Sweet child o' mine di hurrem (/viewuser.php?uid=37706)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 Wishin' and Hopin' ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 Strawberry fields forever ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 I like you so much better when you're naked ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 Can't fight Biology ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 Everybody hurts ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 Strangers like me ***
Capitolo 7: *** Cap. 7 Family Portrait ***
Capitolo 8: *** Cap. 8 Shake it out ***
Capitolo 9: *** Cap. 9 Somebody that i used to know ***
Capitolo 10: *** Cap. 10 Somewhere only we know ***
Capitolo 11: *** Cap. 11 Beauty and the Beast ***
Capitolo 12: *** Cap. 12 O Children ***
Capitolo 13: *** Cap. 13 Someone belonging to someone ***
Capitolo 1 *** Cap. 1 Wishin' and Hopin' ***
Salveeee...
questa
è la prima fanfic che pubblico, nonostante sia rimasta per
anni chiusa in
formato cartaceo nei meandri
della mia
libreria. Quindi necessita di un processo di revisione alquanto
accurato. Spero
di ricevere molte recensioni (sia positive che negative eh, non fatemi
mancare
nulla).
Questo
primo capitolo porta il nome di una canzone che mi piace molto (ok
scopro
subito le mie carte: in realtà le canzoni che non mi
piacciono sono poche!!) di
cui esistono infinite cover ma conosciuta ai più come
facente parte della
colonna sonora del film "Il matrimonio del mio migliore amico". A
questo
proposito, la canzone in sé può non avere a che
fare con l'argomento trattato
nel capitolo ma il titolo dovrebbe rispecchiarne i sentimenti ivi
presenti.
Spero
che la mia storia vi piaccia!
CAP.
1 -
WISHIN’ AND HOPIN’
Era
la prima giornata davvero
calda dall’inizio della primavera. Se non fosse
già passato un anno (cosa che
faticava a credere) avrebbe potuto facilmente immaginarsi impegnato
negli
allenamenti precedenti al Torneo in cui aveva ucciso tutti quegli
esseri umani.
Anche allora si era allenato spesso all’aperto, visto che per
Trunks la camera
gravitazionale risultava troppo impegnativa se utilizzata a lungo. E
proprio
quello scansafatiche di suo figlio l’aveva pregato di
allenarsi insieme in
giardino per godersi la bella giornata, salvo poi piantarlo in asso
all’arrivo
del moccioso di Kakaroth. Mentre spronava il suo fisico scultoreo a
migliorarsi
sempre di più sentiva gli schiamazzi dei due bambini che
facevano gare di tuffi
nella piscina che il padre di Bulma aveva fatto installare
quell’inverno. Per
quale motivo si ostinava a permettere che Trunks frequentasse il figlio
di
Kakaroth? Quel moccioso era ancora più fannullone di lui, se
possibile. Avrebbe
dovuto dire a quello stupido del suo rivale di provvedere…
Quanto a Trunks
aveva poche speranze ormai. Bulma l’aveva talmente
contaminato col suo sangue
di pigra terrestre e coccolato e viziato fin dalla nascita che
c’era da
meravigliarsi che non andasse in giro vestito da femmina. Dopo i fatti
di Majin
Bu persino lui era stato più indulgente; questo
perché Trunks aveva imparato da
quella diabolica volpe di sua madre quali tasti premere per ottenere la
sua
approvazione.
“Vegeta,
lo sai che tra poco
compirò 40 anni, vero?”
Ecco,
se avesse contato il numero
di seccanti interruzioni dall’inizio
dell’allenamento ora probabilmente si
sarebbe aggirato intorno al centinaio. Sì, perché
oltre ad essere stato
scaricato da suo figlio ad allenarsi in uno stupido giardino, sotto uno
stupido
albero, aveva dovuto sorbirsi le osservazioni sgradite di Bulma che
aveva
deciso di piazzarsi proprio lì accanto con sdraio e rivista,
vaneggiando a proposito
di “posto
soleggiato” e “direzione del
vento”.
“Ti
ho fatto una domanda Vegeta!”
Il
sayan sbuffò frustrato.
Dannata donna!
“E
allora?” le disse con il suo
miglior tono sprezzante, sperando che lei capisse che non era proprio
disposto
a perdere tempo in sciocche chiacchiere.
“E
allora pensavo che dovresti
farmi un regalo, per cui ho scritto su questo foglietto cosa mi
piacerebbe
ricevere.” disse lei sventolando un cartoncino ripiegato, con
la sua tipica
espressione “prova a dirmi di no”.
“Tsk.
Ridicolo.” si limitò a
mormorare Vegeta, rialzandosi dal suo esercizio e dirigendosi verso il
tavolino
accanto a lei per raggiungere la sua bottiglia d’acqua
ghiacciata.
“Oh
andiamo, Vegeta! È un
traguardo importante per una donna, non lo sai? Tutte le mie amiche
hanno fatto
una grande festa. Io ti chiedo solo un regalino…”
Vegeta
finì di scolarsi la
bottiglia guardandola di sottecchi. In quei dieci anni aveva imparato a
conoscerla troppo bene per non intuire che tramava qualcosa.
Perché chiedergli
un regalo che avrebbe potuto benissimo comprarsi da sola?
“Non
ho intenzione di comprarti
un regalo per i 40 anni che non dimostri!” rispose con
indifferenza, tornando
sotto l’albero per una sessione di flessioni.
Bulma
non aggiunse nulla e Vegeta
cercò di trattenere invano un sorriso compiaciuto.
Decisamente anche lui sapeva
quali carte giocare per ottenere quello che voleva.
Bulma
rimase un attimo
interdetta. Che faccia tosta! Rifiutarsi di accontentarla facendole un
complimento rappresentava decisamente una nuova frontiera nella
strafottenza di
Vegeta. Decisamente non poteva sentirsi arrabbiata con lui dopo che le
aveva
detto (a modo suo ovviamente) che sembrava più giovane.
Oltretutto i
complimenti di Vegeta erano così rari, spesso relegati alle
quattro mura della
loro camera da letto, da non poter essere ignorati.
Forse
non era la giornata buona
per dirglielo. In fondo aveva tenuto il broncio tutto il pomeriggio
perché Trunks
aveva preferito giocare con Goten (chi era il bambino di nove anni tra
i due???),
non sembrava il momento giusto per proporglielo.
Dannazione!
Perché non poteva
metterlo di fronte al fatto compiuto? Quello era decisamente
più nel suo stile
e lui l’amava così, un po’ pazza e
testarda, incline a fare le cose di testa
sua. Lui avrebbe borbottato un po’ sul come si era permessa
di non chiedere il
suo benestare, giusto perché da bravo principe dei sayan
considerava sprecata
una giornata senza ribadire l’orgoglio della sua razza e la
sua autorità su
tutto ciò che lo circondava. Poi, se lei fosse stata in una
giornata “no”
avrebbero litigato e fatto pace con il sesso, altrimenti con un paio di
moine
avrebbe risolto tutto e alla fine Vegeta sarebbe stato contento.
Si
scacciò una mosca dalla gamba
e tornò ad osservarsi attentamente come faceva poco prima di
interrompere
Vegeta. Le sembrava che il suo corpo stesse iniziando a tradirla. Ogni
giorno
scopriva qualche nuova, piccola imperfezione e questo la mandava fuori
di testa.
Addirittura se si fermava a pensarci troppo a lungo cominciava ad
accusare i
sintomi tipici dell’ansia.
Aveva paura di invecchiare,
ma tutte le sue
forze non sarebbero bastate a fermare il tempo. Quel fortunato di
Vegeta invece
sembrava non cambiare mai! Ancora le donne se lo mangiavano con gli
occhi
quando portava Trunks al parco o la accompagnava a fare shopping.
Bhe… anche
lei era ancora oggetto di attenzioni ma per un uomo era diverso, no?
Una donna
si scomodava a guardare un uomo solo se questo assomigliava a qualche
celebrità
e quel farabutto di Vegeta aveva il fascino perfettamente intatto di
dieci anni
prima.
In
quel momento Trunks arrivò
correndo e grondante d’acqua, chiamandola a gran voce.
“Ehi,
mamma! Io e Goten vogliamo
la merenda, ce la vieni a preparare?”
“Sì,
ma asciugati o ti prenderai
un raffreddore. Anche tu Goten.” disse rivolta al bambino che
li aveva
raggiunti.
“Mamma,
io voglio un baozi!”
disse Trunks litigandosi con Goten l’unico
asciugamano
disponibile.
“Oh,
sì! Anche io Bulma, ti prego!”
“Va
bene, va bene! Andiamo
dentro, bambini.” disse, strofinando amorevolmente i capelli
impregnati dall’odore
del cloro delle due piccole pesti.
Prima
di andarsene rivolse un
ultimo sguardo a Vegeta. Non dava segni di voler smettere tanto presto,
ma lei
non poteva più aspettare.
“
Ehi, tesoro! La mia richiesta è
ancora qui se ti interessa!”
Vegeta
le rispose con il solito “Tsk!”
Fece
in modo che dal punto in cui
si trovava Vegeta fosse ben visibile il cartoncino, infilato tra le
pagine
della rivista, e si diresse verso casa. Non avrebbe resistito, curioso
com’era.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Cap. 2 Strawberry fields forever ***
Note
dell’autrice: Buona domenica a
tutti!
Secondo
capitolo di cui Vegeta è unico
protagonista. Potreste notare delle contraddizioni al suo interno, in
realtà
non è così. Ho cercato di dare voce ai pensieri
di Vegeta analizzandoli il meno
possibile e me lo sono immaginato costantemente a convincersi di cose
che non
pensa veramente. Spero vi piaccia!
La
canzone è quella famosissima dei Beatles,
capirete a cosa si riferisce! Recensite, please!!!
CAP.
2 –
STRAWBERRY FIELDS FOREVER
Quando
Vegeta smise di allenarsi il tramonto era
ormai inoltrato e la poca luce rossastra rimasta gettava lunghe ombre
su tutto
il prato curato della Capsule Corporation. Trunks era passato a
salutarlo
dicendogli che andava a dormire da Goten e lui si apprestava a salire
in casa
per fare una doccia prima della cena.
Il
suo sguardo venne attratto dalla rivista che
Bulma aveva lasciato sul tavolino. Aveva sperato ardentemente di
riuscire a
dimenticarsene o quantomeno di riuscire ad ignorarla ma, dannazione, se
non
avesse dato nemmeno un’occhiata, il tarlo della
curiosità l’avrebbe divorato
per tutta la notte. Con aria indifferente si avvicinò al
tavolo e poi, dopo
aver controllato che nessuno lo stesse spiando, prese la rivista e la
aprì
maledicendosi perché, anche con il solo interessarsi ad
sciocchezza simile, la
dava vinta a lei.
Sfilò
il biglietto e lo dispiegò. All’interno, nella
sottile e appuntita grafia di Bulma c’erano solo due parole:
Pagina
34
Che
diavolo significava? Era forse uno scherzo?
Quella donna lo avrebbe davvero mandato al manicomio prima o poi.
Sentendo
crescere l’irritazione verso quell’insulsa perdita
di tempo, appallottolò il
foglio e lo gettò via.
Pagina
34… Doveva essere la pagina 34 della rivista
quindi. Era l’unica spiegazione possibile. Sfogliando
sgarbatamente le prime
pagine in cerca della numerazione, si sentì un cretino.
Stava lasciando che
Bulma giocasse con lui in modo fastidiosamente simile a quando
organizzava per
Trunks quelle stupide cacce al tesoro.
Pagina
34, eccola. Nessun biglietto, nessun
messaggio. Niente di niente. Vegeta stava già per incenerire
il periodico
quando lo sfiorò l’ipotesi che la risposta potesse
trovarsi nell’articolo
stesso. Diresse quindi lo sguardo sul titolo che troneggiava in cima
alla
pagina…
Quello
che le donne vogliono
Seguiva
un elenco numerato di cose con accanto
la spiegazione di altre sciocche
galline terrestri che evidentemente condividevano con Bulma
l’interesse per
quelle ridicole letture. Evidentemente i terrestri erano più
minorati di quanto
pensasse, se ad una donna capace come Bulma in tutte le discipline
tecniche e
scientifiche interessava quella robaccia.
Ma
cosa si aspettava quella donna? Che lui le
procurasse tutta quella roba? Lesse distrattamente qualche punto a caso
dell’elenco. La quantità di idiozie era
impressionante.
Vorrei
un corpo perfetto. Vorrei trovare il principe azzurro. Vorrei essere
meno
stupida.
Sì, quest’ultimo sarebbe stato un regalo perfetto
per Bulma, pensò malvagio.
Un
momento. Uno dei punti era sottolineato. Ed era
sottolineato con la penna verde che Bulma aveva rosicchiato per gran
parte del
pomeriggio.
Vorrei
avere un altro figlio.
Vegeta
si bloccò con la rivista in mano e dovette
rileggere più volte quella riga prima di realizzare.
Davvero?
Sotto
la doccia Vegeta pensava a quanto quella
rivelazione l’avesse sorpreso. Bulma non aveva mai lasciato
intendere di volere
un altro figlio, nemmeno quando quell’oca starnazzante di sua
madre si era
lamentata del fatto che Trunks chiedesse sempre come mai non poteva
avere un
fratello, come Goten. Adesso che ci pensava qualcuno le aveva chiesto
se aveva
intenzione di avere altri figli, ma lei aveva risposto che stava bene
così. L’aveva
sentita lui stesso.
Infatti
stavano bene. Avevano trovato un loro
equilibrio dopo il Cell Game e dopo gli eventi dell’anno
precedente, beh… aveva
persino permesso che, nella fase degli incubi su Majin Bu, Trunks
invadesse il
sacro spazio del suo letto. Cos’altro poteva pretendere,
quella donna?
Inoltre
Bulma era il tipo che si presentava a cose
fatte, così fastidiosamente arrogante e testarda. Non gli
aveva mai chiesto il
permesso di fare nulla prima, ma del resto Vegeta aveva capito che
vietarle qualcosa
era un modo per assicurarsi che lei lo facesse al più
presto. Un maledetto
mulo, ecco cos’era. Quindi perché adesso stava
rimettendo la cosa a lui? Non si
era forse preoccupata sempre lei del contraccettivo?
Mentre
l’acqua calda gli scorreva sui muscoli
indolenziti con l’effetto di un balsamo ricostituente, Vegeta
si sintonizzò sul
conflitto interiore che ogni cosa riguardante Bulma gli generava.
A tratti
emergeva la sua parte più istintiva e ancestrale, quella che
solo l’anno prima
aveva fatto volontariamente esplodere durante la trasformazione operata
da
Babidy. Non era affar suo se la donna voleva un figlio. Poteva averne
dieci per
quanto lo riguardava, i marmocchi non gli interessavano. Anzi no, non
poteva
permettere che il suo prezioso sangue regale scorresse in altri insulsi
mezzosangue. A che pro generare degli ibridi fannulloni e svogliati,
inadatti
alla stirpe di un guerriero come lui e probabilmente forniti di
giganteschi,
disarmanti occhi azzurri?
Maledizione,
perché quell’immagine non lo disgustava
come avrebbe dovuto? Ecco che subentrava quell’altra parte
più destabilizzante di
sé, quella più difficile da accettare e di cui si
vergognava ancora, quella che
aveva preso il sopravvento quando si era sacrificato per altri, quella
che non
riusciva a dominare quando Bulma la mattina riempiva la sua schiena di
baci
soffici e caldi e quando Trunks urlava entusiasta giocando nella neve.
Lui
cosa desiderava? Per Trunks non era stato quel
che si dice un padre perfetto, ma nonostante tutto quel ragazzino
sembrava
felice di averlo come padre. Con un altro figlio sarebbe stato diverso?
Forse
no, a patto che Bulma non si aspettasse da lui cose da volgare
terrestre. Aveva
più o meno capito di cosa avesse bisogno un lattante e non
aveva nessuna
intenzione di partecipare attivamente alla sua cura. Comunque Bulma non
gli
aveva chiesto mai niente nemmeno per Trunks, a parte passare un
po’ di tempo
con lui ogni tanto. E se quel marmocchio non gli fosse piaciuto? E se
invece avesse
contribuito ad addomesticarlo ancora di più?
Chissà
per quale associazione mentale, da quando
aveva cominciato a pensarci, gli tornava in mente la prima volta che
aveva
mangiato le fragole. Era primavera anche quella volta ed erano seduti
su un
prato con Trunks che cominciava a formulare le prime parole di senso
compiuto.
Bulma lo aveva costretto ad andare con lei, ricattandolo con una serie
di
migliorie alla Gravity Room.
Quel
frutto aveva un profumo che gli piaceva.
Gradevole. Ben presto aveva capito di associarlo al profumo dei capelli
di
Bulma o meglio, al profumo del suo shampoo. Sfortunatamente in
un’altra
occasione glielo aveva fatto notare e si era rivelato uno degli errori
più
grandi della sua vita, visto che da quel momento quella serpe
ammaliatrice
soleva farsi perdonare utilizzando le fragole in modi decisamente
impudichi.
Sta
di fatto che, durante quella giornata, Trunks si
era impiastricciato dappertutto con quei frutti rossi e sugosi e ne aveva
lasciato
pezzi ovunque e su chiunque, persino su di lui che aveva cercato invano
di
sottrarsi alle sue mani disgustosamente sporche. Quel profumo gli era
rimasto
addosso e nelle narici tutto il giorno; una giornata intera in cui loro
tre
avevano avuto lo stesso odore.
Ed
ora non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine
di Trunks che rideva felice, con le manine grassocce piene di fragole
spappolate…
Vegeta
uscì dalla doccia frizionandosi i capelli con
l’asciugamano. Probabilmente lei lo stava aspettando per
cena, dove lo avrebbe
sommerso di chiacchiere inutili come sempre. Si avvicinò al
comodino di Bulma,
sopra al quale la donna teneva gli occhiali, i fazzoletti e una foto
rubata di
loro tre sulla spiaggia. Ne aprì il cassetto e non dovette
frugare molto per
trovare quello che cercava. La scatola era lì in superficie.
Se la rigirò tra
le mani e, riconoscendola come quella da cui lei prendeva le pillole
tutte le sere,
la schiacciò tra le dita e ne buttò i resti
accartocciati nel cestino.
Lei
avrebbe capito.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Cap. 3 I like you so much better when you're naked ***
Eccomi
qui con il 3° capitolo! Per la
gioia generale il capitolo è rosso,
anche se non
credo di avere delle grandi capacità in questo senso per cui
sarà abbastanza
soft…
Protagonisti
sono questa volta sia
Bulma che Vegeta e il titolo è abbastanza chiaro, no? La
canzone è di Ida
Maria.
Spero
che sia all’altezza dei
precedenti, buona lettura!!
CAP. 3 – I LIKE YOU SO MUCH
BETTER WHEN YOU’RE NAKED
Bulma
guardò ancora una volta il bastoncino, con il
cuore che batteva all’impazzata. Non riusciva ancora a
crederci.
“Sono
incinta!” disse quasi estasiata al suo
riflesso nello specchio. Comunque meglio ricontrollare
un’altra volta, giusto
per essere sicuri. Sì, non c’era dubbio. Quella
linea rosa… l’aveva desiderata
così ardentemente che ora, anche se la aveva chiara e
tangibile davanti agli
occhi, non le sembrava vera.
Corse
in camera da letto e si mise a rovistare negli
armadi. Erano passati mesi da quando aveva smesso di prendere la
pillola ed
ogni falso ritardo, ogni comparsa delle mestruazioni l’aveva
fatta sentire
sempre peggio. Lei, abituata da sempre ad avere qualsiasi cosa ancora
prima di
desiderarla, aveva sperimentato l’impotenza e il fallimento.
Neanche la sua
tenacia e tutto il suo impegno avrebbero potuto trovare una soluzione a
ciò che
il suo corpo si rifiutava di fare, ma era stata brava a nascondere
quanto quel
desiderio si fosse trasformato in ossessione. Si era sforzata di ridere
e di mostrarsi
serena per celare la delusione di ogni test risultato negativo.
All’inizio
Vegeta sembrava non farci caso, troppo
impegnato a nasconderle che aveva partecipato a prendere quella
decisione. A
lei stava bene far finta che le pillole fossero semplicemente
scomparse, visto
che le evitavano di affrontare le sue paure parlando della cosa con
lui. Poi un
giorno, inaspettatamente, lui le aveva chiesto se avesse cambiato idea.
Bulma
sentiva il suo cuore mancare un colpo al solo ricordo. E lei aveva
dissimulato
la sua preoccupazione, spiegandogli che ci voleva tempo per queste
cose, anche
se sapeva che entrambi stavano pensando alla stessa cosa: per Trunks
erano
bastate un paio di notti.
Il
giorno del suo 40° compleanno era arrivato e lei
non aveva avuto nessun grande annuncio da fare agli amici e, come se
ciò non
bastasse, Vegeta si era accorto che la cosa le dispiaceva. Forse per
quel
motivo la sera le aveva fatto quel complimento (stavolta uno vero!)
mentre si
spogliava. Le aveva dato dell’impostora, dicendole che era
biologicamente
impossibile che una donna della sua età avesse un corpo
simile. E poi aveva
sdrammatizzato dicendo che il ritardo era senz’altro presagio
di quanto questo
figlio sarebbe stato pigro e svogliato.
Dio,
quanto amava quell’uomo! Capace di rendersi
odioso ed insopportabile per settimane e poi di rimettere tutto a posto
così,
con un gesto o una frase non da lui.
Eppure
l’idea di essere troppo vecchia per un figlio
non la abbandonava mai; di certo non era colpa di Vegeta se non
riusciva a
restare incinta. Figurarsi! Un sayan con problemi di
fertilità!
Comunque
adesso i suoi timori si erano dissolti e
cercava freneticamente il vestito rosso che aveva comprato apposta
pensando a
quel momento.
“Ah-ah!
Eccoti qui!” trillò Bulma all’involucro
del
suo bellissimo e fiammante Chanel. Lo
tirò fuori e lo studiò sovrapponendolo alla sua
immagine nello specchio. Era
uno schianto! Lo rimise nella custodia in fretta e ripassò
mentalmente il
programma della serata. Gliel’avrebbe detto prima di
addormentarsi per
rendergli le cose più difficili, sperando di non essere
troppo arrabbiata per
la fine che probabilmente avrebbe fatto quel fantastico vestito.
Quella
sera Vegeta aveva guardato insistentemente
Bulma per tutta la cena. Cosa le saltava in mente? Vestirsi
così provocante
quando chiaramente lui non poteva prenderla sul tavolo, visto che sullo
stesso
il loro primogenito di nove anni stava mangiando bastoncini di pesce.
Inoltre
non lo stava asfissiando con la consueta
conversazione a senso unico; era tutta presa da Trunks e lo sommergeva
di attenzioni
e di chiacchiere. Non che di solito non lo facesse, ma le attenzioni
venivano
equamente divise tra lui e il bambino. Bulma si riservava il momento di
mandare
Trunks a letto per parlare con lui e coccolarlo; cosa che a Vegeta dava
comunque fastidio visto che riteneva il figlio troppo grande per certe
smancerie.
Perché
si era scelto una donna tanto irritante? Di
sicuro aveva in mente qualche suo subdolo gioco di potere e il sayan si
sentiva
già pronto a dare sfoggio della sua autorità. Del
resto, per quanto riguardava
il sesso, non gli risultava di aver mai perso.
Al
termine della cena decise di defilarsi in segno
di protesta. Se l’intento della compagna fosse stato quello
di provocarlo lo
avrebbe raggiunto, in caso contrario… bhe,
l’avrebbe raggiunta lui, una volta che Trunks
fosse stato fuori gioco.
In
camera sua Vegeta si lasciò cadere sul letto
pesantemente. Aveva avuto un
allenamento
intenso e i suoi muscoli imploravano un po’ di meritato
riposo. Ovviamente non
poteva riposare, non dopo aver visto Bulma vestita in quel modo.
Forse
stavolta sarebbe stata quella buona, anche se
ormai cominciava a credere che non sarebbe successo. Di sicuro non era
colpa
sua, ma qualcosa gli diceva che era meglio far finta di nulla
poiché
sicuramente Bulma si stava tormentando nel pensiero di non riuscirci.
Avrebbe
preferito che lei rinunciasse piuttosto che vederla così
dispiaciuta, ma la
cosa in fondo dava fastidio anche a lui. Quando prendeva una decisione
era
abituato ad ottenere subito un risultato, ma per quanto potesse
arrabbiarsi o
pretendere, la cosa restava indipendente dalla sua volontà.
I
suoi pensieri vennero spazzati via dal suono della
porta che si apriva e che lasciava entrare Bulma in tutto il suo
splendore. Osservandola
mentre chiudeva la porta dovette ammettere che era davvero una visione.
“Allora,
tesoro! Non ti piace il mio vestito?” disse
lei con voce squillante girando su sé stessa. Vegeta si
alzò dal letto con un
sorriso beffardo e sentì Bulma sussultare mentre le
afferrava le braccia
sottili, dopo essersi fiondato su di lei. Bulma puntò i suoi
stupendi occhi
azzurri dentro i suoi e dischiuse le labbra dipinte di rosso.
“Cerca
di sfilarlo come si deve o te la farò
pagare!”
Vegeta
sogghignò, facendo scorrere le sue mani
ruvide e piene di calli sulle curve mozzafiato della sua donna. Bulma
era tutto
quello che una sayan non avrebbe mai potuto essere. Così
formosa, morbida, con
la pelle vellutata e quegli occhi straordinari. Vegeta non glielo
avrebbe mai
detto, ma quale sayan poteva reggere il confronto? I neri capelli
ispidi e i
corpi androgini delle sue consanguinee, da quando aveva stretto a
sé Bulma la
prima volta, sembravano ricordi insipidi e sbiaditi.
Sollevò
la donna con la stessa facilità con cui
avrebbe sollevato un fiammifero e la imprigionò tra il suo
corpo e il
materasso. Decisamente quel vestito l’aveva avvolta anche
troppo.
Alla
fine il suo favoloso Chanel si era
salvato. Non perché Vegeta fosse stato
particolarmente cauto, ma perché non si era preso nemmeno la
briga di
toglierglielo. Ormai Bulma si era abituata alla sua foga ma trovava
sempre il
modo di prolungare il gioco, mentre quella sera era stata decisamente
propensa
ad assecondare i desideri del sayan e non aveva fatto in tempo a
sfilarsi le
costose mutandine di pizzo che lui era entrato rude dentro di lei,
togliendole
il fiato.
Era
stato semplice smettere di pensare al vestito.
Con Vegeta lo era sempre. I suoi baci roventi accendevano dei piccoli
fuochi
sulla sua pelle e le sue spinte vigorose le procuravano ondate di
piacere impossibili
da nascondere.
Vegeta
a letto vinceva sempre. Lui era decisamente
più bravo a mimetizzare le sue emozioni, ma lei non poteva
ingannarlo quando
era lì, sotto di lui. In quei momenti poteva percorrere con
le mani la pelle
ambrata e incandescente del suo uomo senza temere che lui si
allontanasse e
nemmeno il pensiero della nuova vita che stava crescendo dentro di lei
le aveva
impedito di darsi a lui senza riserve.
Aveva
visto il sorriso soddisfatto del sayan mentre
l’orgasmo si irradiava dalla sua femminilità a
tutto il suo corpo ed era
rimasta aggrappata alle sue spalle possenti mentre lui aumentava il
ritmo e
infine raggiungeva l’apice. Vegeta si era gettato supino
accanto a lei e Bulma
era rimasta ansante con il vestito tirato su sopra la vita. Adesso era
arrivato
il momento che aveva tanto aspettato.
“Guardami…”
Vegeta
voltò i suoi occhi severi verso di lei.
Rimase a guardarla anche se Bulma continuava a rimanere in silenzio.
Amava
quando lui le parlava soltanto con lo sguardo.
“Sono
incinta.”
Il
sayan fu preso alla sprovvista e Bulma poté
vedere un guizzo nei suoi occhi di solito così immobili.
Vegeta allungò un
braccio verso di lei, salvo poi fermarsi a metà strada.
Bulma sorrise
mentalmente all’immagine del suo uomo combattuto tra il
restare distaccato ed il
volerla vicino, così si avvicinò di sua spontanea
iniziativa, appoggiandosi al
suo petto marmoreo.
“Sei
contento, tesoro?”
“Mpf.”
rispose il principe ad occhi chiusi,
completamente abbandonato sui cuscini.
“Potresti
essere più eloquente per favore?”
Vegeta
seccato si girò dall’altra parte, dandole le
spalle.
Bulma
sogghignò. Non avrebbe mollato così
facilmente.
“Vegeta,
ti prego! Che ne pensi?” disse scuotendolo
energicamente.
Vegeta
si alzò dal letto di scatto e si diresse in
bagno.
“Tesoro,
potrei metterlo più spesso questo vestito
se tu mi dicessi cosa pensi!” disse lei con tono provocante.
Vegeta si fermò
sulla porta e si girò a guardarla col solito cipiglio.
“In
ogni caso, ti preferisco nuda!”
Bulma
sbuffò rumorosamente. Che strazio combattere
con quel testone! Magari sarebbe riuscita a rubare qualche coccola
prima di
addormentarsi, se non lo avesse fatto arrabbiare troppo.
Un
sorriso furbetto le illuminò il volto. Ma no,
perché
accontentarsi di un paio di carezze quando poteva irritarlo fino a
quando avrebbe
dovuto baciarla per zittirla?
Sentì
l’acqua della doccia che scrosciava e si sfilò
velocemente il vestito. Improvvisamente aveva voglia di un
bagno…
Allooooora….
Che ne pensate? Mi perdonate il salto temporale? Non temete ci saranno
ancora
colpi di scena e tante cose da raccontare!
Volevo
avvisarvi che per una decina di giorni non potrò aggiornare
perché (ahimé… )
vado in vacanza! Ma per consolarvi vi lascio il probabile titolo del
prossimo
capitolo: CAN’T FIGHT BIOLOGY.
Spero
di avervi intrattenuto piacevolmente… un bacio a tutti!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Cap. 4 Can't fight Biology ***
Scusate
se vi ho fatto aspettare così a lungo per questo capitolo,
vi chiedo perdono!!!
Purtroppo però devo anche studiare e gli esami si
avvicinano… Nel frattempo ho
scritto anche il capitolo che preferisco e su cui ho grandi aspettative
(ma
ahimé lo leggerete verso la fine…)
Come
al
solito spero di non annoiarvi e di ricevere recensioni!
P.S.
La
canzone, dei Drop Dead, Gorgeous,
non
mi piace particolarmente ma adoro il titolo!
CAP.
4 –
CAN’T FIGHT BIOLOGY
Quelle
prime 12 settimane erano state un incubo.
Bulma
si rendeva conto che ogni singola fibra del
suo fragile corpo terrestre si ribellava a quella strana gravidanza
ibrida.
Così come quando aspettava Trunks, si sentiva uno straccio
per la maggior parte
della giornata e difficilmente riusciva a riposare adeguatamente. Sul
lavoro
era impossibile tenere i ritmi di prima e, nonostante Vegeta la
guardasse
storto quando si alzava presto per recarsi in laboratorio, non aveva
ancora
ceduto alla stanchezza. Se si fosse fermata a riposare, tra la noia e
il
malessere, quei mesi sarebbero stati interminabili e sgradevoli.
Il
laboratorio quella mattina era abbastanza
rumoroso; stava
collaudando una serie di
macchine quasi pronte per il mercato. Bulma afferrò una
tanica di carburante
poco pesante e ne svitò il tappo con attenzione ma fu
costretta a richiuderla
quasi immediatamente, investita da una zaffata di odore pungente che le
fece
ribaltare lo stomaco. Con aria disgustata allontanò il
contenitore tappandosi
naso e bocca con la mano. E dire che quello era sempre stato uno dei
suoi odori
preferiti!
Si
lasciò cadere su una sedia e si passò una mano
sul ventre ancora piatto. Un sorriso tirato le illuminò il
volto.
Ne
valeva la pena. Ogni minuto di quella
sofferenza la
separava dal momento in
cui finalmente avrebbe stretto tra le braccia quel piccolo miracolo che
cresceva dentro di lei. Aveva avuto moltissimo tempo per fantasticarvi
su prima
di restare incinta e si era sempre vista cullare una splendida bambina.
A volte
la immaginava con grandi occhi azzurri, altre con occhi neri e profondi
ma
sempre femmina. Poi era successo, il test finalmente era risultato
positivo e
in lei una strana sensazione già vissuta in passato era
ricomparsa.
Aspettava
un maschio, lo sapeva. Non aveva bisogno
di nessuna conferma, ne era semplicemente convinta. Tante altre donne
le
avevano detto di avere sperimentato quella consapevolezza e lei aveva
ancora
vivido il ricordo di quanto poco si fosse stupita quando le avevano
comunicato
il sesso di Trunks. Durante l’ecografia il furbetto aveva
sempre la coda tra
gambe e solo alla nascita aveva scoperto che il suo sesto senso non si
era
sbagliato. Questa volta era successa la stessa cosa.
Non
era delusa e non sperava di essersi sbagliata.
Anzi. Come succede a tutte le mamme si era innamorata al primo istante
di quel
figlio di cui mai aveva immaginato i tratti ed aveva cominciato subito
a
recuperare il tempo perduto. Sognava
il
suo bambino fare i primi passi e smaniare per allenarsi con il padre e
il
fratello maggiore, fantasticava su quanto sarebbe stato simile a lei o
a Vegeta
e su come sarebbe stata da quel momento in poi la sua vita con tre
uomini in
casa.
Chiuse
gli occhi al sopraggiungere di una fitta
addominale. Ormai ci era abituata e bastava respirare profondamente per
qualche
minuto per calmare il dolore. Forse era davvero il caso di riposarsi un
po’;
d’altronde se suo padre avesse saputo della sua condizione
non l’avrebbe certo
biasimata.
Si
alzò lentamente dalla sedia e si diresse verso la
sua stanza per fare una doccia veloce e mettersi a letto.
Più tardi avrebbe
dato la notizia ai suoi; sentiva di aver tenuto quel segreto anche
troppo a
lungo. Finalmente, pensò sorridendo, Vegeta si sarebbe
sentito libero di
dedicarsi agli allenamenti, sapendola sotto la sorveglianza severa ed
attenta
dei suoi genitori.
Niente
l’aveva sorpresa di più di suo marito in quel
frangente. Vegeta passava moltissimo tempo fuori dalla Gravity Room e,
per
quanto si sforzasse di non darlo a vedere, la seguiva ovunque e restava
ad
assicurarsi che lei non si sentisse troppo male, in silenzio e
scontroso. Ogni
mattina rimaneva a letto, fingendo di dormire, finché le sue
nausee non si
placavano e la sera cercava di spronarla a modo suo, prendendola in
giro perché
si addormentava sul divano o lamentandosi di aver scelto una terrestre
deboluccia come donna.
Bulma
sapeva che tutto questo gli costava molto e
che lo faceva per lei soltanto. Dopo la strage di Majin Bu aveva avuto
paura di
aver sognato tutto. Aveva sperato invano di poter cambiare un mostro
assassino?
Invece alla fine tutto si era risolto, Vegeta sembrava finalmente aver
accettato di amare la sua nuova vita e si era sacrificato per lei e per
Trunks.
Mai
avrebbe immaginato, però, che Vegeta decidesse
insieme a lei di avere un altro figlio, dato che il primo era stato
frutto di
un errore e gli era stato imposto. Forse anche lui ultimamente pensava
molto a
quello, visto che aveva iniziato a passare molto più tempo
con Trunks, quasi a
voler smentire quella consapevolezza. A
Bulma non solo faceva molto piacere vedere il suo ometto
radioso per
aver passato il pomeriggio in piscina o nella Gravity Room con il
padre, ma le
faceva anche comodo visto che stare dietro a Trunks la stancava molto
facilmente, da quando aveva scoperto di essere incinta. Che Vegeta
avesse
capito anche quello? Davvero era riuscita a cambiare quel sayan a tal
punto?
Aveva
appena chiuso la porta della sua stanza quando
successe.
Una
sensazione spiacevole di bagnato la costrinse ad
abbassare gli occhi, che si spalancarono atterriti. Era sangue. Sangue
che si
allargava sulla sua tuta da lavoro percorrendole le gambe fino alle
caviglie,
caldo e disgustoso.
Bulma
si lasciò cadere in ginocchio. No. Non poteva
essere vero.
Vegeta
si passava l’asciugamano caldo sui muscoli
indolenziti del collo ed intanto si dirigeva verso il laboratorio.
Sperava
fosse chiaro che andava lì solo per reclamare il pranzo e
non perché era
preoccupato per quella donna cocciuta.
Erano
stati due mesi strani per lui. Non aveva
immaginato che la cosa si sarebbe rivelata tanto impegnativa.
Innanzitutto Bulma
era in uno stato pietoso e, quando non si trascinava in giro in una
fedele
imitazione dei morti viventi che piacevano tanto a Trunks, alternava
momenti di
isteria aggressiva ad altri di docilità melensa con un ritmo
preoccupante. Non
che Vegeta non fosse abituato ai suoi sbalzi di umore ma sospettava che
Bulma
usasse questo stratagemma per distrarlo dal vero problema. Lei stava
male. Molto,
a giudicare dal suo aspetto.
Quasi
subito dopo aver scoperto di essere incinta,
Bulma aveva cominciato a sentirsi debole e stanca, faceva fatica a fare
anche le
cose più semplici, aveva spesso la febbre e soprattutto non
riusciva a mangiare
quasi nulla. Le sue morbide forme invece di accentuarsi si erano
ridotte
notevolmente mentre il piccolo sayan dentro di lei le sottraeva
nutrimento e
vitalità.
Bulma
gli aveva detto che anche per Trunks era
successa la stessa cosa, che dopo sarebbe stato più facile,
che probabilmente
il corpo di un terrestre non era fatto per sopportare uno
sconvolgimento
metabolico di quel tipo e Vegeta si era dato dello stupido. Avrebbe
dovuto
pensare all’evenienza che la gravidanza fosse un pericolo per
Bulma. L’aura del
feto era già notevolmente più grande di quella
della donna e continuava a
crescere giorno dopo giorno. Quella stupida era davvero contenta di
sentirglielo
dire; sembrava non preoccuparsi della sua salute e passava ore ad
accarezzarsi
la pancia pianeggiante e a congratularsi con il bambino per quanto
fosse forte.
Quell’immagine lo lasciava confuso, forse se Bulma si fosse
sentita bene gli
sarebbe addirittura piaciuta ma in quel caso lo disturbava. Era
preoccupato per
lei e temeva che potesse succederle qualcosa per causa sua.
Maledizione!
Avrebbe voluto infischiarsene e potersi
dedicare agli allenamenti in santa pace ma non ci riusciva. Anche
quando Bulma si
sentiva meglio e Vegeta percepiva l’aura di suo figlio tra i
loro corpi uniti, si
sentiva tormentato. Provava sentimenti contrastanti nei confronti di
quell’estraneo
che si era appropriato di una parte del corpo della sua donna. Non lo
conosceva
eppure sapeva di volerlo proteggere e che un giorno avrebbe provato
verso di
lui la stessa cosa che provava per Trunks. La sua presenza era davvero
tangibile eppure non lo irritava, come se da un giorno
all’altro fosse diventato
normale essere in tre in quel letto . Ogni giorno sembrava imparare
qualcosa di
nuovo su quell’inutile pianeta.
Come
se tutto ciò non fosse bastato, si sentiva
anche in colpa nei confronti di Trunks. Non aveva mai provato certe
cose nei
suoi confronti perché se le era negate. Se il sayan che era
in lui avesse
potuto scegliere avrebbe rifuggito la cosa anche adesso ma visto che
ormai si
era messo in quella situazione si sentiva a disagio a favorire quel
figlio di
un momento che Trunks non aveva avuto.
Il
laboratorio era vuoto e chiuso quando vi giunse. Di
solito lei lo lasciava aperto quando si prendeva una pausa; forse era
rimasta a
letto. Sarà sul divano a guardare una di quelle stupidissime
trasmissioni
terrestri, si disse il sayan, ma non era abbastanza per far tacere la
voce
nella sua testa che gli faceva presagire che fosse successo qualcosa.
Quella
stupida terrestre l’aveva rammollito a tal
punto!
Davvero
c’era stato un tempo in cui di lei non gli
importava nulla? Un tempo in cui la considerava un mero passatempo per
sfogare
i suoi impulsi sessuali, progettando prima o poi di farla fuori? Vegeta
preferiva
non indugiare in quei ricordi. Prima di tutto perché farlo
significava riaprire
dolorose ferite sul suo istinto da troppo tempo sopito, in secondo
luogo perché
si vergognava ancora di come lei si fosse insinuata a poco a poco
dentro di lui
e di come l’avesse pervaso di quel logorante sentimento che
assomigliava così
tanto alla sconfitta, ma che ormai sapeva avere un altro nome.
Ironia
della sorte, alla fine era lei ad aver
soggiogato lui, lentamente, in maniera subdola ed insospettabile,
mentre lui
si illudeva di
dominarla e distruggerla
in quei fugaci momenti di passione. E adesso era lì, a
chiedersi se lei stesse
bene, disonorando per l’ennesima volta il sangue nobile che
gli scorreva nelle
vene.
Attraversò
tutta la casa trovandola deserta. Trunks era
a scuola ed ogni volta che lui la chiamava e non riceveva risposta si
irritava
sempre di più. Sempre la solita, gli stava intorno solo
quando lui aveva di
meglio da fare!
Spalancò
la porta della camera da letto deciso a
riversare sulla sua donna un po’ di frustrazione ma non
trovò ciò che si
aspettava. Per prima cosa notò il letto vuoto e subito si
rese conto del rumore
scrosciante della doccia, ma poi vide a terra la tuta di Bulma e un ben
noto
odore dolce e metallico gli colpì le narici. Sangue.
L’odore più familiare per
un sayan. Solo che adesso non evocava più in lui eccitazione
e desiderio di
combattere, ma una strana e potente sensazione alla bocca dello
stomaco. Panico.
In
meno di un istante Vegeta aveva spalancato la
porta del bagno e attraverso le porte trasparenti della doccia vide
Bulma
girarsi verso di lui, rannicchiata e tremante sotto il getto di acqua
bollente.
Vegeta aprì la porta a vetri; nonostante Bulma continuasse a
guardarlo i suoi
occhi sembravano spenti, lei non era davvero lì. Chiuse
l’acqua e il silenzio
che ne seguì non lasciò dubbi ai suoi sensi
troppo allenati. L’aura di suo
figlio non c’era più.
Allora…
spero che nessuno di voi voglia uccidermi dopo questo, né
che smettiate di
seguire la storia! So che è un po’ triste ma mi
piaceva l’idea di esplorare le
conseguenze di questo fatto su Bulma e Vegeta e vi giuro che
cercherò di darvi
il miglior happy ending che sarò in grado di costruire.
Spero di riuscire a
pubblicare il prossimo presto, ma non posso garantirlo per via degli
esami.
Fatemi pervenire i vostri commenti, please! A presto!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Cap. 5 Everybody hurts ***
Buongiorno!
Non ce la facevo a restare senza scrivere e così…
ecco il nuovo capitolo
(disonore su di me e su tutta la mia stirpe perché
verrò bocciata in tutti gli
esami di Giugno…)! Colgo l’occasione per
ringraziare tutti quelli che mi
seguono, in special modo chi mi recensisce (non smettete vi prego!!!!):
siete
il mio più grande incentivo a continuare! Detto
ciò vi lascio a Bulma e Vegeta!
La
canzone è “Everybody hurts” dei R.E.M.
P.S.
Ho
cambiato il mio nickname in Hurrem e avrò un profilo su
Facebook che sarà
felice di ricevere i vostri commenti (non temete sono sempre io!)
CAP. 5 – EVERYBODY HURTS
“Bulma, alzati! Ti
porto in ospedale.”, le ordinò Vegeta cercando di
non sembrare troppo rude, ma
con scarsi risultati. Bulma continuava a fissarlo con sguardo vacuo,
seguitando
a tremare violentemente. Il sayan staccò un asciugamano
dalla parete,
portandosi dietro anche il suo gancio e un buon pezzo di marmo, e
glielo
avvolse attorno sollevandola. La riportò in camera e la
appoggiò delicatamente sul
letto dove lei si rannicchiò ancora di più.
“Bulma,
ascoltami! Voglio che ti vesti!” Questa
volta fu più deciso ma Bulma non dava segni di averlo
ascoltato. Vegeta si
sentiva le tempie esplodere e i suoi muscoli fremere di rabbia
repressa.
Ringhiò spazientito e si avvicinò
all’armadio di Bulma. Con una mano ne aprì
l’anta che si staccò con uno schiocco.
Maledizione, avrebbe distrutto tutta la
casa se non si fosse calmato! Con un grugnito la gettò
lontano e il suono del
suo schianto contro il muro sembrò ridestare Bulma.
“Dammi…
dammi quella tuta blu e va’ a chiamare mio
padre, per favore…”
Vegeta
rimase un momento interdetto. Il tono della
sua voce sembrava stranamente neutro. Il sayan le gettò
l’indumento sul letto e
uscì in fretta diretto all’interfono del
corridoio, rientrando nel giro di
pochi secondi. Rimase fermo contro il muro mentre lei si rivestiva
lentamente e
pensò assurdamente che era la prima volta che la sua
nudità non evocasse in lui
nessun desiderio carnale.
Con
gesti astenici, quasi automatici, Bulma finì di
vestirsi e si sedette sul letto. Prima di potersi interrogare sulla
sconvenienza di quel gesto, Vegeta prese posto accanto a lei. Avrebbe
davvero
voluto che lei la smettesse di guardare il vuoto e che gli dicesse
chiaramente
cosa fare. Quella situazione stava diventando ridicola. Doveva parlare,
dannazione!
“Bulma.
Andrà… tutto bene. Vedrai.”
Buttare
fuori ognuna di quelle parole gli era
sembrato come inghiottire qualcosa di molto grosso ed irto di spine.
Per
riuscirci, aveva dovuto ignorare il senso della frase che andavano a
formare.
Bulma
finalmente lo guardò. Lo guardo davvero, come
faceva di solito, ma i suoi occhi sembravano privi di luce, coperti di
una
spessa patina di assenza. Non era quello, il blu a cui era abituato. La
donna
si appoggiò sul suo petto e lo circondò con le
esili braccia, mentre grosse
lacrime cominciavano a rigarle le guance.
Vegeta
combatteva con il bisogno di allontanarla e
la volontà di restare; con la necessità di
stringerla e l’incapacità di farlo.
In mezzo a quel turbine di sensazioni sgradevoli, riusciva a
distinguere
facilmente la rabbia. Era così insopportabile
l’idea che lei soffrisse da
renderlo furioso. I suoi singhiozzi lo mettevano a disagio
più delle sue
smancerie, dalle quali aveva ormai imparato a difendersi.
“M-m-i…
dispiace, Ve-Vegeta.”
Lei
si dispiaceva? E per cosa?
“Sono
solo… una debole terrestre.”
“Non
dirlo!” ringhiò lui. Come faceva a pensarlo?
Che lui la incolpasse per la perdita del bambino era fuori discussione.
Non gli
importava. Anzi, lo odiava. Era colpa di quell’abominio se
lei piangeva disperata.
Lo detestava, ma l’avrebbe ferita ancora di più se
glielo avesse detto perciò
rimase in silenzio. Malediceva con tutte le sue forze
quell’insignificante feto
che lui aveva acconsentito a creare; quel feto
in cui aveva infuso la sua mostruosità e la sua
forza, mettendo in
pericolo Bulma.
L’odore
del sangue che ancora permeava la stanza e
che molti anni prima l’aveva inebriato ora lo disgustava.
Bulma tolse una mano
dalla sua spalla per stringersi il ventre, Vegeta dovette distogliere
lo
sguardo per paura che lei vi leggesse dentro i suoi pensieri. In quel
momento
odiava quell’ammasso di cellule che era stato suo figlio
almeno quanto sé
stesso.
Bulma
si sentiva spezzata e stordita. Quelle ultime
ore sembravano appartenere alla vita di qualcun altro. Era stato Vegeta
a
tirarla fuori dalla doccia? Le sembrava di ricordare il nero profondo
dei suoi
occhi su di lei e l’odore della sua pelle. Di sicuro era
stato il primo ad arrivare,
le aveva dato dei vestiti.
Aveva
cominciato a realizzare cosa stesse succedendo
solo quando si era vista circondata. All’improvviso Trunks e
i suoi genitori le
chiedevano come stava, la toccavano, le toglievano l’aria.
L’espressione
spaventata di suo figlio l’aveva costretta a rispondere alle
domande incalzanti
di suo padre. Sì, aveva avuto un aborto spontaneo. No,
l’emorragia si era fermata.
Sì, lo sapeva anche lei che doveva andare
all’ospedale, che il bambino era
troppo grosso…
Sua
madre aveva preso Trunks per mano e l’aveva
portato fuori, nonostante le sue furiose proteste. Avrebbe voluto
stringerlo e
dirgli che la mamma stava bene, che sarebbe guarita presto, ma non ci
era
riuscita. Era rimasta ad ascoltare il bambino che supplicava la nonna
di
lasciarlo entrare, di sapere cosa avesse la sua mamma e
perché avesse pianto.
Vegeta era riapparso nel suo campo visivo ed era uscito dalla stanza.
Trunks
aveva smesso di piangere alla comparsa del padre.
Suo padre invece aveva preso in mano la
situazione e dopo pochi minuti, o forse diversi secoli, un estraneo in
camice
bianco l’aveva preparata per l’anestesia.
Era
ancora in ospedale. Non sapeva cosa le avessero
fatto e non voleva saperlo. D’altro canto non era
così fortunata da non sapere
quali procedure mediche si attuassero in casi simili, perciò
quelle disgustose
varianti di intervento si erano affacciate alla sua mente
già più volte. Suo padre
l’aveva informata che era tutto finito ed era rimasto
lì con lei fino a qualche
minuto prima, quando si era allontanato per tranquillizzare sua madre
al
telefono.
Non
era sola, però. Sapeva che lui era lì,
appoggiato al muro, anche se non lo aveva mai guardato da quando erano
usciti
di casa. Avrebbe dovuto dirgli qualcosa? Chiuse gli occhi e
respirò
profondamente. Tutto quello che desiderava in quel momento era un sonno
lunghissimo e senza sogni. Vegeta prese a passeggiare per la stanza,
mentre lei
continuava a tenere gli occhi serrati e rivolti verso il soffitto. In
tutta la
sua vita aveva sempre desiderato che Vegeta fosse lì con
lei, in qualsiasi
momento; quella era la prima volta in cui avrebbe voluto che lui se ne
andasse,
che la lasciasse sola.
Un
giovane medico entrò nella stanza chiedendo
permesso. Bulma aprì gli occhi e volse il capo verso il
nuovo arrivato. Non
ricordava se lo avesse già visto.
“Come
si sente signora? È ancora un po’ intontita?
Non si preoccupi, è per via dei farmaci. Lei è il
marito?”
Bulma
sentì Vegeta grugnire in assenso. Cercò di
mettersi a sedere con grande fatica, di nuovo cosciente di avere un
corpo.
Perché era ancora così debole? Improvvisamente
era conscia del verde delle
pareti, dell’odore di disinfettante, della flebo che stillava
soluzione
fisiologica nelle vene del suo braccio e di una fastidiosa sensazione
al basso
ventre. Le veniva da vomitare.
Il
medico la aiutò a sistemarsi e finalmente Bulma
posò gli occhi su Vegeta. Per un istante le
sembrò di rivedere lo spietato
sayan sotto il controllo di Babidy: il suo viso era solcato
dall’odio e dalla
rabbia. Mentre il medico si allontanava dal letto le sembrò
che quei sentimenti
si placassero un po’.
“Voglio
sapere se starà bene.”, disse Vegeta in
tutta la sua regale autorità. Il dottore lo
rassicurò sul fatto che Bulma
sarebbe tornata a casa l’indomani, ma l’espressione
del sayan non si ammorbidì.
“Signora
Brief, voglio che sappia che il suo utero è
ancora perfettamente funzionale. Tuttavia suo padre mi ha riferito che
la
gravidanza non sembra uno stato che il suo corpo tolleri molto bene,
pertanto
mi ritrovo a consigliarle di desistere…”
Bulma
assunse un cipiglio infastidito. Chi diavolo
era quello per dirle cosa doveva fare? Come poteva pensare che lei
stesse considerando
di avere un altro figlio, in quel momento?
“Purtroppo
sono cose che capitano. È probabile anche
che il bambino avesse qualche problema di sviluppo, visto che abbiamo
notato
una piccola malformazione in fondo alla colonna
vertebrale…”
“Esca!”,
sbraitò Bulma.
Il
suo urlo aveva coperto lo schianto della sponda
di ferro del suo letto staccata di netto, accartocciata nel punto in
cui la
mano di Vegeta si era chiusa a stringerla.
Il
medico guardò la coppia confuso e spaventato.
“Come
osi, sudicio terrestre!”
“Esca
immediatamente da qui! Non ha capito niente!
Niente!”, continuò a urlare Bulma e il dottore
terrorizzato uscì rapidamente
dalla stanza, chiudendo la porta dietro di sé.
Bulma
si lasciò cadere sui cuscini e cominciò a
piangere. Il suo bambino era un sayan! Un guerriero! Non aveva avuto
nulla che
non andasse. Sarebbe stato sano come un pesce, se non avesse avuto una
madre
così gracile e patetica. Per la prima volta Bulma si
sentì l’inutile terrestre
che Vegeta aveva abbandonato tanti anni prima.
Quando
suo padre rientrò, la aiutò a riprendere il
controllo e, una volta riuscita a smettere di singhiozzare, Bulma gli
chiese di
potersi rinfrescare il viso. Si guardò intorno. Vegeta non
c’era più. Da quanto
tempo se n’era andato? Lo aveva dimenticato e perso di vista
più volte in quel
giorno che in tutta la sua vita.
Il
Dottor Brief si prese cura di lei come quando era
piccola e le veniva la febbre alta, accarezzandole la fronte e cercando
di
distrarla. Verso sera era riuscito persino a farla sorridere. Bulma
aveva
chiamato Trunks e l’aveva rassicurato dicendogli che gli
avrebbe spiegato tutto
una volta a casa. Il bambino si era tranquillizzato e le aveva promesso
che
avrebbe obbedito alla nonna fino al suo ritorno.
Era
circa un anno che aveva smesso di fumare, ma in
quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per una fottuta sigaretta.
Accese la
tv per cercare di non pensare al fumo e al perché fosse
ricoverata. Al telegiornale
parlavano di una serie di violenti e anomali terremoti ed imponenti
frane che
avevano interessato le montagne della Città del Nord per
tutto il pomeriggio.
Aveva
capito dove fosse andato Vegeta.
Capitolo
finito. Non è un granché perdonatemi, ma il
dramma non è tanto nelle mie corde
ultimamente! Detto ciò, nel prossimo capitolo ci saranno
ancora momenti
abbastanza tristi per Bulma e Vegeta, ma nel finale, vedrete un
po’ di luce e soprattutto
speranza con la comparsa di un
personaggio
tra i miei preferiti. Provate un po’ ad indovinare chi????
Grazie per aver
letto fino a qui, a presto!!!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Cap. 6 Strangers like me ***
Eccomi,
eccomi! Sono riemersa dallo
studio per lasciarvi il nuovo capitolo (un po’ più
lungo del solito ma non
volevo spezzarlo!). Vi avevo promesso una sorpresa alla fine e beh..
spero che
vi piaccia! La canzone è di Phil Collins. Recensite,
please!!!!
CAP.
6 – STRANGERS LIKE ME
Vegeta
entrò silenziosamente in casa. Non sapeva
esattamente quanti giorni avesse passato lontano, da solo. Tutte le
volte che
se ne andava perdeva il senso del tempo. Ora che si era risolto a
tornare, si
rendeva conto che ciò che aveva cercato di ignorare durante
gli allenamenti non
poteva semplicemente scomparire. Se fosse stato simile
all’immagine che
conservava di se stesso, non avrebbe avuto quella fiumana di pensieri
confusi
ad infastidirlo. Si sentiva stordito. Non gli importava
granché del moccioso,
in fondo non era che uno stupido feto. Aver permesso che Bulma
rischiasse la
vita per lui; quello era stato un errore madornale. Non poteva
permettere che
si ripetesse. Sarebbero tornati alla vita di sempre e si sarebbero
dimenticati
di tutta quella storia.
Si
guardò intorno nell’oscurità
dell’ingresso.
Sembrava che stessero tutti dormendo. Non riusciva ad immaginare quale
sarebbe
stata la reazione di Bulma nel rivederlo. Comprensione? Ira?
Indifferenza?
Felicità? Tristezza? Non era fiero di quella che a tutti gli
effetti si era rivelata
una fuga, ma non sarebbe mai stato in grado di affrontare la situazione
alla
maniera “terrestre”. Era rimasto lontano anche per
lei, per evitare che
soffrisse maggiormente per il suo rancore verso quel figlio che invece
Bulma
aveva amato così tanto.
Si
sentì ridicolo mentre indugiava nell’abbassare la
maniglia della sua stanza da letto. Nella stanza
l’oscurità era meno fitta
poiché la luna ne rischiarava gran parte, compresa la
delicata figura avvolta
nelle lenzuola. Vegeta si avvicinò furtivamente e
cominciò a spogliarsi. Doveva
ammettere che, dopo tutti quegli anni di lento rabbonimento, in
mancanza di un
buon letto il suo riposo non era lo stesso. Cercò di
coricarsi delicatamente,
con una premura a sé estranea, ma non lo aveva mai fatto
prima e le vibrazioni
del materasso svegliarono Bulma di soprassalto.
L’espressione
spaventata della donna mutò in
sollievo dopo aver riconosciuto l’intruso. Vegeta rimase
seduto a guardarla, in
attesa che lei dicesse qualcosa.
“Stavo
cominciando a preoccuparmi…”, disse lei in un
soffio, gli occhi lucidi ben visibili anche nel buio.
“Non
devi.”
Bulma
mise la sua mano calda sopra la sua.
“Come
stai?”
Vegeta
sentì la gola pizzicare d’indignazione a
quella domanda. Ritrasse la mano.
“Come
sarebbe a dire? Sto benissimo, non farmi
domande stupide!”
Bulma
si raddrizzò piccata.
“Oh,
allora immagino che tu sia tornato per
assicurarti che io sia di nuovo disposta a farti divertire, dico bene?
Visto
che non mi hai nemmeno chiesto come sto!”
“Che
assurdità! Sapevo che stavi bene!”
“Peccato
che non stia poi così bene, mio caro!”, gli
urlò sopra Bulma. “E non ho nessuna voglia di fare
sesso in questo momento!”
Vegeta
percepì la rabbia arrampicarsi su per il suo
esofago. Possibile che quella donna fosse sempre così
ottusa? La odiava e
odiava se stesso per come si lasciava trascinare in quelle sfuriate
velenose.
“Brutta
stupida! Pensi che abbia voglia di fare
sesso dopo quello che ti è successo?”
Bulma
rimase un momento interdetta.
“Che
intendi dire?”
“Intendo
che questo ridicolo errore non si
ripeterà!”
Bulma,
adirata e ferita, si allontanò da lui
scivolando giù dal letto. Vegeta le voltò le
spalle.
“Sei
un essere spregevole! Come puoi parlare così di
nostro figlio? Pensavo che tu lo desiderassi quanto me.”
“Ti
sbagliavi.”, ringhiò il sayan.
Bulma
afferrò il cuscino e si apprestò ad uscire
dalla stanza.
“Sei
un mostro! Se non hai intenzione di fare il
marito ed il padre non capisco perché rimani qui!”
La
porta sbatté. Vegeta chiuse gli occhi respirando
profondamente per cercare di dominarsi. Quando Bulma giocava quella
carta seguivano
sempre giornate notevolmente nere ed altre litigate. Perlomeno questa
volta era
uscita prima che lui potesse rispondere qualcosa di altrettanto
sgradevole.
Già,
perché
rimaneva? Se lo era chiesto così tante volte.
Perché ogni cosa al di fuori di
quella casa, di quella stanza, non sembrava mai il posto giusto in cui
stare?
Perché non riusciva a stare lontano dall’odore di
quelle lenzuola? Kakaroth ci
riusciva. Se ne andava per anni nonostante fosse cresciuto su quel
pianeta, tra
i suoi miseri abitanti. Perché lui no? Bulma lo sapeva?
Sapeva che ogni fibra
del suo corpo sayan sembrava lottare con tutte le sue forze per non
allontanarsi da lei?
Vegeta
tuffò il viso nel cuscino, ma si accorse che
il sonno lo aveva del tutto abbandonato. Per colpa di quella donna non
avrebbe
di nuovo chiuso occhio.
Decisamente
stavano affrontando un momento
difficile.
Bulma
davvero non riusciva a razionalizzarlo. Aveva
sempre pensato che in mancanza di una minaccia tangibile per la loro
incolumità, com'erano Cell o Majin Bu, la loro vita si
sarebbe svolta in tutta
serenità. I soliti battibecchi, le liti accese o le notti di
sesso sfrenato
avevano lasciato posto a quella strana apatia, alla fredda cortesia con
cui
ormai si parlavano.
Bulma
si rendeva conto che spettava a lei cercare di
sbloccare quella situazione alquanto sgradevole, ma non riusciva a
tirarsi
fuori da quel limbo insapore in cui era imprigionata. Eppure se solo
pochi mesi
prima avesse dovuto descrivere il rapporto con Vegeta le ultime parole
a
venirle in mente sarebbero state quelle che ultimamente definivano ogni
sua
giornata: incolore, controllato, denso di cose non dette, dolorosamente
indifferente. La vita con Vegeta era sempre stata un fuoco ardente, sia
che
andassero d’accordo, sia che litigassero. Ora assomigliava di
più ad un deserto
freddo e sterile.
Lui
non la toccava più. Non sembrava nemmeno vederla.
Bulma sapeva perché e si doleva di non avere la forza di
costringerlo a
guardarla, a desiderarla, ad averla. La triste verità era
che a lei, in quel
momento, non importava nulla del sesso. Per quanto le desse fastidio
che Vegeta
facesse di tutto per non restare in sua compagnia e per evitare
l’argomento,
non desiderava il contrario.
Da
quando avevano discusso, non dormiva più con lei,
ma non si era interessata su dove andasse la notte. Probabilmente,
pensava, in
una delle tante stanze della casa. Di giorno, invece, si seppelliva
nella
Gravity Room e non le restava che incontrarlo fugacemente nei corridoi
o
raramente durante i pasti. Non era doloroso, non era niente.
Non
sapeva a cosa lui stesse pensando, se stava
provando la sua stessa apatia o se a modo suo soffriva. Forse
l’essere certa
che fosse in casa, nonostante tutto, la rendeva più
tranquilla. Per quanto a
lungo sarebbe durato? Sarebbero mai tornati quelli di un tempo? Si
sentiva
straniera nel suo corpo, circondata da persone altrettanto estranee.
Non
solo la sua vita coniugale sembrava essersi
dissolta, ma anche il rapporto con suo figlio sembrava molto cambiato.
Aveva
spiegato a Trunks che avevano cercato di dargli un fratello, ma non ci
erano
riusciti; lui si era rivelato molto comprensivo e attento non facendole
troppe
domande e nei primi giorni, i più difficili per lei, avevano
dormito insieme.
Dopo un po’ però, Bulma si era resa conto che il
bambino sembrava in difficoltà
a mascherare la sua naturale curiosità e a restarle accanto,
quindi gli aveva
detto di tornare a dormire nella sua stanza. Trunks le era parso
visibilmente
sollevato.
Tuttavia
sembrava che l’unico modo per allontanare
il pensiero del figlio perduto fosse quello di riversare tutte le sue
energie
sul primogenito. Si era resa conto di averlo trascurato negli ultimi
tempi, ma
sembrava che ormai fosse troppo tardi per rimediare. Trunks non era
più un
bambino. E non era soltanto per via del viso meno paffuto, delle gambe
più
lunghe e della voce più bassa. Tutto in lui pareva
appartenere ad un giovane
adulto. Fuggiva le coccole e le conversazioni, passava molto tempo
chiuso in
camera o nella Gravity Room con Vegeta, s’incupiva
facilmente, pretendeva di
fare tutto da solo e di prendere decisioni in autonomia. Non la
cercava. Mai.
Il
fatto che Chichi lo considerasse l’atteggiamento
tipico di un adolescente non l’aveva tranquillizzata. Bulma
temeva di non
riuscire a trovare un modo nuovo, diverso da quello che utilizzava da
sempre,
per rapportarsi a suo figlio, soprattutto ora che non aveva le forze
per
impegnarsi in tal senso.
Mentre
si recava in camera per fare una doccia
pensava che ogni giorno di più, il bambino sorridente e
chiassoso che
conosceva, si stava trasformando in un ragazzo pieno di rabbia e di
tristezza.
Come quell’alieno che tanti anni prima aveva accolto in casa
sua. Come
quell’uomo la cui sola presenza, seppur distante, bastava a
tenerla in vita.
Vegeta
abbassò la gravità a zero.
Trunks
si lasciò finalmente cadere a terra, sfinito,
ansimando pesantemente.
Era
stato bravo. Era ancora molto scostante e
distratto ma aveva la tempra del guerriero sayan e lo rendeva fiero
vederlo
impegnarsi, nonostante fossero in tempo di pace.
“Per
oggi basta, Trunks.”
Il
ragazzino si rialzò spossato e sorrise.
“Allora
domani andiamo al luna park, vero? Mi avevi
detto che ci saremmo andati se mi fossi allenato…”
Vegeta
gli rivolse uno sguardo torvo. Tutto sua
madre. Ricattatore. Svogliato. Furbo.
“Adesso,
vattene. Domani vedremo.”
Trunks
rimase sul posto dondolandosi incerto. Vegeta
ebbe il sentore che ci fosse qualcosa di strano. Non lo vedeva farlo da
molto
tempo. Era un atteggiamento alquanto infantile e si rese conto che
Trunks si
comportava da qualche tempo in modo più adulto,
più spavaldo. In quel momento,
nonostante si fosse allungato parecchio di statura, sembrava ancora il
bambino
di un tempo. La cosa, stranamente, non lo infastidiva.
“Non
importa, sai. In realtà non è che mi piaccia
così tanto andarci…”, disse con lo
sguardo rivolto a terra.
“Per
quale motivo me lo hai chiesto, allora?”,
ribatté il sayan seccato.
Trunks
si torceva le mani nervoso, guardando per
terra.
“Guardami
negli occhi quando mi parli, Trunks!”
Trunks
alzò il capo con un’espressione risoluta e
audace. Il bambino di poco prima sembrava già scomparso.
Vegeta notò qualcosa
di diverso dal solito. Non sembrava che si stesse trattenendo per paura
di
farlo arrabbiare. C’era altro. Qualcosa di curiosamente
familiare.
“Volevo
passare del tempo con te.”
Non
vacillò. Proseguì a fissarlo con aria di sfida e
Vegeta capì. Si vergognava. Ancora prima di comprendere, si
era riconosciuto in
quel disagio con cui conviveva da anni: la difficoltà ad
esprimere i suoi sentimenti.
Vegeta
si trovò d’un tratto contrariato. Trunks non
era mai stato così. Lui era come Bulma. Che fine aveva fatto
il ragazzino
solare e spontaneo di pochi giorni prima? Cosa diavolo stava succedendo
a quei
due? Il fatto che suo figlio cominciasse a comportarsi come lui era
forse segno
del normale sviluppo del suo carattere? Incomprensibilmente la cosa non
lo
inorgogliva.
“Troveremo
qualcos’altro da fare, allora.”, disse
glissando sull’ultima frase del figlio.
Trunks
rimase lì, in piedi, a fissarlo.
“Posso
chiederti una cosa?”
Vegeta
si avvolse un asciugamano attorno al collo,
sperando che quello scambio di battute non diventasse una vera e
propria
conversazione.
“Sbrigati,
però. Voglio farmi una doccia.”
“Tu
e la mamma volete divorziare?”
Vegeta
si voltò verso di lui e Trunks sostenne il
suo sguardo senza fatica. Chissà da quanto tempo quella
domanda lo tormentava. La
sua postura. Il suo cipiglio. Tutto in lui pretendeva una risposta. A
Vegeta
parve di guardarsi allo specchio.
“Non
dire assurdità. Come ti viene in mente?”,
ribatté duro.
“Io…
pensavo che visto che non vi parlate
più…”
“Smettila
con queste stupidaggini. Nessuno va da
nessuna parte.”
Trunks
gli apparve decisamente più sollevato. Ecco dove
voleva andare a parare.
“Adesso
va via. Mi hai fatto venire mal di testa.”
“Ok,
ci vediamo a cena.”, disse il ragazzino e si
diresse verso l’uscita della Gravity Room con passo
notevolmente alleggerito.
“Ehi,
Trunks!”
Vegeta
notò con disappunto che si era già
riappropriato di quello stupido smartphone
che si portava dietro tutto il santo giorno.
“Comunque
io e tua madre non possiamo divorziare,
perché non siamo sposati.”
Si
osservarono per un lungo istante. Padre e figlio.
Se non ci fosse stato tutto quell’azzurro in lui sarebbero
stati uguali, pensò
Vegeta, ma questo non impediva loro di conoscersi, di capirsi.
Trunks
sorrise e se ne andò, lasciando Vegeta da
solo, nel buio della Gravity Room.
Dopo la
doccia, Vegeta si incamminò verso la sua stanza. Aveva
bisogno di una maglia
pulita e lei continuava a metterle lì.
Era
davvero patetico che lui temesse quel momento
della giornata. Il momento in cui Trunks se ne andava e a lui non
restava che
cercare di ignorare la pallida copia della Bulma di un tempo. Di giorno
era più
facile. Durante gli allenamenti la sua mente ritornava ad una primitiva
assenza
di pensieri per concentrarsi sul suo cuore pulsante, sulla tensione dei
suoi
muscoli. Poi, però, arrivava la sera…
Prima,
per quanto orgogliosamente lo avesse negato,
gli piaceva sapere che, una volta uscito dalla doccia, avrebbe trovato
Bulma e
Trunks a tavola, entrambi impegnati in animate quanto futili
conversazioni. Ora
era tutto diverso. A cena, nelle rare volte in cui si incontravano
tutti e tre,
nessuno parlava. Bulma mangiava svogliata, fissando il suo piatto e
Trunks
volgeva sguardi furtivi verso entrambi, nel costante tentativo di
capire cosa
stesse succedendo.
In
quel poco tempo Vegeta si era reso conto che
senza Bulma, senza la donna di sempre, la loro famiglia si riduceva ad
un
gruppo di estranei riuniti sotto lo stesso tetto. La sua voce, la sua
energia e
la sua voglia di vivere sembravano scomparse insieme ai già
strani fili che in
passato li avevano legati l’una all’altro. Prima
non passava giorno senza che
Bulma non lo stordisse con fiumi di precisazioni non richieste sui suoi
stati d’animo,
spesso accompagnate da infelici tentativi di convincerlo a fare lo
stesso. Ora avrebbe
sinceramente voluto che lei dicesse qualsiasi cosa, persino che gli
urlasse
contro di provare disgusto nei suoi confronti, pur di aggiungere
qualche
tassello a quel mosaico di incomprensione.
E
poi, Vegeta sentì lo stomaco restringersi al solo
pensiero, la voleva. Disperatamente. La voleva così tanto da
doversi imporre di
non guardarla. Quando il suo controllo veniva meno e alzava lo sguardo
su di
lei, dimenticava persino di aver giurato che non la avrebbe mai
più toccata, se
lei non avesse ricominciato a prendere gli anticoncezionali.
D’altronde,
resistere era possibile. Il suo corpo era
mozzafiato come sempre, ma sembrava che dentro non ci fosse
più nessuno. Senza Bulma
a rendere quelle curve desiderabili e provocanti nemmeno il sesso lo
avrebbe
soddisfatto.
Raggiunse
la sua stanza sfinito e frustrato. Forse era
così che doveva scontare gli anni di violenze e distruzioni
della sua gioventù.
Il suo inferno personale era quella donna. La sua ferita e la sua cura.
Bulma
uscì dalla doccia avvolta in una nuvola di
vapori profumati e frizionò rapida i capelli corti e il
corpo sinuoso con l’asciugamano.
Aveva ripreso i chili persi all’inizio della gravidanza e le
sue curve erano
tornate quelle di un tempo, ma la cosa non la rallegrava,
poiché si sentiva
dieci anni più vecchia del solito.
Era
in ritardo. Trunks stava sicuramente aspettando
la cena e lei non aveva ancora risolto il mistero di suo padre. Il
Dott. Brief
era ricomparso quella mattina dopo essere sparito per un paio di giorni
ed era
rimasto tutto il giorno a lanciare occhiate circospette fuori dalle
finestre.
Bulma
gettò l’asciugamano per terra e uscì
dal
bagno, diretta al cassetto della biancheria. Si era talmente tanto
abituata a non
vederlo, che imbattersi in suo marito davanti alla porta la
spaventò a morte. Anche
dallo sguardo stupito di Vegeta traspariva che non aveva considerato di
incontrarla.
“Mi
hai fatto morire di paura, Vegeta.”
Il
sayan continuò a fissarla, stringendo la
maglietta che probabilmente era venuto a prendere.
Si
accorse solo in quel momento di essere nuda e
cercò di coprirsi con le mani.
“Smettila
di guardarmi, non puoi!”
Vegeta
assunse un’espressione offesa e stizzita.
“Io
posso fare quello che voglio, donna!”
Bulma
si affrettò a recuperare dell’intimo e a
coprirsi.
“Esci
subito dalla mia stanza!”, gli intimò
prendendo una vestaglia dal suo armadio, a cui mancava ancora un anta.
Non
si accorse della velocità con cui Vegeta le
serrò i polsi tra le mani. Si ritrovò soltanto a
fissare i suoi occhi
fiammeggianti.
“Non
darmi ordini!”
Aveva
dimenticato quanto calde fossero le sue mani,
quanto scuri i suoi occhi. Era così vicino che le narici le
si riempirono dell’aroma
del bagnoschiuma, quello che lei gli comprava, misto
all’odore della sua pelle,
impossibile da dimenticare.
Vegeta
la spinse contro l’armadio e Bulma lasciò
cadere la vestaglia dalla mano con un gemito. Un fremito la percorse
quando
sentì il respiro del sayan sul collo.
“Non
provare a respingermi!”, le sussurrò malvagio
all’orecchio.
Che
strano. Le sembrava di aver già sentito la
stessa frase. Già vissuto la stessa scena. Molti, moltissimi
anni prima. Mentre
Vegeta lasciava i suoi polsi per portare le mani sul suo seno, Bulma si
ricordò
di quella notte. La loro prima notte insieme. Un tempo,
nell’evocarla, Bulma si
garantiva una notte di sesso sregolato, pervasa dal desiderio di
dominare quel
sayan per riscattarsi dei loro primi amplessi, in cui Vegeta non le
dava
spazio. Ma adesso? I
brividi che la
percorrevano erano imputabili al freddo, non al piacere.
Sentì
una mano del sayan avventurarsi verso il suo
ventre ma non si mosse. Forse… forse se gli avesse dato
semplicemente quello
che voleva le cose sarebbero tornate come prima. Che importava se non
aveva
voglia di farlo? Forse si sarebbe risvegliata nel momento in cui la
vecchia se
stessa la aveva abbandonata.
Bulma
portò le mani sui fianchi del sayan, prese
tra le dita l’elastico dei suoi
pantaloni e lo trascinò verso il basso. Vegeta la
fermò e afferrò il suo viso
in una morsa d’acciaio, costringendola a guardarlo negli
occhi. Scrutò il suo
viso. Intensamente. Deciso.
“No.”,
disse seccato e si allontanò di scatto da
lei, uscendo dalla stanza.
Bulma
rimase attonita per pochi secondi. Cosa voleva
dire? Perché si era ritirato? La donna raccolse svelta la
vestaglia, se la
infilò e uscì correndo dalla stanza.
“Vegeta,
aspett…”
Vegeta
era ancora lì fuori. Ma non era solo.
Bulma
non poteva vedere il viso del sayan, ma doveva
essere stupito quanto il suo dell’apparizione di
quell’ospite inatteso. Per la
prima volta da mesi il cuore di Bulma partì al galoppo,
battendo così forte da
sembrarle che gli sarebbe schizzato fuori dal petto.
“Ciao
papà. Ciao mamma.”
Bulma
si trascinò in avanti ancora convinta di avere
un’allucinazione. Con la coda dell’occhio vide
Vegeta sorridere. Allora era
vero, doveva esserlo se anche Vegeta lo vedeva. Era diverso
dall’ultima volta
in cui l’aveva visto. Capelli più corti, viso
più adulto. Il sorriso però era
quello di sempre, lo stesso che vedeva tutte le mattine da 11 anni. Da
quando
era diventata madre.
Cominciò
a piangere istericamente e gli si gettò tra
le braccia.
“Oh,
Trunks!”, singhiozzò stringendosi convulsamente
al petto del giovane sayan.
Il
ragazzo le accarezzò i capelli ancora bagnati con
delicatezza.
“Anche
tu mi sei mancata…”
Cosa ne
dite? Devo ammettere che
ho fatto fatica a scrivere questo capitolo perché il
pensiero degli esami mi
attanaglia! Comunque… spero che vi sia piaciuto. Ho cercato
di addentrarmi
nelle incomprensioni familiari e di mettere in primo piano quanto sia
difficile
capire se stessi e gli altri, anche quando sono persone che si amano!
Vi
aspettavate il colpo di scena finale? Ammetto che non vedevo
l’ora di far
entrare il Trunks del futuro in questa storia, perché
è ingiusto che di lui non
si sappia più nulla dopo Cell! Aggiornerò con un
capitolo (almeno credo) più
breve di questo. Un abbraccio e a presto!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Cap. 7 Family Portrait ***
Chiedo
umilmente pietà per essere
sparita per mesi, sommersa dallo studio ma spero di farmi perdonare con
questo
capitolo e che a qualcuno ancora interessi il proseguimento della
storia.
Presto seguirà la seconda parte di questo capitolo che ho
tagliato in due. Le
critiche come sempre sono ben accette!
La
canzone è di P!nk. Buona lettura!
CAP.7-FAMILY PORTRAIT
Bulma
continuava a tenere stretto il ragazzo e a
piangere. Da quanto tempo non si sentiva di nuovo così?
Così capace di provare
emozioni e di lasciarsi andare…
Trunks
la scansò delicatamente tenendola per le
spalle.
“Basta
piangere! Pensavo che saresti stata contenta
di vedermi.”
“Ma
certo che sono contenta, sciocco!”, rispose lei
tra i singhiozzi.
A
Bulma sembravano passati secoli da quando si erano
salutati dopo la sconfitta dei cyborg del futuro, eppure il suo
abbraccio era
sempre lo stesso. Rassicurante e affettuoso. Vegeta
si
avvicinò. Nemmeno lui sapeva mascherare quello che provava
come al solito, di
fronte a quell’inaspettato incontro. Nello
sguardo d’intesa che il ragazzo e suo
padre si lanciarono, Bulma ebbe la certezza che anche per suo marito
era come
se Trunks non fosse mai partito.
“Sei
in gran forma, ragazzo.”, gli disse il sayan
felicemente sorpreso.
“Non
ho mai smesso di allenarmi…”, rispose il
ragazzo con fierezza.
Bulma
si riscosse quando un pensiero preoccupante si
fece spazio in tutta quella confusione che stava provando.
“Ma…
un momento! Come mai sei qui? È successo
qualcosa nel futuro?”
Un
sentore di allarme mise anche Vegeta
sull’attenti.
“No!
No, state tranquilli! La mia è solo una visita
di cortesia.”
Bulma
tirò un sospiro di sollievo e sorrise
asciugandosi le lacrime con le mani. Andava tutto bene. Improvvisamente
aveva
voglia di ridere, parlare, ascoltare i racconti di Trunks; aveva
persino voglia
di punzecchiarsi con Vegeta.
Ricordava
la prima volta che aveva scoperto che quel
misterioso e bellissimo ragazzo altri non era se non il suo bambino di
una
dimensione futura. Si era sentita così straordinaria,
così soddisfatta. In quel
periodo aveva molta paura; ostentava la solita sicurezza ed il consueto
ottimismo ma non sapeva cosa aspettarsi dal futuro. Anche se i cyborg
fossero
stati sconfitti che cosa ne sarebbe stato di lei, del suo bambino? Che
tipo di
uomo sarebbe diventato a causa del sangue alieno che gli scorreva nelle
vene?
Rivedere Vegeta non era stato facile, contro le sue rosee previsioni e
una
parte di lei desiderava soltanto che i cyborg sparissero e che il sayan
se ne
andasse una volta per tutte. Così, sapere che Trunks sarebbe
diventato un
ragazzo leale, coraggioso e gentile le aveva dato la forza di avere di
nuovo
speranza, e soprattutto di affrontare con determinazione la presenza di
Vegeta
nella sua casa.
“Certo
che avresti potuto farti vivo un po’ prima,
tesoro! Sono anni che aspetto di avere tue notizie!”, lo
sgridò la donna.
“Smettila
di tormentarlo, Bulma!”
La
donna lo fulminò con lo sguardo.
“Sei
sempre il solito cafone! Sto solo dicendo che
mi è mancato!”
Vegeta
non ribatté e Bulma tornò a concentrarsi sul
ragazzo.
“Coraggio,
andiamo in cucina. Ci devi raccontare un
sacco di cose, tesoro… Oh, dimenticavo! Devo ordinare la
cena!”
La
donna si allontanò di corsa lungo il corridoio,
lasciando i due uomini indietro. Se si fosse voltata in quel momento si
sarebbe
trovata di fronte a due identici sorrisi.
Vegeta
camminava accanto al figlio. Alzò gli occhi
al cielo in direzione di Bulma, che stava maltrattando al telefono il
responsabile del catering, e fece ridere il ragazzo. Sperava invece che
grazie
a quella sorta di legame che si era creato tra di loro nella stanza
dello
Spirito e del Tempo, capisse che voleva ringraziarlo. Bulma non
pronunciava
tutte quelle parole da mesi.
Non
poteva negare di essere felice per la presenza
del ragazzo; in fondo si era legato a lui molto prima che al
“suo” Trunks. Era sicuro
che averlo conosciuto aveva cambiato le carte in tavola circa il suo
destino,
non solo per quanto riguardava la sua sopravvivenza. Quando aveva visto
per la
prima volta suo figlio, durante l’attacco dei cyborg, non
aveva provato niente
di positivo se non un forte senso di fastidio. Bulma ostentava quel
pidocchioso
marmocchio come se fosse la cosa più straordinaria sulla
Terra, invece lui lo
trovava solo un inutile mezzosangue sdentato e indegno di essere suo
figlio. Poi
aveva incontrato il ragazzo. E a poco a poco si era fatto apprezzare,
si era
dimostrato più simile a lui di quanto immaginasse e aveva
finito per rivelarsi
infido come sua madre: si era preso un posto all’interno di
lui. Dopo la partenza
di Trunks per il futuro, Vegeta aveva visto il bambino con occhi
diversi. Sapeva
di non potergli dare un buon padre, ma avrebbe per lo meno fatto in
modo che
suo figlio fosse sempre al sicuro e che crescesse fiero delle sue
origini
sayan.
“Per
quanto tempo ti fermerai?”
“Non
per molto. Due giorni al massimo. Sai, è il
nonno che è venuto a cercarmi e mi ha chiesto di
venire…”
Vegeta
si fermò.
“Ti
ha raccontato?”
Trunks
annuì leggermente. Vegeta si ritrovò a
pensare che quel vecchio aveva proprio una gran faccia tosta ma era
anche
incredibilmente furbo; qualità che Bulma aveva ereditato in
abbondanza. Si
chiese se la presenza di Trunks avrebbe sortito l’effetto
sperato. Quante volte
quel ragazzo aveva ancora intenzione di salvarli?
“Sai,
detesto essere d’accordo con lei, ma potevi
venire a trovarci prima.”
Il
giovane sayan arrossì impercettibilmente.
“Mi
dispiace, ma non ne ho mai avuto il tempo.
Capirai quando ti racconterò…”
La
curiosità di Vegeta dovette essere accantonata
quando Bulma si affacciò dall’ascensore sbraitando.
“Insomma!
Vi sbrigate?”
Padre
e figlio entrarono nell’abitacolo e Bulma
impaziente schiacciò il pulsante che li avrebbe portati al
piano terra.
“Quelli
del ristorante non erano molto contenti del
poco preavviso, ma quando hanno capito a quanto ammontava la fattura
non si
sono certo tirati indietro. Ci consegnano tutto fra
mezz’ora.”
“Grazie
mamma. Non dovevi disturbarti.”
“Dimmi
una cosa, ragazzo.”, lo interruppe Vegeta.
“Quanto
trovi invecchiata tua madre in una scala da
1 a 10?”
Bulma
diventò paonazza.
“Come
osi, brutto scimmione! Trunks, dimmi la
verità. Non sembro quasi la stessa? Non dar retta a questo
rozzo caprone!”
Trunks
arrossì in difficoltà e Vegeta scoppiò
in una
fragorosa risata.
“Visto?
Non ha il coraggio di dirti l’amara verità,
Bulma!”
Gli
improperi che uscirono dalla bocca della sua
donna fecero tremare le pareti dell’ascensore e il giovane
Trunks, più
imbarazzato che divertito, fu felice di uscire dallo spazio ristretto
una volta
raggiunto il pianterreno. Vegeta dal canto suo continuava a sorridere
mentalmente. Era un sollievo vederla insultarlo di nuovo.
Bulma,
stizzita, si affrettò a seguire il figlio.
“Ti
giuro che me la paghi, Vegeta!”
Alle
orecchie del principe dei sayan, mai minaccia
aveva avuto un suono più gradevole.
Bulma
non riusciva ancora a crederci.
Trunks,
il figlio che aveva conosciuto ancor prima
che nascesse, era tornato. Continuava a bearsi della sua immagine
mentre
mangiava, conversava con Vegeta e faceva domande al suo alter ego
più giovane.
Il
piccolo Trunks invece non sembrava molto
entusiasta della sua presenza e lo osservava di nascosto con
diffidenza, solo
apparentemente concentrato sul suo piatto. D’altronde non
doveva essere facile
conoscere il se stesso di una dimensione futura, pensò
Bulma. Per quanto
riguardava lei, erano mesi che non si sentiva
così… contenta. Forse era
soltanto perché la presenza di un ospite tanto gradito la
distoglieva da
pensieri più cupi, ma al momento non le importava. Persino
Vegeta non riusciva a
nascondere la sua felicità e Bulma aveva contato ben cinque
sorrisi durante la
cena.
“Sai
Trunks… sei molto diverso da come mi ricordo di
essere stato alla tua età.”, intervenne il giovane.
Il
ragazzino alzò le spalle mantenendo il suo
interesse rivolto ad una ciotola di riso e funghi.
“È svogliato
e pigro. Ecco perché è diverso da te; non ha mai
dovuto combattere per salvarsi
la pelle.”, rispose Vegeta, infastidito
dall’atteggiamento scontroso del
figlio.
“Non
ascoltarlo, Trunks. Se lo abbiamo viziato è soprattutto
perché sapevamo quanto avevi sofferto tu. E sottolineo abbiamo perché tuo padre ha
contribuito tanto quanto me.”
Bulma
lanciò uno sguardo preoccupato al piccolo
Trunks, il quale fissava il suo piatto con malcelata rabbia. Aveva
sbagliato a
pensare che suo figlio sarebbe stato entusiasta di incontrare il suo
alter ego
più grande. Anzi, sembrava proprio che Trunks stesse per
esplodere in una delle
sue sempre più frequenti sfuriate; Bulma poteva leggergli in
viso tutto il
rancore nei confronti di quel giovane che stava catalizzando tutta
l’attenzione
e l’approvazione del padre, di solito così
distante e freddo.
Vegeta
grugnì senza replicare.
“Io
intendevo dire che sembra un bambino felice e
questo mi fa molto piacere…”, si
giustificò Trunks con lo scontroso principe
dei sayan.
“Io
non sono un bambino.”, intervenne il ragazzino
alzando finalmente lo sguardo.
Anche
il giovane dovette accorgersi della rabbia
crescente del piccolo Trunks e si affrettò a correggersi:
“Sì, scusa. Hai
ragione.”
Bulma
cercò di cambiare discorso immediatamente.
“Allora
come va nel futuro?”
“A
gonfie vele, per fortuna! Ci siamo ripresi
rapidamente. La mamma ha tirato fuori tutti i progetti che aveva
realizzato
negli anni e abbiamo rifondato la Capsule Corporation. Ho preso il
posto di
vicepresidente, anche se ovviamente non sono alla sua
altezza.”
“Wow,
è incredibile!”, Bulma ne era davvero
compiaciuta. Era sicura che l’altra se stessa si sarebbe
risollevata con
facilità.
“Visto,
Vegeta? In qualsiasi dimensione io sono
sempre ricca e intelligente!”
“Mpf!”,
sbuffò lui prima di addentare un cosciotto
di maiale. “Questo perché Trunks ha sconfitto i
cyborg, giusto ragazzo?”
Il
fragore di un bicchiere rotto li fece voltare
tutti verso il piccolo Trunks.
“Trunks,
insomma! Perché non smetti di giocare
mentre mangi?”, lo rimproverò Bulma.
Il
ragazzino si alzò di scatto.
“Io
ho finito.”
Vegeta
fece per ribattere ma Bulma gli allungò un
calcio sotto il tavolo. Subito si pentì di averlo fatto,
accecata dal dolore
dell’impatto contro la sua tibia marmorea, ma almeno
riuscì a distogliere
l’attenzione del sayan quel tanto che bastava per permettere
a Trunks di
allontanarsi senza salutare.
“Vegeta,
lascia perdere. Non capisci che è geloso?”
“Che
sciocchezze! È solo maleducato e indisponente!”
“Chissà
da chi avrà preso…”,
commentò Bulma
versandosi il terzo Martini della
serata. Con un sorriso sarcastico, notò con piacere che
Vegeta si astenne dal
commentare.
In
un certo senso la presenza del figlio ritrovato
sembrava aver riportato Bulma alla realtà. Vegeta continuava
a studiarne i
comportamenti, ma non gli sembrava che stesse fingendo. Forse nemmeno
si stava
rendendo conto del cambiamento apportato da Trunks.
Erano
rimasti a lungo intorno al tavolo a parlare
del passato, del futuro, di Majin Bu, del lavoro di Trunks…
Beh, più che altro
lui aveva annuito. Come sempre. Forse più tardi si sarebbe
pentito del pensiero
che stava formulando, ma lo faceva star bene avere la testa piena delle
loro
chiacchiere… piena della sua voce finalmente. Forse Bulma
non lo avrebbe mai
capito… che il suo naturale mutismo non era dovuto a
mancanza d’interesse, ma
che dietro alla consueta disabitudine alla conversazione si celava il
desiderio
di ascoltarla.
Vegeta
vuotò il suo bicchiere per l’ennesima volta.
Gli piacevano quelle strane bevande terrestri piene di alcol, ma tutte
le volte
che seguiva l’esempio di quel pozzo senza fondo di sua
moglie, ci metteva una
giornata intera prima di riprendersi e di poter tornare ad allenarsi.
Bulma
seguitava a versarsi ogni genere di intruglio senza batter ciglio, ma
il
colorito delle sue guance cominciava a tradirla.
“Tesoro,
non ci hai detto niente della tua vita
privata. Hai una ragazza?”
Ecco
che cominciava con le domande imbarazzanti e
fastidiose, pensò il principe dei sayan. Trunks, dal canto
suo, si passò una
mano tra i capelli ma non arrossì come ci si sarebbe
aspettato da lui.
“Beh…
ecco, stavo aspettando il momento giusto per
dirvelo. Preferivo che Trunks non ci fosse per non confonderlo
ulteriormente.”
Vegeta
notò Bulma farsi seria. I due si scambiarono
un fugace sguardo interrogativo.
“Cosa,
Trunks?”, chiese la donna ansiosa.
“Ecco
io… Io sono sposato.”
Bulma
quasi cadde dalla sedia per la sorpresa.
Vegeta dal canto suo non riuscì a contenere lo stupore,
tradendosi soltanto in
un leggero e fulmineo movimento delle sopracciglia.
“Cosa???
Perché non ce lo hai detto subito,
Trunks?”, urlò la donna dando uno scappellotto in
testa al ragazzo.
“Ahia!
Te l’ho detto, non volevo spaventare Trunks!”
Anche
il giovane aveva bevuto parecchio e aveva la
stessa sfumatura purpurea della madre.
“Bulma
perché non te ne vai a dormire? Sei
ubriaca.”, intervenne Vegeta. La donna si limitò a
rivolgergli un’occhiataccia.
“Ti
rendi conto che non ci ha detto di essere
sposato? Oh, mio Dio! Trunks! Voglio vederla!”
“Shhh…
non urlare. Ho qui una foto.”, provò a
sussurrare il ragazzo tirando fuori una polaroid dal taschino.
In
tutta risposta Bulma si lanciò strillando sulla
fotografia, sotto lo sguardo infastidito di Vegeta.
“La
mamma lo aveva detto che avrebbe fatto la
matta.”, si giustificò il giovane con il principe
dei sayan.
“Che
ti aspettavi, ragazzo?”
Bulma
si ritrovò a mettere a fuoco il prezioso
trofeo e dopo che i fumi dell’alcol le consentirono di
identificare i soggetti
ritratti urlò dallo sgomento.
“Trunks!
Questo… questo è…”
“Te
lo avrei detto se me ne avessi dato il tempo.”
Ora
anche Vegeta era curioso di sbirciare quella
fotografia. Gli occhi di Bulma si stavano riempiendo di lacrime,
soffermandosi
ora su Trunks, ora sulla foto.
“Trunks…
io non ho parole.”, sussurrò la donna.
Sembrava davvero estasiata. Naturalmente Vegeta non si sarebbe mai
abbassato a
chiederle la polaroid, ma per sua fortuna Bulma si andò a
sedere accanto a lui
e gliela mise davanti. Era stata scattata in un prato e Trunks aveva un
completo elegante, di quelli che Vegeta odiava indossare. Il sayan
venne
distratto per un secondo dalle dita di Bulma che si insinuavano tra i
suoi
capelli a sfiorargli la nuca, quindi lo sguardo gli cadde sulla
ragazza. Sembrava
una normale terrestre di bell’aspetto, una donna che un uomo
normale avrebbe
trovato attraente. Comunque non riusciva a giudicare perché
a lui le terrestri,
nemmeno quelle oggettivamente più belle, avevano mai detto
nulla. Tutte meno
una, purtroppo.
Non
ebbe tempo di soffermarsi sui capelli rossi
della giovane o su qualche altro particolare del suo viso
perché tra suo figlio
e quella che doveva essere sua moglie c’era una cosa che
aveva attirato la sua
attenzione. Era un bambino. Probabilmente di circa due o tre anni, con
folti
capelli neri e occhi dello stesso colore, ma incredibilmente
somigliante a
Trunks.
Quando
Vegeta realizzò davvero quello che stava
guardando sentì uno strano calore all’altezza del
petto. Doveva essere per via
di Bulma, che gli si era fastidiosamente appoggiata alla spalla.
“Trunks,
questo è tuo figlio?”
“Sì…
si chiama Vegeta.”
Sono davvero
spiacente di non
avere potuto inserire prima questo capitolo. Farò in modo
che il prossimo
arrivi nel week end. Spero che questo scostamento dalla trama originale
non vi
dia fastidio, comunque sappiate che non influenzerà
più di tanto la storia
principale. Nel prossimo capitolo vedremo cosa trarranno B e V da
questa
scoperta, un adolescente turbolento, ma soprattutto i due andranno fisicamente oltre la perdita…
Un bacione
a tutti!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Cap. 8 Shake it out ***
Ecco
la seconda parte del capitolo 7. Chiedo
scusa se questi due capitoli vi sembreranno un po’
confusionari, ci ho infilato
dentro un bel po’ di roba che forse potevo suddividere
meglio. La canzone è una
delle mie preferite (dei Florence + the machine), se avete tempo
ascoltatela perché
merita! Un grazie sentito a tutti i recensori!
CAP.8
– SHAKE IT OUT
Bulma
sussultò e così Vegeta che non fu abbastanza
rapido da nasconderlo. La donna distolse lo sguardo dalla foto, dove il
piccolo
appariva imbronciato in una fedele imitazione del principe dei sayan, e
lo posò
su quest’ultimo.
Raramente
Bulma scorgeva Vegeta così in difficoltà.
Se avesse dovuto dare un nome al sentimento che si nascondeva sotto la
buffa
espressione del marito in quel momento, avrebbe detto commozione. Ma
l’idea di
un Vegeta commosso era talmente assurda che persino lei faceva fatica a
crederlo.
“Oh,
Trunks…”
Non
era riuscita a dire ancora nulla di sensato. Si
sentiva talmente sopraffatta da tutte quelle emozioni, dopo settimane
in cui
non aveva sentito nulla, da provare solo confusione e stordimento. Il
ragazzo del
futuro si era sposato. Aveva avuto un figlio e lei, in
un’altra dimensione, era
diventata nonna. Continuava a guardare ora la foto, ora Trunks.
Com’era
possibile che loro due, lei e il principe dei sayan, due persone
così piene di
difetti e di vizi, così sbagliate, avessero messo al mondo
un ragazzo del
genere?
“È…
è bellissimo tesoro. È proprio come
te.”, disse
la donna rivolta al ragazzo.
Trunks
le sorrise. “È un vero terremoto. Non fa che
correre per il laboratorio e distruggere i macchinari su cui la mamma e
mia
moglie lavorano.”
“Lei…
lavora con voi?”
“A
dire il vero è il braccio destro della mamma. È
così che l’ho conosciuta.”
Bulma
si alzò dalla sedia e avvolse il figlio in un
abbraccio. A quanto pareva la Bulma del futuro aveva smesso di soffrire
e di
sentirsi sola, ripagata di tante infelicità da quello
straordinario ragazzo.
Quella donna era sopravvissuta alla perdita di Vegeta per il bene di
suo
figlio. Anche lei aveva perso qualcosa, ma si era dimenticata di quanto
importanti fossero le cose che c’erano ancora.
“Ti
devo chiedere scusa, mamma. Non sono stato del
tutto sincero con te. È stato il nonno a chiedermi di venire
per… tirarti un
po’ su di morale.”
Bulma
subito non capì, poi a poco a poco le sue
funzioni cognitive rallentate dal tanto bere le restituirono un lampo
di
consapevolezza. Suo padre! Ecco dov’era sparito. Aveva
addirittura viaggiato
fino al futuro per sperare di riportare alla vita la sua adorata
figliola.
“Grazie…”
Per
l’ennesima volta quella sera, non riuscì a
frenare le lacrime. Trunks le cinse le spalle con un braccio e lei
sentì Vegeta
dire qualcosa a proposito di “ubriachezza molesta”.
Invece di arrabbiarsi e
ribattere Bulma gettò le braccia attorno al collo
dell’uomo e continuò a
piangere sul suo petto. Sia Vegeta che Trunks ne rimasero alquanto
perplessi.
Bulma
aveva sentito il sayan farsi un pezzo di
granito sotto le sue mani e pensò distrattamente che, se non
altro, stava
offrendo a Trunks un divertente spettacolo di suo padre in forte
imbarazzo.
“Bulma,
sei impazzita forse?!”
In
tutta risposta Bulma lo strinse più forte.
“Mi
dispiace, Vegeta!”, singhiozzò la donna e Vegeta
si trattenne dall’allontanarla.
“Che
razza di spettacolo pietoso…”
Anche
se le sue parole suonavano dure, Bulma sentì i
suoi muscoli farsi meno rigidi e trovò la forza di
allontanarsi da lui.
“Hai
ragione. Scusami Trunks.”
Il
ragazzo fece spallucce sorridendole. Bulma si
sentiva la testa pesante; forse era ora di porre fine a quella serata.
“Trunks,
perdonami. Non ho nemmeno considerato che
sarai stanco. Vuoi che ti accompagni in stanza?”
Trunks
si alzò dalla sedia.
“Ti
ringrazio. In effetti sono un po’ stanco, ma non
c’è bisogno che mi accompagni se la stanza
è la stessa in cui dormivo anni fa.”
“Sì,
è la stessa. Il piano sopra il nostro,
ricordi?”
Trunks
annuì, augurò loro la buonanotte e fece per
andarsene.
“Aspetta
Trunks!”, lo chiamò Vegeta. Si era alzato
anche lui e teneva di nuovo in mano la piccola Polaroid che Trunks
aveva
dimenticato.
“Cosa
c’è, papà?”
Vegeta
apparve indeciso su quello che stava per
dire. Poi guardò il figlio negli occhi, sollevando la foto,
e rispose.
“Possiamo
tenerla?”
Bulma
guardò il figlio, felicemente sorpreso, e i
due si scambiarono un frettoloso sorriso d’intesa.
Vegeta
lasciò la stanza subito dopo Trunks, ma prima
mise la foto nelle mani di Bulma.
“Mettila
via. Trunks non deve vederla.”
Bulma,
che sembrava ancora piuttosto sorpresa, annuì
e se la mise nella tasca della vestaglia. Vegeta si
allontanò lungo il
corridoio.
Quel
ragazzo lo aveva sorpreso di nuovo. Aveva dato
a suo figlio il nome del grande principe dei sayan e, nonostante una
parte
piuttosto piccola e artefatta della sua coscienza pensasse che non
valeva la
pena che un moccioso mezzosangue portasse il suo nome, si sentiva
lusingato e
fiero. Non aveva mai provato una sensazione del genere.
All’improvviso sembrava
rendersi conto che il sangue dei suoi antenati non si sarebbe estinto
con lui e
quell’idiota di Kakaroth. Poco importava che ci fosse anche
lo zampino dei geni
terrestri. Quel bambino era suo nipote, anche se era consapevole che
nella sua
dimensione non sarebbe mai nato, ma un giorno anche Trunks avrebbe
avuto dei
figli e loro avrebbero mantenuto in vita l’orgoglio del
popolo sayan.
Il
filo dei suoi pensieri venne interrotto da Bulma
che lo stava raggiungendo a passo veloce. Vegeta si affrettò
ad assumere
l’atteggiamento più ostile possibile, in modo che
Bulma non si sentisse
incoraggiata a parlargli di quella strana serata. Al contrario delle
sue
previsioni, infatti, tutta quella faccenda aveva sconvolto anche lui.
Il
sayan entrò nell’ascensore e Bulma lo
seguì in
fretta. Lasciò che lei schiacciasse il pulsante per salire e
si appoggiò al
muro. La donna si girò verso di lui e lo guardò
in modo molto diverso da come
aveva fatto solo poche ore prima. Difficile capire se il colorito delle
sue
guance fosse dovuto all’imbarazzo o alla concentrazione di
alcol nel suo
sangue.
Vegeta
distolse lo sguardo da lei. Non voleva
perdere il controllo, perché doveva ancora farle capire che
non aveva
intenzione di esporla di nuovo al pericolo della gravidanza, ma non
sapeva se
ci sarebbe riuscito. D’improvviso tra i loro corpi era
ritornata la pressante
reazione chimica di sempre.
Adrenalina,
alla vista del colore delle sue labbra,
delle sue dia affusolate che si massaggiavano il collo sottile.
Testosterone,
che gli impediva di ragionare come
avrebbe voluto e lo spingeva ad essere fisicamente schiavo di quella
donna.
E
infine, anche se Vegeta avrebbe preferito essere
all’oscuro della sua esistenza, l’ormone
più fastidioso che fosse mai circolato
nel suo corpo.
Ossitocina.
La
spiegazione scientifica al suo essersi stabilito
sulla Terra, al suo istinto di protezione verso gli abitanti di quella
casa, ma
soprattutto al fatto di trovarsi lì con lei.
“Credo
di dover parlare adesso che sono
sufficientemente ubriaca e togliermi questo sasso dalla scarpa,
Vegeta.”
Quello
era uno dei modi di dire che dopo tanti anni
aveva imparato a comprendere per cui non le chiese il significato della
sua
frase. Non rispose. Da molto tempo Bulma aveva imparato a interpretare
i suoi
silenzi come la garanzia che la stesse ascoltando.
“Sono
stata ingiusta con voi e più egoista del
solito in questi mesi. Mi dispiace. Rivedere Trunks mi ha ricordato
quanto
siamo fortunati ad avere quello che abbiamo.”
La
donna cercò i suoi occhi e sorrise debolmente.
“Voglio
essere felice, Vegeta.”
Vegeta
mantenne la sua rigidità anche quando lei
mosse un passo per avvicinarsi. Poteva vedere i piccoli capillari rossi
che le
disegnavano una fitta trama negli occhi stanchi. Poteva quasi sentire
il sapore
alcolico delle sue labbra.
Bulma
sia avvicinò ancora. Era ormai a ridosso del
suo corpo, un altro passo e l’avrebbe toccato. Vegeta le
afferrò un posto con
gesto fulmineo e nello stesso istante l’ascensore si
fermò con un trillo.
Vegeta
si affrettò a lasciare la presa. Nell’istante
in cui le porte si erano aperte, una musica assordante aveva invaso
l’abitacolo, proveniente dalla stanza più vicina.
Vegeta grugnì irritato.
“Deve
smettere di comportarsi come un moccioso!”
“Vado
a parlargli, non preoccuparti…”, gli disse
Bulma, superandolo.
Lui
la tirò a sé e la baciò. La
baciò come non
faceva mai, per il puro piacere di farlo. Si arrese a quel gesto che di
solito
riteneva troppo intimo, tanto da arrivare a
consumare interi rapporti sessuali senza mai elargirne
uno. La vide
sbarrare gli occhi di sorpresa e poi abbandonarsi gradualmente alle sue
labbra,
la sentì aggrapparsi alle sue spalle con tutta la sua misera
forza terrestre…
“Non
metterci troppo, donna.”, le disse dopo averla
allontanata con decisione e si diresse verso quella che per molto tempo
non era
stata la sua camera da letto.
Bulma
bussò alla porta con vigore. Non fu sorpresa
di non ricevere risposta dato il volume della musica, così
entrò.
Trunks
era sdraiato sul suo letto con le scarpe
ancora ai piedi e gli occhi saldamente incollati allo smartphone.
Le casse dello stereo che lei stessa aveva progettato
sussultavano forsennate.
“Trunks!”
Il
ragazzino la vide e di malavoglia sollevò il
telecomando per spegnere lo stereo.
“Che
c’è?”, le chiese, tornando a
concentrarsi sullo
schermo del telefono.
“Volevo
sapere perché ti sei comportato così male a
cena. Trunks è stato molto gentile con te.”
Trunks
fece spallucce e continuò a digitare qualcosa
sull’apparecchio, senza degnarla di uno sguardo.
“Trunks!
Guardami quando ti parlo!”, disse Bulma
alzando la voce.
Il
ragazzino allontanò sbuffando il telefono e si
rivolse alla madre con aria di sfida, tenendo le braccia conserte. In
quel
momento assomigliava moltissimo al padre, quando le cose non andavano
esattamente come desiderava.
“Non
ti riconosco più, tesoro! Perché sei
così
scontroso?”
“Tu non mi
riconosci più!?”, rispose lui sarcastico.
“Ma
se fino a stamattina non spiccicavi parola
nemmeno sotto tortura!”
Bulma
deglutì ferita. Aveva ragione. Ma come
spiegare ad un bambino cosa aveva provato nelle settimane precedenti?
Perché
Trunks era pur sempre un bambino, anche se si sentiva più
grande. Come poteva
capire il vuoto che l’aveva oppressa fino a quella sera?
“Tesoro,
lo so che non sono stata… me stessa,
ultimamente. Ti chiedo scusa. Farò in modo che non succeda
più, te lo prometto.
Però vorrei sapere perché ti sei tanto
arrabbiato, stasera…”
Trunks
allungò le braccia lungo il busto e piegò la
testa verso il soffitto. A Bulma sembrò di vederlo arrossire
nella penombra
della camera.
“Vi
piace così tanto, quello?”
Bulma
capì dove stava andando a parare. Era
esattamente come aveva immaginato.
“Forse
dovrei andare io nel futuro e voi dovreste
tenere lui. Sarebbe un figlio molto migliore di me!”, le
riversò addosso con
rabbia.
Bulma
non si lasciò intimorire né irritare dal suo
scatto d’ira e rispose con calma.
“Non
essere ridicolo! In un certo senso siete la
stessa persona, ma lui non è nostro figlio.”
Trunks
continuò a guardarla in cagnesco, ma non
disse nulla.
“Pensi
davvero che io e tuo padre potremmo mai
sostituirti con lui? Siamo riconoscenti a quel ragazzo e gli vogliamo
bene
perché ci ha salvati e perché ha il nostro stesso
sangue, ma non lo abbiamo
cresciuto noi.”
“Papà
è orgoglioso di lui…”.
In
quell’ammissione c’era molto più
rassegnazione
che rabbia. Bulma andò a sedersi accanto a lui sul letto.
Adesso gli sembrava
solo un bambino insicuro e non un adolescente ribelle.
“Certo
che è orgoglioso. Lui ha sconfitto dei nemici
potenti, ci ha garantito la sopravvivenza più di una volta e
ha riportato la
pace nel suo mondo. Ma sai un’altra cosa?”
Trunks
la osservò sconsolato ma curioso.
“Tuo
padre non è mai stato più orgoglioso di quando
hai imparato a camminare… o di quando gli hai chiesto di
allenarti la prima
volta. Tutte le volte che batti Goten in qualche gioco e che prendi un
bel voto
a scuola tuo padre è l’uomo più fiero
del mondo… Anche se non hai sconfitto i
cyborg.”
Bulma
aveva lasciato un Trunks molto più sereno,
quando si avviò verso la sua camera da letto. Lo aveva anche
convinto a dare
un’altra occasione al ragazzo del futuro, visto che in fin
dei conti doveva
ringraziare proprio lui di essere cresciuto con un padre al suo fianco.
Aveva
molto da farsi perdonare da suo figlio, ma
quello che più la spaventava la attendeva
all’altro capo del corridoio.
Sembrava passato talmente tanto tempo dall’ultima volta che
non era sicura di
come dovesse comportarsi. Il corpo di Vegeta le sarebbe apparso
familiare o
estraneo? Si sentiva una stupida ad indugiare sulla porta. Lei, che non
aveva
mai avuto paura di uno spietato alieno assassino, nemmeno quando
quest’ultimo
minacciava di ucciderla, adesso tremava come una foglia al pensiero di
fare
l’amore con suo marito.
Alla
fine entrò. I suoi occhi ci misero un po’ ad
abituarsi all’oscurità della stanza. Vegeta era
sdraiato sul letto con le
braccia incrociate dietro la testa. Poteva vedere i deboli riflessi
lunari
allungarsi sul suo torace nudo.
“Nostro
figlio ha pensato che tu preferissi l’altro
a lui…”, disse per rompere il ghiaccio,
avvicinandosi e sedendosi sul letto.
“Che
assurdità! E dire che non fai altro che
vantarti di quanta intelligenza abbia preso da te.”
“Oh,
andiamo! Per una volta smettila di fare lo
stronzo e ammetti che è solo un ragazzino e che potresti
andarci più piano con
lui.”
Vegeta
la guardò senza rispondere. Stranamente non
considerava tutti gli insulti come tali; quello, in particolare lo
prendeva
quasi come un complimento. Come “carogna” o
“pervertito”. Se avesse voluto
farlo arrabbiare avrebbe dovuto dargli dell’ignorante o del
pallone gonfiato.
“Lo sai qual
è la cosa più divertente di questa
serata?”
Bulma
studiò i contorni del suo viso
nell’oscurità.
Era decisamente troppo che i suoi lineamenti disertavano i suoi sogni.
“No,
cosa?”, domandò la donna curiosa.
“Che
sei nonna.”, rispose lui con un ghigno
malefico.
“E
tu sei uno stronzo! Ecco cosa sei!”, rispose lei
solo falsamente stizzita. In cuor suo invece era sollevata che il sayan
fosse
così allegro da punzecchiarla.
“Non
parliamone più, comunque.”, rispose la donna.
“Trunks
non deve saperlo e poi… sappiamo che il
nostro futuro sarà diverso. Lui non sarà mai
nostro nipote.”
“Non
c’è bisogno che me lo dici.”, rispose
lui
mettendosi a sedere.
Bulma
notò i suoi occhi di nuovo fiammeggianti come
lo erano stati poco prima nell’ascensore e ritrovò
il timore con cui era
entrata nella stanza. Vegeta la attirò a sé e
Bulma sussultò alla sua presa
ferrea. Il suo odore misto a quello dell’alcol consumato la
colpirono come un
pugno nello stomaco.
“Non
voglio avere altri problemi.”, disse il sayan
scostandole la vestaglia dalle spalle.
Bulma
capì a cosa si stava riferendo. Si sentì
comunque ferita perché, nonostante in quel momento non
riuscisse a pensare di
provare ad avere un’altra gravidanza, il tono di Vegeta
implicava che il
capitolo fosse definitivamente chiuso.
“Non
credo che succederebbe neanche se lo volessi.
Comunque se preferisci ricomincerò a prendere
precauzioni.”
Vegeta
non disse altro; si limitò a sollevarla alla
sua altezza e a cominciare a coprirle il collo e le spalle di piccoli
morsi,
mentre le sue mani calde affondavano nei suoi tonici glutei.
L’ansia
di Bulma si dissolse in pochi istanti. Il
tocco di Vegeta, che solo poche ore prima le era sembrato
così insipido e
impersonale, ora la faceva vibrare fin nel profondo come una corda
tesa. Era
come se, svegliatosi dopo un lungo coma, il suo corpo stesse ricordando
come
muoversi all’unisono con quello del sayan. Spiazzò
Vegeta affondando una mano
nei suoi capelli e baciandolo con foga, mentre assumeva una posizione
più
comoda in braccio a lui.
Quanto
tempo ci mise ad arrivare a quel momento non
poteva più dirlo, annebbiata dai cocktail e dai baci del
principe dei sayan, ma
quando finalmente lo sentì dentro di sé seppe di
essere il beduino disperso che
ritrova la sua oasi. Non le restava che bere. Bere fino a scoppiare,
fino a che
la sete non fosse stata solo un ricordo lontano e sbiadito.
Come
aveva fatto a pensare di poter stare così a
lungo senza provare quell’inebriante sensazione di desiderio?
Come aveva fatto
a rimanere per così tanto tempo distante da
quell’uomo, quand’era chiaro che
nemmeno in quel momento lo sentiva abbastanza vicino? La sua pelle
bruciava al
contatto con quella di Vegeta, ma non era sufficiente. Avrebbe voluto
fondersi
con lui per non doversene mai separare, per non dover mai tornare a
tenersi a
distanza come facevano fuori da quel letto.
Un
ricordo la portò lontano. A una decina di anni
prima…
Cell
era stato sconfitto. Trunks era appena tornato
nel futuro e lei si chiedeva se e quando Vegeta, che ancora si ostinava
a
gironzolare per la sua casa, sarebbe partito di nuovo. Continuava a
ripetersi
di essere pronta. Non si erano parlati poi molto in quei giorni caotici
ed ogni
volta che lo incrociava cercava di apparire del tutto disinteressata
alla sua
presenza, come se il bambino che aveva in braccio per la maggior parte
del tempo
non lo avesse concepito con lui. Sicuramente, una mattina o
l’altra si sarebbe
svegliata e avrebbe scoperto che la navicella creata da suo padre non
c’era
più, così come il gelido principe dei sayan. Non
lo avrebbe mai più rivisto,
finalmente.
Invece
una notte era semplicemente entrato dalla
finestra, spaventandola a morte. Aveva sorriso diabolico agli insulti e
non si
era mosso quando lei l’aveva esortato ad uscire dalla sua
stanza. Lei gli aveva
chiesto se fosse passato a salutarla prima di partire, ma lui aveva
risposto
che non aveva nessuna intenzione di andarsene.
E
tutte le sue barriere erano crollate.
Si
era lasciata sollevare e spogliare, nonostante il
suo istinto di autoconservazione le urlasse di scappare il
più lontano
possibile. Avevano fatto l’amore ed era stata la cosa
più dolorosa e straziante
che lei avesse mai provato prima, perché finalmente aveva
ammesso a se stessa
di amarlo. E durante il terzo o forse quarto amplesso glielo aveva
detto. Gli aveva
detto “ti amo” prima di affondargli i denti nella
spalla e le unghie nella
schiena, per la rabbia e la frustrazione. E lui aveva riso. Nel solito
modo
freddo e crudele. Le aveva restituito il morso, strappandole un gemito,
e l’aveva
chiamata “stupida terrestre selvaggia”.
Sapeva
che dopo quella notte non sarebbe più stato
possibile fare a meno di lui. In pochi secondi quell’alieno
aveva messo a nudo
la sua anima, distrutto tutte le difese faticosamente riconquistate
dopo il suo
abbandono.
Lo
amava. Lo amava a tal punto da desiderare di
morire lì, in quel momento. Si era ritrovata a pregare che
lui la uccidesse
prima che tutto fosse finito, così da non dover soffrire di
nuovo. Sarebbe stato
così facile… abbandonare questo mondo tra le sue
braccia coperte di cicatrici,
per mezzo della sua stretta ferrea sul collo sottile…
Il
mattino dopo si era svegliata stanca e dolorante,
confusa e imbarazzata, ma viva. E la navicella di suo padre era ancora
al suo
posto. Non se ne sarebbe più andata.
Quando
Bulma riemerse dal suo ricordo si ritrovò
ansante, abbandonata sul corpo marmoreo del sayan. Chiuse gli occhi,
cullata
dal suo respiro e dai battiti profondi del suo cuore. Forse lui
l’avrebbe
lasciata dormire così vicina…
“Non
pensare che sia finita qui, donna. Mi devi un po’
di arretrati.”
Riaffiorare
dal sonno non era mai stato così facile.
Eccoci
qua… spero
che abbiate apprezzato il capitolo. L’ultima
parte, legata al ricordo di Bulma, l’ho inserita
perché ho avuto una
folgorazione ascoltando JAR OF HEARTS e ho pensato a come doveva
essersi
sentita Bulma al ritorno del principe. Una piccola precisazione
biologica (per
chi non lo sapesse): l’adrenalina è
l’ormone prodotto in risposta allo stress a
breve termine, quello che ci consente di scappare o combattere di
fronte ad un
pericolo o un imprevisto; il testosterone media il desiderio sessuale
maschile.
Fino a poco tempo fa si credeva che l’ossitocina intervenisse
solo durante il
parto e l’allattamento; oggi si sa invece che è la
principale spiegazione
biologica dell’attaccamento alla prole e
dell’innamoramento. Spero di non
avervi annoiato. un ringraziamento a chi ha fornito l'immagine. A presto!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Cap. 9 Somebody that i used to know ***
Ciao
a tutti, ecco un capitolo che mi
sono divertita molto a scrivere e spero che vi piaccia. La canzone
è di Gotye. Ringrazio
per l’ennesima volta tutti coloro che recensiscono e che
recensiranno. Non vedo
l’ora di leggere i vostri commenti e suggerimenti! Buona lettura a tutti!
CAP. 9 – SOMEBODY THAT I
USED TO KNOW
Vegeta
infilò la cintura nei passanti dei pantaloni,
rivolto verso l’enorme vetrata. Centoventi piani sotto di lui
la vista
sull’immenso West Park e sul fiume che portava lo stesso nome
avrebbe tolto il
fiato a qualsiasi terrestre. Lui, che terrestre non era, si
limitò ad osservare
con scarso interesse il riverbero del sole sull’acqua e i
battelli che
seguivano il corso del fiume simili a pigri tronchi galleggianti.
Aveva
sempre saputo che Bulma mostrava una spiccata
tendenza alla teatralità, perciò non si era
stupito, pochi anni prima, di
scoprire che la nuova sede amministrativa della Capsule Corporation
sarebbe
stata l’edificio più alto della città e
che la donna avrebbe sistemato il suo
ufficio personale all’ultimo piano.
“Dov’è
la mia scarpa?”
Vegeta
distolse lo sguardo dal panorama.
“Maledizione,
dove diavolo è finita?”, sbraitò la
donna sistemandosi meglio la camicia all’interno della gonna.
Vegeta
pensava che fosse tutta fatica sprecata.
Chiunque fosse entrato in quel momento avrebbe senz’altro
capito che avevano
appena fatto sesso. Le guance infiammate della donna e i suoi capelli
scarmigliati, nonché la scarpa ancora dispersa non
lasciavano spazio
all’immaginazione.
“Non
potresti aiutarmi, invece di restare lì
impalato?”
“Che
vuoi che me ne importi?”
Bulma
lo trafisse con lo sguardo, ma voltarsi verso
di lui le consentì di individuare la latitante calzatura in
un angolo tra gli
schedari. La donna si affrettò a recuperarla e, quasi nello
stesso istante in
cui la infilava al piede, bussarono alla porta.
“Avanti!”,
disse Bulma dandosi un’ultima frettolosa
sbirciata ai vestiti.
“Le
ho portato il caffè, capo.”, esordì il
nuovo
arrivato.
Vegeta
squadrò il ragazzo con irriverenza. Aveva
tutta l’aria di essere il suo segretario. Di sicuro non era
casuale che lei non
gli avesse accennato al fatto di avere un uomo come assistente.
Figurarsi;
quella donna lo sommergeva di chiacchiere inutili sul suo lavoro e
ometteva
l’unica cosa che avrebbe davvero catturato la sua attenzione.
Quando il giovane
si accorse della sua presenza, il sorriso spavaldo con cui era entrato
lasciò
il posto alla sorpresa ed alla curiosità.
“Oh,
mi scusi… non sapevo che fosse impegnata. A
dire il vero non faccio entrare nessuno da ore…”
“Tutto
a posto, Patrick. Puoi lasciare il caffè.”,
disse Bulma prendendo posto sulla poltrona girevole.
Vegeta
notò che aveva il labbro superiore
leggermente contratto; segno che qualcosa di quella situazione non le
andava a
genio. Per lui era sempre stato essenziale imparare ad interpretare il
linguaggio del corpo dell’avversario, nello spazio di una
battaglia. Quel
nemico in particolare occupava l’altra metà del
suo letto da anni ed ormai ogni
piccola sfumatura della sua voce ed ogni spasmo involontario del suo
viso gli
erano familiari.
L’idiota
incravattato parve ricomporsi: “Il signore
desidera qualcosa?”
“Sì,
che tu sparisca.”, gli disse Vegeta con rudezza,
lasciandolo di stucco.
Il
giovane cercò gli occhi di Bulma per ricevere
istruzioni. Il principe dei sayan trovò che fosse
professionale da parte sua,
anche se sentiva l’odore della sua paura permeare la stanza.
“Vai
pure, Patrick. Ti chiamo io se ho bisogno.”
Il
ragazzo lanciò un ultimo fugace sguardo allo
sconosciuto apparso da chissà dove ed uscì
dall’ufficio. Bulma sembrò
rilassarsi un po’.
“Hai
intenzione di spaventare a morte tutti i miei
dipendenti?”
Vegeta
non la degnò di una risposta.
“L’ultima
segretaria che ti ha visto entrare qui
dentro volando è ancora in cura
dall’analista.”, disse la donna tirando fuori
uno specchio dal cassetto più vicino.
“E
tu l’hai sostituita con un uomo?”
Il
sayan la vide posare il rossetto e cercare di
nascondere un sorriso malvagio. Dio, a volte pensava di aver scelto
come
compagna il suo alter ego femminile.
“Sei
geloso, per caso?”
“Che
vuoi che me ne importi? È solo uno stupido
terrestre.”
“Però
è molto efficiente.”, replicò lei
appoggiando
la penna sulle labbra. “E devo ammettere che è
bello da guardare…”
“Allora
perché non lo richiami?”, disse il sayan
pacato, girando attorno alla scrivania sulla quale poco prima avevano
soddisfatto la loro libido. “Così puoi guardarlo,
mentre io mostro a lui cosa
ti piace…”
Bulma
alzò lo sguardo dalle sue carte per fissarlo.
Vegeta poteva immaginare gli ingranaggi del suo cervello lavorare
frenetici per
valutare l’effettiva pericolosità di quella
minaccia.
“Per
quanto l’idea mi alletti, io ho un lavoro,
tesoro. E comunque… com’è che oggi non
ti sei allenato nemmeno un po’?”, gli
disse appoggiandosi alla scrivania, rivolta verso di lui.
“Non
ci si allena il giorno prima di un
combattimento.”
Bulma
ci mise qualche secondo a capire, ma quello
che aveva sentito non sembrava piacergli affatto.
“No!
Scordatelo, Vegeta! Tu e Goku non combatterete
domani!”
“Perché
non dovremmo?”, rispose incrociando le
braccia strafottente.
“Perché
è il matrimonio di suo figlio! Ci sono
almeno un milione di motivi per cui non dovreste farlo.”
“Aspetteremo
che tutta l’inutile festa sia finita…”
“Senti…”,
disse la donna massaggiandosi le tempie
con le mani. “Non me ne parlare nemmeno. Non voglio sapere
niente. Assicurati
solo che Trunks vada a tagliarsi i capelli e restate nei paraggi
perché dovete
provarvi gli smoking.”
“Tsk!”,
replicò lui sprezzante. “Perché dovrei
mettermi dei vestiti così ridicoli?”
Bulma
lasciò la sua postazione per avvicinarsi con
passo felino e vagamente intimidatorio. Ormai Vegeta ci era abituato,
ma ancora
l’istinto gli suggeriva di allontanarsi dal potere che lei
emanava in certe
occasioni.
“Lo
metterai, tesoro. Lo metterai e sarai
ricompensato oltre ogni immaginazione.”
Il
principe si vide per l’ennesima volta togliersi
l’invisibile corona dal capo e posarla su quello tanto
delicato quanto
diabolico della consorte. Ci volle tutta la sua forza di
volontà per lasciare
che lei si allontanasse.
“Niente
che io non possa prendermi con la forza.”,
replicò scaltro.
“Oh,
questo è certo. Ma sei sicuro che ti darebbe la
stessa soddisfazione, maestà?”
Le
sue labbra piene nascondevano le fauci fameliche
di una sirena. I suoi occhi brillavano di feroce malizia.
Maledetta
donna. Avrebbe vinto così facilmente…
Mentre
sorvolava la città dell’Ovest diretto verso
casa, Vegeta pensava agli avvenimenti degli ultimi mesi. Dopo la
partenza di
Trunks aveva temuto che Bulma potesse tornare a sprofondare nel suo
limbo
personale, invece sembrava essersi risollevata con notevole grinta.
Sapevano
tutti però che il suo essersi ributtata a capofitto nel
lavoro le serviva per
non dover ripensare a quanto aveva vissuto. Tra l’azienda,
Trunks, le sessioni
straordinarie di sesso come quella appena conclusa, il suo dannato
nuovo
passatempo di uscire a bere con le sue amiche, non le restavano energie
né
tempo per rievocare la maternità sfumata.
Vegeta
era convinto fosse solo questione di tempo.
Prima o poi sarebbe tornato tutto alla normalità e forse
avrebbe avuto fine
anche la sua ridicolmente ingigantita ossessione per il suo aspetto
fisico. A
lui non poteva importare di meno che le fossero comparse le prime rughe
o che
le sue mani sembrassero più raggrinzite. Il fatto che lui
non fosse
particolarmente cambiato negli ultimi dieci anni sembrava essere per
lei
ulteriore motivo di malumore. Tutto ciò che poteva fare per
toglierle quelle
stupide fissazioni era dimostrarle che la desiderava esattamente come
il primo
giorno in cui aveva messo piede sul pianeta.
Aveva
capito subito perché la donna aveva cominciato
a stuzzicarlo così sulla gelosia. Trattandosi di Bulma,
probabile che il tutto
servisse solo a rafforzare la sua già incrollabile
autostima, ma considerava
più plausibile che in quel momento lei avesse più
bisogno di essere ammirata. A
volte gli dava davvero sui nervi che alludesse a giochi di sguardi
avvenuti per
la strada con sconosciuti, ma spesso la cosa finiva per eccitarlo
parecchio, a
vantaggio di entrambi.
La
conosceva più di quanto non avesse mai conosciuto
nessuno.
Atterrò
sul terrazzo principale. La porta finestra
rimaneva sempre aperta per lui.
Appena
entrato in salotto si accorse di non essere
solo. Trunks era già a casa, sdraiato sul divano a giocare
ai videogames. Non
appena individuò la sua ombra, il ragazzino
spostò in fretta i piedi dal
tavolino di vetro, salvo poi rimetterceli quando si rese conto che era
il padre
ad essere entrato nella stanza.
“Ciao…
pensavo fosse la mamma.”, disse riprendendo
il joystick che aveva lanciato lontano.
“Non
dovresti essere a scuola?”, chiese secco il
principe dei sayan.
“Ehmmm…
sono uscito prima.”
Le
orecchie gli si tinsero di rosso. Non era poi
così difficile capire che stava mentendo, neanche per
qualcuno che non fosse
stato suo padre.
“Sta’
tranquillo. Non lo dirò a tua madre.”
Trunks
gli rivolse un sorriso complice, abbandonando
il suo gioco.
“Glielo
dirai tu.”, aggiunse il sayan.
Vegeta
trovò il cambiamento d’espressione di suo
figlio molto divertente.
“Era
solo una stupida ora di geografia, papà!”,
provò a giustificarsi il ragazzino.
“Non
m’importa. Fosse per me potresti anche non
andarci per niente in quella stupida scuola, ma tua madre non tollera
di avere
un figlio ignorante.”
“Ma
io sono il primo della classe!”, provò a
protestare il piccolo sayan imbronciato.
“Ci
mancherebbe altro. Sei forse un volgare
terrestre?”
Trunks
sbuffò rabbioso e si diresse verso la cucina.
Vegeta lo raggiunse poco dopo attratto dal suono del frigorifero che si
apriva.
Di solito a quell’ora la madre di Bulma era già
passata in quell’area della
casa a depositare un gran quantitativo di cibo.
“A
che ora torna la mamma? Così so quante ore di
libertà mi restano…”
“Non
fare tutte queste storie. E comunque la tua
libertà finisce ora; ha detto che devi tagliarti i capelli
per domani.”, disse
il sayan prendendo una ciotola di pollo marinato.
Trunks
si lasciò cadere pesantemente sulla tavola
con un enorme piatto di gamberi alla piastra.
“Fantastico.
Anche Goten è stato costretto.”
Vegeta
raggiunse il tavolo e si sedette. A quanto
pare non era l’unico a non fare salti di gioia alla
prospettiva del giorno dopo.
“Satan
City!”, continuò a protestare Trunks.
“Scommetto che resteremo tutto il giorno chiusi in
quell’albergo ad annoiarci a
morte.”
“La
dannata festa è all’aperto. Possiamo sempre
volare via.”
“Tu,
magari. Se io ci provassi la mamma mi
metterebbe agli arresti per un mese!”
Vegeta
pensò che Trunks non aveva idea di quello che
Bulma avrebbe potuto fargli se fosse andato via dalla cerimonia.
“Goten
ha detto che cercherà di convincere suo padre
a sgattaiolare via per andare a pescare. Te lo immagini? Se potessimo
farlo
anche noi, ci divertiremmo un sacco. Potremmo anche sfidarci. Non ti
andrebbe
l’idea?”, lo incalzò Trunks speranzoso.
“Tua
madre ci darebbe il tormento.”
Anche
se l’idea di trascorrere la giornata a pescare
e combattere con il suo rivale e i marmocchi cominciava a sembrargli
niente
male.
“È
vero, però sai una cosa?”
Trunks
lo guardò con i grandi occhi azzurri colmi di
innocente malignità.
“Se
facciamo in modo che loro vadano via per primi,
possiamo sempre dire che non è colpa
nostra…”
Vegeta
ingoiò l’ultimo pezzo di pollo. Decisamente
Trunks aveva ereditato il suo stesso senso etico.
Bulma
si guardò allo specchio per l’ennesima volta.
Era pronta. Era bellissima. Allora perché continuava a non
piacersi?
La
ginnastica degli ultimi mesi l’aveva resa più
tonica per non parlare dei costosissimi trattamenti di bellezza che
aveva
fatto, tra cui un’unica iniezione di acido ialuronico che
doveva restare
assolutamente segreta, eppure continuava a vedere il suo corpo
sfaldarsi sotto
i suoi occhi. Nemmeno quel favoloso vestito pagato una fortuna la
faceva
sentire perfetta. A sentire Vegeta stava
diventando matta. Anzi, si era recentemente lamentato del
fatto che
stesse diventando troppo magra. Figurarsi! Con la fatica che faceva per
mantenere la linea!
Si
spruzzò un’ultima volta un alone di profumo e si
preparò ad uscire dalla stanza. Si augurava che Vegeta e
Trunks fossero pronti.
Al matrimonio ci sarebbe stata metà Satan City, tra cui
moltissime personalità
che investivano nella sua azienda. Il volto pubblico della Capsule
Corporation
stava per vivere una giornata stressante.
Giunta
in soggiorno, Trunks la superò di corsa
diretto in corridoio.
“Dove
stai andando? L’aeromobile ha già il motore
acceso!”
“Ho
dimenticato una cosa! Ci vediamo sulla
piattaforma!”
“Non
sgualcirti il completo, chiaro?”
Trunks
era già sparito dalla sua vista. Entrò in
cucina per l’ultimo bicchiere prima della partenza. Vegeta
era lì a sfogliare
distrattamente un quotidiano.
“Ah,
bene. Sei pronto. A quanto pare non sarà poi
così disastrosa questa giornata.”
Vegeta
alzò gli occhi. Non era di ottimo umore, ma
pretenderlo in effetti sarebbe stato troppo.
“Hai
fumato.”
Bulma
trasalì.
“Perché,
si sente?”, chiese allarmata.
“Io
lo sento.”, disse il sayan avvicinandosi. “Ed
è
rivoltante.”
“Oddio!”,
disse Bulma girando i tacchi per correre a
fare un altro bagno di profumo, ma Vegeta la trattenne per un braccio.
In
pochi istanti si ritrovò seduta sul bancone della
cucina con Vegeta che ansimava sul suo collo e con le sue mani sulle
cosce.
“Cosa
fai, Vegeta?!”, disse cercando invano di
allontanarlo.
Vegeta
si ritrasse per guardarla negli occhi.
“Ho
detto che puzzi, non che tu non sia uno
schianto.”
Sul
viso della donna affiorò un sorriso. Per un
secondo dimenticò di avere messo il rossetto con precisione
millimetrica e si
protese per baciarlo…
“Che
schifo!”, urlò Trunks entrando in cucina in
quel momento ed uscendone altrettanto di corsa. Bulma si
affrettò ad
allontanare Vegeta con una spinta e a scendere dal ripiano.
“Non
potete farlo in camera come tutte le persone
normali?! Cosa ho fatto per avere dei genitori tanto
disgustosi?”, urlò il
ragazzino dal soggiorno.
Bulma
si sistemò il vestito paonazza e guardò
Vegeta. Quell’idiota sembrava divertito. Per fortuna non si
erano fatti trovare
in una situazione più compromettente.
“Trunks,
tesoro, non stavamo facendo ni…”
“Shhhh!
Non dire niente, ti prego! Così forse
riuscirò di nuovo a mangiare in quella stanza!”
Bulma
seguì Vegeta fuori dalla cucina. Trunks stava
sistemando delle capsule in uno zaino.
“Adesso
non esagerare, per favore.”
Ultimamente
faceva il melodrammatico per un
nonnulla.
“Tu
non puoi capire! Non sai cosa significa girare
in casa tua ed aver paura di voltare l’angolo,
perché dietro possono esserci i
tuoi a fare…”
“Sì,
sì, abbiamo capito!”, concluse Bulma. Si era
resa conto che il ragazzino non era per niente sconvolto, ma che si
stava
dilettando nel prenderli in giro.
“Io
non la farei così lunga, ragazzino.”, intervenne
Vegeta con sommo stupore di Bulma.
“In
fondo, è grazie a quello se tu sei qui.”
“Vegeta!”,
sbraitò Bulma, mentre Trunks fingeva
conati di vomito.
La
cerimonia era stata molto toccante. Si era
persino commossa a vedere il piccolo Gohan mettere l’anello
al dito di una
raggiante Videl. Chichi si era sciolta in lacrime fin dal primo istante
e Goku
era rimasto al suo fianco tutto il tempo, sprizzando orgoglio da tutti
i pori.
Per quanto riguardava lei, era finalmente riuscita a rilassarsi. Aveva
catturato le attenzioni di tutti, ricevuto molti complimenti e
soprattutto
aveva mantenuto la sua famiglia nei ranghi fino a quel momento.
Trunks
era sparito con Goten da un po’, ma Bulma
dubitava che avrebbe combinato chissà cosa, visto che gli
aveva sequestrato
tutte le sue capsule, dopo averle scoperte piene di videogiochi,
attrezzatura
da pesca, fuochi d’artificio e fucili da paint-ball. Vegeta
invece era ancora
accanto a lei. Estremamente annoiato, certo. Ma almeno c’era.
“Non
capisco a cosa serva questa pagliacciata,
comunque.”, si lamentò il sayan per
l’ennesima volta.
“Te
l’ho già detto! È così che
fanno le persone per
bene. Prima si fidanzano, poi si sposano, vanno a vivere insieme e
infine fanno
dei figli.”
“Tu
non hai fatto così.”
“Però…
che occhio, Vegeta! Complimenti!”
Il
sayan parve pensarci un po’ su.
“Ho
sempre saputo che eri una donnaccia.”
Fu
una delle tante volte in cui Bulma si dimenticò
di avere un compagno della consistenza del cemento armato. Il pugno che
gli
diede non solo non ebbe nessun effetto su di lui, ma le fece vedere
anche le
stelle per il dolore.
“Sei
sempre il solito cafone!”, disse massaggiandosi
la mano.
Vegeta
le voltò le spalle stizzito e si diresse
verso il tavolo degli antipasti. Bulma sospirò.
Ancora
qualche ora e sarebbe tutto finito. Al
contrario di quello che tutti pensavano, lei non aveva mai rimpianto di
non
essersi sposata. I matrimoni erano cose da romantici, sognatori e
tradizionalisti. Lei non aveva mai aspirato a percorrere la navata
vestita di
bianco. Aveva sempre sperato di incontrare il principe azzurro; questo
sì. E
quel principe era arrivato anche se non proprio del colore giusto. Non
aveva
mai pensato al matrimonio prima; farlo a quel punto sarebbe stata una
vera
follia.
Si
guardò intorno furtivamente e aprì la borsetta
per tirare fuori una sigaretta. Individuò il posto giusto
per non essere vista
e ci si avviò. Doveva ammettere che quell’albergo
era magnifico. I giardini in
cui era stato allestito il ricevimento erano pieni di splendidi fiori,
nonostante fosse ormai giunta la fine dell’estate. Un
frutteto ed un laghetto
con i cigni avevano attirato la sua attenzione perché
più riparati. Bulma si
avvicinò ad una panchina costeggiante la riva e si sedette.
Aveva proprio bisogno
del suo piccolo vizio…
“Ehilà!”
Bulma
quasi si soffocò con il fumo appena inalato.
“Go-Goku!
Mi hai spaventata!”
“Oh,
scusa…”, disse l’amico allegramente.
“Dì
un po’, non sai che ti fa male quella roba?”
“Ti
prego, non ti ci mettere anche tu.”, disse lei
buttando a malincuore la sigaretta.
“Come
stai?”, le chiese il sayan sedendosi vicino a
lei.
“Tu come
stai! Tuo figlio si è appena sposato!”,
replicò la donna con un gran sorriso.
“Già…”,
rispose Goku pensieroso.
“Ti
sembro patetico se ti dico che mi sembra ieri il
giorno in cui è nato?”
“No,
non lo sei. Credo che per i genitori, i figli
restino sempre bambini.”
“Sarà
così…”, disse il sayan incrociando le
braccia
dietro la testa.
Lo
smoking gli donava, ma si vedeva che gli dava
fastidio.
“È
tutto il giorno che volevo parlarti sai, Bulma?”
Bulma
fu sorpresa di quella rivelazione.
“Ah
sì? E cosa volevi dirmi?”
“Ti
ricordi il nostro primo incontro?”
“E
come potrei dimenticarlo? Ho cercato di
ucciderti!”
“Già.”,
rise Goku.
“Anche
quello mi sembra successo ieri.”
“E
invece sono passati più anni di quanti non voglia
ammettere.”, disse la donna sospirando.
“Pensavo…
se io e te non ci fossimo mai incontrati…
se tu quel giorno non mi avessi investito con la tua auto, dove saremmo
oggi?”
Bulma
si ritrovò a pensarci per la milionesima
volta.
“Non
ne ho proprio idea, Goku. Di sicuro non qui.”
“Esatto.”,
intervenne lui. “In un certo senso, è
merito tuo se io ho avuto tutto questo dalla vita.”
Bulma
lo guardò incredula.
“Ma
che dici, Goku?! Sei
tu che hai salvato la Terra innumerevoli
volte!”
“Sì,
è vero.”, replicò Goku.
“Però l’ho fatto perché
tu mi hai convinto a seguirti.”
“Oh,
Goku!”, rispose Bulma colpita. “È
così carino
da parte tua. Io penso la stessa cosa di te. Se non ti avessi
incontrato, non
avrei vissuto tutte le nostre avventure, non avrei mai incontrato
Vegeta…”
“E
io non avrei mai incontrato Chichi. E ricordati
che tu hai mandato tuo figlio dal futuro a salvarmi la
vita.”, la interruppe
Goku.
“Se
vogliamo metterla così allora, mi prendo tutto
il merito.”, disse scherzosa.
“Comunque
sono davvero felice per te, Goku. Chi
poteva immaginare che quel bimbetto pasticcione avrebbe avuto una
famiglia così
perfetta?”
“E
tu allora? Te lo saresti mai immaginata di
mettere su famiglia con un sayan?”
Bulma
si fermò ad osservare due incantevoli cigni scivolare
placidi sull’acqua, baciati dal sole settembrino.
“Non
siamo perfetti, ma sono felice lo stesso.”
“Che
strano…”, disse Goku fissando i cigni a sua
volta. “Chichi dice sempre che sei più fortunata
di lei.”
“Cosa?
E perché?”, si stupì Bulma.
“Beh…
devi ammettere che quello che avete tu e
Vegeta non si incontra molto spesso. Chichi dice sempre che la misura
di un
amore dipende dall’entità del cambiamento che
comporta.”
Bulma
tornò a rivolgere lo sguardo al suo amico.
Goku sapeva sempre come farla sentire speciale. Nei momenti
più bui, lui sapeva
sempre come farle ritrovare la speranza.
“Ti
ringrazio, Goku.”
“Solo
una cosa.”, disse lui, sempre rivolto al
laghetto. “So che è stato un periodo difficile per
te, ma non mi sembra che tu
stia facendo tutto il possibile per tirartene fuori.”
Bulma
sussultò. Come faceva a sapere che lei non aveva
ancora superato del tutto la cosa? Era stata così attenta a
non darlo a vedere. A volte, con tutto quello che faceva per tenersi impegnata,
se ne
dimenticava persino lei.
“Non
pensare che i tuoi genitori o Vegeta non lo
sappiano. Non hai notato che ti trattano tutti con i guanti?”
Bulma
deglutì a fatica.
“Io…”
“Mi
fa rabbia, ecco. La Bulma che conosco non ha
bisogno di essere compatita. Hai dimenticato tutti i pericoli che hai
affrontato?”
Bulma
strinse i pugni sulle gambe. No, non aveva
dimenticato. Sapeva che Goku aveva ragione fino in fondo e non capiva
come mai
lei continuasse a rimpiangere ciò che non poteva avere.
“Bulma...”,
disse Goku prendendole delicatamente la
mano. “Vogliamo che torni ad essere quella che fronteggiava
il Red Ribbon senza
paura, quella che partiva per Namecc piena di speranze e che veniva a
vedere i
cyborg su una scatola di latta…”.
Bulma
scoppiò a ridere, visibilmente commossa.
“Come
fai a farmi sentire così, Goku? Come fai a
farmi credere di avere ancora 16 anni?”
“Perché
tu li hai ancora, Bulma. Dentro sei sempre
quella ragazzina un po’ matta che mi ha fatto vedere il
mondo.”
Bulma
si lasciò abbracciare dal suo migliore amico. Per
un istante le sembrò davvero di stringere il piccolo
selvaggio incontrato sulle
montagne. Poteva quasi sentire la sua lunga treccia che oscillava nel
vento, il
Dragon Radar nelle tasche pronto a condurli verso una nuova,
meravigliosa
avventura…
D’un
tratto Goku si scansò, come se fosse stato
punto da un insetto. Quasi spaventato, il sayan si guardò
attorno confuso.
“Cosa
c’è, Goku?”, disse Bulma allarmata.
Il
sayan la guardò incredulo.
“Bulma,
io non lo sapevo…”
“Che
cosa? Cosa non sapevi?”
Bulma
non riusciva a capire. Si alzò in piedi temendo
chissà quale catastrofe imminente.
“Tu
non puoi sentirla, la sua aura. Beh… i miei
complimenti.”
Goku
stava indicando il suo addome sorpreso.
“Quale
aura, Goku?”, ribatté Bulma frustata. Ma un
pensiero a dir poco assurdo si stava lentamente insinuando nella sua
testa.
“Il
tuo… sì, insomma il tuo bambino.”,
disse Goku.
A
Bulma mancava il fiato. Le gambe cominciarono a
tremarle violentemente e fu costretta ad aggrapparsi alla panchina per
non
cadere.
“B-Bulma…
Tutto bene?”
Non
poteva essere vero. Doveva andare a casa…
Eccoci ormai
al nono capitolo!
Spero che l’OOC di Goku non vi abbia dato troppo fastidio
(avevo davvero
bisogno che facesse un po’ l’uomo maturo in questo
capitolo!) e che il mio
Trunks vi abbia fatto ridere quanto fa ridere me, mentre immagino le
sue
battute. Per quanto riguarda Vegeta e Bulma in questo capitolo non
c’è stata
moltissima interazione ma vi prometto che il prossimo sarà
apprezzato dai
lettori più romantici (almeno spero…). Vi prego,
recensite! A presto!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Cap. 10 Somewhere only we know ***
Aggiorno
in tempo record (per i miei standard!), per lasciarvi uno dei capitoli
che mi
stanno più a cuore. L’ho modificato pochissimo,
per cui è esattamente come
quando lo scrissi cinque o sei anni fa ed è uno dei pochi di
cui conoscevo il
titolo ancora prima di cominciare ad elaborarlo. Spero che lo stile non
si
discosti troppo dai precedenti e che vi piaccia. Sono sempre molto
contenta dei
vostri commenti, per cui vi prego di non farmeli mancare in questo
capitolo
così importante.
Lo
dedico a tutti voi che recensite ma soprattutto a Sophya, che non manca
mai di
darmi il suo parere su ogni cosa che scrivo! Grazie!
CAP.
10 – SOMEWHERE ONLY WE KNOW
Il
prato su cui era seduta era maledettamente umido.
Non aveva di certo avuto la presenza di spirito per vestirsi in modo
adeguato,
quando era uscita da casa sconvolta ed ora il suo leggero vestito di
raso
sembrava davvero inutile.
Da
quanto tempo era lì? Pochi minuti o poche ore? Si
era alzato un venticello fresco, ma ancora il tepore del sole morente
riusciva
a impedire che lei tremasse. Alle sue spalle la foresta rigogliosa
appariva
placida come sempre.
Si
era sempre stupita di quanto poco pericoloso le
sembrasse avventurarsi da sola in un posto come quello. Certo,
c’erano delle
case appena oltre la collina, ma una belva feroce avrebbe potuto
divorarla
ancora prima che fosse riuscita a gridare aiuto.
Eppure
si sentiva così al sicuro, in quel luogo.
Forse perché lo associava ancora al senso di salvezza che
l’aveva pervasa anni
prima, quando ci si era ritrovata per caso… Quando Namecc
era scomparso e la
Terra, la sua amata Terra, le era ricomparsa sotto i piedi.
Perciò
non le era sembrato strano che, appena
comparso il risultato positivo sul test di gravidanza, il suo primo
desiderio
fosse stato quello di tornare lì. Da molti anni una parte di
lei dimorava tra
quegli alberi. Un’ombra o forse un ricordo di se stessa si
aggirava nelle sue
profondità, cullato dal canto degli uccelli e dal fruscio
delle foglie nel
vento. Ci era venuta così tante volte…
La
prima era stata quando Vegeta aveva rubato
l’astronave di suo padre, per allenarsi nello spazio.
Chissà cosa l’aveva
spinta a posare di nuovo lo sguardo su quella soffice erba. A quel
tempo, per
lei il principe dei sayan non era che un rozzo scimmione maleducato che
scroccava cibo alla sua tavola. Possibile che una parte di lei
già soffrisse di
trovarsi così distante da lui? Allora, non aveva avuto
difficoltà a riconoscere
l’albero sotto cui il sayan si era sdraiato ad aspettare
notizie da Namecc,
come tutti loro. Ma questo non voleva dire nulla, aveva pensato. A chi
mai
poteva interessare dove fosse andato quel pazzo assassino? Di certo non
a lei.
Ma
poi ci era tornata. Molte volte. Aveva esplorato
i dintorni ed aveva scoperto il lago: una meraviglia della natura dal
colore
cristallino. Vi aveva fatto visita anche dopo che Vegeta era
ricomparso.
E
come dimenticare di come, fuggita turbata dopo che
il sayan l’aveva baciata con forza e gettata per terra
durante uno dei soliti
battibecchi, si era infine ritrovata lì, senza sapere come
ci fosse arrivata?
In quel momento aveva capito che la vita le avrebbe riservato
sofferenze e
follia. Perché cos’altro poteva aspettarsi una
donna che non aveva il benché
minimo timore di passeggiare in una foresta sperduta, nel cuore della
notte, né
tantomeno di essere stata baciata da un mostro spietato?
Ricordava
anche con estrema chiarezza di come si era
immersa nelle acque di quel lago una notte d’estate,
incurante di piovre
giganti e chissà quali altre creature
dell’oscurità e degli abissi. Nessuna di
loro poteva reggere il confronto con il demone a cui poco prima aveva
dato il
suo corpo. E sapeva anche che nessun livido, nessun graffio, le avrebbe
impedito di farlo di nuovo. Se cercava in quelle acque nere di
purificarsi
dalla grave colpa commessa, allora il suo tentativo era stato vano. Al
contrario, il freddo dell’acqua aveva intorpidito i suoi
sensi ed anestetizzato
le sue ferite, così che la vergogna e la disperazione
lasciassero spazio alla
tentazione ed alla caparbietà.
L’inferno
doveva essere così. Il fuoco ad accendere
le carni ed il ghiaccio a distruggere lo spirito. E testimoni le stelle
e la
terra sotto i suoi piedi nudi, aveva giurato che non si sarebbe tirata
indietro
da quel gioco mortale e che avrebbe continuato, fino a che le fauci
fameliche
del sayan non le avessero fatto esalare l’ultimo respiro.
Invece
lui non l’aveva uccisa. Notte dopo notte,
l’aveva piegata ai suoi più oscuri desideri, aveva
cercato di domarla con la
sua schiacciante superiorità fisica, ma non era mai riuscito
a ferirla.
Bulma
si ritrovò a pensare che qualcuno o qualcosa,
l’aveva sempre voluta viva. Anche quando il frutto di quella
passione malsana
aveva cominciato a crescere dentro di lei, lui non aveva dilaniato il
suo
ventre indegno, né aveva spezzato il suo fragile collo. Si
era limitato ad
andarsene, rendendola consapevole per la prima volta che
quell’alieno era lei e
che lei era quell’alieno. Due facce della stessa moneta, due
metà di una mela
avvelenata…
E
adesso era lì, per l’ennesima volta. A chiedersi
cosa il futuro aveva ancora in serbo per lei. A pregare che il suo
corpo
potesse essere ancora forte come un tempo, perché i sayan
nella sua vita
avevano sempre messo a dura prova la sua fragile natura terrestre, ma
l’avevano
anche ripagata di tutti i momenti più belli della sua vita.
Le
cose erano molto cambiate da quando si era
scoperta incinta per la prima volta. Vegeta ora le appariva del tutto
umano,
quasi completamente libero dal peso delle atrocità commesse
e subite nel
passato. Non lo credeva più capace di abbandonarla. Per lo
meno, non ora che
aveva così bisogno di lui. Perché qualunque cosa
fosse seguita alla sua
decisione di lottare per la vita di quel piccolo sayan, non sarebbe
stata
facile.
Sorrise
sconsolata. A quanto pare il destino aveva
deciso che i suoi figli dovessero arrivare nel mondo inaspettati e con
annesso
un bel carico di guai...
Un
leggero tonfo alle sue spalle la spaventò. Bulma
si voltò temendo un incontro ravvicinato con una tigre dai
denti a sciabola, ma
si sbagliava.
Alle
sue spalle, nel posto in cui troppe volte lo
aveva immaginato, c’era l’uomo per cui il suo
santuario naturale era stato
eretto.
Vegeta
si avvicinò a Bulma che lo guardava ancora
sorpresa.
Quando
Kakaroth gli aveva fatto gli auguri per il
bambino in arrivo, aveva creduto, per un momento, che Bulma avesse
complottato
contro di lui per raggiungere quello scopo fin dall’inizio.
Era volato a casa
furioso, ma lei non c’era. In compenso, però,
aveva trovato il suo test di
gravidanza ed aveva ricevuto conferma di quello che in
realtà già sapeva: Bulma
non aveva avuto la minima idea di essere incinta fino a quella mattina.
Sapeva
dove l’avrebbe trovata, anche senza seguire
la debole scia della aura.
Adesso
che ce l’aveva davanti, non si stupì di
trovarla confusa e preoccupata, ma soprattutto non si stupì
della totale
assenza di paura che percepiva. Esattamente come la prima volta che
l’aveva
incontrata, quella donna non aveva il minimo timore di affrontarlo.
Prima
che lei potesse dire o fare qualcosa, il sayan
si era già seduto sull’erba, a poca distanza da
lei. Se possibile, questo
sembrò stupirla ancora di più.
“Io…
sono andata via senza avvisarti…”, disse lei
riprendendosi.
“Questo
lo avevo notato.”
Bulma
non rispose. Non capitava molto spesso che lei
restasse senza parole, ma questo non era uno di quei momenti in cui
poteva
dirsi felice della cosa.
Vegeta
si tolse la giacca del vestito da cerimonia e
la posò senza grazia sulle spalle nude della donna.
“Vuoi
morire di freddo? Voi terrestri siete così
delicati!”, biascicò cercando di mantenere una
certa freddezza.
Bulma
lo ringraziò e si infilò la giacca. Il sole
ormai era quasi tramontato e la donna tornò a guardare il
lago, davanti a sé.
Era
strano starsene seduto così, accanto a lei.
Erano stati fisicamente intimi molto prima di esporsi emotivamente e di
conoscersi davvero, ma adesso quella vicinanza sembrava implicare una
sorta di
connessione mentale che lo metteva a disagio.
“È
colpa mia. Tu mi avevi avvisata ed io non sono
stata abbastanza attenta… ma pensavo fosse impossibile che
succedesse di
nuovo…”
“Ti
metterà in pericolo.”, la interruppe Vegeta.
Lo
disse perché la conosceva. Lo sentiva. Sapeva che
lei aveva già deciso cosa fare e che lui non le avrebbe
fatto cambiare idea, ma
stranamente la cosa lo sollevava.
Dov’era
finito l’odio profondo che aveva covato per
mesi verso quell’idea? Sembrava non esserne rimasta traccia.
Era preoccupato,
sì. Per Bulma, per quello che sarebbe successo se lei avesse
perso di nuovo il
bambino.
E
lui… quel microscopico essere, la causa di tutto
quel casino… Era preoccupato anche per lui. Quali tremende
ed orribili emozioni
avevano intaccato il suo animo da quando condivideva la dimora con dei
terrestri! Quella creatura, formata da una manciata di misere cellule e
con
un’aura appena percepibile, si era già presa un
posto tutto suo all’interno di
lui. Come aveva fatto quella che era venuta prima.
Non
riusciva nemmeno a tormentarsi per la mancanza
di rabbia e di disgusto. Una strana e
per lui innaturale calma lo pervadeva da quando aveva
messo i piedi a
terra.
Bulma
lo guardò sorridendo.
“Me
lo dicevano anche di te.”
Fu
il suo turno stavolta di fissare un punto
imprecisato della distesa d’acqua di fronte a lui.
Ricordava
bene di quando aveva sentito per la prima
volta l’aura di Trunks, mentre Bulma gli passava accanto nel
corridoio. Aveva
capito subito che lei già lo sapeva e la rabbia lo aveva
accecato. Come aveva
osato quell’inutile essere vivente fargli un affronto del
genere?
Bulma
si era dimostrata una vera furia quando aveva
capito che lui stava valutando quale modo fosse il migliore per
sbarazzarsi del
mezzosangue. Quando Vegeta le aveva ordinato di abortire se voleva
salva la
vita, lei aveva risposto con l’ardore di una leonessa ed
aveva cercato di
colpirlo.
Allora
lui era stato costretto a farlo… La sua mano
guantata si era avvolta intorno alla gola della gracile terrestre con
sorprendente facilità e Vegeta aveva avuto la certezza di
quanto sarebbe stato
facile e veloce, stringere intorno a quel collo e liberarsi una volta
per tutte
di entrambi i suoi problemi.
Lei
aveva smesso di agitarsi e di urlare. Si
limitava a fissarlo, incatenata dalla sua presa ferrea. Ancora un
istante e
quei fastidiosi occhi azzurri avrebbero smesso di tormentarlo,
avrebbero smesso
di scrutarlo in quel modo, sfidandolo senza un briciolo di terrore a
porre fine
alla sua vita…
Ma
la sua mano non si era chiusa.
Vegeta
ci aveva pensato molte altre volte negli
anni… a come sarebbe stato ucciderla, ma mai, né
prima né dopo quella volta,
era stato così vicino a farlo. E il suo fallimento lo aveva
sconvolto così
tanto che non aveva potuto passare su quel pianeta un giorno di
più. Era
partito quella notte stessa…
Adesso
ovviamente era diverso. Tra le tante cose
successe in quegli anni aveva provato anche lui cosa volesse dire
andare
incontro alla morte nel disperato tentativo di proteggere un figlio. E
una
forza di chissà quale origine lo aveva portato a
sacrificarsi per lo stesso
figlio che un tempo aveva desiderato annientare.
Destino.
Natura. Non sapeva come chiamarla, ma a
quanto pare gli piaceva dimostrargli che, nonostante avesse la forza per distruggere
parecchi pianeti,
non era in grado di controllare i più semplici avvenimenti
della sua vita.
Continuava da anni a imporgli sentimenti, debolezze… e figli.
Bulma
interruppe il filo dei suoi pensieri.
“Non
mi chiedi perché sono venuta qui?”
Vegeta
continuò ad osservare l’acqua incresparsi
leggera al soffio del vento. Di giorno il colore del lago era lo stesso
di
quello degli occhi di Bulma…
“Credi
che non lo sappia?”
Il
sayan percepì nuovamente la sua sorpresa. Il
fatto che lui riuscisse ancora a tenerle segreto qualcosa lo confortava.
Naturalmente
sapeva perché lei visitava spesso quel
luogo. Anche se su Namecc si erano fugacemente incontrati, era
lì che si erano
scambiati le prime parole. Lì, lei lo aveva invitato in casa
sua.
Negli
anni l’aveva seguita ed osservata nascosto tra
gli alberi innumerevoli volte, vergognandosene oltremodo. Durante la
sua
assenza, precedente all’arrivo dei cyborg, era tornato tre
volte sulla Terra,
ufficialmente per controllare se il suo rivale fosse stato ucciso da
quello
stupido virus. Per due volte aveva atteso invano tra gli alberi che lei
comparisse, ma la terza volta Bulma era venuta e lui aveva combattuto
col
desiderio bruciante di uscire allo scoperto, di prenderla e di portala
con sé
nello spazio. Anche con quel ventre assurdamente rigonfio.
“Dopo
tutto questo tempo riesci ancora a
sorprendermi, sayan.”, gli disse portandosi le ginocchia al
petto e
rabbrividendo per il freddo.
“Però
anche io ho ancora qualche colpo in canna.”,
continuò sperando di stuzzicare la sua curiosità.
“E
sarebbe?”
“Il
nome di questa foresta. L’ho scoperto molto
tempo fa, parlando con i contadini che vivono…”
“So
anche questo.”, la interruppe Vegeta.
E
dovette sforzarsi per non ridere alla vista di
Bulma che sgranava gli occhi e spalancava la bocca.
“T-tu
lo sai?”
Vegeta
si alzò in piedi.
“Dai,
alzati. Non vedo l’ora di togliermi questa
trappola di dosso.”
Bulma,
alquanto stupita, annuì e raccolse le sue
scarpe prima di mettersi in piedi.
“Non
me lo hai mai detto.”, disse lei avvicinandosi
e toccandogli l’avambraccio. Aveva le dita congelate,
perciò Vegeta lasciò che
le scaldasse nell’incavo del suo gomito.
“Perché
avrei dovuto?”, rispose bruscamente.
“E
poi è un nome stupido!”
“Non
è vero!”, protestò la donna.
“E
stavolta cosa hai intenzione di usare? Il nome
del lago?”, ribatté lui sarcastico.
Bulma
sorrise al suo suggerimento sospettosamente
poco involontario. La donna si girò a guardare
un’ultima volta la placida
distesa d’acqua, immersa nell’oscurità
del crepuscolo.
“Si
chiama Bra Lake. Ti piace?”, gli disse con gli
occhi illuminati di una luce di natura ignota.
“Tsk!
Ridicolo!”, rispose il sayan sollevandola
delicatamente e spiccando il volo.
“Bra…”,
la sentì sussurrare ancora.
Bulma
si strinse forte a lui, mentre la foresta di
Trunks diventava sempre più piccola sotto di loro.
Trovarono
Trunks in salotto, una montagna di carte
di merendine sparse sul divano ed un film di guerra nel lettore DVD.
“Ah,
bene”, li accolse il ragazzino vedendoli
entrare dalla finestra.
“No,
non preoccupatevi. In fondo è perfettamente
normale essere abbandonati durante un pallosissimo matrimonio. Cosa
volete che
sia?”, proseguì sarcastico.
“Ho
solo dovuto chiedere a tutti gli invitati se
qualcuno avesse visto i miei snaturati genitori, come un orfano
pidocchioso.
Sono rimasto per ore imprigionato in un albergo senza neanche un
videogioco a
salvarmi da un’atroce morte per noia, ma niente di tutto
ciò influirà sul mio
sviluppo…”
Dovette
fermare la tiritera, perché Bulma lo afferrò
per le spalle e gli scoccò un sonoro bacio sulla guancia.
“Bleah!”,
commentò Trunks arrossendo.
Sua
madre sembrava decisamente su di giri, ma la
cosa strana era che anche suo padre pareva di ottimo umore.
“Siediti,
tesoro.”, gli disse Bulma, sorridendo.
“Dobbiamo
dirti una cosa.”
Eccoci qui. Spero che il
capitolo vi sia piaciuto e che Vegeta non sia risultato troppo
OOC… per me
questo è già il Vegeta più romantico
del mondo, ma forse sono i miei criteri ad
essere un po’ sballati! XD! L’idea dei nomi dei
bambini come vi dicevo era già
presente fin dall’inizio e non vedevo l’ora di
pubblicarla per scoprire le
vostre reazioni. Magari non ve ne frega niente ma le parti che
preferisco di
più sono quando Bulma ricorda di essersi immersa nel lago
dopo aver fatto sesso
con Vegeta la prima volta (me lo sono sempre immaginato come un momento
di
profonda intensità per lei e soprattutto sono legata a
questa battuta:
“Ti metterà in
pericolo.”
“Me lo dicevano anche di te.”
Dopo questa inutile
precisazione… cosa pensate del capitolo? Vi ha soddisfatto?
Mi dispiace dirvi
che non so quando riuscirò ad aggiornare. Spero di lasciarvi
un capitolo
natalizio almeno. Nel frattempo forse pubblicherò qualcosa
nell’altra mia
fanfiction PRIDE AND PREJUDICE. A
presto!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Cap. 11 Beauty and the Beast ***
Carissimissimi
lettori, innanzitutto vi devo delle scuse per non aver aggiornato per
tutto
questo tempo. È stato un periodo di grandi cambiamenti.
Laurea, casa nuova, un
finto matrimonio (se mi mettessi a raccontare vi assicuro che le
avventure di
casa Brief vi sembrerebbero noiose!).
Detto
questo: sono tornata! E spero proprio di essere più costante
d’ora in poi. Il
capitolo da cui riprendo è un po’ lunghino (ve lo
dovevo, no?). C’è una bella
accozzaglia di roba, ma l’ho scritto da zero ed è
nato da una serie di folgorazioni
che ho rielaborato mille volte prima di sottoporlo a voi che siete i
miei
critici preferiti!
Piccola
osservazione: nel capitolo si parla di uno stupro. Ora, io ho cercato
di
scegliere le parole in modo da non sembrare troppo cruenta e, dopo aver
riletto
un paio di volte, non mi sembra sia il caso di alzare il rating e che
la scena
vada bene anche per gli stomaci più delicati. In ogni caso,
fatemi sapere il
vostro parere.
Buona
lettura!
CAP. 11 – BEAUTY AND THE
BEAST
“Smettila,
Vegeta!”
Una
risata agghiacciante in risposta.
Il
sayan le strinse il polso ancora più forte e
glielo torse fino a farle lanciare un urlo. Bulma cadde in ginocchio
per
assecondare il movimento delle sue fragili articolazioni. Non ebbe
nemmeno il
tempo di rendersi conto di quanto freddo fosse il pavimento,
perché il suo
carnefice le fu subito addosso, granitico e feroce.
“Lasciami,
mi fai male!”
Il
corpo di quell’alieno la schiacciava a terra; non
riusciva a respirare, ma non avrebbe saputo dire se fosse per il suo
peso sul
petto o per l’improvvisa consapevolezza di averlo tanto
vicino. Sentì le sue
mani ruvide soffermarsi sgraziate sulle sue gambe, sui fianchi, su
qualsiasi
superficie del suo corpo riuscisse a raggiungere. Era rude. Era
violento, ma
una strana sensazione si impadronì di lei quando
sentì il sayan insinuarsi
deciso tra le sue cosce.
I
suoi occhi ardevano crudeli, ma improvvisamente
Bulma si accorse che non le stava facendo del male. Possibile? Aveva
creduto
che lui volesse ucciderla. Allora cos’era quella luce nello
sguardo del sayan?
Desiderio?
Oppure
faceva tutto parte di uno spietato rituale di
accompagnamento alla morte?
“Cosa
stai facendo?”, gli urlò in faccia, finalmente
conscia di un pericolo che prima di allora non aveva mai associato a
quell’uomo.
Vegeta
parve riprendere il controllo. Ma quello che
Bulma vide non la fece sentire meglio. Gli occhi del sayan smisero di
bruciare;
rimasero neri e basta. Profondi pozzi di pura mostruosità.
Le sue mani
risalirono lungo il suo corpo per fermarsi sul suo collo pulsante e
strinsero.
Avrebbe
voluto gridare, opporsi con tutte le sue
forze ma sapeva che sarebbe stato inutile. Non poteva dargli anche
quella
soddisfazione. Si limitò a fissarlo, cercando di dare ai
suoi occhi una nota
meno disperata e si preparò a morire. Forse aveva solo
immaginato che lui
volesse possederla…
Mentre
l’aria cominciava a mancarle, pensò
stupidamente che c’era qualcosa di assolutamente bellissimo
in quell’alieno
chino su di lei, nell’odio che sprigionava mentre la
strangolava senza fatica,
nel suo odore che per lei sarebbe stata l’ultima fragranza
percepita…
Vorrei
tanto che mi baciasse.
Che
pensiero ridicolo. Si sa, la carenza di ossigeno
annebbia la mente…
Bulma
si svegliò di soprassalto, vagamente conscia
di aver sognato qualcosa di strano. Un ricordo, forse. Si
guardò attorno
confusa, mentre i postumi della tachicardia scemavano lentamente.
Trunks,
sull’altro sedile dell’aeromobile, si tolse
le grandi cuffie dalle orecchie e la guardò preoccupato.
“Tutto
bene?”
Bulma
cercò di ricordare cosa stesse sognando. Era
un incubo o un altro sogno erotico? Maledetti ormoni. Probabilmente
aveva
sognato di fare sesso con più o meno tutti gli abitanti del
pianeta, negli ultimi
mesi.
“Sì,
mi ero solo appisolata.”, disse Bulma al figlio
sbadigliando, ora pienamente cosciente della sua collocazione nello
spazio e
nel tempo.
Trunks
le sorrise e si rimise ad ascoltare il suo
iPod.
“Siamo
quasi arrivati.”
La
voce di Vegeta proveniva dal posto di guida; un
ruolo che occupava molto di rado. Bulma guardò fuori dal
finestrino e si rese
conto che era quasi impossibile vedere qualcosa, per via della neve che
vorticava furiosa intorno a loro. Se davvero erano vicini alla meta,
era stata molto
fortunata a dormire per quasi tutta la durata del lungo viaggio.
“Il
radar di bordo funziona?”, chiese Bulma d’un
tratto preoccupata della loro posizione, data la scarsa
visibilità.
“No.”
“Come
no??”, fece lei alzandosi di scatto.
Un’improvvisa
turbolenza la rispedì con malagrazia
sul sedile e le fece scappare un gemito. Vegeta riguadagnò
il controllo con
estrema prontezza e si voltò indietro infastidito.
“Ti
riesce così difficile startene seduta e non
muoverti? Sta diventando seccante impedirti di ucciderti!”
Bulma
si limitò a fissarlo in cagnesco. Nemmeno a
lei piaceva doversi muovere al rallentatore per cercare di mantenere
tranquillo
il bambino. Fece un lungo respiro e si toccò la pancia
prominente. Bra aveva
sussultato ma l’episodio non sembrava averlo/a disturbato/a
troppo.
Vegeta
tornò a rivolgersi al sistema di pilotaggio,
mentre Trunks, che nel trambusto aveva perso l’iPod, raccolse
da terra una
trapunta e gliela porse sgarbato.
“Ho
cercato di coprirti non sai quante volte. Sarà
la quinta volta che la fai cadere.”
Fantastico.
Adesso anche lui cominciava a sgridarla.
“Grazie.”,
rispose con malcelata irritazione. Prese
la coperta e se la mise sulle gambe; non si era resa conto fino a quel
momento
di avere i piedi gelati.
Erano
partiti subito dopo un veloce pranzo freddo.
Il che non era stato l’ideale, data la stagione, ma
d’altronde con il blackout
era diventato impossibile cucinare qualcosa alla Capsule Corporation.
Il giorno
prima Trunks aveva provato ad arrostire un agnello su di un motore a
biocarburante e i risultati si erano rivelati disastrosi.
La
cometa aveva preso tutti alla sprovvista. Nessuno
aveva previsto che la sua vicinanza alla Terra avrebbe causato tanti
danni e
così, da ormai tre giorni, sul pianeta non esisteva
più l’elettricità. Gli
effetti sarebbero scomparsi nel giro di una settimana, ma nel frattempo
alla
Capsule Corporation non funzionava più nulla: porte, docce,
Gravity Room,
piastre ad induzione, riscaldamento,…
I
suoi genitori avevano deciso di prendere uno degli
aerei alimentati a benzina per recarsi al sud a fare qualche giorno di
campeggio, mentre lei aveva ritenuto saggio sfruttare
l’occasione per una
piccola vacanza con i suoi uomini, in un posto in cui
l’elettricità non fosse
poi così indispensabile. Per questo motivo si stavano
recando all’estremo nord,
sulle montagne di Hymaia, dove i suoi genitori possedevano un vasto
terreno ed
avevano edificato una casa, ben prima dell’invenzione delle
capsule.
“Che
cavolo, si è scaricato!”, sbuffò
Trunks, lanciando
l’iPod sui sedili posteriori.
“Sono
felice che tutti i tuoi aggeggi si stiano
scaricando. Almeno passerai un po’ di tempo con
noi…”, gli si rivolse la donna
compiaciuta.
Trunks
storse la bocca sconsolato.
“Questo
blackout è un incubo!”
“Vedila
come un’opportunità per ridefinire le tue
priorità. Sei troppo dipendente dalla tecnologia.”
“E
voi due siete dei fossili dell’età della pietra.
Non oso immaginare quanto si annoierà il mio povero fratello
a dover stare con
voi, quando io me ne sarò andato.”
“O
sorella…”, lo corresse Bulma, come
d’abitudine.
“Smettila
di dirlo, mamma. Porti sfortuna.”, disse
il ragazzino, tirando fuori dalla valigia ai suoi piedi la tuta da sci
e
cominciando ad infilarla.
Bulma
si rimise comoda sul sedile. Consultò l’orologio
che il giorno prima era riuscita a modificare perché
funzionasse a carburante e
si rese conto che era già passata mezz’ora
dall’orario prestabilito per le sue
medicine.
La
borsa era ai suoi piedi e dopo averla raccolta
cominciò ad estrarne una serie pressoché infinita
di flaconi.
Erano
passati cinque mesi da quando era rimasta
incinta. Dopo averlo scoperto lo aveva detto subito ai suoi genitori e
la cosa
si era rivelata provvidenziale. Suo padre aveva tirato fuori, di fronte
ai suoi
occhi sbigottiti, uno schedario intero siglato come
“Gravidanza di Bulma”. Come
aveva appreso in seguito vi erano segnate tutte le annotazioni che il
Dr. Brief
aveva raccolto durante la prima gravidanza della figlia, comprese le
formule di
complessi farmaci sperimentali che lo scienziato aveva messo a punto
proprio
per evitare che la ragazza andasse incontro ad un aborto. Bulma aveva
preso
quelle medicine per tutta la gestazione di Trunks, ma suo padre le
aveva fatto
credere che fossero solo vitamine, per non turbarla ulteriormente. In
quel
periodo per lei era già un’impresa alzarsi al
mattino, al pensiero della
Gravity Room spenta e silenziosa.
Sta
di fatto che, considerato il ritmo di crescita
del bambino, la data del parto era stata approssimata verso
metà aprile e lei e
il suo dottore avevano deciso di fissare il cesareo per
l’inizio di tale mese.
Mancavano solo due mesi e finalmente avrebbe scoperto il sesso di quel
sayan
capriccioso che si agitava nel suo utero.
“Sembri
uno spacciatore, mamma.”, la prese in giro
Trunks, mentre lei riponeva sistematicamente i flaconi da cui aveva
già preso
le compresse.
“E
sembro una drogata quando devo farmi quelle
dannate flebo di proteine…”, sospirò
lei.
Il
fabbisogno energetico del piccolo sayan, infatti,
era molto più alto rispetto a quello di un comune feto umano.
Si
rese conto che stavano per atterrare. Vegeta
aveva iniziato la discesa e la tempesta di neve si era diradata,
lasciando
intravedere la proprietà sotto di loro: un magnifico cottage
in pietra e legno,
due sole camere da letto, interamente riscaldato grazie ad un grande
camino
situato al piano terra.
Bulma
ricordava di averci passato molti giorni
felici durante la sua infanzia e anche dopo… era il posto in
cui lei e Yamcha
avevano consumato una disastrosa prima volta insieme, era il posto in
cui era
riuscita a trascinare Vegeta, 13 anni prima, mentre suo padre riparava
per
l’ennesima volta la Gravity Room danneggiata. Era anche il
posto in cui aveva
passato bellissimi e malinconici momenti con Trunks appena
nato…
L’aeromobile
atterrò morbida sulla neve soffice,
anche se Bulma si trovò a pensare pignola che lei avrebbe
fatto di sicuro
meglio. Ma d’altronde i motori erano la sua passione, non
quella del principe
dei sayan.
Bulma
si affrettò a infilarsi un pesante giubbotto
di piuma d’oca prima di scendere a terra.
Era
tutto come ricordava. La manutenzione del Dr.
Brief negli anni si era rivelata provvidenziale per conservare intatto
il
fascino del luogo.
Trunks
era già saltato giù dall’aereo,
snowboard in
spalla, pronto a lanciarsi dritto nella prima valanga a disposizione.
“Scarica
i bagagli, prima.”, gli ordinò perentorio
suo padre.
Trunks
lasciò cadere la tavola sbuffando e tornò
mesto a bordo, trascinando i piedi.
“Ci
farà impazzire, lo sai vero?”, disse il principe
dei sayan, facendo un cenno verso il ragazzo.
Bulma
si strinse nelle spalle.
“Sono
solo un paio di giorni. Vedrai che sarà
divertente.”
“Divertente,
certo… Giocheremo a scacchi?”, ribatté
sarcastico lui, aprendo la porta.
Bulma
sapeva a cosa si riferiva. Non stavano insieme
da mesi, il dottore lo aveva proibito tassativamente e la cosa
cominciava a
snervarlo. Non che a Bulma facesse piacere, anzi. Aveva dovuto
chiedergli di
non girare sempre per casa mezzo nudo, visto che gli ormoni la
rendevano
praticamente un’assatanata ninfomane. Almeno lei poteva
sfogarsi durante il
sonno, anche se al risveglio ripensare ai protagonisti dei suoi sogni
poteva
rivelarsi un tantino imbarazzante…
“Permesso!
Largo!”, la scansò Trunks entrando con
una pila di valigie sulla testa. Le posò nel centro del
grande soggiorno e si
scapicollò di nuovo fuori a prenderne altre.
Vegeta
aprì la manopola del gas che alimentava tutta
la casa, accanto alla porta.
“Per
essere venuto qui 13 anni fa, ti ricordi bene
come funziona questa casa.”, gli fece notare Bulma
togliendosi il pesante
piumino.
“Credimi,
dopo quello che è successo, ho sognato a
lungo di distruggere ogni pezzo di legno di questa casa.”
Il
sarcasmo. L’arma preferita di Vegeta contro di
lei.
“Davvero
sapevi che era successo qui?”, chiese lei
stupita, lasciandosi cadere sul soffice divano.
“O
qui o nella Gravity Room.”
“No,
quella volta nella Gravity Room io già lo
sapevo.”, ridacchiò lei, mentre il sayan si
accomodava sulla poltrona.
“Sapevi
cosa?”, si intromise Trunks, che nel frattempo
aveva finito di scaricare tutti i bagagli.
“Che
ti abbiamo fatto qui.”, gli disse Bulma
allegramente.
Trunks
si chiese per un secondo se non aveva capito
male. La consapevolezza lo raggiunse insieme ad un colorito cereo e ad
un’espressione nauseata.
“Fantastico.”,
disse mettendosi gli occhialini e
dirigendosi fuori. “Ora, se volete scusarmi, vado a prendere
una botta in testa
e a dimenticare tutto.”
La
porta del cottage si richiuse dietro di lui.
Bulma notò che Vegeta non sembrava divertito quanto lei
dall’accaduto.
“Secondo
te le persone vogliono sapere dove sono
state concepite?”, le domandò tagliente.
“Certo.”,
ribatté lei. “Io sono stata concepita in
un bagno pubblico, alla settima convention di ingegneria della
Città dell’Est.
A quanto pare i cocktail erano davvero forti...”
Vegeta
le rivolse uno sguardo che era un misto di
incredulità e commiserazione. Bulma continuò a
sorridergli strafottente.
“Dì
la verità. Mi avevi convinto a venire qui perché
volevi che succedesse?”, bofonchiò il sayan.
“Oddio,
no. Mi credi così manipolatrice? L’idea non
mi ha mai nemmeno sfiorato. Io volevo te e basta. Speravo che
allontanandoti
dalla Gravity Room e da tutto il contesto avresti abbassato un
po’ la guardia e
ti saresti innamorato di me…”
Bulma
lo studiò per valutare una sua reazione a
quella confessione. Non ce ne furono.
“Che
ragazza ingenua che ero, eh?”
“O
molto furba.”, rispose il sayan.
Bulma
si sporse verso di lui compiaciuta.
“Stai
ammettendo che il mio piano ha funzionato, per
caso?”
Vegeta
storse il naso, infastidito.
“Non
mettermi in bocca parole non mie, donna.”,
disse lui maligno. “Intendo dire che la guardia
l’ho abbassata, visto che il
risultato ci tormenta da allora.”
Bulma
sorrise al pensiero di quando aveva scoperto
di aspettare Trunks. Solo dopo tanti anni poteva riuscire a ridere di
un
momento così tragico della sua vita.
Ripensò
alle mille volte in cui si erano amati in
quella casa, cercando invano di scovare un indizio, un piccolo
particolare che
la aiutasse a capire quale di quelle volte li aveva portati dove erano
oggi.
Per
quanto il ricordo di quelle settimane fosse
frammisto di momenti stupendi ed orribili, Bulma sentiva che se fosse
potuta
tornare indietro non avrebbe cambiato una virgola; né gli
amplessi famelici, né
le parole taglienti che Vegeta le rivolgeva ogni volta che non era
impegnato a
saziarsi di lei.
Si
alzò in piedi per prepararsi qualcosa di caldo.
“Vuoi
una cioccolata?”
“No.”
“Va
bene.”, gli disse piccata. “Ma non chiedermi un
po’ della mia, perché non te la
darò.”
“Mi
spieghi perché mi hai offerto il divano se poi
ti ci volevi piazzare tu?”, disse Vegeta adirato.
Bulma
sembrò non sentirlo nemmeno e si andò a
sistemare in mezzo alle sue gambe, facendo aderire la schiena al suo
petto.
“Sono
una fragile umana e sono incinta di un sayan,
me lo merito.”
“Cosa?
Di usarmi come cuscino?”
“Anche.”,
rispose lei decisa. “E coccole.”
“Prego???”,
chiese il sayan incredulo. “Sei
impazzita, per caso?”
Da
non credere. Se quella donna pensava di ricevere
stupide smancerie aveva capito proprio male.
Bulma,
in tutta risposta, allungò le gambe fino a
portare i piedi, avvolti nelle pesanti calze di lana, vicino ai suoi.
“Devo
dire a tuo padre di ridurti le dosi di quei
farmaci. Ti fanno diventare ancora più matta del
solito.”
“Puoi
smetterla di agitarti?”, lo sgridò lei, come
se fosse scontato che lui, il principe dei sayan, dovesse svolgere il
ruolo di
materasso umano per un’insignificante terrestre.
“Non sono comoda.”
“Non
sei comoda perché sei una balena, brutta
stupida. Dove dovresti starci?”
Bulma
fece cadere rumorosamente il cucchiaino nella
sua tazza di cioccolata.
“Non
posso credere che l’hai detto, stronzo!”
Vegeta
si astenne dal commentare. Bulma riusciva a
stancarlo nel vero senso della parola, almeno quanto una giornata di
allenamento. Da quando aspettava quel moccioso, poi, le sue giornate
erano
diventate un vero e proprio incubo. Sempre a chiedersi se lei stesse
bene, a
sopportare i suoi capricci…
“Vorrei
proprio vederla un‘altra della mia età,
nelle mie condizioni. Ho preso solo un paio di kg!”,
continuò imperterrita.
“Come
vuoi, Bulma. Basta che taci.”
La
sentì brontolare mentre si sistemava
rumorosamente, dandogli quella che doveva essere una gomitata, ma di
cui lui a
malapena si accorse.
Per
un attimo sembrò quasi che lei gli avesse dato
ascolto; gli unici rumori ad arrivare alle sue orecchie erano i
crepitii
provenienti dal camino. Il fuoco gli piaceva. Gli ricordava le fredde
notti
passate all’addiaccio su lontani pianeti in via di conquista.
A Bulma conciliava
il sonno, a lui lo toglieva. Perché in quelle notti
circondato da nemici in
terre inospitali, l’ultima cosa che poteva permettersi di
fare era dormire e il
braciere era diventato il suo fido compagno di veglie.
Bulma
era un fagotto tiepido appoggiato su di lui. A
nessun altro individuo al mondo aveva mai concesso di potergli stare
così
vicino, di poterlo rendere così vulnerabile…
“Vegeta?”
Se
almeno avesse scelto una femmina meno fastidiosa…
“Cosa
vuoi?”, disse sospirando rumorosamente.
“Se
Freezer non fosse mai esistito e tu fossi
diventato re… avresti scelto una regina o avresti avuto
molte donne?”
Ma
che razza di domande. Perché ogni tanto se ne
usciva fuori con quella curiosità sul popolo dei sayan? In
fondo lui non era
mai vissuto davvero in quella società. Freezer aveva
cambiato tutto…
“L’uno
e l’altro.”
“Cosa
intendi dire?”, lo incalzò lei.
“Se
ti spiego, giuri di chiudere la bocca per il
resto della giornata?”
Lei
si limitò a sorridere attraverso quei maledetti
occhi giganti. A che serviva? Se anche avesse promesso, non avrebbe
comunque
mantenuto la parola…
“Mio
padre mi avrebbe scelto una compagna del giusto
rango. All’ascesa al trono avrei avuto diritto di formarmi un
harem.”
“Quindi
saresti stato pieno di figli illegittimi.”,
osservò lei, sorseggiando la cioccolata bollente.
“Non
sarebbero stati considerati illegittimi.
Chiunque partorisca il primo figlio maschio può diventare
regina.”
“Wow.”,
esclamò lei sinceramente sorpresa.
“Chissà
che guerra del trono ne scaturiva.”
“Non
sempre. Di solito quando il re moriva, suo
figlio aveva già avuto un erede dalla compagna
ufficiale.”
“E
tua madre era la compagna ufficiale?”
“Sì…
adesso smettila. Mi sono stancato di parlare.”
Per
qualche minuto Bulma smise di blaterare. Ma
sospettava che si trattasse solo di una ricarica in attesa di un nuovo
round.
Infatti…
“Non
hai altri figli, vero?”
“Secondo
te ho altri figli?”, rispose alzando il
tono di voce, per rendere manifesta la crescente irritazione.
“Potresti
averne senza saperlo.”, ribatté lei, per
nulla turbata.
“Non
è possibile.”
“E
come lo sai?”
“Lo
so e basta.”
“Ah,
che stupida. Quindi questa pancia è così per
via di tutto di tutto il cioccolato che consumo, hai ragione. E quel
teppista
di 50 kg di muscoli lì fuori devo averlo avuto per
partenogenesi…”
“Smettila,
donna! Come riesci ad essere così
insopportabile?”
“Scusa
tanto, ma è nel mio interesse sapere come fai
ad esserne sicuro!”, gli si rivolse determinata.
“Fidati,
Bulma. Non vuoi saperlo.”, sperava che
capisse il tanto che bastava per farla desistere
dall’indagare ulteriormente.
Non voleva dirglielo.
“Pensi
che dopo tutti questi anni io possa ancora
spaventarmi di quello che dirai?”
“Perché,
lo sei mai stata?”, rispose lui sarcastico.
Lei
sembrò soppesare la risposta.
“A
volte… Ma
mai per qualcosa che hai fatto prima di incontrarmi.”
“Tu
non sai nulla di ciò che ho fatto…”
Ed
era meglio così. Bulma non era certo la persona
più pura e nobile del pianeta, ma sapere l’avrebbe
disgustata. Se lei avesse
potuto anche solo accedere visivamente ai suoi ricordi, era sicuro che
le cose
tra loro sarebbero irrimediabilmente cambiate.
“Niente
che non abbia già immaginato mille volte.
Hai distrutto pianeti, ucciso milioni di persone, probabilmente
costretto qualche
donna a stare con te… Se chi governa
l’aldilà ti ha perdonato, perché non
dovrei farlo io che sono tua moglie?”
Qualche
donna.
Prima
di mettere piede sulla Terra nessuno dei loro
volti gli era mai tornato in mente, ma a quanto pare erano rimasti in
agguato
dentro di lui per tornare a tormentarlo in quegli ultimi anni. Poteva
vedere
con estrema chiarezza alcune delle cose più terribili che
aveva fatto a quelle
aliene antropomorfe e a rendere il tutto peggiore c’era il
fatto che sapeva che
di molte altre non si ricordava nemmeno.
Una
ragazza in particolare popolava i suoi incubi
più frequentemente. Era stata l’ultima. Quella che
aveva avuto la sfortuna di
incrociare il suo percorso appena dopo la sua fuga dalla Terra, da
Bulma e dal
mezzosangue che lei portava in grembo. Ricordava bene di come, accecato
dall’ira e dal disgusto verso se stesso, era atterrato sul
primo pianeta
abitato, con lo scopo di dare libero sfogo ad una violenza troppo a
lungo
repressa. Aveva sperato che fosse popolato da creature
umanoidi… da donne, in
modo da poter cancellare il sapore di Bulma, in modo da togliersi il
suo odore
di dosso.
Quando
era atterrato aveva iniziato subito a
distruggere tutto ciò che gli si parava davanti, seminando
il panico tra gli
autoctoni, finché il re di quell’insulso pianeta
non lo aveva scongiurato di
smetterla, offrendogli in cambio ricchezze ed una delle sue giovani
figlie.
Avrebbe
potuto ucciderli tutti seduta stante, per
quanto gliene importava, ma aveva deciso di stare al gioco. Poteva
quasi
sentire la fredda calma con cui aveva scelto la sua vittima; il re si
era
rivelato alquanto prolifico. Ne aveva cercata una che assomigliasse
alla
terrestre, ma si era dovuto accontentare di una ragazzina minuta con
grandi
occhi chiari.
Ricordava
l’odore della sua paura, mentre la portava
per mano all’interno della sua astronave. Aveva cercato di
mostrarsi calmo e gentile,
ma sospettava che lei avesse capito subito cosa si celava sotto il suo
freddo
sorriso. Aveva aspettato che il portellone si chiudesse prima di
cominciare…
In
quei pochi minuti di sevizie aveva immaginato per
tutto il tempo che ci fosse Bulma al suo posto; che le ossa che si
spezzavano,
il sangue che gli copriva le mani e la bocca e le urla strazianti della
fragile
aliena appartenessero invece alla terrestre che lo aveva infettato.
Quando
aveva finito si era reso conto che la ragazza
era già morta. Si era allontanato di scatto dal cadavere e
se ne era liberato
prendendolo a calci fino all’uscita.
Ricordava
di aver cercato i suoi occhi vitrei,
spalancati dal terrore, mentre faceva rotolare come un insignificante
ammasso
di carne quella che poco prima era stata un essere vivente. Erano blu,
ma non
il blu che cercava.
La
rabbia era tornata più bruciante di prima.
Nemmeno uno stupro così bestiale era riuscito a liberarlo
dal tormento che lo
consumava, perché in fondo sapeva che non sarebbe mai
riuscito a fare la stessa
cosa alla terrestre…
“Vegeta,
mi stai a sentire?”
Il
sayan si riscosse dai suoi oscuri pensieri.
“Avrei
dovuto saperlo che venendo qui mi avresti
assillato. Torna a dormire!”, gli disse seccato.
Ma
Bulma sapeva essere decisamente cocciuta.
“Sono
solo curiosa! Visto che non molto tempo fa abbiamo
ricevuto la visita a sorpresa del tuo fratellino, non vorrei avere
altre
sorprese inattese.”, gli disse sorniona, accoccolandosi
ancora più comodamente
sul suo petto.
Vegeta
non si ritrasse. Poteva farlo, ma a quel
punto era talmente stanco di combattere con la sua boccaccia che le
avrebbe
dato ciò che voleva sentire… e a quel punto lei
si sarebbe allontanata da sola.
“Non
ho altri figli. Forse ne avrei avuti se le loro
madri fossero sopravvissute.”
“Sono
state uccise da Freezer?”, chiese la donna,
girando il capo verso di lui e cercando invano i suoi occhi.
“No.
Da me.”
Eccolo.
Il momento che sapeva sarebbe arrivato.
Bulma smise di sorridere e si sollevò dal suo petto. Vegeta
sostenne il suo
sguardo indagatore, ma non deluso come si sarebbe aspettato.
Poi,
lentamente, lei gli prese la mano e se la portò
al viso. Con estrema delicatezza posò le sue labbra carnose
su ognuna delle sue
nocche ruvide.
La
sorpresa gli impedì di reagire come avrebbe
voluto, ovvero sottraendosi ai suoi baci. Rimase a fissarla rassegnato.
A volte
gli sembrava quasi che quello strumento di tortura e piacere che era la
sua
bocca potesse lavare via tutti i suoi peccati.
“Sono
fortunata, quindi…”
Alzò
lo sguardo su di lui e gli sorrise comprensiva.
Una
parte di lui non si stupì nemmeno. Quella donna
era strana, lo aveva sempre saputo.
Fortunata.
Così amavano definirla tutti. Ricca,
bella, geniale, sopravvissuta ai cyborg e a mille altri pericoli,
principe dei
sayan incluso. Ma per lui no, lei non era fortunata.
Era
qualcos’altro. C’era qualcosa in Bulma di cui
solo lui era davvero cosciente. Qualcosa che l’aveva tenuta
in vita molti anni
prima e che in quel momento la rendeva perfetta ai suoi occhi.
Chissà
se c’era stato un tempo in cui lei lo aveva
considerato un mostro o se aveva sempre visto qualcosa di diverso in
lui…
“Non
sei fortunata. È il tuo istinto di
autoconservazione che fa schifo.”
Lei
rise, ma si fermò come scottata.
“Che
ti prende, ora?”
La
donna non rispose, ma portò la sua mano, che
ancora stringeva, sul suo ventre.
Non
lo aveva mai toccato prima. Anche quando Bulma
dormiva ed era stato tentato di farlo, non aveva mai appoggiato le mani
su quel
rigonfiamento che segnalava la presenza di un’altra persona
dentro di lei.
“Credo
che le nostre chiacchiere abbiano svegliato
Bra.”
“Le
nostre? Io non chiacchiero, donna…”
Gli
occhi del principe dei sayan si sgranarono
all’improvviso. Sotto la sua mano suo figlio si era appena
mosso, lasciandolo
interdetto. Era la prima volta che poteva associare la sua aura a
qualcosa di
tangibile.
“Cosa
sta facendo?”, chiese curioso, prima di
riuscire a frenare le parole.
“Mi
piacerebbe saperlo… A quanto pare ha iniziato ad
allenarsi presto e gli piace farlo soprattutto quando la mamma vuole
dormire.”
Vegeta
si rese conto di avere un’espressione stupida
e si affrettò a riappropriarsi della sua mano, tornando ad
un meno
compromettente cipiglio serio.
Bulma
invece si sdraiò di nuovo su di lui,
sorridendo radiosa.
“Sei
una persona buona, Vegeta.”, la sentì dire
mentre trovava un angolo sotto la sua scapola su cui posare il capo.
Avrebbe
dovuto alzarsi e uscire. Lei non poteva
permettersi di dirgli certe stupidaggini.
“Hai
fatto delle cose cattive, ma non ha più
importanza per me. Non ne ha mai avuta.”
“Sta’
zitta una buona volta, Bulma.”, disse
rilassandosi contro il cuscino vaporoso del bracciolo e aspirando il
profumo
dei suoi capelli.
Trunks
aprì la porta d’ingresso in quel momento.
Entrò scrollandosi di dosso quintali di neve e abbandonando
in un angolo la
tuta da sci fradicia. Quando li vide sul divano non avevano cambiato
posizione,
anche se Vegeta aveva fatto del suo meglio per assumere
un’espressione che
negasse il suo consenso a tutta la faccenda.
Il
ragazzo fece una smorfia a metà tra il disgustato
ed il divertito.
“Sapete,
stavo pensando di scritturarvi per una di
quelle soap opera mielose che guarda la nonna. Voglio dire…
guardatevi! Se
Nicholas Sparks ha fatto un mucchio di soldi con storie di vecchietti
che si
sbaciucchiano, perché non potrei farlo anche io?”
Bulma
soffocò una risata.
“È
colpa mia, Trunks. Avevo freddo e l’ho costretto
a scaldarmi.”
Trunks
assunse un ghigno malefico.
“Certo,
come no. Facciamo finta che a papà non
piaccia. In fondo, mica siamo qui perché la Gravity Room non
funziona. Non mi
pare di averlo visto usarla molto spesso negli ultimi
tempi…”
Vegeta
lo guardò torvo. La gravidanza di Bulma
l’aveva davvero rammollito ulteriormente e, nello stesso
tempo, Trunks era
diventato un adolescente insopportabile, con la linguaccia lunga quanto
quella
di sua madre. Doveva ammettere che a volte era divertente, ma non
poteva
permettergli di prendersi gioco di lui.
“Magari
io adesso vi lascio soli, eh? Non voglio
restare imprigionato in tutta questa melassa…”
“Ragazzo!”
Vegeta
scansò Bulma delicatamente ma con decisione e
si alzò dal divano.
“Tu
ed io. Fuori. Subito. Vediamo se sei più bravo a
blaterare che a combattere.”, disse in tono di sfida.
Trunks
fu preso per un secondo alla sprovvista, ma
riprese subito il controllo e si mise a gongolare come un bambino a
Natale.
“Oh,
no. Vi prego! Abbiamo solo un misero kit di
pronto soccorso…”, implorò Bulma,
issandosi sulla testiera con i gomiti.
“Non
preoccuparti, mamma. Te lo restituisco tutto
intero.”, disse il giovane sayan scrocchiandosi i pugni.
“Non
ho intenzione di usare tutta la mia forza: ho
rispetto per gli anziani…”
Vegeta
sorrise maligno. Si sentiva fremere di
eccitazione all’idea di un bel combattimento. Con suo figlio,
poi… Sembravano
passati pochi giorni da quando era solo un botolo paffuto che faceva le
bolle
dal naso…
No.
No. Non era a questo che doveva pensare.
Razza
di smidollato.
“Ti
consiglio di andarti a mettere il pannolino,
Trunks. Non vorrei che te la facessi sotto sul più
bello.”, disse avviandosi
alla porta.
Bulma
si alzò rassegnata, portandosi dietro
l’onnipresente coperta.
“Vegeta,
non fatevi male. Io vi preparo la cena.”
Per
un secondo Vegeta pensò alla bombola del gas che
non era stata accesa per molto tempo e che poteva essere difettosa, al
fatto
che se Bulma fosse inciampata loro non ci sarebbero stati…
Se il bambino si
fosse improvvisamente reso conto di essere un sayan e
l’avesse uccisa?
Trunks
lo spinse fuori sogghignando.
“Andiamo,
nonnino. Ti avrò messo fuori uso prima che
lei possa inventarsi un nuovo modo per morire.”
Vegeta
lo afferrò dalla collottola e lo trascinò per
qualche metro nella neve. Anche in quel momento il ragazzo non la
smetteva di
ridacchiare.
“Vedremo
se farai ancora tanto lo sbruffone, quando
correrai a piangere da tua madre.”
Trunks
si liberò dalla presa e gli si parò davanti
in posizione di guardia.
“Cosa
aspettiamo, allora?”
Vegeta
liberò la sua aura facendo tremare le
montagne.
La
maggior parte degli abitanti dell’universo non lo
avrebbero mai accettato, non avrebbero mai dimenticato quello che un
tempo era
stato. Bulma e Trunks invece lo avevano fatto, e non fingendo che il
Vegeta di
prima fosse scomparso. Perché lui continuava ad essere una
parte importante del
suo essere e non sarebbe mai riuscito a liberarsene, né
avrebbe voluto.
Anche
se non si sarebbe mai messo a nudo
completamente, una parte di lui sapeva che loro lo avrebbero sempre
perdonato,
lo avrebbero sempre apprezzato per ciò che era.
E
non gli serviva sapere altro.
Eccoci qui!
Fine capitolo…
Che ne dite?
Vegeta
è stato fin troppo loquace
in questa occasione, me ne sono accorta. Forse lo sto facendo
sciogliere un po’
troppo!
Se vi
chiedete chi sia il
fratello di cui si parla è Tarble (apparso in uno degli OAV
più recenti di
Toriyama e da quel momento inserito nel canone ufficiale), comunque non
ho
intenzione di inserirlo nella trama per cui potete anche far finta che
non
esista.
Spero che le
mie teorie sulla
società dei sayan non vi abbiano infastidito. Ho intenzione
di scriverci una
fanfiction più avanti, magari svelando particolari
sull’origine di Vegeta che
nemmeno lui conosce, ma se avete apprezzato potrei inserire altri
particolari!
Trunks:
spero proprio che vi
piaccia perché io lo adoro! :-)
Preparate i
fiocchi rosa perché
il prossimo capitolo i Brief diventano 4…
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Cap. 12 O Children ***
Sono
viva. Sono tornata.
Dopo
una pausa lunghissima (un anno forse?) sono di nuovo qui a tediarvi.
Qualcuno non
ne poteva più di aspettare questo capitolo (come darvi
torto?) e sono sicura di
aver perso per strada qualche appassionato lettore ma ora… a
noi! Fuoco alle
polveri!
Non
mancano molti capitoli per arrivare alla fine di questa avventura
(forse 3)! Questo
capitolo è stato riscritto così tante volte che a
volte temevo che avrebbe
visto la luce alla fine del secolo. È ben lontano
dall’essere perfetto, ma
quando l’ho riletto per l’ultima volta e mi sono
accorta di avere un sorriso
ebete sulle labbra mi sono detta che c’eravamo, finalmente.
Spero
davvero che vi piaccia. Spero che tornerete a farvi sentire e che,
nonostante
le mie pause si protraggano spesso per lunghi periodi, sarete ancora
lì, quando
scriverò la parola “FINE” in fondo a
questa storia che mi ha accompagnata per
così tanto tempo.
CAP.
12 – O CHILDREN
“Ben
svegliata, mia cara.”
Suo
padre. Ne è quasi sicura nonostante i postumi
dell’anestesia e quella sensazione di improvvisa leggerezza
fisica e mentale.
“Come
sta?”, biascica ancora prima di aprire
completamente gli occhi.
Il
Dott. Brief gli appare in un sorriso radioso.
“Non
preoccuparti, tesoro. È un bambino
straordinario ed è sano come un pesce.”
Maschio.
Non aveva mai avuto dubbi al riguardo.
“Voglio
vederlo.”
Ha
paura. Ma ha bisogno che le immagini spaventose
che negli ultimi mesi hanno affollato i suoi incubi svaniscano nel
nulla o, al
contrario, finalmente si palesino.
È
sua madre a porgerle un fagottino da cui
inizialmente spuntano soltanto due minuscole mani. Bulma si rende conto
di
tremare vistosamente mentre si sporge per prenderlo e, nonostante
l’assenza di
dolore, non sa dire se la cosa sia imputabile alla paura o
all’intervento
appena subito.
Per
un istante si domanda confusa come ha fatto il
suo corpo a farlo. Non a sopravvivere; quello ha smesso di chiederselo.
Come ha
fatto a prendere tutto ciò che di più sbagliato
c’è in lei e a restituirle
quell’esserino soffice e caldo che sbatte le lunga ciglia
infastidito dalla
luce…
“Trunks?”,
gli domanda, come se lui potesse darle
davvero una conferma.
Il
neonato apre le piccole dita a ventaglio, facendo
smorfie graziose con le guance paffute.
È
bellissimo. Quasi non riesce a credere che quello
che ha tra le braccia sia davvero il figlio che ha sognato ogni notte,
da pochi
mesi a quella parte. A poco a poco diventa cosciente anche delle
piccole cose
che, prima di vederlo, sembravano avere tanta importanza: ha gli occhi
chiari,
una bocca carnosa e un ciuffo di capelli dello stesso colore di quelli
del
nonno. È un Brief in tutto e per tutto.
C’è
anche qualcosa di lui, ovviamente. Ma non è così
doloroso come credeva. Ogni volta che il piccolo apre gli occhi diventa
impossibile non notare quanto gli assomigli il suo sguardo.
Lo
contempla adorante. Non c’è niente di spaventoso
in lui. Non c’è oscurità; non
c’è vizio. È incorrotto. E mentre Bulma
posa un
bacio delicato sulla sua fronte, non ci sono più dubbi nel
suo cuore
palpitante: lotterà con tutta se stessa per mantenere
intatto e al sicuro quel
piccolo miracolo.
“Siamo
tu ed io, tesoro mio. Non avere paura.”
Il
piccino sbadiglia incurante del mondo
circostante. Ignaro di essere il motivo per cui calde lacrime solcano
il viso
della donna che lo stringe al petto. Beatamente all’oscuro di
cosa voglia dire
essere un figlio e di cosa significhi, venire al mondo per
amore…
Bulma
chiuse la zip del suo trolley firmato e tirò
un sospiro di sollievo. Non era proprio come se stesse partendo per le
vacanze,
quando dimenticarsi qualcosa equivaleva a dover rimanere senza
quell’oggetto
fino al rientro a casa; eppure non si era mai sentita così
agitata. Era già
successo un’altra volta e chiudere quella valigia aveva
significato porre fine
ad un periodo della sua vita ed entrare inevitabilmente in un altro,
pieno di
insidie, responsabilità, inattese gioie e prevedibili
dolori.
Non
aveva paura. Bulma Brief raramente ne aveva
avuta da quando era nata e di sicuro non la avrebbe avuta ora che stava
per
ottenere ciò che per anni aveva desiderato ardentemente, ma
ciò non bastava a
non riempirle le vene di adrenalina e a rallentare i suoi battiti
cardiaci.
L’essere investita di una responsabilità
così grande, di un onore che con il
tempo aveva assunto diversi significati, non poteva che infondere in
lei parte
dell’incredibile natura del figlio che stava aspettando;
ciononostante il suo
animo fiero e orgoglioso, che gli avvenimenti degli ultimi quindici
anni
avevano elevato ad un livello che nessun abitante della Terra poteva
vantare,
restava confinato in un involucro del tutto sprovvisto della forza
fisica che
invece permeava ogni cellula del suo regale consorte.
Aveva
pensato a quel giorno fin dall’inizio. Quando
molto tempo prima il suo bene più prezioso era venuto al
mondo, aveva voluto
solo i suoi genitori accanto, forse per provare a se stessa che essere
sola non
la aveva indebolita, né lo avrebbe mai fatto. E
così era stato, perché dal
momento in cui Trunks aveva stretto il suo minuscolo pugno attorno al
suo dito
anche i suoi genitori erano sembrati superflui. Quello straordinario
esserino
che aveva deciso di far nascere più per orgoglio che per
vero istinto materno
si era trasformato in pochi istanti nella sua sola ragione di vita. Il
suo
errore più grande, un mucchietto di organi dagli occhi
azzurri che il suo corpo
aveva assemblato a tradimento, era riuscito a farla sentire completa
come mai
nessuno prima di allora.
Ora
che invece stava per avere un bambino a lungo
agognato, ci si sarebbe aspettato da lei il desiderio di condividere
quella
rinnovata felicità con tutti i suoi amici. Ma i suoi
desideri al riguardo
avevano sorpreso persino lei stessa.
Lui
si era alzato presto per chiudersi nella Gravity
Room. Era stato freddo e scontroso nell’ultima settimana,
quasi non si erano
rivolti la parola. Niente di preoccupante, comunque. A Bulma piaceva
parlare,
la loquacità faceva parte della sua natura ed era sempre
stata una delle sue
migliori armi contro Vegeta. Tuttavia non ne aveva davvero bisogno per
sentirsi
vicina a lui. Quindici anni ad interpretare i suoi silenzi, i suoi
bisogni, le
sue rabbie, i suoi momenti di depressione ed apatia, lo rendevano ormai
un
libro aperto ai suoi occhi.
“Non
voglio nessuno in ospedale.”, aveva detto una
sera a cena, facendo andare di traverso la zuppa a suo padre.
Trunks
e sua madre avevano protestato, ma alla fine
si erano dovuti arrendere alla sua ferrea volontà. Vegeta
non aveva fatto una
piega, ma lei sapeva a cosa stava pensando. Apprezzava la sua
manifestazione di
indipendenza e che lei non si aspettasse da lui qualcosa che era
incapace di
gestire. Vegeta ci sarebbe stato comunque. Ci sarebbe stato in ogni
particolare
di quel figlio che presto sarebbe entrato a far parte delle loro vite,
in ogni
smorfia, colore e caratteristica che questa volta la donna non vedeva
l’ora di
scoprire, al contrario di quanto era accaduto alla nascita di Trunks.
Ci
sarebbe stato quando avrebbero fatto ritorno alla Capsule Corporation e
sì,
avrebbe tenuto le distanze per qualche tempo per proteggersi, ma lei
non
avrebbe dubitato della sua presenza. Non lo avrebbe fatto mai
più.
Bulma
raccolse la valigia, chinandosi faticosamente
quel tanto che bastava per afferrarla ed uscì dalla sua
stanza, gettando un
ultimo sguardo intorno. Quando fosse rientrata anche le cose
più familiari le
sarebbero sembrate molto diverse, come l’altra volta? In quel
momento si
sentiva tutto fuorché una debole terrestre,
perciò lasciando quel biglietto sul
cuscino non si era interrogata più di tanto sulle parole da
scegliere per
quello che avrebbe potuto anche essere l’ultimo messaggio a
suo marito.
A
presto.
Niente
di speciale. Niente che non avrebbe potuto
dire a voce passando dalla Gravity Room. E tuttavia non si era rivelato
nemmeno
superfluo; non tanto per quelle parole scribacchiate impulsivamente,
quanto per
rendere chiaro a lui e a se stessa che ormai non c’era
distanza fisica e
temporale che potesse realmente separarli.
Un
orologio nella Gravity Room. Inutile. Come quasi
tutte le cose che nel corso degli anni Bulma e suo padre ci avevano
infilato
dentro; dall’impianto stereo invisibile
all’asciugacapelli nella doccia.
Cose
terrestri. Cose da terrestri.
Poteva
immaginarsi la fastidiosa consorte inserire
quell’orpello per ricordargli quanto tempo passava chiuso
nella stanza. Come se
saperlo potesse farlo sentire in colpa per il tempo sottratto a lei e
al
ragazzo. Ragazzo che, tra parentesi, in casa passava meno tempo di lui
ormai.
Donna
cocciuta e molesta.
Donna
che da tutta la mattina non riusciva a
lasciare fuori dai suoi pensieri, nonostante la gravità
elevata, nonostante il
ritmo massacrante di allenamento che aveva tenuto per ore.
Il
giorno era arrivato dunque. Lo sapeva da tempo,
eppure non era preparato. Non era preparato al cambiamento; lui odiava
i
cambiamenti. Non era preparato agli imprevisti. Non era preparato
nemmeno a
quella frustrante sensazione di impotenza e meno che mai alla paura che
qualcosa andasse storto. E l’unico modo per affrontare la
cosa era ormai di
ripetersi che tutto sarebbe andato bene, dato che gli allenamenti non
stavano
dando i frutti sperati.
Lei
doveva essere già partita ormai. Le lancette
dell’orologio attirarono di nuovo la sua attenzione contro la
sua volontà e
allora lui cominciò ad analizzare analiticamente la
situazione per calmarsi.
Faceva la stessa cosa quando elaborava un piano, quando si preparava ad
affrontare
un nemico. La sola potenza non era mai stata abbastanza per lui;
l’intelligenza
e l’astuzia lo avevano reso un degno erede della sua stirpe e
Vegeta non aveva
mai mancato di affinare questi doni, insieme alle sue tecniche di
combattimento. Poter prevedere gli eventi, saper reagire
tempestivamente aveva
decretato la sua vittoria più di una volta. La sua mente
cominciò a seguire
quindi il corso degli eventi: Bulma doveva essere già
uscita, tra poco avrebbe
fatto il suo ingresso nella clinica in cui già Trunks era
nato; due ore dopo il
chirurgo avrebbe praticato un incisione appena sopra il suo pube,
esattamente
dove l’aveva già fatto tredici anni prima e a quel
punto suo figlio sarebbe
nato. Bulma sarebbe stata fuori pericolo e avrebbe avuto finalmente
quel
moccioso per cui si era data tanto da fare.
Era
uno strano modo di partorire, quello. Tra la sua
gente le donne lo facevano da sole nelle loro stanze; a volte sul campo
di
battaglia se quella feccia di Freezer e dei suoi sottoposti riteneva
che ci
fosse una missione di primaria importanza. L’unica eccezione
si faceva per la
nascita dei figli del Re: in quel caso la tradizione voleva che il
sovrano
dovesse essere presente per assicurarsi che il proprio figlio non
venisse
scambiato. Tuttavia era sicuro che nessuna donna sayan avesse mai avuto
bisogno
di assistenza. Ricordava di essersi sorpreso quando aveva visto per la
prima
volta la cicatrice sul ventre di Bulma, dopo il Cell Game. Ma quando
lei gli
aveva spiegato di cosa si trattava, si era dato dello stupido per non
averci
pensato. Era chiaro che un figlio ibrido con quella forza mostruosa non
potesse
nascere in modo naturale da un essere umano così debole.
Si
impose di smettere di pensarci e decise di fare
la doccia per cercare di lavare via quelle inutili preoccupazioni
insieme al
sudore.
Qualcuno
sarebbe presto venuto a dirgli che Bulma
stava bene e allora sarebbe stato libero di partire…
Un
suono acuto e un’improvvisa sensazione di
leggerezza gli segnalarono l’abbassamento repentino della
gravità. Per un
attimo ebbe la sgradevole sensazione che dalla porta stessero per
sopraggiungere cattive notizie, ma la comparsa di Trunks gli fece
riguadagnare
compostezza.
“Ciao.”,
disse il ragazzino entrando e richiudendosi
la porta alle spalle.
“Scusa
se ti ho interrotto.”
Vegeta
distese i muscoli del collo e lanciò al
figlio uno sguardo appena meno severo del solito.
“Cosa
vuoi?”
Il
ragazzo incrociò le braccia visibilmente
contrariato e si lasciò scivolare scomposto sul pavimento
lucido.
“Non
mi va di aspettare qui. Perché non posso andare
in clinica?”
“Perché
lei ha detto di non andare.”, sentenziò il
sayan.
Trunks
sbuffò e cominciò a digitare frenetico sul
suo smartphone; una cosa che a Vegeta faceva venire i nervi.
“Mi
sono già rotto le scatole di questo
moccioso…”
A
Vegeta non sfuggì il tono del ragazzino, volto
chiaramente a provocare in lui una qualche reazione. Dio solo sapeva
quale.
“Hai
piagnucolato per anni di volere un fratello, o
sbaglio?”, gli disse contrariato.
“Un
fratello come Gohan. Non un poppante che
piangerà tutto il giorno.”, rispose il giovane
senza degnarlo di uno sguardo.
“E sono pronto a scommettere che è una femmina del
cavolo.”, aggiunse.
A
Vegeta non importava un granché che il moccioso
fosse un maschio o una femmina. Avere un altro figlio lo avrebbe messo
in
difficoltà in ogni caso, a prescindere dal sesso. Doveva
ammettere però che una
parte di lui temeva di vedere entrare nella sua vita una ragazzina con
un mix
letale dei geni di Bulma e di quelli sayan. D’altronde le
poche donne che
avevano significato qualcosa nella sua vita, avevano lasciato segni
indelebili
su di lui. Nel bene e nel male.
A
prescindere da quello che pensava lui, le parole
di Trunks lo disturbavano perché l’idea che il
ragazzo potesse provare
sentimenti contrastanti, se non addirittura negativi, verso il fratello
non
l’aveva mai neanche sfiorato. In fondo non era una cosa
così impossibile:
Trunks aveva sempre mostrato invidia nei confronti del rapporto che
univa i
figli di Kakaroth, ma lui e Bulma non avevano certo testimoniato grandi
esempi
di amore fraterno. Tra Bulma e sua sorella non scorreva di certo buon
sangue e
lui aveva rapporti pressoché inesistenti con suo fratello
Tarble.
“Avere
una sorella non è poi così
male…”
Non
sapeva perché l’aveva detto. Non sapeva
perché
d’un tratto, nella diga che solitamente custodiva i suoi
sentimenti, si fosse
d’un tratto aperta una falla.
“E
come fai a saperlo?”, gli chiese il figlio,
alzando finalmente lo sguardo dal telefono.
“Ho
avuto una sorella anche io.”
Vide
Trunks sgranare gli occhi sorpreso. Eccolo lì;
uno dei segreti che nemmeno Bulma era mai riuscita a carpirgli,
sbandierato ai
quattro venti. Uno dei ricordi che con maggior fervore cercava di
seppellire
nei meandri del suo passato…
“E
com’era?”, chiese il ragazzo sinceramente
interessato.
Vegeta
sentì una fastidiosa sensazione stringergli
la gola. Ma se pensava a lei soltanto, senza evocare gli effetti
collaterali
che riguardavano Freezer, suo padre e la rabbia che provava per non
essere
stato in grado di opporsi agli eventi, non era poi così
brutto parlarne.
“Un
po’ come te. Una gran rompiscatole.”
Trunks
sorrise. Sembrava davvero rendersi conto di
quanto fosse importante quello che il padre gli stava confessando.
“Era
forte?”, domandò il ragazzo.
“Abbastanza.”,
disse. Ma una vocina dentro di lui lo
corresse subito.
Non
abbastanza.
Non
abbastanza da sopravvivere a Freezer, almeno.
Ammesso che si fosse sporcato le mani lui stesso per ucciderla. Nessun
sayan,
prima di Kakaroth, era mai sopravvissuto se aveva osato opporsi alla
volontà di
Freezer e lei aveva commesso un crimine imperdonabile: aveva cercato di
preservare l’animo del principe dall’oscuro operato
del viscido tiranno sulla
sua giovane mente. Strinse i pugni cercando di non pensarci. Cercando
di non
lasciarsi pervadere dal senso di fallimento che quel mostro instillava
in lui
fin dall’infanzia.
Katniss
era stata l’unica persona a volergli bene
prima di Bulma. L’unica a cui poteva attribuire un ricordo
felice, ora che
finalmente aveva riscoperto cosa fosse la felicità. Di sua
madre ricordava
soltanto il volto sprezzante, ogni volta che il suo sguardo altero si
posava su
di lui. Il disgusto con cui si riferiva a lui, chiamandolo
“il figlio del Re”.
Il pensare alla codardia di suo padre, invece, provocava il suo
ribrezzo. Poteva
senz’altro far risalire la sua lunga discesa nel baratro
della perdizione,
peraltro così tanto bramata da Freezer, al giorno in cui
aveva scoperto che suo
padre aveva chinato la testa di fronte al tiranno, permettendogli di
disporre
della vita dei suoi figli come meglio credeva. A patto che il piccolo
principe
restasse vivo…
Ma
Katniss gli aveva dato qualcosa a cui (solo ora
se ne rendeva conto) avrebbe potuto aggrapparsi nei momenti peggiori
della sua
vita. Qualcosa di più potente dell’orgoglio.
Qualcosa che, nonostante gli
orrori e la malvagità che gli sarebbe stata instillata, lo
avrebbe mantenuto in
vita. Qualcosa che sarebbe rimasta sopita dentro di lui, in attesa che
una
terrestre incosciente e irritante la trovasse….
A
volte, perlopiù nel sonno, la vedeva nella sua
piccola battle suit, pronta per partire per una nuova missione. I suoi
lineamenti ormai non apparivano più nitidi come un tempo, ma
ricordava bene
quanto fosse rassicurante vederla tornare ogni volta vincitrice da
quelle
spedizioni che a lui non erano ancora concesse, con il suo sorriso
scaltro
sempre in bella vista. Non gli era permesso di passare del tempo con
lei:
ordini di Freezer. Ma ricordava che ogni volta che lei tornava su
Vegeta-sei,
dopo essere sgattaiolato nelle sue stanze al calar del sole, le
domandava se
avesse ucciso molti alieni. Lei allora si faceva seria, lo prendeva per
le
spalle e lo guardava dritto negli occhi…
“Ricordati
che noi siamo un popolo di guerrieri, marmocchio. Non di
assassini…”
Lui
non capiva. Lo addestravano per uccidere, non
per sconfiggere. Gli insegnavano a provare piacere nel farlo. Lo
facevano con
tutti.
“Freezer
e i suoi non possono capire la differenza, Vegeta. Ma tu devi farlo.
Devi
promettermelo.”
Lui
prometteva. Ma avrebbe capito solo molti anni
più tardi il significato di quelle parole.
Prima
di addormentarsi, una volta, le aveva chiesto
perché allora uccideva tutti gli abitanti dei pianeti che
visitava. Aveva forse
paura di disobbedire agli ordini?
Katniss
non aveva esitato nemmeno un secondo a
rispondere.
“Morire
non è nulla, in confronto all’essere schiavo.
Faccio loro un favore.”
…
“Non
c’è più,
vero?”
Trunks
lo riportò bruscamente alla realtà.
Vegeta
non rispose. Si girò verso suo figlio e lo
guardò. A volte faceva ancora fatica ad accettare che ci
fosse così tanto di se
stesso in lui. Che uno strumento di morte come lui potesse aver dato la
vita ad
un essere così straordinario come quel ragazzino.
“Ascoltami
bene, Trunks. Una volta mi hai promesso
che ti saresti preso cura di tua madre, ricordi?”.
Trunks
si alzò in piedi, vagamente allarmato. Certo
che se lo ricordava, ma la sua espressione diceva chiaramente quanto
avrebbe
voluto evitare di parlarne.
“…
Sì.”
Vegeta
gli si avvicinò. Trunks arrossì appena, forse
spaventato dalla possibilità che suo padre volesse
abbracciarlo. A Vegeta
scappò un sorriso. Era così, dunque, che le colpe
dei padri ricadevano sui
figli.
Gli
mise una mano sulla spalla. Ormai era diventato
alto, presto lo avrebbe raggiunto.
“Difenderai
anche Bra, vero?”
Vegeta
lo vide irrigidirsi appena. Chissà se per un istante
di ribellione adolescenziale o se per la preoccupazione riguardo i
motivi della
sua richiesta.
“Non
ci sei tu per questo?”, gli chiese il giovane
titubante.
“Io
non sono immortale”. Un tempo avrebbe dato
chissà cosa per far sì di diventarlo. Ma
ora…
Trunks
gli sorrise. Aveva imparato anche lui ad
usare il sarcasmo per difendersi.
“Vorrà
dire che difenderò anche te, quando sarai un
vecchietto...”
“È
un sì?”, domandò il sayan, ignorando la
provocazione.
Trunks
chinò lo sguardo, tornando serio. Quando
rialzò la testa c’era una fiamma di fierezza nei
suoi occhi chiari.
“Te
lo prometto, papà.”
Vasil
le fece l’occhiolino da dietro la mascherina
chirurgica e Bulma ricambiò con un sorriso.
Era
suo amico fin dalla prima infanzia; fin dai
tempi in cui gareggiavano per il titolo di studente
dell’anno. Al contrario di
Bulma però, Vasil non aveva mai trasgredito alle regole
né aveva mai avuto il
suo spirito d’avventura. Se aveva mai lasciato la
Città dell’Ovest, lo aveva
fatto solo per il tempo necessario a prendere parte a qualche
importante
intervento chirurgico che richiedesse la sua bravura.
Quando
Bulma era rimasta incinta di Trunks non aveva
dubitato nemmeno un secondo nel mettersi nelle sue sapienti mani. Ed
anche
questa volta sarebbe stato lui ad aiutarla a mettere al mondo Bra.
“Sei
pronta, Brief?”, le domandò lui, infilandosi i
guanti.
Non
era come l’altra volta. Sapeva cosa aspettarsi
al suo risveglio e non c’era traccia di paura nel suo cuore.
“Mai
stata più pronta.”, rispose lei, nonostante
trovasse piuttosto scomodo il lettino su cui era distesa e la cuffietta
che le
raccoglieva i capelli.
“Allora
direi di far nascere questo bambino.”, disse
lui avvicinandole la maschera dell’anestesia al viso.
“Pensa
a cose belle, Brief…”
Bulma
chiuse gli occhi e sorrise. Poi fu il buio…
Vegeta
aveva appena finito di fare la doccia, quando
Trunks irruppe nella Gravity Room come un uragano.
“La
mamma sta bene. E … ovviamente è una
femmina!”,
senza più nessuna emozione, se non entusiasmo.
Stava
bene. Il suo stomaco tornò a distendersi,
istantaneamente. Era tutto ciò che doveva sapere.
Poi
anche il resto dell’informazione acquisì un
senso.
Femmina.
Aveva
una figlia.
Vegeta
non poté non restare sorpreso per un istante.
Quella donna ci aveva preso. Non aveva fatto altro che blaterare di
aspettare
una femmina per tutta la gravidanza.
“Vieni
a trovarle con me?”, domandò Trunks,
impaziente.
Vegeta
si diresse verso l’uscita superando il
ragazzo.
“Vai
tu. Io sto partendo.”
Quelle
parole uccisero l’euforia del giovane come
una doccia gelata.
“Cosa!?
E dove vai!?”
Il
sayan aveva previsto una reazione del genere da
parte del figlio; ma non era preparato a dover dare spiegazioni
riguardo a
questa decisione. Dovette sforzarsi di non rispondere in modo troppo
rude.
“Vado
ad allenarmi. Non starò via molto, comunque.”
“Aspetta!”,
lo fermò il ragazzo. “Perché vai via
proprio adesso?”
Rispondere
che aveva bisogno di altro tempo, che
sentiva il bisogno di allontanarsi per un po’ non sarebbe
stato del tutto
onesto. In parte era vero, ma non era la sola ragione.
“Non
t’interessa, vederla?”, gli chiese Trunks,
visibilmente demoralizzato.
Non
gli piaceva. Doversi giustificare. Ma non poteva
permettere che suo figlio pensasse che non era cambiato per niente, da
quando
era diventato padre per la prima volta.
“Quando
sei nato tu, non c’ero. Non sarebbe giusto.”
Trunks
continuò a fissarlo in silenzio. Quasi stupito
da quella osservazione. In un secondo momento, Vegeta lo vide
arrossire,
commosso dal significato di quelle parole.
Trunks
sapeva. Ormai era grande abbastanza da
intuire ciò che per anni gli era stato omesso. Il padre che
conosceva era ben
diverso dall’uomo che aveva abbandonato sua madre incinta, ma
di lui non gli
importava granché. C’era ancora qualcosa di quel
passato nelle coccole che non
era mai stato capace di elargirgli e nelle parole affettuose che Trunks
raramente aveva sentito uscire dalla sua bocca; eppure al giovane
bastava
sapere che fin dai suoi primi passi, quell’uomo severo e
riservato gli era
sempre stato accanto, e di lui non avrebbe cambiato nulla.
“Allora
a presto, papà.”, gli disse il ragazzino
apprestandosi
a spiccare il volo, per raggiungere la clinica e sua madre il
più velocemente
possibile.
“Ehi,
Trunks. Vuoi venire con me?”
Non
sapeva perché l’aveva detto. Non gli aveva mai
permesso di accompagnarlo nelle sue peregrinazioni negli angoli
più sperduti
del pianeta. Forse perché ogni volta che sentiva il bisogno
di allontanarsi da
casa era la solitudine, quella che cercava.
Trunks
si fermò a mezz’aria, incredulo.
“Sul
serio?”, disse. A poco a poco lo stupore sul
suo viso lasciò posto all’euforia.
Vegeta
sentiva che se ne sarebbe pentito. Se non
altro perché il ragazzo si sarebbe portato dietro quello
stupido telefono rumoroso
che ormai sembrava un’estensione naturale del suo corpo. Si
sarebbe lamentato. Avrebbe
piagnucolato per un letto comodo, un pasto raffinato…
Il
sayan sorrise.
“Sì,
sul serio.”
Cosa ne
pensate (se ancora c’è
qualcuno che segue questa storia dopo tanto tempo)?
Giustifichiamo
la licenza
poetica: la sorella di Vegeta, volevo introdurla da un po’,
ma diciamo che
questo mi è sembrato il momento migliore. Mi è
sempre piaciuto pensare che il
bambino-Vegeta sia nato non molto diverso da un comune bambino
terrestre e che
la schiavitù e la solitudine lo abbiano cambiato. Non ho mai
visto i sayan come
un popolo naturalmente spietato e incapace di provare sentimenti;
è logico che
essendo guerrieri, la violenza faccia parte della loro cultura, ma in
fondo
pensiamo a quello che noi stessi esseri umani abbiamo fatto nella
storia al cosiddetto
“diverso” che abitava il nostro stesso pianeta.
La sorella
di Bulma citata nel
capitolo (si chiama Tights, ovvero “calzamaglia”)
invece non è una mia
invenzione: esiste davvero! Se vi interessa vederla e sapere qualcosa
di lei
cercate “Jaco the galactic patrolman”, la recente
opera di Toriyama in cui fa
la sua comparsa insieme ad un’adorabile Bulma di 5 anni.
Riguardo la
trama: era importante
per me che Vegeta si allontanasse da casa per un po’. Ne ha
bisogno. Ma spero
anche che sia emerso come Bulma reagisca alla cosa in modo totalmente
diverso
rispetto alla nascita di Trunks. In quel caso era completamente sola.
Ora sa,
che per quanto Vegeta decida di andare lontano per proteggersi dalle
emozioni
che lo sopraffanno, vuole quel figlio e quella vita quanto lei.
Nel prossimo
capitolo Vegeta
incontrerà Bra, non vedo l’ora che lo leggiate!
Lasciamoci quindi con uno
scaramantico “a presto”.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Cap. 13 Someone belonging to someone ***
Ci
sono momenti in cui una si ricorda che ha lasciato qualcosa in sospeso,
che
forse ancora ci sono poveracci che leggono le storie che ha cominciato.
Ci sono
momenti in cui tutto quello che si è scritto finora non
sembra mai abbastanza
buono per andare avanti. Ma per fortuna, ogni tanto appare una piccola
luce in
fondo al tunnel e un nuovo capitolo prende vita.
Se
ancora mi seguite, come sempre, ogni vostro commento e suggerimento
sarà più
che gradito!
CAP.
13 - SOMEONE BELONGING TO SOMEONE
“Ti
ordino di lasciarci andare, Onio!”, esplode d’un
tratto il piccolo principe risoluto, puntando un dito verso il torace
enorme
della guardia.
Katniss
lo degna a malapena di uno sguardo, mentre
Onio fa del suo meglio per non scoppiare a ridere.
“Io
prendo ordini solo dal Re, soldo di cacio!”,
sghignazza il sayan, abbassando un braccio gigantesco e scompigliando i
capelli
di Vegeta.
Il
bambino si ritrae offeso, incrociando le braccia.
Se solo volesse, potrebbe stendere quell’energumeno in un
attimo.
“E
poi si può sapere chi ti ha autorizzata ad uscire
dalle tue stanze a quest’ora, principessa?”,
l’uomo torna a rivolgersi alla
bambina più grande.
Katniss
si gioca il tutto e per tutto. Hanno poche
possibilità di riuscire a sgattaiolare fino alle stanze del
Re, se non convince
la guardia a levarsi di torno.
“Mio
padre, Onio! E si arrabbierà moltissimo se ci
fai perdere altro tempo!”
L’uomo
la scruta sospettoso, dall’alto in basso.
“Non
sarà una delle tue solite storielle,
signorina?”
La
ragazzina mette le mani sui fianchi in segno di
sfida.
“Puoi andarlo
a chiedere al Re, avanti!”
Onio
si mette una mano sul viso, sospirando.
“Voi
due mi farete diventare matto, prima o poi…”
Vegeta
fa per lamentarsi, ma un gesto fugace della
sorella gli intima di aspettare.
“Se
tra 20 minuti non siete ognuno nella propria
stanza, vi sguinzaglio dietro tutto il palazzo. Intesi?”, fa
infine il sayan,
appoggiandosi al muro e liberando loro il passaggio.
Katniss
avanza impettita e tronfia, subito imitata
dal fratello.
“Il
signor Freezer sarà qui in visita tra qualche
ora, non sto scherzando.”, si raccomanda ancora la guardia e
Katniss perde
tutta la sua baldanza.
“Sei
sicuro?”, domanda, girandosi verso il sayan.
Onio
annuisce e Vegeta sente uno strano formicolio
percorrergli la coda. Non gli piace il signor Freezer; d’un
tratto non vede
l’ora di tornare nel suo letto.
“Dai,
sbrigati!”, lo afferra per un braccio Katniss,
trascinandolo nel corridoio.
I
due bambini cominciano a correre furtivi, evitando
le guardie e i servitori che si aggirano per il palazzo, intenti a
svolgere le
loro mansioni.
“Adesso
dovrai smettere di prendermi in giro,
Katniss.”, intima il principe, mentre entrano negli
appartamenti della Regina.
Katniss
si concede una risata di scherno.
“Guarda
che resterai sempre più piccolo di me,
nanerottolo!”
Una
lama di luce fuoriesce dalla porta socchiusa
della stanza di sua madre, e Vegeta dimentica di rispondere alla
piccola sayan.
Vuole conoscere a tutti i costi suo fratello neonato, ma rallenta
l’andatura,
incerto. Di solito non è il benvenuto in
quell’area del palazzo.
Katniss
gli segnala di avvicinarsi incoraggiante, ma
si blocca con la mano a pochi centimentri dalla porta, quando le voci
alterate
degli occupanti della stanza raggiungono le loro orecchie.
“Non
ti lascerò portare via mio figlio un’altra
volta, Vegeta!”, tuona la regina, vicinissima alla porta.
Il
piccolo Vegeta fa involontariamente un passo
indietro.
“Ti
ho detto che è per il suo bene, dannazione!”,
risponde il Re, altrettanto adirato.
“Vuoi
forse scambiare anche lui con un altro
bastardo pidocchioso?”
Il
principe è troppo giovane per accorgersene, ma
Katniss nota senza fatica la voce del padre perdere sicurezza.
“Tu…
vaneggi, donna!”
“Credi
che sia così stupida? Credi che solo perché i
tuoi figli hanno la fortuna di assomigliarti tanto, io non riconosca
nel tuo
erede il sangue di quella puttana di terza classe?”
“Basta!”,
urla il Re, sbattendo ferocemente un pugno
sul muro e abbattendone buona parte. Il rumore del crollo di calcinacci
giunge
alle orecchie dei bambini insieme al pianto infastidito di un neonato.
“Freezer
sta venendo qui, lo vuoi capire? Ha
qualcosa in mente. Troverà una scusa per
ucciderlo.”
“Perché
Freezer dovrebbe volerlo uccidere? Sei
ridicolo! Dì la verità… ti vergogni
del fatto che non sia abbastanza forte!”
“Freezer…”,
ringhia il Re, “ci vuole distruggere! È
solo questione di tempo e tu sei troppo stupida per
accorgertene!”
“Codardo…”,
sibila infine la Regina.
Il
piccolo Vegeta può quasi vedere le labbra sottili
di sua madre stringersi in una morsa di disgusto.
Passi
decisi attraversano la stanza e i bambini si
guardano colti alla sprovvista, improvvisamente consci di non avere un
nascondiglio a disposizione. La porta si apre e Rosacheena appare in
tutta la
sua maestosità. Vegeta sa che non è molto forte,
ma non può fare a meno di
esserne segretamente intimorito.
La
Regina sposta il suo sguardo adirato prima sulla
figlia e poi sul piccolo principe. Vegeta non capisce perché
sua madre lo odi
così tanto, ma ne ha una conferma istantanea mentre ogni
fibra del corpo della
sayan emana ripugnanza verso di lui. Il principe sostiene il suo
sguardo di
fuoco. Si sforza di non cercare l’appoggio di Katniss e, dopo
appena un istante
che a lui sembra infinito, la Regina lo supera, allontanandosi nel
corridoio.
Katniss lo prende per la manica e lo tira verso la stanza, ma
poi…
“Vieni,
Katniss.”
La
giovane sayan si blocca. Non è tanto sfrontata da
disubbidire ad un ordine diretto della madre, ma non ha voglia di
abbandonare
la missione ad un passo dal traguardo.
“Katniss!”
Katniss
fa spallucce al fratello e si allontana,
trascinando i piedi in direzione della voce autoritaria della madre.
Vegeta
la guarda scomparire nel buio. Combatte per
un momento con il desiderio infantile di chiamarla e di chiederle di
restare
con lui…
“Vegeta?”
Il
principe si volta e si trova davanti suo padre,
sorpreso. I suoi lineamenti si induriscono, ma il bambino sostiene il
suo
sguardo indagatore.
“Cosa
ci fai fuori dalle tue stanze a quest’ora?”
Il
piccolo sayan nota un fagotto che si agita tra le
braccia di suo padre.
“Volevo
vedere mio fratello, padre.”
Il
Re lo studia pensieroso. La presenza del principe
è un ostacolo che non aveva considerato, ma potrebbe
mantenere il segreto. È
più intelligente di qualsiasi sayan della sua
età, in fin dei conti…
“Figliolo…
Devi farmi una promessa. Ne va del
destino di tutta la nostra stirpe.”
Vegeta
si impettisce, ansioso di mostrare al padre
che capisce la gravità della situazione.
“Che
promessa, padre?”
Intanto
il fagotto comincia ad emettere dei deboli
vagiti.
“Vedrai
tuo fratello per la prima ed ultima volta
stasera. Se qualcuno ti chiederà informazioni su di lui
dovrai giurare di non
averlo mai visto e di aver saputo che è nato morto;
è chiaro?”
Vegeta
avrebbe mille domande da fare. Ma non gli è
permesso. Non è un comportamento consono per un principe.
“Lo
ucciderai?”, chiede senza riuscire a frenarsi.
Il
Re sospira.
“No,
lo manderò su un pianeta lontano per
proteggerlo. Ma devi capire che il resto dell’universo deve
crederlo morto.”
Vegeta
annuisce.
“Devi
giurarmelo, Vegeta!”, insiste ancora il sayan.
“Te
lo prometto, padre!”, risponde il bambino,
mettendosi sull’attenti.
“Va
bene…”, si rassegna il Re; poi si china
all’altezza del giovane principe per permettergli di vedere
cosa si cela all’interno
di quello che ora Vegeta riconosce come un mantello.
È
la prima volta che vede un neonato. È strano.
Prima ancora della somiglianza con se stesso è il suo odore
insieme familiare
ed estraneo a colpirlo.
Il
minuscolo sayan smette di agitarsi e di soffiare
infastidito e lo guarda curioso agitando la coda.
Vorrebbe
toccarlo. Vorrebbe sorridere soddisfatto di
avere qualcuno da maltrattare e da proteggere come fa Katniss con lui.
Ma quel
neonato non esiste; lo ha appena promesso. Con un sentimento che se
fosse
adulto potrebbe descrivere come amarezza, Vegeta capisce che sarebbe
stato
meglio non incontrarlo mai.
“Ora
devi dimenticarlo, Vegeta. Torna a letto.”, gli
intima il padre.
Vegeta
china il capo per congedarsi dal Re, ma prima
che il sayan possa rialzarsi sottraendo il neonato alla sua vista, il
principe
sfiora il piccolo braccio del fratello in un impeto incontrollabile.
“Addio,
fratello.”
Poi
scompare, correndo nel buio, per tornare nelle
sue stanze.
Vegeta
percorreva il solito corridoio al buio. Poteva
essere solo l’ennesimo rientro notturno dopo qualche giorno
trascorso a
vagabondare sulla Terra. Il principe che tornava dal
“campeggio”, come soleva
dire Bulma.
Invece
non era una notte come un’altra. Per molti
motivi.
Innanzitutto
non capitava mai che si assentasse per
tutto quel tempo. Gli sarebbe piaciuto fare finta di non sapere che
fossero
passati ben 16 giorni da quando aveva lasciato la casa. Trunks era
tornato dopo
pochi giorni, incapace di resistere a quel richiamo contro cui anche
Vegeta
aveva dovuto combattere.
Il
principe si ritrovò di fronte alla porta chiusa
della sua camera da letto. Aveva aspettato così a lungo per
essere sicuro di
avere le risorse necessarie per affrontare quel momento, ma ora non era
poi
così certo di averle trovate.
Aprì
la porta senza darsi tempo di immaginare cosa
avrebbe trovato all’interno.
Luce
soffusa. Rumore di acqua scrosciante. Lei sotto
la doccia. Ma non l’avrebbe raggiunta perché
lì davanti a lui, sul suo letto,
dove per molto tempo l’aveva solo immaginata, c’era
l’altra lei.
Bra.
Una
neonata di pochi centimentri e tanto bastava per
farlo restare immobile sulla porta; con il terrore che se si fosse
mosso, il
terreno sotto i suoi piedi si sarebbe aperto e l’avrebbe
fatto precipitare in
una voragine.
Un
lieve sussultare di braccia gli fece capire che
era sveglia e Vegeta si mosse cauto verso di lei.
La
piccola sgranò gli occhi all’avvicinarsi di
quell’ombra
sconosciuta. Non poteva vederlo con chiarezza; non con
quell’apparato visivo
ancora immaturo.
Non
avere paura.
Non
lo disse davvero. Ma Bra sembrò capirlo lo
stesso che quell’uomo non voleva farle del male.
Il
sayan si ritrovò molto più vicino a lei di quanto
avesse preventivato. Anche nel debole chiarore della lampada a stelo
poteva ora
osservare tutti i tratti di quella strana creatura.
La
prima impressione lo lasciò senza fiato e una
smorfia involontaria gli si dipinse in volto.
Dannata
donna. Come diavolo ci sei riuscita?
Bulma.
Era Bulma. Era quasi spaventoso quanto le
somigliasse. Quanto il ragazzino di Kakaroth assomigliava al padre. Un
velo
quasi impalpabile di capelli turchini le coprivano il cranio e quegli
occhi
ancora di colore indefinito erano grandi e chiaramente pronti a
trasformarsi in
profondi laghi azzurri. La bocca, che la piccola apriva e chiudeva come
per
assaggiare l’aria intorno a sé aveva
già, per quanto minuscola, la forma di
quella stupenda di sua madre.
Sei
bellissima.
Lo
era davvero. D’un tratto Bra arricciò il naso in
un’espressione che assomigliava molto al disgusto e Vegeta
vide dell’altro. Era
minuta, con il viso appena più sottile e la fronte
più ampia rispetto alla
Bulma neonata che aveva visto in fotografia. Ed era forte.
Straordinariamente.
Orgoglio
e quell’altra cosa terribile che Bulma gli
aveva insegnato lo riempivano ad ondate.
Sono
tuo padre.
Davvero
l’aveva fatta lui? Davvero lei gli
apparteneva in modo così intimo e profondo?
La
piccola gorgheggiava pimpante al suo indirizzo e
lui si chiese se avesse già sviluppato quel modo tipicamente
sayan di conoscere
il mondo, se avesse già associato il suo odore a qualcosa di
noto e piacevole
come solo il richiamo del proprio sangue poteva essere.
Il
principe inspirò lentamente.
Sapeva
di buono. Sapeva di Bulma e lo stomaco gli si
stringeva a tradimento, ad ogni atto respiratorio. Sapeva di sayan con
un’intensità tale che, prima di vederla, avrebbe
ritenuto impossibile associare
un odore simile a quei grandi occhi azzurri.
Vegeta
si sedette sul letto, accanto a lei, senza
osare toccarla. Bra ruotò il piccolo capo verso di lui
sempre più interessata a
quella strana presenza, mai incontrata prima.
Lo
stava uccidendo. La conosceva da pochi minuti e
già dentro di lui qualcosa si stava spaccando in modo
inesorabile. Bulma
sarebbe uscita presto dalla doccia e lui cosa le avrebbe detto? Che
all’improvviso la gravità che si solito lo
schiacciava a terra soffocandolo,
ora lo spingeva verso quell’esserino semimovente? Che tutta
la vita di prima,
persino quella che aveva passato con lei e Trunks, non aveva
più senso poiché
sua figlia non ne aveva fatto parte?
Sua
figlia.
Mi
prenderò cura di te. Te lo prometto.
Maledizione.
Aveva perso tutta la sua dignità con
Bulma. Aveva giurato che nessun altro essere vivente
l’avrebbe mai fatto
sentire in quel modo. Perché bruciava terribilmente. Lo
riempiva e allo stesso
tempo lo logorava. E poi era arrivato Trunks. Era stato ancora
più difficile accettare
lui che non la terrestre, ma ora ogni ridicola sofferenza del ragazzo
era una
coltellata a tradimento nel petto del principe.
E
adesso tu.
Sembrava
quasi che qualsiasi cosa ci fosse associata
al suo muscolo cardiaco si fosse espansa per trovare posto anche per
lei. C’era
tutta una nuova parte di lui che gridava, gioiva e soffriva per Bra.
La
porta del bagno si aprì senza che Vegeta si fosse
accorto del fatto che l’acqua della doccia aveva smesso di
scorrere.
“La
mamma è qui, tesoro.”
Lo
vide e trasalì. Forse di sorpresa, forse per
qualcos’altro.
Vegeta
si ritrovò a dimenticare per un momento la
bambina. Bulma, avvolta nell’accappatoio vaporoso, gli
regalò un sorriso dolce
e uno sguardo che esprimeva tutta la mancanza che aveva sentito di lui
in quei
giorni.
Dio.
Sempre più bella.
Come
poteva essere umana?
“Ciao…”
“Ciao.”
Lei
si avvicinò e si sedette accanto a lui,
sfiorando il suo avambraccio con la mano tremante. Nei momenti
difficili lei
sapeva sempre mantenere la giusta distanza, nonostante tutto il suo
corpo
dicesse quanto desiderava affondare tra le sue braccia.
“Hai
conosciuto la nostra principessa?”
Vegeta
era tornato a guardare Bra.
“Nostra”
aveva un suono ancora più appagante
rispetto a
“mia”,”tua”…
Allungò
la mano verso i minuscoli piedi di sua figlia,
ma si fermò. Toccarla avrebbe significato provare qualcosa
di nuovo e potente e
non era certo di voler scoprire cosa. Era piccola, a tratti quasi
gracile, ma
si trattava di uno straordinario esempio di ingannevole apparenza se si
prestava attenzione alla sua aura già incredibilmente
sviluppata.
“Credo
che abbia preso da te.”, disse Bulma spostandosi
su un angolo del letto.
“Mi
prendi in giro?”, ribatté lui.
“No,
dico sul serio. Trunks era cicciottello quando
è nato, e lo ero anche io. Lei è
diversa.”, ribadì la donna frizionandosi i
capelli con l’asciugamano.
Vegeta
prese a studiarla di nuovo. Lei aveva smesso
di muovere smaniosa i piccoli arti in tutte le direzioni e ricambiava
il suo
sguardo attenta, in un atteggiamento inusuale per un
neonato che la rendeva in qualche modo buffa.
“È
ridicolo. Se non fosse così forte, nessuno
penserebbe che è mia figlia.”
In
qualche modo porre l’accento sul contrasto
immediato ad un primo sguardo, su quegli occhi chiaramente rubati a
Bulma, lo
faceva sentire meno perso. Meno in balia delle proprie emozioni.
Bulma
sorrise.
“Aspetta
di conoscerla. Ti assicuro che non ci sono
dubbi al riguardo.”, disse pensando alle due settimane appena
trascorse in
compagnia di sua figlia. Vegeta si sarebbe presto reso conto del
caratterino di
Bra.
Il
sayan avrebbe potuto aspettare che le labbra di
Bulma gli passassero casualmente più vicine. Ma in quel
momento molte cose,
così come la sua solita prudenza, non avevano più
senso. Vegeta le
afferrò il braccio e la tirò a sé.
Baciarla
fu come respirare per la prima volta dopo molto tempo. Non solo dopo
quei 16
giorni che avevano passato separati. Baciarla fu come cancellare in un
istante
tutte le paure che quella gravidanza aveva scatenato in lui.
“Ti
amo…” gli sussurrò Bulma con le braccia
gettate
al suo collo, le mani affondate nei suoi capelli.
Vegeta
continuò a baciarla. Incapace di fare altro.
“Tesoro!”,
lo scansò Bulma all’improvviso. “Puzzi
da
morire!”, aggiunse tappandosi il naso divertita.
“Dove
pensi che vada quando esco di qui? In un
albergo?”, rispose il principe, sollevato di poter portare la
conversazione su
un piano a lui più congeniale.
“Beh,
fatti una doccia mentre preparo Bra per la sua
prima notte senza di me.”
Non
si era dimenticato di lei. Come poteva? Persino
mentre assaporava Bulma la sua presenza sembrava riempire tutta la
stanza.
Bulma
sollevò delicatamente la bambina e
incredibilmente a Vegeta sembrava ancora più bella, mentre
baciava felice le
guance della piccola, struccata e avvolta in un semplice accappatoio.
Mie.
La
donna si sistemò Bra su una spalla e si diresse
verso la porta.
Vegeta
si alzò per una meritata doccia calda.
“Guarda
che puoi tenertela qui se vuoi, per quel che
mi riguarda…”
Cercò
di dirlo con tutta la noncuranza di cui fosse
capace. Ma tanto era a Bulma che stava parlando. Chi voleva prendere in
giro?
Lei
sorrise.
“Sei
molto generoso, ma Bra mi ha avuta tutta per sé
per un sacco di tempo e stanotte sono io che ho bisogno di
attenzioni…”
Ed
ecco che la donna della sua vita si trasformava in
un istante da madre amorevole in torrida amante e il sayan avrebbe
voluto
strapparle l’accappatoio di dosso senza attendere un secondo.
Bulma
uscì dalla stanza. Ma prima, da sopra la sua
spalla, Bra gli puntò addosso gli occhi chiari e schietti.
Sua
figlia.
E
in quel momento la verità si rivelò ai suoi occhi
in tutta la sua spaventosa bellezza.
Non
era sua.
Quella bambina non sarebbe mai stata di sua proprietà, come
lo era Bulma.
Era
lui, il grande e potente principe dei sayan, che
apparteneva a lei.
Manca poco alla fine di questa
storia. Due capitoli. E questo era quello che mi spaventava di
più. Perché volevo
un Vegeta realistico, un Vegeta vero. Per una volta meno ossessionato
dai
fantasmi del passato, ma altrettanto spaventato dal futuro.
C’è un po’ di me in
questo Vegeta. C’è un po’ di me nella
filosofia: amare qualcuno è bellissimo,
ma cazzo meglio che siano poche persone perché la paura di
perderle ti logora e
prima o poi soffrirai come un cane! Spero che il capitolo vi sia
piaciuto. Spero
che il flashback vi abbia fatto capire qualcosa sul passato di Vegeta
che non
so ancora se vorrò approfondire in un’altra
storia. Fatemi sapere! Grazie a
tutti per la vostra costanza nel continuare a seguirmi!
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=1028040
|