in tal senso.

Mentre si recava in camera per fare una doccia pensava che ogni giorno di più, il bambino sorridente e chiassoso che conosceva, si stava trasformando in un ragazzo pieno di rabbia e di tristezza. Come quell’alieno che tanti anni prima aveva accolto in casa sua. Come quell’uomo la cui sola presenza, seppur distante, bastava a tenerla in vita.

 

 

Vegeta abbassò la gravità a zero.

Trunks si lasciò finalmente cadere a terra, sfinito, ansimando pesantemente.

Era stato bravo. Era ancora molto scostante e distratto ma aveva la tempra del guerriero sayan e lo rendeva fiero vederlo impegnarsi, nonostante fossero in tempo di pace.

“Per oggi basta, Trunks.”

Il ragazzino si rialzò spossato e sorrise.

“Allora domani andiamo al luna park, vero? Mi avevi detto che ci saremmo andati se mi fossi allenato…”

Vegeta gli rivolse uno sguardo torvo. Tutto sua madre. Ricattatore. Svogliato. Furbo.

“Adesso, vattene. Domani vedremo.”

Trunks rimase sul posto dondolandosi incerto. Vegeta ebbe il sentore che ci fosse qualcosa di strano. Non lo vedeva farlo da molto tempo. Era un atteggiamento alquanto infantile e si rese conto che Trunks si comportava da qualche tempo in modo più adulto, più spavaldo. In quel momento, nonostante si fosse allungato parecchio di statura, sembrava ancora il bambino di un tempo. La cosa, stranamente, non lo infastidiva.

“Non importa, sai. In realtà non è che mi piaccia così tanto andarci…”, disse con lo sguardo rivolto a terra.

“Per quale motivo me lo hai chiesto, allora?”, ribatté il sayan seccato.

Trunks si torceva le mani nervoso, guardando per terra.

“Guardami negli occhi quando mi parli, Trunks!”

Trunks alzò il capo con un’espressione risoluta e audace. Il bambino di poco prima sembrava già scomparso. Vegeta notò qualcosa di diverso dal solito. Non sembrava che si stesse trattenendo per paura di farlo arrabbiare. C’era altro. Qualcosa di curiosamente familiare.

“Volevo passare del tempo con te.”

Non vacillò. Proseguì a fissarlo con aria di sfida e Vegeta capì. Si vergognava. Ancora prima di comprendere, si era riconosciuto in quel disagio con cui conviveva da anni: la difficoltà ad esprimere i suoi sentimenti.

Vegeta si trovò d’un tratto contrariato. Trunks non era mai stato così. Lui era come Bulma. Che fine aveva fatto il ragazzino solare e spontaneo di pochi giorni prima? Cosa diavolo stava succedendo a quei due? Il fatto che suo figlio cominciasse a comportarsi come lui era forse segno del normale sviluppo del suo carattere? Incomprensibilmente la cosa non lo inorgogliva.

“Troveremo qualcos’altro da fare, allora.”, disse glissando sull’ultima frase del figlio.

Trunks rimase lì, in piedi, a fissarlo.

“Posso chiederti una cosa?”

Vegeta si avvolse un asciugamano attorno al collo, sperando che quello scambio di battute non diventasse una vera e propria conversazione.

“Sbrigati, però. Voglio farmi una doccia.”

“Tu e la mamma volete divorziare?”

Vegeta si voltò verso di lui e Trunks sostenne il suo sguardo senza fatica. Chissà da quanto tempo quella domanda lo tormentava. La sua postura. Il suo cipiglio. Tutto in lui pretendeva una risposta. A Vegeta parve di guardarsi allo specchio.

“Non dire assurdità. Come ti viene in mente?”, ribatté duro.

“Io… pensavo che visto che non vi parlate più…”

“Smettila con queste stupidaggini. Nessuno va da nessuna parte.”

Trunks gli apparve decisamente più sollevato. Ecco dove voleva andare a parare.

“Adesso va via. Mi hai fatto venire mal di testa.”

“Ok, ci vediamo a cena.”, disse il ragazzino e si diresse verso l’uscita della Gravity Room con passo notevolmente alleggerito.

“Ehi, Trunks!”

Vegeta notò con disappunto che si era già riappropriato di quello stupido smartphone che si portava dietro tutto il santo giorno.

“Comunque io e tua madre non possiamo divorziare, perché non siamo sposati.”

Si osservarono per un lungo istante. Padre e figlio. Se non ci fosse stato tutto quell’azzurro in lui sarebbero stati uguali, pensò Vegeta, ma questo non impediva loro di conoscersi, di capirsi.

Trunks sorrise e se ne andò, lasciando Vegeta da solo, nel buio della Gravity Room.

 Dopo la doccia, Vegeta si incamminò verso la sua stanza. Aveva bisogno di una maglia pulita e lei continuava a metterle lì.

Era davvero patetico che lui temesse quel momento della giornata. Il momento in cui Trunks se ne andava e a lui non restava che cercare di ignorare la pallida copia della Bulma di un tempo. Di giorno era più facile. Durante gli allenamenti la sua mente ritornava ad una primitiva assenza di pensieri per concentrarsi sul suo cuore pulsante, sulla tensione dei suoi muscoli. Poi, però, arrivava la sera…

Prima, per quanto orgogliosamente lo avesse negato, gli piaceva sapere che, una volta uscito dalla doccia, avrebbe trovato Bulma e Trunks a tavola, entrambi impegnati in animate quanto futili conversazioni. Ora era tutto diverso. A cena, nelle rare volte in cui si incontravano tutti e tre, nessuno parlava. Bulma mangiava svogliata, fissando il suo piatto e Trunks volgeva sguardi furtivi verso entrambi, nel costante tentativo di capire cosa stesse succedendo.

In quel poco tempo Vegeta si era reso conto che senza Bulma, senza la donna di sempre, la loro famiglia si riduceva ad un gruppo di estranei riuniti sotto lo stesso tetto. La sua voce, la sua energia e la sua voglia di vivere sembravano scomparse insieme ai già strani fili che in passato li avevano legati l’una all’altro. Prima non passava giorno senza che Bulma non lo stordisse con fiumi di precisazioni non richieste sui suoi stati d’animo, spesso accompagnate da infelici tentativi di convincerlo a fare lo stesso. Ora avrebbe sinceramente voluto che lei dicesse qualsiasi cosa, persino che gli urlasse contro di provare disgusto nei suoi confronti, pur di aggiungere qualche tassello a quel mosaico di incomprensione.

E poi, Vegeta sentì lo stomaco restringersi al solo pensiero, la voleva. Disperatamente. La voleva così tanto da doversi imporre di non guardarla. Quando il suo controllo veniva meno e alzava lo sguardo su di lei, dimenticava persino di aver giurato che non la avrebbe mai più toccata, se lei non avesse ricominciato a prendere gli anticoncezionali.

D’altronde, resistere era possibile. Il suo corpo era mozzafiato come sempre, ma sembrava che dentro non ci fosse più nessuno. Senza Bulma a rendere quelle curve desiderabili e provocanti nemmeno il sesso lo avrebbe soddisfatto.

Raggiunse la sua stanza sfinito e frustrato. Forse era così che doveva scontare gli anni di violenze e distruzioni della sua gioventù. Il suo inferno personale era quella donna. La sua ferita e la sua cura.

 

 

 

Bulma uscì dalla doccia avvolta in una nuvola di vapori profumati e frizionò rapida i capelli corti e il corpo sinuoso con l’asciugamano. Aveva ripreso i chili persi all’inizio della gravidanza e le sue curve erano tornate quelle di un tempo, ma la cosa non la rallegrava, poiché si sentiva dieci anni più vecchia del solito.

Era in ritardo. Trunks stava sicuramente aspettando la cena e lei non aveva ancora risolto il mistero di suo padre. Il Dott. Brief era ricomparso quella mattina dopo essere sparito per un paio di giorni ed era rimasto tutto il giorno a lanciare occhiate circospette fuori dalle finestre.

Bulma gettò l’asciugamano per terra e uscì dal bagno, diretta al cassetto della biancheria. Si era talmente tanto abituata a non vederlo, che imbattersi in suo marito davanti alla porta la spaventò a morte. Anche dallo sguardo stupito di Vegeta traspariva che non aveva considerato di incontrarla.

“Mi hai fatto morire di paura, Vegeta.”

Il sayan continuò a fissarla, stringendo la maglietta che probabilmente era venuto a prendere.

Si accorse solo in quel momento di essere nuda e cercò di coprirsi con le mani.

“Smettila di guardarmi, non puoi!”

Vegeta assunse un’espressione offesa e stizzita.

“Io posso fare quello che voglio, donna!”

Bulma si affrettò a recuperare dell’intimo e a coprirsi.

“Esci subito dalla mia stanza!”, gli intimò prendendo una vestaglia dal suo armadio, a cui mancava ancora un anta.

Non si accorse della velocità con cui Vegeta le serrò i polsi tra le mani. Si ritrovò soltanto a fissare i suoi occhi fiammeggianti.

“Non darmi ordini!”

Aveva dimenticato quanto calde fossero le sue mani, quanto scuri i suoi occhi. Era così vicino che le narici le si riempirono dell’aroma del bagnoschiuma, quello che lei gli comprava, misto all’odore della sua pelle, impossibile da dimenticare.

Vegeta la spinse contro l’armadio e Bulma lasciò cadere la vestaglia dalla mano con un gemito. Un fremito la percorse quando sentì il respiro del sayan sul collo.

“Non provare a respingermi!”, le sussurrò malvagio all’orecchio.

Che strano. Le sembrava di aver già sentito la stessa frase. Già vissuto la stessa scena. Molti, moltissimi anni prima. Mentre Vegeta lasciava i suoi polsi per portare le mani sul suo seno, Bulma si ricordò di quella notte. La loro prima notte insieme. Un tempo, nell’evocarla, Bulma si garantiva una notte di sesso sregolato, pervasa dal desiderio di dominare quel sayan per riscattarsi dei loro primi amplessi, in cui Vegeta non le dava spazio. Ma adesso?  I brividi che la percorrevano erano imputabili al freddo, non al piacere.

Sentì una mano del sayan avventurarsi verso il suo ventre ma non si mosse. Forse… forse se gli avesse dato semplicemente quello che voleva le cose sarebbero tornate come prima. Che importava se non aveva voglia di farlo? Forse si sarebbe risvegliata nel momento in cui la vecchia se stessa la aveva abbandonata.

Bulma portò le mani sui fianchi del sayan,  prese tra le dita l’elastico dei suoi pantaloni e lo trascinò verso il basso. Vegeta la fermò e afferrò il suo viso in una morsa d’acciaio, costringendola a guardarlo negli occhi. Scrutò il suo viso. Intensamente. Deciso.

“No.”, disse seccato e si allontanò di scatto da lei, uscendo dalla stanza.

Bulma rimase attonita per pochi secondi. Cosa voleva dire? Perché si era ritirato? La donna raccolse svelta la vestaglia, se la infilò e uscì correndo dalla stanza.

“Vegeta, aspett…”

Vegeta era ancora lì fuori. Ma non era solo.

Bulma non poteva vedere il viso del sayan, ma doveva essere stupito quanto il suo dell’apparizione di quell’ospite inatteso. Per la prima volta da mesi il cuore di Bulma partì al galoppo, battendo così forte da sembrarle che gli sarebbe schizzato fuori dal petto.

“Ciao papà. Ciao mamma.”

Bulma si trascinò in avanti ancora convinta di avere un’allucinazione. Con la coda dell’occhio vide Vegeta sorridere. Allora era vero, doveva esserlo se anche Vegeta lo vedeva. Era diverso dall’ultima volta in cui l’aveva visto. Capelli più corti, viso più adulto. Il sorriso però era quello di sempre, lo stesso che vedeva tutte le mattine da 11 anni. Da quando era diventata madre.

Cominciò a piangere istericamente e gli si gettò tra le braccia.

“Oh, Trunks!”, singhiozzò stringendosi convulsamente al petto del giovane sayan.

Il ragazzo le accarezzò i capelli ancora bagnati con delicatezza.

“Anche tu mi sei mancata…”

 

 

 

Cosa ne dite? Devo ammettere che ho fatto fatica a scrivere questo capitolo perché il pensiero degli esami mi attanaglia! Comunque… spero che vi sia piaciuto. Ho cercato di addentrarmi nelle incomprensioni familiari e di mettere in primo piano quanto sia difficile capire se stessi e gli altri, anche quando sono persone che si amano! Vi aspettavate il colpo di scena finale? Ammetto che non vedevo l’ora di far entrare il Trunks del futuro in questa storia, perché è ingiusto che di lui non si sappia più nulla dopo Cell! Aggiornerò con un capitolo (almeno credo) più breve di questo. Un abbraccio e a presto!

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Capitolo 7
*** Cap. 7 Family Portrait ***


Chiedo umilmente pietà per essere sparita per mesi, sommersa dallo studio ma spero di farmi perdonare con questo capitolo e che a qualcuno ancora interessi il proseguimento della storia. Presto seguirà la seconda parte di questo capitolo che ho tagliato in due. Le critiche come sempre sono ben accette!

La canzone è di P!nk. Buona lettura!

 

 

 

CAP.7-FAMILY PORTRAIT

Bulma continuava a tenere stretto il ragazzo e a piangere. Da quanto tempo non si sentiva di nuovo così? Così capace di provare emozioni e di lasciarsi andare…

Trunks la scansò delicatamente tenendola per le spalle.

“Basta piangere! Pensavo che saresti stata contenta di vedermi.”

“Ma certo che sono contenta, sciocco!”, rispose lei tra i singhiozzi.

A Bulma sembravano passati secoli da quando si erano salutati dopo la sconfitta dei cyborg del futuro, eppure il suo abbraccio era sempre lo stesso. Rassicurante e affettuoso. Vegeta si avvicinò. Nemmeno lui sapeva mascherare quello che provava come al solito, di fronte a quell’inaspettato incontro.  Nello sguardo d’intesa che il ragazzo e suo padre si lanciarono, Bulma ebbe la certezza che anche per suo marito era come se Trunks non fosse mai partito.

“Sei in gran forma, ragazzo.”, gli disse il sayan felicemente sorpreso.

“Non ho mai smesso di allenarmi…”, rispose il ragazzo con fierezza.

Bulma si riscosse quando un pensiero preoccupante si fece spazio in tutta quella confusione che stava provando.

“Ma… un momento! Come mai sei qui? È successo qualcosa nel futuro?”

Un sentore di allarme mise anche Vegeta sull’attenti.

“No! No, state tranquilli! La mia è solo una visita di cortesia.”

Bulma tirò un sospiro di sollievo e sorrise asciugandosi le lacrime con le mani. Andava tutto bene. Improvvisamente aveva voglia di ridere, parlare, ascoltare i racconti di Trunks; aveva persino voglia di punzecchiarsi con Vegeta.

Ricordava la prima volta che aveva scoperto che quel misterioso e bellissimo ragazzo altri non era se non il suo bambino di una dimensione futura. Si era sentita così straordinaria, così soddisfatta. In quel periodo aveva molta paura; ostentava la solita sicurezza ed il consueto ottimismo ma non sapeva cosa aspettarsi dal futuro. Anche se i cyborg fossero stati sconfitti che cosa ne sarebbe stato di lei, del suo bambino? Che tipo di uomo sarebbe diventato a causa del sangue alieno che gli scorreva nelle vene? Rivedere Vegeta non era stato facile, contro le sue rosee previsioni e una parte di lei desiderava soltanto che i cyborg sparissero e che il sayan se ne andasse una volta per tutte. Così, sapere che Trunks sarebbe diventato un ragazzo leale, coraggioso e gentile le aveva dato la forza di avere di nuovo speranza, e soprattutto di affrontare con determinazione la presenza di Vegeta nella sua casa.

“Certo che avresti potuto farti vivo un po’ prima, tesoro! Sono anni che aspetto di avere tue notizie!”, lo sgridò la donna.

“Smettila di tormentarlo, Bulma!”

La donna lo fulminò con lo sguardo.

“Sei sempre il solito cafone! Sto solo dicendo che mi è mancato!”

Vegeta non ribatté e Bulma tornò a concentrarsi sul ragazzo.

“Coraggio, andiamo in cucina. Ci devi raccontare un sacco di cose, tesoro… Oh, dimenticavo! Devo ordinare la cena!”

La donna si allontanò di corsa lungo il corridoio, lasciando i due uomini indietro. Se si fosse voltata in quel momento si sarebbe trovata di fronte a due identici sorrisi.

 

 

 

Vegeta camminava accanto al figlio. Alzò gli occhi al cielo in direzione di Bulma, che stava maltrattando al telefono il responsabile del catering, e fece ridere il ragazzo. Sperava invece che grazie a quella sorta di legame che si era creato tra di loro nella stanza dello Spirito e del Tempo, capisse che voleva ringraziarlo. Bulma non pronunciava tutte quelle parole da mesi.

Non poteva negare di essere felice per la presenza del ragazzo; in fondo si era legato a lui molto prima che al “suo” Trunks. Era sicuro che averlo conosciuto aveva cambiato le carte in tavola circa il suo destino, non solo per quanto riguardava la sua sopravvivenza. Quando aveva visto per la prima volta suo figlio, durante l’attacco dei cyborg, non aveva provato niente di positivo se non un forte senso di fastidio. Bulma ostentava quel pidocchioso marmocchio come se fosse la cosa più straordinaria sulla Terra, invece lui lo trovava solo un inutile mezzosangue sdentato e indegno di essere suo figlio. Poi aveva incontrato il ragazzo. E a poco a poco si era fatto apprezzare, si era dimostrato più simile a lui di quanto immaginasse e aveva finito per rivelarsi infido come sua madre: si era preso un posto all’interno di lui. Dopo la partenza di Trunks per il futuro, Vegeta aveva visto il bambino con occhi diversi. Sapeva di non potergli dare un buon padre, ma avrebbe per lo meno fatto in modo che suo figlio fosse sempre al sicuro e che crescesse fiero delle sue origini sayan.

“Per quanto tempo ti fermerai?”

“Non per molto. Due giorni al massimo. Sai, è il nonno che è venuto a cercarmi e mi ha chiesto di venire…”

Vegeta si fermò.

“Ti ha raccontato?”

Trunks annuì leggermente. Vegeta si ritrovò a pensare che quel vecchio aveva proprio una gran faccia tosta ma era anche incredibilmente furbo; qualità che Bulma aveva ereditato in abbondanza. Si chiese se la presenza di Trunks avrebbe sortito l’effetto sperato. Quante volte quel ragazzo aveva ancora intenzione di salvarli?

“Sai, detesto essere d’accordo con lei, ma potevi venire a trovarci prima.”

Il giovane sayan arrossì impercettibilmente.

“Mi dispiace, ma non ne ho mai avuto il tempo. Capirai quando ti racconterò…”

La curiosità di Vegeta dovette essere accantonata quando Bulma si affacciò dall’ascensore sbraitando.

“Insomma! Vi sbrigate?”

Padre e figlio entrarono nell’abitacolo e Bulma impaziente schiacciò il pulsante che li avrebbe portati al piano terra.

“Quelli del ristorante non erano molto contenti del poco preavviso, ma quando hanno capito a quanto ammontava la fattura non si sono certo tirati indietro. Ci consegnano tutto fra mezz’ora.”

“Grazie mamma. Non dovevi disturbarti.”

“Dimmi una cosa, ragazzo.”, lo interruppe Vegeta.

“Quanto trovi invecchiata tua madre in una scala da 1 a 10?”

Bulma diventò paonazza.

“Come osi, brutto scimmione! Trunks, dimmi la verità. Non sembro quasi la stessa? Non dar retta a questo rozzo caprone!”

Trunks arrossì in difficoltà e Vegeta scoppiò in una fragorosa risata.

“Visto? Non ha il coraggio di dirti l’amara verità, Bulma!”

Gli improperi che uscirono dalla bocca della sua donna fecero tremare le pareti dell’ascensore e il giovane Trunks, più imbarazzato che divertito, fu felice di uscire dallo spazio ristretto una volta raggiunto il pianterreno. Vegeta dal canto suo continuava a sorridere mentalmente. Era un sollievo vederla insultarlo di nuovo.

Bulma, stizzita, si affrettò a seguire il figlio.

“Ti giuro che me la paghi, Vegeta!”

Alle orecchie del principe dei sayan, mai minaccia aveva avuto un suono più gradevole.

 

 

Bulma non riusciva ancora a crederci.

Trunks, il figlio che aveva conosciuto ancor prima che nascesse, era tornato. Continuava a bearsi della sua immagine mentre mangiava, conversava con Vegeta e faceva domande al suo alter ego più giovane.

Il piccolo Trunks invece non sembrava molto entusiasta della sua presenza e lo osservava di nascosto con diffidenza, solo apparentemente concentrato sul suo piatto. D’altronde non doveva essere facile conoscere il se stesso di una dimensione futura, pensò Bulma. Per quanto riguardava lei, erano mesi che non si sentiva così… contenta. Forse era soltanto perché la presenza di un ospite tanto gradito la distoglieva da pensieri più cupi, ma al momento non le importava. Persino Vegeta non riusciva a nascondere la sua felicità e Bulma aveva contato ben cinque sorrisi durante la cena.

“Sai Trunks… sei molto diverso da come mi ricordo di essere stato alla tua età.”, intervenne il giovane.

Il ragazzino alzò le spalle mantenendo il suo interesse rivolto ad una ciotola di riso e funghi.

“È  svogliato e pigro. Ecco perché è diverso da te; non ha mai dovuto combattere per salvarsi la pelle.”, rispose Vegeta, infastidito dall’atteggiamento scontroso del figlio.

“Non ascoltarlo, Trunks. Se lo abbiamo viziato è soprattutto perché sapevamo quanto avevi sofferto tu. E sottolineo abbiamo perché tuo padre ha contribuito tanto quanto me.”

Bulma lanciò uno sguardo preoccupato al piccolo Trunks, il quale fissava il suo piatto con malcelata rabbia. Aveva sbagliato a pensare che suo figlio sarebbe stato entusiasta di incontrare il suo alter ego più grande. Anzi, sembrava proprio che Trunks stesse per esplodere in una delle sue sempre più frequenti sfuriate; Bulma poteva leggergli in viso tutto il rancore nei confronti di quel giovane che stava catalizzando tutta l’attenzione e l’approvazione del padre, di solito così distante e freddo.

Vegeta grugnì senza replicare.

“Io intendevo dire che sembra un bambino felice e questo mi fa molto piacere…”, si giustificò Trunks con lo scontroso principe dei sayan.

“Io non sono un bambino.”, intervenne il ragazzino alzando finalmente lo sguardo.

Anche il giovane dovette accorgersi della rabbia crescente del piccolo Trunks e si affrettò a correggersi: “Sì, scusa. Hai ragione.”

Bulma cercò di cambiare discorso immediatamente.

“Allora come va nel futuro?”

“A gonfie vele, per fortuna! Ci siamo ripresi rapidamente. La mamma ha tirato fuori tutti i progetti che aveva realizzato negli anni e abbiamo rifondato la Capsule Corporation. Ho preso il posto di vicepresidente, anche se ovviamente non sono alla sua altezza.”

“Wow, è incredibile!”, Bulma ne era davvero compiaciuta. Era sicura che l’altra se stessa si sarebbe risollevata con facilità.

“Visto, Vegeta? In qualsiasi dimensione io sono sempre ricca e intelligente!”

“Mpf!”, sbuffò lui prima di addentare un cosciotto di maiale. “Questo perché Trunks ha sconfitto i cyborg, giusto ragazzo?”

Il fragore di un bicchiere rotto li fece voltare tutti verso il piccolo Trunks.

“Trunks, insomma! Perché non smetti di giocare mentre mangi?”, lo rimproverò Bulma.

Il ragazzino si alzò di scatto.

“Io ho finito.”

Vegeta fece per ribattere ma Bulma gli allungò un calcio sotto il tavolo. Subito si pentì di averlo fatto, accecata dal dolore dell’impatto contro la sua tibia marmorea, ma almeno riuscì a distogliere l’attenzione del sayan quel tanto che bastava per permettere a Trunks di allontanarsi senza salutare.

“Vegeta, lascia perdere. Non capisci che è geloso?”

“Che sciocchezze! È solo maleducato e indisponente!”

“Chissà da chi avrà preso…”, commentò Bulma versandosi il terzo Martini della serata. Con un sorriso sarcastico, notò con piacere che Vegeta si astenne dal commentare.

 

 

 

In un certo senso la presenza del figlio ritrovato sembrava aver riportato Bulma alla realtà. Vegeta continuava a studiarne i comportamenti, ma non gli sembrava che stesse fingendo. Forse nemmeno si stava rendendo conto del cambiamento apportato da Trunks.

Erano rimasti a lungo intorno al tavolo a parlare del passato, del futuro, di Majin Bu, del lavoro di Trunks… Beh, più che altro lui aveva annuito. Come sempre. Forse più tardi si sarebbe pentito del pensiero che stava formulando, ma lo faceva star bene avere la testa piena delle loro chiacchiere… piena della sua voce finalmente. Forse Bulma non lo avrebbe mai capito… che il suo naturale mutismo non era dovuto a mancanza d’interesse, ma che dietro alla consueta disabitudine alla conversazione si celava il desiderio di ascoltarla.

Vegeta vuotò il suo bicchiere per l’ennesima volta. Gli piacevano quelle strane bevande terrestri piene di alcol, ma tutte le volte che seguiva l’esempio di quel pozzo senza fondo di sua moglie, ci metteva una giornata intera prima di riprendersi e di poter tornare ad allenarsi. Bulma seguitava a versarsi ogni genere di intruglio senza batter ciglio, ma il colorito delle sue guance cominciava a tradirla.

“Tesoro, non ci hai detto niente della tua vita privata. Hai una ragazza?”

Ecco che cominciava con le domande imbarazzanti e fastidiose, pensò il principe dei sayan. Trunks, dal canto suo, si passò una mano tra i capelli ma non arrossì come ci si sarebbe aspettato da lui.

“Beh… ecco, stavo aspettando il momento giusto per dirvelo. Preferivo che Trunks non ci fosse per non confonderlo ulteriormente.”

Vegeta notò Bulma farsi seria. I due si scambiarono un fugace sguardo interrogativo.

“Cosa, Trunks?”, chiese la donna ansiosa.

“Ecco io… Io sono sposato.”

Bulma quasi cadde dalla sedia per la sorpresa. Vegeta dal canto suo non riuscì a contenere lo stupore, tradendosi soltanto in un leggero e fulmineo movimento delle sopracciglia.

“Cosa??? Perché non ce lo hai detto subito, Trunks?”, urlò la donna dando uno scappellotto in testa al ragazzo.

“Ahia! Te l’ho detto, non volevo spaventare Trunks!”

Anche il giovane aveva bevuto parecchio e aveva la stessa sfumatura purpurea della madre.

“Bulma perché non te ne vai a dormire? Sei ubriaca.”, intervenne Vegeta. La donna si limitò a rivolgergli un’occhiataccia.

“Ti rendi conto che non ci ha detto di essere sposato? Oh, mio Dio! Trunks! Voglio vederla!”

“Shhh… non urlare. Ho qui una foto.”, provò a sussurrare il ragazzo tirando fuori una polaroid dal taschino.

In tutta risposta Bulma si lanciò strillando sulla fotografia, sotto lo sguardo infastidito di Vegeta.

“La mamma lo aveva detto che avrebbe fatto la matta.”, si giustificò il giovane con il principe dei sayan.

“Che ti aspettavi, ragazzo?”

Bulma si ritrovò a mettere a fuoco il prezioso trofeo e dopo che i fumi dell’alcol le consentirono di identificare i soggetti ritratti urlò dallo sgomento.

“Trunks! Questo… questo è…”

“Te lo avrei detto se me ne avessi dato il tempo.”

Ora anche Vegeta era curioso di sbirciare quella fotografia. Gli occhi di Bulma si stavano riempiendo di lacrime, soffermandosi ora su Trunks, ora sulla foto.

“Trunks… io non ho parole.”, sussurrò la donna. Sembrava davvero estasiata. Naturalmente Vegeta non si sarebbe mai abbassato a chiederle la polaroid, ma per sua fortuna Bulma si andò a sedere accanto a lui e gliela mise davanti. Era stata scattata in un prato e Trunks aveva un completo elegante, di quelli che Vegeta odiava indossare. Il sayan venne distratto per un secondo dalle dita di Bulma che si insinuavano tra i suoi capelli a sfiorargli la nuca, quindi lo sguardo gli cadde sulla ragazza. Sembrava una normale terrestre di bell’aspetto, una donna che un uomo normale avrebbe trovato attraente. Comunque non riusciva a giudicare perché a lui le terrestri, nemmeno quelle oggettivamente più belle, avevano mai detto nulla. Tutte meno una, purtroppo.

Non ebbe tempo di soffermarsi sui capelli rossi della giovane o su qualche altro particolare del suo viso perché tra suo figlio e quella che doveva essere sua moglie c’era una cosa che aveva attirato la sua attenzione. Era un bambino. Probabilmente di circa due o tre anni, con folti capelli neri e occhi dello stesso colore, ma incredibilmente somigliante a Trunks.

Quando Vegeta realizzò davvero quello che stava guardando sentì uno strano calore all’altezza del petto. Doveva essere per via di Bulma, che gli si era fastidiosamente appoggiata alla spalla.

“Trunks, questo è tuo figlio?”

“Sì… si chiama Vegeta.”

 

 

Sono davvero spiacente di non avere potuto inserire prima questo capitolo. Farò in modo che il prossimo arrivi nel week end. Spero che questo scostamento dalla trama originale non vi dia fastidio, comunque sappiate che non influenzerà più di tanto la storia principale. Nel prossimo capitolo vedremo cosa trarranno B e V da questa scoperta, un adolescente turbolento, ma soprattutto i due andranno fisicamente oltre la perdita… Un bacione a tutti!

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Capitolo 8
*** Cap. 8 Shake it out ***


Ecco la seconda parte del capitolo 7. Chiedo scusa se questi due capitoli vi sembreranno un po’ confusionari, ci ho infilato dentro un bel po’ di roba che forse potevo suddividere meglio. La canzone è una delle mie preferite (dei Florence + the machine), se avete tempo ascoltatela perché merita! Un grazie sentito a tutti i recensori!

 

CAP.8 – SHAKE IT OUT

 

Bulma sussultò e così Vegeta che non fu abbastanza rapido da nasconderlo. La donna distolse lo sguardo dalla foto, dove il piccolo appariva imbronciato in una fedele imitazione del principe dei sayan, e lo posò su quest’ultimo.

Raramente Bulma scorgeva Vegeta così in difficoltà. Se avesse dovuto dare un nome al sentimento che si nascondeva sotto la buffa espressione del marito in quel momento, avrebbe detto commozione. Ma l’idea di un Vegeta commosso era talmente assurda che persino lei faceva fatica a crederlo.

“Oh, Trunks…”

Non era riuscita a dire ancora nulla di sensato. Si sentiva talmente sopraffatta da tutte quelle emozioni, dopo settimane in cui non aveva sentito nulla, da provare solo confusione e stordimento. Il ragazzo del futuro si era sposato. Aveva avuto un figlio e lei, in un’altra dimensione, era diventata nonna. Continuava a guardare ora la foto, ora Trunks. Com’era possibile che loro due, lei e il principe dei sayan, due persone così piene di difetti e di vizi, così sbagliate, avessero messo al mondo un ragazzo del genere?

“È… è bellissimo tesoro. È proprio come te.”, disse la donna rivolta al ragazzo.

Trunks le sorrise. “È un vero terremoto. Non fa che correre per il laboratorio e distruggere i macchinari su cui la mamma e mia moglie lavorano.”

“Lei… lavora con voi?”

“A dire il vero è il braccio destro della mamma. È così che l’ho conosciuta.”

Bulma si alzò dalla sedia e avvolse il figlio in un abbraccio. A quanto pareva la Bulma del futuro aveva smesso di soffrire e di sentirsi sola, ripagata di tante infelicità da quello straordinario ragazzo. Quella donna era sopravvissuta alla perdita di Vegeta per il bene di suo figlio. Anche lei aveva perso qualcosa, ma si era dimenticata di quanto importanti fossero le cose che c’erano ancora.

“Ti devo chiedere scusa, mamma. Non sono stato del tutto sincero con te. È stato il nonno a chiedermi di venire per… tirarti un po’ su di morale.”

Bulma subito non capì, poi a poco a poco le sue funzioni cognitive rallentate dal tanto bere le restituirono un lampo di consapevolezza. Suo padre! Ecco dov’era sparito. Aveva addirittura viaggiato fino al futuro per sperare di riportare alla vita la sua adorata figliola.

“Grazie…”

Per l’ennesima volta quella sera, non riuscì a frenare le lacrime. Trunks le cinse le spalle con un braccio e lei sentì Vegeta dire qualcosa a proposito di “ubriachezza molesta”. Invece di arrabbiarsi e ribattere Bulma gettò le braccia attorno al collo dell’uomo e continuò a piangere sul suo petto. Sia Vegeta che Trunks ne rimasero alquanto perplessi.

Bulma aveva sentito il sayan farsi un pezzo di granito sotto le sue mani e pensò distrattamente che, se non altro, stava offrendo a Trunks un divertente spettacolo di suo padre in forte imbarazzo.

“Bulma, sei impazzita forse?!”

In tutta risposta Bulma lo strinse più forte.

“Mi dispiace, Vegeta!”, singhiozzò la donna e Vegeta si trattenne dall’allontanarla.

“Che razza di spettacolo pietoso…”

Anche se le sue parole suonavano dure, Bulma sentì i suoi muscoli farsi meno rigidi e trovò la forza di allontanarsi da lui.

“Hai ragione. Scusami Trunks.”

Il ragazzo fece spallucce sorridendole. Bulma si sentiva la testa pesante; forse era ora di porre fine a quella serata.

“Trunks, perdonami. Non ho nemmeno considerato che sarai stanco. Vuoi che ti accompagni in stanza?”

Trunks si alzò dalla sedia.

“Ti ringrazio. In effetti sono un po’ stanco, ma non c’è bisogno che mi accompagni se la stanza è la stessa in cui dormivo anni fa.”

“Sì, è la stessa. Il piano sopra il nostro, ricordi?”

Trunks annuì, augurò loro la buonanotte e fece per andarsene.

“Aspetta Trunks!”, lo chiamò Vegeta. Si era alzato anche lui e teneva di nuovo in mano la piccola Polaroid che Trunks aveva dimenticato.

“Cosa c’è, papà?”

Vegeta apparve indeciso su quello che stava per dire. Poi guardò il figlio negli occhi, sollevando la foto, e rispose.

“Possiamo tenerla?”

Bulma guardò il figlio, felicemente sorpreso, e i due si scambiarono un frettoloso sorriso d’intesa.

 

 

 

Vegeta lasciò la stanza subito dopo Trunks, ma prima mise la foto nelle mani di Bulma.

“Mettila via. Trunks non deve vederla.”

Bulma, che sembrava ancora piuttosto sorpresa, annuì e se la mise nella tasca della vestaglia. Vegeta si allontanò lungo il corridoio.

Quel ragazzo lo aveva sorpreso di nuovo. Aveva dato a suo figlio il nome del grande principe dei sayan e, nonostante una parte piuttosto piccola e artefatta della sua coscienza pensasse che non valeva la pena che un moccioso mezzosangue portasse il suo nome, si sentiva lusingato e fiero. Non aveva mai provato una sensazione del genere. All’improvviso sembrava rendersi conto che il sangue dei suoi antenati non si sarebbe estinto con lui e quell’idiota di Kakaroth. Poco importava che ci fosse anche lo zampino dei geni terrestri. Quel bambino era suo nipote, anche se era consapevole che nella sua dimensione non sarebbe mai nato, ma un giorno anche Trunks avrebbe avuto dei figli e loro avrebbero mantenuto in vita l’orgoglio del popolo sayan.

Il filo dei suoi pensieri venne interrotto da Bulma che lo stava raggiungendo a passo veloce. Vegeta si affrettò ad assumere l’atteggiamento più ostile possibile, in modo che Bulma non si sentisse incoraggiata a parlargli di quella strana serata. Al contrario delle sue previsioni, infatti, tutta quella faccenda aveva sconvolto anche lui.

Il sayan entrò nell’ascensore e Bulma lo seguì in fretta. Lasciò che lei schiacciasse il pulsante per salire e si appoggiò al muro. La donna si girò verso di lui e lo guardò in modo molto diverso da come aveva fatto solo poche ore prima. Difficile capire se il colorito delle sue guance fosse dovuto all’imbarazzo o alla concentrazione di alcol nel suo sangue.

Vegeta distolse lo sguardo da lei. Non voleva perdere il controllo, perché doveva ancora farle capire che non aveva intenzione di esporla di nuovo al pericolo della gravidanza, ma non sapeva se ci sarebbe riuscito. D’improvviso tra i loro corpi era ritornata la pressante reazione chimica di sempre.

Adrenalina, alla vista del colore delle sue labbra, delle sue dia affusolate che si massaggiavano il collo sottile.

Testosterone, che gli impediva di ragionare come avrebbe voluto e lo spingeva ad essere fisicamente schiavo di quella donna.

E infine, anche se Vegeta avrebbe preferito essere all’oscuro della sua esistenza, l’ormone più fastidioso che fosse mai circolato nel suo corpo.

Ossitocina.

La spiegazione scientifica al suo essersi stabilito sulla Terra, al suo istinto di protezione verso gli abitanti di quella casa, ma soprattutto al fatto di trovarsi lì con lei.

“Credo di dover parlare adesso che sono sufficientemente ubriaca e togliermi questo sasso dalla scarpa, Vegeta.”

Quello era uno dei modi di dire che dopo tanti anni aveva imparato a comprendere per cui non le chiese il significato della sua frase. Non rispose. Da molto tempo Bulma aveva imparato a interpretare i suoi silenzi come la garanzia che la stesse ascoltando.

“Sono stata ingiusta con voi e più egoista del solito in questi mesi. Mi dispiace. Rivedere Trunks mi ha ricordato quanto siamo fortunati ad avere quello che abbiamo.”

La donna cercò i suoi occhi e sorrise debolmente.

“Voglio essere felice, Vegeta.”

Vegeta mantenne la sua rigidità anche quando lei mosse un passo per avvicinarsi. Poteva vedere i piccoli capillari rossi che le disegnavano una fitta trama negli occhi stanchi. Poteva quasi sentire il sapore alcolico delle sue labbra.

Bulma sia avvicinò ancora. Era ormai a ridosso del suo corpo, un altro passo e l’avrebbe toccato. Vegeta le afferrò un posto con gesto fulmineo e nello stesso istante l’ascensore si fermò con un trillo.

Vegeta si affrettò a lasciare la presa. Nell’istante in cui le porte si erano aperte, una musica assordante aveva invaso l’abitacolo, proveniente dalla stanza più vicina. Vegeta grugnì irritato.

“Deve smettere di comportarsi come un moccioso!”

“Vado a parlargli, non preoccuparti…”, gli disse Bulma, superandolo.

Lui la tirò a sé e la baciò. La baciò come non faceva mai, per il puro piacere di farlo. Si arrese a quel gesto che di solito riteneva troppo intimo, tanto da arrivare a  consumare interi rapporti sessuali senza mai elargirne uno. La vide sbarrare gli occhi di sorpresa e poi abbandonarsi gradualmente alle sue labbra, la sentì aggrapparsi alle sue spalle con tutta la sua misera forza terrestre…

“Non metterci troppo, donna.”, le disse dopo averla allontanata con decisione e si diresse verso quella che per molto tempo non era stata la sua camera da letto.

 

 

 

Bulma bussò alla porta con vigore. Non fu sorpresa di non ricevere risposta dato il volume della musica, così entrò.

Trunks era sdraiato sul suo letto con le scarpe ancora ai piedi e gli occhi saldamente incollati allo smartphone. Le casse dello stereo che lei stessa aveva progettato sussultavano forsennate.

“Trunks!”

Il ragazzino la vide e di malavoglia sollevò il telecomando per spegnere lo stereo.

“Che c’è?”, le chiese, tornando a concentrarsi sullo schermo del telefono.

“Volevo sapere perché ti sei comportato così male a cena. Trunks è stato molto gentile con te.”

Trunks fece spallucce e continuò a digitare qualcosa sull’apparecchio, senza degnarla di uno sguardo.

“Trunks! Guardami quando ti parlo!”, disse Bulma alzando la voce.

Il ragazzino allontanò sbuffando il telefono e si rivolse alla madre con aria di sfida, tenendo le braccia conserte. In quel momento assomigliava moltissimo al padre, quando le cose non andavano esattamente come desiderava.

“Non ti riconosco più, tesoro! Perché sei così scontroso?”

Tu non mi riconosci più!?”, rispose lui sarcastico.

“Ma se fino a stamattina non spiccicavi parola nemmeno sotto tortura!”

Bulma deglutì ferita. Aveva ragione. Ma come spiegare ad un bambino cosa aveva provato nelle settimane precedenti? Perché Trunks era pur sempre un bambino, anche se si sentiva più grande. Come poteva capire il vuoto che l’aveva oppressa fino a quella sera?

“Tesoro, lo so che non sono stata… me stessa, ultimamente. Ti chiedo scusa. Farò in modo che non succeda più, te lo prometto. Però vorrei sapere perché ti sei tanto arrabbiato, stasera…”

Trunks allungò le braccia lungo il busto e piegò la testa verso il soffitto. A Bulma sembrò di vederlo arrossire nella penombra della camera.

“Vi piace così tanto, quello?”

Bulma capì dove stava andando a parare. Era esattamente come aveva immaginato.

“Forse dovrei andare io nel futuro e voi dovreste tenere lui. Sarebbe un figlio molto migliore di me!”, le riversò addosso con rabbia.

Bulma non si lasciò intimorire né irritare dal suo scatto d’ira e rispose con calma.

“Non essere ridicolo! In un certo senso siete la stessa persona, ma lui non è nostro figlio.”

Trunks continuò a guardarla in cagnesco, ma non disse nulla.

“Pensi davvero che io e tuo padre potremmo mai sostituirti con lui? Siamo riconoscenti a quel ragazzo e gli vogliamo bene perché ci ha salvati e perché ha il nostro stesso sangue, ma non lo abbiamo cresciuto noi.”

“Papà è orgoglioso di lui…”.

In quell’ammissione c’era molto più rassegnazione che rabbia. Bulma andò a sedersi accanto a lui sul letto. Adesso gli sembrava solo un bambino insicuro e non un adolescente ribelle.

“Certo che è orgoglioso. Lui ha sconfitto dei nemici potenti, ci ha garantito la sopravvivenza più di una volta e ha riportato la pace nel suo mondo. Ma sai un’altra cosa?”

Trunks la osservò sconsolato ma curioso.

“Tuo padre non è mai stato più orgoglioso di quando hai imparato a camminare… o di quando gli hai chiesto di allenarti la prima volta. Tutte le volte che batti Goten in qualche gioco e che prendi un bel voto a scuola tuo padre è l’uomo più fiero del mondo… Anche se non hai sconfitto i cyborg.”

Bulma aveva lasciato un Trunks molto più sereno, quando si avviò verso la sua camera da letto. Lo aveva anche convinto a dare un’altra occasione al ragazzo del futuro, visto che in fin dei conti doveva ringraziare proprio lui di essere cresciuto con un padre al suo fianco.

Aveva molto da farsi perdonare da suo figlio, ma quello che più la spaventava la attendeva all’altro capo del corridoio. Sembrava passato talmente tanto tempo dall’ultima volta che non era sicura di come dovesse comportarsi. Il corpo di Vegeta le sarebbe apparso familiare o estraneo? Si sentiva una stupida ad indugiare sulla porta. Lei, che non aveva mai avuto paura di uno spietato alieno assassino, nemmeno quando quest’ultimo minacciava di ucciderla, adesso tremava come una foglia al pensiero di fare l’amore con suo marito.

Alla fine entrò. I suoi occhi ci misero un po’ ad abituarsi all’oscurità della stanza. Vegeta era sdraiato sul letto con le braccia incrociate dietro la testa. Poteva vedere i deboli riflessi lunari allungarsi sul suo torace nudo.

“Nostro figlio ha pensato che tu preferissi l’altro a lui…”, disse per rompere il ghiaccio, avvicinandosi e sedendosi sul letto.

“Che assurdità! E dire che non fai altro che vantarti di quanta intelligenza abbia preso da te.”

“Oh, andiamo! Per una volta smettila di fare lo stronzo e ammetti che è solo un ragazzino e che potresti andarci più piano con lui.”

Vegeta la guardò senza rispondere. Stranamente non considerava tutti gli insulti come tali; quello, in particolare lo prendeva quasi come un complimento. Come “carogna” o “pervertito”. Se avesse voluto farlo arrabbiare avrebbe dovuto dargli dell’ignorante o del pallone gonfiato.

 “Lo sai qual è la cosa più divertente di questa serata?”

Bulma studiò i contorni del suo viso nell’oscurità. Era decisamente troppo che i suoi lineamenti disertavano i suoi sogni.

“No, cosa?”, domandò la donna curiosa.

“Che sei nonna.”, rispose lui con un ghigno malefico.

“E tu sei uno stronzo! Ecco cosa sei!”, rispose lei solo falsamente stizzita. In cuor suo invece era sollevata che il sayan fosse così allegro da punzecchiarla.

“Non parliamone più, comunque.”, rispose la donna.

“Trunks non deve saperlo e poi… sappiamo che il nostro futuro sarà diverso. Lui non sarà mai nostro nipote.”

“Non c’è bisogno che me lo dici.”, rispose lui mettendosi a sedere.

Bulma notò i suoi occhi di nuovo fiammeggianti come lo erano stati poco prima nell’ascensore e ritrovò il timore con cui era entrata nella stanza. Vegeta la attirò a sé e Bulma sussultò alla sua presa ferrea. Il suo odore misto a quello dell’alcol consumato la colpirono come un pugno nello stomaco.

“Non voglio avere altri problemi.”, disse il sayan scostandole la vestaglia dalle spalle.

Bulma capì a cosa si stava riferendo. Si sentì comunque ferita perché, nonostante in quel momento non riuscisse a pensare di provare ad avere un’altra gravidanza, il tono di Vegeta implicava che il capitolo fosse definitivamente chiuso.

“Non credo che succederebbe neanche se lo volessi. Comunque se preferisci ricomincerò a prendere precauzioni.”

Vegeta non disse altro; si limitò a sollevarla alla sua altezza e a cominciare a coprirle il collo e le spalle di piccoli morsi, mentre le sue mani calde affondavano nei suoi tonici glutei.

L’ansia di Bulma si dissolse in pochi istanti. Il tocco di Vegeta, che solo poche ore prima le era sembrato così insipido e impersonale, ora la faceva vibrare fin nel profondo come una corda tesa. Era come se, svegliatosi dopo un lungo coma, il suo corpo stesse ricordando come muoversi all’unisono con quello del sayan. Spiazzò Vegeta affondando una mano nei suoi capelli e baciandolo con foga, mentre assumeva una posizione più comoda in braccio a lui.

Quanto tempo ci mise ad arrivare a quel momento non poteva più dirlo, annebbiata dai cocktail e dai baci del principe dei sayan, ma quando finalmente lo sentì dentro di sé seppe di essere il beduino disperso che ritrova la sua oasi. Non le restava che bere. Bere fino a scoppiare, fino a che la sete non fosse stata solo un ricordo lontano e sbiadito.

Come aveva fatto a pensare di poter stare così a lungo senza provare quell’inebriante sensazione di desiderio? Come aveva fatto a rimanere per così tanto tempo distante da quell’uomo, quand’era chiaro che nemmeno in quel momento lo sentiva abbastanza vicino? La sua pelle bruciava al contatto con quella di Vegeta, ma non era sufficiente. Avrebbe voluto fondersi con lui per non doversene mai separare, per non dover mai tornare a tenersi a distanza come facevano fuori da quel letto.

Un ricordo la portò lontano. A una decina di anni prima…

Cell era stato sconfitto. Trunks era appena tornato nel futuro e lei si chiedeva se e quando Vegeta, che ancora si ostinava a gironzolare per la sua casa, sarebbe partito di nuovo. Continuava a ripetersi di essere pronta. Non si erano parlati poi molto in quei giorni caotici ed ogni volta che lo incrociava cercava di apparire del tutto disinteressata alla sua presenza, come se il bambino che aveva in braccio per la maggior parte del tempo non lo avesse concepito con lui. Sicuramente, una mattina o l’altra si sarebbe svegliata e avrebbe scoperto che la navicella creata da suo padre non c’era più, così come il gelido principe dei sayan. Non lo avrebbe mai più rivisto, finalmente.

Invece una notte era semplicemente entrato dalla finestra, spaventandola a morte. Aveva sorriso diabolico agli insulti e non si era mosso quando lei l’aveva esortato ad uscire dalla sua stanza. Lei gli aveva chiesto se fosse passato a salutarla prima di partire, ma lui aveva risposto che non aveva nessuna intenzione di andarsene.

E tutte le sue barriere erano crollate.

Si era lasciata sollevare e spogliare, nonostante il suo istinto di autoconservazione le urlasse di scappare il più lontano possibile. Avevano fatto l’amore ed era stata la cosa più dolorosa e straziante che lei avesse mai provato prima, perché finalmente aveva ammesso a se stessa di amarlo. E durante il terzo o forse quarto amplesso glielo aveva detto. Gli aveva detto “ti amo” prima di affondargli i denti nella spalla e le unghie nella schiena, per la rabbia e la frustrazione. E lui aveva riso. Nel solito modo freddo e crudele. Le aveva restituito il morso, strappandole un gemito, e l’aveva chiamata “stupida terrestre selvaggia”.

Sapeva che dopo quella notte non sarebbe più stato possibile fare a meno di lui. In pochi secondi quell’alieno aveva messo a nudo la sua anima, distrutto tutte le difese faticosamente riconquistate dopo il suo abbandono.

Lo amava. Lo amava a tal punto da desiderare di morire lì, in quel momento. Si era ritrovata a pregare che lui la uccidesse prima che tutto fosse finito, così da non dover soffrire di nuovo. Sarebbe stato così facile… abbandonare questo mondo tra le sue braccia coperte di cicatrici, per mezzo della sua stretta ferrea sul collo sottile…

Il mattino dopo si era svegliata stanca e dolorante, confusa e imbarazzata, ma viva. E la navicella di suo padre era ancora al suo posto. Non se ne sarebbe più andata.

Quando Bulma riemerse dal suo ricordo si ritrovò ansante, abbandonata sul corpo marmoreo del sayan. Chiuse gli occhi, cullata dal suo respiro e dai battiti profondi del suo cuore. Forse lui l’avrebbe lasciata dormire così vicina…

“Non pensare che sia finita qui, donna. Mi devi un po’ di arretrati.”

Riaffiorare dal sonno non era mai stato così facile.

 

 

 

Eccoci qua…  spero che abbiate apprezzato il capitolo. L’ultima parte, legata al ricordo di Bulma, l’ho inserita perché ho avuto una folgorazione ascoltando JAR OF HEARTS e ho pensato a come doveva essersi sentita Bulma al ritorno del principe. Una piccola precisazione biologica (per chi non lo sapesse): l’adrenalina è l’ormone prodotto in risposta allo stress a breve termine, quello che ci consente di scappare o combattere di fronte ad un pericolo o un imprevisto; il testosterone media il desiderio sessuale maschile. Fino a poco tempo fa si credeva che l’ossitocina intervenisse solo durante il parto e l’allattamento; oggi si sa invece che è la principale spiegazione biologica dell’attaccamento alla prole e dell’innamoramento. Spero di non avervi annoiato. un ringraziamento a chi ha fornito l'immagine. A presto!

 

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Capitolo 9
*** Cap. 9 Somebody that i used to know ***


Ciao a tutti, ecco un capitolo che mi sono divertita molto a scrivere e spero che vi piaccia. La canzone è di Gotye. Ringrazio per l’ennesima volta tutti coloro che recensiscono e che recensiranno. Non vedo l’ora di leggere i vostri commenti e suggerimenti! Buona lettura a tutti!

 

CAP. 9 – SOMEBODY THAT I USED TO KNOW

Vegeta infilò la cintura nei passanti dei pantaloni, rivolto verso l’enorme vetrata. Centoventi piani sotto di lui la vista sull’immenso West Park e sul fiume che portava lo stesso nome avrebbe tolto il fiato a qualsiasi terrestre. Lui, che terrestre non era, si limitò ad osservare con scarso interesse il riverbero del sole sull’acqua e i battelli che seguivano il corso del fiume simili a pigri tronchi galleggianti.

Aveva sempre saputo che Bulma mostrava una spiccata tendenza alla teatralità, perciò non si era stupito, pochi anni prima, di scoprire che la nuova sede amministrativa della Capsule Corporation sarebbe stata l’edificio più alto della città e che la donna avrebbe sistemato il suo ufficio personale all’ultimo piano.

“Dov’è la mia scarpa?”

Vegeta distolse lo sguardo dal panorama.

“Maledizione, dove diavolo è finita?”, sbraitò la donna sistemandosi meglio la camicia all’interno della gonna.

Vegeta pensava che fosse tutta fatica sprecata. Chiunque fosse entrato in quel momento avrebbe senz’altro capito che avevano appena fatto sesso. Le guance infiammate della donna e i suoi capelli scarmigliati, nonché la scarpa ancora dispersa non lasciavano spazio all’immaginazione.

“Non potresti aiutarmi, invece di restare lì impalato?”

“Che vuoi che me ne importi?”

Bulma lo trafisse con lo sguardo, ma voltarsi verso di lui le consentì di individuare la latitante calzatura in un angolo tra gli schedari. La donna si affrettò a recuperarla e, quasi nello stesso istante in cui la infilava al piede, bussarono alla porta.

“Avanti!”, disse Bulma dandosi un’ultima frettolosa sbirciata ai vestiti.

“Le ho portato il caffè, capo.”, esordì il nuovo arrivato.

Vegeta squadrò il ragazzo con irriverenza. Aveva tutta l’aria di essere il suo segretario. Di sicuro non era casuale che lei non gli avesse accennato al fatto di avere un uomo come assistente. Figurarsi; quella donna lo sommergeva di chiacchiere inutili sul suo lavoro e ometteva l’unica cosa che avrebbe davvero catturato la sua attenzione. Quando il giovane si accorse della sua presenza, il sorriso spavaldo con cui era entrato lasciò il posto alla sorpresa ed alla curiosità.

“Oh, mi scusi… non sapevo che fosse impegnata. A dire il vero non faccio entrare nessuno da ore…”

“Tutto a posto, Patrick. Puoi lasciare il caffè.”, disse Bulma prendendo posto sulla poltrona girevole.

Vegeta notò che aveva il labbro superiore leggermente contratto; segno che qualcosa di quella situazione non le andava a genio. Per lui era sempre stato essenziale imparare ad interpretare il linguaggio del corpo dell’avversario, nello spazio di una battaglia. Quel nemico in particolare occupava l’altra metà del suo letto da anni ed ormai ogni piccola sfumatura della sua voce ed ogni spasmo involontario del suo viso gli erano familiari.

L’idiota incravattato parve ricomporsi: “Il signore desidera qualcosa?”

“Sì, che tu sparisca.”, gli disse Vegeta con rudezza, lasciandolo di stucco.

Il giovane cercò gli occhi di Bulma per ricevere istruzioni. Il principe dei sayan trovò che fosse professionale da parte sua, anche se sentiva l’odore della sua paura permeare la stanza.

“Vai pure, Patrick. Ti chiamo io se ho bisogno.”

Il ragazzo lanciò un ultimo fugace sguardo allo sconosciuto apparso da chissà dove ed uscì dall’ufficio. Bulma sembrò rilassarsi un po’.

“Hai intenzione di spaventare a morte tutti i miei dipendenti?”

Vegeta non la degnò di una risposta.

“L’ultima segretaria che ti ha visto entrare qui dentro volando è ancora in cura dall’analista.”, disse la donna tirando fuori uno specchio dal cassetto più vicino.

“E tu l’hai sostituita con un uomo?”

Il sayan la vide posare il rossetto e cercare di nascondere un sorriso malvagio. Dio, a volte pensava di aver scelto come compagna il suo alter ego femminile.

“Sei geloso, per caso?”

“Che vuoi che me ne importi? È solo uno stupido terrestre.”

“Però è molto efficiente.”, replicò lei appoggiando la penna sulle labbra. “E devo ammettere che è bello da guardare…”

“Allora perché non lo richiami?”, disse il sayan pacato, girando attorno alla scrivania sulla quale poco prima avevano soddisfatto la loro libido. “Così puoi guardarlo, mentre io mostro a lui cosa ti piace…”

Bulma alzò lo sguardo dalle sue carte per fissarlo. Vegeta poteva immaginare gli ingranaggi del suo cervello lavorare frenetici per valutare l’effettiva pericolosità di quella minaccia.

“Per quanto l’idea mi alletti, io ho un lavoro, tesoro. E comunque… com’è che oggi non ti sei allenato nemmeno un po’?”, gli disse appoggiandosi alla scrivania, rivolta verso di lui.

“Non ci si allena il giorno prima di un combattimento.”

Bulma ci mise qualche secondo a capire, ma quello che aveva sentito non sembrava piacergli affatto.

“No! Scordatelo, Vegeta! Tu e Goku non combatterete domani!”

“Perché non dovremmo?”, rispose incrociando le braccia strafottente.

“Perché è il matrimonio di suo figlio! Ci sono almeno un milione di motivi per cui non dovreste farlo.”

“Aspetteremo che tutta l’inutile festa sia finita…”

“Senti…”, disse la donna massaggiandosi le tempie con le mani. “Non me ne parlare nemmeno. Non voglio sapere niente. Assicurati solo che Trunks vada a tagliarsi i capelli e restate nei paraggi perché dovete provarvi gli smoking.”

“Tsk!”, replicò lui sprezzante. “Perché dovrei mettermi dei vestiti così ridicoli?”

Bulma lasciò la sua postazione per avvicinarsi con passo felino e vagamente intimidatorio. Ormai Vegeta ci era abituato, ma ancora l’istinto gli suggeriva di allontanarsi dal potere che lei emanava in certe occasioni.

“Lo metterai, tesoro. Lo metterai e sarai ricompensato oltre ogni immaginazione.”

Il principe si vide per l’ennesima volta togliersi l’invisibile corona dal capo e posarla su quello tanto delicato quanto diabolico della consorte. Ci volle tutta la sua forza di volontà per lasciare che lei si allontanasse.

“Niente che io non possa prendermi con la forza.”, replicò scaltro.

“Oh, questo è certo. Ma sei sicuro che ti darebbe la stessa soddisfazione, maestà?”

Le sue labbra piene nascondevano le fauci fameliche di una sirena. I suoi occhi brillavano di feroce malizia.

Maledetta donna. Avrebbe vinto così facilmente…

 

 

 

 

Mentre sorvolava la città dell’Ovest diretto verso casa, Vegeta pensava agli avvenimenti degli ultimi mesi. Dopo la partenza di Trunks aveva temuto che Bulma potesse tornare a sprofondare nel suo limbo personale, invece sembrava essersi risollevata con notevole grinta. Sapevano tutti però che il suo essersi ributtata a capofitto nel lavoro le serviva per non dover ripensare a quanto aveva vissuto. Tra l’azienda, Trunks, le sessioni straordinarie di sesso come quella appena conclusa, il suo dannato nuovo passatempo di uscire a bere con le sue amiche, non le restavano energie né tempo per rievocare la maternità sfumata.

Vegeta era convinto fosse solo questione di tempo. Prima o poi sarebbe tornato tutto alla normalità e forse avrebbe avuto fine anche la sua ridicolmente ingigantita ossessione per il suo aspetto fisico. A lui non poteva importare di meno che le fossero comparse le prime rughe o che le sue mani sembrassero più raggrinzite. Il fatto che lui non fosse particolarmente cambiato negli ultimi dieci anni sembrava essere per lei ulteriore motivo di malumore. Tutto ciò che poteva fare per toglierle quelle stupide fissazioni era dimostrarle che la desiderava esattamente come il primo giorno in cui aveva messo piede sul pianeta.

Aveva capito subito perché la donna aveva cominciato a stuzzicarlo così sulla gelosia. Trattandosi di Bulma, probabile che il tutto servisse solo a rafforzare la sua già incrollabile autostima, ma considerava più plausibile che in quel momento lei avesse più bisogno di essere ammirata. A volte gli dava davvero sui nervi che alludesse a giochi di sguardi avvenuti per la strada con sconosciuti, ma spesso la cosa finiva per eccitarlo parecchio, a vantaggio di entrambi.

La conosceva più di quanto non avesse mai conosciuto nessuno.

Atterrò sul terrazzo principale. La porta finestra rimaneva sempre aperta per lui.

Appena entrato in salotto si accorse di non essere solo. Trunks era già a casa, sdraiato sul divano a giocare ai videogames. Non appena individuò la sua ombra, il ragazzino spostò in fretta i piedi dal tavolino di vetro, salvo poi rimetterceli quando si rese conto che era il padre ad essere entrato nella stanza.

“Ciao… pensavo fosse la mamma.”, disse riprendendo il joystick che aveva lanciato lontano.

“Non dovresti essere a scuola?”, chiese secco il principe dei sayan.

“Ehmmm… sono uscito prima.”

Le orecchie gli si tinsero di rosso. Non era poi così difficile capire che stava mentendo, neanche per qualcuno che non fosse stato suo padre.

“Sta’ tranquillo. Non lo dirò a tua madre.”

Trunks gli rivolse un sorriso complice, abbandonando il suo gioco.

“Glielo dirai tu.”, aggiunse il sayan.

Vegeta trovò il cambiamento d’espressione di suo figlio molto divertente.

“Era solo una stupida ora di geografia, papà!”, provò a giustificarsi il ragazzino.

“Non m’importa. Fosse per me potresti anche non andarci per niente in quella stupida scuola, ma tua madre non tollera di avere un figlio ignorante.”

“Ma io sono il primo della classe!”, provò a protestare il piccolo sayan imbronciato.

“Ci mancherebbe altro. Sei forse un volgare terrestre?”

Trunks sbuffò rabbioso e si diresse verso la cucina. Vegeta lo raggiunse poco dopo attratto dal suono del frigorifero che si apriva. Di solito a quell’ora la madre di Bulma era già passata in quell’area della casa a depositare un gran quantitativo di cibo.

“A che ora torna la mamma? Così so quante ore di libertà mi restano…”

“Non fare tutte queste storie. E comunque la tua libertà finisce ora; ha detto che devi tagliarti i capelli per domani.”, disse il sayan prendendo una ciotola di pollo marinato.

Trunks si lasciò cadere pesantemente sulla tavola con un enorme piatto di gamberi alla piastra.

“Fantastico. Anche Goten è stato costretto.”

Vegeta raggiunse il tavolo e si sedette. A quanto pare non era l’unico a non fare salti di gioia alla prospettiva del giorno dopo.

“Satan City!”, continuò a protestare Trunks. “Scommetto che resteremo tutto il giorno chiusi in quell’albergo ad annoiarci a morte.”

“La dannata festa è all’aperto. Possiamo sempre volare via.”

“Tu, magari. Se io ci provassi la mamma mi metterebbe agli arresti per un mese!”

Vegeta pensò che Trunks non aveva idea di quello che Bulma avrebbe potuto fargli se fosse andato via dalla cerimonia.

“Goten ha detto che cercherà di convincere suo padre a sgattaiolare via per andare a pescare. Te lo immagini? Se potessimo farlo anche noi, ci divertiremmo un sacco. Potremmo anche sfidarci. Non ti andrebbe l’idea?”, lo incalzò Trunks speranzoso.

“Tua madre ci darebbe il tormento.”

Anche se l’idea di trascorrere la giornata a pescare e combattere con il suo rivale e i marmocchi cominciava a sembrargli niente male.

“È vero, però sai una cosa?”

Trunks lo guardò con i grandi occhi azzurri colmi di innocente malignità.

“Se facciamo in modo che loro vadano via per primi, possiamo sempre dire che non è colpa nostra…”

Vegeta ingoiò l’ultimo pezzo di pollo. Decisamente Trunks aveva ereditato il suo stesso senso etico.

 

 

 

 

 

 

 

Bulma si guardò allo specchio per l’ennesima volta. Era pronta. Era bellissima. Allora perché continuava a non piacersi?

La ginnastica degli ultimi mesi l’aveva resa più tonica per non parlare dei costosissimi trattamenti di bellezza che aveva fatto, tra cui un’unica iniezione di acido ialuronico che doveva restare assolutamente segreta, eppure continuava a vedere il suo corpo sfaldarsi sotto i suoi occhi. Nemmeno quel favoloso vestito pagato una fortuna la faceva sentire perfetta. A sentire Vegeta stava  diventando matta. Anzi, si era recentemente lamentato del fatto che stesse diventando troppo magra. Figurarsi! Con la fatica che faceva per mantenere la linea!

Si spruzzò un’ultima volta un alone di profumo e si preparò ad uscire dalla stanza. Si augurava che Vegeta e Trunks fossero pronti. Al matrimonio ci sarebbe stata metà Satan City, tra cui moltissime personalità che investivano nella sua azienda. Il volto pubblico della Capsule Corporation stava per vivere una giornata stressante.

Giunta in soggiorno, Trunks la superò di corsa diretto in corridoio.

“Dove stai andando? L’aeromobile ha già il motore acceso!”

“Ho dimenticato una cosa! Ci vediamo sulla piattaforma!”

“Non sgualcirti il completo, chiaro?”

Trunks era già sparito dalla sua vista. Entrò in cucina per l’ultimo bicchiere prima della partenza. Vegeta era lì a sfogliare distrattamente un quotidiano.

“Ah, bene. Sei pronto. A quanto pare non sarà poi così disastrosa questa giornata.”

Vegeta alzò gli occhi. Non era di ottimo umore, ma pretenderlo in effetti sarebbe stato troppo.

“Hai fumato.”

Bulma trasalì.

“Perché, si sente?”, chiese allarmata.

“Io lo sento.”, disse il sayan avvicinandosi. “Ed è rivoltante.”

“Oddio!”, disse Bulma girando i tacchi per correre a fare un altro bagno di profumo, ma Vegeta la trattenne per un braccio.

In pochi istanti si ritrovò seduta sul bancone della cucina con Vegeta che ansimava sul suo collo e con le sue mani sulle cosce.

“Cosa fai, Vegeta?!”, disse cercando invano di allontanarlo.

Vegeta si ritrasse per guardarla negli occhi.

“Ho detto che puzzi, non che tu non sia uno schianto.”

Sul viso della donna affiorò un sorriso. Per un secondo dimenticò di avere messo il rossetto con precisione millimetrica e si protese per baciarlo…

“Che schifo!”, urlò Trunks entrando in cucina in quel momento ed uscendone altrettanto di corsa. Bulma si affrettò ad allontanare Vegeta con una spinta e a scendere dal ripiano.

“Non potete farlo in camera come tutte le persone normali?! Cosa ho fatto per avere dei genitori tanto disgustosi?”, urlò il ragazzino dal soggiorno.

Bulma si sistemò il vestito paonazza e guardò Vegeta. Quell’idiota sembrava divertito. Per fortuna non si erano fatti trovare in una situazione più compromettente.

“Trunks, tesoro, non stavamo facendo ni…”

“Shhhh! Non dire niente, ti prego! Così forse riuscirò di nuovo a mangiare in quella stanza!”

Bulma seguì Vegeta fuori dalla cucina. Trunks stava sistemando delle capsule in uno zaino.

“Adesso non esagerare, per favore.”

Ultimamente faceva il melodrammatico per un nonnulla.

“Tu non puoi capire! Non sai cosa significa girare in casa tua ed aver paura di voltare l’angolo, perché dietro possono esserci i tuoi a fare…”

“Sì, sì, abbiamo capito!”, concluse Bulma. Si era resa conto che il ragazzino non era per niente sconvolto, ma che si stava dilettando nel prenderli in giro.

“Io non la farei così lunga, ragazzino.”, intervenne Vegeta con sommo stupore di Bulma.

“In fondo, è grazie a quello se tu sei qui.”

“Vegeta!”, sbraitò Bulma, mentre Trunks fingeva conati di vomito.

 

 

 

 

 

 

 

La cerimonia era stata molto toccante. Si era persino commossa a vedere il piccolo Gohan mettere l’anello al dito di una raggiante Videl. Chichi si era sciolta in lacrime fin dal primo istante e Goku era rimasto al suo fianco tutto il tempo, sprizzando orgoglio da tutti i pori. Per quanto riguardava lei, era finalmente riuscita a rilassarsi. Aveva catturato le attenzioni di tutti, ricevuto molti complimenti e soprattutto aveva mantenuto la sua famiglia nei ranghi fino a quel momento.

Trunks era sparito con Goten da un po’, ma Bulma dubitava che avrebbe combinato chissà cosa, visto che gli aveva sequestrato tutte le sue capsule, dopo averle scoperte piene di videogiochi, attrezzatura da pesca, fuochi d’artificio e fucili da paint-ball. Vegeta invece era ancora accanto a lei. Estremamente annoiato, certo. Ma almeno c’era.

“Non capisco a cosa serva questa pagliacciata, comunque.”, si lamentò il sayan per l’ennesima volta.

“Te l’ho già detto! È così che fanno le persone per bene. Prima si fidanzano, poi si sposano, vanno a vivere insieme e infine fanno dei figli.”

“Tu non hai fatto così.”

“Però… che occhio, Vegeta! Complimenti!”

Il sayan parve pensarci un po’ su.

“Ho sempre saputo che eri una donnaccia.”

Fu una delle tante volte in cui Bulma si dimenticò di avere un compagno della consistenza del cemento armato. Il pugno che gli diede non solo non ebbe nessun effetto su di lui, ma le fece vedere anche le stelle per il dolore.

“Sei sempre il solito cafone!”, disse massaggiandosi la mano.

Vegeta le voltò le spalle stizzito e si diresse verso il tavolo degli antipasti. Bulma sospirò.

Ancora qualche ora e sarebbe tutto finito. Al contrario di quello che tutti pensavano, lei non aveva mai rimpianto di non essersi sposata. I matrimoni erano cose da romantici, sognatori e tradizionalisti. Lei non aveva mai aspirato a percorrere la navata vestita di bianco. Aveva sempre sperato di incontrare il principe azzurro; questo sì. E quel principe era arrivato anche se non proprio del colore giusto. Non aveva mai pensato al matrimonio prima; farlo a quel punto sarebbe stata una vera follia.

Si guardò intorno furtivamente e aprì la borsetta per tirare fuori una sigaretta. Individuò il posto giusto per non essere vista e ci si avviò. Doveva ammettere che quell’albergo era magnifico. I giardini in cui era stato allestito il ricevimento erano pieni di splendidi fiori, nonostante fosse ormai giunta la fine dell’estate. Un frutteto ed un laghetto con i cigni avevano attirato la sua attenzione perché più riparati. Bulma si avvicinò ad una panchina costeggiante la riva e si sedette. Aveva proprio bisogno del suo piccolo vizio…

“Ehilà!”

Bulma quasi si soffocò con il fumo appena inalato.

“Go-Goku! Mi hai spaventata!”

“Oh, scusa…”, disse l’amico allegramente.

“Dì un po’, non sai che ti fa male quella roba?”

“Ti prego, non ti ci mettere anche tu.”, disse lei buttando a malincuore la sigaretta.

“Come stai?”, le chiese il sayan sedendosi vicino a lei.

Tu come stai! Tuo figlio si è appena sposato!”, replicò la donna con un gran sorriso.

“Già…”, rispose Goku pensieroso.

“Ti sembro patetico se ti dico che mi sembra ieri il giorno in cui è nato?”

“No, non lo sei. Credo che per i genitori, i figli restino sempre bambini.”

“Sarà così…”, disse il sayan incrociando le braccia dietro la testa.

Lo smoking gli donava, ma si vedeva che gli dava fastidio.

“È tutto il giorno che volevo parlarti sai, Bulma?”

Bulma fu sorpresa di quella rivelazione.

“Ah sì? E cosa volevi dirmi?”

“Ti ricordi il nostro primo incontro?”

“E come potrei dimenticarlo? Ho cercato di ucciderti!”

“Già.”, rise Goku.

“Anche quello mi sembra successo ieri.”

“E invece sono passati più anni di quanti non voglia ammettere.”, disse la donna sospirando.

“Pensavo… se io e te non ci fossimo mai incontrati… se tu quel giorno non mi avessi investito con la tua auto, dove saremmo oggi?”

Bulma si ritrovò a pensarci per la milionesima volta.

“Non ne ho proprio idea, Goku. Di sicuro non qui.”

“Esatto.”, intervenne lui. “In un certo senso, è merito tuo se io ho avuto tutto questo dalla vita.”

Bulma lo guardò incredula.

“Ma che dici, Goku?!  Sei tu che hai salvato la Terra innumerevoli volte!”

“Sì, è vero.”, replicò Goku. “Però l’ho fatto perché tu mi hai convinto a seguirti.”

“Oh, Goku!”, rispose Bulma colpita. “È così carino da parte tua. Io penso la stessa cosa di te. Se non ti avessi incontrato, non avrei vissuto tutte le nostre avventure, non avrei mai incontrato Vegeta…”

“E io non avrei mai incontrato Chichi. E ricordati che tu hai mandato tuo figlio dal futuro a salvarmi la vita.”, la interruppe Goku.

“Se vogliamo metterla così allora, mi prendo tutto il merito.”, disse scherzosa.

“Comunque sono davvero felice per te, Goku. Chi poteva immaginare che quel bimbetto pasticcione avrebbe avuto una famiglia così perfetta?”

“E tu allora? Te lo saresti mai immaginata di mettere su famiglia con un sayan?”

Bulma si fermò ad osservare due incantevoli cigni scivolare placidi sull’acqua, baciati dal sole settembrino.

“Non siamo perfetti, ma sono felice lo stesso.”

“Che strano…”, disse Goku fissando i cigni a sua volta. “Chichi dice sempre che sei più fortunata di lei.”

“Cosa? E perché?”, si stupì Bulma.

“Beh… devi ammettere che quello che avete tu e Vegeta non si incontra molto spesso. Chichi dice sempre che la misura di un amore dipende dall’entità del cambiamento che comporta.”

Bulma tornò a rivolgere lo sguardo al suo amico. Goku sapeva sempre come farla sentire speciale. Nei momenti più bui, lui sapeva sempre come farle ritrovare la speranza.

“Ti ringrazio, Goku.”

“Solo una cosa.”, disse lui, sempre rivolto al laghetto. “So che è stato un periodo difficile per te, ma non mi sembra che tu stia facendo tutto il possibile per tirartene fuori.”

Bulma sussultò. Come faceva a sapere che lei non aveva ancora superato del tutto la cosa? Era stata così attenta a non darlo a vedere. A volte, con tutto quello che faceva per tenersi impegnata, se ne dimenticava persino lei.

“Non pensare che i tuoi genitori o Vegeta non lo sappiano. Non hai notato che ti trattano tutti con i guanti?”

Bulma deglutì a fatica.

“Io…”

“Mi fa rabbia, ecco. La Bulma che conosco non ha bisogno di essere compatita. Hai dimenticato tutti i pericoli che hai affrontato?”

Bulma strinse i pugni sulle gambe. No, non aveva dimenticato. Sapeva che Goku aveva ragione fino in fondo e non capiva come mai lei continuasse a rimpiangere ciò che non poteva avere.

“Bulma...”, disse Goku prendendole delicatamente la mano. “Vogliamo che torni ad essere quella che fronteggiava il Red Ribbon senza paura, quella che partiva per Namecc piena di speranze e che veniva a vedere i cyborg su una scatola di latta…”.

Bulma scoppiò a ridere, visibilmente commossa.

“Come fai a farmi sentire così, Goku? Come fai a farmi credere di avere ancora 16 anni?”

“Perché tu li hai ancora, Bulma. Dentro sei sempre quella ragazzina un po’ matta che mi ha fatto vedere il mondo.”

Bulma si lasciò abbracciare dal suo migliore amico. Per un istante le sembrò davvero di stringere il piccolo selvaggio incontrato sulle montagne. Poteva quasi sentire la sua lunga treccia che oscillava nel vento, il Dragon Radar nelle tasche pronto a condurli verso una nuova, meravigliosa avventura…

D’un tratto Goku si scansò, come se fosse stato punto da un insetto. Quasi spaventato, il sayan si guardò attorno confuso.

“Cosa c’è, Goku?”, disse Bulma allarmata.

Il sayan la guardò incredulo.

“Bulma, io non lo sapevo…”

“Che cosa? Cosa non sapevi?”

Bulma non riusciva a capire. Si alzò in piedi temendo chissà quale catastrofe imminente.

“Tu non puoi sentirla, la sua aura. Beh… i miei complimenti.”

Goku stava indicando il suo addome sorpreso.

“Quale aura, Goku?”, ribatté Bulma frustata. Ma un pensiero a dir poco assurdo si stava lentamente insinuando nella sua testa.

“Il tuo… sì, insomma il tuo bambino.”, disse Goku.

A Bulma mancava il fiato. Le gambe cominciarono a tremarle violentemente e fu costretta ad aggrapparsi alla panchina per non cadere.

“B-Bulma… Tutto bene?”

Non poteva essere vero. Doveva andare a casa…

 

 

 

Eccoci ormai al nono capitolo! Spero che l’OOC di Goku non vi abbia dato troppo fastidio (avevo davvero bisogno che facesse un po’ l’uomo maturo in questo capitolo!) e che il mio Trunks vi abbia fatto ridere quanto fa ridere me, mentre immagino le sue battute. Per quanto riguarda Vegeta e Bulma in questo capitolo non c’è stata moltissima interazione ma vi prometto che il prossimo sarà apprezzato dai lettori più romantici (almeno spero…). Vi prego, recensite! A presto!

 

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Capitolo 10
*** Cap. 10 Somewhere only we know ***


Aggiorno in tempo record (per i miei standard!), per lasciarvi uno dei capitoli che mi stanno più a cuore. L’ho modificato pochissimo, per cui è esattamente come quando lo scrissi cinque o sei anni fa ed è uno dei pochi di cui conoscevo il titolo ancora prima di cominciare ad elaborarlo. Spero che lo stile non si discosti troppo dai precedenti e che vi piaccia. Sono sempre molto contenta dei vostri commenti, per cui vi prego di non farmeli mancare in questo capitolo così importante.

Lo dedico a tutti voi che recensite ma soprattutto a Sophya, che non manca mai di darmi il suo parere su ogni cosa che scrivo! Grazie!

 

 

CAP. 10 – SOMEWHERE ONLY WE KNOW

 

Il prato su cui era seduta era maledettamente umido. Non aveva di certo avuto la presenza di spirito per vestirsi in modo adeguato, quando era uscita da casa sconvolta ed ora il suo leggero vestito di raso sembrava davvero inutile.

Da quanto tempo era lì? Pochi minuti o poche ore? Si era alzato un venticello fresco, ma ancora il tepore del sole morente riusciva a impedire che lei tremasse. Alle sue spalle la foresta rigogliosa appariva placida come sempre.

Si era sempre stupita di quanto poco pericoloso le sembrasse avventurarsi da sola in un posto come quello. Certo, c’erano delle case appena oltre la collina, ma una belva feroce avrebbe potuto divorarla ancora prima che fosse riuscita a gridare aiuto.

Eppure si sentiva così al sicuro, in quel luogo. Forse perché lo associava ancora al senso di salvezza che l’aveva pervasa anni prima, quando ci si era ritrovata per caso… Quando Namecc era scomparso e la Terra, la sua amata Terra, le era ricomparsa sotto i piedi.

Perciò non le era sembrato strano che, appena comparso il risultato positivo sul test di gravidanza, il suo primo desiderio fosse stato quello di tornare lì. Da molti anni una parte di lei dimorava tra quegli alberi. Un’ombra o forse un ricordo di se stessa si aggirava nelle sue profondità, cullato dal canto degli uccelli e dal fruscio delle foglie nel vento. Ci era venuta così tante volte…

La prima era stata quando Vegeta aveva rubato l’astronave di suo padre, per allenarsi nello spazio. Chissà cosa l’aveva spinta a posare di nuovo lo sguardo su quella soffice erba. A quel tempo, per lei il principe dei sayan non era che un rozzo scimmione maleducato che scroccava cibo alla sua tavola. Possibile che una parte di lei già soffrisse di trovarsi così distante da lui? Allora, non aveva avuto difficoltà a riconoscere l’albero sotto cui il sayan si era sdraiato ad aspettare notizie da Namecc, come tutti loro. Ma questo non voleva dire nulla, aveva pensato. A chi mai poteva interessare dove fosse andato quel pazzo assassino? Di certo non a lei.

Ma poi ci era tornata. Molte volte. Aveva esplorato i dintorni ed aveva scoperto il lago: una meraviglia della natura dal colore cristallino. Vi aveva fatto visita anche dopo che Vegeta era ricomparso.

E come dimenticare di come, fuggita turbata dopo che il sayan l’aveva baciata con forza e gettata per terra durante uno dei soliti battibecchi, si era infine ritrovata lì, senza sapere come ci fosse arrivata? In quel momento aveva capito che la vita le avrebbe riservato sofferenze e follia. Perché cos’altro poteva aspettarsi una donna che non aveva il benché minimo timore di passeggiare in una foresta sperduta, nel cuore della notte, né tantomeno di essere stata baciata da un mostro spietato?

Ricordava anche con estrema chiarezza di come si era immersa nelle acque di quel lago una notte d’estate, incurante di piovre giganti e chissà quali altre creature dell’oscurità e degli abissi. Nessuna di loro poteva reggere il confronto con il demone a cui poco prima aveva dato il suo corpo. E sapeva anche che nessun livido, nessun graffio, le avrebbe impedito di farlo di nuovo. Se cercava in quelle acque nere di purificarsi dalla grave colpa commessa, allora il suo tentativo era stato vano. Al contrario, il freddo dell’acqua aveva intorpidito i suoi sensi ed anestetizzato le sue ferite, così che la vergogna e la disperazione lasciassero spazio alla tentazione ed alla caparbietà.

L’inferno doveva essere così. Il fuoco ad accendere le carni ed il ghiaccio a distruggere lo spirito. E testimoni le stelle e la terra sotto i suoi piedi nudi, aveva giurato che non si sarebbe tirata indietro da quel gioco mortale e che avrebbe continuato, fino a che le fauci fameliche del sayan non le avessero fatto esalare l’ultimo respiro.

Invece lui non l’aveva uccisa. Notte dopo notte, l’aveva piegata ai suoi più oscuri desideri, aveva cercato di domarla con la sua schiacciante superiorità fisica, ma non era mai riuscito a ferirla.

Bulma si ritrovò a pensare che qualcuno o qualcosa, l’aveva sempre voluta viva. Anche quando il frutto di quella passione malsana aveva cominciato a crescere dentro di lei, lui non aveva dilaniato il suo ventre indegno, né aveva spezzato il suo fragile collo. Si era limitato ad andarsene, rendendola consapevole per la prima volta che quell’alieno era lei e che lei era quell’alieno. Due facce della stessa moneta, due metà di una mela avvelenata…

E adesso era lì, per l’ennesima volta. A chiedersi cosa il futuro aveva ancora in serbo per lei. A pregare che il suo corpo potesse essere ancora forte come un tempo, perché i sayan nella sua vita avevano sempre messo a dura prova la sua fragile natura terrestre, ma l’avevano anche ripagata di tutti i momenti più belli della sua vita.

Le cose erano molto cambiate da quando si era scoperta incinta per la prima volta. Vegeta ora le appariva del tutto umano, quasi completamente libero dal peso delle atrocità commesse e subite nel passato. Non lo credeva più capace di abbandonarla. Per lo meno, non ora che aveva così bisogno di lui. Perché qualunque cosa fosse seguita alla sua decisione di lottare per la vita di quel piccolo sayan, non sarebbe stata facile.

Sorrise sconsolata. A quanto pare il destino aveva deciso che i suoi figli dovessero arrivare nel mondo inaspettati e con annesso un bel carico di guai...

Un leggero tonfo alle sue spalle la spaventò. Bulma si voltò temendo un incontro ravvicinato con una tigre dai denti a sciabola, ma si sbagliava.

Alle sue spalle, nel posto in cui troppe volte lo aveva immaginato, c’era l’uomo per cui il suo santuario naturale era stato eretto.

 

 

 

 

 

Vegeta si avvicinò a Bulma che lo guardava ancora sorpresa.

Quando Kakaroth gli aveva fatto gli auguri per il bambino in arrivo, aveva creduto, per un momento, che Bulma avesse complottato contro di lui per raggiungere quello scopo fin dall’inizio. Era volato a casa furioso, ma lei non c’era. In compenso, però, aveva trovato il suo test di gravidanza ed aveva ricevuto conferma di quello che in realtà già sapeva: Bulma non aveva avuto la minima idea di essere incinta fino a quella mattina.

Sapeva dove l’avrebbe trovata, anche senza seguire la debole scia della aura.

Adesso che ce l’aveva davanti, non si stupì di trovarla confusa e preoccupata, ma soprattutto non si stupì della totale assenza di paura che percepiva. Esattamente come la prima volta che l’aveva incontrata, quella donna non aveva il minimo timore di affrontarlo.

Prima che lei potesse dire o fare qualcosa, il sayan si era già seduto sull’erba, a poca distanza da lei. Se possibile, questo sembrò stupirla ancora di più.

“Io… sono andata via senza avvisarti…”, disse lei riprendendosi.

“Questo lo avevo notato.”

Bulma non rispose. Non capitava molto spesso che lei restasse senza parole, ma questo non era uno di quei momenti in cui poteva dirsi felice della cosa.

Vegeta si tolse la giacca del vestito da cerimonia e la posò senza grazia sulle spalle nude della donna.

“Vuoi morire di freddo? Voi terrestri siete così delicati!”, biascicò cercando di mantenere una certa freddezza.

Bulma lo ringraziò e si infilò la giacca. Il sole ormai era quasi tramontato e la donna tornò a guardare il lago, davanti a sé.

Era strano starsene seduto così, accanto a lei. Erano stati fisicamente intimi molto prima di esporsi emotivamente e di conoscersi davvero, ma adesso quella vicinanza sembrava implicare una sorta di connessione mentale che lo metteva a disagio.

“È colpa mia. Tu mi avevi avvisata ed io non sono stata abbastanza attenta… ma pensavo fosse impossibile che succedesse di nuovo…”

“Ti metterà in pericolo.”, la interruppe Vegeta.

Lo disse perché la conosceva. Lo sentiva. Sapeva che lei aveva già deciso cosa fare e che lui non le avrebbe fatto cambiare idea, ma stranamente la cosa lo sollevava.

Dov’era finito l’odio profondo che aveva covato per mesi verso quell’idea? Sembrava non esserne rimasta traccia. Era preoccupato, sì. Per Bulma, per quello che sarebbe successo se lei avesse perso di nuovo il bambino.

E lui… quel microscopico essere, la causa di tutto quel casino… Era preoccupato anche per lui. Quali tremende ed orribili emozioni avevano intaccato il suo animo da quando condivideva la dimora con dei terrestri! Quella creatura, formata da una manciata di misere cellule e con un’aura appena percepibile, si era già presa un posto tutto suo all’interno di lui. Come aveva fatto quella che era venuta prima.

Non riusciva nemmeno a tormentarsi per la mancanza di rabbia e di disgusto. Una strana e  per lui innaturale calma lo pervadeva da quando aveva messo i piedi a terra.

Bulma lo guardò sorridendo.

“Me lo dicevano anche di te.”

Fu il suo turno stavolta di fissare un punto imprecisato della distesa d’acqua di fronte a lui.

Ricordava bene di quando aveva sentito per la prima volta l’aura di Trunks, mentre Bulma gli passava accanto nel corridoio. Aveva capito subito che lei già lo sapeva e la rabbia lo aveva accecato. Come aveva osato quell’inutile essere vivente fargli un affronto del genere?

Bulma si era dimostrata una vera furia quando aveva capito che lui stava valutando quale modo fosse il migliore per sbarazzarsi del mezzosangue. Quando Vegeta le aveva ordinato di abortire se voleva salva la vita, lei aveva risposto con l’ardore di una leonessa ed aveva cercato di colpirlo.

Allora lui era stato costretto a farlo… La sua mano guantata si era avvolta intorno alla gola della gracile terrestre con sorprendente facilità e Vegeta aveva avuto la certezza di quanto sarebbe stato facile e veloce, stringere intorno a quel collo e liberarsi una volta per tutte di entrambi i suoi problemi.

Lei aveva smesso di agitarsi e di urlare. Si limitava a fissarlo, incatenata dalla sua presa ferrea. Ancora un istante e quei fastidiosi occhi azzurri avrebbero smesso di tormentarlo, avrebbero smesso di scrutarlo in quel modo, sfidandolo senza un briciolo di terrore a porre fine alla sua vita…

Ma la sua mano non si era chiusa.

Vegeta ci aveva pensato molte altre volte negli anni… a come sarebbe stato ucciderla, ma mai, né prima né dopo quella volta, era stato così vicino a farlo. E il suo fallimento lo aveva sconvolto così tanto che non aveva potuto passare su quel pianeta un giorno di più. Era partito quella notte stessa…

Adesso ovviamente era diverso. Tra le tante cose successe in quegli anni aveva provato anche lui cosa volesse dire andare incontro alla morte nel disperato tentativo di proteggere un figlio. E una forza di chissà quale origine lo aveva portato a sacrificarsi per lo stesso figlio che un tempo aveva desiderato annientare.

Destino. Natura. Non sapeva come chiamarla, ma a quanto pare gli piaceva dimostrargli che, nonostante avesse  la forza per distruggere parecchi pianeti, non era in grado di controllare i più semplici avvenimenti della sua vita. Continuava da anni a imporgli sentimenti, debolezze… e figli.

Bulma interruppe il filo dei suoi pensieri.

“Non mi chiedi perché sono venuta qui?”

Vegeta continuò ad osservare l’acqua incresparsi leggera al soffio del vento. Di giorno il colore del lago era lo stesso di quello degli occhi di Bulma…

“Credi che non lo sappia?”

Il sayan percepì nuovamente la sua sorpresa. Il fatto che lui riuscisse ancora a tenerle segreto qualcosa lo confortava.

Naturalmente sapeva perché lei visitava spesso quel luogo. Anche se su Namecc si erano fugacemente incontrati, era lì che si erano scambiati le prime parole. Lì, lei lo aveva invitato in casa sua.

Negli anni l’aveva seguita ed osservata nascosto tra gli alberi innumerevoli volte, vergognandosene oltremodo. Durante la sua assenza, precedente all’arrivo dei cyborg, era tornato tre volte sulla Terra, ufficialmente per controllare se il suo rivale fosse stato ucciso da quello stupido virus. Per due volte aveva atteso invano tra gli alberi che lei comparisse, ma la terza volta Bulma era venuta e lui aveva combattuto col desiderio bruciante di uscire allo scoperto, di prenderla e di portala con sé nello spazio. Anche con quel ventre assurdamente rigonfio.

“Dopo tutto questo tempo riesci ancora a sorprendermi, sayan.”, gli disse portandosi le ginocchia al petto e rabbrividendo per il freddo.

“Però anche io ho ancora qualche colpo in canna.”, continuò sperando di stuzzicare la sua curiosità.

“E sarebbe?”

“Il nome di questa foresta. L’ho scoperto molto tempo fa, parlando con i contadini che vivono…”

“So anche questo.”, la interruppe Vegeta.

E dovette sforzarsi per non ridere alla vista di Bulma che sgranava gli occhi e spalancava la bocca.

“T-tu lo sai?”

Vegeta si alzò in piedi.

“Dai, alzati. Non vedo l’ora di togliermi questa trappola di dosso.”

Bulma, alquanto stupita, annuì e raccolse le sue scarpe prima di mettersi in piedi.

“Non me lo hai mai detto.”, disse lei avvicinandosi e toccandogli l’avambraccio. Aveva le dita congelate, perciò Vegeta lasciò che le scaldasse nell’incavo del suo gomito.

“Perché avrei dovuto?”, rispose bruscamente.

“E poi è un nome stupido!”

“Non è vero!”, protestò la donna.

“E stavolta cosa hai intenzione di usare? Il nome del lago?”, ribatté lui sarcastico.

Bulma sorrise al suo suggerimento sospettosamente poco involontario. La donna si girò a guardare un’ultima volta la placida distesa d’acqua, immersa nell’oscurità del crepuscolo.

“Si chiama Bra Lake. Ti piace?”, gli disse con gli occhi illuminati di una luce di natura ignota.

“Tsk! Ridicolo!”, rispose il sayan sollevandola delicatamente e spiccando il volo.

“Bra…”, la sentì sussurrare ancora.

Bulma si strinse forte a lui, mentre la foresta di Trunks diventava sempre più piccola sotto di loro.

 

 

 

 

Trovarono Trunks in salotto, una montagna di carte di merendine sparse sul divano ed un film di guerra nel lettore DVD.

“Ah, bene”, li accolse il ragazzino vedendoli entrare dalla finestra.

“No, non preoccupatevi. In fondo è perfettamente normale essere abbandonati durante un pallosissimo matrimonio. Cosa volete che sia?”, proseguì sarcastico.

“Ho solo dovuto chiedere a tutti gli invitati se qualcuno avesse visto i miei snaturati genitori, come un orfano pidocchioso. Sono rimasto per ore imprigionato in un albergo senza neanche un videogioco a salvarmi da un’atroce morte per noia, ma niente di tutto ciò influirà sul mio sviluppo…”

Dovette fermare la tiritera, perché Bulma lo afferrò per le spalle e gli scoccò un sonoro bacio sulla guancia.

“Bleah!”, commentò Trunks arrossendo.

Sua madre sembrava decisamente su di giri, ma la cosa strana era che anche suo padre pareva di ottimo umore.

“Siediti, tesoro.”, gli disse Bulma, sorridendo.

“Dobbiamo dirti una cosa.”

 

 

 

 

Eccoci qui. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che Vegeta non sia risultato troppo OOC… per me questo è già il Vegeta più romantico del mondo, ma forse sono i miei criteri ad essere un po’ sballati! XD! L’idea dei nomi dei bambini come vi dicevo era già presente fin dall’inizio e non vedevo l’ora di pubblicarla per scoprire le vostre reazioni. Magari non ve ne frega niente ma le parti che preferisco di più sono quando Bulma ricorda di essersi immersa nel lago dopo aver fatto sesso con Vegeta la prima volta (me lo sono sempre immaginato come un momento di profonda intensità per lei e soprattutto sono legata a questa battuta:

“Ti metterà in pericolo.”

“Me lo dicevano anche di te.”

Dopo questa inutile precisazione… cosa pensate del capitolo? Vi ha soddisfatto? Mi dispiace dirvi che non so quando riuscirò ad aggiornare. Spero di lasciarvi un capitolo natalizio almeno. Nel frattempo forse pubblicherò qualcosa nell’altra mia fanfiction PRIDE AND PREJUDICE. A presto!

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Capitolo 11
*** Cap. 11 Beauty and the Beast ***


Carissimissimi lettori, innanzitutto vi devo delle scuse per non aver aggiornato per tutto questo tempo. È stato un periodo di grandi cambiamenti. Laurea, casa nuova, un finto matrimonio (se mi mettessi a raccontare vi assicuro che le avventure di casa Brief vi sembrerebbero noiose!).

Detto questo: sono tornata! E spero proprio di essere più costante d’ora in poi. Il capitolo da cui riprendo è un po’ lunghino (ve lo dovevo, no?). C’è una bella accozzaglia di roba, ma l’ho scritto da zero ed è nato da una serie di folgorazioni che ho rielaborato mille volte prima di sottoporlo a voi che siete i miei critici preferiti!

Piccola osservazione: nel capitolo si parla di uno stupro. Ora, io ho cercato di scegliere le parole in modo da non sembrare troppo cruenta e, dopo aver riletto un paio di volte, non mi sembra sia il caso di alzare il rating e che la scena vada bene anche per gli stomaci più delicati. In ogni caso, fatemi sapere il vostro parere.

Buona lettura!

 

 

CAP. 11 – BEAUTY AND THE BEAST

 

“Smettila, Vegeta!”

Una risata agghiacciante in risposta.

Il sayan le strinse il polso ancora più forte e glielo torse fino a farle lanciare un urlo. Bulma cadde in ginocchio per assecondare il movimento delle sue fragili articolazioni. Non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto di quanto freddo fosse il pavimento, perché il suo carnefice le fu subito addosso, granitico e feroce.

“Lasciami, mi fai male!”

Il corpo di quell’alieno la schiacciava a terra; non riusciva a respirare, ma non avrebbe saputo dire se fosse per il suo peso sul petto o per l’improvvisa consapevolezza di averlo tanto vicino. Sentì le sue mani ruvide soffermarsi sgraziate sulle sue gambe, sui fianchi, su qualsiasi superficie del suo corpo riuscisse a raggiungere. Era rude. Era violento, ma una strana sensazione si impadronì di lei quando sentì il sayan insinuarsi deciso tra le sue cosce.

I suoi occhi ardevano crudeli, ma improvvisamente Bulma si accorse che non le stava facendo del male. Possibile? Aveva creduto che lui volesse ucciderla. Allora cos’era quella luce nello sguardo del sayan?

Desiderio?

Oppure faceva tutto parte di uno spietato rituale di accompagnamento alla morte?

“Cosa stai facendo?”, gli urlò in faccia, finalmente conscia di un pericolo che prima di allora non aveva mai associato a quell’uomo.

Vegeta parve riprendere il controllo. Ma quello che Bulma vide non la fece sentire meglio. Gli occhi del sayan smisero di bruciare; rimasero neri e basta. Profondi pozzi di pura mostruosità. Le sue mani risalirono lungo il suo corpo per fermarsi sul suo collo pulsante e strinsero.

Avrebbe voluto gridare, opporsi con tutte le sue forze ma sapeva che sarebbe stato inutile. Non poteva dargli anche quella soddisfazione. Si limitò a fissarlo, cercando di dare ai suoi occhi una nota meno disperata e si preparò a morire. Forse aveva solo immaginato che lui volesse possederla…

Mentre l’aria cominciava a mancarle, pensò stupidamente che c’era qualcosa di assolutamente bellissimo in quell’alieno chino su di lei, nell’odio che sprigionava mentre la strangolava senza fatica, nel suo odore che per lei sarebbe stata l’ultima fragranza percepita…

Vorrei tanto che mi baciasse.

Che pensiero ridicolo. Si sa, la carenza di ossigeno annebbia la mente…

 

 

 

 

Bulma si svegliò di soprassalto, vagamente conscia di aver sognato qualcosa di strano. Un ricordo, forse. Si guardò attorno confusa, mentre i postumi della tachicardia scemavano lentamente.

Trunks, sull’altro sedile dell’aeromobile, si tolse le grandi cuffie dalle orecchie e la guardò preoccupato.

“Tutto bene?”

Bulma cercò di ricordare cosa stesse sognando. Era un incubo o un altro sogno erotico? Maledetti ormoni. Probabilmente aveva sognato di fare sesso con più o meno tutti gli abitanti del pianeta, negli ultimi mesi.

“Sì, mi ero solo appisolata.”, disse Bulma al figlio sbadigliando, ora pienamente cosciente della sua collocazione nello spazio e nel tempo.

Trunks le sorrise e si rimise ad ascoltare il suo iPod.

“Siamo quasi arrivati.”

La voce di Vegeta proveniva dal posto di guida; un ruolo che occupava molto di rado. Bulma guardò fuori dal finestrino e si rese conto che era quasi impossibile vedere qualcosa, per via della neve che vorticava furiosa intorno a loro. Se davvero erano vicini alla meta, era stata molto fortunata a dormire per quasi tutta la durata del lungo viaggio.

“Il radar di bordo funziona?”, chiese Bulma d’un tratto preoccupata della loro posizione, data la scarsa visibilità.

“No.”

“Come no??”, fece lei alzandosi di scatto.

Un’improvvisa turbolenza la rispedì con malagrazia sul sedile e le fece scappare un gemito. Vegeta riguadagnò il controllo con estrema prontezza e si voltò indietro infastidito.

“Ti riesce così difficile startene seduta e non muoverti? Sta diventando seccante impedirti di ucciderti!”

Bulma si limitò a fissarlo in cagnesco. Nemmeno a lei piaceva doversi muovere al rallentatore per cercare di mantenere tranquillo il bambino. Fece un lungo respiro e si toccò la pancia prominente. Bra aveva sussultato ma l’episodio non sembrava averlo/a disturbato/a troppo.

Vegeta tornò a rivolgersi al sistema di pilotaggio, mentre Trunks, che nel trambusto aveva perso l’iPod, raccolse da terra una trapunta e gliela porse sgarbato.

“Ho cercato di coprirti non sai quante volte. Sarà la quinta volta che la fai cadere.”

Fantastico. Adesso anche lui cominciava a sgridarla.

“Grazie.”, rispose con malcelata irritazione. Prese la coperta e se la mise sulle gambe; non si era resa conto fino a quel momento di avere i piedi gelati.

Erano partiti subito dopo un veloce pranzo freddo. Il che non era stato l’ideale, data la stagione, ma d’altronde con il blackout era diventato impossibile cucinare qualcosa alla Capsule Corporation. Il giorno prima Trunks aveva provato ad arrostire un agnello su di un motore a biocarburante e i risultati si erano rivelati disastrosi.

La cometa aveva preso tutti alla sprovvista. Nessuno aveva previsto che la sua vicinanza alla Terra avrebbe causato tanti danni e così, da ormai tre giorni, sul pianeta non esisteva più l’elettricità. Gli effetti sarebbero scomparsi nel giro di una settimana, ma nel frattempo alla Capsule Corporation non funzionava più nulla: porte, docce, Gravity Room, piastre ad induzione, riscaldamento,…

I suoi genitori avevano deciso di prendere uno degli aerei alimentati a benzina per recarsi al sud a fare qualche giorno di campeggio, mentre lei aveva ritenuto saggio sfruttare l’occasione per una piccola vacanza con i suoi uomini, in un posto in cui l’elettricità non fosse poi così indispensabile. Per questo motivo si stavano recando all’estremo nord, sulle montagne di Hymaia, dove i suoi genitori possedevano un vasto terreno ed avevano edificato una casa, ben prima dell’invenzione delle capsule.

“Che cavolo, si è scaricato!”, sbuffò Trunks, lanciando l’iPod sui sedili posteriori.

“Sono felice che tutti i tuoi aggeggi si stiano scaricando. Almeno passerai un po’ di tempo con noi…”, gli si rivolse la donna compiaciuta.

Trunks storse la bocca sconsolato.

“Questo blackout è un incubo!”

“Vedila come un’opportunità per ridefinire le tue priorità. Sei troppo dipendente dalla tecnologia.”

“E voi due siete dei fossili dell’età della pietra. Non oso immaginare quanto si annoierà il mio povero fratello a dover stare con voi, quando io me ne sarò andato.”

“O sorella…”, lo corresse Bulma, come d’abitudine.

“Smettila di dirlo, mamma. Porti sfortuna.”, disse il ragazzino, tirando fuori dalla valigia ai suoi piedi la tuta da sci e cominciando ad infilarla.

Bulma si rimise comoda sul sedile. Consultò l’orologio che il giorno prima era riuscita a modificare perché funzionasse a carburante e si rese conto che era già passata mezz’ora dall’orario prestabilito per le sue medicine.

La borsa era ai suoi piedi e dopo averla raccolta cominciò ad estrarne una serie pressoché infinita di flaconi.

Erano passati cinque mesi da quando era rimasta incinta. Dopo averlo scoperto lo aveva detto subito ai suoi genitori e la cosa si era rivelata provvidenziale. Suo padre aveva tirato fuori, di fronte ai suoi occhi sbigottiti, uno schedario intero siglato come “Gravidanza di Bulma”. Come aveva appreso in seguito vi erano segnate tutte le annotazioni che il Dr. Brief aveva raccolto durante la prima gravidanza della figlia, comprese le formule di complessi farmaci sperimentali che lo scienziato aveva messo a punto proprio per evitare che la ragazza andasse incontro ad un aborto. Bulma aveva preso quelle medicine per tutta la gestazione di Trunks, ma suo padre le aveva fatto credere che fossero solo vitamine, per non turbarla ulteriormente. In quel periodo per lei era già un’impresa alzarsi al mattino, al pensiero della Gravity Room spenta e silenziosa.

Sta di fatto che, considerato il ritmo di crescita del bambino, la data del parto era stata approssimata verso metà aprile e lei e il suo dottore avevano deciso di fissare il cesareo per l’inizio di tale mese. Mancavano solo due mesi e finalmente avrebbe scoperto il sesso di quel sayan capriccioso che si agitava nel suo utero.

“Sembri uno spacciatore, mamma.”, la prese in giro Trunks, mentre lei riponeva sistematicamente i flaconi da cui aveva già preso le compresse.

“E sembro una drogata quando devo farmi quelle dannate flebo di proteine…”, sospirò lei.

Il fabbisogno energetico del piccolo sayan, infatti, era molto più alto rispetto a quello di un comune feto umano.

Si rese conto che stavano per atterrare. Vegeta aveva iniziato la discesa e la tempesta di neve si era diradata, lasciando intravedere la proprietà sotto di loro: un magnifico cottage in pietra e legno, due sole camere da letto, interamente riscaldato grazie ad un grande camino situato al piano terra.

Bulma ricordava di averci passato molti giorni felici durante la sua infanzia e anche dopo… era il posto in cui lei e Yamcha avevano consumato una disastrosa prima volta insieme, era il posto in cui era riuscita a trascinare Vegeta, 13 anni prima, mentre suo padre riparava per l’ennesima volta la Gravity Room danneggiata. Era anche il posto in cui aveva passato bellissimi e malinconici momenti con Trunks appena nato…

L’aeromobile atterrò morbida sulla neve soffice, anche se Bulma si trovò a pensare pignola che lei avrebbe fatto di sicuro meglio. Ma d’altronde i motori erano la sua passione, non quella del principe dei sayan.

Bulma si affrettò a infilarsi un pesante giubbotto di piuma d’oca prima di scendere a terra.

Era tutto come ricordava. La manutenzione del Dr. Brief negli anni si era rivelata provvidenziale per conservare intatto il fascino del luogo.

Trunks era già saltato giù dall’aereo, snowboard in spalla, pronto a lanciarsi dritto nella prima valanga a disposizione.

“Scarica i bagagli, prima.”, gli ordinò perentorio suo padre.

Trunks lasciò cadere la tavola sbuffando e tornò mesto a bordo, trascinando i piedi.

“Ci farà impazzire, lo sai vero?”, disse il principe dei sayan, facendo un cenno verso il ragazzo.

Bulma si strinse nelle spalle.

“Sono solo un paio di giorni. Vedrai che sarà divertente.”

“Divertente, certo… Giocheremo a scacchi?”, ribatté sarcastico lui, aprendo la porta.

Bulma sapeva a cosa si riferiva. Non stavano insieme da mesi, il dottore lo aveva proibito tassativamente e la cosa cominciava a snervarlo. Non che a Bulma facesse piacere, anzi. Aveva dovuto chiedergli di non girare sempre per casa mezzo nudo, visto che gli ormoni la rendevano praticamente un’assatanata ninfomane. Almeno lei poteva sfogarsi durante il sonno, anche se al risveglio ripensare ai protagonisti dei suoi sogni poteva rivelarsi un tantino imbarazzante…

“Permesso! Largo!”, la scansò Trunks entrando con una pila di valigie sulla testa. Le posò nel centro del grande soggiorno e si scapicollò di nuovo fuori a prenderne altre.

Vegeta aprì la manopola del gas che alimentava tutta la casa, accanto alla porta.

“Per essere venuto qui 13 anni fa, ti ricordi bene come funziona questa casa.”, gli fece notare Bulma togliendosi il pesante piumino.

“Credimi, dopo quello che è successo, ho sognato a lungo di distruggere ogni pezzo di legno di questa casa.”

Il sarcasmo. L’arma preferita di Vegeta contro di lei.

“Davvero sapevi che era successo qui?”, chiese lei stupita, lasciandosi cadere sul soffice divano.

“O qui o nella Gravity Room.”

“No, quella volta nella Gravity Room io già lo sapevo.”, ridacchiò lei, mentre il sayan si accomodava sulla poltrona.

“Sapevi cosa?”, si intromise Trunks, che nel frattempo aveva finito di scaricare tutti i bagagli.

“Che ti abbiamo fatto qui.”, gli disse Bulma allegramente.

Trunks si chiese per un secondo se non aveva capito male. La consapevolezza lo raggiunse insieme ad un colorito cereo e ad un’espressione nauseata.

“Fantastico.”, disse mettendosi gli occhialini e dirigendosi fuori. “Ora, se volete scusarmi, vado a prendere una botta in testa e a dimenticare tutto.”

La porta del cottage si richiuse dietro di lui. Bulma notò che Vegeta non sembrava divertito quanto lei dall’accaduto.

“Secondo te le persone vogliono sapere dove sono state concepite?”, le domandò tagliente.

“Certo.”, ribatté lei. “Io sono stata concepita in un bagno pubblico, alla settima convention di ingegneria della Città dell’Est. A quanto pare i cocktail erano davvero forti...”

Vegeta le rivolse uno sguardo che era un misto di incredulità e commiserazione. Bulma continuò a sorridergli strafottente.

“Dì la verità. Mi avevi convinto a venire qui perché volevi che succedesse?”, bofonchiò il sayan.

“Oddio, no. Mi credi così manipolatrice? L’idea non mi ha mai nemmeno sfiorato. Io volevo te e basta. Speravo che allontanandoti dalla Gravity Room e da tutto il contesto avresti abbassato un po’ la guardia e ti saresti innamorato di me…”

Bulma lo studiò per valutare una sua reazione a quella confessione. Non ce ne furono.

“Che ragazza ingenua che ero, eh?”

“O molto furba.”, rispose il sayan.

Bulma si sporse verso di lui compiaciuta.

“Stai ammettendo che il mio piano ha funzionato, per caso?”

Vegeta storse il naso, infastidito.

“Non mettermi in bocca parole non mie, donna.”, disse lui maligno. “Intendo dire che la guardia l’ho abbassata, visto che il risultato ci tormenta da allora.”

Bulma sorrise al pensiero di quando aveva scoperto di aspettare Trunks. Solo dopo tanti anni poteva riuscire a ridere di un momento così tragico della sua vita.

Ripensò alle mille volte in cui si erano amati in quella casa, cercando invano di scovare un indizio, un piccolo particolare che la aiutasse a capire quale di quelle volte li aveva portati dove erano oggi.

Per quanto il ricordo di quelle settimane fosse frammisto di momenti stupendi ed orribili, Bulma sentiva che se fosse potuta tornare indietro non avrebbe cambiato una virgola; né gli amplessi famelici, né le parole taglienti che Vegeta le rivolgeva ogni volta che non era impegnato a saziarsi di lei.

Si alzò in piedi per prepararsi qualcosa di caldo.

“Vuoi una cioccolata?”

“No.”

“Va bene.”, gli disse piccata. “Ma non chiedermi un po’ della mia, perché non te la darò.”

 

 

 

 

 

“Mi spieghi perché mi hai offerto il divano se poi ti ci volevi piazzare tu?”, disse Vegeta adirato.

Bulma sembrò non sentirlo nemmeno e si andò a sistemare in mezzo alle sue gambe, facendo aderire la schiena al suo petto.

“Sono una fragile umana e sono incinta di un sayan, me lo merito.”

“Cosa? Di usarmi come cuscino?”

“Anche.”, rispose lei decisa. “E coccole.”

“Prego???”, chiese il sayan incredulo. “Sei impazzita, per caso?”

Da non credere. Se quella donna pensava di ricevere stupide smancerie aveva capito proprio male.

Bulma, in tutta risposta, allungò le gambe fino a portare i piedi, avvolti nelle pesanti calze di lana, vicino ai suoi.

“Devo dire a tuo padre di ridurti le dosi di quei farmaci. Ti fanno diventare ancora più matta del solito.”

“Puoi smetterla di agitarti?”, lo sgridò lei, come se fosse scontato che lui, il principe dei sayan, dovesse svolgere il ruolo di materasso umano per un’insignificante terrestre. “Non sono comoda.”

“Non sei comoda perché sei una balena, brutta stupida. Dove dovresti starci?”

Bulma fece cadere rumorosamente il cucchiaino nella sua tazza di cioccolata.

“Non posso credere che l’hai detto, stronzo!”

Vegeta si astenne dal commentare. Bulma riusciva a stancarlo nel vero senso della parola, almeno quanto una giornata di allenamento. Da quando aspettava quel moccioso, poi, le sue giornate erano diventate un vero e proprio incubo. Sempre a chiedersi se lei stesse bene, a sopportare i suoi capricci…

“Vorrei proprio vederla un‘altra della mia età, nelle mie condizioni. Ho preso solo un paio di kg!”, continuò imperterrita.

“Come vuoi, Bulma. Basta che taci.”

La sentì brontolare mentre si sistemava rumorosamente, dandogli quella che doveva essere una gomitata, ma di cui lui a malapena si accorse.

Per un attimo sembrò quasi che lei gli avesse dato ascolto; gli unici rumori ad arrivare alle sue orecchie erano i crepitii provenienti dal camino. Il fuoco gli piaceva. Gli ricordava le fredde notti passate all’addiaccio su lontani pianeti in via di conquista. A Bulma conciliava il sonno, a lui lo toglieva. Perché in quelle notti circondato da nemici in terre inospitali, l’ultima cosa che poteva permettersi di fare era dormire e il braciere era diventato il suo fido compagno di veglie.

Bulma era un fagotto tiepido appoggiato su di lui. A nessun altro individuo al mondo aveva mai concesso di potergli stare così vicino, di poterlo rendere così vulnerabile…

 “Vegeta?”

Se almeno avesse scelto una femmina meno fastidiosa…

“Cosa vuoi?”, disse sospirando rumorosamente.

“Se Freezer non fosse mai esistito e tu fossi diventato re… avresti scelto una regina o avresti avuto molte donne?”

Ma che razza di domande. Perché ogni tanto se ne usciva fuori con quella curiosità sul popolo dei sayan? In fondo lui non era mai vissuto davvero in quella società. Freezer aveva cambiato tutto…

“L’uno e l’altro.”

“Cosa intendi dire?”, lo incalzò lei.

“Se ti spiego, giuri di chiudere la bocca per il resto della giornata?”

Lei si limitò a sorridere attraverso quei maledetti occhi giganti. A che serviva? Se anche avesse promesso, non avrebbe comunque mantenuto la parola…

“Mio padre mi avrebbe scelto una compagna del giusto rango. All’ascesa al trono avrei avuto diritto di formarmi un harem.”

“Quindi saresti stato pieno di figli illegittimi.”, osservò lei, sorseggiando la cioccolata bollente.

“Non sarebbero stati considerati illegittimi. Chiunque partorisca il primo figlio maschio può diventare regina.”

“Wow.”, esclamò lei sinceramente sorpresa. “Chissà che guerra del trono ne scaturiva.”

“Non sempre. Di solito quando il re moriva, suo figlio aveva già avuto un erede dalla compagna ufficiale.”

“E tua madre era la compagna ufficiale?”

“Sì… adesso smettila. Mi sono stancato di parlare.”

Per qualche minuto Bulma smise di blaterare. Ma sospettava che si trattasse solo di una ricarica in attesa di un nuovo round. Infatti…

“Non hai altri figli, vero?”

“Secondo te ho altri figli?”, rispose alzando il tono di voce, per rendere manifesta la crescente irritazione.

“Potresti averne senza saperlo.”, ribatté lei, per nulla turbata.

“Non è possibile.”

“E come lo sai?”

“Lo so e basta.”

“Ah, che stupida. Quindi questa pancia è così per via di tutto di tutto il cioccolato che consumo, hai ragione. E quel teppista di 50 kg di muscoli lì fuori devo averlo avuto per partenogenesi…”

“Smettila, donna! Come riesci ad essere così insopportabile?”

“Scusa tanto, ma è nel mio interesse sapere come fai ad esserne sicuro!”, gli si rivolse determinata.

“Fidati, Bulma. Non vuoi saperlo.”, sperava che capisse il tanto che bastava per farla desistere dall’indagare ulteriormente. Non voleva dirglielo.

“Pensi che dopo tutti questi anni io possa ancora spaventarmi di quello che dirai?”

“Perché, lo sei mai stata?”, rispose lui sarcastico.

Lei sembrò soppesare la risposta.

“A volte…  Ma mai per qualcosa che hai fatto prima di incontrarmi.”

“Tu non sai nulla di ciò che ho fatto…”

Ed era meglio così. Bulma non era certo la persona più pura e nobile del pianeta, ma sapere l’avrebbe disgustata. Se lei avesse potuto anche solo accedere visivamente ai suoi ricordi, era sicuro che le cose tra loro sarebbero irrimediabilmente cambiate.

“Niente che non abbia già immaginato mille volte. Hai distrutto pianeti, ucciso milioni di persone, probabilmente costretto qualche donna a stare con te… Se chi governa l’aldilà ti ha perdonato, perché non dovrei farlo io che sono tua moglie?”

Qualche donna.

Prima di mettere piede sulla Terra nessuno dei loro volti gli era mai tornato in mente, ma a quanto pare erano rimasti in agguato dentro di lui per tornare a tormentarlo in quegli ultimi anni. Poteva vedere con estrema chiarezza alcune delle cose più terribili che aveva fatto a quelle aliene antropomorfe e a rendere il tutto peggiore c’era il fatto che sapeva che di molte altre non si ricordava nemmeno.

Una ragazza in particolare popolava i suoi incubi più frequentemente. Era stata l’ultima. Quella che aveva avuto la sfortuna di incrociare il suo percorso appena dopo la sua fuga dalla Terra, da Bulma e dal mezzosangue che lei portava in grembo. Ricordava bene di come, accecato dall’ira e dal disgusto verso se stesso, era atterrato sul primo pianeta abitato, con lo scopo di dare libero sfogo ad una violenza troppo a lungo repressa. Aveva sperato che fosse popolato da creature umanoidi… da donne, in modo da poter cancellare il sapore di Bulma, in modo da togliersi il suo odore di dosso.

Quando era atterrato aveva iniziato subito a distruggere tutto ciò che gli si parava davanti, seminando il panico tra gli autoctoni, finché il re di quell’insulso pianeta non lo aveva scongiurato di smetterla, offrendogli in cambio ricchezze ed una delle sue giovani figlie.

Avrebbe potuto ucciderli tutti seduta stante, per quanto gliene importava, ma aveva deciso di stare al gioco. Poteva quasi sentire la fredda calma con cui aveva scelto la sua vittima; il re si era rivelato alquanto prolifico. Ne aveva cercata una che assomigliasse alla terrestre, ma si era dovuto accontentare di una ragazzina minuta con grandi occhi chiari.

Ricordava l’odore della sua paura, mentre la portava per mano all’interno della sua astronave. Aveva cercato di mostrarsi calmo e gentile, ma sospettava che lei avesse capito subito cosa si celava sotto il suo freddo sorriso. Aveva aspettato che il portellone si chiudesse prima di cominciare…

In quei pochi minuti di sevizie aveva immaginato per tutto il tempo che ci fosse Bulma al suo posto; che le ossa che si spezzavano, il sangue che gli copriva le mani e la bocca e le urla strazianti della fragile aliena appartenessero invece alla terrestre che lo aveva infettato.

Quando aveva finito si era reso conto che la ragazza era già morta. Si era allontanato di scatto dal cadavere e se ne era liberato prendendolo a calci fino all’uscita.

Ricordava di aver cercato i suoi occhi vitrei, spalancati dal terrore, mentre faceva rotolare come un insignificante ammasso di carne quella che poco prima era stata un essere vivente. Erano blu, ma non il blu che cercava.

La rabbia era tornata più bruciante di prima. Nemmeno uno stupro così bestiale era riuscito a liberarlo dal tormento che lo consumava, perché in fondo sapeva che non sarebbe mai riuscito a fare la stessa cosa alla terrestre…

“Vegeta, mi stai a sentire?”

Il sayan si riscosse dai suoi oscuri pensieri.

“Avrei dovuto saperlo che venendo qui mi avresti assillato. Torna a dormire!”, gli disse seccato.

Ma Bulma sapeva essere decisamente cocciuta.

“Sono solo curiosa! Visto che non molto tempo fa abbiamo ricevuto la visita a sorpresa del tuo fratellino, non vorrei avere altre sorprese inattese.”, gli disse sorniona, accoccolandosi ancora più comodamente sul suo petto.

Vegeta non si ritrasse. Poteva farlo, ma a quel punto era talmente stanco di combattere con la sua boccaccia che le avrebbe dato ciò che voleva sentire… e a quel punto lei si sarebbe allontanata da sola.

“Non ho altri figli. Forse ne avrei avuti se le loro madri fossero sopravvissute.”

“Sono state uccise da Freezer?”, chiese la donna, girando il capo verso di lui e cercando invano i suoi occhi.

“No. Da me.”

Eccolo. Il momento che sapeva sarebbe arrivato. Bulma smise di sorridere e si sollevò dal suo petto. Vegeta sostenne il suo sguardo indagatore, ma non deluso come si sarebbe aspettato.

Poi, lentamente, lei gli prese la mano e se la portò al viso. Con estrema delicatezza posò le sue labbra carnose su ognuna delle sue nocche ruvide.

La sorpresa gli impedì di reagire come avrebbe voluto, ovvero sottraendosi ai suoi baci. Rimase a fissarla rassegnato. A volte gli sembrava quasi che quello strumento di tortura e piacere che era la sua bocca potesse lavare via tutti i suoi peccati.

“Sono fortunata, quindi…”

Alzò lo sguardo su di lui e gli sorrise comprensiva.

Una parte di lui non si stupì nemmeno. Quella donna era strana, lo aveva sempre saputo.

Fortunata. Così amavano definirla tutti. Ricca, bella, geniale, sopravvissuta ai cyborg e a mille altri pericoli, principe dei sayan incluso. Ma per lui no, lei non era fortunata.

Era qualcos’altro. C’era qualcosa in Bulma di cui solo lui era davvero cosciente. Qualcosa che l’aveva tenuta in vita molti anni prima e che in quel momento la rendeva perfetta ai suoi occhi.

Chissà se c’era stato un tempo in cui lei lo aveva considerato un mostro o se aveva sempre visto qualcosa di diverso in lui…

“Non sei fortunata. È il tuo istinto di autoconservazione che fa schifo.”

Lei rise, ma si fermò come scottata.

“Che ti prende, ora?”

La donna non rispose, ma portò la sua mano, che ancora stringeva, sul suo ventre.

Non lo aveva mai toccato prima. Anche quando Bulma dormiva ed era stato tentato di farlo, non aveva mai appoggiato le mani su quel rigonfiamento che segnalava la presenza di un’altra persona dentro di lei.

“Credo che le nostre chiacchiere abbiano svegliato Bra.”

“Le nostre? Io non chiacchiero, donna…”

Gli occhi del principe dei sayan si sgranarono all’improvviso. Sotto la sua mano suo figlio si era appena mosso, lasciandolo interdetto. Era la prima volta che poteva associare la sua aura a qualcosa di tangibile.

“Cosa sta facendo?”, chiese curioso, prima di riuscire a frenare le parole.

“Mi piacerebbe saperlo… A quanto pare ha iniziato ad allenarsi presto e gli piace farlo soprattutto quando la mamma vuole dormire.”

Vegeta si rese conto di avere un’espressione stupida e si affrettò a riappropriarsi della sua mano, tornando ad un meno compromettente cipiglio serio.

Bulma invece si sdraiò di nuovo su di lui, sorridendo radiosa.

“Sei una persona buona, Vegeta.”, la sentì dire mentre trovava un angolo sotto la sua scapola su cui posare il capo.

Avrebbe dovuto alzarsi e uscire. Lei non poteva permettersi di dirgli certe stupidaggini.

“Hai fatto delle cose cattive, ma non ha più importanza per me. Non ne ha mai avuta.”

“Sta’ zitta una buona volta, Bulma.”, disse rilassandosi contro il cuscino vaporoso del bracciolo e aspirando il profumo dei suoi capelli.

Trunks aprì la porta d’ingresso in quel momento. Entrò scrollandosi di dosso quintali di neve e abbandonando in un angolo la tuta da sci fradicia. Quando li vide sul divano non avevano cambiato posizione, anche se Vegeta aveva fatto del suo meglio per assumere un’espressione che negasse il suo consenso a tutta la faccenda.

Il ragazzo fece una smorfia a metà tra il disgustato ed il divertito.

“Sapete, stavo pensando di scritturarvi per una di quelle soap opera mielose che guarda la nonna. Voglio dire… guardatevi! Se Nicholas Sparks ha fatto un mucchio di soldi con storie di vecchietti che si sbaciucchiano, perché non potrei farlo anche io?”

Bulma soffocò una risata.

“È colpa mia, Trunks. Avevo freddo e l’ho costretto a scaldarmi.”

Trunks assunse un ghigno malefico.

“Certo, come no. Facciamo finta che a papà non piaccia. In fondo, mica siamo qui perché la Gravity Room non funziona. Non mi pare di averlo visto usarla molto spesso negli ultimi tempi…”

Vegeta lo guardò torvo. La gravidanza di Bulma l’aveva davvero rammollito ulteriormente e, nello stesso tempo, Trunks era diventato un adolescente insopportabile, con la linguaccia lunga quanto quella di sua madre. Doveva ammettere che a volte era divertente, ma non poteva permettergli di prendersi gioco di lui.

“Magari io adesso vi lascio soli, eh? Non voglio restare imprigionato in tutta questa melassa…”

“Ragazzo!”

Vegeta scansò Bulma delicatamente ma con decisione e si alzò dal divano.

“Tu ed io. Fuori. Subito. Vediamo se sei più bravo a blaterare che a combattere.”, disse in tono di sfida.

Trunks fu preso per un secondo alla sprovvista, ma riprese subito il controllo e si mise a gongolare come un bambino a Natale.

“Oh, no. Vi prego! Abbiamo solo un misero kit di pronto soccorso…”, implorò Bulma, issandosi sulla testiera con i gomiti.

“Non preoccuparti, mamma. Te lo restituisco tutto intero.”, disse il giovane sayan scrocchiandosi i pugni.

“Non ho intenzione di usare tutta la mia forza: ho rispetto per gli anziani…”

Vegeta sorrise maligno. Si sentiva fremere di eccitazione all’idea di un bel combattimento. Con suo figlio, poi… Sembravano passati pochi giorni da quando era solo un botolo paffuto che faceva le bolle dal naso…

No. No. Non era a questo che doveva pensare.

Razza di smidollato.

“Ti consiglio di andarti a mettere il pannolino, Trunks. Non vorrei che te la facessi sotto sul più bello.”, disse avviandosi alla porta.

Bulma si alzò rassegnata, portandosi dietro l’onnipresente coperta.

“Vegeta, non fatevi male. Io vi preparo la cena.”

Per un secondo Vegeta pensò alla bombola del gas che non era stata accesa per molto tempo e che poteva essere difettosa, al fatto che se Bulma fosse inciampata loro non ci sarebbero stati… Se il bambino si fosse improvvisamente reso conto di essere un sayan e l’avesse uccisa?

Trunks lo spinse fuori sogghignando.

“Andiamo, nonnino. Ti avrò messo fuori uso prima che lei possa inventarsi un nuovo modo per morire.”

Vegeta lo afferrò dalla collottola e lo trascinò per qualche metro nella neve. Anche in quel momento il ragazzo non la smetteva di ridacchiare.

“Vedremo se farai ancora tanto lo sbruffone, quando correrai a piangere da tua madre.”

Trunks si liberò dalla presa e gli si parò davanti in posizione di guardia.

“Cosa aspettiamo, allora?”

Vegeta liberò la sua aura facendo tremare le montagne.

La maggior parte degli abitanti dell’universo non lo avrebbero mai accettato, non avrebbero mai dimenticato quello che un tempo era stato. Bulma e Trunks invece lo avevano fatto, e non fingendo che il Vegeta di prima fosse scomparso. Perché lui continuava ad essere una parte importante del suo essere e non sarebbe mai riuscito a liberarsene, né avrebbe voluto.

Anche se non si sarebbe mai messo a nudo completamente, una parte di lui sapeva che loro lo avrebbero sempre perdonato, lo avrebbero sempre apprezzato per ciò che era.

E non gli serviva sapere altro.

 

 

 

 

 

Eccoci qui! Fine capitolo…

Che ne dite?

Vegeta è stato fin troppo loquace in questa occasione, me ne sono accorta. Forse lo sto facendo sciogliere un po’ troppo!

Se vi chiedete chi sia il fratello di cui si parla è Tarble (apparso in uno degli OAV più recenti di Toriyama e da quel momento inserito nel canone ufficiale), comunque non ho intenzione di inserirlo nella trama per cui potete anche far finta che non esista.

Spero che le mie teorie sulla società dei sayan non vi abbiano infastidito. Ho intenzione di scriverci una fanfiction più avanti, magari svelando particolari sull’origine di Vegeta che nemmeno lui conosce, ma se avete apprezzato potrei inserire altri particolari!

Trunks: spero proprio che vi piaccia perché io lo adoro! :-)

Preparate i fiocchi rosa perché il prossimo capitolo i Brief diventano 4…

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Capitolo 12
*** Cap. 12 O Children ***


Sono viva. Sono tornata.

Dopo una pausa lunghissima (un anno forse?) sono di nuovo qui a tediarvi. Qualcuno non ne poteva più di aspettare questo capitolo (come darvi torto?) e sono sicura di aver perso per strada qualche appassionato lettore ma ora… a noi! Fuoco alle polveri!

Non mancano molti capitoli per arrivare alla fine di questa avventura (forse 3)! Questo capitolo è stato riscritto così tante volte che a volte temevo che avrebbe visto la luce alla fine del secolo. È ben lontano dall’essere perfetto, ma quando l’ho riletto per l’ultima volta e mi sono accorta di avere un sorriso ebete sulle labbra mi sono detta che c’eravamo, finalmente.

Spero davvero che vi piaccia. Spero che tornerete a farvi sentire e che, nonostante le mie pause si protraggano spesso per lunghi periodi, sarete ancora lì, quando scriverò la parola “FINE” in fondo a questa storia che mi ha accompagnata per così tanto tempo.

 

 

 

CAP. 12 – O CHILDREN

 

 

 

 

“Ben svegliata, mia cara.”

Suo padre. Ne è quasi sicura nonostante i postumi dell’anestesia e quella sensazione di improvvisa leggerezza fisica e mentale.

“Come sta?”, biascica ancora prima di aprire completamente gli occhi.

Il Dott. Brief gli appare in un sorriso radioso.

“Non preoccuparti, tesoro. È un bambino straordinario ed è sano come un pesce.”

Maschio. Non aveva mai avuto dubbi al riguardo.

“Voglio vederlo.”

Ha paura. Ma ha bisogno che le immagini spaventose che negli ultimi mesi hanno affollato i suoi incubi svaniscano nel nulla o, al contrario, finalmente si palesino.

È sua madre a porgerle un fagottino da cui inizialmente spuntano soltanto due minuscole mani. Bulma si rende conto di tremare vistosamente mentre si sporge per prenderlo e, nonostante l’assenza di dolore, non sa dire se la cosa sia imputabile alla paura o all’intervento appena subito.

Per un istante si domanda confusa come ha fatto il suo corpo a farlo. Non a sopravvivere; quello ha smesso di chiederselo. Come ha fatto a prendere tutto ciò che di più sbagliato c’è in lei e a restituirle quell’esserino soffice e caldo che sbatte le lunga ciglia infastidito dalla luce…

“Trunks?”, gli domanda, come se lui potesse darle davvero una conferma.

Il neonato apre le piccole dita a ventaglio, facendo smorfie graziose con le guance paffute.

È bellissimo. Quasi non riesce a credere che quello che ha tra le braccia sia davvero il figlio che ha sognato ogni notte, da pochi mesi a quella parte. A poco a poco diventa cosciente anche delle piccole cose che, prima di vederlo, sembravano avere tanta importanza: ha gli occhi chiari, una bocca carnosa e un ciuffo di capelli dello stesso colore di quelli del nonno. È un Brief in tutto e per tutto.

C’è anche qualcosa di lui, ovviamente. Ma non è così doloroso come credeva. Ogni volta che il piccolo apre gli occhi diventa impossibile non notare quanto gli assomigli il suo sguardo.

Lo contempla adorante. Non c’è niente di spaventoso in lui. Non c’è oscurità; non c’è vizio. È incorrotto. E mentre Bulma posa un bacio delicato sulla sua fronte, non ci sono più dubbi nel suo cuore palpitante: lotterà con tutta se stessa per mantenere intatto e al sicuro quel piccolo miracolo.

“Siamo tu ed io, tesoro mio. Non avere paura.”

Il piccino sbadiglia incurante del mondo circostante. Ignaro di essere il motivo per cui calde lacrime solcano il viso della donna che lo stringe al petto. Beatamente all’oscuro di cosa voglia dire essere un figlio e di cosa significhi, venire al mondo per amore…

 

 

 

 

Bulma chiuse la zip del suo trolley firmato e tirò un sospiro di sollievo. Non era proprio come se stesse partendo per le vacanze, quando dimenticarsi qualcosa equivaleva a dover rimanere senza quell’oggetto fino al rientro a casa; eppure non si era mai sentita così agitata. Era già successo un’altra volta e chiudere quella valigia aveva significato porre fine ad un periodo della sua vita ed entrare inevitabilmente in un altro, pieno di insidie, responsabilità, inattese gioie e prevedibili dolori.

Non aveva paura. Bulma Brief raramente ne aveva avuta da quando era nata e di sicuro non la avrebbe avuta ora che stava per ottenere ciò che per anni aveva desiderato ardentemente, ma ciò non bastava a non riempirle le vene di adrenalina e a rallentare i suoi battiti cardiaci. L’essere investita di una responsabilità così grande, di un onore che con il tempo aveva assunto diversi significati, non poteva che infondere in lei parte dell’incredibile natura del figlio che stava aspettando; ciononostante il suo animo fiero e orgoglioso, che gli avvenimenti degli ultimi quindici anni avevano elevato ad un livello che nessun abitante della Terra poteva vantare, restava confinato in un involucro del tutto sprovvisto della forza fisica che invece permeava ogni cellula del suo regale consorte.

Aveva pensato a quel giorno fin dall’inizio. Quando molto tempo prima il suo bene più prezioso era venuto al mondo, aveva voluto solo i suoi genitori accanto, forse per provare a se stessa che essere sola non la aveva indebolita, né lo avrebbe mai fatto. E così era stato, perché dal momento in cui Trunks aveva stretto il suo minuscolo pugno attorno al suo dito anche i suoi genitori erano sembrati superflui. Quello straordinario esserino che aveva deciso di far nascere più per orgoglio che per vero istinto materno si era trasformato in pochi istanti nella sua sola ragione di vita. Il suo errore più grande, un mucchietto di organi dagli occhi azzurri che il suo corpo aveva assemblato a tradimento, era riuscito a farla sentire completa come mai nessuno prima di allora.

Ora che invece stava per avere un bambino a lungo agognato, ci si sarebbe aspettato da lei il desiderio di condividere quella rinnovata felicità con tutti i suoi amici. Ma i suoi desideri al riguardo avevano sorpreso persino lei stessa.

Lui si era alzato presto per chiudersi nella Gravity Room. Era stato freddo e scontroso nell’ultima settimana, quasi non si erano rivolti la parola. Niente di preoccupante, comunque. A Bulma piaceva parlare, la loquacità faceva parte della sua natura ed era sempre stata una delle sue migliori armi contro Vegeta. Tuttavia non ne aveva davvero bisogno per sentirsi vicina a lui. Quindici anni ad interpretare i suoi silenzi, i suoi bisogni, le sue rabbie, i suoi momenti di depressione ed apatia, lo rendevano ormai un libro aperto ai suoi occhi.

“Non voglio nessuno in ospedale.”, aveva detto una sera a cena, facendo andare di traverso la zuppa a suo padre.

Trunks e sua madre avevano protestato, ma alla fine si erano dovuti arrendere alla sua ferrea volontà. Vegeta non aveva fatto una piega, ma lei sapeva a cosa stava pensando. Apprezzava la sua manifestazione di indipendenza e che lei non si aspettasse da lui qualcosa che era incapace di gestire. Vegeta ci sarebbe stato comunque. Ci sarebbe stato in ogni particolare di quel figlio che presto sarebbe entrato a far parte delle loro vite, in ogni smorfia, colore e caratteristica che questa volta la donna non vedeva l’ora di scoprire, al contrario di quanto era accaduto alla nascita di Trunks. Ci sarebbe stato quando avrebbero fatto ritorno alla Capsule Corporation e sì, avrebbe tenuto le distanze per qualche tempo per proteggersi, ma lei non avrebbe dubitato della sua presenza. Non lo avrebbe fatto mai più.

Bulma raccolse la valigia, chinandosi faticosamente quel tanto che bastava per afferrarla ed uscì dalla sua stanza, gettando un ultimo sguardo intorno. Quando fosse rientrata anche le cose più familiari le sarebbero sembrate molto diverse, come l’altra volta? In quel momento si sentiva tutto fuorché una debole terrestre, perciò lasciando quel biglietto sul cuscino non si era interrogata più di tanto sulle parole da scegliere per quello che avrebbe potuto anche essere l’ultimo messaggio a suo marito.

A presto.

Niente di speciale. Niente che non avrebbe potuto dire a voce passando dalla Gravity Room. E tuttavia non si era rivelato nemmeno superfluo; non tanto per quelle parole scribacchiate impulsivamente, quanto per rendere chiaro a lui e a se stessa che ormai non c’era distanza fisica e temporale che potesse realmente separarli.

 

 

 

Un orologio nella Gravity Room. Inutile. Come quasi tutte le cose che nel corso degli anni Bulma e suo padre ci avevano infilato dentro; dall’impianto stereo invisibile all’asciugacapelli nella doccia.

Cose terrestri. Cose da terrestri.

Poteva immaginarsi la fastidiosa consorte inserire quell’orpello per ricordargli quanto tempo passava chiuso nella stanza. Come se saperlo potesse farlo sentire in colpa per il tempo sottratto a lei e al ragazzo. Ragazzo che, tra parentesi, in casa passava meno tempo di lui ormai.

Donna cocciuta e molesta.

Donna che da tutta la mattina non riusciva a lasciare fuori dai suoi pensieri, nonostante la gravità elevata, nonostante il ritmo massacrante di allenamento che aveva tenuto per ore.

Il giorno era arrivato dunque. Lo sapeva da tempo, eppure non era preparato. Non era preparato al cambiamento; lui odiava i cambiamenti. Non era preparato agli imprevisti. Non era preparato nemmeno a quella frustrante sensazione di impotenza e meno che mai alla paura che qualcosa andasse storto. E l’unico modo per affrontare la cosa era ormai di ripetersi che tutto sarebbe andato bene, dato che gli allenamenti non stavano dando i frutti sperati.

Lei doveva essere già partita ormai. Le lancette dell’orologio attirarono di nuovo la sua attenzione contro la sua volontà e allora lui cominciò ad analizzare analiticamente la situazione per calmarsi. Faceva la stessa cosa quando elaborava un piano, quando si preparava ad affrontare un nemico. La sola potenza non era mai stata abbastanza per lui; l’intelligenza e l’astuzia lo avevano reso un degno erede della sua stirpe e Vegeta non aveva mai mancato di affinare questi doni, insieme alle sue tecniche di combattimento. Poter prevedere gli eventi, saper reagire tempestivamente aveva decretato la sua vittoria più di una volta. La sua mente cominciò a seguire quindi il corso degli eventi: Bulma doveva essere già uscita, tra poco avrebbe fatto il suo ingresso nella clinica in cui già Trunks era nato; due ore dopo il chirurgo avrebbe praticato un incisione appena sopra il suo pube, esattamente dove l’aveva già fatto tredici anni prima e a quel punto suo figlio sarebbe nato. Bulma sarebbe stata fuori pericolo e avrebbe avuto finalmente quel moccioso per cui si era data tanto da fare.

Era uno strano modo di partorire, quello. Tra la sua gente le donne lo facevano da sole nelle loro stanze; a volte sul campo di battaglia se quella feccia di Freezer e dei suoi sottoposti riteneva che ci fosse una missione di primaria importanza. L’unica eccezione si faceva per la nascita dei figli del Re: in quel caso la tradizione voleva che il sovrano dovesse essere presente per assicurarsi che il proprio figlio non venisse scambiato. Tuttavia era sicuro che nessuna donna sayan avesse mai avuto bisogno di assistenza. Ricordava di essersi sorpreso quando aveva visto per la prima volta la cicatrice sul ventre di Bulma, dopo il Cell Game. Ma quando lei gli aveva spiegato di cosa si trattava, si era dato dello stupido per non averci pensato. Era chiaro che un figlio ibrido con quella forza mostruosa non potesse nascere in modo naturale da un essere umano così debole.

Si impose di smettere di pensarci e decise di fare la doccia per cercare di lavare via quelle inutili preoccupazioni insieme al sudore.

Qualcuno sarebbe presto venuto a dirgli che Bulma stava bene e allora sarebbe stato libero di partire…

Un suono acuto e un’improvvisa sensazione di leggerezza gli segnalarono l’abbassamento repentino della gravità. Per un attimo ebbe la sgradevole sensazione che dalla porta stessero per sopraggiungere cattive notizie, ma la comparsa di Trunks gli fece riguadagnare compostezza.

“Ciao.”, disse il ragazzino entrando e richiudendosi la porta alle spalle.

“Scusa se ti ho interrotto.”

Vegeta distese i muscoli del collo e lanciò al figlio uno sguardo appena meno severo del solito.

“Cosa vuoi?”

Il ragazzo incrociò le braccia visibilmente contrariato e si lasciò scivolare scomposto sul pavimento lucido.

“Non mi va di aspettare qui. Perché non posso andare in clinica?”

“Perché lei ha detto di non andare.”, sentenziò il sayan.

Trunks sbuffò e cominciò a digitare frenetico sul suo smartphone; una cosa che a Vegeta faceva venire i nervi.

“Mi sono già rotto le scatole di questo moccioso…”

A Vegeta non sfuggì il tono del ragazzino, volto chiaramente a provocare in lui una qualche reazione. Dio solo sapeva quale.

“Hai piagnucolato per anni di volere un fratello, o sbaglio?”, gli disse contrariato.

“Un fratello come Gohan. Non un poppante che piangerà tutto il giorno.”, rispose il giovane senza degnarlo di uno sguardo. “E sono pronto a scommettere che è una femmina del cavolo.”, aggiunse.

A Vegeta non importava un granché che il moccioso fosse un maschio o una femmina. Avere un altro figlio lo avrebbe messo in difficoltà in ogni caso, a prescindere dal sesso. Doveva ammettere però che una parte di lui temeva di vedere entrare nella sua vita una ragazzina con un mix letale dei geni di Bulma e di quelli sayan. D’altronde le poche donne che avevano significato qualcosa nella sua vita, avevano lasciato segni indelebili su di lui. Nel bene e nel male.

A prescindere da quello che pensava lui, le parole di Trunks lo disturbavano perché l’idea che il ragazzo potesse provare sentimenti contrastanti, se non addirittura negativi, verso il fratello non l’aveva mai neanche sfiorato. In fondo non era una cosa così impossibile: Trunks aveva sempre mostrato invidia nei confronti del rapporto che univa i figli di Kakaroth, ma lui e Bulma non avevano certo testimoniato grandi esempi di amore fraterno. Tra Bulma e sua sorella non scorreva di certo buon sangue e lui aveva rapporti pressoché inesistenti con suo fratello Tarble.

“Avere una sorella non è poi così male…”

Non sapeva perché l’aveva detto. Non sapeva perché d’un tratto, nella diga che solitamente custodiva i suoi sentimenti, si fosse d’un tratto aperta una falla.

“E come fai a saperlo?”, gli chiese il figlio, alzando finalmente lo sguardo dal telefono.

“Ho avuto una sorella anche io.”

Vide Trunks sgranare gli occhi sorpreso. Eccolo lì; uno dei segreti che nemmeno Bulma era mai riuscita a carpirgli, sbandierato ai quattro venti. Uno dei ricordi che con maggior fervore cercava di seppellire nei meandri del suo passato…

“E com’era?”, chiese il ragazzo sinceramente interessato.

Vegeta sentì una fastidiosa sensazione stringergli la gola. Ma se pensava a lei soltanto, senza evocare gli effetti collaterali che riguardavano Freezer, suo padre e la rabbia che provava per non essere stato in grado di opporsi agli eventi, non era poi così brutto parlarne.

“Un po’ come te. Una gran rompiscatole.”

Trunks sorrise. Sembrava davvero rendersi conto di quanto fosse importante quello che il padre gli stava confessando.

“Era forte?”, domandò il ragazzo.

“Abbastanza.”, disse. Ma una vocina dentro di lui lo corresse subito.

Non abbastanza.

Non abbastanza da sopravvivere a Freezer, almeno. Ammesso che si fosse sporcato le mani lui stesso per ucciderla. Nessun sayan, prima di Kakaroth, era mai sopravvissuto se aveva osato opporsi alla volontà di Freezer e lei aveva commesso un crimine imperdonabile: aveva cercato di preservare l’animo del principe dall’oscuro operato del viscido tiranno sulla sua giovane mente. Strinse i pugni cercando di non pensarci. Cercando di non lasciarsi pervadere dal senso di fallimento che quel mostro instillava in lui fin dall’infanzia.

Katniss era stata l’unica persona a volergli bene prima di Bulma. L’unica a cui poteva attribuire un ricordo felice, ora che finalmente aveva riscoperto cosa fosse la felicità. Di sua madre ricordava soltanto il volto sprezzante, ogni volta che il suo sguardo altero si posava su di lui. Il disgusto con cui si riferiva a lui, chiamandolo “il figlio del Re”. Il pensare alla codardia di suo padre, invece, provocava il suo ribrezzo. Poteva senz’altro far risalire la sua lunga discesa nel baratro della perdizione, peraltro così tanto bramata da Freezer, al giorno in cui aveva scoperto che suo padre aveva chinato la testa di fronte al tiranno, permettendogli di disporre della vita dei suoi figli come meglio credeva. A patto che il piccolo principe restasse vivo…

Ma Katniss gli aveva dato qualcosa a cui (solo ora se ne rendeva conto) avrebbe potuto aggrapparsi nei momenti peggiori della sua vita. Qualcosa di più potente dell’orgoglio. Qualcosa che, nonostante gli orrori e la malvagità che gli sarebbe stata instillata, lo avrebbe mantenuto in vita. Qualcosa che sarebbe rimasta sopita dentro di lui, in attesa che una terrestre incosciente e irritante la trovasse….

A volte, perlopiù nel sonno, la vedeva nella sua piccola battle suit, pronta per partire per una nuova missione. I suoi lineamenti ormai non apparivano più nitidi come un tempo, ma ricordava bene quanto fosse rassicurante vederla tornare ogni volta vincitrice da quelle spedizioni che a lui non erano ancora concesse, con il suo sorriso scaltro sempre in bella vista. Non gli era permesso di passare del tempo con lei: ordini di Freezer. Ma ricordava che ogni volta che lei tornava su Vegeta-sei, dopo essere sgattaiolato nelle sue stanze al calar del sole, le domandava se avesse ucciso molti alieni. Lei allora si faceva seria, lo prendeva per le spalle e lo guardava dritto negli occhi…

“Ricordati che noi siamo un popolo di guerrieri, marmocchio. Non di assassini…”

Lui non capiva. Lo addestravano per uccidere, non per sconfiggere. Gli insegnavano a provare piacere nel farlo. Lo facevano con tutti.

“Freezer e i suoi non possono capire la differenza, Vegeta. Ma tu devi farlo. Devi promettermelo.”

Lui prometteva. Ma avrebbe capito solo molti anni più tardi il significato di quelle parole.

Prima di addormentarsi, una volta, le aveva chiesto perché allora uccideva tutti gli abitanti dei pianeti che visitava. Aveva forse paura di disobbedire agli ordini?

Katniss non aveva esitato nemmeno un secondo a rispondere.

“Morire non è nulla, in confronto all’essere schiavo. Faccio loro un favore.”

 “Non c’è più, vero?”

Trunks lo riportò bruscamente alla realtà.

Vegeta non rispose. Si girò verso suo figlio e lo guardò. A volte faceva ancora fatica ad accettare che ci fosse così tanto di se stesso in lui. Che uno strumento di morte come lui potesse aver dato la vita ad un essere così straordinario come quel ragazzino.

“Ascoltami bene, Trunks. Una volta mi hai promesso che ti saresti preso cura di tua madre, ricordi?”.

Trunks si alzò in piedi, vagamente allarmato. Certo che se lo ricordava, ma la sua espressione diceva chiaramente quanto avrebbe voluto evitare di parlarne.

“… Sì.”

Vegeta gli si avvicinò. Trunks arrossì appena, forse spaventato dalla possibilità che suo padre volesse abbracciarlo. A Vegeta scappò un sorriso. Era così, dunque, che le colpe dei padri ricadevano sui figli.

Gli mise una mano sulla spalla. Ormai era diventato alto, presto lo avrebbe raggiunto.

“Difenderai anche Bra, vero?”

Vegeta lo vide irrigidirsi appena. Chissà se per un istante di ribellione adolescenziale o se per la preoccupazione riguardo i motivi della sua richiesta.

“Non ci sei tu per questo?”, gli chiese il giovane titubante.

“Io non sono immortale”. Un tempo avrebbe dato chissà cosa per far sì di diventarlo. Ma ora…

Trunks gli sorrise. Aveva imparato anche lui ad usare il sarcasmo per difendersi.

“Vorrà dire che difenderò anche te, quando sarai un vecchietto...”

“È un sì?”, domandò il sayan, ignorando la provocazione.

Trunks chinò lo sguardo, tornando serio. Quando rialzò la testa c’era una fiamma di fierezza nei suoi occhi chiari.

“Te lo prometto, papà.”

 

 

 

Vasil le fece l’occhiolino da dietro la mascherina chirurgica e Bulma ricambiò con un sorriso.

Era suo amico fin dalla prima infanzia; fin dai tempi in cui gareggiavano per il titolo di studente dell’anno. Al contrario di Bulma però, Vasil non aveva mai trasgredito alle regole né aveva mai avuto il suo spirito d’avventura. Se aveva mai lasciato la Città dell’Ovest, lo aveva fatto solo per il tempo necessario a prendere parte a qualche importante intervento chirurgico che richiedesse la sua bravura.

Quando Bulma era rimasta incinta di Trunks non aveva dubitato nemmeno un secondo nel mettersi nelle sue sapienti mani. Ed anche questa volta sarebbe stato lui ad aiutarla a mettere al mondo Bra.

“Sei pronta, Brief?”, le domandò lui, infilandosi i guanti.

Non era come l’altra volta. Sapeva cosa aspettarsi al suo risveglio e non c’era traccia di paura nel suo cuore.

“Mai stata più pronta.”, rispose lei, nonostante trovasse piuttosto scomodo il lettino su cui era distesa e la cuffietta che le raccoglieva i capelli.

“Allora direi di far nascere questo bambino.”, disse lui avvicinandole la maschera dell’anestesia al viso.

“Pensa a cose belle, Brief…”

Bulma chiuse gli occhi e sorrise. Poi fu il buio…

 

 

 

Vegeta aveva appena finito di fare la doccia, quando Trunks irruppe nella Gravity Room come un uragano.

“La mamma sta bene. E … ovviamente è una femmina!”, senza più nessuna emozione, se non entusiasmo.

Stava bene. Il suo stomaco tornò a distendersi, istantaneamente. Era tutto ciò che doveva sapere.

Poi anche il resto dell’informazione acquisì un senso.

Femmina.

Aveva una figlia.

Vegeta non poté non restare sorpreso per un istante. Quella donna ci aveva preso. Non aveva fatto altro che blaterare di aspettare una femmina per tutta la gravidanza.

“Vieni a trovarle con me?”, domandò Trunks, impaziente.

Vegeta si diresse verso l’uscita superando il ragazzo.

“Vai tu. Io sto partendo.”

Quelle parole uccisero l’euforia del giovane come una doccia gelata.

“Cosa!? E dove vai!?”

Il sayan aveva previsto una reazione del genere da parte del figlio; ma non era preparato a dover dare spiegazioni riguardo a questa decisione. Dovette sforzarsi di non rispondere in modo troppo rude.

“Vado ad allenarmi. Non starò via molto, comunque.”

“Aspetta!”, lo fermò il ragazzo. “Perché vai via proprio adesso?”

Rispondere che aveva bisogno di altro tempo, che sentiva il bisogno di allontanarsi per un po’ non sarebbe stato del tutto onesto. In parte era vero, ma non era la sola ragione.

“Non t’interessa, vederla?”, gli chiese Trunks, visibilmente demoralizzato.

Non gli piaceva. Doversi giustificare. Ma non poteva permettere che suo figlio pensasse che non era cambiato per niente, da quando era diventato padre per la prima volta.

“Quando sei nato tu, non c’ero. Non sarebbe giusto.”

Trunks continuò a fissarlo in silenzio. Quasi stupito da quella osservazione. In un secondo momento, Vegeta lo vide arrossire, commosso dal significato di quelle parole.

Trunks sapeva. Ormai era grande abbastanza da intuire ciò che per anni gli era stato omesso. Il padre che conosceva era ben diverso dall’uomo che aveva abbandonato sua madre incinta, ma di lui non gli importava granché. C’era ancora qualcosa di quel passato nelle coccole che non era mai stato capace di elargirgli e nelle parole affettuose che Trunks raramente aveva sentito uscire dalla sua bocca; eppure al giovane bastava sapere che fin dai suoi primi passi, quell’uomo severo e riservato gli era sempre stato accanto, e di lui non avrebbe cambiato nulla.

“Allora a presto, papà.”, gli disse il ragazzino apprestandosi a spiccare il volo, per raggiungere la clinica e sua madre il più velocemente possibile.

“Ehi, Trunks. Vuoi venire con me?”

Non sapeva perché l’aveva detto. Non gli aveva mai permesso di accompagnarlo nelle sue peregrinazioni negli angoli più sperduti del pianeta. Forse perché ogni volta che sentiva il bisogno di allontanarsi da casa era la solitudine, quella che cercava.

Trunks si fermò a mezz’aria, incredulo.

“Sul serio?”, disse. A poco a poco lo stupore sul suo viso lasciò posto all’euforia.

Vegeta sentiva che se ne sarebbe pentito. Se non altro perché il ragazzo si sarebbe portato dietro quello stupido telefono rumoroso che ormai sembrava un’estensione naturale del suo corpo. Si sarebbe lamentato. Avrebbe piagnucolato per un letto comodo, un pasto raffinato…

Il sayan sorrise.

“Sì, sul serio.”

 

 

 

 

 

Cosa ne pensate (se ancora c’è qualcuno che segue questa storia dopo tanto tempo)?

Giustifichiamo la licenza poetica: la sorella di Vegeta, volevo introdurla da un po’, ma diciamo che questo mi è sembrato il momento migliore. Mi è sempre piaciuto pensare che il bambino-Vegeta sia nato non molto diverso da un comune bambino terrestre e che la schiavitù e la solitudine lo abbiano cambiato. Non ho mai visto i sayan come un popolo naturalmente spietato e incapace di provare sentimenti; è logico che essendo guerrieri, la violenza faccia parte della loro cultura, ma in fondo pensiamo a quello che noi stessi esseri umani abbiamo fatto nella storia al cosiddetto “diverso” che abitava il nostro stesso pianeta.

La sorella di Bulma citata nel capitolo (si chiama Tights, ovvero “calzamaglia”) invece non è una mia invenzione: esiste davvero! Se vi interessa vederla e sapere qualcosa di lei cercate “Jaco the galactic patrolman”, la recente opera di Toriyama in cui fa la sua comparsa insieme ad un’adorabile Bulma di 5 anni.

Riguardo la trama: era importante per me che Vegeta si allontanasse da casa per un po’. Ne ha bisogno. Ma spero anche che sia emerso come Bulma reagisca alla cosa in modo totalmente diverso rispetto alla nascita di Trunks. In quel caso era completamente sola. Ora sa, che per quanto Vegeta decida di andare lontano per proteggersi dalle emozioni che lo sopraffanno, vuole quel figlio e quella vita quanto lei.

Nel prossimo capitolo Vegeta incontrerà Bra, non vedo l’ora che lo leggiate! Lasciamoci quindi con uno scaramantico “a presto”.

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Capitolo 13
*** Cap. 13 Someone belonging to someone ***


Ci sono momenti in cui una si ricorda che ha lasciato qualcosa in sospeso, che forse ancora ci sono poveracci che leggono le storie che ha cominciato. Ci sono momenti in cui tutto quello che si è scritto finora non sembra mai abbastanza buono per andare avanti. Ma per fortuna, ogni tanto appare una piccola luce in fondo al tunnel e un nuovo capitolo prende vita.

Se ancora mi seguite, come sempre, ogni vostro commento e suggerimento sarà più che gradito!

 

 

CAP. 13 - SOMEONE BELONGING TO SOMEONE

 

 

“Ti ordino di lasciarci andare, Onio!”, esplode d’un tratto il piccolo principe risoluto, puntando un dito verso il torace enorme della guardia.

Katniss lo degna a malapena di uno sguardo, mentre Onio fa del suo meglio per non scoppiare a ridere.

“Io prendo ordini solo dal Re, soldo di cacio!”, sghignazza il sayan, abbassando un braccio gigantesco e scompigliando i capelli di Vegeta.

Il bambino si ritrae offeso, incrociando le braccia. Se solo volesse, potrebbe stendere quell’energumeno in un attimo.

“E poi si può sapere chi ti ha autorizzata ad uscire dalle tue stanze a quest’ora, principessa?”, l’uomo torna a rivolgersi alla bambina più grande.

Katniss si gioca il tutto e per tutto. Hanno poche possibilità di riuscire a sgattaiolare fino alle stanze del Re, se non convince la guardia a levarsi di torno.

“Mio padre, Onio! E si arrabbierà moltissimo se ci fai perdere altro tempo!”

L’uomo la scruta sospettoso, dall’alto in basso.

“Non sarà una delle tue solite storielle, signorina?”

La ragazzina mette le mani sui fianchi in segno di sfida.

 “Puoi andarlo a chiedere al Re, avanti!”

Onio si mette una mano sul viso, sospirando.

“Voi due mi farete diventare matto, prima o poi…”

Vegeta fa per lamentarsi, ma un gesto fugace della sorella gli intima di aspettare.

“Se tra 20 minuti non siete ognuno nella propria stanza, vi sguinzaglio dietro tutto il palazzo. Intesi?”, fa infine il sayan, appoggiandosi al muro e liberando loro il passaggio.

Katniss avanza impettita e tronfia, subito imitata dal fratello.

“Il signor Freezer sarà qui in visita tra qualche ora, non sto scherzando.”, si raccomanda ancora la guardia e Katniss perde tutta la sua baldanza.

“Sei sicuro?”, domanda, girandosi verso il sayan.

Onio annuisce e Vegeta sente uno strano formicolio percorrergli la coda. Non gli piace il signor Freezer; d’un tratto non vede l’ora di tornare nel suo letto.

“Dai, sbrigati!”, lo afferra per un braccio Katniss, trascinandolo nel corridoio.

I due bambini cominciano a correre furtivi, evitando le guardie e i servitori che si aggirano per il palazzo, intenti a svolgere le loro mansioni.

“Adesso dovrai smettere di prendermi in giro, Katniss.”, intima il principe, mentre entrano negli appartamenti della Regina.

Katniss si concede una risata di scherno.

“Guarda che resterai sempre più piccolo di me, nanerottolo!”

Una lama di luce fuoriesce dalla porta socchiusa della stanza di sua madre, e Vegeta dimentica di rispondere alla piccola sayan. Vuole conoscere a tutti i costi suo fratello neonato, ma rallenta l’andatura, incerto. Di solito non è il benvenuto in quell’area del palazzo.

Katniss gli segnala di avvicinarsi incoraggiante, ma si blocca con la mano a pochi centimentri dalla porta, quando le voci alterate degli occupanti della stanza raggiungono le loro orecchie.

“Non ti lascerò portare via mio figlio un’altra volta, Vegeta!”, tuona la regina, vicinissima alla porta.

Il piccolo Vegeta fa involontariamente un passo indietro.

“Ti ho detto che è per il suo bene, dannazione!”, risponde il Re, altrettanto adirato.

“Vuoi forse scambiare anche lui con un altro bastardo pidocchioso?”

Il principe è troppo giovane per accorgersene, ma Katniss nota senza fatica la voce del padre perdere sicurezza.

“Tu… vaneggi, donna!”

“Credi che sia così stupida? Credi che solo perché i tuoi figli hanno la fortuna di assomigliarti tanto, io non riconosca nel tuo erede il sangue di quella puttana di terza classe?”

“Basta!”, urla il Re, sbattendo ferocemente un pugno sul muro e abbattendone buona parte. Il rumore del crollo di calcinacci giunge alle orecchie dei bambini insieme al pianto infastidito di un neonato.

“Freezer sta venendo qui, lo vuoi capire? Ha qualcosa in mente. Troverà una scusa per ucciderlo.”

“Perché Freezer dovrebbe volerlo uccidere? Sei ridicolo! Dì la verità… ti vergogni del fatto che non sia abbastanza forte!”

“Freezer…”, ringhia il Re, “ci vuole distruggere! È solo questione di tempo e tu sei troppo stupida per accorgertene!”

“Codardo…”, sibila infine la Regina.

Il piccolo Vegeta può quasi vedere le labbra sottili di sua madre stringersi in una morsa di disgusto.

Passi decisi attraversano la stanza e i bambini si guardano colti alla sprovvista, improvvisamente consci di non avere un nascondiglio a disposizione. La porta si apre e Rosacheena appare in tutta la sua maestosità. Vegeta sa che non è molto forte, ma non può fare a meno di esserne segretamente intimorito.

La Regina sposta il suo sguardo adirato prima sulla figlia e poi sul piccolo principe. Vegeta non capisce perché sua madre lo odi così tanto, ma ne ha una conferma istantanea mentre ogni fibra del corpo della sayan emana ripugnanza verso di lui. Il principe sostiene il suo sguardo di fuoco. Si sforza di non cercare l’appoggio di Katniss e, dopo appena un istante che a lui sembra infinito, la Regina lo supera, allontanandosi nel corridoio. Katniss lo prende per la manica e lo tira verso la stanza, ma poi…

“Vieni, Katniss.”

La giovane sayan si blocca. Non è tanto sfrontata da disubbidire ad un ordine diretto della madre, ma non ha voglia di abbandonare la missione ad un passo dal traguardo.

“Katniss!”

Katniss fa spallucce al fratello e si allontana, trascinando i piedi in direzione della voce autoritaria della madre.

Vegeta la guarda scomparire nel buio. Combatte per un momento con il desiderio infantile di chiamarla e di chiederle di restare con lui…

“Vegeta?”

Il principe si volta e si trova davanti suo padre, sorpreso. I suoi lineamenti si induriscono, ma il bambino sostiene il suo sguardo indagatore.

“Cosa ci fai fuori dalle tue stanze a quest’ora?”

Il piccolo sayan nota un fagotto che si agita tra le braccia di suo padre.

“Volevo vedere mio fratello, padre.”

Il Re lo studia pensieroso. La presenza del principe è un ostacolo che non aveva considerato, ma potrebbe mantenere il segreto. È più intelligente di qualsiasi sayan della sua età, in fin dei conti…

“Figliolo… Devi farmi una promessa. Ne va del destino di tutta la nostra stirpe.”

Vegeta si impettisce, ansioso di mostrare al padre che capisce la gravità della situazione.

“Che promessa, padre?”

Intanto il fagotto comincia ad emettere dei deboli vagiti.

“Vedrai tuo fratello per la prima ed ultima volta stasera. Se qualcuno ti chiederà informazioni su di lui dovrai giurare di non averlo mai visto e di aver saputo che è nato morto; è chiaro?”

Vegeta avrebbe mille domande da fare. Ma non gli è permesso. Non è un comportamento consono per un principe.

“Lo ucciderai?”, chiede senza riuscire a frenarsi.

Il Re sospira.

“No, lo manderò su un pianeta lontano per proteggerlo. Ma devi capire che il resto dell’universo deve crederlo morto.”

Vegeta annuisce.

“Devi giurarmelo, Vegeta!”, insiste ancora il sayan.

“Te lo prometto, padre!”, risponde il bambino, mettendosi sull’attenti.

“Va bene…”, si rassegna il Re; poi si china all’altezza del giovane principe per permettergli di vedere cosa si cela all’interno di quello che ora Vegeta riconosce come un mantello.

È la prima volta che vede un neonato. È strano. Prima ancora della somiglianza con se stesso è il suo odore insieme familiare ed estraneo a colpirlo.

Il minuscolo sayan smette di agitarsi e di soffiare infastidito e lo guarda curioso agitando la coda. 

Vorrebbe toccarlo. Vorrebbe sorridere soddisfatto di avere qualcuno da maltrattare e da proteggere come fa Katniss con lui. Ma quel neonato non esiste; lo ha appena promesso. Con un sentimento che se fosse adulto potrebbe descrivere come amarezza, Vegeta capisce che sarebbe stato meglio non incontrarlo mai.

“Ora devi dimenticarlo, Vegeta. Torna a letto.”, gli intima il padre.

Vegeta china il capo per congedarsi dal Re, ma prima che il sayan possa rialzarsi sottraendo il neonato alla sua vista, il principe sfiora il piccolo braccio del fratello in un impeto incontrollabile.

“Addio, fratello.”

Poi scompare, correndo nel buio, per tornare nelle sue stanze.

 

 

Vegeta percorreva il solito corridoio al buio. Poteva essere solo l’ennesimo rientro notturno dopo qualche giorno trascorso a vagabondare sulla Terra. Il principe che tornava dal “campeggio”, come soleva dire Bulma.

Invece non era una notte come un’altra. Per molti motivi.

Innanzitutto non capitava mai che si assentasse per tutto quel tempo. Gli sarebbe piaciuto fare finta di non sapere che fossero passati ben 16 giorni da quando aveva lasciato la casa. Trunks era tornato dopo pochi giorni, incapace di resistere a quel richiamo contro cui anche Vegeta aveva dovuto combattere.

Il principe si ritrovò di fronte alla porta chiusa della sua camera da letto. Aveva aspettato così a lungo per essere sicuro di avere le risorse necessarie per affrontare quel momento, ma ora non era poi così certo di averle trovate.

Aprì la porta senza darsi tempo di immaginare cosa avrebbe trovato all’interno.

Luce soffusa. Rumore di acqua scrosciante. Lei sotto la doccia. Ma non l’avrebbe raggiunta perché lì davanti a lui, sul suo letto, dove per molto tempo l’aveva solo immaginata, c’era l’altra lei.

Bra.

Una neonata di pochi centimentri e tanto bastava per farlo restare immobile sulla porta; con il terrore che se si fosse mosso, il terreno sotto i suoi piedi si sarebbe aperto e l’avrebbe fatto precipitare in una voragine.

Un lieve sussultare di braccia gli fece capire che era sveglia e Vegeta si mosse cauto verso di lei.

La piccola sgranò gli occhi all’avvicinarsi di quell’ombra sconosciuta. Non poteva vederlo con chiarezza; non con quell’apparato visivo ancora immaturo.

Non avere paura.

Non lo disse davvero. Ma Bra sembrò capirlo lo stesso che quell’uomo non voleva farle del male.

Il sayan si ritrovò molto più vicino a lei di quanto avesse preventivato. Anche nel debole chiarore della lampada a stelo poteva ora osservare tutti i tratti di quella strana creatura.

La prima impressione lo lasciò senza fiato e una smorfia involontaria gli si dipinse in volto.

Dannata donna. Come diavolo ci sei riuscita?

Bulma. Era Bulma. Era quasi spaventoso quanto le somigliasse. Quanto il ragazzino di Kakaroth assomigliava al padre. Un velo quasi impalpabile di capelli turchini le coprivano il cranio e quegli occhi ancora di colore indefinito erano grandi e chiaramente pronti a trasformarsi in profondi laghi azzurri. La bocca, che la piccola apriva e chiudeva come per assaggiare l’aria intorno a sé aveva già, per quanto minuscola, la forma di quella stupenda di sua madre.

Sei bellissima.

Lo era davvero. D’un tratto Bra arricciò il naso in un’espressione che assomigliava molto al disgusto e Vegeta vide dell’altro. Era minuta, con il viso appena più sottile e la fronte più ampia rispetto alla Bulma neonata che aveva visto in fotografia. Ed era forte. Straordinariamente.

Orgoglio e quell’altra cosa terribile che Bulma gli aveva insegnato lo riempivano ad ondate.

Sono tuo padre.  

Davvero l’aveva fatta lui? Davvero lei gli apparteneva in modo così intimo e profondo?

La piccola gorgheggiava pimpante al suo indirizzo e lui si chiese se avesse già sviluppato quel modo tipicamente sayan di conoscere il mondo, se avesse già associato il suo odore a qualcosa di noto e piacevole come solo il richiamo del proprio sangue poteva essere.

Il principe inspirò lentamente.

Sapeva di buono. Sapeva di Bulma e lo stomaco gli si stringeva a tradimento, ad ogni atto respiratorio. Sapeva di sayan con un’intensità tale che, prima di vederla, avrebbe ritenuto impossibile associare un odore simile a quei grandi occhi azzurri.

Vegeta si sedette sul letto, accanto a lei, senza osare toccarla. Bra ruotò il piccolo capo verso di lui sempre più interessata a quella strana presenza, mai incontrata prima.

Lo stava uccidendo. La conosceva da pochi minuti e già dentro di lui qualcosa si stava spaccando in modo inesorabile. Bulma sarebbe uscita presto dalla doccia e lui cosa le avrebbe detto? Che all’improvviso la gravità che si solito lo schiacciava a terra soffocandolo, ora lo spingeva verso quell’esserino semimovente? Che tutta la vita di prima, persino quella che aveva passato con lei e Trunks, non aveva più senso poiché sua figlia non ne aveva fatto parte?

Sua figlia.

Mi prenderò cura di te. Te lo prometto.

Maledizione. Aveva perso tutta la sua dignità con Bulma. Aveva giurato che nessun altro essere vivente l’avrebbe mai fatto sentire in quel modo. Perché bruciava terribilmente. Lo riempiva e allo stesso tempo lo logorava. E poi era arrivato Trunks. Era stato ancora più difficile accettare lui che non la terrestre, ma ora ogni ridicola sofferenza del ragazzo era una coltellata a tradimento nel petto del principe.

E adesso tu.

Sembrava quasi che qualsiasi cosa ci fosse associata al suo muscolo cardiaco si fosse espansa per trovare posto anche per lei. C’era tutta una nuova parte di lui che gridava, gioiva e soffriva per Bra.

La porta del bagno si aprì senza che Vegeta si fosse accorto del fatto che l’acqua della doccia aveva smesso di scorrere.

“La mamma è qui, tesoro.”

Lo vide e trasalì. Forse di sorpresa, forse per qualcos’altro.

Vegeta si ritrovò a dimenticare per un momento la bambina. Bulma, avvolta nell’accappatoio vaporoso, gli regalò un sorriso dolce e uno sguardo che esprimeva tutta la mancanza che aveva sentito di lui in quei giorni.

Dio. Sempre più bella.

Come poteva essere umana?

“Ciao…”

“Ciao.”

Lei si avvicinò e si sedette accanto a lui, sfiorando il suo avambraccio con la mano tremante. Nei momenti difficili lei sapeva sempre mantenere la giusta distanza, nonostante tutto il suo corpo dicesse quanto desiderava affondare tra le sue braccia.

“Hai conosciuto la nostra principessa?”

Vegeta era tornato a guardare Bra.

“Nostra” aveva un suono ancora più appagante rispetto a “mia”,”tua”…

Allungò la mano verso i minuscoli piedi di sua figlia, ma si fermò. Toccarla avrebbe significato provare qualcosa di nuovo e potente e non era certo di voler scoprire cosa. Era piccola, a tratti quasi gracile, ma si trattava di uno straordinario esempio di ingannevole apparenza se si prestava attenzione alla sua aura già incredibilmente sviluppata.

“Credo che abbia preso da te.”, disse Bulma spostandosi su un angolo del letto.

“Mi prendi in giro?”, ribatté lui.

“No, dico sul serio. Trunks era cicciottello quando è nato, e lo ero anche io. Lei è diversa.”, ribadì la donna frizionandosi i capelli con l’asciugamano.

Vegeta prese a studiarla di nuovo. Lei aveva smesso di muovere smaniosa i piccoli arti in tutte le direzioni e ricambiava il suo sguardo attenta, in un atteggiamento inusuale per un  neonato che la rendeva in qualche modo buffa.

“È ridicolo. Se non fosse così forte, nessuno penserebbe che è mia figlia.”

In qualche modo porre l’accento sul contrasto immediato ad un primo sguardo, su quegli occhi chiaramente rubati a Bulma, lo faceva sentire meno perso. Meno in balia delle proprie emozioni.

Bulma sorrise.

“Aspetta di conoscerla. Ti assicuro che non ci sono dubbi al riguardo.”, disse pensando alle due settimane appena trascorse in compagnia di sua figlia. Vegeta si sarebbe presto reso conto del caratterino di Bra.

Il sayan avrebbe potuto aspettare che le labbra di Bulma gli passassero casualmente più vicine. Ma in quel momento molte cose, così come la sua solita prudenza, non avevano più senso. Vegeta  le afferrò il braccio e la tirò a sé. Baciarla fu come respirare per la prima volta dopo molto tempo. Non solo dopo quei 16 giorni che avevano passato separati. Baciarla fu come cancellare in un istante tutte le paure che quella gravidanza aveva scatenato in lui.

“Ti amo…” gli sussurrò Bulma con le braccia gettate al suo collo, le mani affondate nei suoi capelli.

Vegeta continuò a baciarla. Incapace di fare altro.

“Tesoro!”, lo scansò Bulma all’improvviso. “Puzzi da morire!”, aggiunse tappandosi il naso divertita.

“Dove pensi che vada quando esco di qui? In un albergo?”, rispose il principe, sollevato di poter portare la conversazione su un piano a lui più congeniale.

“Beh, fatti una doccia mentre preparo Bra per la sua prima notte senza di me.”

Non si era dimenticato di lei. Come poteva? Persino mentre assaporava Bulma la sua presenza sembrava riempire tutta la stanza.

Bulma sollevò delicatamente la bambina e incredibilmente a Vegeta sembrava ancora più bella, mentre baciava felice le guance della piccola, struccata e avvolta in un semplice accappatoio.

Mie.

La donna si sistemò Bra su una spalla e si diresse verso la porta.

Vegeta si alzò per una meritata doccia calda.

“Guarda che puoi tenertela qui se vuoi, per quel che mi riguarda…”

Cercò di dirlo con tutta la noncuranza di cui fosse capace. Ma tanto era a Bulma che stava parlando. Chi voleva prendere in giro?

Lei sorrise.

“Sei molto generoso, ma Bra mi ha avuta tutta per sé per un sacco di tempo e stanotte sono io che ho bisogno di attenzioni…”

Ed ecco che la donna della sua vita si trasformava in un istante da madre amorevole in torrida amante e il sayan avrebbe voluto strapparle l’accappatoio di dosso senza attendere un secondo.

Bulma uscì dalla stanza. Ma prima, da sopra la sua spalla, Bra gli puntò addosso gli occhi chiari e schietti.

Sua figlia.

E in quel momento la verità si rivelò ai suoi occhi in tutta la sua spaventosa bellezza.

Non era sua. Quella bambina non sarebbe mai stata di sua proprietà, come lo era Bulma.

Era lui, il grande e potente principe dei sayan, che apparteneva a lei.

 

 

 

Manca poco alla fine di questa storia. Due capitoli. E questo era quello che mi spaventava di più. Perché volevo un Vegeta realistico, un Vegeta vero. Per una volta meno ossessionato dai fantasmi del passato, ma altrettanto spaventato dal futuro. C’è un po’ di me in questo Vegeta. C’è un po’ di me nella filosofia: amare qualcuno è bellissimo, ma cazzo meglio che siano poche persone perché la paura di perderle ti logora e prima o poi soffrirai come un cane! Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Spero che il flashback vi abbia fatto capire qualcosa sul passato di Vegeta che non so ancora se vorrò approfondire in un’altra storia. Fatemi sapere! Grazie a tutti per la vostra costanza nel continuare a seguirmi!

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